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Document 62015CO0013

    Ordinanza della Corte (Sesta Sezione) dell'8 settembre 2015.
    Procedimento penale a carico di Cdiscount SA.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation.
    Rinvio pregiudiziale – Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte – Direttiva 2005/29/CE – Tutela dei consumatori – Pratiche commerciali sleali – Riduzione di prezzo – Marcatura o affissione del prezzo di riferimento.
    Causa C-13/15.

    Culegeri de jurisprudență - general

    Identificator ECLI: ECLI:EU:C:2015:560

    ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

    8 settembre 2015 ( *1 )

    «Rinvio pregiudiziale — Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte — Direttiva 2005/29/CE — Tutela dei consumatori — Pratiche commerciali sleali — Riduzione di prezzo — Marcatura o affissione del prezzo di riferimento»

    Nella causa C‑13/15,

    avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Cour de cassation (Francia), con decisione del 9 settembre 2014, pervenuta in cancelleria il 16 gennaio 2015, nel procedimento penale a carico di

    Cdiscount SA,

    LA CORTE (Sesta Sezione),

    composta da S. Rodin, presidente di sezione, A. Borg Barthet (relatore) e E. Levits, giudici,

    avvocato generale: P. Mengozzi

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente all’articolo 99 del regolamento di procedura della Corte,

    ha emesso la seguente

    Ordinanza

    1

    La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149, pag. 22).

    2

    Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale promosso nei confronti della Cdiscount SA (in prosieguo: la «Cdiscount») in relazione alla mancanza di indicazione del prezzo di riferimento in occasione di vendite a prezzo ridotto effettuate dalla Cdiscount su un sito di vendita online.

    Contesto normativo

    Diritto dell’Unione

    3

    I considerando 6, 8 e 17 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali così recitano:

    «(6)

    La presente direttiva ravvicina (...) le legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità sleale, che ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi. (...) Essa non riguarda e lascia impregiudicate le legislazioni nazionali sulle pratiche commerciali sleali che ledono unicamente gli interessi economici dei concorrenti o che sono connesse ad un’operazione tra professionisti. Tenuto pienamente conto del principio di sussidiarietà, gli Stati membri, ove lo desiderino, continueranno a poter disciplinare tali pratiche, conformemente alla normativa comunitaria. (...)

    (...)

    (8)

    La presente direttiva tutela direttamente gli interessi economici dei consumatori dalle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori. (...)

    (...)

    (17)

    È auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L’allegato I riporta pertanto l’elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da 5 a 9. L’elenco può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

    4

    L’articolo 1 della direttiva di cui trattasi così dispone:

    «La presente direttiva intende contribuire al corretto funzionamento del mercato interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori».

    5

    L’articolo 2 di detta direttiva prevede quanto segue:

    «Ai fini della presente direttiva, si intende per:

    (...)

    d)

    “pratiche commerciali delle imprese nei confronti dei consumatori” (in seguito denominate “pratiche commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori;

    (...)».

    6

    L’articolo 3, paragrafo 1, della stessa direttiva è così formulato:

    «La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto».

    7

    Ai sensi dell’articolo 4 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali:

    «Gli Stati membri non limitano la libertà di prestazione dei servizi né la libera circolazione delle merci per ragioni afferenti al settore armonizzato dalla presente direttiva».

    8

    L’articolo 5 della direttiva, rubricato «Divieto delle pratiche commerciali sleali», è così redatto:

    «1.   Le pratiche commerciali sleali sono vietate.

    2.   Una pratica commerciale è sleale se:

    a)

    è contraria alle norme di diligenza professionale,

    e

    b)

    falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.

    (...)

    4.   In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:

    a)

    ingannevoli di cui agli articoli 6 e 7

    o

    b)

    aggressive di cui agli articoli 8 e 9.

    5.   L’allegato I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere modificato solo mediante revisione della presente direttiva».

    9

    L’articolo 6 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali prevede quanto segue:

    «È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:

    (...)

    d)

    il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo;

    (...)».

    Diritto francese

    10

    Conformemente all’articolo L. 113‑3 del codice del consumo, nella versione vigente alla data dei fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «codice del consumo»), «qualsiasi venditore di prodotti o fornitore di servizi deve, tramite l’apposizione di marcature, etichette, affissioni o qualsiasi altro mezzo appropriato, informare il consumatore sui prezzi, sugli eventuali limiti della responsabilità contrattuale e sulle condizioni particolari di vendita, secondo modalità stabilite dai decreti del ministro dell’economia».

    11

    L’articolo R. 113‑1 di tale codice così recita:

    «Sono punite con la pena dell’ammenda prevista per le contravvenzioni della quinta classe la vendita di beni o prodotti ovvero la prestazione di servizi a prezzi fissati in violazione dei decreti adottati in applicazione dell’articolo 1 dell’ordinanza n. 86‑1243 del 1o dicembre 1986 riprodotto all’articolo L. 113‑1, o dei decreti aventi lo stesso oggetto adottati in applicazione dell’ordinanza n. 45‑1483 del 30 giugno 1945 e mantenuti in vigore in via transitoria dall’articolo 61 della summenzionata ordinanza del 1o dicembre 1986, che compaiono in allegato al presente codice.

    Le stesse pene sono applicabili in caso di violazione dei decreti previsti all’articolo L. 113‑3 che stabiliscono le modalità di informazione del consumatore sui prezzi e sulle condizioni particolari di vendita nonché [in caso di violazione] dei decreti aventi lo stesso oggetto adottati in applicazione dell’ordinanza n. 45‑1483 del 30 giugno 1945.

    In caso di recidiva, sono applicabili le pene pecuniarie previste per la recidiva nelle contravvenzioni della quinta classe».

    12

    Ai sensi dell’articolo 1, punto 2, del decreto del 31 dicembre 2008 relativo agli annunci di riduzione di prezzo rivolti al consumatore (JORF del 13 gennaio 2009, pag. 689; in prosieguo: il «decreto del 31 dicembre 2008»), adottato in applicazione dell’articolo L. 113‑3 del codice del consumo, qualora una pubblicità rivolta al consumatore che contenga un annuncio di riduzione di prezzo «sia fatta nei luoghi di vendita o in siti di vendita online, l’etichettatura, la marcatura o l’affissione dei prezzi realizzate conformemente alle disposizioni vigenti devono far apparire, oltre al prezzo ridotto pubblicizzato, il prezzo di riferimento definito all’articolo 2».

    13

    L’articolo 2 di detto decreto prevede quanto segue:

    «1.   Il prezzo di riferimento di cui al presente decreto non può essere superiore al prezzo più basso effettivamente praticato dall’operatore pubblicitario per un articolo o un servizio simile, nel medesimo esercizio di vendita al dettaglio o sito di vendita a distanza, durante i trenta giorni precedenti l’inizio della pubblicità. Il prezzo di riferimento così definito può essere conservato in caso di riduzioni di prezzo annunciate in successione nel corso della medesima operazione commerciale, per un periodo massimo di un mese a decorrere dal primo annuncio di riduzione di prezzo, ovvero nel corso del medesimo periodo di saldi o di liquidazione.

    L’operatore pubblicitario dev’essere in grado di dimostrare, su richiesta degli agenti di cui all’articolo L. 450‑1 del codice di commercio, mediante distinte, bollettini, buoni d’ordine, scontrini di cassa o qualsiasi altro documento tutti i prezzi che ha effettivamente praticato durante tale periodo.

    2.   L’operatore pubblicitario può inoltre utilizzare quale prezzo di riferimento il prezzo consigliato dal fabbricante o dall’importatore del prodotto o il prezzo massimo risultante da una disposizione della normativa economica.

    In tal caso, esso dev’essere in grado di dimostrare agli agenti di cui all’articolo L. 450‑1 del codice di commercio l’effettività di detti riferimenti e il fatto che tali prezzi siano correntemente praticati dagli altri distributori dello stesso prodotto.

    3.   Nel caso in cui non sia stato precedentemente venduto un articolo simile nel medesimo esercizio di vendita al dettaglio o sullo stesso sito di vendita a distanza e qualora tale articolo non sia più oggetto di un prezzo consigliato dal fabbricante o dall’importatore, gli annunci di riduzioni di prezzo di cui all’articolo 1 possono essere calcolati mediante riferimento all’ultimo prezzo consigliato, a condizione che esso non risalga a più di tre anni prima dell’inizio della pubblicità.

    In tale ipotesi, l’annuncio di riduzione di prezzo recherà, accanto al prezzo di riferimento, la dicitura “prezzo consigliato” accompagnata dall’anno al quale detto prezzo si riferisce.

    Su richiesta degli agenti di cui all’articolo L. 450‑1 del codice di commercio, l’operatore pubblicitario dev’essere in grado di dimostrare l’effettività del prezzo consigliato e il fatto di averlo praticato».

    Procedimento principale e questione pregiudiziale

    14

    Come risulta dalla decisione di rinvio, il 16 ottobre 2009 i servizi della direzione dipartimentale della tutela delle persone della Gironda hanno redatto un verbale secondo il quale essi hanno rilevato varie violazioni delle disposizioni del decreto del 31 dicembre 2008.

    15

    Detti servizi hanno infatti rilevato che la Cdiscount, la quale gestisce un sito di vendita online, nel contesto di offerte per acquisti a prezzi ridotti, non aveva indicato i prezzi di riferimento precedenti alla riduzione o i prezzi consigliati dal produttore prima della riduzione. Orbene, la mancanza di affissione o di marcatura del prezzo di riferimento al momento dell’annuncio di prezzi ridotti da parte dei commercianti costituisce una violazione delle disposizioni del citato decreto e dell’articolo L. 113‑3 del codice del consumo, violazione sanzionata penalmente.

    16

    La Cdiscount è stata chiamata in giudizio dinanzi al Tribunal de police di Bordeaux che in primo grado ha respinto il suo argomento attinente alla non conformità del decreto del 31 dicembre 2008 alle disposizioni della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e ha dichiarato l’imputata colpevole dei fatti contestati.

    17

    La Cdiscount ha proposto appello avverso tale sentenza dinanzi alla Cour d’appel de Bordeaux (Corte d’appello di Bordeaux) che ha confermato detta decisione, con sentenza del 5 luglio 2013, con la motivazione che la marcatura o l’affissione del prezzo di riferimento non sono di per se stesse una pratica commerciale ma devono essere considerate come una modalità di attuazione della pratica commerciale dell’annuncio di riduzione di prezzo. La marcatura o l’affissione, pertanto, non rientrerebbero nell’ambito di applicazione della direttiva di cui trattasi.

    18

    Poiché la condanna della Cdiscount è stata confermata in appello, quest’ultima ha proposto ricorso in cassazione.

    19

    Il giudice del rinvio rileva, da un lato, che il divieto sancito dalle disposizioni nazionali di cui trattasi si applica in ogni caso e, dall’altro lato, che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali prevede un elenco tassativo di pratiche sleali in ogni caso e, ai suoi articoli da 5 a 9, stabilisce che, eccettuate tali pratiche, una pratica commerciale può essere considerata sleale solo a seguito di una valutazione caso per caso.

    20

    Ritenendo che l’esito del procedimento principale dipenda dall’interpretazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

    «Se le disposizioni di cui agli articoli da 5 a 9 della [direttiva sulle pratiche commerciali sleali] ostano a che siano vietate, in ogni caso, le riduzioni di prezzo che non sono quantificate rispetto a un prezzo di riferimento stabilito in via normativa, indipendentemente dalla loro eventuale incidenza sulla decisione del consumatore medio».

    Sulla questione pregiudiziale

    21

    Ai sensi dell’articolo 99 del suo regolamento di procedura, quando la risposta a una questione pregiudiziale può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata.

    22

    Nella presente causa occorre applicare tale articolo.

    23

    Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva sulle pratiche commerciali sleali debba essere interpretata nel senso che essa osta a disposizioni nazionali, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, che prevedono il divieto generale degli annunci di riduzione di prezzo che non facciano apparire il prezzo di riferimento al momento della marcatura o dell’affissione dei prezzi.

    24

    Al fine di rispondere a tale questione, occorre stabilire, in via preliminare, se gli articoli 1, punto 2, e 2 del decreto del 31 dicembre 2008, applicabili ai fatti di cui al procedimento principale, perseguano finalità attinenti alla tutela dei consumatori, cosicché essi possano rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

    25

    Conformemente al suo considerando 8, infatti, detta direttiva «tutela direttamente gli interessi economici dei consumatori dalle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori» e garantisce, come stabilisce in particolare il suo articolo 1, «un livello elevato di tutela dei consumatori mediante l’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori» (ordinanza INNO, C‑126/11, EU:C:2011:851, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

    26

    Sono invece escluse dall’ambito di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, conformemente al considerando 6 di quest’ultima, le legislazioni nazionali sulle pratiche commerciali sleali che ledono «unicamente» gli interessi economici dei concorrenti o che sono connesse ad un’operazione tra professionisti (ordinanza INNO, C‑126/11, EU:C:2011:851, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

    27

    A tal proposito, occorre rilevare che il giudice del rinvio non si pronuncia in modo chiaro sulle finalità del decreto del 31 dicembre 2008.

    28

    Orbene, va ricordato che non spetta alla Corte pronunciarsi, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, sull’interpretazione del diritto interno, dato che tale compito incombe esclusivamente al giudice del rinvio. Infatti, la Corte è tenuta a prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione europea e i giudici nazionali, il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dal provvedimento di rinvio (ordinanze Koukou, C‑519/08, EU:C:2009:269, punto 43 e giurisprudenza ivi citata, nonché Wamo, C‑288/10, EU:C:2011:443, punto 27).

    29

    Pertanto, spetta al giudice del rinvio e non alla Corte stabilire se le disposizioni nazionali di cui trattasi nella causa principale, ossia gli articoli 1, punto 2, e 2 del decreto del 31 dicembre 2008, perseguano effettivamente finalità dirette alla tutela dei consumatori al fine di verificare se siffatte disposizioni possano rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (ordinanza Wamo, C‑288/10, EU:C:2011:443, punto 28).

    30

    Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio pervenisse ad una siffatta conclusione, occorre poi determinare se gli annunci di riduzione di prezzo che non fanno apparire il prezzo di riferimento al momento della marcatura o dell’affissione dei prezzi, oggetto del divieto in questione nella causa principale, costituiscano pratiche commerciali ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e siano, pertanto, soggetti alle prescrizioni sancite da quest’ultima (v., in tal senso, ordinanza Wamo, C‑288/10, EU:C:2011:443, punto 29).

    31

    Al riguardo, occorre rilevare che l’articolo 2, lettera d), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali definisce, impiegando una formulazione particolarmente estesa, la nozione di «pratica commerciale» come «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori» (ordinanza Wamo, C‑288/10, EU:C:2011:443, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

    32

    Orbene, riduzioni di prezzo come quelle oggetto della causa principale, il cui obiettivo consiste nell’incitare consumatori ad acquistare prodotti su un sito di vendita online, si iscrivono chiaramente nel contesto della strategia commerciale di un operatore e sono rivolte direttamente alla promozione e alla vendita di tali prodotti. Ne discende che dette riduzioni configurano pratiche commerciali ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e ricadono, conseguentemente, nel suo ambito di applicazione ratione materiae (v., in tal senso, ordinanza Wamo, C‑288/10, EU:C:2011:443, punto 31).

    33

    Ciò premesso, occorre verificare se la direttiva sulle pratiche commerciali sleali osti a un divieto degli annunci di riduzione di prezzo che non facciano apparire il prezzo di riferimento al momento della marcatura o dell’affissione dei prezzi, quale quello previsto agli articoli 1, punto 2, e 2 del decreto del 31 dicembre 2008.

    34

    In proposito, occorre rammentare anzitutto che, dato che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali realizza un’armonizzazione completa delle norme relative alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, gli Stati membri non possono adottare, come previsto espressamente dall’articolo 4 di quest’ultima, misure più restrittive di quelle definite da detta direttiva, neppure al fine di assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori (ordinanza Wamo, C‑288/10, EU:C:2011:443, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

    35

    Inoltre, occorre altresì rilevare che l’articolo 5 della stessa direttiva enuncia i criteri che consentono di determinare le circostanze in cui una pratica commerciale dev’essere considerata sleale e, pertanto, vietata.

    36

    In tal senso, a norma del paragrafo 2 di detto articolo, una pratica commerciale è sleale se è contraria alle norme di diligenza professionale e falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio.

    37

    Inoltre, l’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali distingue, in particolare, due specifiche categorie di pratiche commerciali sleali, ossia le «pratiche ingannevoli» e le «pratiche aggressive», che soddisfano rispettivamente i criteri precisati, da un lato, agli articoli 6 e 7 di tale direttiva e, dall’altro, agli articoli 8 e 9 di quest’ultima.

    38

    Infine, la stessa direttiva stabilisce, al suo allegato I, un elenco tassativo di 31 pratiche commerciali che, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 5, di tale direttiva, sono considerate sleali «in ogni caso». Di conseguenza, come precisa espressamente il considerando 17 di detta direttiva, tali pratiche commerciali sono le uniche che possono essere considerate sleali senza costituire oggetto di una valutazione caso per caso ai sensi delle disposizioni degli articoli da 5 a 9 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (ordinanza Wamo, C‑288/10, EU:C:2011:443, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

    39

    Quanto alle disposizioni nazionali oggetto del procedimento principale, è pacifico che pratiche consistenti nell’annunciare ai consumatori riduzioni di prezzo che non facciano apparire il prezzo di riferimento al momento della marcatura o dell’affissione dei prezzi non figurano all’allegato I della direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Pertanto, esse possono essere vietate non già in ogni caso, ma solo in esito ad un’analisi specifica che consenta di stabilirne il carattere sleale (v., in tal senso, ordinanza Wamo, C‑288/10, EU:C:2011:443, punto 38).

    40

    È tuttavia giocoforza rilevare che gli articoli 1, punto 2, e 2 del decreto del 31 dicembre 2008 vietano in generale gli annunci di riduzione di prezzo che non facciano apparire il prezzo di riferimento al momento della marcatura o dell’affissione dei prezzi, senza che sia necessario determinare, con riguardo al contesto di fatto di ciascun caso di specie, se l’operazione commerciale in questione presenti carattere «sleale» alla luce dei criteri sanciti dagli articoli da 5 a 9 della direttiva sulle pratiche commerciali sleali (v., in tal senso, ordinanza Wamo, C‑288/10, EU:C:2011:443, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

    41

    Occorre, pertanto, rispondere alla questione sollevata che la direttiva sulle pratiche commerciali sleali dev’essere interpretata nel senso che osta a disposizioni nazionali, quali quelle di cui al procedimento principale, che prevedono un divieto generale, senza una valutazione caso per caso che consenta di stabilirne il carattere sleale, degli annunci di riduzione di prezzo che non facciano apparire il prezzo di riferimento al momento della marcatura o dell’affissione dei prezzi, allorché dette disposizioni perseguano finalità attinenti alla tutela dei consumatori. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale ipotesi ricorra nel procedimento principale.

    Sulle spese

    42

    Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

     

    Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara:

     

    La direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), dev’essere interpretata nel senso che osta a disposizioni nazionali, quali quelle di cui al procedimento principale, che prevedono un divieto generale, senza una valutazione caso per caso che consenta di stabilirne il carattere sleale, degli annunci di riduzione di prezzo che non facciano apparire il prezzo di riferimento al momento della marcatura o dell’affissione dei prezzi, allorché dette disposizioni perseguano finalità attinenti alla tutela dei consumatori. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale ipotesi ricorra nel procedimento principale.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: il francese.

    Sus