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Document 62019CC0279

Conclusioni dell’avvocato generale E. Tanchev, presentate il 21 gennaio 2021.
The Commissioners for Her Majesty's Revenue and Customs contro WR.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (England & Wales).
Rinvio pregiudiziale – Regime generale delle accise – Direttiva 2008/118/CE – Articolo 33, paragrafo 3 – Prodotti “immessi in consumo” in uno Stato membro e detenuti per scopi commerciali in un altro Stato membro – Persona debitrice delle accise divenute esigibili per tali prodotti – Persona che detiene i prodotti destinati ad essere forniti in un altro Stato membro – Trasportatore dei prodotti.
Causa C-279/19.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2021:59

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

EVGENI TANCHEV

presentate il 21 gennaio 2021 ( 1 )

Causa C‑279/19

Commissioners for Her Majesty’s Revenue & Customs

contro

WR

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (Regno Unito)]

«Rinvio pregiudiziale – Diritti di accisa – Direttiva 2008/118/CE – Debitore dell’accisa – Persona che detiene i prodotti destinati ad essere forniti – Persona che ha concorso nell’irregolarità – Nozione – Trasportatore dei prodotti – “Innocent agent” (agente incolpevole)»

1.

Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, la Court of Appeal (Corte d’Appello, Regno Unito) chiede di interpretare l’articolo 33, paragrafo 3, della direttiva 2008/118/CE ( 2 ). La domanda di pronuncia pregiudiziale è sorta nell’ambito di una controversia tra il Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs (autorità tributaria e doganale del Regno Unito; in prosieguo: l’«HMRC») e WR, in relazione alla legittimità dell’accertamento dell’accisa rilasciato a WR per prodotti che quest’ultimo ha trasportato illegalmente nel Regno Unito. In sostanza, la questione principale è se un autotrasportatore (WR) che al momento della riscossione dell’accisa è risultato materialmente in possesso di prodotti per i quali non era stata pagata l’accisa risponda in via oggettiva del pagamento dell’imposta ai sensi della Direttiva.

I. Contesto normativo

2.

Ai fini delle presenti conclusioni è a mio avviso sufficiente fare riferimento al contesto normativo dell’Unione e nazionale, come citato in extenso ai punti da 14 a 24 della sentenza del giudice del rinvio del 19 marzo 2019 ( 3 ).

II. Controversia nel procedimento principale e questioni pregiudiziali

3.

Il 6 settembre 2013 un mezzo pesante guidato da WR – un lavoratore autonomo – veniva fermato al porto di Dover Eastern Docks, Dover (Regno Unito), dai funzionari dell’United Kingdom Border Agency (UKBA) (Agenzia per le frontiere del Regno Unito). Il mezzo pesante trasportava un carico di 26 pallet di birra. WR presentava ai funzionari dell’UKBA una Cargo Movement Requirement (lettera di vettura per trasporto via strada; in prosieguo: la «CMR») su cui era riportato che i prodotti erano accompagnati da un documento amministrativo elettronico indicante il codice di riferimento amministrativo (ARC). La CMR indicava altresì che lo speditore era un deposito doganale in Germania e che la destinazione era la Seabrook Warehousing Ltd, un deposito doganale britannico. Di conseguenza, la documentazione era a prima vista coerente con prodotti circolanti in regime di sospensione dall’accisa ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 7, della Direttiva.

4.

Tuttavia, i funzionari dell’UKBA controllavano il sistema EMCS (Excise Movement and Control System) e riscontravano che l’ARC dichiarato sulla CMR era già stato utilizzato in occasione di una precedente spedizione di birra alla Seabrooks. Di conseguenza, contrariamente alla documentazione, il carico non era in regime di sospensione dall’accisa. Quindi, con l’arrivo dei prodotti nel Regno Unito, l’accisa era divenuta esigibile in tale Stato.

5.

Pertanto, l’HMRC rilasciava a WR un accertamento dell’accisa pari a 22779 lire sterline (GBP) (circa EUR 25200) ai sensi dell’articolo 13, paragrafi 1 e 2, dell’Excise Goods (Holding, Movement and Duty Point Regulations) [Prodotti soggetti ad accisa (regolamento sui punti di riscossione, detenzione e circolazione)] 2010, nonché una sanzione per un importo di GBP 4897,48 (circa EUR 5400) conformemente all’Allegato 41 del Finance Act 2008 (legge finanziaria per il 2008).

6.

WR impugnava l’accertamento dell’accisa (e la sanzione) dinanzi al First-tier Tribunal (Tax Chamber) [Tribunale di primo grado (sezione tributaria, Regno Unito); in prosieguo: il «FtT»], che effettuava i seguenti accertamenti di fatto: WR era un autotrasportatore con esperienza, in precedenza dipendente di un’impresa di trasporto dal 2009 al 2013, poi divenuto autotrasportatore autonomo dal 2013 (registrato come tale presso le autorità fiscali solo nel 2015). Era pagato in contanti senza detrazioni. Nel corso del 2014 aveva accettato di lavorare per un’impresa, da lui conosciuta come «Kells», in cambio di GBP 250 alla settimana, per due o tre giorni di lavoro, e GBP da 350 a 360 nel caso di un impegno lavorativo superiore. Non esisteva alcun contratto scritto ed era pagato in contanti, di persona, oppure il denaro veniva nascosto al parcheggio degli autocarri affinché egli lo prelevasse.

7.

Secondo il FtT, WR doveva recarsi presso un parcheggio di autocarri dove prelevava un rimorchio vuoto, che portava a un parcheggio sicuro a Calais (Francia), luogo in cui lo cambiava con un rimorchio carico di prodotti da introdurre nel Regno Unito. Dentro un cilindro posto su un lato del rimorchio trovava la documentazione per il carico, consistente in una CMR e una bolla di consegna, che esaminava per accertare la natura dei prodotti che trasportava, e la loro destinazione. Nell’ambiente in cui operava WR, non era da considerarsi insolito che gli autotrasportatori fossero ingaggiati occasionalmente con questi accordi informali (sia che le circostanze lo giustificassero sia che non lo giustificassero), pagati in contanti, senza alcuna documentazione a sostegno degli accordi o alcun interesse per l’identità di chi li ingaggiava e sconosciuti all’HMRC.

8.

Secondo il FtT, il 6 settembre 2013 WR prelevava una partita di birra destinata a un deposito d’accise: Seabrook, nel Regno Unito. Pertanto, WR era a conoscenza del fatto che il carico consisteva di prodotti sottoposti ad accisa. Secondo quanto descritto al paragrafo 4 delle presenti conclusioni, i funzionari della Border Force sequestravano il veicolo e i prodotti sottoposti ad accisa. WR informava di quanto accaduto la persona che l’aveva incaricato di prelevare i prodotti, tale Des, e veniva recuperato a Dover. Riceveva la paga per la settimana e poi non aveva più contatti con Des.

9.

Il FtT ha ritenuto che WR non avesse intenzionalmente concorso al tentativo di contrabbando. Egli era soggetto al controllo da parte di coloro che gestivano il contrabbando dei prodotti ed erano quelle persone che avevano il diritto legale e di fatto di esercitare il controllo sui prodotti nel momento in cui erano stati sequestrati. WR non aveva alcun interesse personale nei prodotti e il suo unico interesse era quello di seguire le istruzioni per il prelievo e la consegna degli stessi ed essere retribuito con un modesto compenso per i suoi servizi. Non era nemmeno proprietario del veicolo. Non è possibile individuare chi fossero i mandanti del tentativo di contrabbando che vi hanno concorso consapevolmente. L’unica informazione di cui WR disponeva si trovava nella documentazione che riceveva al momento del prelievo dei prodotti e, in base al contenuto figurante sulla stessa, questa corrispondeva alla circolazione di prodotti in regime di valida sospensione dell’accisa. WR non aveva alcuno strumento per verificare se il codice ARC indicato sulla CMR fosse già stato utilizzato o meno. Non vi era nulla nel contenuto della documentazione che potesse insospettirlo e non aveva modo di accedere al sistema EMCS.

10.

Di conseguenza, il FtT ha applicato la giurisprudenza della sezione penale della Court of Appeal (Corte d’appello) ( 4 ) e ha deliberato quanto segue: i) «la conoscenza effettiva o implicita del possesso materiale dei prodotti di contrabbando potrebbe essere sufficiente per costituire “detenzione” (...) e far perdere al soggetto lo status di “innocent agent” (agente incolpevole)»; ii) tuttavia, WR era un «innocent agent (agente incolpevole)» e pertanto non si poteva affermare che fosse il «detentore» dei prodotti né che stesse «effettuando la fornitura dei prodotti» ai sensi dell’articolo 13; e iii) «L’attribuzione della responsabilità in capo a WR nelle circostanze accertate solleverebbe gravi problemi di compatibilità con gli obiettivi della normativa». Il FtT ha accolto il ricorso di WR e annullato l’accertamento dell’accisa nonché la sanzione.

11.

L’HMRC ha impugnato detta decisione dinanzi all’Upper Tribunal (Tax and Chancery Chamber) [Tribunale superiore (sezione tributaria e del pubblico registro e della Chancery), Regno Unito]. L’Upper Tribunal (Tribunale superiore) ha respinto l’impugnazione dell’HMRC affermando, in sostanza, che gli accertamenti di fatto del FtT non erano oggetto di impugnazione e quindi il ricorso in appello era basato sul fatto che WR non aveva una conoscenza effettiva né implicita del tentativo di contrabbando. Anch’esso ha sostanzialmente applicato l’eccezione dell’«innocent agent» (agente incolpevole) e ha confermato la decisione del FtT.

12.

L’HMRC ha impugnato tale decisione dinanzi al giudice del rinvio, la Court of Appeal (Corte d’Appello). Detto giudice ha respinto il ricorso dell’HMRC avverso la decisione dell’Upper Tribunal (Tribunale superiore) per quanto riguarda la sanzione inflitta ai sensi dell’allegato 41 del Finance Act 2008. Il giudice del rinvio nutre tuttavia dubbi sulla validità della sentenza dell’Upper Tribunal (Tribunale superiore) e, in particolare, sulla questione se un autotrasportatore – che non ha alcun diritto né interesse sui prodotti che trasporta e che non è a conoscenza o non ha motivo di ritenere che essi siano sottoposti ad accisa – sia debitore o meno di tale accisa ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 3, della Direttiva.

13.

È in tale contesto che la Court of appeal (Corte d’appello) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se sia debitore dell’accisa, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 3, della direttiva 2008/118 (...), la persona (in prosieguo: “P”) che abbia il possesso materiale dei prodotti sottoposti ad accisa nel momento in cui l’accisa su detti prodotti diviene esigibile nello Stato membro B, nel caso in cui detta persona:

a)

non aveva alcun legittimo interesse né la proprietà effettiva dei beni sottoposti ad accisa;

b)

stava trasportando i prodotti sottoposti ad accisa, dietro pagamento di un compenso, per conto di terzi tra lo Stato membro A e lo Stato membro B; e

c)

sapeva che i prodotti in suo possesso erano sottoposti ad accisa, ma non sapeva e non aveva motivo di sospettare che l’accisa fosse divenuta esigibile nello Stato membro B, nel momento in cui l’accisa era divenuta in tal modo esigibile o prima di tale momento.

2.

Se la risposta alla questione 1 sia diversa nel caso in cui P non sapesse che i prodotti in suo possesso erano sottoposti ad accisa».

III. Analisi

A.   Sintesi degli argomenti delle parti

14.

Sono state presentate osservazioni scritte alla Corte da WR, dal Regno Unito, dai governi dei Paesi Bassi e italiano, nonché dalla Commissione europea.

15.

WR (la parte convenuta nel procedimento principale) sostiene, in sostanza, che i due giudici nazionali lo abbiano correttamente qualificato come «innocent agent» (agente incolpevole), dato che egli non aveva alcun diritto sui beni né interesse per i prodotti che trasportava per conto di altri e che era ignaro dell’evasione fiscale sui prodotti che trasportava, né si poteva dire che avrebbe dovuto esserne a conoscenza, e che, pertanto, non era tenuto al pagamento di detta accisa ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 3, della Direttiva. La decisione che un soggetto nella posizione di WR risponda dell’accisa potrebbe provocare un caos commerciale, in quanto significherebbe che un autista fattorino (per dire, che lavori per DHL) che abbia prelevato una cassetta di vino al punto A e l’abbia consegnata al punto B (semplicemente perché sapeva o avrebbe dovuto sapere dalle etichette sul collo che questo conteneva vino) sarebbe debitore dell’accisa se risultasse che l’accisa su quella cassetta non è stata pagata.

16.

Inoltre, l’articolo 38 della Direttiva, che impone la responsabilità per gli obblighi derivanti da un’irregolarità a carico di «qualsiasi altra persona che abbia partecipato all’irregolarità», va interpretato nel senso che «partecipare» si deve intendere riferito a una persona che era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, dell’irregolarità.

17.

Inoltre, nessuna disposizione della Direttiva recita che detta imposta debba gravare su chi non ha alcun interesse nei prodotti trasportati e non sa (né ha motivo di credere) che i prodotti sono gravati da imposta inevasa. Detta interpretazione non sarebbe idonea né necessaria a garantire gli obiettivi perseguiti dalla Direttiva e sarebbe pertanto in contrasto con il principio di proporzionalità.

18.

I governi del Regno Unito e dei Paesi Bassi nonché la Commissione sostengono, in sostanza, che l’articolo 33, paragrafo 3, della Direttiva deve essere interpretato nel senso che la persona «che detiene i prodotti» al momento in cui è dovuta l’accisa – come WR – è tenuta al pagamento di detta accisa.

19.

Il governo italiano giunge a una conclusione analoga, ma invocando invece l’articolo 38 della Direttiva.

B.   Valutazione

1. Osservazioni preliminari

20.

Ritengo che sia opportuno rispondere congiuntamente alle due questioni, in quanto il giudice del rinvio desidera sostanzialmente sapere se un autotrasportatore come WR sia debitore dell’accisa, in particolare, sulla base dell’articolo 33, paragrafo 3, della Direttiva, qualora non abbia alcun interesse nei prodotti e sia ignaro, o privo di motivi per sospettare, che i prodotti sono diventati sottoposti ad accisa.

21.

Per le ragioni esposte di seguito, sono giunto alla conclusione che sia corretta la posizione esposta da tutte le parti, ad eccezione di WR. Pertanto, alla domanda di cui sopra deve essere data una risposta affermativa: un autotrasportatore quale WR nel caso di specie risponde in via oggettiva del pagamento dell’accisa.

22.

Esaminerò, in particolare, l’obiettivo del provvedimento, la formulazione delle disposizioni pertinenti e le possibili analogie con altri contesti normativi.

23.

Secondo costante giurisprudenza della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte ( 5 ). Analogamente, la determinazione del significato e della portata dei termini per i quali il diritto dell’Unione non fornisce alcuna definizione va operata conformemente al loro senso abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto del contesto in cui essi sono utilizzati e degli scopi perseguiti dalla normativa in questione ( 6 ).

2. Scopo della direttiva 2008/118 e obiettivo delle disposizioni pertinenti

24.

Lo scopo principale della Direttiva è stabilire norme quanto alla detenzione, alla circolazione e ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, al fine di assicurare che le accise siano applicate allo stesso modo in tutti gli Stati membri ( 7 ). Tale armonizzazione dovrebbe tradursi in un sistema senza soluzione di continuità, in base al quale le accise vengano sistematicamente pagate prima dell’immissione in libera pratica delle merci – per consentire la libera circolazione delle merci, assicurando nel contempo che il debito fiscale corretto sia effettivamente riscosso dalle autorità nazionali – e non vi sia una doppia imposizione nelle operazioni tra gli Stati membri.

25.

Nel caso di specie i prodotti non venivano trasportati in sospensione d’accisa, poiché la documentazione era falsa (i prodotti soggetti ad accisa erano trasportati sotto la copertura di una CMR in cui figurava un codice ACR falso).

26.

Dall’ordinanza di rinvio risulta che i prodotti in questione erano già stati immessi in consumo, in conseguenza dell’invalidità del documento inteso a dimostrare che tali prodotti circolavano in regime di sospensione delle accise e che erano detenuti a fini commerciali, dando quindi luogo a una immediata responsabilità per le accise al momento del loro arrivo nel Regno Unito.

27.

Tenendo conto dello scopo della Direttiva (enunciato al paragrafo 24 delle presenti conclusioni), la legislazione designa una serie di persone tenute al pagamento dell’accisa.

28.

Ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 3, della Direttiva, i debitori dell’imposta sono quindi: a) la persona che effettua la fornitura dei prodotti; b) la persona che li detiene (nel senso puramente oggettivo del possesso fisico); o c) la persona alla quale i prodotti sono forniti nel secondo Stato membro. In caso di irregolarità, l’articolo 38, paragrafo 3, della Direttiva dispone che «l’accisa è dovuta dalla persona che ne ha garantito il pagamento a norma dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera a), o dell’articolo 36, paragrafo 4, lettera a), e da qualsiasi altra persona che abbia partecipato all’irregolarità».

29.

Per quanto riguarda le finalità della Direttiva, come spiegherò più avanti nella sezione successiva, l’ampia formulazione delle disposizioni in questione, che riguardano una serie di soggetti potenzialmente tenuti a versare l’imposta senza che sia stato stabilito un ordine di priorità e che sono solidalmente responsabili, mira a garantire che il debito fiscale sia effettivamente pagato e a tale scopo qualche soggetto deve essere ritenuto responsabile. La Corte ha fatto propria tale opinione nella sua giurisprudenza ( 8 ).

30.

L’articolo 8, paragrafo 2, della Direttiva applica il principio della responsabilità solidale: «Qualora vi siano più soggetti tenuti al pagamento di un singolo debito dall’accisa, essi rispondono in solido di tale debito».

31.

Dal suddetto principio discende che ciascun debitore è responsabile del pagamento dell’importo totale dell’obbligazione e che il creditore resta in linea di principio libero di esigere il pagamento di tale obbligazione da uno o da più debitori di sua scelta ( 9 ).

32.

Ritengo che la scelta del legislatore comunitario di applicare il principio della responsabilità solidale sia coerente con l’economia della Direttiva volta a garantire l’effettiva riscossione delle accise. Ciò risulta dai considerando 15, 19 e 20 della Direttiva e l’importanza di tale punto è stata sottolineata anche nella causa van de Water ( 10 ).

33.

Inoltre, come risulta chiaramente dal considerando 8 della Direttiva, quest’ultima ha armonizzato non solo i beni sui quali l’imposta diviene esigibile e il luogo di esigibilità, ma anche quali siano i debitori dell’accisa. Pertanto, colui che è fisicamente in possesso di prodotti soggetti ad accisa che sono stati immessi in consumo è debitore dell’imposta dovuta, indipendentemente dal fatto che sappia o debba sapere che i prodotti sono soggetti ad accisa.

34.

In effetti, lo scopo intrinseco della responsabilità solidale è aumentare i mezzi di tutela delle autorità e quindi potenziare l’efficacia del recupero delle obbligazioni dell’accisa ( 11 ) così come la protezione delle risorse proprie dell’Unione.

35.

Ritengo (al pari del governo dei Paesi Bassi) che la realizzazione di detto scopo (paragrafo 24 delle presenti conclusioni) risulterebbe compromessa se le autorità fiscali fossero tenute a dimostrare anche che il debitore dell’accisa era a conoscenza del fatto che l’accisa sui prodotti in questione era dovuta. Un siffatto requisito comporterebbe di fatto considerevoli difficoltà nella riscossione del debito fiscale.

36.

Il requisito della conoscenza, infatti, favorisce effettivamente l’evasione delle accise. Le operazioni commerciali che danno luogo alle accise spesso riguardano sistemi in cui sono coinvolti scambi, trasporti e rivendita, e in cui svariati soggetti svolgono ciascuno il proprio (piccolo) ruolo individuale. È quindi perfettamente possibile che una persona – come, ad esempio, un autotrasportatore – non abbia conoscenze personali e sia solo un piccolo anello di una catena complessa, ma debba comunque poter essere ritenuto responsabile, poiché altrimenti non è possibile una tassazione effettiva.

37.

Come ha aggiunto il governo del Regno Unito, l’inserimento del requisito della conoscenza nella nozione di [persona] «che detiene» o «che effettua la fornitura» di cui agli articoli 8, paragrafo 1, lettera b), e 33, paragrafo 3, della Direttiva ne pregiudicherebbe l’oggetto e lo scopo. In tal modo si creerebbe un mezzo atto a favorire l’elusione dell’accisa con relativa facilità. Pertanto, una persona trovata in possesso fisico di beni soggetti ad imposta, potrebbe – come WR nel caso di specie – semplicemente ignorare chi lo ha ingaggiato per il trasporto della merce o qualsiasi altro dettaglio relativo alla proprietà dei beni (intenzionalmente, oppure perché ha ricevuto dati falsi).

38.

Anche in questo caso, ciò renderebbe difficile la lotta contro la frode e gli abusi, mentre l’economia della Direttiva, nonché il preambolo della stessa, esigono che le autorità nazionali garantiscano l’effettiva riscossione del debito fiscale (v. paragrafo 32 delle presenti conclusioni).

39.

L’argomentazione sollevata da WR in relazione all’esempio di un autotrasportatore di DHL (al punto 15 delle presenti conclusioni) ( 12 ) può essere facilmente confutata. Una persona che effettua una consegna per conto di DHL non sarebbe responsabile, ma lo sarebbe DHL, l’impresa stessa. Come sottolineato dal governo dei Paesi Bassi, WR deve essere considerato un lavoratore autonomo e, quindi, un imprenditore, che ha accettato di lavorare senza contratto scritto e di essere pagato in contanti. L’attività imprenditoriale comporta il rischio d’impresa e implica che un imprenditore sia personalmente responsabile delle persone con cui fa affari e dalle quali accetta incarichi. Inoltre, un imprenditore può tutelarsi contro siffatti rischi mediante un’assicurazione o trasferendo contrattualmente tali rischi ai clienti.

3. Sulla formulazione delle disposizioni pertinenti

40.

I debitori dell’accisa, a seconda delle situazioni di cui all’articolo 33, paragrafo 3, della Direttiva, comprendono la persona che effettua la fornitura o la persona che detiene i prodotti destinati ad essere forniti, oppure la persona alla quale i prodotti sono forniti.

41.

A mio avviso, la formulazione di tale disposizione è chiara e al tempo stesso particolarmente ampia.

42.

Come sottolineato dal governo del Regno Unito, non vi è nulla nella Direttiva (come non vi era nulla nella precedente direttiva 92/12/CEE ( 13 )) che impedisca agli Stati membri di addebitare a chiunque detenga prodotti soggetti ad accisa per scopi commerciali al di fuori del regime di sospensione dell’accisa il pagamento del debito fiscale dovuto, né vi è alcun requisito secondo cui, per «detenere» i prodotti, una persona debba avere una particolare conoscenza della loro posizione doganale.

43.

Il significato normale delle espressioni «che detiene» e «che effettua la fornitura» dei prodotti utilizzate nella Direttiva è chiaro: è sufficiente il solo possesso fisico dei prodotti. In considerazione dell’assenza di divergenze al riguardo tra le varie versioni linguistiche del testo, si può concludere che l’espressione «persona (...) che detiene i prodotti» comprende chiunque ne sia fisicamente in possesso, a meno che tale interpretazione sia contraddetta dalla finalità della disposizione o dai principi generali del diritto.

44.

Se il legislatore dell’Unione avesse voluto esigere una conoscenza effettiva o presunta, avrebbe previsto un’esplicita disposizione a tal fine.

45.

È vero che non esiste una definizione del termine «detenzione» nella normativa dell’Unione in materia di accise. Tuttavia, come è stato sottolineato dalla Commissione, un’interpretazione contestuale dimostra che esiste una siffatta definizione nella normativa doganale, un sistema che presenta molti parallelismi con la normativa in materia di accise. Ai sensi dell’articolo 5, punto 34, del codice doganale ( 14 ), «si intende per (...) “titolare delle merci”: la persona che è proprietaria delle merci o che ha un diritto analogo di disporne o che ne ha il controllo fisico» (il corsivo è mio).

46.

L’ampia formulazione dell’articolo 33 della Direttiva serve a garantire che la responsabilità si applichi a qualsiasi persona che detenga le merci fino al pagamento dell’imposta, come affermato dalla Corte nella sentenza Gross ( 15 ). La suddetta causa riguardava l’interpretazione dell’articolo 7 della direttiva 92/12 (il predecessore dell’articolo 33 della Direttiva), e in particolare se i successivi detentori di prodotti che erano stati immessi in consumo fossero responsabili del pagamento dell’accisa. Dopo tutto, tale interpretazione è in linea con lo scopo della Direttiva, vale a dire garantire l’effettiva riscossione del debito fiscale.

47.

La correttezza dell’approccio della Corte nella sentenza Gross è riconosciuta anche in dottrina ( 16 ).

48.

Come l’Upper Tribunal (Tribunale superiore) del Regno Unito ha già correttamente statuito nella causa B&M Retail Ltd contro HMRC ( 17 ) – causa che non riguardava direttamente l’articolo 33 della Direttiva, ma piuttosto l’interpretazione dell’articolo 7 della Direttiva, e la responsabilità ai sensi della stessa, ma che è ancora pertinente in questo caso – «a nostro parere dalla sentenza Gross risulta chiaramente che, una volta che i prodotti soggetti ad accisa per i quali non è stata pagata l’imposta circolano nello Stato membro di destinazione, le autorità di tale Stato membro sono legittimate a scegliere quale dei detentori sequenziali dei prodotti sottoporre ad accertamento, a condizione che non vi sia stato un precedente accertamento. Ciò è coerente con la politica di fondo della direttiva del 2008 (...) secondo la quale lo Stato membro interessato ha l’obbligo di garantire il pagamento dell’imposta sui prodotti che risultano essere stati immessi in consumo. La decisione nel caso di specie è quindi coerente con il principio secondo cui dovrebbe essere possibile sottoporre ad accertamento una persona che risulta detenere prodotti per i quali non è stata pagata l’imposta, sebbene tali prodotti possano essere stati immessi in consumo precedentemente all’interno dello stesso Stato membro, purché non vi sia stato un precedente accertamento dell’imposta non pagata».

49.

Mi permetto di citare in questa sede anche la sentenza del 19 marzo 2019 (punto 66), che condivido, in cui il giudice del rinvio ha stabilito che «siamo d’accordo sul fatto che la politica di fondo della direttiva del 2008 è (...) l’obbligo di ogni Stato membro di garantire il pagamento dell’accisa (...). Vi sarebbe una distorsione del mercato interno se gli Stati membri non adottassero misure per garantire che i prodotti per i quali l’accisa avrebbe dovuto essere pagata non possano circolare liberamente nel mercato unico accanto ai prodotti per i quali l’accisa è stata pagata. Come l’Upper Tribunal (Tribunale superiore) ha inoltre osservato nella causa Davison e Robinson [ ( 18 )], in assenza di informazioni rilevanti relative ad un’eventuale immissione in consumo precedente, l’HMRC deve sottoporre ad accertamento la persona che risulta detenere i prodotti in questione, se questo è l’unico momento in cui è possibile accertare l’esigibilità dell’imposta. Prendiamo atto dell’argomentazione dell’HMRC secondo cui quando, come [WR] in questo caso, un autista non è in grado di identificare lo speditore, o l’importatore, o il suo datore di lavoro, l’unica persona che può essere soggetta ad accertamento ai fini dell’imposta è l’autista stesso. Se non può essere sottoposto ad accertamento nell’ipotesi in cui l’HMRC o un giudice concludano che egli non era a conoscenza del fatto che i prodotti erano soggetti ad imposta, le possibilità di contrabbando e di frode sono manifestamente maggiori. Di conseguenza, la responsabilità oggettiva sembra essere stata una caratteristica accettata del regime realizzato dalle successive direttive, come spiegato inizialmente (...) nella causa Greenalls [ ( 19 )]».

50.

Orbene, non posso che concordare con l’analisi nella causa Greenalls, in cui Lord Hoffmann ha affermato nella sua sentenza (con cui la maggioranza della Camera dei Lord si è dichiarata d’accordo) al punto 4 che «[l]a direttiva [del 1992] è stata adottata nell’ambito della creazione di un mercato unico senza frontiere fiscali. Lo scopo principale della direttiva era quello di avere un unico insieme di regole per stabilire il momento in cui l’accisa diveniva esigibile, in modo da evitare una situazione in cui essa potesse essere riscossa sugli stessi beni in paesi diversi». In quella sentenza, la Camera dei Lord ha ritenuto che una società di deposito rispondesse in via oggettiva per l’accisa sulla vodka prodotta che era stata rilasciata per l’esportazione dal deposito fiscale della società, ma che a un certo punto era stata deviata in modo fraudolento. Citando la sentenza nella causa van de Water (C‑325/99, EU:C:2001:201), Lord Hoffmann ha osservato (al punto 7) che l’identità della persona o delle persone responsabili del pagamento dell’accisa dopo l’«immissione in consumo» della merce costituiva una questione che era stata lasciata alla discrezionalità degli Stati membri. Ai sensi del regolamento pertinente, l’espressione «immissione in consumo» non era qualificata da termini quali «legalmente». Lord Hoffmann ha pertanto concluso che la società di deposito rispondeva in via oggettiva.

51.

Analogamente, ritengo che qualsiasi detentore della merce, come WR, debba essere considerato responsabile in via oggettiva.

52.

Concordo con il giudice del rinvio quando afferma anche, ai punti 67 e 68 della sua sentenza del 19 marzo 2019, che «[q]uesta politica si riflette, ai nostri occhi, nei termini della Direttiva e del regolamento. Concordiamo (...) sul fatto che il significato naturale delle espressioni “che detiene” o “che effettua la fornitura” dei prodotti non implica che la persona sia a conoscenza dello status fiscale dei prodotti. Sebbene l’equità e la proporzionalità siano, ovviamente, pietre miliari del diritto dell’Unione, come del common law, esse non escludono in qualunque caso l’attribuzione di una responsabilità oggettiva. Riteniamo molto forte l’argomento secondo cui, data la politica alla base della direttiva, l’attribuzione di una responsabilità oggettiva al conducente in queste circostanze non viola i principi di equità o di proporzionalità (...). Ciò che viene tassato è normalmente rappresentato da eventi oggettivi o operazioni senza alcuna considerazione per l’atteggiamento mentale del contribuente».

53.

Come sottolineato dal governo dei Paesi Bassi, la suddetta interpretazione letterale dell’articolo 33, paragrafo 3, della Direttiva è confermata dall’economia della direttiva stessa. Il requisito della conoscenza è previsto dalla Direttiva solo in caso di irregolarità durante la circolazione di prodotti soggetti ad accisa in regime di sospensione dall’imposta ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera a), punto ii), della stessa. Anche questo è avvalorato dalla sentenza nella causa Gross ( 20 ). Da tale giurisprudenza risulta che l’articolo 33, paragrafo 3, non dovrebbe essere interpretato in un modo che «renderebbe più incerta la riscossione delle accise esigibili, connesse al passaggio di una frontiera dell’Unione».

54.

Nella pratica, infatti, in caso di una siffatta circolazione è sempre richiesta una garanzia (nella maggior parte dei casi dallo speditore dei prodotti soggetti ad accisa). In tal caso, la riscossione dell’accisa è garantita. Per questi motivi, il legislatore dell’Unione europea ha optato, all’articolo 8, paragrafo 1, lettera a), punto ii), della Direttiva, per limitare la responsabilità di altri soggetti che hanno partecipato allo svincolo irregolare a coloro che erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della natura irregolare dello svincolo.

55.

Nei casi in cui la suddetta garanzia manchi perché non era richiesta una tale garanzia – come nel caso in esame – il legislatore non ha ritenuto che fosse necessario l’inclusione del requisito della conoscenza. Pertanto, il legislatore dell’Unione non ha incluso il requisito della conoscenza nell’articolo 33, paragrafo 3, della Direttiva.

56.

Per quanto riguarda i fatti su cui verte il procedimento principale – basato sull’approccio adottato dalle autorità fiscali nazionali – la presente causa non riguarda uno svincolo irregolare da un regime di sospensione dell’accisa di cui all’articolo 7, paragrafo 2, della Direttiva, quanto piuttosto una detenzione irregolare di prodotti a fini commerciali in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata pagata l’imposta, che dà luogo, secondo le autorità fiscali nazionali, all’assoggettamento all’imposta ai sensi dell’articolo 33 della Direttiva.

57.

Tuttavia, come ha sottolineato la Commissione, la situazione è sostanzialmente la stessa: le merci per le quali esiste un obbligo di pagamento dell’accisa sono tenute al di fuori della sospensione dell’accisa, quindi quest’ultima è immediatamente esigibile. La circolazione tra Stati membri di merci tassate non deve aver luogo in sospensione d’imposta, ma è comunque soggetta a un regime sostanzialmente analogo. Infatti, dal punto di vista dello Stato membro di destinazione non vi è alcuna differenza tra, da un lato, merci che sono state irregolarmente sottratte alla sospensione dall’accisa in un altro Stato membro e portate nel proprio territorio e, dall’altro, merci su cui l’accisa è stata pagata in un altro Stato membro e successivamente portate nel proprio territorio. In entrambi i casi, vi è un immediato assoggettamento all’imposta.

58.

Da tutte le considerazioni che precedono risulta che il significato del termine «detenzione» di cui all’articolo 33, paragrafi 1 e 3, della Direttiva comprende il semplice possesso fisico.

4. Articolo 38 della direttiva 2008/118

59.

Concordo con i governi dei Paesi Bassi e dell’Italia, nonché con la Commissione, i quali sostengono, in sostanza, che quanto sopra non mette fine alla questione in un caso come quello del procedimento principale. Non si tratta di un caso in cui la circolazione dei prodotti e il pagamento dell’accisa sono avvenuti in modo normale. Si tratta di un caso in cui si è verificata un’irregolarità e, pertanto, l’articolo 38 della Direttiva è potenzialmente rilevante anche per dare una risposta utile alle questioni sollevate. Ai sensi dell’articolo 38, l’accisa è dovuta, tra l’altro, da «qualsiasi altra persona che abbia partecipato all’irregolarità». Una persona che trasporta merci e ne è in possesso al momento in cui si verifica l’irregolarità può essere considerata come «partecipante» all’irregolarità, anche se solo in modo passivo e involontario.

60.

In ogni caso, ritengo che la rilevanza potenziale dell’articolo 38 della Direttiva per il presente caso non alteri la mia analisi di cui sopra in relazione all’articolo 33 della stessa, secondo cui una persona che si trovi in una situazione come quella di WR è debitore dell’accisa.

61.

L’articolo 38, paragrafo 3, della Direttiva definisce i debitori dell’accisa in caso di irregolarità. Oltre alla persona che ha garantito il pagamento, esso comprende «qualsiasi altra persona che abbia partecipato all’irregolarità».

62.

Concordo con la Commissione e con il governo dei Paesi Bassi sul fatto che, in sostanza, una persona che trasporta le merci ha partecipato all’irregolarità. In ogni caso, l’articolo 38, paragrafo 3, come l’articolo 33, paragrafo 3, della Direttiva, non richiede che il debitore sia consapevole del fatto che i prodotti in questione sono ancora soggetti ad accisa.

63.

Tale posizione è conforme all’ampia interpretazione data dalla Corte, nella sentenza del 17 ottobre 2019, Comida paralela 12 ( 21 ), alla formulazione «qualsiasi altra persona che abbia partecipato all’irregolarità» di cui all’articolo 38, paragrafo 3, della direttiva 2008/118.

64.

Concordo altresì con il governo italiano che, nel caso di specie, non vi è dubbio che l’espressione «qualsiasi altra persona che abbia partecipato all’irregolarità» possa applicarsi all’autotrasportatore WR. Egli era un professionista in grado di adottare tutte le misure precauzionali necessarie per evitare il coinvolgimento indesiderato nel contrabbando illegale. Invero, la responsabilità oggettiva è importante non solo per garantire che l’accisa venga pagata da qualcuno, ma lo è anche in quanto deterrente del contrabbando.

65.

Tale interpretazione è confermata dall’articolo 8, paragrafo 1, lettere a) e b), di tale Direttiva e, inoltre, è del tutto coerente con l’economia generale istituita dalla stessa, che mira a garantire che non vi siano settori esenti da responsabilità da parte dei singoli che partecipano alla circolazione dei prodotti sottoposti ad accisa.

66.

Come ha rilevato la Commissione, l’esistenza di un potenziale diritto di contributo non costituisce, nella logica della direttiva, un elemento necessario della responsabilità solidale, sebbene tale diritto possa esistere nel diritto nazionale applicabile. I potenziali debitori dell’obbligazione sono anche liberi di stipulare tra loro accordi di diritto privato relativi a contributi o indennizzi. Né esiste un’altra disposizione o principio del diritto dell’Unione che richieda l’esistenza di un tale diritto. Come osservato dalla Corte nella sentenza del 22 novembre 2001, Michel (C‑80/01, EU:C:2001:632), la concessione al debitore dell’accisa di un diritto al rimborso dell’accisa è lasciata alla responsabilità degli Stati membri.

67.

Invero, secondo giurisprudenza costante della Corte, l’interpretazione della Direttiva esposta nelle presenti conclusioni non osta alla possibilità, eventualmente prevista dal diritto nazionale, per una persona quale WR, reso debitore dell’accisa in circostanze analoghe a quelle del procedimento principale, di promuovere un’azione di regresso contro un altro soggetto debitore della suddetta accisa ( 22 ).

IV. Conclusioni

68.

Per i suesposti motivi, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Court of Appeal (Corte d’appello, Regno Unito) come segue:

L’espressione «detenzione» di cui all’articolo 33, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE, deve essere interpretata nel senso di comprendere il semplice possesso fisico, come nella situazione di WR nel procedimento principale.

La stessa conclusione si applica, mutatis mutandis, in relazione all’articolo 38 della Direttiva, secondo il quale l’accisa è dovuta, in particolare, da «qualsiasi altra persona che abbia partecipato all’irregolarità». Una persona, come WR, che trasporta prodotti e ne è in possesso nel momento in cui si verifica l’irregolarità, può essere considerata come «partecipante» all’irregolarità, anche se solo in modo passivo e involontario.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Direttiva del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise e che abroga la direttiva 92/12/CEE (GU 2009, L 9, pag. 12; in prosieguo: la «Direttiva»).

( 3 ) [2019] EWCA Civ 465 (in prosieguo: la «sentenza del 19 marzo 2019»).

( 4 ) Sentenza nella causa Taylor e Wood/R [2013] EWCA Crim 1151.

( 5 ) Sentenze del 26 gennaio 2012, ADV Allround (C‑218/10, EU:C:2012:35, punto 26) e del 19 luglio 2012, A (C‑33/11, EU:C:2012:482, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

( 6 ) V., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2012, BLV Wohn- und Gewerbebau (C‑395/11, EU:C:2012:799, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

( 7 ) V. sentenza del 5 aprile 2001, van de Water (C‑325/99, EU:C:2001:201, punto 39).

( 8 ) Sentenze del 5 aprile 2001, van de Water (C‑325/99, EU:C:2001:201, punti 4142) e del 3 luglio 2014, Gross (C‑165/13, EU:C:2014:2042, punti 2526).

( 9 ) V. sentenza del 18 maggio 2017, Latvijas Dzelzceļš (C‑154/16, EU:C:2017:392, punto 85).

( 10 ) V. sentenza del 5 aprile 2001, van de Water (C‑325/99, EU:C:2001:201, punto 41) e le conclusioni presentate dall’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer nella causa van de Water (C‑325/99, EU:C:2000:614, paragrafo 27).

( 11 ) V. altresì, a questo proposito, sentenza del 18 maggio 2017, Latvijas Dzelzceļš (C‑154/16, EU:C:2017:392, punto 88).

( 12 ) Questa argomentazione è già stata formulata in passato dagli operatori del settore. V. Snell, C., Whose duty is it anyway?, No 5 Chambers Commercial & Chancery Bulletin, Winter 2015/2016, pagg. 8 e 9.

( 13 ) Direttiva del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa (GU 1992, L 76, pag. 1).

( 14 ) Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione; GU 2013, L 269, pag. 1.

( 15 ) Sentenza del 3 luglio 2014, Gross, C‑165/13, EU:C:2014:2042.

( 16 ) V. tra l’altro Rehberg, E., e Ring, N., Steuerschuld als „zweiter“ Besitzer im Verbrauchsteuerrecht?, EU-Umsatz-Steuerberater, 2014, (n. 3), pag. 51, e Bogaerts, D., Gross. Liability to excise duty. Products released for consumption in one Member State and held for commercial purposes in another Member State. Court of Justice, Highlights & Insights on European Taxation, 2014, n. 10, pagg. 52 e 53.

( 17 ) [2016] UKUT 429 (TCC) [2016] STC 2456.

( 18 ) Davison and Robinson Ltd contro HMRC [2018] UKUT 437 (TCC).

( 19 ) Greenalls Management Ltd contro Customs and Excise Commissioners [2005] UKHL 34.

( 20 ) Sentenza del 3 luglio 2014 (C‑165/13, EU:C:2014:2042, punti da 24 a 27).

( 21 ) C‑579/18, EU:C:2019:875, punti 3435.

( 22 ) V., in tal senso, sentenza del 17 ottobre 2019, Comida paralela 12 (C‑579/18, EU:C:2019:875, punto 44).

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