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Document 62017CJ0709

    Sentenza della Corte (Quarta Sezione) del 12 settembre 2019.
    Commissione europea contro Kolachi Raj Industrial (Private) Ltd.
    Impugnazione – Dumping – Regolamento di esecuzione (UE) 2015/776 – Importazione di biciclette spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine – Estensione a tali importazioni del dazio antidumping definitivo instituito sulle importazioni di biciclette originarie dalla Cina – Regolamento (CE) n. 1225/2009 – Articolo 13 – Elusione – Operazioni di assemblaggio – Provenienza e origine dei pezzi di bicicletta – Pezzi spediti dalla Cina in Sri Lanka, lavorati in Sri Lanka e successivamente spediti in Pakistan per l’assemblaggio.
    Causa C-709/17 P.

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2019:717

    SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

    12 settembre 2019 ( *1 ) ( 1 )

    «Impugnazione – Dumping – Regolamento di esecuzione (UE) 2015/776 – Importazione di biciclette spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine – Estensione a tali importazioni del dazio antidumping definitivo instituito sulle importazioni di biciclette originarie dalla Cina – Regolamento (CE) n. 1225/2009 – Articolo 13 – Elusione – Operazioni di assemblaggio – Provenienza e origine dei pezzi di bicicletta – Pezzi spediti dalla Cina in Sri Lanka, lavorati in Sri Lanka e successivamente spediti in Pakistan per l’assemblaggio»

    Nella causa C‑709/17 P,

    avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 18 dicembre 2017,

    Commissione europea, rappresentata da M. França, J.‑F. Brakeland e A. Demeneix, in qualità di agenti,

    ricorrente,

    procedimento in cui le altre parti sono:

    Kolachi Raj Industrial (Private) Ltd, con sede in Karachi (Pakistan), rappresentata da P. Bentley, QC,

    ricorrente in primo grado,

    European Bicycle Manufacturers Association (EBMA), rappresentata da J. Beck, solicitor, e da L. Ruessmann, avocat,

    interveniente in primo grado,

    LA CORTE (Quarta Sezione),

    composta da M. Vilaras, presidente di sezione, K. Jürimäe (relatrice), D. Šváby, S. Rodin e N. Piçarra, giudici,

    avvocato generale: G. Pitruzzella

    cancelliere: L. Hewlett, amministratrice principale

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 gennaio 2019,

    sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 aprile 2019,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    Con la sua impugnazione, la Commissione europea chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 10 ottobre 2017, Kolachi Raj Industrial/Commissione (T‑435/15; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2017:712), con la quale quest’ultimo ha annullato il regolamento di esecuzione (UE) 2015/776 della Commissione, del 18 maggio 2015, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento (UE) n. 502/2013 del Consiglio sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese alle importazioni di biciclette spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarate originarie della Cambogia, del Pakistan e delle Filippine (GU 2015, L 122, pag. 4; in prosieguo: il «regolamento controverso»), nella parte in cui riguarda la Kolachi Raj Industrial (Private) Ltd (in prosieguo: la «Kolachi Raj»).

    Contesto normativo

    2

    All’epoca dei fatti all’origine della controversia, le disposizioni disciplinanti l’adozione di misure antidumping da parte dell’Unione europea erano contenute nel regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51, e rettifica in GU 2010, L 7, pag. 22), come modificato dal regolamento (UE) n. 37/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2014 (GU 2014, L 18, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di base»).

    3

    Il considerando 19 del regolamento di base così recitava:

    «[...] Poiché i negoziati multilaterali non hanno sinora avuto alcun risultato e in attesa dell’esito del deferimento al comitato antidumping del WTO, è necessario che la legislazione comunitaria preveda disposizioni per far fronte a pratiche, incluso il semplice assemblaggio nell’[Unione] oppure in un paese terzo, volte essenzialmente ad eludere le misure antidumping».

    4

    L’articolo 13 del regolamento di base, intitolato «Elusione», era formulato come segue:

    «1.   L’applicazione dei dazi antidumping istituiti a norma del presente regolamento può essere estesa alle importazioni da paesi terzi di prodotti simili, leggermente modificati o meno, o alle importazioni dal paese oggetto delle misure di prodotti simili leggermente modificati, o di loro parti, se le misure in vigore vengono eluse. Dazi antidumping non superiori al dazio antidumping residuo istituito a norma dell’articolo 9, paragrafo 5 possono essere estesi alle importazioni dei prodotti delle società che beneficiano di dazi individuali dei paesi oggetto delle misure, se le misure in vigore sono eluse. Si intende per elusione una modificazione della configurazione degli scambi tra i paesi terzi e [l’Unione] o tra società del paese oggetto delle misure e [l’Unione] che derivi da pratiche, processi o lavorazioni per i quali non vi sia una sufficiente motivazione o giustificazione economica oltre all’istituzione del dazio, essendo provato che sussiste un pregiudizio o che risultano indeboliti gli effetti riparatori del dazio in termini di prezzi e/o di quantitativi dei prodotti simili, ed essendo provato altresì, se necessario conformemente alle disposizioni dell’articolo 2, che esiste un dumping in relazione ai valori normali precedentemente accertati per i prodotti simili.

    Le pratiche, i processi o le lavorazioni di cui al primo comma comprendono, tra l’altro, le leggere modificazioni apportate al prodotto in esame in vista di una sua classificazione sotto codici doganali normalmente non soggetti alle misure, sempreché la modifica non alteri le sue caratteristiche essenziali, la spedizione del prodotto oggetto delle misure attraverso paesi terzi, la riorganizzazione della struttura delle vendite e dei canali di vendita da parte degli esportatori o dei produttori del paese oggetto delle misure al fine ultimo di esportare i loro prodotti nell’[Unione] attraverso i produttori che beneficiano di aliquote del dazio individuali inferiori a quelle applicabili ai prodotti dei fabbricanti e, nelle circostanze indicate al paragrafo 2, l’assemblaggio di parti per mezzo di operazioni di assemblaggio nell’[Unione] o in un paese terzo.

    2.   Operazioni di assemblaggio nell’[Unione] o in un paese terzo sono considerate elusive delle misure vigenti, nelle seguenti circostanze:

    a)

    le operazioni sono iniziate o sostanzialmente aumentate dopo l’apertura dell’inchiesta antidumping oppure nel periodo immediatamente precedente e i pezzi utilizzati sono originari del paese soggetto alla misura; e

    b)

    il valore dei pezzi suddetti è uguale o superiore al 60% del valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato; l’elusione è tuttavia esclusa se il valore aggiunto ai pezzi originato nell’operazione di assemblaggio o di completamento è superiore al 25% del costo di produzione; e

    c)

    gli effetti riparatori del dazio sono indeboliti in termini di prezzi e/o di quantitativi del prodotto simile assemblato, e vi siano elementi di prova dell’esistenza del dumping in relazione ai valori normali precedentemente determinati per i prodotti simili o similari.

    3.   Le inchieste sono avviate a norma del presente articolo su iniziativa della Commissione o su richiesta di uno Stato membro o di una parte interessata in base ad elementi di prova sufficienti relativi ai fattori enunciati nel paragrafo 1. L’apertura delle inchieste è decisa con regolamento della Commissione che può stabilire inoltre che le autorità doganali devono sottoporre le importazioni a registrazione a norma dell’articolo 14, paragrafo 5, oppure chiedere la costituzione di garanzie. La Commissione fornisce informazioni agli Stati membri una volta che una parte interessata o uno Stato membro abbia presentato una richiesta che giustifichi l’apertura di un’inchiesta e la Commissione ne abbia completato l’analisi o qualora la Commissione abbia essa stessa stabilito che vi è la necessità di aprire un’inchiesta.

    Le inchieste sono svolte dalla Commissione. Essa può essere assistita dalle autorità doganali e l’inchiesta si conclude entro nove mesi.

    Se l’estensione delle misure è giustificata dai fatti definitivamente accertati, la relativa decisione è adottata dalla Commissione che delibera secondo la procedura d’esame di cui all’articolo 15, paragrafo 3. L’estensione entra in vigore alla data in cui è stata imposta la registrazione a norma dell’articolo 14, paragrafo 5, oppure a quella in cui è stata chiesta la costituzione di garanzie. Alle inchieste aperte a norma del presente articolo si applicano le disposizioni del presente regolamento relative alle procedure in materia di apertura e di svolgimento delle inchieste.

    4.   Non sono soggette alla registrazione a norma dell’articolo 14, paragrafo 5, né ad alcuna misura le importazioni effettuate da società che beneficiano di esenzioni. Le richieste di esenzione, sostenute da sufficienti elementi di prova, devono essere presentate entro i termini stabiliti dal regolamento della Commissione con il quale è avviata l’inchiesta. Se le pratiche, i processi o le lavorazioni intesi all’elusione delle misure hanno luogo al di fuori [dell’Unione], possono essere concesse esenzioni ai produttori del prodotto in esame che dimostrino di non essere collegati ad alcun produttore interessato dalle misure e per i quali si sia accertato che non sono coinvolti in pratiche di elusione ai sensi dei paragrafi 1 e 2 del presente articolo. Se le pratiche, i processi o le lavorazioni intesi all’elusione delle misure hanno luogo all’interno [dell’Unione], possono essere concesse esenzioni agli importatori in grado di dimostrare che non sono collegati ai produttori oggetto delle misure.

    Tali esenzioni sono concesse con decisione della Commissione e sono valide per il periodo e alle condizioni fissati nella decisione. La Commissione fornisce informazioni agli Stati membri una volta conclusa la sua analisi.

    Ove ricorrano le condizioni di cui all’articolo 11, paragrafo 4, le esenzioni possono essere concesse anche dopo la conclusione dell’inchiesta che ha portato all’estensione delle misure.

    A condizione che sia trascorso almeno un anno dall’estensione delle misure e se il numero delle parti che hanno chiesto o che potrebbero chiedere un’esenzione è significativo, la Commissione può decidere di avviare un riesame dell’estensione delle misure. Tale riesame è eseguito a norma [delle disposizioni] dell’articolo 11, paragrafo 5, applicabili ai riesami a norma dell’articolo 11, paragrafo 3.

    5.   Il presente articolo non osta alla normale applicazione delle disposizioni vigenti in materia di dazi doganali».

    5

    Ai sensi dell’articolo 16 del regolamento di base:

    «1.   La Commissione, se lo ritiene necessario, effettua visite per esaminare la documentazione contabile di importatori, esportatori, operatori commerciali, agenti, produttori, associazioni e organizzazioni di categoria, allo scopo di verificare le informazioni comunicate in materia di dumping e di pregiudizio. In mancanza di una risposta adeguata e tempestiva, la Commissione può decidere di non effettuare la visita di verifica.

    (…)

    3.   Le imprese interessate vengono informate sulla natura delle informazioni da verificare durante le visite e sugli ulteriori elementi da fornire, fermo restando che nel corso delle visite possono essere chiesti altri dati particolari, alla luce delle informazioni già ottenute.

    (…)».

    6

    L’articolo 18 del regolamento di base così prevedeva:

    «1.   Qualora una parte interessata rifiuti l’accesso alle informazioni necessarie oppure non le comunichi entro i termini fissati dal presente regolamento oppure ostacoli gravemente l’inchiesta, possono essere elaborate conclusioni provvisorie o definitive, affermative o negative, in base ai dati disponibili. Se si accerta che una parte interessata ha fornito informazioni false o fuorvianti, non si tiene conto di tali informazioni e possono essere utilizzati i dati disponibili. Le parti interessate vengono informate delle conseguenze dell’omessa collaborazione.

    (…)

    3.   Le informazioni presentate da una parte interessata che non sono perfettamente conformi alle condizioni richieste non devono essere disattese, a condizione che le eventuali carenze non siano tali da provocare eccessive difficoltà per l’elaborazione di conclusioni sufficientemente precise e che le informazioni siano state presentate correttamente entro i termini e siano verificabili e la parte interessata abbia agito con la massima diligenza.

    (…)

    6.   L’esito dell’inchiesta per una parte interessata che non collabora oppure collabora solo in parte, impedendo in tal modo l’accesso ad informazioni pertinenti, può essere meno favorevole rispetto alle conclusioni che eventualmente sarebbero state raggiunte se la parte avesse collaborato».

    Fatti e regolamento controverso

    7

    I fatti all’origine della controversia sono esposti ai punti da 1 a 27 della sentenza impugnata. Ai fini del presente procedimento, possono essere riassunti come segue.

    8

    Nel corso del 1993, il Consiglio ha istituito un dazio antidumping definitivo del 30,6% sulle importazioni nell’Unione di biciclette originarie della Cina. Successivamente, tale dazio è stato mantenuto allo stesso livello. Nel corso del 2005, detto dazio è stato aumentato all’aliquota del 48,5%. Esso è stato mantenuto a quest’ultimo livello con il regolamento (UE) n. 502/2013 del Consiglio, del 29 maggio 2013, recante modifica del regolamento di esecuzione (UE) n. 990/2011 del Consiglio, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di biciclette originarie della Repubblica popolare cinese in seguito a un riesame intermedio a norma dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento n. 1225/2009 (GU 2013, L 153, p. 17).

    9

    Tale dazio antidumping è stato esteso, nel corso del 2013, alle importazioni di biciclette spedite, in particolare, dallo Sri Lanka, indipendentemente dal fatto che fossero o no dichiarate originarie di detto paese, in seguito a un’inchiesta antielusione a norma dell’articolo 13 del regolamento di base.

    10

    Dopo aver ricevuto una nuova denuncia nel 2014, la Commissione ha avviato un’inchiesta relativa alla possibile elusione delle misure antidumping istituite dal regolamento n. 502/2013 mediante importazioni di biciclette spedite dalla Cambogia, dal Pakistan e dalle Filippine.

    11

    La Kolachi Raj, società di diritto pakistano, ha partecipato a tale inchiesta. Dalle indicazioni contenute nel «Formulario per le società richiedenti un’esenzione dall’eventuale estensione dei dazi», compilato da tale società, risultava che quest’ultima acquistava pezzi di bicicletta provenienti dallo Sri Lanka e dalla Cina per l’assemblaggio di biciclette in Pakistan. La Kolachi Raj ha designato cinque società come sue fornitrici, tra cui la Great Cycles Pvt Ltd e la Flying Horse Pvt Ltd. La Kolachi Raj ha indicato che il suo proprietario e quello dalla Great Cycles erano un’unica persona fisica.

    12

    Il 17 e il 18 febbraio 2015, la Commissione ha effettuato una visita di verifica nei locali della Great Cycles a Katunayake (Sri Lanka) per determinare, in particolare, se la quota dei pezzi di bicicletta provenienti dalla Cina fosse – come sostenuto dalla Kolachi Raj – inferiore al 60% del valore complessivo dei pezzi utilizzati nelle operazioni di assemblaggio effettuate dalla Kolachi Raj in Pakistan. La Commissione ha concentrato la sua inchiesta sui dati relativi alla Flying Horse, da cui la Kolachi Raj acquistava il 93% dei pezzi di bicicletta utilizzati nelle sue operazioni di assemblaggio. Secondo gli elementi presentati dalla Kolachi Raj, la Flying Horse non era collegata alla prima ed era un intermediario, che acquistava pezzi in numero pressoché uguale in Cina e in Sri Lanka – rispettivamente, il 46% e 47% di tutti i pezzi di bicicletta utilizzati nelle operazioni di assemblaggio della Kolachi Raj in Pakistan – rivendendoli a quest’ultima.

    13

    È emerso che la Flying Horse acquistava un rilevante volume di telai, forcelle, cerchi in lega e ruote in plastica dalla Great Cycles, fabbricante di pezzi di bicicletta stabilita in Sri Lanka e collegata alla Kolachi Raj. Gli pneumatici e i nastri per i cerchioni, invece, venivano acquistati dalla Vechenson Limited, fabbricante di pezzi di bicicletta anch’essa stabilita in Sri Lanka e non collegata alla Kolachi Raj. A causa di una serie di anomalie rilevate, la Commissione ha espresso dubbi in merito alla relazione esistente tra la Kolachi Raj e la Flying Horse.

    14

    La Commissione ha ritenuto che i pezzi di bicicletta acquistati, con l’intermediazione della Flying Horse, dalla Vechenson fossero originari dello Sri Lanka. Per contro, essa ha respinto i certificati di origine «modulo A», rilasciati dal Ministero del Commercio della Repubblica democratica socialista dello Sri Lanka e presentati dalla Kolachi Raj relativi ai pezzi di bicicletta acquistati, con l’intermediazione della Flying Horse, dalla Great Cycles (in prosieguo: i «certificati di origine»).

    15

    In tali circostanze, sulla base degli elementi di prova forniti dalla Kolachi Raj riguardanti i costi di fabbricazione dei pezzi lavorati dalla Great Cycles in Sri Lanka durante il periodo di riferimento, la Commissione ha calcolato che una parte rappresentante più del 65% del totale delle materie prime utilizzate per la fabbricazione di tali pezzi di biciclette in Sri Lanka proveniva dalla Cina, mentre una parte corrispondente al 31% di detto totale proveniva dallo Sri Lanka, e che il valore aggiunto a tali materie prime durante il processo di fabbricazione di detti pezzi in Sri Lanka rappresentava meno del 25%. Essa ne ha concluso che la Kolachi Raj aveva partecipato a operazioni di elusione delle misure antidumping e il 13 marzo 2015 le ha comunicato tale conclusione.

    16

    Nelle sue osservazioni scritte del 27 marzo 2015, relative alle conclusioni della Commissione, la Kolachi Raj ha fatto valere che quest’ultima non era legittimata a rimettere in discussione il fatto che i pezzi fornitile dalla Great Cycles erano originari dello Sri Lanka.

    17

    Il 18 maggio 2015 la Commissione ha adottato il regolamento controverso.

    18

    Al considerando 22 di tale regolamento, la Commissione rileva, in particolare, che si è considerato che la Kolachi Raj abbia collaborato nel corso dell’inchiesta.

    19

    Al punto 2.5.3 della motivazione di detto regolamento, intitolato «Pakistan», i considerando da 94 a 106 di detto regolamento sono dedicati all’inchiesta della Commissione concernente la Kolachi Raj. In via preliminare, la Commissione, al considerando 94 di detto regolamento, pone in evidenza i collegamenti esistenti tra la Kolachi Raj e «una società dello Sri Lanka che è stata oggetto della precedente inchiesta antielusione ed è soggetta alle misure estese», aggiungendo che gli azionisti di detta società avevano costituito una società in Cambogia, coinvolta anch’essa nelle esportazioni di biciclette nell’Unione e che «non ha collaborato alla presente inchiesta, pur avendo esportato il prodotto oggetto dell’inchiesta sul mercato dell’Unione nel 2013». Al medesimo considerando, la Commissione aggiunge che la società cambogiana ha cessato le sue attività in Cambogia nel corso del periodo di riferimento, trasferendole alla società collegata avente sede in Pakistan.

    20

    Al considerando 96 del regolamento controverso, la Commissione sottolinea che dall’inchiesta non sono emerse pratiche di trasbordo di prodotti originari della Cina attraverso il Pakistan e, ai considerando 98 e 99 di detto regolamento, essa espone le anomalie rilevate durante la medesima inchiesta. Essa dedica i considerando 100 e 101 del regolamento controverso alla questione riguardante il valore probatorio dei certificati di origine «modulo A», nonché alla quota di materie prime provenienti dalla Cina utilizzate per la fabbricazione di pezzi di biciclette in Sri Lanka. Dopo l’esposizione, al considerando 100 di tale regolamento, degli argomenti della Kolachi Raj, il considerando 101 di detto regolamento è così formulato:

    « Come spiegato al considerando 98, i […]/certificati di origine non sono stati considerati prove sufficienti per dimostrare l’origine delle parti di biciclette acquistate in Sri Lanka in quanto sono stati rilasciati sulla base non dei costi reali di fabbricazione ma di una proiezione di tali costi per il futuro, senza alcuna garanzia che le parti di biciclette siano state effettivamente fabbricate nel rispetto dei costi previsti. Va inoltre precisato che la Commissione non contesta, in generale, il metodo seguito per il rilascio dei moduli A/certificati di origine nello Sri Lanka, aspetto che va oltre la portata della presente inchiesta, ma valuta semplicemente se le condizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base siano soddisfatte nel caso di specie. In tali circostanze, pur prendendo atto che in effetti l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base non costituisce in sé una norma di origine, la Commissione ha concluso a giusto titolo che, poiché le parti in questione erano state fabbricate per oltre il 60% con materie prime cinesi e il valore aggiunto era inferiore al 25% dei costi di produzione, le parti stesse provenissero dalla Cina. Tutte le affermazioni di cui sopra sono state pertanto respinte».

    21

    Al considerando 104 del regolamento controverso, la Commissione ha ritenuto che dall’inchiesta non sono emerse «altre motivazioni o giustificazioni economiche per le operazioni di assemblaggio se non l’elusione delle misure in vigore nei confronti del prodotto in esame».

    22

    Inoltre, al considerando 147 del regolamento controverso, la Commissione ha constatato l’esistenza, per quanto riguarda il Pakistan, di un «dumping significativo» e, al considerando 163 di tale regolamento, ha respinto la possibilità di esentare la Kolachi Raj dalla eventuale estensione delle misure.

    23

    In forza dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento controverso, il dazio antidumping definitivo del 48,5% applicabile alle importazioni di biciclette originarie della Cina è stato esteso alle importazioni di biciclette spedite dal Pakistan, indipendentemente dal fatto che fossero o no dichiarate originarie di tale paese.

    Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

    24

    Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 29 luglio 2015, la Kolachi Raj ha proposto un ricorso inteso all’annullamento del regolamento controverso nella parte che la riguarda.

    25

    Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 novembre 2015, la European Bicycle Manufacturers Association (EBMA) ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. Il presidente della Settima Sezione del Tribunale ha accolto tale domanda con ordinanza del 9 marzo 2016.

    26

    A sostegno del suo ricorso di annullamento, la Kolachi Raj ha dedotto un motivo unico, relativo alla violazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base. Con tale motivo, la Kolachi Raj sosteneva, in particolare, che la Commissione aveva erroneamente applicato tale disposizione, come norma relativa all’origine, ad operazioni di fabbricazione di pezzi di bicicletta in Sri Lanka, mentre l’inchiesta verteva su un’eventuale elusione delle misure antidumping in Pakistan, e che tale istituzione né aveva dimostrato l’insufficiente valore probatorio dei certificati di origine né aveva adottato misure al fine di applicare le regole relative all’origine previste dalla legislazione doganale dell’Unione.

    27

    Mediante la sentenza impugnata, il Tribunale ha accolto il motivo unico della Kolachi Raj, nella parte in cui contestava alla Commissione di aver erroneamente applicato «per analogia» l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base e l’ha respinto nella parte in cui riguardava il valore probatorio dei certificati di origine.

    28

    In tale misura, il Tribunale ha annullato il regolamento controverso nella parte in cui riguardava la Kolachi Raj.

    Domande delle parti in sede di impugnazione

    29

    Con la sua impugnazione, la Commissione chiede che la Corte voglia:

    annullare la sentenza impugnata, respingere il ricorso presentato in primo grado e condannare la Kolachi Raj alle spese, o

    in via subordinata, rinviare la causa al Tribunale ai fini del riesame e riservare le spese relative sia al procedimento di primo grado sia all’impugnazione.

    30

    La Kolachi Raj chiede che la Corte voglia:

    respingere integralmente l’impugnazione;

    in via subordinata, correggere la sentenza impugnata e confermarne il dispositivo;

    condannare la Commissione a sopportare le proprie spese sostenute nell’ambito dell’impugnazione nonché le spese sostenute dalla Kolachi Raj, e

    condannare l’EBMA a sopportare le proprie spese sostenute nell’ambito dell’impugnazione.

    31

    L’EBMA chiede che la Corte voglia:

    annullare la sentenza impugnata, respingere il ricorso presentato in primo grado e condannare la Kolachi Raj alle spese relative sia al procedimento di primo grado sia all’impugnazione, o

    in via subordinata, rinviare la causa al Tribunale ai fini del riesame, riservare le spese relative al procedimento di primo grado e condannare la Kolachi Raj alle spese relative all’impugnazione.

    Sull’impugnazione

    Argomenti delle parti

    32

    A sostegno della sua impugnazione, la Commissione deduce un motivo unico, vertente sugli errori di diritto commessi dal Tribunale nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 13 del regolamento di base. Tale motivo, diretto avverso i punti da 83 a 93 e da 107 a 119 della sentenza impugnata, è diviso in due parti.

    Sulla prima parte del motivo unico d’impugnazione

    33

    Con la prima parte del suo motivo unico, la Commissione sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto in quanto si è basato sulle regole relative all’origine ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

    34

    Innanzitutto, la Commissione sostiene che l’interpretazione secondo cui, da un lato, la nozione di «provenienza» si basa sulle regole relative all’origine e, dall’altro, la provenienza dei pezzi utilizzati per l’assemblaggio può essere dimostrata solo mediante l’applicazione di tali regole, non trova alcun fondamento nella formulazione testuale dell’articolo 13 del regolamento di base.

    35

    Invero, tale testo non farebbe alcun riferimento alle regole relative all’origine e rifletterebbe la scelta del legislatore dell’Unione di escludere la loro applicazione nell’ambito della valutazione di un’operazione di assemblaggio ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base. Tale scelta risulterebbe dalle successive modifiche delle disposizioni della normativa di base sull’elusione. A tale riguardo, poiché le regole relative all’origine si sono rivelate sempre più inadeguate ad individuare i casi di elusione flagranti, l’ambito delle regole antielusione, inizialmente circoscritto all’assemblaggio di pezzi «originari del paese di esportazione del prodotto soggetto al dazio antidumping», sarebbe stato esteso all’assemblaggio di pezzi provenienti dal paese soggetto a siffatto dazio con il regolamento (CE) n. 3283/94 del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1994, L 349, pag. 1).

    36

    Pertanto, l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base istituirebbe, da allora, un regime giuridico distinto e indipendente dalle regole relative all’origine. Il diritto doganale sarebbe rilevante solo qualora il regolamento di base vi faccia esplicitamente rinvio.

    37

    Inoltre, la Commissione fa valere che l’interpretazione adottata dal Tribunale riduce indebitamente l’efficacia dello strumento antielusione. Per contro, l’applicazione per analogia dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base ai pezzi utilizzati nelle operazioni di assemblaggio di cui trattasi permetterebbe di preservare tale efficacia.

    38

    In primo luogo, mentre l’articolo 13 del regolamento di base permetterebbe di adottare un approccio globale per tutte le transazioni riguardanti i pezzi di cui trattasi ed effettuate nel corso dell’anno di riferimento interessato, i criteri fissati dalle regole relative all’origine dovrebbero essere verificati per ogni pezzo individuale. Orbene, tale verifica sarebbe impossibile nell’ambito di un’inchiesta antielusione, alla luce dei vincoli inerenti a siffatta inchiesta.

    39

    In secondo luogo, le regole relative all’origine non comporterebbero alcuna disposizione analoga all’articolo 18 del regolamento di base, che permetterebbe alla Commissione di fare ricorso a un insieme di indizi concordanti per dimostrare, in caso di omessa collaborazione delle parti interessate, la sussistenza delle condizioni richieste al fine di imporre misure antielusione.

    40

    In terzo luogo, l’interpretazione effettuata dal Tribunale modificherebbe il regime giuridico applicabile ai pezzi utilizzati per l’assemblaggio qualora sia aggiunto un passaggio elusivo supplementare tra il paese soggetto alle misure e quello in cui i pezzi sono assemblati. Infatti, in tal caso, siffatta interpretazione equivarrebbe a sostituire le regole di cui all’articolo 13 del regolamento di base con le regole relative all’origine derivanti dal diritto doganale, nonché a rendere inapplicabile lo strumento antielusione.

    41

    In quarto luogo, la sentenza impugnata non conterrebbe alcuna indicazione in merito al punto se, al fine di determinare l’origine dei pezzi acquistati, nella fattispecie, in Sri Lanka, occorra fare riferimento per analogia alle regole relative all’origine dell’Unione, o alle regole relative all’origine del paese verso cui tali pezzi sono esportati, vale a dire quelle della Repubblica islamica del Pakistan.

    42

    In quinto luogo, l’interpretazione adottata dal Tribunale, nella fattispecie, creerebbe una lacuna normativa, in quanto i pezzi di cui trattasi non sarebbero né originari dello Sri Lanka, né della Cina, mentre l’applicazione per analogia dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base permetterebbe di colmare tale lacuna.

    43

    In sesto luogo, tale applicazione per analogia sarebbe stata parte delle attività di inchiesta condotte al fine di stabilire se le biciclette assemblate dalla Kolachi Raj soddisfacessero effettivamente i criteri previsti dall’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

    44

    L’EBMA, che sostiene l’argomentazione presentata dalla Commissione, ritiene che la prima parte del motivo unico d’impugnazione sia fondata. A suo parere, il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel giudicare, ai punti da 84 a 86 della sentenza impugnata, che i termini «provengono da», impiegati nella versione francese dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base, debbano intendersi come riguardanti la provenienza dal paese di esportazione immediato.

    45

    In primo luogo, poiché l’articolo 13 del regolamento di base non attuerebbe disposizioni dell’accordo sull’attuazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 (GU 1994, L 336, pag. 103), i termini «provengono da», di cui al suo paragrafo 2, lettera a), della versione francese non potrebbero essere interpretati alla luce delle disposizioni del regolamento di base, le quali, come l’articolo 3, paragrafo 4, e l’articolo 9, paragrafi 5 e 6, dello stesso, menzionati dal Tribunale, attuerebbero le disposizioni di tale accordo. Pertanto, ciò varrebbe a maggior ragione poiché, mentre le disposizioni basate su regole contenute in tale accordo, e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base riguardavano importazioni nell’Unione del prodotto finale, l’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), di tale regolamento riguardava importazioni di pezzi in vista dell’assemblaggio del prodotto finale.

    46

    In secondo luogo, l’interpretazione restrittiva adottata dal Tribunale dei termini «provengono da» impiegati nella versione francese si scontrerebbe con l’obiettivo perseguito dall’articolo 13 del regolamento di base, vale a dire garantire l’efficacia delle misure antidumping dell’Unione e impedirne l’elusione. Inoltre, tale interpretazione rimetterebbe in discussione il margine di discrezionalità della Commissione nelle inchieste antielusione e ignorerebbe le realtà economiche attuali relative alle catene di approvvigionamento mondiali.

    47

    Infatti, sarebbe sufficiente che gli operatori aggiungano un’operazione di trasformazione dei pezzi, anche limitata, in un ulteriore paese terzo per aggirare le misure antielusione. Pertanto, nella fattispecie, l’interpretazione adottata dal Tribunale permetterebbe agli operatori di «riciclare» pezzi assemblati in Sri Lanka, di cui sia accertato che hanno dato luogo a un’elusione delle misure antidumping, mediante la loro spedizione da tale paese verso il Pakistan al fine di proseguire lì il loro assemblaggio invece di spedirli direttamente verso l’Unione.

    48

    Per porre rimedio a tale situazione, occorrerebbe permettere alla Commissione di includere, nell’esame delle condizioni stabilite dall’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, pezzi provenienti dal paese soggetto alle misure iniziali e trasportati, attraverso un paese terzo, verso il paese terzo oggetto dell’inchiesta antielusione, in particolare, qualora la lavorazione o la trasformazione di tali pezzi non soddisfino tali condizioni.

    49

    La Kolachi Raj replica che la prima parte del motivo unico d’impugnazione non è fondata.

    50

    In primo luogo, la Kolachi Raj ritiene che l’argomentazione della Commissione, secondo cui il legislatore dell’Unione ha deliberatamente escluso l’applicazione delle regole relative all’origine nell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base, è erronea.

    51

    Infatti, detto legislatore non avrebbe spiegato le ragioni che avrebbero giustificato l’utilizzo, e in seguito l’abbandono, della nozione di «origine» nell’ambito delle regole antielusione. In assenza di una definizione della nozione di «provenienza» nel regolamento di base, quest’ultima non può essere considerata come una nozione autonoma, ma dovrebbe essere interpretata conformemente al suo significato normalmente attribuito e in funzione di concetti simili previsti dalla legislazione dell’Unione, tra cui figura, in particolare, la nozione doganale di «origine». Inoltre, dall’articolo 13, paragrafo 5, del regolamento di base discenderebbe che tale articolo 13 non osta alla normale applicazione delle disposizioni dell’Unione in materia doganale, relative all’origine non preferenziale.

    52

    In secondo luogo, la Kolachi Raj contesta la lettura della sentenza impugnata fatta dalla Commissione. Secondo tale società, il Tribunale non si è pronunciato sulla dimostrazione della provenienza e non ha nemmeno stabilito che la nozione di «provenienza» si fonda sulle regole relative all’origine. Esso si sarebbe pronunciato solo sulla possibilità, per la Commissione, di «verificare» l’origine dei pezzi. Si tratterebbe di una verifica, da parte della Commissione, dei documenti forniti dalla parte interessata, conformemente all’articolo 16 del regolamento di base. Il Tribunale, di conseguenza, non avrebbe né limitato i mezzi di cui la Commissione dispone a tale riguardo, né espressamente escluso ogni altro mezzo atto a dimostrare che, nella fattispecie, i pezzi «provenivano» dalla Cina.

    53

    Pertanto, la Kolachi Raj fa valere che l’origine costituisce il solo criterio pertinente e adeguato per determinare che un pezzo non proviene, invero, dal paese di spedizione e che le regole relative all’origine, come stabilite dalle normativa doganale, determinano, in realtà, la provenienza iniziale di un pezzo. Una siffatta interpretazione sarebbe avvalorata dagli obblighi dell’Unione nell’ambito dell’OMC, in particolare dalla clausola della nazione più favorita.

    54

    Nel merito, la Kolachi Raj sottolinea, in primo luogo, che le soglie stabilite all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base sono destinate ad essere utilizzate al fine di valutare se un’operazione di assemblaggio equivale a un’elusione delle misure antidumping, e non al fine di determinare l’origine o la provenienza di un pezzo.

    55

    In secondo luogo, non sarebbe dimostrato che l’interpretazione adottata dal Tribunale riduce l’efficacia dello strumento antielusione o lo rende inapplicabile. Il solo fatto che per gli inquirenti possa risultare più facile applicare i criteri previsti all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base piuttosto che le regole relative all’origine non può essere preso in considerazione ai fini dell’interpretazione dei termini «provenienti dal paese soggetto alle misure».

    56

    In terzo luogo, sarebbe pacifico che la Commissione può applicare l’articolo 18 del regolamento di base in caso di mancata cooperazione, ivi compreso nell’ambito delle inchieste di cui all’articolo 13 di tale regolamento. Nella fattispecie, la Commissione non avrebbe concluso, tuttavia, che i certificati di origine di cui trattasi fossero falsi o fuorvianti.

    57

    In quarto luogo, un’applicazione delle regole dell’Unione relative all’origine sarebbe conforme al diritto dell’Unione. Lo dimostrerebbe l’approccio adottato dalla Commissione nella sua decisione 2001/725/CE, del 28 settembre 2001, che chiude il procedimento antidumping nei confronti delle importazioni di apparecchi riceventi per la televisione, a colori, originari della Turchia (GU 2001, L 272, pag. 37).

    58

    In quinto luogo, per quanto riguarda l’esistenza di una presunta lacuna normativa, la Kolachi Raj sottolinea, da un lato, che dalla sentenza impugnata non risulta che i pezzi di cui trattasi non siano originari della Cina e, dall’altro, che il Tribunale si è limitato a concludere che la Commissione aveva legittimamente considerato che i certificati di origine di cui trattasi non costituivano elementi di prova sufficienti a dimostrare l’origine di detti pezzi. La questione se, in tali circostanze, la Commissione avrebbe potuto respingere tali certificati e usare i dati disponibili conformemente all’articolo 18 del regolamento di base ed, eventualmente, quali fossero tali dati, non sarebbe stata né sollevata dinanzi al Tribunale né decisa da quest’ultimo.

    59

    In sesto luogo, la Kolachi Raj sottolinea che, dato che l’inchiesta verteva su una possibile elusione delle misure antidumping mediante operazioni di assemblaggio realizzate in Pakistan, e non in Sri Lanka, i criteri stabiliti all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base potevano trovare applicazione solo nei confronti delle operazioni di assemblaggio effettuate in Pakistan, dopo aver determinato la provenienza dei pezzi di cui trattasi. Orbene, la Commissione avrebbe erroneamente applicato tali criteri per dimostrare che tali pezzi provenivano dalla Cina.

    Sulla seconda parte del motivo unico d’impugnazione

    60

    Con la seconda parte del suo motivo unico, la Commissione contesta al Tribunale di aver commesso un errore di diritto restringendo il tipo di elementi di prova che essa poteva utilizzare al fine di dimostrare che i pezzi di cui trattasi «provengono» dal paese soggetto alle misure, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, impedendole di fornire tale prova mediante un mezzo diverso rispetto alle regole relative all’origine.

    61

    In primo luogo, la formulazione dell’articolo 13 di tale regolamento non porrebbe affatto un limite agli elementi di prova che possono essere utilizzati. Utilizzando i termini «provengono da» nella versione francese, il legislatore dell’Unione avrebbe permesso l’applicazione delle regole autonome previste da tale articolo non solo per quanto riguarda il prodotto finito soggetto all’inchiesta antielusione ma anche per quanto riguarda i pezzi utilizzati per l’assemblaggio di tale prodotto.

    62

    In secondo luogo, la Commissione ritiene che il Tribunale abbia proceduto a un’interpretazione erronea della sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio (T‑80/97, EU:T:2000:216), e che abbia violato il principio di proporzionalità.

    63

    Infatti, detta sentenza sarebbe stata pronunciata in circostanze particolarmente eccezionali. Da tale sentenza risulterebbe che la scelta degli elementi di prova per stabilire la sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base dev’essere libera, e le istituzioni dell’Unione non sono tenute a fornire la prova che i pezzi siano originari del paese soggetto alle misure antidumping.

    64

    L’EBMA, che condivide l’argomentazione della Commissione, aggiunge che, suggerendo ai punti 87, 92, 108 e 114 della sentenza impugnata che alla Commissione spettasse l’obbligo di verifica dell’origine dei pezzi, il Tribunale ha trascurato la sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio (T‑80/97, EU:T:2000:216), da cui risulterebbe che le istituzioni dell’Unione non hanno l’obbligo di provare l’origine dei pezzi applicando l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base e che l’onere della prova di tale origine incombe al produttore-esportatore interessato.

    65

    Nella fattispecie, il fatto che i pezzi assemblati in Sri Lanka fossero di origine cinese sarebbe notorio e pacifico, cosicché spettava alla Kolachi Raj dimostrare che tali pezzi avevano acquisito l’origine dello Sri Lanka. Posto che la Kolachi Raj non ha fornito tale prova, la Commissione non era tenuta a procedere ad un’analisi aggiuntiva al fine di concludere che tali pezzi provenissero dalla Cina, e ciò indipendentemente dalla circostanza che essa abbia applicato, per analogia, l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

    66

    La Kolachi Raj replica che la seconda parte del motivo unico non è fondata.

    67

    In primo luogo, pur ricordando che il Tribunale non ha limitato i mezzi di prova che potevano essere utilizzati per dimostrare la provenienza di un pezzo e che le regole relative all’origine costituivano il solo criterio pertinente a tale titolo, la Kolachi Raj sottolinea che, in mancanza di una disposizione espressa che impedisca o autorizzi l’utilizzo dei criteri di cui all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base per determinare l’origine o la provenienza dei pezzi, occorre considerare che detto utilizzo non è autorizzato. Infatti, poiché tale disposizione costituisce un’eccezione al regime generale di imposizione di dazi antidumping, essa dovrebbe essere oggetto di un’interpretazione restrittiva.

    68

    La Kolachi Raj trae un argomento supplementare dalla struttura dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, la quale porterebbe a determinare, in un primo tempo, quali sono i pezzi provenienti dal paese soggetto alle misure conformemente al punto a) di tale disposizione, prima di applicare, solo in un secondo tempo, i criteri stabiliti al punto b) della stessa.

    69

    Inoltre, la Kolachi Raj fa osservare che la Commissione deve ricorrere ad elementi di prova, vale a dire elementi di fatto che presentino un nesso logico con le conclusioni giuridiche che ne sono tratte. Orbene, non potrebbe essere stabilito alcun nesso logico fra i criteri di cui all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base e la determinazione della provenienza dei pezzi in questione.

    70

    In secondo luogo, la Kolachi Raj si oppone agli argomenti che la Commissione deduce dalla sentenza del 26 settembre 2000, Starway/Consiglio (T‑80/97, EU:T:2000:216), che sarebbe stata pronunciata in circostanze diverse rispetto a quelle della presente causa. Nella sentenza impugnata, il Tribunale non avrebbe affatto contraddetto tale sentenza e si sarebbe limitato a stabilire che la Commissione non poteva utilizzare l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base al fine di verificare l’origine dei pezzi prodotti in Sri Lanka.

    71

    Inoltre, durante l’udienza, la Kolachi Raj ha fatto valere che l’argomento della EBMA relativo all’onere della prova dell’origine dei pezzi è irricevibile, poiché non rientra nell’argomentazione della Commissione, che riguarda l’applicazione per analogia dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base.

    72

    In subordine, per l’ipotesi in cui la Corte dovesse concludere che la sentenza impugnata è viziata da un errore di diritto, la Kolachi Raj chiede alla Corte di procedere ad una sostituzione della motivazione, sostituendo, in tale sentenza, i riferimenti all’origine dei pezzi con un riferimento alla loro provenienza.

    Giudizio della Corte

    Osservazioni preliminari

    73

    Le due parti del motivo unico d’impugnazione, che sono intrinsecamente legate e che devono perciò essere esaminate congiuntamente, vertono su errori di diritto che il Tribunale avrebbe commesso nell’interpretazione e nell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base. In sostanza, la Commissione, con il sostegno dell’EBMA, fa valere, da un lato, che il Tribunale ha erroneamente equiparato la nozione di «provenienza» a quella di «origine». L’EBMA aggiunge che il Tribunale ha erroneamente equiparato la «provenienza» al paese di esportazione immediato. Dall’altro lato, la Commissione, sostenuta dall’EBMA, fa valere che il Tribunale ha indebitamente limitato la possibilità di fornire la prova del fatto che i pezzi provengono dal paese soggetto alle misure di cui trattasi, imponendo alla Commissione di dimostrare l’origine dei pezzi ai sensi del diritto doganale.

    74

    Conformemente all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento di base, i dazi antidumping istituiti a norma di tale regolamento possono essere estesi alle importazioni provenienti da paesi terzi di prodotti simili, leggermente modificati o meno, se le misure in vigore vengono eluse.

    75

    Secondo l’articolo 13, paragrafo 3, di tale regolamento, l’onere della prova dell’elusione delle misure antidumping in un paese terzo grava sulle istituzioni dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co., C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 35, e del 26 gennaio 2017, Maxcom/Chin Haur Indonesia, C‑247/15 P, C‑253/15 P e C‑259/15 P, EU:C:2017:61, punto 56), mentre spetta a ciascun produttore-esportatore individuale dimostrare che la sua situazione specifica giustifica la concessione di un’esenzione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 4, di tale regolamento (sentenza del 26 gennaio 2017, Maxcom/Chin Haur Indonesia, C‑247/15 P, C‑253/15 P e C‑259/15 P, EU:C:2017:61, punto 59).

    76

    Conformemente all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, un’operazione di assemblaggio in un paese terzo è considerata elusiva delle misure in vigore laddove soddisfi le condizioni elencate in tale disposizione. Tra queste condizioni compare quella, derivante dal combinato disposto delle lettere a) e b) di detta disposizione che, nella versione francese, impone che i pezzi il cui valore sia uguale o superiore al 60% al valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato «provengano dal paese soggetto alle misure».

    77

    Ai punti da 79 a 85 della sentenza impugnata, il Tribunale ha interpretato tale disposizione nel senso che è sufficiente, in linea di principio, che le istituzioni dell’Unione dimostrino che i pezzi il cui valore sia uguale o superiore al 60% del valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato «provengano» dal paese soggetto alle misure antidumping, senza che tali istituzioni siano tenute a fornire la prova che tali pezzi sono anche originari di tale paese. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che potrebbe rivelarsi necessario, in caso di dubbio, verificare se i pezzi in provenienza da un paese sono, invero, originari di un altro paese. In tale contesto, il Tribunale ha interpretato i termini «provengono da» come facenti riferimento alle importazioni interessate e, pertanto, al paese di esportazione dei pezzi di cui trattasi.

    78

    Tenuto conto di tale interpretazione, il Tribunale ha ritenuto, al punto 86 della sentenza impugnata, che i pezzi acquistati dalla Kolachi Raj in Sri Lanka fossero stati importati da tale paese dopo essere stati ivi lavorati e che, pertanto, essi potessero essere considerati come «provenienti» da detto paese. Ai punti 87 e 91 di tale sentenza, il Tribunale ha aggiunto che la Commissione poteva tuttavia verificare se tali pezzi non fossero in realtà originari della Cina e, a tal fine, domandare alla Kolachi Raj di fornire la prova che detti pezzi fossero effettivamente originari dello Sri Lanka.

    79

    In concreto, rispettivamente ai punti 105 e 114 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che, sebbene la Commissione potesse, senza commettere errori di diritto, respingere il valore probatorio dei certificati di origine prodotti dalla Kolachi Raj, tale istituzione aveva, per contro, commesso un errore di diritto applicando «per analogia» l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base al fine di determinare l’«origine» dei pezzi acquistati, da quest’ultima, in Sri Lanka.

    80

    Da tale richiamo deriva che, in sostanza, il Tribunale ha accolto un’interpretazione restrittiva della nozione di «provenienza» dal paese soggetto alle misure antidumping, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, equiparandola all’importazione diretta dei pezzi di cui trattasi da tale paese e richiedendo, in mancanza di siffatta importazione diretta, che la Commissione fornisca la prova che tali pezzi sono, invero, originari di detto paese.

    81

    In tali condizioni, al fine di statuire sugli errori di diritto allegati, occorre, in via principale, procedere all’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento di base e, più precisamente, determinare la portata della nozione di «provenienza» dei pezzi, riflessa nei termini «provengono da» di cui alla versione francese dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base, nonché i requisiti per quanto riguarda la prova di tale provenienza.

    Sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base e sugli errori di diritto commessi dal Tribunale

    82

    Secondo giurisprudenza costante, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione si deve tenere conto non solo dei suoi termini, ma anche del contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenza del 12 ottobre 2017, Tigers, C‑156/16, EU:C:2017:754, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).

    83

    Come richiamato al punto 76 della presente sentenza, dal paragrafo 2, lettere a) e b), dell’articolo 13 del regolamento di base deriva che, ferma restando la sussistenza delle altre condizioni enunciate a tale paragrafo 2, un’operazione di assemblaggio è considerata elusiva delle misure antidumping in vigore laddove i pezzi il cui valore è uguale o superiore al 60% del valore complessivo dei pezzi del prodotto assemblato «provengano dal paese soggetto alle misure». Alla luce delle considerazioni di cui al punto 75 della presente sentenza, spetta alle istituzioni dell’Unione stabilire che i pezzi di cui trattasi «provengono» da tale paese.

    84

    Il regolamento di base non comporta alcuna definizione dei termini «provengono da», di cui alla versione francese dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), né, del resto, della nozione di «provenienza». Secondo il loro significato abituale, i termini «provenire da» significano «venire da» o «trarre la propria origine da», come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 64 delle sue conclusioni.

    85

    In sede di impugnazione, le parti si oppongono quanto al punto se tale nozione di «provenienza» debba, come sostenuto dalla Commissione e dall’EBMA, essere oggetto di un’interpretazione estensiva, che superi le nozioni di «origine» doganale e d’«importazione diretta» oppure, come suggerito dalla Kolachi Raj, di un’interpretazione restrittiva, nel senso che la provenienza farebbe riferimento esclusivamente all’origine doganale dei pezzi.

    86

    Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione se la nozione di «provenienza» si intenda come l’origine doganale dei pezzi di cui trattasi, occorre sottolineare, come altresì rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 66 delle sue conclusioni, che l’esame delle differenti versioni linguistiche dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base rivela talune divergenze.

    87

    Infatti, mentre le versioni dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base di lingua spagnola («procedan del»), danese («fra det»), greca («προέρχονται από»), inglese («are from»), francese («proviennent du»), croata («iz»), lettone («nāk no»), lituana («ira iš»), neerlandese («afkomstig… uit»), portoghese («provenientes do»), rumena («provin din»), finlandese («tulevat maasta») e svedese («från det») rinviano alla nozione di «provenienza» dei pezzi, le versioni in lingua tedesca («Ursprung») e italiana («originari») fanno riferimento alla loro «origine». Infine, le versioni in lingua ceca («pochazeji»), estone («pärinevad riigist»), polacca («pochodzą z»), e slovacca («pochádzajú z») utilizzano termini che possono riferirsi sia alla «provenienza» sia all’«origine» dei pezzi.

    88

    Orbene, al fine di garantire un’interpretazione e un’applicazione uniformi del medesimo testo la cui versione in una lingua è diversa da quella nelle altre lingue, la disposizione di cui è causa deve essere intesa in funzione del sistema e della finalità della normativa di cui essa fa parte (sentenza del 26 aprile 2012, DR e TV2 Danmark, C‑510/10, EU:C:2012:244, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

    89

    A tale riguardo, occorre sottolineare che la formulazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base corrisponde a quella dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera i), del regolamento n. 3283/94. Anteriormente all’adozione di quest’ultimo regolamento, le disposizioni corrispondenti della normativa applicabile in materia antidumping, vale a dire, nell’ordine, l’articolo 13, paragrafo 10, lettera a), del regolamento (CEE) n. 2176/84 del Consiglio, del 23 luglio 1984, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU 1984, L 201, pag. 1), come modificato dal regolamento (CEE) n. 1761/87 del Consiglio, del 22 giugno 1987 (GU 1987, L 167, pag. 9), e poi l’articolo 13, paragrafo 10, lettera a), del regolamento (CEE) n. 2423/88 del Consiglio, dell’11 luglio 1988, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU 1988, L 209, pag. 1), subordinavano l’estensione di un dazio antidumping in vigore per operazioni di assemblaggio alla condizione che il valore dei pezzi utilizzati in tali operazioni e «originari del paese di esportazione del prodotto soggetto a [detto] dazio» avessero un valore pari o superiore di almeno il 50% rispetto al valore totale di tutti gli altri pezzi utilizzati. L’aggettivo «originario» rinviava allora alla nozione di «origine», ai sensi del diritto doganale.

    90

    Come ha rilevato, in sostanza, l’avvocato generale al paragrafo 81 delle sue conclusioni, la modifica operata dal regolamento n. 3283/94, che utilizza, per lo meno in varie versioni linguistiche delle disposizioni di cui trattasi, un termine che rinvia alla nozione di «provenienza» anziché a quella di «origine», implica che il legislatore dell’Unione ha deliberatamente scelto di discostarsi dalle regole relative all’origine del diritto doganale e che, pertanto, la nozione di «provenienza», ai fini dell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base, assume un contenuto autonomo e distinto da quello della nozione di «origine», ai sensi del diritto doganale.

    91

    Ne consegue che, sebbene spetti alle istituzioni dell’Unione dimostrare che i pezzi utilizzati nelle operazioni di assemblaggio provengono dal paese soggetto alle misure antidumping, esse non sono tuttavia tenute a dimostrare che tali pezzi siano altresì originari di tale paese, ai sensi del diritto doganale.

    92

    Tuttavia, tale conclusione lascia salva la possibilità, per ogni produttore‑esportatore individuale, di dimostrare che, benché i pezzi di cui trattasi provengano dal paese soggetto alle misure, essi sono, in realtà, originari di un paese diverso da quello soggetto alle misure, al fine di essere esentato dall’estensione del dazio antidumping conformemente all’articolo 13, paragrafo 4, del regolamento di base. In tal caso, invero, operazioni di assemblaggio non possono essere considerate elusive, ai sensi dell’articolo 13 del regolamento di base, delle misure antidumping in vigore.

    93

    In secondo luogo, occorre esaminare la questione se la nozione di «provenienza», di cui alla versione francese dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base, deve intendersi con riferimento all’importazione dei pezzi e, pertanto, come facente riferimento al loro paese di esportazione immediato.

    94

    A tale riguardo, anzitutto, occorre rilevare che, laddove sia stabilito che i pezzi oggetto di operazioni di assemblaggio sono direttamente importati dal paese soggetto alle misure in un altro paese terzo o nell’Unione ai fini del loro assemblaggio, le istituzioni dell’Unione possono ritenere che tali pezzi «provengano» dal primo di tali paesi, ai sensi di tale disposizione.

    95

    Da un lato, tale interpretazione è infatti conforme al significato abituale del verbo «provenire», come richiamato al punto 84 della presente sentenza.

    96

    Dall’altro lato, tale interpretazione è confermata anche dalla finalità e dall’impianto sistematico del regolamento di base. Alle luce di questi elementi, e in particolare del considerando 19 e dell’articolo 13 di tale regolamento, un regolamento che estenda un dazio antidumping ha come unico obiettivo quello di garantire l’efficacia dello stesso e di evitare che venga eluso. Di conseguenza, una misura avente ad oggetto l’estensione di un dazio antidumping definitivo presenta un carattere soltanto accessorio rispetto all’atto iniziale istitutivo di tale dazio, che tutela l’applicazione efficace delle misure definitive (sentenze del 6 giugno 2013, PaltradeC‑667/11, EU:C:2013:368, punto 28, e del 17 dicembre 2015, APEX, C‑371/14, EU:C:2015:828, punti 5053).

    97

    Orbene, permettendo alle istituzioni dell’Unione di applicare l’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base ai pezzi direttamente importati nel paese in cui sono assemblati dal paese soggetto alle misure antidumping, tale disposizione consente di applicare un criterio semplice, che è idoneo a garantire l’efficacia del dazio antidumping. Pertanto, anziché essere tenute a dimostrare l’origine doganale dei pezzi di cui trattasi, le istituzioni possono, in linea di principio, limitarsi a constatare che tali pezzi sono effettivamente importati, nel paese di assemblaggio, dal paese soggetto alle misure, fatta salva la possibilità per il produttore-esportatore interessato di dimostrare che detti pezzi sono originari, in realtà, di un altro paese.

    98

    Inoltre, occorre aggiungere che, contrariamente a quanto il Tribunale ha dichiarato, in sostanza, ai punti 84, 87 e 91 della sentenza impugnata, la nozione di «provenienza» dal paese soggetto alle misure non può essere limitata all’ipotesi di un’importazione diretta da tale paese dei pezzi di cui trattasi.

    99

    Infatti, innanzitutto, occorre rilevare che, tenuto conto della sua formulazione, l’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento di base non comporta alcuna indicazione in tal senso.

    100

    Inoltre, per quanto riguarda il contesto nel quale tale disposizione s’inscrive, è vero che, come peraltro rilevato dal Tribunale al punto 84 della sentenza impugnata, anche molte altre disposizioni del regolamento di base utilizzano la nozione di «provenienza» e quella di «importazione».

    101

    Tuttavia, la circostanza che, a differenza di queste altre disposizioni, l’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base nella versione francese utilizzi i termini «provengono da», senza alcun riferimento all’importazione, suggerisce che il legislatore dell’Unione non ha inteso restringere la «provenienza», ai sensi di detta disposizione, alla sola ipotesi di un’importazione diretta dei pezzi in provenienza dal paese soggetto alle misure.

    102

    Infine, siffatta interpretazione si impone anche alla luce della finalità e dell’impianto sistematico del regolamento di base e degli obiettivi perseguiti da un regolamento che estende un dazio antidumping, come richiamati ai punti 96 e 97 della presente sentenza.

    103

    Infatti, nell’ipotesi in cui tali pezzi siano importati, dal paese soggetto alle misure, in un primo paese terzo per un primo assemblaggio, quand’anche di minore rilevanza, prima di essere importati in un secondo paese per un secondo assemblaggio del prodotto finale destinato ad essere esportato verso l’Unione, un’equiparazione perfetta delle nozioni di «provenienza» e di «importazione» porterebbe a concludere che tali pezzi dovrebbero essere considerati provenienti dal paese del primo assemblaggio, cosicché sarebbe del tutto esclusa qualsiasi constatazione di un’elusione. Tale interpretazione sarebbe così atta a permettere agli operatori di eludere facilmente l’estensione del dazio definitivo in vigore, moltiplicando le operazioni di assemblaggio successive in paesi terzi.

    104

    Siffatta interpretazione rischierebbe di compromettere l’efficacia delle misure antielusione dell’Unione in tutti i casi in cui le istituzioni dell’Unione devono confrontarsi con un’operazione artificiosa complessa costituita da più assemblaggi successivi in differenti paesi terzi (v., per analogia, sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co., C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 37).

    105

    Tale rischio non può essere escluso dalla possibilità, vagliata, in sostanza, dal Tribunale ai punti 87 e 91 della sentenza impugnata, che le istituzioni dell’Unione verifichino o determinino, in caso di assemblaggi successivi realizzati in due paesi terzi, che i pezzi spediti dal paese del primo assemblaggio intermedio siano, in realtà, originari del paese soggetto alle misure antidumping.

    106

    Siffatta possibilità porterebbe, infatti, a imporre alle istituzioni dell’Unione, contrariamente all’orientamento scelto dal legislatore e esposto ai punti 90 e 91 della presente sentenza, di fornire la prova non più della provenienza dei pezzi, ma della loro origine doganale e, quindi, ad aggravare l’onere della prova incombente ad esse, in violazione della finalità e dell’impianto sistematico del regolamento di base, così come esposti ai punti 96 e 97 della presente sentenza.

    107

    Ne consegue che l’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base deve essere oggetto di un’interpretazione estensiva nel senso che pezzi «provengono dal paese soggetto alle misure» non solo nell’ipotesi di un’importazione diretta di cui al punto 93 della presente sentenza, ma anche in situazioni in cui può essere dimostrato, sulla scorta di un’analisi di tutte le circostanze pertinenti nella fattispecie, che i pezzi, inizialmente fabbricati nel paese soggetto alle misure antidumping, sono stati importati nel paese di assemblaggio da un paese terzo intermedio, attraverso il quale essi sono transitati o nel quale sono stati oggetto di una lavorazione di portata minore.

    108

    La prova di siffatta provenienza, che grava sulle istituzioni dell’Unione può, pertanto, basarsi su un insieme di indizi concordanti, sotto il controllo del giudice dell’Unione. Tuttavia, come risulta dal punto 92 della presente sentenza, gli operatori interessati possono fornire la prova che i pezzi di cui trattasi sono, in realtà, originari di un paese diverso da quello soggetto a dette misure.

    109

    Un’interpretazione estensiva della nozione di «provenienza», ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base, è avvalorata altresì dalla circostanza che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, il legislatore ha inteso lasciare un ampio margine discrezionale alle istituzioni dell’Unione in merito alla definizione di «elusione» (v., per analogia, sentenza del 4 settembre 2014, Simon, Evers & Co., C‑21/13, EU:C:2014:2154, punto 48).

    110

    Dalle considerazioni che precedono deriva che, limitando la nozione di «provenienza», ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base, alla sola ipotesi di un’importazione diretta dei pezzi di cui trattasi e imponendo alle istituzioni dell’Unione l’onere, in circostanze come quelle della presente causa, di dimostrare l’origine dei pezzi in causa, il Tribunale ha commesso un errore di diritto.

    111

    Contrariamente a quanto sostenuto dalla Kolachi Raj, non si può rimediare a tale errore di diritto con una mera sostituzione delle motivazioni della sentenza impugnata, mediante la quale ogni riferimento del Tribunale alla nozione di «origine» sia sostituito con un riferimento a quella di «provenienza». Infatti, il Tribunale ha stabilito una chiara distinzione tra queste due nozioni, che escludeva a priori la possibilità, per la Commissione, di dimostrare, tramite un insieme di indizi concordanti, la provenienza dei pezzi di cui trattasi in una situazione come quella di cui alla presente causa.

    112

    Di conseguenza, e senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti della Commissione e dell’EBMA, occorre accogliere il motivo unico di impugnazione e, pertanto, annullare la sentenza impugnata.

    Sul ricorso dinanzi al Tribunale

    113

    Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, la Corte stessa può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta. È quanto avviene nel caso di specie.

    114

    Con il suo motivo unico di ricorso sollevato dinanzi al Tribunale e relativo alla violazione dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base, la Kolachi Raj fa valere, in primo luogo, che i pezzi di cui trattasi non potevano essere considerati provenienti dalla Cina, dato che essi erano stati lavorati in Sri Lanka e spediti da tale paese verso il Pakistan, in secondo luogo, che i certificati di origine, erroneamente respinti dalla Commissione, attestavano l’origine dello Sri Lanka di tali pezzi e, in terzo luogo, che la Commissione è incorsa in errori applicando l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base ad operazioni di fabbricazione di pezzi di biciclette in Sri Lanka, mentre l’inchiesta verteva su un’eventuale elusione delle misure antidumping in Pakistan e tale disposizione non è una regola relativa all’origine, ragion per cui non può essere presa in considerazione per concludere che i pezzi lavorati in Sri Lanka provenivano dalla Cina. Secondo la Kolachi Raj, la Commissione, al contrario, avrebbe dovuto applicare le regole relative all’origine previste dalla normativa doganale dell’Unione.

    115

    A tale riguardo, occorre ricordare che, come risulta dai punti 91, 92, 107 e 108 della presente sentenza, spettava alla Commissione stabilire che i pezzi di cui trattasi provenivano dalla Cina, fatta salva la possibilità per la Kolachi Raj di dimostrare che tali pezzi fossero, invero, originari dello Sri Lanka.

    116

    Nella fattispecie, in primo luogo, dai considerando da 98 a 101 del regolamento controverso risulta, in sostanza, che la Commissione ha ritenuto che i pezzi acquistati dalla Kolachi Raj in Sri Lanka provenissero dalla Cina. Essa ha rilevato, in particolare, che tali pezzi erano essenzialmente fabbricati con materie prime cinesi, circostanza questa peraltro confermata dalla Kolachi Raj durante l’udienza tenutasi dinanzi alla Corte. Inoltre, la Commissione ha rilevato che il produttore dello Sri Lanka era una società collegata alla Kolachi Raj e ha contestato i rapporti tra quest’ultima e il suo fornitore asseritamente indipendente. Infine, pur menzionando, al considerando 101 del regolamento controverso, che l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base non costituiva una regola relativa all’origine, la Commissione ha rilevato che, poiché detti pezzi erano stati fabbricati per più del 60% con materie prime provenienti dalla Cina e il valore aggiunto era inferiore al 25% dei costi di produzione, tali pezzi provenivano dalla Cina.

    117

    Peraltro, e al fine di precisare il contesto nel quale si inserisce la presente causa, dal considerando 94 del regolamento controverso risulta che il produttore dello Sri Lanka collegato alla Kolachi Raj era stato oggetto di una precedente inchiesta antielusione in Sri Lanka, e che la Kolachi Raj era altresì collegata a una società cambogiana che aveva cessato le sue attività di esportazione di biciclette verso l’Unione nel corso del periodo di riferimento compreso tra il 1o settembre 2013 e il 31 agosto 2014 e che aveva trasferito le sue attività alla Kolachi Raj in Pakistan.

    118

    Tutti questi elementi costituiscono un insieme di indizi concordanti su cui la Commissione, come è stato rilevato al punto 108 della presente sentenza, poteva basarsi per concludere che i pezzi di cui trattasi «provenivano» dalla Cina.

    119

    A tale riguardo, occorre precisare che, certamente, gli elementi esposti al punto 117 della presente sentenza, nonché la circostanza, dedotta dalla Commissione, che la Kolachi Raj faccia parte di un gruppo di società che appartiene ad un’unica persona fisica e che partecipa ad attività elusive delle misure antidumping in diversi paesi terzi, non possono da soli giustificare la conclusione per cui i pezzi di cui trattasi provengono dalla Cina, come la Commissione ha peraltro esplicitamente ammesso nella sua controreplica depositata dinanzi al Tribunale. Tuttavia, tali fatti costituiscono elementi pertinenti atti a rafforzare la conclusione secondo cui i pezzi fabbricati in Sri Lanka a partire, essenzialmente, da materie prime cinesi possono, contrariamente a quanto sostenuto dalla Kolachi Raj, essere considerati provenienti dalla Cina, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera a), del regolamento di base.

    120

    Orbene, la Kolachi Raj non ha presentato argomenti concreti diretti a rimettere in discussione l’insieme di indizi sui quali si è basata la Commissione.

    121

    Nei limiti in cui, in tale contesto, la Commissione ha applicato «per analogia» l’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di base, certamente, occorre constatare che, come peraltro riconoscono le parti, tale disposizione non costituisce una regola relativa all’origine. Per contro, nella presente causa, tale applicazione per analogia ha costituito solo un indizio tra gli altri che compongono l’insieme di indizi su cui la Commissione si è basata al fine di determinare la provenienza dei pezzi di cui trattasi. Orbene, la circostanza che i pezzi lavorati in Sri Lanka siano fabbricati, essenzialmente, con materie prime cinesi e che essi siano solo stati oggetto, in Sri Lanka, di una lavorazione di portata minore costituisce un elemento pertinente nell’insieme di indizi concordanti diretti a dimostrare che tali pezzi provengono dal paese soggetto alle misure.

    122

    Infine, la Kolachi Raj non è riuscita a dimostrare l’origine dello Sri Lanka dei pezzi di cui trattasi. Infatti, ai considerando da 98 a 101 del regolamento controverso, la Commissione ha respinto il valore probatorio dei certificati di origine prodotti a tal fine da detta società. Per i motivi esposti ai punti da 95 a 105 della sentenza impugnata, gli argomenti dedotti dalla Kolachi Raj al fine di contestare tali considerando del regolamento controverso devono essere respinti.

    123

    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre respingere il motivo unico di ricorso sollevato dalla Kolachi Raj e, pertanto, respingere integralmente il ricorso di primo grado.

    Sulle spese

    124

    Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la Corte statuisce definitivamente sulla controversia, quest’ultima statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza del suo articolo 184, paragrafo 1, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

    125

    Poiché la Commissione e l’EBMA hanno chiesto la condanna alle spese della Kolachi Raj, quest’ultima, rimasta soccombente, dev’essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle della Commissione e dell’EBMA, relative sia al procedimento di primo grado sia al procedimento di impugnazione.

     

    Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

     

    1)

    La sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 10 ottobre 2017, Kolachi Raj Industrial/Commissione (T‑435/15, EU:T:2017:712), è annullata.

     

    2)

    Il ricorso di annullamento proposto dalla Kolachi Raj Industrial (Private) Ltd è respinto.

     

    3)

    La Kolachi Raj Industrial (Private) Ltd è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione europea e dalla European Bicycle Manufacturers Association (EBMA), relative sia al procedimento di primo grado sia al procedimento di impugnazione.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

    ( 1 ) La parte introduttiva del presente testo è stata oggetto di una modifica di ordine linguistico, successivamente alla sua pubblicazione.

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