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Document 62019CC0107

Conclusioni dell’avvocato generale G. Pitruzzella, presentate il 13 febbraio 2020.
XR contro Dopravní podnik hl. m. Prahy, a.s.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall'Obvodní soud pro Prahu 9.
Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2003/88/CE – Organizzazione dell’orario di lavoro – Nozioni di “orario di lavoro” e “periodo di riposo” – Periodo di pausa durante il quale il dipendente deve tenersi pronto a partire per un intervento entro due minuti – Primato del diritto dell’Unione.
Causa C-107/19.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:96

 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 13 febbraio 2020 ( 1 )

Causa C‑107/19

XR

contro

Dopravní podnik hl. m. Prahy a.s.

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Obvodní soud pro Prahu 9 (Tribunale del distretto di Praga 9, Repubblica ceca)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2003/88/CE – Organizzazione dell’orario di lavoro – Nozione di “orario di lavoro” – Periodo di pausa di un lavoratore, nel corso del quale egli è obbligato a rimanere a disposizione del proprio datore di lavoro per partire per un intervento entro due minuti – Obbligo di rispettare le valutazioni giuridiche di un giudice di grado superiore non conformi al diritto dell’Unione – Primato del diritto dell’Unione»

I. Introduzione

1.

La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame verte sull’interpretazione dell’articolo 2 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro ( 2 ).

2.

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra XR e la Dopravní podnik hl. m. Prahy a.s. (in prosieguo: la «Dopravní podnik») riguardo al rifiuto di quest’ultima di corrispondere a XR l’importo di 95335 corone ceche (CZK) (circa EUR 3735) ( 3 ), maggiorato degli interessi di mora, a titolo di compenso per le pause effettuate nel corso della sua attività professionale in qualità di vigile del fuoco nel periodo compreso tra i mesi di novembre del 2005 e di dicembre del 2008.

3.

Con le proprie questioni pregiudiziali, l’Obvodní soud pro Prahu 9 (Tribunale del distretto di Praga 9, Repubblica ceca) invita la Corte ad indicargli i criteri che permettono di qualificare una pausa come «orario di lavoro» o come «periodo di riposo» ai sensi della direttiva 2003/88.

II. Contesto normativo

A.   Direttiva 2003/88

4.

Il considerando 5 della direttiva 2003/88 enuncia quanto segue:

«Tutti i lavoratori dovrebbero avere periodi di riposo adeguati. Il concetto di “riposo” deve essere espresso in unità di tempo, vale a dire in giorni, ore e frazioni d’ora. I lavoratori del[l’Unione europea] devono beneficiare di periodi minimi di riposo giornaliero, settimanale e annuale e di adeguati periodi di pausa (...)».

5.

L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva dispone quanto segue:

«1.   La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

2.   La presente direttiva si applica:

a)

ai periodi minimi di riposo giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali nonché alla pausa ed alla durata massima settimanale del lavoro; e

b)

a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro».

6.

L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Definizioni», prevede quanto segue:

«Ai sensi della presente direttiva si intende per:

1.

“orario di lavoro”: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali;

2.

“periodo di riposo”: qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro;

(...)

5.

“lavoro a turni”: qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro a squadre in base al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere di tipo continuo o discontinuo, ed il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro ad ore differenti su un periodo determinato di giorni o settimane;

(...)

9.

“riposo adeguato”: il fatto che i lavoratori dispongano di periodi di riposo regolari, la cui durata è espressa in unità di tempo, e sufficientemente lunghi e continui per evitare che essi, a causa della stanchezza, della fatica o di altri fattori che perturbano l’organizzazione del lavoro, causino lesioni a sé stessi, ad altri lavoratori o a terzi o danneggino la loro salute, a breve o a lungo termine».

7.

Il capo 2 della direttiva 2003/88 fa riferimento in particolare ai «[p]eriodi minimi di riposo». L’articolo 3 di tale direttiva, relativo al «[r]iposo giornaliero», è così formulato:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive».

8.

L’articolo 4 di detta direttiva, dedicato alla «[p]ausa», così recita:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, qualora l’orario di lavoro giornaliero superi le 6 ore, di una pausa le cui modalità e, in particolare, la cui durata e condizioni di concessione sono fissate da contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali o, in loro assenza, dalla legislazione nazionale».

9.

L’articolo 5 della direttiva 2003/88, intitolato «Riposo settimanale», al primo comma prevede quanto segue:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero previste all’articolo 3».

10.

L’articolo 17, paragrafo 3, lettera c), iii), della direttiva in parola prevede che possono essere concesse deroghe, in particolare all’articolo 4 di quest’ultima, per quanto concerne, tra l’altro, i servizi antincendio.

B.   Diritto ceco

11.

L’articolo 83 dello zákon č. 65/1965 Sb., zákoník práce (legge n. 65/1965 sul codice del lavoro), applicabile fino al 31 dicembre 2006, prevedeva quanto segue:

«(1)   L’orario di lavoro è il periodo nel corso del quale il lavoratore è tenuto a svolgere un lavoro per il datore di lavoro.

(2)   Il periodo di riposo è il periodo che non costituisce orario di lavoro.

(...)

(5)   Il servizio di guardia è il periodo nel corso del quale il lavoratore, in forza del proprio contratto di lavoro, si tiene pronto per un eventuale incarico che, in caso di impellente necessità, dovrà essere eseguito al di fuori dell’orario del suo gruppo di lavoro.

(...)».

12.

L’articolo 89 di tale legge, relativo alla «[p]ausa», era così formulato:

«(1)   Il datore di lavoro è tenuto a concedere al lavoratore una pausa di lavoro per mangiare e riposare della durata di almeno 30 minuti dopo un periodo massimo di sei ore di lavoro ininterrotto; ai lavoratori minori di età tale pausa deve essere concessa dopo un periodo massimo di quattro ore e mezza di lavoro ininterrotto. In caso di lavoro che non possa essere sospeso, al lavoratore deve essere garantito, anche senza sospensione del servizio o del lavoro, un adeguato periodo per mangiare e riposare; ai lavoratori minori di età la pausa di lavoro per mangiare e riposare di cui alla prima frase deve essere sempre concessa.

(2)   Il datore di lavoro può fissare in maniera adeguata la durata della pausa per mangiare, a seguito di consultazione del competente organismo professionale.

(3)   Il datore di lavoro stabilisce l’inizio e la fine di tali pause, a seguito di consultazione del competente organismo professionale.

(4)   Le pause per mangiare e riposare non sono concesse all’inizio o al termine dell’orario di lavoro.

(5)   Le pause concesse per mangiare e riposare non vengono computate nell’orario di lavoro».

13.

Le citate disposizioni sono state modificate dallo zákon č. 262/2006 Sb., zákoník práce (legge n. 262/2006 sul codice del lavoro), entrato in vigore il 1o gennaio 2007. Ai sensi dell’articolo 78 di tale legge:

«(1)   Ai fini delle disposizioni che disciplinano l’orario di lavoro e il periodo di riposo, si intende per:

a)

“orario di lavoro”, il periodo nel corso del quale il lavoratore è tenuto a svolgere un lavoro per il datore di lavoro e il periodo nel corso del quale il lavoratore si tiene pronto, sul luogo di lavoro, a svolgere un incarico conformemente alle istruzioni del datore di lavoro;

(...)

h)

“servizio di guardia”, il periodo nel corso del quale il lavoratore, in forza del proprio contratto di lavoro, si tiene pronto per un eventuale incarico che, in caso di impellente necessità, dovrà essere eseguito al di fuori dell’orario del suo gruppo di lavoro. Il servizio di guardia può essere prestato soltanto in un luogo diverso, concordato con il lavoratore, dal luogo di lavoro del datore di lavoro;

(...)».

14.

Per quanto attiene alla pausa e alla pausa di sicurezza, l’articolo 88 di tale legge precisa quanto segue:

«(1)   Il datore di lavoro è tenuto a concedere al lavoratore una pausa di lavoro per mangiare e riposare della durata di almeno 30 minuti dopo un periodo massimo di sei ore di lavoro ininterrotto; ai lavoratori minori di età tale pausa deve essere concessa dopo un periodo massimo di quattro ore e mezza di lavoro ininterrotto. In caso di lavoro che non possa essere sospeso, al lavoratore deve essere garantito, anche senza sospensione del servizio o del lavoro, un adeguato periodo per mangiare e riposare; tale periodo è computato nell’orario di lavoro. Ai lavoratori minori di età la pausa di lavoro per mangiare e riposare di cui alla prima frase deve essere sempre concessa.

(2)   Se la pausa per mangiare e riposare dev’essere suddivisa, una parte di essa deve durare almeno quindici minuti.

(...)».

III. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

15.

Dal mese di novembre del 2005 al mese di dicembre del 2008 XR ha esercitato presso la Dopravní podnik la professione di vigile del fuoco in qualità di caposquadra vigile del fuoco e, successivamente, di vigile del fuoco.

16.

XR era sottoposto al regime di lavoro a turni, che includeva un turno diurno, dalle ore 6:45 alle ore 19:00, e un turno notturno, dalle ore 18:45 alle ore 7:00. I suoi orari di lavoro giornaliero includevano due pause per mangiare e riposare della durata di 30 minuti ciascuna.

17.

Tra le ore 6:30 e le ore 13:30 XR poteva recarsi alla mensa aziendale, situata a 200 m dal suo posto di lavoro, a condizione di portare una ricetrasmittente che, nel caso in cui fosse stato necessario partire immediatamente per qualche intervento, l’avvertiva che doveva presentarsi entro due minuti al punto di partenza e che un veicolo per gli interventi sarebbe venuto a prenderlo davanti alla mensa aziendale. Inoltre, l’area di deposito in cui XR svolgeva il proprio lavoro era dotata di uno spazio che permetteva di preparare pasti, in particolare, al di fuori degli orari di apertura della mensa aziendale.

18.

Le pause erano computate nell’orario di lavoro di XR soltanto a condizione che fossero interrotte da un intervento. Di conseguenza, le pause ininterrotte non erano oggetto di compenso.

19.

XR ha contestato tale modalità di calcolo del suo compenso e, considerando che le pause, anche ininterrotte, costituivano orario di lavoro, ha chiesto la corresponsione dell’importo di CZK 95335 (circa EUR 3735), maggiorato degli interessi di mora, a titolo di compenso dovutogli per le due pause giornaliere non prese in considerazione durante il periodo di lavoro di cui trattasi nel procedimento principale.

20.

Adito in primo grado, il giudice del rinvio ha accolto la domanda di XR. Tale sentenza del 14 settembre 2016 è stata successivamente confermata in appello dal Městský soud v Praze (Tribunale municipale di Praga, Repubblica ceca).

21.

La Dopravní podnik ha presentato ricorso per cassazione avverso tali sentenze dinanzi al Nejvyšší soud (Corte suprema, Repubblica ceca), che le ha annullate con sentenza del 12 giugno 2018. Detto giudice ha considerato, sulla base delle disposizioni nazionali rilevanti, che, sebbene non sia certamente escluso che le pause possano essere interrotte a causa di un intervento, tali interruzioni avvengono solo in modo fortuito ed imprevedibile, cosicché non è possibile qualificarle come aspetto dell’ordinario adempimento degli obblighi lavorativi. Pertanto, le pause non potevano essere considerate in linea di principio come orario di lavoro.

22.

Il Nejvyšší soud (Corte suprema) ha pertanto rimesso la causa al giudice del rinvio per la decisione di merito. Quest’ultimo sottolinea che, conformemente alle norme processuali nazionali, esso è vincolato dal parere del Nejvyšší soud (Corte suprema).

23.

Tuttavia, il giudice del rinvio considera che le circostanze nelle quali XR doveva fruire delle proprie pause depongono a favore della loro qualifica come «orario di lavoro» ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2003/88.

24.

In tale contesto, l’Obvodní soud pro Prahu 9 (Tribunale del distretto di Praga 9) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se sia consentito considerare come “orario di lavoro”, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva [2003/88], la pausa durante la quale il lavoratore deve essere a disposizione del datore di lavoro entro 2 minuti in caso di partenza improvvisa per un intervento.

2)

Se, sulla valutazione di cui alla precedente questione, incidano il fatto che l’interruzione [della pausa], in caso di partenza improvvisa per un intervento, avvenga soltanto in maniera occasionale e imprevedibile, ed eventualmente la frequenza di tale interruzione.

3)

Se il giudice di primo grado chiamato a decidere, dopo che la sua decisione è stata annullata da un giudice di grado superiore e la causa è stata rinviata per la prosecuzione del giudizio nel merito, possa non attenersi a un parere giuridico espresso dal giudice di grado superiore, vincolante per il giudice di primo grado, nel caso in cui tale parere sia in contrasto con il diritto dell’Unione europea».

IV. Analisi

A.   Sulla prima e sulla seconda questione pregiudiziale

25.

Con le questioni prima e seconda, che, a mio avviso, devono essere esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 2 della direttiva 2003/88 debba essere interpretato nel senso che costituisce «orario di lavoro», a norma di tale disposizione, la pausa concessa a un lavoratore durante il suo orario di lavoro giornaliero nel corso della quale egli dev’essere a disposizione del proprio datore di lavoro per partire per un intervento entro due minuti in caso di necessità, e se l’occasionalità e l’imprevedibilità nonché la frequenza delle partenze per interventi durante detta pausa incidano su tale qualifica.

26.

In via preliminare, si deve constatare che la controversia di cui al procedimento principale verte sulla questione del compenso di un lavoratore per le pause per mangiare e riposare che non sono computate nell’orario di lavoro e che, dunque, non danno luogo alla corresponsione di una retribuzione, in quanto solo i periodi di effettivo intervento del lavoratore sono computati nell’orario di lavoro e sono retribuiti come lavoro straordinario.

27.

Riguardo a tale aspetto, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, eccezion fatta per l’ipotesi particolare di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 in materia di ferie annuali retribuite, quest’ultima si limita a disciplinare taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, cosicché, in linea di principio, essa non si applica alla retribuzione dei lavoratori ( 4 ).

28.

Tuttavia, tale constatazione non fa in alcun modo venir meno la rilevanza delle questioni sollevate e la necessità di rispondervi. Compete alla Corte fornire al giudice del rinvio l’interpretazione delle nozioni di «orario di lavoro» e di «periodo di riposo» contenute nella direttiva 2003/88, e spetta poi a tale giudice trarne le debite conseguenze, conformemente al diritto nazionale, sul piano del compenso per le pause ( 5 ).

29.

Ciò precisato, inizierò ricordando che la Corte ha più volte dichiarato che, ai sensi della direttiva 2003/88, la nozione di «orario di lavoro» va intesa come qualsiasi periodo in cui il lavoratore è al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali ( 6 ). La definizione dell’«orario di lavoro», ai sensi della direttiva in parola, risulta dunque dalla combinazione di tre criteri, vale a dire un criterio spaziale (essere sul luogo di lavoro), un criterio di autorità (tenersi a disposizione del datore di lavoro) e un criterio professionale (essere nell’esercizio della propria attività o delle proprie funzioni).

30.

La giurisprudenza della Corte relativa alla qualificazione di periodi come «orario di lavoro» è stata elaborata con riferimento speculare alla nozione di «periodo di riposo», che, in forza dell’articolo 2, punto 2, della direttiva 2003/88, va inteso come «qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro». L’«orario di lavoro» è definito pertanto per opposizione al «periodo di riposo», in quanto queste due nozioni si escludono a vicenda ( 7 ), senza che tra esse vi sia una categoria intermedia. Benché una simile distinzione binaria possa apparire rigida ( 8 ), la formulazione della direttiva 2003/88 non lascia spazio all’introduzione di un «periodo grigio» che venga a intercalarsi tra l’orario di lavoro e il periodo di riposo. Non vi è dunque motivo di derogare a tale dicotomia, cosicché «ciò che non rientra nella nozione di orario di lavoro ricade nella nozione di periodo di riposo, e viceversa» ( 9 ).

31.

Peraltro, ricordo che, secondo la giurisprudenza della Corte, le nozioni di «orario di lavoro» e di «periodo di riposo», ai sensi della direttiva 2003/88, costituiscono nozioni di diritto dell’Unione che occorre definire secondo criteri oggettivi, facendo riferimento al sistema e alla finalità di tale direttiva, intesa a stabilire prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti ( 10 ).

32.

Sebbene la Corte non abbia ancora avuto occasione di pronunciarsi sulla questione della qualificazione della pausa come «orario di lavoro» o «periodo di riposo», ai sensi della direttiva 2003/88, essa ha invece affrontato più volte la qualificazione delle ore di guardia svolte dai lavoratori rientranti nell’ambito di applicazione di tale direttiva. L’esame della giurisprudenza elaborata dalla Corte in tale contesto permetterà di guidare il mio ragionamento, senza tuttavia cancellare le specificità della pausa.

33.

Muovendo dalla constatazione che, «allo stato attuale del diritto dell’Unione, le ore di guardia trascorse da un lavoratore nell’ambito delle sue attività svolte per il datore di lavoro devono essere qualificate come “orario di lavoro” o come “periodo di riposo”» ( 11 ), la Corte ha dichiarato che, tenuto conto dell’obiettivo della direttiva 2003/88, che è quello di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori, facendo in modo che essi possano beneficiare di periodi minimi di riposo e di adeguati periodi di pausa, «la presenza fisica e la disponibilità del lavoratore sul luogo di lavoro durante le ore di guardia, in vista della prestazione dei suoi servizi professionali, deve essere considerata rientrante nell’esercizio delle sue funzioni, anche se l’attività effettivamente svolta varia secondo le circostanze» ( 12 ).

34.

Dalla giurisprudenza della Corte emerge pertanto che «il fattore determinante per la qualificazione come “orario di lavoro”, ai sensi della direttiva 2003/88, è costituito dal fatto che il lavoratore è costretto a essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e a tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno. Occorre considerare, infatti, che tali obblighi, i quali rendono impossibile ai lavoratori interessati di scegliere il luogo in cui stare durante le ore di guardia, rientrano nell’esercizio delle loro funzioni» ( 13 ).

35.

In applicazione della citata giurisprudenza, la Corte ha trattato in modo particolare il caso in cui il lavoratore svolge una guardia secondo un sistema di reperibilità che esige che esso sia sempre raggiungibile, senza per questo essere obbligato ad essere presente sul luogo di lavoro. Secondo la Corte, «[p]ur essendo, infatti, a disposizione del suo datore di lavoro, in quanto deve poter essere raggiungibile, in tal caso il lavoratore può gestire il suo tempo con maggiore libertà e dedicarsi ai propri interessi. Di conseguenza, solo il tempo relativo alla prestazione effettiva di servizi dev’essere considerato come “orario di lavoro” ai sensi della direttiva 2003/88» ( 14 ).

36.

Nella causa che ha dato luogo alla sentenza Matzak, la Corte si confrontava con la seguente fattispecie: il sig. Rudy Matzak non solo doveva essere raggiungibile durante i servizi di guardia. Egli era altresì obbligato, da un lato, a rispondere alle convocazioni del datore di lavoro entro otto minuti e, dall’altro, a essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro. Tuttavia, tale luogo era il domicilio del sig. Matzak e non il suo luogo di lavoro.

37.

Di fronte a una simile situazione, la Corte ha dichiarato che «l’obbligo di essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro nonché il vincolo derivante, da un punto di vista geografico e temporale, dalla necessità di raggiungere il luogo di lavoro entro 8 minuti, sono di natura tale da limitare in modo oggettivo le possibilità di un lavoratore che si trovi nella condizione del sig. Matzak di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali» ( 15 ). Infatti, secondo la Corte, «[a]lla luce di tali vincoli, la situazione del sig. Matzak si distingue da quella di un lavoratore che deve, durante le sue ore di guardia, essere semplicemente a disposizione del suo datore di lavoro affinché quest’ultimo possa contattarlo» ( 16 ). La Corte ne ha tratto la conclusione che la nozione di «orario di lavoro», di cui all’articolo 2 della direttiva 2003/88, doveva essere interpretata nel senso che essa si applica a una situazione in cui un lavoratore è costretto a passare il periodo di guardia nel suo domicilio, a tenersi a disposizione del datore di lavoro e a essere in grado di raggiungere il luogo di lavoro entro otto minuti ( 17 ). Nell’ambito del proprio ragionamento, la Corte ha attribuito un’importanza decisiva alla circostanza che l’obbligo a carico del lavoratore di rispondere alle convocazioni del suo datore di lavoro entro otto minuti durante il periodo di guardia che trascorre al proprio domicilio limita molto fortemente le possibilità di svolgere altre attività ( 18 ).

38.

Ritengo che quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Matzak valga a fortiori nella situazione in cui un lavoratore, già limitato nella propria libertà di movimento durante la propria pausa, a causa della brevità di quest’ultima, subisce la costrizione che discende, da un punto di vista geografico e temporale, dalla necessità di tenersi pronto a partire per un intervento entro due minuti in caso di necessità.

39.

A causa di tale importante vincolo, un lavoratore si trova nell’impossibilità di gestire la propria pausa come desidera, dedicandola ai propri interessi personali e sociali. Al contrario, tale lavoratore dev’essere considerato come rimasto a disposizione del proprio datore di lavoro durante la sua pausa, in quanto è obbligato giuridicamente ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro e ad esercitare la propria attività per il medesimo ( 19 ). Aggiungo che il vincolo consistente per un lavoratore nel tenersi pronto a partire per un intervento entro due minuti in caso di necessità durante la sua pausa pone tale lavoratore in una situazione di continuo esercizio delle sue funzioni e di allerta permanente. Rilevo del resto che durante la sua pausa detto lavoratore non è sostituito.

40.

Se ricorrono simili condizioni, la qualifica di una pausa come «orario di lavoro», ai sensi della direttiva 2003/88, a mio avviso, non può dipendere dall’occasionalità e dall’imprevedibilità nonché dalla frequenza delle partenze per interventi durante tale pausa. Infatti, la qualifica adottata non dovrebbe dipendere dalla variazione di una simile alea, salvo rientrare in una casistica generatrice di incertezza giuridica. Inoltre, la Corte ha già dichiarato che la direttiva in parola deve applicarsi alle attività dei vigili del fuoco, «nonostante il fatto che gli interventi ai quali tali attività possono dar luogo siano, per loro natura, non prevedibili» ( 20 ).

41.

Rilevo, peraltro, che, secondo la Corte, tra gli elementi caratteristici della nozione di «orario di lavoro», ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2003/88, non figurano l’intensità del lavoro svolto dal lavoratore o il rendimento di quest’ultimo ( 21 ). Pertanto, la qualificazione come «orario di lavoro», ai sensi di tale direttiva, dei periodi di presenza del lavoratore sul luogo di lavoro non può dipendere dall’intensità dell’attività del lavoratore, bensì dipende unicamente dall’obbligo di quest’ultimo di tenersi a disposizione del proprio datore di lavoro ( 22 ). Inoltre, la constatazione secondo la quale l’attività effettivamente svolta varia secondo le circostanze non osta a che il lavoratore sia considerato nell’esercizio delle sue funzioni ( 23 ).

42.

Deduco da tali elementi che la qualificazione come «orario di lavoro», ai sensi della direttiva 2003/88, non dovrebbe essere riservata unicamente agli interventi che un lavoratore effettua durante la sua pausa, ma che essa si estende più ampiamente al periodo durante il quale tale lavoratore resta a disposizione del suo datore di lavoro per partire per un intervento entro due minuti in caso di necessità.

43.

Non nego che, come sostiene la Commissione europea, la pausa presenti, a causa della sua natura stessa, tratti particolari che la distinguono dai periodi di riposo giornaliero e settimanale di cui agli articoli 3 e 5 della direttiva 2003/88 e che possono far accompagnare le pause da specifici vincoli e restrizioni ( 24 ). Non si tratta dunque di sostenere che, sul piano qualitativo, le pause dovrebbero offrire ai lavoratori le medesime possibilità di dedicarsi ai propri interessi personali e sociali degli altri periodi di riposo che, in particolare per la loro lunghezza, offrono altre opportunità a tali lavoratori dal punto di vista delle occupazioni personali ( 25 ). Ciò premesso, l’interpretazione che suggerisco, a mio avviso, è la sola che garantisce che la pausa prevista all’articolo 4 della direttiva 2003/88 consenta effettivamente al lavoratore di dedicare tale tempo al riposo.

44.

La pausa costituisce, infatti, un tempo di riposo, come testimonia il considerando 5 della direttiva 2003/88 che ricomprende gli «adeguati periodi di pausa» nella condizione secondo cui «[t]utti i lavoratori dovrebbero avere periodi di riposo adeguati». Occorre inoltre rilevare, da un lato, che l’articolo 4 di tale direttiva è contenuto nel capo 2 di quest’ultima, il quale riguarda in particolare i «[p]eriodi minimi di riposo» e, d’altro lato, che tale articolo si colloca tra l’articolo 3, relativo al riposo giornaliero, e l’articolo 5, relativo al riposo settimanale.

45.

Ricordo, in proposito, che l’obiettivo della direttiva 2003/88 è fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante un ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro ( 26 ).

46.

Tale armonizzazione a livello dell’Unione europea in materia di organizzazione dell’orario di lavoro è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere a questi ultimi periodi minimi di riposo – in particolare giornaliero e settimanale – e periodi di pausa adeguati, e prevedendo un limite massimo per la durata settimanale del lavoro ( 27 ).

47.

Pertanto, oltre alle misure che sono tenuti ad adottare in conformità alle disposizioni degli articoli 3 e 5 della direttiva 2003/88 ( 28 ), gli Stati membri, conformemente all’articolo 4 di tale direttiva, sono tenuti a prendere «le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, qualora l’orario di lavoro giornaliero superi le 6 ore, di una pausa le cui modalità e, in particolare, la cui durata e condizioni di concessione sono fissate da contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali o, in loro assenza, dalla legislazione nazionale».

48.

Al fine di garantire la piena efficacia della direttiva 2003/88, è necessario che gli Stati membri garantiscano il rispetto di tali periodi minimi di riposo previsti dalla direttiva in parola ( 29 ). Ciò implica che gli Stati membri garantiscano che la pausa consenta effettivamente al lavoratore di dedicare tale tempo al riposo.

49.

Certamente, l’articolo 4 della direttiva 2003/88 non stabilisce le concrete modalità con cui gli Stati membri devono garantire l’attuazione del diritto a una pausa, che devono essere fissate da contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali o, in loro assenza, dalla legislazione nazionale.

50.

Tuttavia, come dichiarato dalla Corte a proposito dei periodi minimi di riposo di cui agli articoli 3 e 5 della direttiva 2003/88, si deve considerare che, sebbene gli Stati membri dispongano quindi di un potere discrezionale a tal fine, ciò non toglie che, tenuto conto dell’obiettivo essenziale perseguito dalla direttiva in parola, consistente nel garantire una protezione efficace delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori, e una migliore tutela della loro sicurezza e della loro salute, essi sono tenuti a garantire che l’effetto utile del diritto previsto all’articolo 4 di detta direttiva sia integralmente assicurato, facendoli beneficiare effettivamente di una pausa quando l’orario di lavoro giornaliero è superiore a sei ore ( 30 ).

51.

Ne consegue che le modalità definite dagli Stati membri per garantire l’attuazione delle prescrizioni della direttiva 2003/88 non devono essere tali da svuotare di contenuto il diritto a una pausa previsto all’articolo 4 di tale direttiva ( 31 ).

52.

In proposito, occorre ricordare che il lavoratore dev’essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di potergli imporre una restrizione dei suoi diritti ( 32 ).

53.

Orbene, mi sembra che la finalità perseguita dall’articolo 4 della direttiva 2003/88 non sia raggiungibile se il lavoratore può subire in qualsiasi momento un’interruzione della propria pausa. Tale incertezza connessa al verificarsi di un intervento, come ho precedentemente spiegato, è tale da porre il lavoratore in una situazione di allerta permanente, il che contrasta con la finalità di riposo della pausa. A mio avviso, su tale conclusione non incidono né la circostanza che le interruzioni della pausa siano occasionali e imprevedibili, né la loro frequenza.

54.

Infine, per completezza, rilevo che l’articolo 17, paragrafo 3, lettera c), iii), della direttiva 2003/88 prevede che possano essere concesse deroghe, in particolare, all’articolo 4 di tale direttiva per quanto concerne, tra gli altri, i servizi antincendio o di protezione civile. Tuttavia, poiché la controversia di cui al procedimento principale si concentra sulla qualificazione delle pause effettuate da XR, come «orario di lavoro» o «periodo di riposo», ai sensi di detta direttiva, non è necessario tener conto di tale disposizione che, lo preciso, non è stata oggetto della decisione di rinvio. In ogni caso, rilevo che la Corte ha dichiarato che l’articolo 17, paragrafo 3, lettera c), iii), della direttiva 2003/88 non consente agli Stati membri di derogare, con riferimento a talune categorie di lavoratori, all’articolo 2 di quest’ultima, che definisce in particolare le nozioni di «orario di lavoro» e di «periodo di riposo» ( 33 ).

55.

Alla luce delle precedenti considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima e alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 2 della direttiva 2003/88 dev’essere interpretato nel senso che costituisce «orario di lavoro», a norma di tale disposizione, la pausa concessa a un lavoratore durante il suo orario di lavoro giornaliero, nel corso della quale egli dev’essere a disposizione del proprio datore di lavoro per partire per un intervento entro due minuti in caso di necessità. L’occasionalità e l’imprevedibilità o la frequenza delle partenze per interventi durante detta pausa non incidono su tale qualifica.

B.   Sulla terza questione pregiudiziale

56.

Con la terza questione, il giudice del rinvio invita, in sostanza, la Corte a dichiarare se il diritto dell’Unione osti a che un giudice nazionale, che deve pronunciarsi dopo l’annullamento della sua decisione da parte di un giudice di grado superiore che gli ha rimesso la causa, sia vincolato, conformemente al diritto processuale nazionale, da valutazioni giuridiche svolte da detto giudice superiore, qualora tali valutazioni non siano conformi al diritto dell’Unione.

57.

Conformemente a una costante giurisprudenza della Corte, dal principio del primato del diritto dell’Unione discende che, ove non possa procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia delle medesime, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale ( 34 ).

58.

Il dovere gravante sul giudice nazionale di garantire il primato del diritto dell’Unione sussiste a prescindere dal rango occupato da tale giudice nell’ordinamento giuridico nazionale.

59.

Pertanto, nel contesto del rapporto tra giudici nazionali di grado inferiore e di grado superiore a seguito di un rinvio pregiudiziale, si deve ricordare che risulta da una giurisprudenza costante che la sentenza con la quale la Corte si pronunzia in via pregiudiziale vincola il giudice nazionale, per quanto concerne l’interpretazione o la validità degli atti delle istituzioni dell’Unione in questione, per la definizione della lite principale ( 35 ). Di conseguenza, il giudice nazionale, che abbia esercitato la facoltà ad esso attribuita dall’articolo 267, secondo comma, TFUE, è vincolato, ai fini della soluzione della controversia principale, dall’interpretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte e deve dunque eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell’organo giurisdizionale di grado superiore qualora esso ritenga, in considerazione di detta interpretazione, che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione ( 36 ).

60.

Aggiungo che l’esigenza di assicurare la piena efficacia del diritto dell’Unione include l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto interno incompatibile con il diritto dell’Unione ( 37 ). Pertanto, i giudici nazionali hanno l’obbligo di garantire la piena efficacia dell’articolo 267 TFUE disapplicando, ove necessario, di propria iniziativa, qualsiasi norma nazionale, quale interpretata da un organo giurisdizionale superiore, posto che tale interpretazione non è compatibile con il diritto dell’Unione ( 38 ).

61.

Alla luce delle precedenti considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alla terza questione pregiudiziale dichiarando che il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale, che deve pronunciarsi dopo l’annullamento della sua decisione da parte di un giudice di grado superiore che gli ha rimesso la causa, sia vincolato, conformemente al diritto processuale nazionale, da valutazioni giuridiche svolte da detto giudice superiore, qualora tali valutazioni non siano conformi al diritto dell’Unione.

V. Conclusione

62.

Alla luce delle precedenti considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere nel modo seguente alle questioni pregiudiziali sollevate dall’Obvodní soud pro Prahu 9 (Tribunale del distretto di Praga 9, Repubblica ceca):

1)

L’articolo 2 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, dev’essere interpretato nel senso che costituisce «orario di lavoro», a norma di tale disposizione, la pausa concessa a un lavoratore durante il suo orario di lavoro giornaliero, nel corso della quale egli dev’essere a disposizione del proprio datore di lavoro per partire per un intervento entro due minuti in caso di necessità. L’occasionalità e l’imprevedibilità o la frequenza delle partenze per interventi durante detta pausa non incidono su tale qualifica.

2)

Il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale, che deve pronunciarsi dopo l’annullamento della sua decisione da parte di un giudice di grado superiore che gli ha rimesso la causa, sia vincolato, conformemente al diritto processuale nazionale, da valutazioni giuridiche svolte da detto giudice superiore, qualora tali valutazioni non siano conformi al diritto dell’Unione.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2003, L 299, pag. 9.

( 3 ) Secondo il tasso di cambio vigente al 3 gennaio 2019, data della decisione di rinvio.

( 4 ) V., in particolare, sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanţa e a. (C‑147/17, EU:C:2018:926, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

( 5 ) Il giudice del rinvio sottolinea del resto che l’oggetto delle questioni pregiudiziali non è in alcun senso la determinazione dell’importo del compenso per il periodo in discussione (v. punto 23 della decisione di rinvio).

( 6 ) V., in particolare, sentenza del 26 luglio 2017, Hälvä e a. (C‑175/16, EU:C:2017:617, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

( 7 ) V., in particolare, sentenza del 21 febbraio 2018, Matzak (C‑518/15, EU:C:2018:82, punto 55 e giurisprudenza ivi citata; in prosieguo: la «sentenza Matzak»).

( 8 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Matzak (C‑518/15, EU:C:2017:619, paragrafo 49).

( 9 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Commissione/Irlanda (C‑87/14, EU:C:2015:192, paragrafo 40).

( 10 ) V., in particolare, sentenza Matzak (punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

( 11 ) V. sentenza Matzak (punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

( 12 ) V., in particolare, sentenza Matzak (punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

( 13 ) V., in particolare, sentenza Matzak (punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

( 14 ) V. sentenza Matzak (punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

( 15 ) V. sentenza Matzak (punto 63).

( 16 ) V. sentenza Matzak (punto 64).

( 17 ) V. sentenza Matzak (punto 65).

( 18 ) V. sentenza Matzak (punto 66).

( 19 ) V. sentenza del 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras (C‑266/14, EU:C:2015:578, punto 36).

( 20 ) V., in particolare, sentenza Matzak (punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

( 21 ) V., in particolare, sentenza Matzak (punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

( 22 ) V. sentenza del 1o dicembre 2005, Dellas e a. (C‑14/04, EU:C:2005:728, punto 58).

( 23 ) V. sentenza Matzak (punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

( 24 ) In particolare, la pausa è gravata da vincoli temporali e geografici correlati alla sua breve durata. Il fatto che si inserisca tra due periodi di lavoro può inoltre avere come conseguenza che il lavoratore, ad esempio, in talune tipologie di lavoro, debba conservare la propria uniforme durante la sua pausa.

( 25 ) È quindi evidente che un lavoratore non può disporre del proprio tempo con la stessa libertà quando beneficia di trenta minuti di pausa e quando beneficia di undici ore di riposo giornaliero o di ventiquattro ore di riposo settimanale.

( 26 ) V., in particolare, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO (C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

( 27 ) V., in particolare, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO (C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

( 28 ) V., in particolare, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO (C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

( 29 ) V., in particolare, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO (C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

( 30 ) V., in particolare, per analogia, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO (C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

( 31 ) V., in particolare, per analogia, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO (C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri dall’articolo 4 della direttiva 2003/88 è destinato unicamente a permettere che la durata e la frequenza delle pause siano adeguate ai vincoli connessi all’organizzazione del lavoro e alla natura di quest’ultimo. Tale idea si riflette del resto nell’articolo 13 della medesima direttiva, ai sensi del quale «[g]li Stati membri prendono le misure necessarie affinché il datore di lavoro che prevede di organizzare il lavoro secondo un certo ritmo tenga conto del principio generale dell’adeguamento del lavoro all’essere umano, segnatamente per attenuare il lavoro monotono e il lavoro ripetitivo, a seconda del tipo di attività e delle esigenze in materia di sicurezza e di salute, in particolare per quanto riguarda le pause durante l’orario di lavoro» (il corsivo è mio).

( 32 ) V., in particolare, per analogia, sentenza del 14 maggio 2019, CCOO (C‑55/18, EU:C:2019:402, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

( 33 ) V. sentenza Matzak (punto 39).

( 34 ) V., in particolare, sentenza del 24 giugno 2019, Popławski (C‑573/17, EU:C:2019:530, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

( 35 ) V., in particolare, sentenza del 5 ottobre 2010, Elchinov (C‑173/09, EU:C:2010:581, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

( 36 ) V. sentenza del 5 ottobre 2010, Elchinov (C‑173/09, EU:C:2010:581, punto 30).

( 37 ) V., in particolare, sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov (C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

( 38 ) V., in particolare, sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov (C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 36).

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