Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62016TJ0585

Sentenza del Tribunale (Seconda Sezione) del 15 settembre 2017.
Carina Skareby contro Servizio europeo per l'azione esterna.
Funzione pubblica – Funzionari – Libertà di espressione – Dovere di lealtà – Grave pregiudizio agli interessi legittimi dell’Unione – Diniego di autorizzazione alla pubblicazione di un articolo – Invito a modificare il testo – Articolo 17 bis dello Statuto – Oggetto del ricorso – Decisione di rigetto del reclamo amministrativo.
Causa T-585/16.

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2017:613

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

15 settembre 2017 ( *1 )

«Funzione pubblica – Funzionari – Libertà di espressione – Dovere di lealtà – Grave pregiudizio agli interessi legittimi dell’Unione – Diniego di autorizzazione alla pubblicazione di un articolo – Invito a modificare il testo – Articolo 17 bis dello Statuto – Oggetto del ricorso – Decisione di rigetto del reclamo amministrativo»

Nella causa T‑585/16,

Carina Skareby, funzionaria del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), residente a Lovanio (Belgio), rappresentata da S. Rodrigues e C. Bernard-Glanz, avvocati,

ricorrente,

contro

Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), rappresentato da S. Marquardt, in qualità di agente, assistito da M. Troncoso Ferrer, F.‑M. Hislaire e S. Moya Izquierdo, avvocati,

convenuto,

avente ad oggetto una domanda basata sull’articolo 270 TFUE e diretta all’annullamento, da un lato, della decisione del 5 giugno 2015 del SEAE che nega la pubblicazione di un articolo e invita a modificare due paragrafi del testo proposto e, dall’altro, «se necessario», della decisione del 18 dicembre 2015 del SEAE che respinge il reclamo presentato avverso la decisione iniziale,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione),

composto da M. Prek, presidente, F. Schalin e M.J. Costeira (relatore), giudici,

cancelliere: P. Cullen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 maggio 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti

1

La ricorrente, la signora Carina Skareby, è funzionaria del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).

2

Con messaggio di posta elettronica del 19 maggio 2015, la ricorrente, tramite i suoi legali, ha informato il SEAE, ai sensi dell’articolo 17 bis dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto»), della sua intenzione di pubblicare, nel giornale Politico, un articolo intitolato «Lettera aperta al cittadino Herman», consistente in una lettera aperta all’ex presidente del Consiglio europeo, il signor Herman Van Rompuy e volto a richiamare l’attenzione sul problema delle molestie nelle istituzioni europee (in prosieguo: il «testo controverso»).

3

Con una nota del 5 giugno 2015, l’agente facente funzioni di capo divisione della divisione «Diritti e obblighi» della direzione «Risorse umane» della direzione generale «Amministrazione e finanze» del SEAE ha risposto indicando che due paragrafi dell’articolo trasmesso per l’autorizzazione erano in contraddizione con l’«obbligo di lealtà e riservatezza» a cui la ricorrente era tenuta quale funzionaria dell’Unione europea nei confronti dell’istituzione, in quanto la ricorrente attribuiva direttamente, e senza alcuna prova, alla direzione del SEAE un comportamento specifico che violerebbe lo Statuto. Successivamente, esso ha chiesto alla ricorrente di presentare un testo riveduto che tenesse conto di tali obiezioni, diversamente la pubblicazione non avrebbe potuto essere autorizzata (in prosieguo: la «decisione di diniego di pubblicazione».

4

I paragrafi del testo controverso riguardati, nello specifico il quinto e il diciottesimo paragrafo (considerati insieme, in prosieguo: i «paragrafi controversi»), erano formulati nei seguenti termini:

«Il modus operandi della gerarchia delle istituzioni europee sembra essere, come ho potuto constatare di persona, quello di convincere ogni individuo avente opinioni sul modo in cui le istituzioni sono gestite, che egli o ella farebbe meglio a cambiare lavoro, a optare per il prepensionamento o ad accettare un’invalidità. Volta pagina. Dimentica. Ecco come i superiori possono continuare a molestare alcuni dipendenti e a favorirne altri: forse non si tratta di una strategia pianificata – ma essa è tuttavia sistematica.

(…)

Il SEAE deve dare l’esempio nell’applicazione interna dei diritti, della trasparenza organizzativa e dello Stato di diritto – oppure non saremo credibili sulla scena internazionale».

5

Con lettera del 1o luglio 2015, la ricorrente ha chiesto, tramite i suoi legali, spiegazioni sulla decisione di diniego di pubblicazione, segnatamente, per capire in che modo i paragrafi controversi, al di là dell’asserita violazione dell’obbligo di lealtà e riservatezza potessero «compromettere gravemente gli interessi legittimi dell’Unione», ai sensi dell’articolo 17 bis dello Statuto.

6

Con messaggio di posta elettronica del 24 luglio 2015, il giurista principale della divisione «Diritti e obblighi» ha così replicato:

«Nel [la decisione di diniego di pubblicazione] non abbiamo indicato che la materia [fosse] di natura tale da “compromettere gravemente gli interessi legittimi dell’Unione”.

Tuttavia, è importante ribadire che il SEAE non autorizza [la] pubblicazione [del testo controverso] in quanto tale, poiché la si ritiene una violazione dell’obbligo di lealtà e riservatezza.

La pubblicazione è sottoposta ad autorizzazione in forza dell’articolo 17, paragrafo 1, dello Statuto (…).

Raccomandiamo vivamente al vostro cliente di non effettuare una pubblicazione senza la nostra autorizzazione».

7

Con messaggio di posta elettronica del 4 settembre 2015, la ricorrente, tramite i suoi legali, ha presentato reclamo avverso la decisione di diniego di pubblicazione, conformemente all’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto. In tale reclamo, essa sosteneva, essenzialmente, in primo luogo, che il SEAE aveva violato l’articolo 17 bis dello Statuto poiché non aveva dimostrato che la pubblicazione del testo controverso fosse di natura tale da «compromettere gravemente gli interessi legittimi dell’Unione» e, in secondo luogo, che esso aveva, di conseguenza, violato il diritto alla libertà di espressione, garantito alla ricorrente dall’articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU») e dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

8

Con decisione del 18 dicembre 2015, l’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») del SEAE ha respinto il reclamo presentato dalla ricorrente (in prosieguo: la «decisione di rigetto del reclamo»).

9

La decisione di rigetto del reclamo indica, sostanzialmente, che l’articolo 17 bis dello Statuto esprime l’idea della costante necessità di un giusto equilibrio tra la garanzia dell’esercizio della libertà di espressione dei funzionari dell’Unione e la tutela di un obiettivo legittimo d’interesse generale, segnatamente la tutela degli interessi legittimi dell’Unione. Al riguardo, la decisione di rigetto del reclamo precisa, innanzitutto, che l’oggetto del testo controverso si ricollega all’attività dell’Unione, poi, che il testo controverso è di natura tale da violare l’«obbligo di lealtà e riservatezza» e, infine, che questa violazione costituisce, di per sé, un rischio effettivo di grave pregiudizio agli interessi dell’Unione, ai sensi dell’articolo 17 bis dello Statuto. La decisione di rigetto del reclamo sottolinea che la pubblicazione del testo controverso comprometterebbe gravemente gli interessi legittimi dell’Unione, nei limiti in cui, da un lato, il testo controverso non fornisce alcuna prova per suffragare le affermazioni riguardanti le molestie dei funzionari e, dall’altro, i paragrafi controversi non possono essere considerati un’opinione divergente da quella del SEAE, ma suggeriscono che sussista un problema irrisolto di molestie generalizzate all’interno delle istituzioni dell’Unione, il che, dal punto di vista del lettore medio, potrebbe essere percepito come il fatto che le istituzioni non avrebbero attuato una politica adeguata per lottare contro le molestie. Inoltre, la decisione di rigetto del reclamo sottolinea che altri commenti avrebbero potuto essere formulati a molte parti del testo controverso, ma che il SEAE ha unicamente formulato commenti su due paragrafi, il che dimostrerebbe che la decisione di rigetto del reclamo è proporzionata e limitata a quanto strettamente necessario».

Procedimento e conclusioni delle parti

10

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale della funzione pubblica il 15 marzo 2016, la ricorrente ha presentato il presente ricorso. Quest’ultimo è stato registrato con il numero F‑15/16.

11

Il controricorso del SEAE è stato depositato presso la cancelleria del Tribunale della funzione pubblica il 10 giugno 2016.

12

In applicazione dell’articolo 3 del regolamento (UE, Euratom) 2016/1192 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016, relativo al trasferimento al Tribunale della competenza a decidere, in primo grado, sulle controversie tra l’Unione europea e i suoi agenti (GU 2016, L 200, pag. 137), la presente causa è stata trasferita al Tribunale nello stato in cui si trovava al 31 agosto 2016. Essa è stata registrata con il numero di ruolo T‑585/16 ed è stata assegnata alla Seconda Sezione.

13

Poiché la chiusura della fase scritta del procedimento è avvenuta prima del trasferimento al Tribunale della presente causa, il Tribunale, con lettere della cancelleria del 9 novembre 2016, ha interrogato le parti circa lo svolgimento di un’udienza.

14

Le parti sono state sentite nelle loro difese orali all’udienza del 3 maggio 2017.

15

La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare il ricorso ricevibile;

annullare la decisione di diniego di pubblicazione e, «se necessario», la decisione di rigetto del reclamo;

condannare il SEAE alle spese.

16

Il SEAE chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare il ricorso infondato;

condannare la ricorrente alle spese.

In diritto

Osservazioni preliminari circa l’oggetto del ricorso

17

Occorre sottolineare che la ricorrente ha proposto il presente ricorso avverso la decisione di diniego di pubblicazione e, «se necessario», avverso la decisione di rigetto del reclamo.

18

Al riguardo, si deve ricordare che il reclamo amministrativo e il suo rigetto, esplicito o implicito, sono entrambi parte integrante di una procedura complessa e costituiscono unicamente una condizione preliminare per agire in giudizio. Date tali circostanze, il ricorso, anche se formalmente diretto contro il rigetto del reclamo, comporta che il giudice sia chiamato a conoscere dell’atto arrecante pregiudizio che è stato oggetto del reclamo, salvo il caso in cui il rigetto del reclamo abbia una portata diversa rispetto a quella dell’atto avverso il quale tale reclamo è stato presentato. Una decisione esplicita di rigetto di un reclamo può, tenuto conto del suo contenuto, non avere carattere confermativo dell’atto contestato dal ricorrente. Tale ipotesi ricorre quando la decisione di rigetto del reclamo contiene un riesame della posizione del ricorrente sulla scorta di elementi di fatto o di diritto nuovi, oppure modifica o integra la decisione iniziale. In questi casi, il rigetto del reclamo costituisce un atto soggetto al controllo del giudice, che ne tiene conto nella valutazione della legittimità dell’atto contestato o lo considera un atto lesivo che si sostituisce a quest’ultimo (v. sentenza del 21 maggio 2014, Mocová/Commissione, T‑347/12 P, EU:T:2014:268, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

19

Peraltro, tale tesi è supportata anche dalla considerazione secondo cui l’integrazione della motivazione, nella fase della decisione di rigetto del reclamo, è conforme alla finalità dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, ai sensi del quale anche la decisione sul reclamo deve essere motivata. Infatti, tale disposizione implica necessariamente che l’autorità chiamata a statuire sul reclamo non sia vincolata dalla sola motivazione, eventualmente insufficiente, o addirittura inesistente nel caso di una decisione implicita di rigetto, della decisione oggetto del reclamo (v. sentenze del 21 maggio 2014, Mocová/Commissione, T‑347/12 P, EU:T:2014:268, punto 35 e giurisprudenza ivi citata, e del 17 gennaio 2017, LP/Europol, T‑719/15 P, non pubblicata, EU:T:2017:7, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

20

Nel caso di specie, come emerge dai precedenti punti 3, 8 e 9, la decisione di rigetto del reclamo non modifica né il senso né la portata della decisione di diniego di pubblicazione. Infatti, la decisione di rigetto del reclamo, da un lato, ribadisce il diniego di pubblicazione del testo controverso e, dall’altro, limita la necessità di previa modifica del testo controverso ai due paragrafi che sono stati identificati nella decisione di diniego di pubblicazione.

21

Tuttavia, la motivazione contenuta nella decisione di rigetto del reclamo differisce parzialmente da quella contenuta nella decisione di diniego di pubblicazione. Infatti, nella decisione di diniego di pubblicazione, la pubblicazione del testo controverso è stata negata sul campo della violazione dell’«obbligo di lealtà e riservatezza», in quanto la ricorrente attribuiva direttamente, e senza alcuna prova, alla direzione del SEAE un comportamento specifico che violerebbe lo Statuto. Orbene, la decisione di rigetto del reclamo si basa, sostanzialmente, sull’esistenza di un rischio effettivo di grave pregiudizio agli interessi dell’Unione, ai sensi dell’articolo 17 bis dello Statuto. Più precisamente, essa ha ritenuto, in primo luogo, che la violazione dell’«obbligo di lealtà e riservatezza» costituisse, di per sé, un rischio effettivo di grave pregiudizio a tali interessi, in secondo luogo, che il testo controverso non fornisse alcuna prova per suffragare le affermazioni ivi contenute e, in terzo luogo, che i paragrafi controversi negassero l’esistenza di una politica diretta a lottare contro le molestie nelle istituzioni dell’Unione.

22

Si deve così constatare che la decisione di rigetto del reclamo contiene un’integrazione di motivazione che precisa e sviluppa la motivazione contenuta nell’atto contro il quale era diretto il reclamo, nella specie la decisione di diniego di pubblicazione.

23

Dal momento che tale motivazione specifica e integra la motivazione contenuta nella decisione di diniego di pubblicazione, e tenuto conto del carattere evolutivo del procedimento precontenzioso, si deve prendere in considerazione la motivazione della decisione di rigetto del reclamo per l’analisi della legittimità della decisione di diniego di pubblicazione.

Nel merito

24

A sostegno della domanda di annullamento la ricorrente deduce due motivi. Il primo motivo verte sulla violazione del diritto alla libertà di espressione. Il secondo motivo verte su un errore di valutazione per quanto riguarda la violazione dell’«obbligo di lealtà e riservatezza».

25

Il Tribunale ritiene opportuno esaminare per primo il secondo motivo.

Sul secondo motivo, vertente su un errore di valutazione per quanto attiene alla violazione del dovere di lealtà

26

Nell’ambito del secondo motivo, la ricorrente solleva una prima censura, secondo cui l’APN ha ritenuto erroneamente che il primo paragrafo nonché i paragrafi dal quarto al settimo, tredicesimo e diciannovesimo del testo controverso negassero l’esistenza di una politica del SEAE e dell’Unione volta a lottare contro le molestie. Infatti, la ricorrente sostiene che, in tali paragrafi, essa ha semplicemente espresso l’idea secondo cui, da un lato, le molestie erano un fenomeno ampiamente diffuso e, dall’altro, che tale situazione poteva ostacolare l’autorità del SEAE e, di conseguenza, dell’Unione sulla scena mondiale. Tuttavia, nel testo controverso, la ricorrente non sosterrebbe né che le molestie «metterebbero a repentaglio il buon funzionamento dei servizi», né che «nessun rimedio sarebbe disponibile». In ogni caso, il testo controverso non può costituire una «condotta lesiva della dignità e del rispetto dovuto all’istituzione» ai sensi della giurisprudenza applicabile.

27

Nell’ambito di una seconda censura, la ricorrente sottolinea che l’APN è incorsa in un errore «manifesto» di valutazione ritenendo che, nel secondo e sesto paragrafo del testo controverso, essa considerasse il suo datore di lavoro un nemico e nutrisse da tempo sfiducia nei suoi confronti. La ricorrente, infatti, sostiene che, se è vero che i paragrafi in questione rinviavano a una «guerra», si trattava di una «guerra all’interno delle istituzioni europee» e non contro di esse.

28

Con una terza censura, la ricorrente sostiene che l’APN ha erroneamente ritenuto che dal terzo e dal quindicesimo paragrafo del testo controverso emergesse che «le molestie ampiamente diffuse hanno indotto numerosi funzionari a usufruire di un congedo per malattia di lunga durata o a mettersi in invalidità». A tal proposito, la ricorrente sostiene di non aver mai indicato cifre relative alle persone che si erano ritrovate in congedo per malattia di lunga durata o in invalidità e che, di conseguenza, non si può dedurre dal testo controverso che esse sarebbero numerose. Inoltre, pur avendo espresso l’opinione secondo cui le molestie erano un fenomeno ampiamente diffuso e che numerosi colleghi si erano ritrovati in congedo per malattia di lunga durata o in invalidità, l’APN è incorsa in errore ritenendo che tale opinione traducesse una condotta lesiva della dignità e del rispetto dovuto all’istituzione.

29

Nell’ambito di una quarta censura, la ricorrente sostiene che l’APN è incorsa in un errore d’interpretazione ritenendo che il diciottesimo paragrafo del testo controverso affermasse che il SEAE e l’Unione «non darebbero l’esempio» con la loro politica di trattamento dei casi di molestie all’interno dei loro servizi. Secondo la ricorrente, il paragrafo in questione affermava soltanto che il SEAE doveva essere esemplare e non che non lo fosse, ma suggeriva semplicemente che esso poteva fare di più.

30

Con una quinta censura, la ricorrente sostiene che i paragrafi controversi non contenevano alcun insulto, né esprimevano mancanza di rispetto alcuna, di aggressività o altra forma di malevolenza e che corrispondevano semplicemente a una manifestazione della sua libertà di espressione, la quale includeva il diritto di esprimere opinioni discordanti o minoritarie rispetto a quelle difese dall’istituzione da cui dipendeva, anche se tali opinioni potevano ferire, impressionare o turbare.

31

Nell’ambito della sesta censura, la ricorrente sostiene che l’APN è incorsa in un errore «manifesto» di valutazione ritenendo che i paragrafi summenzionati fossero contrari all’«obbligo di lealtà e riservatezza» cui essa era tenuta, quale funzionaria, nei confronti dell’istituzione.

32

Il SEAE contesta gli argomenti della ricorrente.

33

In via preliminare, occorre rilevare che dai precedenti punti 3, 4, 8 e 9 emerge che, da un lato, la decisione di diniego di pubblicazione si è limitata a indicare che due paragrafi del testo controverso, ossia il quinto e il diciottesimo paragrafo, erano in contraddizione con l’«obbligo di lealtà e riservatezza» a cui la ricorrente era tenuta quale funzionaria dell’Unione e, dall’altro, che tale limitazione a due paragrafi era stata confermata dalla decisione di rigetto del reclamo.

34

Pertanto, sebbene, indubbiamente, la decisione di rigetto del reclamo contenga commenti su altri paragrafi del testo controverso, tali commenti possono tuttavia essere ritenuti solamente alla stregua di obiter dicta.

35

Ne consegue che le censure riguardanti i paragrafi del testo controverso diversi dal quinto e dal diciottesimo paragrafo sono inconferenti, tenuto conto che esse non hanno alcun effetto utile sulla legittimità della decisione di diniego di pubblicazione.

36

Si deve così giudicare, da un lato, che la prima censura è parzialmente inconferente nei limiti in cui riguarda il primo, quarto, sesto, settimo, tredicesimo e diciannovesimo paragrafo del testo controverso e, dall’altro, che la seconda e terza censura sono integralmente inconferenti.

37

Di conseguenza, si devono esaminare unicamente la prima censura e le censure da quattro a sei nei limiti in cui riguardano i paragrafi controversi.

38

Con la prima e la quarta censura, la ricorrente sostiene che l’APN ha erroneamente ritenuto che i paragrafi controversi, da un lato, negherebbero l’esistenza di una politica del SEAE e dell’Unione volta a combattere le molestie e, dall’altro, affermerebbero che il SEAE e l’Unione «non darebbero l’esempio» con la loro politica di trattamento dei casi di molestie all’interno dei loro servizi.

39

Al riguardo, occorre rammentare il testo dei paragrafi controversi:

«Il modus operandi della gerarchia delle istituzioni europee sembra essere, come ho potuto constatare, quello di convincere ogni individuo avente opinioni sul modo in cui le istituzioni sono gestite, che egli o ella farebbe meglio a cambiare lavoro, a optare per il prepensionamento o ad accettare un’invalidità. Volta pagina. Dimentica. Ecco come i superiori possono continuare a molestare alcuni dipendenti e a favorirne altri: forse non si tratta di una strategia pianificata – ma essa è tuttavia sistematica.

(…)

Il SEAE deve dare l’esempio nell’applicazione interna dei diritti, della trasparenza organizzativa e dello Stato di diritto – oppure non saremo credibili sulla scena internazionale».

40

Si deve altresì rammentare che tali paragrafi controversi sono inclusi in un testo che tratta del problema delle molestie all’interno delle istituzioni europee. Il quinto paragrafo del testo controverso descrive, più precisamente, un «modus operandi della gerarchia delle istituzioni europee» e aggiunge che i «superiori potevano continuare a molestare alcuni dipendenti e a favorirne altri» in modo «sistematico». In tale contesto, quindi, tale affermazione, che ricorre in particolare nei termini «modus operandi» e «sistematico», significa che le molestie sarebbero un fenomeno generalizzato da parte della gerarchia delle istituzioni europee.

41

Inoltre, il diciottesimo paragrafo del testo controverso afferma che il SEAE «deve dare l’esempio nell’applicazione interna dei diritti, della trasparenza organizzativa e dello Stato di diritto». Ne deriva che il SEAE non sarebbe «un esempio» nella lotta contro le molestie. In altri termini, tale istituzione non darebbe «l’esempio» con la propria politica di trattamento dei casi di molestie all’interno dei suoi servizi.

42

Peraltro, il diciottesimo paragrafo del testo controverso riprende l’idea, che emergeva già dal suo quinto paragrafo, che non esisterebbe una politica effettiva di lotta contro le molestie all’interno del SEAE e, per estensione, delle istituzioni dell’Unione.

43

Tali conclusioni sono per giunta confermate dalla stessa ricorrente nel ricorso. Infatti, al punto 44 del ricorso, essa ammette che, nel testo controverso, ha «espresso l’opinione che le molestie [erano] un fenomeno ampiamente diffuso, nonché la sua preoccupazione del fatto che tale situazione poteva ostacolare l’autorità del SEAE e, di conseguenza, dell’Unione sulla scena mondiale».

44

Ne consegue che l’APN non è incorsa in errori di valutazione nella sua interpretazione dei paragrafi controversi.

45

Di conseguenza, la prima e la quarta censura devono essere respinte in quanto infondate.

46

Con la quinta censura, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che i paragrafi controversi non contengono nessun insulto, né esprimono una mancanza di rispetto, aggressività o altra forma di malevolenza e che essi corrispondono soltanto a una manifestazione della sua libertà di espressione.

47

Tuttavia, come emerge dai precedenti punti 3 e 9, la decisione di diniego di pubblicazione non è stata adottata per il fatto che il testo controverso conterrebbe insulti o esprimerebbe una qualsiasi mancanza di rispetto, aggressività o altra forma di malevolenza. Infatti, la motivazione della decisione di diniego di pubblicazione rileva che i paragrafi controversi erano in contraddizione con l’«obbligo di lealtà e riservatezza» cui era tenuta la ricorrente, quale funzionaria dell’Unione, nei confronti dell’istituzione.

48

Di conseguenza, nei limiti in cui l’APN non ha ritenuto che i paragrafi controversi contenessero insulti, né esprimessero una qualsiasi mancanza di rispetto, aggressività o altra forma di malevolenza, si deve respingere la quinta censura in quanto infondata.

49

Infine, con la sesta censura, la ricorrente sostiene che l’APN è incorsa in un errore «manifesto» di valutazione ritenendo che i paragrafi controversi fossero contrari all’«obbligo di lealtà e riservatezza» cui essa era tenuta, quale funzionaria dell’Unione, nei confronti dell’istituzione.

50

Al riguardo occorre rammentare i principi che discendono dalle disposizioni che disciplinano il rapporto tra l’Unione e i suoi funzionari e agenti.

51

Così, innanzitutto, secondo l’articolo 11, primo comma, dello Statuto, il funzionario esercita le sue mansioni e agisce nell’esclusivo interesse dell’Unione. La medesima disposizione obbliga il funzionario a svolgere le mansioni affidategli in maniera obiettiva e imparziale e nel rispetto del proprio dovere di lealtà verso l’Unione.

52

In seguito, in base all’articolo 12 dello Statuto, il funzionario deve astenersi da qualsiasi atto che possa menomare la dignità della sua funzione.

53

Inoltre, a norma dell’articolo 12 ter, paragrafo 1, il funzionario deve chiedere preliminarmente l’autorizzazione all’APN per esercitare un’attività esterna anche a titolo gratuito.

54

Infine e soprattutto, secondo l’articolo 17 bis, paragrafo 1, dello Statuto, il funzionario ha diritto alla libertà di espressione, nel rispetto dell’«obbligo di lealtà e imparzialità». Tale articolo costituisce, così come gli articoli 11, 12 e 12 ter, una delle espressioni specifiche dell’obbligo di lealtà imposto a tutti i funzionari. In forza di tale dovere, il funzionario deve in particolare astenersi da condotte che attentino alla dignità e al rispetto dovuto all’istituzione e alle sue autorità (v., per quanto riguarda il dovere di lealtà nell’ambito dell’articolo 17 bis dello Statuto, sentenza del 23 ottobre 2013, Gomes Moreira/ECDC, F‑80/11, EU:F:2013:159, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

55

Inoltre, si deve sottolineare che dalla giurisprudenza emerge che un funzionario non potrebbe violare, esprimendosi verbalmente o per iscritto o con azioni di tutt’altra natura, i suoi obblighi statutari, derivanti segnatamente dagli articoli 11, 12, 12 ter e 17 bis dello Statuto, nei confronti dell’Unione che egli dovrebbe servire, infrangendo così il rapporto di fiducia che lo unisce a quest’ultima e rendendo ancor più difficile, se non impossibile, lo svolgimento, in collaborazione con tale dipendente, delle missioni affidate all’Unione (sentenza del 6 marzo 2001, Connolly/Commissione, C‑274/99 P, EU:C:2001:127, punto 47).

56

Peraltro, si deve altresì precisare che emerge in particolare dai riferimenti dell’articolo 11, primo comma, dello Statuto, alle «sue mansioni» e al suo «agi[re]», dell’articolo 12 dello Statuto a «qualsiasi atto» e dell’articolo 12 ter a «un’attività esterna», che la salvaguardia del rapporto di fiducia non si impone solo nell’espletamento di specifici compiti affidati al funzionario, ma si estende anche all’intera sfera dei rapporti esistenti tra il funzionario e l’Unione (sentenza del 23 ottobre 2013, Gomes Moreira/ECDC, F‑80/11, EU:F:2013:159, punto 65; v., altresì, in tal senso, sentenza del 26 novembre 1991, Williams/Corte dei conti, T‑146/89, EU:T:1991:61, punto 72).

57

In via preliminare, occorre rilevare che la decisione di diniego di pubblicazione conclude che i paragrafi controversi erano in contraddizione con l’«obbligo di lealtà e riservatezza». Tuttavia, emerge chiaramente da tale decisione che essa verte, invero, su una violazione del dovere di lealtà e che il dovere di riservatezza vi è semplicemente menzionato senza rivestire una qualche incidenza nel caso di specie. Di conseguenza, è alla luce del solo dovere di lealtà che deve essere esaminato l’errore di valutazione invocato dalla ricorrente.

58

Nel caso di specie, si deve constatare che i paragrafi controversi contengono affermazioni denigratorie, lesive dell’onore di tutte le persone che ricoprono una posizione gerarchica nelle istituzioni europee. A differenza di quanto asserisce la ricorrente, le affermazioni secondo cui, da un lato, esisterebbe un «modus operandi delle istituzioni europee» o una «prassi sistematica» che consentirebbe ai superiori di «continuare a molestare alcuni dipendenti e a favorirne altri» e, dall’altro, il SEAE verrebbe meno al suo dovere di «dare l’esempio nell’applicazione interna dei diritti, della trasparenza organizzativa e dello Stato di diritto» non possono essere considerate semplici opinioni discordanti o minoritarie. Tali formulazioni devono essere considerate idonee, di per sé, ad arrecare pregiudizio alla dignità di tutte le persone che rivestono una posizione gerarchica nelle istituzioni europee e di conseguenza alle istituzioni medesime.

59

Infatti, come sostiene il SEAE, le molestie costituiscono una pratica illecita, che può mettere in pericolo il funzionamento dell’istituzione, per di più, se essa è generalizzata come affermato nel testo controverso. Orbene, affermazioni che suggeriscono, da un lato, un comportamento gravemente reprensibile da parte della gerarchia delle istituzioni europee, come le molestie e, dall’altro, l’assenza di misure appropriate delle istituzioni per porvi rimedio, sono idonee a compromettere l’immagine, la dignità e il rispetto dovuto, in generale, a tutti coloro che occupano una posizione gerarchica nelle istituzioni e, di conseguenza, alle istituzioni medesime e, segnatamente, al SEAE. Tali affermazioni costituiscono quindi una violazione del dovere di lealtà.

60

Ne deriva che l’APN ha correttamente ritenuto che le affermazioni emergenti dai paragrafi controversi fossero contrarie al dovere di lealtà che spettava alla ricorrente quale funzionaria.

61

Pertanto, tale ultima censura non può essere accolta.

62

Tenuto conto di tutto quanto precede, il secondo motivo deve essere respinto in toto, in quanto in parte inconferente e in parte infondato.

Sul primo motivo vertente sulla violazione del diritto alla libertà di espressione

63

Nell’ambito del suo primo motivo, la ricorrente sostiene essenzialmente che, non dimostrando che il testo controverso potesse causare un grave pregiudizio agli interessi legittimi dell’Unione e negandole l’autorizzazione a pubblicare il testo controverso, l’APN ha violato l’articolo 17 bis dello Statuto e, di conseguenza, la libertà di espressione di cui godeva in forza dell’articolo 10 della CEDU e dell’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali.

64

Al riguardo, la ricorrente suddivide il presente motivo in tre parti. La prima mira a contestare che la violazione dell’«obbligo di lealtà e riservatezza» costituisca un rischio effettivo di pregiudizio grave agli interessi legittimi dell’Unione; la seconda mira a mettere in discussione il requisito secondo cui un funzionario che intenda pubblicare un articolo di giornale deve disporre di prove a suffragio delle proprie dichiarazioni; la terza mira a contestare l’argomento secondo cui i paragrafi controversi negherebbero l’esistenza di una politica volta a lottare contro le molestie nelle istituzioni dell’Unione.

– Sulla prima parte, diretta a contestare che la violazione del dovere di lealtà costituisca un rischio effettivo di pregiudizio grave agli interessi legittimi dell’Unione

65

In primo luogo, la ricorrente sostiene che la sentenza del 23 ottobre 2013, Gomes Moreira/ECDC (F‑80/11, EU:F:2013:159), su cui l’APN si è basata per sostenere che la violazione dell’«obbligo di lealtà e riservatezza» costituiva di per sé un rischio di pregiudizio grave all’interesse pubblico generale, non può essere trasposta al caso di specie. Invero, secondo la ricorrente, i fatti che hanno portato alla pronuncia di tale sentenza non sono paragonabili a quelli in questione nel presente caso, nei limiti in cui tale sentenza non è stata adottata nel contesto di una richiesta di pubblicazione, ma nell’ambito della cessazione di un contratto d’impiego.

66

Il SEAE contesta il primo argomento della ricorrente.

67

Al riguardo, si deve constatare che la decisione di rigetto del reclamo fa riferimento ai punti 62 e 64 della sentenza del 23 ottobre 2013, Gomes Moreira/ECDC (F‑80/11, EU:F:2013:159), per suffragare la conclusione secondo cui «la violazione dell’obbligo di lealtà e riservatezza costituiva di per sé un rischio di pregiudizio grave all’interesse pubblico generale».

68

Tuttavia, il riferimento alla sentenza del 23 ottobre 2013, Gomes Moreira/ECDC (F‑80/11, EU:F:2013:159), non costituisce il fondamento specifico della decisione di rigetto del reclamo. Infatti, la decisione di rigetto del reclamo è motivata dalla conclusione secondo cui «la violazione dell’obbligo di lealtà e riservatezza costituiva di per sé un rischio di pregiudizio grave all’interesse pubblico generale» e non dalla citazione, da sola, della sentenza del 23 ottobre 2013, Gomes Moreira/ECDC (F‑80/11, EU:F:2013:159).

69

Di conseguenza, la legittimità della decisione di rigetto del reclamo non può essere messa in discussione da un eventuale errore riguardante i riferimenti giurisprudenziali usati per suffragare tale decisione.

70

Si deve così ritenere inconferente tale primo argomento.

71

In secondo luogo, la ricorrente sostiene, essenzialmente, che l’APN rinvia a un rischio di pregiudizio grave per «l’interesse pubblico generale», mentre l’articolo 17 bis dello Statuto menziona solo un rischio di pregiudizio «agli interessi legittimi dell’Unione». Orbene, tali due nozioni non si confonderebbero e non sarebbero intercambiabili.

72

Il SEAE contesta il secondo argomento della ricorrente.

73

Al riguardo, è sufficiente osservare che, a differenza di quanto sostiene la ricorrente, la decisione di rigetto del reclamo non confonde in alcun modo le due nozioni di «interesse pubblico generale» e di «interessi legittimi dell’Unione». Come emerge dal passaggio riprodotto di seguito, la decisione di rigetto del reclamo indica semplicemente che la tutela degli «interessi dell’Unione» costituisce, tra altri, un obiettivo d’«interesse generale»:

«Come qualificato dalla Corte, l’articolo 17 bis dello Statuto esprime l’idea della continua necessità di un giusto equilibrio tra la garanzia dell’esercizio di un diritto fondamentale, quale la libertà di espressione, e la tutela di un obiettivo legittimo d’interesse generale, quale il rischio di pregiudizio agli interessi dell’Unione derivante dalla pubblicazione del testo (sentenze del 13 dicembre 2001, Commissione/Cwik, C‑340/00 P, EU:C:2001:701, punto 19, e del 14 luglio 2000, Cwik/Commissione, T‑82/99, EU:T:2000:193, punto 52».

74

Pertanto, tale secondo argomento deve essere respinto.

75

In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la giurisprudenza non consente di far risultare la presunzione invocata dall’APN secondo cui la violazione dell’«obbligo di lealtà e riservatezza» costituisce di per sé un rischio di pregiudizio grave agli interessi legittimi dell’Unione. Secondo la ricorrente, anche ammesso, per ipotesi, che una siffatta violazione emergesse dal testo controverso, ciò non consentirebbe di dedurre ipso facto che la pubblicazione del testo controverso costituisse un rischio effettivo di pregiudizio grave agli interessi dell’Unione.

76

Il SEAE contesta il terzo argomento della ricorrente.

77

Al riguardo, si deve rammentare che, secondo una giurisprudenza consolidata, i funzionari e gli agenti dell’Unione godono del diritto alla liberà di espressione, anche nei settori rientranti nell’ambito di attività delle istituzioni dell’Unione. Tale libertà comprende quella di esprimere, verbalmente o per iscritto, opinioni discordanti o minoritarie rispetto a quelle difese dall’istituzione da cui dipendono (v. sentenza del 6 marzo 2001, Connolly/Commissione, C‑274/99 P, EU:C:2001:127, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

78

Tuttavia, secondo una giurisprudenza altresì costante, la libertà di espressione può essere oggetto delle limitazioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU, ai sensi del quale l’esercizio di tale libertà poiché comporta doveri e responsabilità può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica (v. sentenza del 13 dicembre 2012, Strack/Commissione, T‑199/11 P, EU:T:2012:691, punto 137 e giurisprudenza ivi citata).

79

In particolare, è legittimo assoggettare i funzionari, a motivo del loro status, ad obblighi come quelli previsti dagli articoli 11, 12 e17 bis dello Statuto. Obblighi di tal genere, che costituiscono certamente restrizioni all’esercizio della libertà di espressione, sono destinati a salvaguardare il rapporto di fiducia che deve esistere tra l’istituzione e i suoi funzionari e possono risultare giustificati alla luce dello scopo legittimo di tutelare i diritti altrui ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU (sentenze del 6 marzo 2001, Connolly/Commissione, C‑274/99 P, EU:C:2001:127, punto 44, e del 13 dicembre 2012, Strack/Commissione, T‑199/11 P, EU:T:2012:691, punto 138).

80

Inoltre, occorre rilevare che dall’articolo 17 bis, paragrafo 2, dello Statuto emerge che il funzionario non deve pubblicare né far pubblicare, solo o in collaborazione, scritti il cui oggetto riguardi l’attività dell’Unione, senza autorizzazione dell’APN. Tuttavia, tale autorizzazione può essere negata solo se la pubblicazione prevista è di natura tale da «compromettere gravemente gli interessi legittimi dell’Unione».

81

A tal riguardo, la giurisprudenza precisa che l’articolo 17 bis, paragrafo 2, dello Statuto stabilisce l’obbligo di rilascio dell’autorizzazione, che può essere negata soltanto in via eccezionale. Infatti, dal momento che tale norma consente alle istituzioni di negare l’autorizzazione alla pubblicazione e prevede così la possibilità di una seria ingerenza nella libertà di espressione, che costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, essa deve essere interpretata in maniera restrittiva, in modo che l’autorizzazione alla pubblicazione può essere negata soltanto se quest’ultima è di natura tale da poter arrecare un grave pregiudizio agli interessi dell’Unione (v. sentenza del 13 dicembre 2001, Commissione/Cwik, C‑340/00 P, EU:C:2001:701, punti 17, 18 e giurisprudenza ivi citata).

82

Un regime del genere riflette il rapporto di fiducia che deve esistere tra il datore di lavoro e i suoi agenti e la sua applicazione può essere valutata soltanto considerando l’insieme delle circostanze del caso di specie e le implicazioni da esse derivanti sull’esercizio della funzione pubblica (sentenza del 6 marzo 2001, Connolly/Commissione, C‑274/99 P, EU:C:2001:127, punto 56).

83

Ne consegue che, nell’esercizio del suo sindacato, il giudice dell’Unione deve verificare, tenute presenti tutte le circostanze del caso di specie, se sia stato rispettato un giusto equilibrio tra il diritto fondamentale dell’individuo alla libertà di espressione e il legittimo interesse dell’istituzione a vigilare a che i suoi funzionari e agenti operino nel rispetto dei doveri e delle responsabilità connessi alle loro funzioni (sentenza del 6 marzo 2001, Connolly/Commissione, C‑274/99 P, EU:C:2001:127, punto 48).

84

Nel caso di specie, si deve rammentare che, come si è già concluso ai precedenti punti da 50 a 60, l’APN non è incorsa in un errore di valutazione ritenendo che i paragrafi controversi fossero in contraddizione con il dovere di lealtà che spettava alla ricorrente quale funzionaria.

85

Infatti, come è già stato dimostrato ai precedenti punti da 39 a 43, emerge dai paragrafi controversi, da un lato, che esisterebbe un fenomeno generalizzato di molestie da parte di persone che rivestono una posizione gerarchica nelle istituzioni europee e, dall’altro, che tali istituzioni non disporrebbero di una politica effettiva per ovviare a tale grave problema.

86

In tali circostanze, come è stato dimostrato ai precedenti punti da 58 a 60, la pubblicazione da parte di un funzionario di un testo contenente paragrafi quali quelli controversi costituirebbe una violazione del dovere di lealtà del funzionario riguardato nella misura in cui tale pubblicazione sarebbe idonea a incidere in modo particolarmente negativo sull’immagine e sulla dignità delle persone che occupano una posizione nella gerarchia delle istituzioni dell’Unione, nonché delle istituzioni, in generale, e del SEAE, in particolare.

87

Al riguardo, occorre rammentare che, a norma dell’articolo 17 bis, paragrafo 1, dello Statuto, il funzionario ha diritto alla libertà di espressione nel rispetto, segnatamente, dell’obbligo di lealtà (v. precedente punto 54).

88

Inoltre, la tutela delle istituzioni europee da affermazioni che possono incidere in modo grave e particolarmente negativo sulla loro immagine costituisce, di per sé, un obiettivo d’interesse generale e, più precisamente, un interesse legittimo dell’Unione.

89

Di conseguenza, dato che i paragrafi controversi sono idonei a incidere seriamente sull’immagine e sulla dignità delle istituzioni europee, la pubblicazione del testo controverso sarebbe di natura tale da compromettere gravemente gli interessi legittimi dell’Unione.

90

In ogni caso, si deve rilevare che il giusto equilibrio tra la garanzia del diritto alla libertà di espressione e la tutela degli interessi legittimi dell’Unione è stato rispettato nel caso di specie. Infatti, la restrizione alla libertà di espressione costituita dalla decisione di diniego di pubblicazione era circoscritta a due paragrafi sui ventiquattro contenuti nel testo controverso, il che lasciava ampiamente alla ricorrente la possibilità di presentare un testo riveduto.

91

Ne consegue che l’APN ha correttamente concluso che la pubblicazione di un testo contenente paragrafi quali i paragrafi controversi fosse di natura tale da compromettere gravemente gli interessi legittimi dell’Unione, ai sensi dell’articolo 17 bis, paragrafo 2, dello Statuto.

92

Di conseguenza, la prima parte del primo motivo deve essere respinta in quanto, in parte, inconferente e, in parte, infondata.

– Sulla seconda parte, diretta a contestare il requisito in base al quale un funzionario che intenda pubblicare un articolo deve disporre di prove che suffragano le sue dichiarazioni

93

La ricorrente sostiene, essenzialmente, in primo luogo, che il requisito dell’APN secondo cui un funzionario che intenda effettuare una pubblicazione deve possedere prove per suffragare le sue dichiarazioni costituisce una restrizione all’esercizio della libertà di espressione; in secondo luogo, che tale restrizione non è prevista dalla legge e, in terzo luogo, che, anche se una disposizione del genere esistesse, il requisito non sarebbe proporzionato.

94

Il SEAE contesta gli argomenti della ricorrente.

95

A tal riguardo, si deve sottolineare, innanzitutto, che le affermazioni contenute nei paragrafi controversi, riguardanti un asserito fenomeno di molestie generalizzato da parte della gerarchia delle istituzioni europee e l’asserita inesistenza di politiche per porvi rimedio, sono enunciate in modo vago e generale, senza precisare alcun elemento concreto per suffragarle. In seguito, occorre rilevare il carattere grave di tali affermazioni, poiché esse suggeriscono l’esistenza di comportamenti asseritamente diffusi e gravemente reprensibili, addirittura illeciti, da parte di soggetti che occupano una posizione gerarchica nelle istituzioni. Infine, si deve rilevare che tali affermazioni erano in grado di incidere negativamente sull’immagine e sulla dignità delle istituzioni medesime e, di conseguenza, di compromettere gravemente gli interessi legittimi dell’Unione.

96

Nella specie, a differenza di quanto asserisce la ricorrente, non si tratta di esigere che il funzionario che intende effettuare una pubblicazione detenga «prove per suffragare le sue dichiarazioni». Si tratta, invece, di esigere che le affermazioni atte ad attribuire comportamenti particolarmente reprensibili, addirittura illeciti, a un insieme indeterminato di persone all’interno della gerarchia delle istituzioni siano suffragate e precisate.

97

Pertanto, tale seconda parte del primo motivo deve essere respinta in quanto infondata.

– Sulla terza parte, diretta a contestare l’argomento secondo cui i paragrafi controversi negherebbero l’esistenza di una politica volta a lottare contro le molestie nelle istituzioni dell’Unione

98

La ricorrente sostiene che l’argomento avanzato dall’APN secondo cui i paragrafi controversi negherebbero l’esistenza di una politica volta a lottare contro le molestie nelle istituzioni dell’Unione non è suffragata da fondamenti fattuali. Essa sottolinea che il testo controverso riguarda il problema delle molestie nelle istituzioni dell’Unione, che essa ritiene molto diffuso, ma che non ha mai affermato che non esistesse una politica per affrontare tale problematica. In ogni caso, l’eventuale negazione dell’esistenza di una politica per lottare contro le molestie deve essere percepita solamente come un’opinione discordante o minoritaria, rispetto a quella difesa dall’istituzione, e, quindi, non idonea a rappresentare un rischio effettivo di pregiudizio grave agli interessi legittimi dell’Unione.

99

Il SEAE contesta l’argomento della ricorrente.

100

A tal riguardo, è sufficiente osservare che, per i motivi già enunciati ai precedenti punti 58 e 59, i paragrafi controversi non possono essere ritenuti mere opinioni divergenti o minoritarie rispetto a quelle dell’istituzione, ma devono essere ritenuti di natura tale da arrecare, di per sé, pregiudizio alla dignità delle istituzioni riguardate.

101

Pertanto, tale terza parte del primo motivo deve essere respinta in quanto infondata.

102

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve concludere nel senso che, a differenza di quanto asserisce la ricorrente, l’APN, adottando la decisione di diniego di pubblicazione, non ha violato l’articolo 17 bis dello Statuto e, conseguentemente, la sua libertà di espressione.

103

Di conseguenza, si deve respingere il primo motivo in quanto in parte inconferente e in parte infondato e, pertanto, respingere il ricorso nella sua interezza.

Sulle spese

104

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

105

Poiché il SEAE ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

Il ricorso è respinto.

 

2)

La sig.ra Carina Skareby è condannata alle spese.

 

Prek

Schalin

Costeira

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 settembre 2017.

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

Top