Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62019CJ0046

    Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 22 aprile 2021.
    Consiglio dell'Unione europea contro Kurdistan Workers' Party (PKK).
    Impugnazione – Politica estera e di sicurezza comune Lotta al terrorismo – Misure restrittive contro determinate persone ed entità – Congelamento dei capitali – Posizione comune 2001/931/PESC – Articolo 1, paragrafi 3, 4 e 6 – Regolamento (CE) n. 2580/2001 – Articolo 2, paragrafo 3 – Mantenimento di un’organizzazione nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità coinvolti in atti terroristici – Presupposti – Decisione di un’autorità competente – Persistenza del rischio di coinvolgimento in attività terroristiche – Base fattuale delle decisioni di congelamento dei capitali – Decisione di riesame della decisione nazionale che ha giustificato l’inserimento iniziale nell’elenco – Obbligo di motivazione.
    Causa C-46/19 P.

    Court reports – general – 'Information on unpublished decisions' section

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2021:316

     SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

    22 aprile 2021 ( *1 )

    «Impugnazione – Politica estera e di sicurezza comune – Lotta al terrorismo – Misure restrittive contro determinate persone ed entità – Congelamento dei capitali – Posizione comune 2001/931/PESC – Articolo 1, paragrafi 3, 4 e 6 – Regolamento (CE) n. 2580/2001 – Articolo 2, paragrafo 3 – Mantenimento di un’organizzazione nell’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità coinvolti in atti terroristici – Presupposti – Decisione di un’autorità competente – Persistenza del rischio di coinvolgimento in attività terroristiche – Base fattuale delle decisioni di congelamento dei capitali – Decisione di riesame della decisione nazionale che ha giustificato l’inserimento iniziale nell’elenco – Obbligo di motivazione»

    Nella causa C‑46/19 P,

    avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 25 gennaio 2019,

    Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da B. Driessen e S. Van Overmeire, in qualità di agenti,

    ricorrente,

    sostenuto da:

    Repubblica francese, rappresentata da A.-L. Desjonquères, B. Fodda e J.-L. Carré, in qualità di agenti,

    Regno dei Paesi Bassi, rappresentato da M.K. Bulterman e J. Langer, in qualità di agenti,

    intervenienti in sede d’impugnazione,

    procedimento in cui le altre parti sono:

    Kurdistan Workers’ Party (PKK), rappresentato da A.M. van Eik e T.M.D. Buruma, advocaten,

    ricorrente in primo grado,

    Commissione europea, rappresentata da R. Tricot, T. Ramopoulos e J. Norris, in qualità di agenti,

    Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente da S. Brandon, in qualità di agente, assistito da P. Nevill, barrister, successivamente da F. Shibli e S. McCrory, in qualità di agenti, assistiti da P. Nevill, barrister,

    intervenienti in primo grado,

    LA CORTE (Seconda Sezione),

    composta da A. Arabadjiev, presidente di sezione, K. Lenaerts, presidente della Corte, facente funzione di giudice della Seconda Sezione, A. Kumin, T. von Danwitz (relatore) e P.G. Xuereb, giudici,

    avvocato generale: P. Pikamäe

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la fase scritta del procedimento,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    Con la presente impugnazione il Consiglio dell’Unione europea chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14; in prosieguo: la sentenza impugnata, EU:T:2018:788), con la quale quest’ultimo ha annullato:

    la decisione (PESC) 2015/521 del Consiglio, del 26 marzo 2015, che aggiorna e modifica l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione 2014/483/PESC (GU 2015, L 82, pag. 107);

    la decisione (PESC) 2015/1334 del Consiglio, del 31 luglio 2015, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2015/521 (GU 2015, L 206, pag. 61), e

    la decisione (PESC) 2017/1426 del Consiglio, del 4 agosto 2017, che aggiorna l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano gli articoli 2, 3 e 4 della posizione comune 2001/931/PESC relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e che abroga la decisione (PESC) 2017/154 (GU 2017, L 204, pag. 95),

    (in prosieguo, congiuntamente: le «decisioni controverse»), nonché

    il regolamento di esecuzione (UE) n. 125/2014 del Consiglio, del 10 febbraio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo e abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 714/2013 (GU 2014, L 40, pag. 9);

    il regolamento di esecuzione (UE) n. 790/2014 del Consiglio, del 22 luglio 2014, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 125/2014 (GU 2014, L 217, pag. 1);

    il regolamento di esecuzione (UE) 2015/513 del Consiglio, del 26 marzo 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) n. 790/2014 (GU 2015, L 82, pag. 1);

    il regolamento di esecuzione (UE) 2015/1325 del Consiglio, del 31 luglio 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2015/513 (GU 2015, L 206, pag. 12);

    il regolamento di esecuzione (UE) 2015/2425 del Consiglio, del 21 dicembre 2015, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2015/1325 (GU 2015, L 334, pag. 1);

    il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1127 del Consiglio, del 12 luglio 2016, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2015/2425 (GU 2016, L 188, pag. 1);

    il regolamento di esecuzione (UE) 2017/150 del Consiglio, del 27 gennaio 2017, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1127 (GU 2017, L 23, pag. 3), e

    il regolamento di esecuzione (UE) 2017/1420 del Consiglio, del 4 agosto 2017, che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo, e che abroga il regolamento di esecuzione (UE) 2017/150 (GU 2017, L 204, pag. 3),

    (in prosieguo, congiuntamente: i «regolamenti controversi»), nelle parti in cui tali decisioni e regolamenti (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti controversi») riguardano il Kurdistan Workers’ Party (PKK).

    Contesto normativo

    Risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

    2

    Il 28 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1373 (2001), che stabilisce strategie di ampio respiro per la lotta al terrorismo e, in particolare, al finanziamento dello stesso. Il punto 1, lettera c), di tale risoluzione dispone, segnatamente, che tutti gli Stati congelino senza indugio i capitali, le altre attività finanziarie ovvero le risorse economiche delle persone che compiono, o tentano di compiere, atti terroristici o vi prendono parte o li agevolano, delle entità possedute o controllate da tali persone e delle persone ed entità che agiscono a nome o sotto la guida di tali persone ed entità.

    3

    Detta risoluzione non prevede un elenco di nomi di persone cui devono essere applicate queste misure restrittive.

    Diritto dell’Unione

    La posizione comune 2001/931/PESC

    4

    Ai fini dell’attuazione della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Consiglio ha adottato, il 27 dicembre 2001, la posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 93).

    5

    L’articolo 1, paragrafi 1, 3, 4 e 6, di tale posizione comune è così formulato:

    «1.   La presente posizione comune si applica, in conformità delle disposizioni dei seguenti articoli, alle persone, gruppi ed entità, elencati nell’allegato, coinvolti in atti terroristici.

    (...)

    3.   Ai fini della presente posizione comune per “atto terroristico” si intende uno degli atti intenzionali di seguito indicati, che, per la sua natura o contesto possa recare grave danno a un paese o un’organizzazione internazionale, definito reato in base al diritto nazionale, quando è commesso al fine di:

    i)

    intimidire seriamente la popolazione; o

    ii)

    costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto; o

    (iii)

    destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o un’organizzazione internazionale:

    a)

    attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso;

    b)

    attentati gravi all’integrità fisica di una persona;

    c)

    sequestro di persona e cattura di ostaggi;

    d)

    distruzioni massicce di strutture governative o pubbliche, sistemi di trasporto, infrastrutture, compresi i sistemi informatici, piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale ovvero di luoghi pubblici o di proprietà private, che possono mettere a repentaglio vite umane o causare perdite economiche considerevoli;

    e)

    sequestro di aeromobili o navi o di altri mezzi di trasporto collettivo di passeggeri o di trasporto di merci;

    f)

    fabbricazione, detenzione, acquisto, trasporto, fornitura o uso di armi da fuoco, esplosivi, armi atomiche, biologiche e chimiche, nonché, per le armi biologiche e chimiche, ricerca e sviluppo;

    g)

    diffusione di sostanze pericolose, cagionamento di incendi, inondazioni o esplosioni il cui effetto metta in pericolo vite umane;

    h)

    manomissione o interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse naturali fondamentali il cui effetto metta in pericolo vite umane;

    i)

    minaccia di mettere in atto uno dei comportamenti elencati alle lettere da a) a h);

    j)

    direzione di un gruppo terroristico;

    k)

    partecipazione alle attività di un gruppo terroristico, anche fornendo informazioni o mezzi materiali o finanziandone in qualsiasi forma le attività, nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose del gruppo.

    Ai fini del presente paragrafo, per “gruppo terroristico” s’intende l’associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici. Il termine “associazione strutturata” designa un’associazione che non si è costituita fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata.

    4.   L’elenco è redatto sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo da cui risulta che un’autorità competente ha preso una decisione nei confronti delle persone, gruppi ed entità interessati, si tratti dell’apertura di indagini o di azioni penali per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione, basate su prove o indizi seri e credibili, o si tratti di una condanna per tali fatti. Nell’elenco possono essere inclusi persone, gruppi ed entità individuati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come collegati al terrorismo e contro i quali esso ha emesso sanzioni.

    Ai fini dell’applicazione del presente paragrafo, per “autorità competente” s’intende un’autorità giudiziaria o, se le autorità giudiziarie non hanno competenza nel settore di cui al presente paragrafo, un’equivalente autorità competente nel settore.

    (...)

    6.   I nomi delle persone ed entità riportati nell’elenco in allegato sono riesaminati regolarmente almeno una volta per semestre onde accertarsi che il loro mantenimento nell’elenco sia giustificato».

    Il regolamento (CE) n. 2580/2001

    6

    Considerando necessario un regolamento per attuare, a livello dell’Unione europea, le misure descritte nella posizione comune 2001/931, il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 2580/2001, del 27 dicembre 2001, relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo (GU 2001, L 344, pag. 70, e rettifica in GU 2010, L 52, pag. 58).

    7

    L’articolo 2 di tale regolamento così prevede:

    «1.   Fatte salve le disposizioni degli articoli 5 e 6:

    a)

    tutti i capitali, le altre attività finanziarie e le risorse economiche di cui una persona fisica o giuridica, gruppo o entità ricompresi nell’elenco di cui al paragrafo 3 detenga la proprietà o il possesso sono congelati;

    b)

    è vietato mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione delle persone fisiche o giuridiche, grupp[i] o entità ricompresi nell’elenco di cui al paragrafo 3, capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche.

    2.   Fatti salvi gli articoli 5 e 6, è vietata la prestazione di servizi finanziari destinati alle persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità ricompresi nell’elenco di cui al paragrafo 3.

    3.   Il Consiglio, deliberando all’unanimità, elabora, riesamina e modifica l’elenco di persone, gruppi o entità ai quali si applica il presente regolamento in conformità delle disposizioni di cui all’articolo I, paragrafi 4, 5 e 6 della posizione comune [2001/931]. Tale elenco include:

    i)

    persone che commettono o tentano di commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano;

    ii)

    persone giuridiche, gruppi o entità che commettono o tentano di commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano;

    iii)

    persone giuridiche, gruppi o entità di proprietà o sotto il controllo di una o più delle persone fisiche o giuridiche, dei gruppi e delle entità di cui ai punti i) e ii);

    iv)

    persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità che agiscano per conto o su incarico di una o più persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità di cui ai punti i) e ii)».

    Fatti e atti controversi

    8

    Ai punti da 1 a 7, da 56 a 61 e da 81 a 93 della sentenza impugnata, il Tribunale ha riassunto il contesto di fatto all’origine della controversia dinanzi ad esso pendente. Per quanto riguarda l’esame della presente impugnazione, occorre prendere in considerazione quanto segue.

    9

    Il 2 maggio 2002 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2002/340/PESC, che aggiorna la posizione comune 2001/931/PESC (GU 2002, L 116, pag. 75). L’allegato della posizione comune 2002/340 ha aggiornato l’elenco delle persone, dei gruppi e delle entità a cui si applicano le misure restrittive previste dalla posizione comune 2001/931 (in prosieguo: l’«elenco controverso») e vi ha inserito, in particolare, il nome del Kurdistan Workers’ Party (PKK), così identificato: «Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK)». Lo stesso giorno il Consiglio ha adottato la decisione 2002/334/CE, che attua l’articolo 2, paragrafo 3 del regolamento (CE) n. 2580/2001 e che abroga la decisione 2001/927/CE (GU 2002, L 116, pag. 33). In tale decisione, il nome del PKK è iscritto nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento n. 2580/2001 negli stessi termini utilizzati nell’elenco controverso.

    10

    L’iscrizione del PKK in tale elenco è stata mantenuta, in particolare, dagli atti controversi. Dal 2 aprile 2004, l’elenco controverso menziona, con riferimento al PKK, il «Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) (anche noto come “KADEK”, o come “KONGRA-GEL”)».

    11

    Nelle esposizioni dei motivi relativi ai regolamenti di esecuzione nn. 125/2014 e 790/2014 (in prosieguo: gli «atti del 2014»), il Consiglio ha descritto il PKK come un’entità coinvolta in atti terroristici e che, a partire dal 1984, aveva commesso numerosi atti di tale natura, causando la morte di oltre 30000 cittadini turchi e stranieri.

    12

    Il Consiglio ha indicato che le attività terroristiche del PKK continuavano, nonostante un certo numero di cessate il fuoco che quest’ultimo aveva dichiarato unilateralmente, in particolare, dal 2009. A tal riguardo, il Consiglio ha precisato che gli atti terroristici commessi dal PKK comprendevano attentati dinamitardi, attacchi con razzi, l’uso di esplosivi, l’assassinio e il rapimento di cittadini turchi e di turisti stranieri, la presa di ostaggi, attacchi contro le forze di sicurezza turche e scontri armati con queste ultime, attacchi contro impianti petroliferi, trasporti pubblici, sedi diplomatiche, culturali e commerciali turche in diversi paesi, l’estorsione nei confronti di cittadini turchi residenti all’estero e altri atti criminali volti a finanziare le proprie attività. A titolo di esempio, il Consiglio ha redatto un elenco di 69 episodi, verificatisi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011. Successivamente, il Consiglio ha qualificato tali atti, che attribuisce al PKK, come «atti terroristici», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

    13

    Il Consiglio ha aggiunto che il PKK era stato oggetto di tre decisioni nazionali, la prima delle quali era stata adottata il 29 marzo 2001 dal Secretary of State for the Home Department (Ministro dell’Interno, Regno Unito; in prosieguo: il «Ministro dell’Interno») sulla base dell’UK Terrorism Act 2000 (legge del Regno Unito del 2000 sul terrorismo), come integrata da una decisione del 14 luglio 2006, entrata in vigore il 14 agosto 2006, considerando che «KADEK» e «KONGRA-GEL» costituivano altre denominazioni del PKK (in prosieguo: la «decisione del Ministro dell’Interno del 2001»). Con tale decisione, il Ministro dell’Interno, tenuto conto del compimento di atti terroristici da parte del PKK e della partecipazione di quest’ultimo a tali atti, ha bandito il PKK quale organizzazione coinvolta in atti terroristici. Il Consiglio ha precisato che detta decisione era riesaminata regolarmente da una commissione governativa nazionale.

    14

    Le altre due decisioni nazionali sono state adottate dal governo degli Stati Uniti d’America. Si tratta, da un lato, della decisione che qualifica il PKK come «organizzazione terroristica straniera», in applicazione della sezione 219 dell’US Immigration and Nationality Act (legge degli Stati Uniti sull’immigrazione e sulla cittadinanza), come modificato, e, dall’altro, della decisione che qualifica il PKK come «terrorista globale specialmente designato», in applicazione dell’Executive Order n. 13224 (decreto presidenziale n. 13224) (in prosieguo, congiuntamente, le «decisioni delle autorità degli Stati Uniti»). Per quanto riguarda tali decisioni delle autorità degli Stati Uniti, il Consiglio ha rilevato che quella che qualifica il PKK come «organizzazione terroristica straniera» poteva essere sottoposta a sindacato giurisdizionale, mentre quella che qualifica il PKK come «terrorista globale specificamente designato» poteva essere oggetto sia di un controllo amministrativo sia di un controllo giurisdizionale.

    15

    In tali circostanze, il Consiglio ha ritenuto che le tre decisioni nazionali di cui ai due punti precedenti fossero state adottate da «autorità competenti», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. Il Consiglio ha peraltro rilevato che queste tre decisioni nazionali rimanevano in vigore e ha ritenuto che i motivi che avevano giustificato l’iscrizione iniziale del PKK nell’elenco controverso rimanessero validi.

    16

    Nelle esposizioni dei motivi relativi alle decisioni controverse e ai regolamenti controversi adottati tra il 2015 e il 2017 (in prosieguo: gli «atti dal 2015 al 2017»), il Consiglio ha rilevato che il mantenimento dell’iscrizione del PKK nell’elenco controverso era fondato su decisioni adottate da tre autorità competenti, in particolare la decisione del Ministro dell’Interno del 2001 e le decisioni delle autorità degli Stati Uniti, oggetto rispettivamente degli allegati A e C di tali esposizioni dei motivi. A tal riguardo, esso ha sottolineato, anzitutto, di aver esaminato in modo autonomo le informazioni contenute in tali decisioni e che, secondo le sue constatazioni, ciascuna di dette decisioni conteneva motivi sufficienti per giustificare l’iscrizione del PKK, a livello dell’Unione, nell’elenco controverso.

    17

    Il Consiglio ha poi indicato che, secondo la giurisprudenza del Tribunale, sia il Ministro dell’Interno sia le autorità degli Stati Uniti possono essere considerati rispettivamente come «autorità competente», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, precisando al contempo di aver verificato che gli elementi di fatto sui quali si fondavano le stesse decisioni rientravano nelle nozioni di «atti terroristici» e di «gruppo terroristico» e rimanevano in vigore. Infine, il Consiglio ha precisato di non disporre di alcun elemento che deponesse a favore della cancellazione dell’iscrizione del PKK dall’elenco controverso e che i motivi che avevano giustificato l’iscrizione di tale organizzazione in tale elenco rimanevano attuali, cosicché tale iscrizione doveva essere mantenuta.

    18

    Inoltre, le esposizioni dei motivi relativi agli atti dal 2015 al 2017 contenevano in allegato, per ogni decisione nazionale, una descrizione della definizione della nozione di «terrorismo» nel diritto nazionale, una descrizione delle procedure amministrative e giudiziarie nazionali applicabili, una sintesi del contesto procedurale e del seguito dato alla decisione nazionale in questione, una sintesi delle constatazioni fatte dalle autorità competenti nei confronti del PKK, una descrizione dei fatti sui quali si erano basate dette autorità competenti e la constatazione che tali fatti costituivano «atti terroristici» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

    19

    Nell’allegato A delle esposizioni dei motivi degli atti dal 2015 al 2017, il Consiglio ha rilevato che la decisione del Ministro dell’Interno del 2001 aveva bandito il PKK in quanto vi erano fondati motivi per ritenere che quest’ultimo commettesse, o partecipasse ad «atti terroristici», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931. Con decisione del 3 dicembre 2014 (in prosieguo: la «decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014»), tale Ministro aveva respinto una domanda di revoca della messa al bando del PKK, basandosi su recenti attacchi terroristici che, secondo detto Ministro, erano stati commessi dal PKK e indicavano che il PKK era ancora coinvolto in «atti terroristici», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

    20

    Nell’allegato C di tali esposizioni dei motivi, che riguarda le decisioni delle autorità degli Stati Uniti, il Consiglio ha indicato che la relazione annuale del 2013 sul terrorismo, redatta dal Ministero degli Affari esteri degli Stati Uniti, conteneva i motivi concreti sulla base dei quali era stata adottata e mantenuta la decisione di designare il PKK come «organizzazione terroristica straniera».

    Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

    21

    Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1o maggio 2014, il PKK ha proposto un ricorso diretto, nell’ultima versione delle sue memorie, all’annullamento degli atti controversi nella parte in cui lo riguardano, procedendo tale organizzazione all’adeguamento delle sue conclusioni nel corso del procedimento, man mano che uno degli atti controversi abrogava e sostituiva il precedente.

    22

    La Commissione europea e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono stati ammessi ad intervenire nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

    23

    A sostegno del suo ricorso diretto all’annullamento degli atti controversi, il PKK deduceva, in sostanza, otto motivi. Il Tribunale si è limitato ad esaminare il settimo motivo, relativo a una violazione dell’obbligo di motivazione. Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato tale motivo fondato e ha, pertanto, annullato gli atti controversi nella parte in cui riguardano il PKK.

    24

    Nell’ambito dell’esame del settimo motivo, il Tribunale ha anzitutto ricordato che occorreva distinguere gli atti con i quali il nome di una persona o entità era stato inserito inizialmente in un elenco di congelamento dei capitali, disciplinati dall’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, dagli atti di mantenimento di tale nome nell’elenco, i quali sono disciplinati dall’articolo 1, paragrafo 6, di tale posizione comune.

    25

    Il Tribunale ha poi dichiarato che gli atti del 2014 e gli atti dal 2015 al 2017 non erano sufficientemente motivati.

    Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

    26

    Con decisioni del presidente della Corte del 13 e del 20 maggio 2019, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica francese sono stati ammessi ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

    27

    Il Consiglio e il Regno Unito chiedono che la Corte voglia:

    annullare la sentenza impugnata;

    pronunciarsi in via definitiva sulle questioni oggetto della presente impugnazione e respingere il ricorso proposto dal PKK, e

    condannare il PKK alle spese sostenute dal Consiglio nella presente impugnazione e nella causa T‑316/14.

    28

    La Commissione chiede alla Corte di accogliere l’impugnazione.

    29

    La Repubblica francese chiede che la Corte voglia:

    annullare la sentenza impugnata e

    statuire in via definitiva sulle questioni oggetto dell’impugnazione del Consiglio respingendo il ricorso del PKK.

    30

    Il PKK chiede che la Corte voglia:

    respingere integralmente l’impugnazione proposta dal Consiglio;

    confermare la sentenza del Tribunale;

    condannare il Consiglio alle spese da esso sostenute nell’ambito della presente impugnazione e confermare la sentenza impugnata nella parte in cui condanna il Consiglio alle spese del giudizio dinanzi al Tribunale, e

    in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale affinché statuisca sugli altri motivi dedotti dal PKK nell’ambito del suo ricorso di annullamento.

    Sull’impugnazione

    31

    A sostegno della sua impugnazione, il Consiglio deduce sette motivi.

    32

    Con il primo motivo di impugnazione, il Consiglio contesta le considerazioni del Tribunale secondo le quali le decisioni controverse sono decisioni di mantenimento rientranti esclusivamente nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931.

    33

    I motivi d’impugnazione dal secondo al quinto riguardano la motivazione della sentenza impugnata relativa agli atti del 2014. Il secondo motivo verte sull’errore che il Tribunale avrebbe commesso nel dichiarare che le decisioni delle autorità degli Stati Uniti non potevano costituire il fondamento dell’iscrizione iniziale del PKK nell’elenco controverso. Il terzo motivo riguarda la motivazione della sentenza impugnata laddove indica che il Consiglio ha violato il suo obbligo di motivazione in quanto non ha esposto le ragioni per le quali le decisioni nazionali costituivano decisioni adottate da un’«autorità competente», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931. Con il quarto motivo, il Consiglio contesta le considerazioni del Tribunale secondo le quali, alla luce della dichiarazione unilaterale del PKK di un certo numero di cessate il fuoco e dei negoziati di pace intrapresi con il governo turco, esso era tenuto a fondare il mantenimento dell’iscrizione del PKK nell’elenco controverso su elementi più recenti. Il quinto motivo riguarda la motivazione della sentenza impugnata laddove indica che il Consiglio ha violato il suo obbligo di motivazione per quanto riguarda i 69 episodi sui quali tale istituzione aveva fondato la valutazione di persistenza del rischio di una partecipazione del PKK ad attività terroristiche.

    34

    Il sesto e il settimo motivo di impugnazione vertono sulle considerazioni del Tribunale riguardanti gli atti dal 2015 al 2017. Il sesto motivo verte sull’errore commesso dal Tribunale nel ritenere che il Consiglio non potesse dimostrare, nell’ambito della motivazione relativa a tali atti, la persistenza del rischio che il PKK partecipasse ad attività terroristiche, riferendosi a decisioni di riesame delle decisioni nazionali sulle quali era stato fondato l’inserimento iniziale del nome di tale organizzazione nell’elenco controverso. Con il settimo motivo, il Consiglio contesta le considerazioni del Tribunale secondo cui la lettera del Consiglio del 27 marzo 2015 – con la quale quest’ultimo aveva notificato al PKK l’esposizione dei motivi relativi al regolamento di esecuzione 2015/513 e alla decisione 2015/521, rispondendo, in tale lettera, ad argomenti presentati dal PKK nel corso del procedimento sfociato nell’adozione di tale regolamento e di tale decisione – non poteva essere presa in considerazione quale elemento della motivazione di detto regolamento e di detta decisione.

    Sul primo motivo

    Argomenti delle parti

    35

    Il primo motivo riguarda i punti da 52 a 54, 103 e 104 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha considerato, in sostanza, che gli atti controversi rientravano esclusivamente nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931. Secondo il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica francese e dal Regno Unito nonché dalla Commissione, tali atti rientravano altresì nel campo di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 4, di tale posizione comune. Pertanto, il Tribunale avrebbe dovuto esaminarne la legittimità anche alla luce di quest’ultima disposizione.

    36

    Il PKK contesta tale argomento e conclude per il rigetto del primo motivo.

    Giudizio della Corte

    37

    Secondo una giurisprudenza costante della Corte, occorre distinguere gli atti mediante i quali il nome di una persona o di un’entità è iscritto inizialmente su un elenco di congelamento di fondi, che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, dagli atti con cui detto nome è mantenuto in tale elenco, rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 6, di tale posizione comune (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti da 58 a 62, e Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punti da 36 a 40, nonché del 20 giugno 2019, K.P., C‑458/15, EU:C:2019:522, punti da 50 a 52).

    38

    Pertanto, esaminando le decisioni controverse, con le quali il PKK è stato mantenuto nell’elenco controverso, esclusivamente alla luce dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il Tribunale non ha commesso alcun errore in diritto.

    39

    Ne consegue che il primo motivo di impugnazione deve essere respinto in quanto infondato.

    Sui motivi terzo e quinto

    40

    Il terzo e il quinto motivo di impugnazione, che occorre esaminare congiuntamente, sono diretti contro i punti 67, 68, 77 e 78 della sentenza impugnata, nei quali il Tribunale ha dichiarato che gli atti del 2014 erano viziati da un difetto di motivazione in quanto fondati sulla decisione del Ministro dell’Interno del 2001 e sulle decisioni delle autorità degli Stati Uniti nonché su un elenco di 69 episodi intervenuti tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011.

    41

    Per quanto riguarda, più in particolare, la decisione del Ministro dell’Interno del 2001, il Tribunale ha rilevato, al punto 68 della sentenza impugnata, che le esposizioni dei motivi relativi agli atti del 2014 non contenevano alcuna descrizione dei motivi alla base di tale decisione e non precisavano le ragioni per le quali il Consiglio aveva ritenuto che i fatti interessati rientrassero nella nozione di «atto terroristico», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, né le ragioni che l’avevano indotto a ritenere che detta decisione costituisse una decisione di una «autorità competente», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, di tale posizione comune. A quest’ultimo riguardo, il Tribunale ha sottolineato che il PKK aveva rimesso in discussione tale qualificazione nel corso del giudizio dinanzi al Tribunale.

    42

    Per quanto riguarda l’elenco di 69 episodi verificatisi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011, il Tribunale ha considerato, ai punti 77 e 78 della sentenza impugnata, che, poiché il PKK aveva contestato, nel corso del giudizio dinanzi al Tribunale, la realtà materiale di alcuni di tali episodi, la loro imputabilità al PKK o le circostanze in cui essi sarebbero stati commessi, spettava al Consiglio dimostrare, nell’ambito della motivazione relativa agli atti del 2014, la fondatezza dei fatti addebitati e al Tribunale verificare l’esattezza materiale di tali fatti. Orbene, secondo il Tribunale, le informazioni contenute nelle esposizioni dei motivi degli atti del 2014 non gli consentivano di esercitare il suo controllo, dal momento che le stesse non contenevano alcuna indicazione relativa agli elementi sui quali il Consiglio si era basato per concludere che gli episodi in questione erano stati accertati, erano imputabili al PKK e soddisfacevano i criteri fissati all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931.

    Argomenti delle parti

    43

    Il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica francese, dal Regno Unito e dalla Commissione, fa valere che ai punti 67 e 68 della sentenza impugnata il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel considerare che il Consiglio era tenuto a menzionare, nelle esposizioni dei motivi degli atti del 2014, le ragioni che l’hanno indotto a ritenere che la decisione del Ministro dell’Interno del 2001 e le decisioni delle autorità degli Stati Uniti costituissero decisioni di autorità competenti, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, e riguardassero «atti di terrorismo», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, di tale posizione comune. Il Consiglio ritiene che, così facendo, il Tribunale gli abbia imposto un requisito non previsto all’articolo 1, paragrafo 4, di quest’ultima.

    44

    Secondo il Consiglio, il Tribunale ha altresì errato nel rilevare, ai punti 77 e 78 della sentenza impugnata, un difetto di motivazione per quanto riguarda i 69 episodi verificatisi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011. Tale istituzione fa valere che, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione, è sufficiente che essa indichi gli elementi assunti a carico della persona o dell’entità interessata nelle esposizioni dei motivi, affinché quest’ultima sia in grado di comprendere le ragioni per le quali il suo nome è stato mantenuto nell’elenco di congelamento dei capitali, senza essere tenuta a dimostrare la fondatezza dei fatti allegati né ad esporre in dettaglio il suo ragionamento nelle esposizioni dei motivi. La prova del comportamento asserito riguarderebbe la legittimità dei motivi sui quali si fonda l’atto di cui trattasi e non l’obbligo di motivazione.

    45

    Il PKK chiede il rigetto del terzo e del quinto motivo. A suo avviso, il Tribunale ha correttamente ritenuto che il Consiglio fosse tenuto a indicare, nelle esposizioni dei motivi degli atti del 2014, le ragioni per le quali aveva ritenuto che le decisioni nazionali sulle quali era stata fondata l’iscrizione iniziale del suo nome costituissero «decisioni di autorità competenti», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, e che tali decisioni vertessero su «atti terroristici», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, di tale posizione comune. Inoltre, il Consiglio avrebbe dovuto precisare le ragioni per le quali anche i 69 episodi indicati in tali esposizioni dei motivi costituivano atti del genere, imputabili al PKK. In particolare, nell’ambito dell’esposizione dei motivi del regolamento n. 790/2014, il Consiglio avrebbe dovuto tenere conto delle censure che il PKK aveva sviluppato al riguardo nell’ambito del suo ricorso avverso il regolamento n. 125/2014.

    Giudizio della Corte

    46

    In via preliminare, occorre constatare che il terzo e il quinto motivo dell’impugnazione riguardano, in sostanza, la portata dell’obbligo di motivazione che incombe al Consiglio per quanto riguarda gli atti del 2014, con i quali quest’ultimo ha mantenuto l’iscrizione del PKK nell’elenco controverso. Orbene, dalla giurisprudenza citata al punto 37 della presente sentenza risulta che l’articolo 1 della posizione comune 2001/931 stabilisce una distinzione tra, da un lato, l’iscrizione iniziale in un elenco di congelamento di capitali di una persona o entità, di cui all’articolo 1, paragrafo 4, di tale posizione comune, e, dall’altro, il mantenimento in detto elenco di tale persona o entità, già oggetto di inserimento in quest’ultimo, previsto all’articolo 1, paragrafo 6, di detta posizione comune. Contrariamente a quanto sostiene il Consiglio, le condizioni alle quali è subordinato un siffatto mantenimento sono quindi soltanto quelle previste all’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931 e, anche se l’argomentazione delle parti fa riferimento all’articolo 1, paragrafi 3 e 4, di tale posizione comune, è unicamente alla luce del paragrafo 6 di tale articolo 1 che occorre esaminare la portata dell’obbligo di motivazione che incombe al Consiglio.

    47

    Secondo una giurisprudenza costante della Corte, la motivazione prescritta dall’articolo 296 TFUE deve far apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo (v., in tal senso, sentenze del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 138, e del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 29).

    48

    La motivazione così richiesta dev’essere adeguata alla natura dell’atto in questione ed al contesto in cui esso è stato adottato. L’obbligo di motivazione dev’essere valutato in funzione delle circostanze concrete, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi addotti e dell’interesse che i destinatari o altre persone che l’atto riguarda direttamente ed individualmente possono avere alle relative spiegazioni. In particolare, la motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti né rispondere in modo dettagliato alle considerazioni formulate dall’interessato in occasione della sua consultazione prima dell’adozione dello stesso atto, in quanto l’adeguatezza della motivazione dev’essere valutata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi. Di conseguenza, un atto che arreca pregiudizio è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto all’interessato, che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti (v., in tal senso, sentenze del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punti da 139 a 141; del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punti 120122, e del 31 gennaio 2019, Islamic Republic of Iran Shipping Lines e a./Consiglio, C‑225/17 P, EU:C:2019:82, punto 69, e giurisprudenza citata).

    49

    Per quanto riguarda, più in particolare, gli atti recanti la decisione di mantenimento in un elenco di congelamento di capitali, quali gli atti del 2014, occorre ricordare che, nell’ambito di un riesame effettuato ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, il Consiglio può mantenere la persona o entità interessata in tale elenco qualora concluda nel senso della persistenza del rischio di coinvolgimento di quest’ultima in attività terroristiche che hanno giustificato la sua iscrizione iniziale in detto elenco, e tale mantenimento costituisce quindi, in sostanza, il prolungamento dell’iscrizione iniziale in tale elenco della persona o dell’entità interessata. A tal fine il Consiglio è tenuto a verificare se, dal momento di tale iscrizione iniziale o a partire dal riesame precedente, la situazione di fatto sia a tal punto mutata da non consentire più di trarre la medesima conclusione riguardo al coinvolgimento della persona o entità in questione in attività terroristiche (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 4651 e giurisprudenza citata, e del 20 giugno 2019, K.P., C‑458/15, EU:C:2019:522, punto 43).

    50

    Nell’ambito della verifica della persistenza del rischio di coinvolgimento della persona o entità in questione in attività terroristiche, gli sviluppi successivi della decisione nazionale che ha costituito il fondamento dell’iscrizione iniziale di tale persona o entità nell’elenco di congelamento di capitali devono essere presi in debita considerazione, in particolare va considerata l’eventuale abrogazione o revoca di tale decisione nazionale a motivo di fatti o elementi nuovi o di una modifica della valutazione dell’autorità nazionale competente (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 52).

    51

    Inoltre, il solo fatto che la decisione nazionale che ha costituito il fondamento dell’iscrizione iniziale resti in vigore può, alla luce del tempo trascorso e in funzione dell’evoluzione delle circostanze del caso di specie, non essere sufficiente per concludere nel senso della persistenza del rischio di coinvolgimento della persona o entità interessata in attività terroristiche. In una situazione del genere, il Consiglio è tenuto a fondare il mantenimento di tale persona o di tale entità in detto elenco su una valutazione aggiornata della situazione, tenendo conto di elementi più recenti, che dimostrino che tale rischio sussiste. A tal fine il Consiglio può basarsi su elementi recenti ricavati non solo da decisioni nazionali adottate da autorità competenti, ma anche da altre fonti e, quindi, anche sulle proprie valutazioni (v., in tal senso, sentenze del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punti 52, 6272; Consiglio/Hamas, C‑79/15 P, EU:C:2017:584, punti 4050, e del 20 giugno 2019, K.P., C‑458/15, EU:C:2019:522, punti 52, 6061).

    52

    A tal riguardo, occorre precisare che, per quanto riguarda gli atti che mantengono l’iscrizione di una persona o di un’entità nell’elenco di congelamento dei capitali controverso, il giudice dell’Unione è tenuto a verificare, da un lato, il rispetto dell’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE e, pertanto, il carattere sufficientemente preciso e concreto dei motivi dedotti, nonché, dall’altro, se tali motivi siano fondati, il che implica che tale giudice si assicuri, nell’ambito del controllo di legittimità sostanziale di tali motivi, che gli atti di cui trattasi si fondino su una base fattuale sufficientemente solida e verifichi i fatti dedotti nell’esposizione dei motivi relativa a tali atti (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 118119, e del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 70).

    53

    Con riferimento a quest’ultimo controllo, la persona o entità interessata può, nell’ambito del ricorso proposto contro il suo mantenimento nell’elenco di congelamento di capitali controverso, contestare la totalità degli elementi sui quali il Consiglio si fonda per dimostrare la persistenza del rischio del suo coinvolgimento in attività terroristiche, indipendentemente dalla questione se tali elementi siano ricavati da una decisione nazionale di un’autorità competente o da altre fonti. In caso di contestazione, spetta al Consiglio dimostrare la fondatezza dei fatti allegati e al giudice dell’Unione verificare la loro esattezza materiale (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

    54

    Peraltro, se solo in caso di contestazione incombe all’autorità competente dell’Unione il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona o dell’entità interessata, quest’ultima persona o entità non può essere tenuta, ai fini di tale contestazione, a produrre la prova negativa dell’infondatezza di tali motivi (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 121).

    55

    Ciò appurato, si deve sottolineare che la questione della motivazione, che costituisce una forma sostanziale, è distinta da quella della prova del comportamento contestato, la quale concerne la legittimità nel merito dell’atto controverso e implica l’accertamento della veridicità dei fatti indicati in tale atto e la verifica della qualificazione dei medesimi fatti quali elementi che giustificano l’applicazione di misure restrittive nei confronti della persona interessata (v., in tal senso, sentenze del 16 novembre 2011, Bank Melli Iran/Consiglio, C‑548/09 P, EU:C:2011:735, punto 88, e del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 60).

    56

    Da quanto precede risulta che, per soddisfare l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE, spettava, nel caso di specie, al Consiglio fornire motivi sufficientemente precisi e concreti per consentire al PKK di conoscere i motivi invocati ai fini del mantenimento dell’iscrizione del PKK nell’elenco controverso mediante gli atti del 2014 e al Tribunale di esercitare il suo controllo. Tuttavia, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale ai punti 68, 77 e 78 della sentenza impugnata, il Consiglio non era tenuto a dimostrare, nell’ambito della motivazione relativa a tali atti, la sussistenza dei fatti sottesi ai motivi invocati ai fini del mantenimento dell’iscrizione del PKK nell’elenco controverso né a procedere, nell’ambito di tale motivazione, alla qualificazione giuridica di tali fatti alla luce dell’articolo 1, paragrafi 3 e 4, della posizione comune 2001/931. Infatti, la prova così richiesta dal Tribunale non rientra, secondo la giurisprudenza ricordata ai punti da 52 a 55 della presente sentenza, nell’obbligo di motivazione, bensì nella legittimità nel merito di detti atti, questione estranea al settimo motivo in primo grado, che è stato accolto nella sentenza impugnata.

    57

    Ne consegue che il Tribunale ha commesso un errore di diritto considerando, ai punti 68, 77 e 78 della sentenza impugnata, che il Consiglio abbia violato il suo obbligo di motivazione in quanto le esposizioni dei motivi degli atti del 2014 fanno riferimento alla decisione del Ministro dell’Interno del 2001 e ad un elenco di 69 episodi verificatisi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011.

    58

    Orbene, conformemente a una giurisprudenza costante, se dalla motivazione di una decisione del Tribunale risulta una violazione del diritto dell’Unione, ma il dispositivo della stessa appare fondato per altri motivi di diritto, una violazione siffatta non è tale da comportare l’annullamento di tale decisione (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 75). Pertanto, occorre verificare, inoltre, se tale errore di diritto da cui è viziata la sentenza impugnata sia tale da invalidare la conclusione accolta dal Tribunale al punto 80 di quest’ultima o se, per contro, dagli elementi del fascicolo risulti che gli atti del 2014 erano in ogni caso viziati da un difetto di motivazione.

    59

    A tale riguardo, risulta dalle esposizioni dei motivi degli atti del 2014, riassunte ai punti da 11 a 15 della presente sentenza, che, per mantenere l’iscrizione del PKK nell’elenco controverso, il Consiglio si è basato – tenuto conto delle attività terroristiche del PKK succedutesi dal 1984 e dei cessate il fuoco dichiarati unilateralmente da tale entità in particolare dal 2009 – sul fatto che la decisione del Ministro dell’Interno del 2001 servita da base per l’inserimento iniziale del PKK nell’elenco è rimasta in vigore e, in particolare, su un elenco di 69 episodi verificatisi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011 che il Consiglio ha ritenuto costituissero «atti di terrorismo» ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, attribuibili al PKK.

    60

    Per quanto riguarda la decisione del Ministro dell’Interno del 2001, che ha inizialmente costituito il fondamento di tale iscrizione, risulta da tali esposizioni dei motivi che il Consiglio ha constatato che quest’ultima era stata adottata da un’autorità competente, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931, che essa era oggetto di controlli regolari da parte di un comitato governativo del Regno Unito e che rimaneva in vigore. Pertanto, il Consiglio ha precisato di aver condotto l’esame richiesto ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 49 e 50 della presente sentenza e di aver concluso che la sorte successiva di tale decisione non indica alcun cambiamento come quello indicato in detti punti della presente sentenza. Orbene, tali motivi sono sufficientemente precisi e concreti per consentire al PKK di conoscere le ragioni per le quali il Consiglio ha, in particolare, basato su tale decisione il suo mantenimento nell’elenco controverso e al Tribunale di esercitare il suo controllo al riguardo.

    61

    Per quanto riguarda l’elenco di 69 episodi verificatisi tra il 14 novembre 2003 e il 19 ottobre 2011, il Consiglio, nelle esposizioni dei motivi relativi agli atti del 2014, ne ha menzionati in particolare 17, avvenuti tra il 17 gennaio 2010 e il 19 ottobre 2011, che, secondo tale istituzione, erano non solo posteriori ai cessate il fuoco dichiarati unilateralmente dal PKK dal 2009, ma anche sufficientemente recenti per fondare il mantenimento dell’iscrizione di tale organizzazione segnatamente nell’elenco controverso nei mesi di febbraio e luglio 2014. Per quanto riguarda questi 17 episodi più recenti, il Consiglio ha precisato la data esatta, la città o la provincia in cui essi si sono verificati, la natura, il numero e la qualità delle vittime.

    62

    Orbene, contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale ai punti 68, 77 e 78 della sentenza impugnata, in tal modo, le esposizioni dei motivi relativi agli atti del 2014 consentivano al PKK di conoscere le ragioni specifiche e concrete per le quali il Consiglio aveva ritenuto che, nonostante i cessate il fuoco dichiarati unilateralmente dal 2009, persistesse il rischio del coinvolgimento di tale organizzazione in attività terroristiche. Infatti, gli elementi contenuti in tali esposizioni dei motivi erano sufficienti per consentire al PKK di comprendere quanto gli era stato contestato (v., per analogia, sentenze del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punti 4142, e del 20 giugno 2019, K.P., C‑458/15, EU:C:2019:522, punti 5354).

    63

    Occorre aggiungere che, sebbene il Tribunale abbia rilevato, ai punti 68, 77 e 78 della sentenza impugnata, che il PKK aveva presentato argomenti diretti a contestare la decisione del Ministro dell’Interno del 2001 e i 69 episodi menzionati nelle esposizioni dei motivi relativi agli atti del 2014, da tali punti 77 e 78, nonché dall’argomentazione del PKK riassunta al punto 45 della presente sentenza, risulta che tale argomentazione mira a contestare la veridicità dei fatti menzionati nonché la loro qualificazione giuridica, ossia non già a dimostrare la violazione da parte del Consiglio del suo obbligo di motivazione, bensì a contestare la legittimità sostanziale di tali atti e quindi a far scattare l’obbligo del Consiglio di dimostrare la fondatezza dei motivi invocati.

    64

    Riguardo alla dichiarazione del Tribunale, al punto 78 della sentenza impugnata, relativa alla circostanza che la brevità delle informazioni contenute nelle esposizioni dei motivi degli atti del 2014 non gli consentisse di esercitare il suo controllo giurisdizionale riguardo agli episodi contestati dal PKK, dal momento che tali esposizioni dei motivi non contengono alcuna indicazione degli elementi sui quali il Consiglio si è basato per concludere che gli episodi in questione erano stati provati, erano imputabili al PKK e soddisfacevano i criteri di cui all’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, occorre rilevare che dalla giurisprudenza citata ai punti da 53 a 55 della presente sentenza risulta che il controllo di legittimità nel merito che incombe al Tribunale deve essere effettuato sulla base non solo degli elementi contenuti nelle esposizioni dei motivi degli atti controversi, ma anche di quelli che il Consiglio fornisce, in caso di contestazione, al Tribunale per accertare la fondatezza dei fatti dedotti in tali esposizioni dei motivi.

    65

    Pertanto, l’errore di diritto rilevato al punto 57 della presente sentenza è tale da inficiare la conclusione cui è giunto il Tribunale al punto 80 della sentenza impugnata.

    66

    Pertanto, occorre accogliere il quinto motivo d’impugnazione nonché il terzo motivo di quest’ultima, laddove riguarda le considerazioni del Tribunale relative alla decisione del Ministro dell’Interno del 2001.

    67

    Ne consegue che la domanda di annullamento della sentenza impugnata deve essere accolta nella parte in cui il Tribunale ha annullato gli atti del 2014 per difetto di motivazione, senza che sia necessario pronunciarsi sugli asseriti errori di diritto nell’ambito del secondo e del quarto motivo di impugnazione né sugli argomenti sviluppati nell’ambito del terzo motivo di impugnazione, che consistono nel contestare le considerazioni del Tribunale relative alle decisioni delle autorità degli Stati Uniti.

    Sui motivi sesto e settimo

    68

    Il sesto e il settimo motivo di impugnazione, che occorre esaminare congiuntamente, sono diretti contro i punti da 95 a 98, da 103 a 106 e da 110 a 114 della sentenza impugnata, nei quali il Tribunale ha dichiarato che gli atti dal 2015 al 2017 erano viziati da un difetto di motivazione.

    69

    Ai punti da 95 a 98 e da 103 a 106 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato, in sostanza, che il Consiglio ha violato il suo obbligo di motivazione in quanto le esposizioni dei motivi relativi agli atti dal 2015 al 2017 fanno riferimento alla decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014 e al mantenimento, a seguito di riesame, della decisione del governo degli Stati Uniti di designare il PKK come «organizzazione terroristica straniera». Per quanto riguarda, in particolare, la decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014, il Tribunale ha ritenuto che il Consiglio non potesse fondarsi su quest’ultima decisione nazionale ai fini del mantenimento dell’iscrizione del PKK nell’elenco controverso, senza aver esaminato e cercato di dimostrare la fondatezza dei fatti allegati, quanto tuttavia non risultava dalle suddette esposizioni dei motivi. Inoltre, il Consiglio non avrebbe neppure indicato, in tali esposizioni dei motivi, le ragioni per le quali riteneva che detta decisione nazionale consentisse di concludere, in modo giuridicamente sufficiente, che il rischio di coinvolgimento del PKK in attività terroristiche permaneva. In tale contesto, il Tribunale ha peraltro rilevato che il PKK aveva contestato gli episodi oggetto della decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014, nella sua memoria di adattamento del suo ricorso dinanzi al Tribunale, del 26 maggio 2015.

    70

    Inoltre, il Tribunale ha considerato, ai punti da 110 a 114 della sentenza impugnata, che il Consiglio non aveva risposto in modo giuridicamente adeguato agli argomenti che il PKK aveva dedotto, in una lettera del 6 marzo 2015, nel corso del procedimento sfociato nell’adozione della decisione 2015/521 e del regolamento di esecuzione 2015/513. Secondo il Tribunale, la precisazione contenuta nelle esposizioni dei motivi relativi agli atti dal 2015 al 2017, in cui il Consiglio ha affermato di aver cercato invano elementi in suo possesso che deponessero a favore della cancellazione del nome del PKK dall’elenco controverso, è insufficiente al riguardo. Inoltre, il Tribunale ha considerato che la lettera del Consiglio del 27 marzo 2015, con la quale l’esposizione dei motivi relativi a tale decisione e a tale regolamento era stata notificata al PKK, non poteva sanare tale insufficienza di motivazione. Da un lato, tale lettera sarebbe stata successiva all’adozione di detta decisione e del detto regolamento. Dall’altro lato, il Tribunale ha rilevato che, sebbene detta lettera indicasse che l’esistenza di gruppi curdi di lotta al gruppo «Stato islamico» non pregiudicava la valutazione del Consiglio quanto alla persistenza del rischio di coinvolgimento del PKK in attività terroristiche, tale istituzione avrebbe omesso di precisare gli elementi che l’hanno indotta a concludere nel senso della persistenza di tale rischio.

    Argomenti delle parti

    71

    Con il sesto e settimo motivo d’impugnazione, il Consiglio, sostenuto dalla Repubblica francese, dal Regno Unito e dalla Commissione, sostiene, da un lato, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel considerare, ai punti da 95 a 99 e da 103 a 109 della sentenza impugnata, che la motivazione degli atti dal 2015 al 2017 era insufficiente in quanto le esposizioni dei motivi relativi a tali atti si basavano sulle decisioni nazionali adottate dalle autorità del Regno Unito e sulle decisioni delle autorità degli Stati Uniti di riesame delle decisioni delle stesse autorità servite come base per l’iscrizione iniziale del PKK nell’elenco controverso. Secondo il Consiglio, tale errore di diritto trova origine nel fatto che il Tribunale ha basato la sua valutazione, erroneamente, esclusivamente sull’articolo 1, paragrafo 6, della posizione comune 2001/931, mentre avrebbe dovuto applicare a tali decisioni nazionali di riesame l’articolo 1, paragrafo 4, di tale posizione comune. In tali circostanze, il Consiglio sostiene che non era tenuto a verificare i fatti sottesi a dette decisioni nazionali né a produrre elementi diretti a dimostrare la fondatezza di detti fatti, che avrebbero dovuto essere contestati dinanzi al giudice nazionale. Dall’altro lato, il Consiglio contesta i punti da 110 a 114 della sentenza impugnata, nella parte in cui il Tribunale ha ivi considerato che il Consiglio non aveva risposto in modo giuridicamente adeguato agli argomenti dedotti dal PKK nel corso del procedimento dinanzi ad esso. Il Consiglio sostiene, al riguardo, che la sua lettera del 27 marzo 2015, allegata all’esposizione dei motivi della decisione 2015/521 e del regolamento di esecuzione 2015/513, rispondeva sufficientemente a tali argomenti.

    72

    Il PKK sostiene che tutti gli elementi sui quali si è basato il Consiglio per dimostrare la persistenza del rischio del suo coinvolgimento in attività terroristiche possono essere contestati dinanzi al giudice dell’Unione, indipendentemente dalla questione se tali elementi emergano da una decisione di un’autorità competente o da altre fonti. Non occorrerebbe distinguere gli elementi che possono essere contestati dinanzi, rispettivamente, al giudice dell’Unione e ai giudici nazionali. In ogni caso, nelle esposizioni dei motivi degli atti dal 2015 al 2017, il Consiglio non avrebbe indicato le ragioni per le quali la decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014 verteva su un «atto terroristico», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, quando le definizioni della nozione di «terrorismo» a livello nazionale e a livello dell’Unione sarebbero diverse. Per quanto riguarda le considerazioni di cui ai punti da 110 a 114 della sentenza impugnata, il PKK sostiene che qualsiasi informazione relativa ai motivi dell’iscrizione in un elenco di congelamento di capitali dovrebbe figurare non già nella lettera di notifica dell’atto in questione, bensì nell’esposizione dei motivi di tale atto.

    Giudizio della Corte

    73

    In via preliminare, come risulta dall’esame del primo motivo di impugnazione, il Consiglio sostiene erroneamente che gli atti dal 2015 al 2017 rientrano sia nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della posizione comune 2001/931 sia in quello dell’articolo 1, paragrafo 6, di tale posizione comune. Di conseguenza, è altresì erroneo il rilievo del Consiglio, sulla base dello stesso argomento, secondo cui il PKK non può contestare tali atti in quanto fondati sulle decisioni nazionali di riesame di cui al punto 71 della presente sentenza. Inoltre, conformemente alla giurisprudenza menzionata ai punti 53 e 54 della presente sentenza, la persona o entità interessata può, nell’ambito del ricorso proposto contro il suo mantenimento nell’elenco di congelamento di capitali, contestare la totalità degli elementi sui quali il Consiglio si fonda per dimostrare la persistenza del rischio del suo coinvolgimento in attività terroristiche, indipendentemente dalla questione se tali elementi siano ricavati da una decisione nazionale di un’autorità competente o da altre fonti.

    74

    Tuttavia, è giocoforza constatare che il Tribunale ha commesso un errore di diritto considerando, ai punti 99 e 105 della sentenza impugnata, che il Consiglio aveva violato il suo obbligo di motivazione in quanto le esposizioni dei motivi degli atti dal 2015 al 2017 si fondano sulla decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014. Contrariamente a quanto dichiarato dal Tribunale in tali punti della sentenza impugnata, il Consiglio non era tenuto a dimostrare, nell’ambito della motivazione relativa a tali atti, la sussistenza dei fatti sottesi a tale decisione di riesame sulla quale si basano le esposizioni dei motivi di detti atti ai fini del mantenimento dell’iscrizione del PKK nell’elenco controverso, né a procedere, nell’ambito di tale motivazione, alla qualificazione di tali fatti alla luce dell’articolo 1, paragrafi 3 e 4, della posizione comune 2001/931. Infatti, la prova così richiesta dal Tribunale non riguarda, secondo la giurisprudenza ricordata ai punti da 52 a 55 della presente sentenza, l’obbligo di motivazione, bensì la legittimità nel merito di detti atti, questione estranea al settimo motivo in primo grado, che è stato accolto nella sentenza impugnata.

    75

    Orbene, tenuto conto della giurisprudenza menzionata al punto 58 della presente sentenza, occorre verificare, inoltre, se tale errore di diritto da cui è viziata la sentenza impugnata sia tale da invalidare la conclusione raggiunta dal Tribunale al punto 115 di quest’ultima o se invece, dagli elementi del fascicolo risulti che gli atti dal 2015 al 2017 erano in ogni caso viziati da un difetto di motivazione.

    76

    A tal riguardo, dalle esposizioni dei motivi degli atti dal 2015 al 2017, quali riassunte ai punti 16 e 17 della presente sentenza risulta che, ai fini del mantenimento dell’iscrizione del PKK nell’elenco controverso, il Consiglio ha esaminato autonomamente le informazioni contenute nella decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014 e ha, in particolare, verificato che i motivi alla base di tale decisione rientrassero nella nozione di «atti terroristici», ai sensi della posizione comune 2001/931, ricordando al contempo la giurisprudenza del Tribunale secondo la quale il Ministro dell’Interno è una «autorità competente» ai sensi di tale posizione comune. Il Consiglio ha ivi inoltre precisato che detta decisione, al pari delle altre decisioni adottate da tre autorità nazionali considerate nelle suddette esposizioni dei motivi, era di per sé sufficiente per mantenere tale iscrizione del PKK.

    77

    Inoltre, come risulta dai punti 18 e 19 della presente sentenza, le esposizioni dei motivi relativi agli atti dal 2015 al 2017 non facevano un semplice riferimento alla decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014, ma contenevano, nel loro allegato A, una descrizione dettagliata di tale decisione, precisando, in particolare, la portata della definizione della nozione di «terrorismo» a livello nazionale, sulla quale detta decisione era fondata, e il fatto che essa era stata adottata a seguito di un procedimento di riesame relativo alla decisione del Ministro dell’Interno del 2001. In particolare, al punto 17 di tale allegato A, il Consiglio ha precisato che, per concludere che il PKK continuava ad essere coinvolto in attività terroristiche, la decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014 si era fondata, in particolare, su recenti atti terroristici del PKK e aveva menzionato, a titolo di esempio, due asseriti attacchi commessi dal PKK nei mesi di maggio e agosto 2014.

    78

    A tal riguardo, occorre rilevare che le indicazioni secondo cui «nell’agosto 2014 il PKK ha attaccato un impianto di produzione di energia solare in Turchia ed ha rapito tre ingegneri cinesi» non erano sufficientemente precise e concrete, in quanto non indicavano né la data esatta, né la città, né la provincia in cui tale asserito attacco sarebbe avvenuto. Per quanto riguarda detto presunto attacco, il Tribunale ha quindi potuto legittimamente concludere, al punto 99 della sentenza impugnata, nel senso dell’insufficienza della motivazione.

    79

    Tuttavia, tale constatazione quanto all’asserito attacco commesso nel mese di agosto 2014 non può condurre all’annullamento degli atti dal 2015 al 2017 a causa di una violazione dell’obbligo di motivazione, dal momento che le esposizioni dei motivi relativi a tali atti si basavano anche su altri elementi idonei a garantirne una sufficiente motivazione. Infatti, l’allegato A di tali esposizioni dei motivi menzionava anche, al punto 17, un altro attacco commesso «il 13 maggio [2014], durante il quale [erano] stati feriti due soldati sul sito di costruzione di un posto militare avanzato a Tunceli [(Turchia)]» e faceva riferimento, al punto 18, a un avvertimento del PKK, formulato nell’ottobre 2014, secondo il quale il fragile processo di pace in cui esso era coinvolto poteva essere vanificato se la Repubblica di Turchia non fosse intervenuta contro il gruppo «Stato Islamico».

    80

    Orbene, contrariamente a quanto constatato dal Tribunale al punto 99 della sentenza impugnata, così facendo, le esposizioni dei motivi relativi agli atti dal 2015 al 2017 consentivano al PKK di conoscere le ragioni specifiche e concrete che avevano indotto il Consiglio a concludere, fondandosi sulle constatazioni contenute nella decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014, che il rischio del suo coinvolgimento in attività terroristiche persisteva, nonostante il processo di pace avviato. Infatti, gli elementi debitamente motivati contenuti in tali esposizioni dei motivi erano sufficienti per consentire al PKK di comprendere quanto gli era stato contestato (v., per analogia, sentenze del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punti 4142, e del 20 giugno 2019, K.P., C‑458/15, EU:C:2019:522, punti 5354).

    81

    Riguardo al rilievo del Tribunale, al punto 103 della sentenza impugnata, secondo cui il PKK aveva presentato argomenti diretti a contestare l’imputabilità al PKK degli episodi cui si riferisce la decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014, quale descritta nell’allegato A degli atti dal 2015 al 2017, e alla loro qualificazione come atti terroristici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, della posizione comune 2001/931, si deve constatare che tale argomentazione mira a contestare la veridicità dei fatti menzionati e la loro qualificazione giuridica, e quindi non è volta a dimostrare la violazione dell’obbligo di motivazione da parte del Consiglio, bensì a contestare la legalità sostanziale di tali atti e far scattare l’obbligo del Consiglio di provare la fondatezza dei motivi invocati.

    82

    Inoltre, il Tribunale ha considerato, ai punti da 110 a 114 della sentenza impugnata, che l’esposizione dei motivi relativi alla decisione 2015/521 e al regolamento di esecuzione 2015/513 non rispondeva in maniera sufficiente agli argomenti dedotti dal PKK nella sua lettera del 6 marzo 2015. A suo avviso, la lettera del Consiglio del 27 marzo seguente non poteva rimediare a tale insufficienza, tenuto conto del suo contenuto e in quanto era stata notificata dopo l’adozione di tale decisione e di tale regolamento di esecuzione. Il PKK sostiene, dal canto suo, che il Consiglio avrebbe dovuto rispondere ai suoi argomenti non in una lettera, bensì nella stessa esposizione dei motivi.

    83

    Come ricordato al punto 48 della presente sentenza, poiché la motivazione richiesta deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e al contesto nel quale esso è stato adottato, il carattere sufficiente di una motivazione dev’essere valutato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto. Pertanto, non si richiede, segnatamente, che la motivazione risponda in modo dettagliato alle osservazioni formulate dall’interessato in occasione della sua consultazione prima dell’adozione dell’atto di cui trattasi, in particolare qualora tale atto sia intervenuto in un contesto noto all’interessato che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti.

    84

    Nel caso di specie, l’esposizione dei motivi relativi alla decisione 2015/521 e del regolamento di esecuzione 2015/513 è stata notificata al PKK con lettera del Consiglio del 27 marzo 2015, nella quale tale istituzione ha risposto agli argomenti presentati dal PKK con lettera del 6 marzo 2015.

    85

    Orbene, da un lato, poiché tale esposizione dei motivi e tale lettera del Consiglio sono state notificate contemporaneamente al PKK, il Tribunale ha erroneamente ritenuto, al punto 114 della sentenza impugnata, che le precisazioni contenute nella detta lettera del Consiglio non potessero essere prese in considerazione ai fini della valutazione del carattere sufficiente della motivazione contenuta nella medesima esposizione dei motivi.

    86

    Dall’altro lato, dal punto 114 stesso della sentenza impugnata risulta che il Consiglio aveva precisato, nella sua lettera del 27 marzo 2015, che l’esistenza di gruppi curdi che combattevano il gruppo «Stato islamico» non influiva sulla sua valutazione circa la persistenza del rischio di coinvolgimento del PKK in attività terroristiche e, pertanto, che il Consiglio aveva risposto in maniera sufficientemente precisa e concreta agli argomenti dedotti nella lettera del PKK del 6 marzo 2015 per consentire a quest’ultimo di conoscere la giustificazione di detti atti del 2015 e al Tribunale di esercitare il suo sindacato giurisdizionale.

    87

    Occorre aggiungere che, alla luce dell’argomento del PKK quale sintetizzato al punto 72 della presente sentenza, le precisazioni contenute nella lettera del Consiglio del 27 marzo 2015 devono essere considerate come facenti parte del contesto della motivazione figurante nell’esposizione dei motivi relativi alla decisione 2015/521 e al regolamento di esecuzione 2015/513 e quindi come note al PKK, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 48 della presente sentenza. In particolare, le precisazioni contenute in detta lettera del Consiglio consentivano al PKK di comprendere che la motivazione contenuta in tale esposizione dei motivi era stata adottata in considerazione degli argomenti esposti nella lettera del 6 marzo 2015, e di conoscere i motivi precisi per i quali il Consiglio non l’aveva accolta.

    88

    È vero che il Tribunale ha considerato, al punto 114 della sentenza impugnata, che, al di là di tale risposta, il Consiglio avrebbe dovuto precisare gli elementi concreti che l’hanno indotto a concludere nel senso della persistenza di tale rischio. Tuttavia, occorre constatare che, così facendo, il Tribunale ha commesso un errore di diritto in quanto ha travisato la portata dell’obbligo incombente al Consiglio, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai punti da 52 a 55 e 83 della presente sentenza, secondo cui tale istituzione è tenuta a rispondere, nella motivazione della decisione di cui trattasi, alle considerazioni formulate dall’interessato in occasione della sua consultazione prima dell’adozione di quest’ultima, senza per questo essere tenuta a dimostrare, nella stessa motivazione, la sussistenza dei fatti dedotti né a procedere alla loro qualificazione giuridica.

    89

    Pertanto, gli errori di diritto individuati ai punti 74 e 88 della presente sentenza sono tali da inficiare la conclusione cui è giunto il Tribunale al punto 115 della sentenza impugnata.

    90

    Alla luce delle considerazioni che precedono, il settimo motivo di impugnazione deve essere accolto, così come il sesto motivo per quanto riguarda la motivazione degli atti dal 2015 al 2017 fondata sulla decisione di riesame del Ministro dell’Interno del 2014.

    91

    Pertanto, la presente impugnazione deve essere dichiarata fondata in quanto diretta all’annullamento della sentenza impugnata, nella parte in cui ha accolto il ricorso di annullamento degli atti dal 2015 al 2017 per difetto di motivazione, senza che sia necessario esaminare gli argomenti dedotti nell’ambito del sesto motivo di impugnazione, diretti a contestare le considerazioni del Tribunale relative alle decisioni delle autorità degli Stati Uniti.

    92

    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, i punti da 1 a 11, 13 e 14 del dispositivo della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha annullato gli atti controversi, devono essere annullati.

    Sul ricorso dinanzi al Tribunale

    93

    Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quando la Corte annulla la decisione del Tribunale, essa può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta, oppure rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo.

    94

    Poiché il Tribunale non si è pronunciato sui motivi dal secondo al sesto e ottavo del ricorso in primo grado, la Corte considera che lo stato degli atti non consente di statuire sulla controversia in esame. Occorre pertanto rinviare la causa dinanzi al Tribunale e riservare le spese.

     

    Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

     

    1)

    I punti da 1 a 11, 13 e 14 del dispositivo della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 15 novembre 2018, PKK/Consiglio (T‑316/14, EU:T:2018:788), sono annullati.

     

    2)

    La causa è rinviata dinanzi al Tribunale dell’Unione europea.

     

    3)

    Le spese sono riservate.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

    Top