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Document 62014CC0555

    Conclusioni dell’avvocato generale E. Sharpston, presentate il 12 maggio 2016.
    IOS Finance EFC SA contro Servicio Murciano de Salud.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Juzgado Contencioso-Administrativo n. 6 de Murcia.
    Rinvio pregiudiziale – Lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali – Direttiva 2011/7/UE – Transazioni commerciali tra imprese private e pubbliche amministrazioni – Normativa nazionale che subordina il recupero immediato del capitale di un credito alla rinuncia agli interessi di mora e alla rinuncia al risarcimento per i costi di recupero.
    Causa C-555/14.

    Court reports – general ; Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2016:341

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    ELEANOR SHARPSTON

    presentate il 12 maggio 2016 ( 1 )

    Causa C‑555/14

    IOS Finance EFC SA

    contro

    Servicio Murciano de Salud

    [Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Juzgado Contencioso-Administrativo No 6, Murcia (Tribunale per il contenzioso amministrativo n. 6 di Murcia, Spagna)]

    «Direttive 2000/35/CE e 2011/7/UE — Ritardo di pagamento nelle transazioni commerciali — Transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni — Clausole contrattuali e prassi inique»

    1. 

    La direttiva sui ritardi di pagamento ( 2 ) impone agli Stati membri di disporre che una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al periodo di pagamento, al tasso dell’interesse di mora o al risarcimento per i costi di recupero non possa essere fatta valere oppure dia diritto a un risarcimento del danno, qualora risulti gravemente iniqua per il creditore. A tal fine, si considera gravemente iniqua una clausola contrattuale o una prassi che escluda l’applicazione degli interessi di mora o il risarcimento per i costi di recupero. Gli Stati membri sono inoltre tenuti a garantire che, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è un’autorità pubblica, il creditore abbia diritto agli interessi legali di mora, senza che sia necessario un sollecito.

    2. 

    In Spagna, il Real Decreto-ley 8/2013, de 28 de junio, de medidas urgentes contra la morosidad de las administraciones públicas y de apoyo a entidades locales con problemas financieros (regio decreto legge n. 8/2013 del 28 giugno 2013, recante misure urgenti per la lotta contro i ritardi di pagamento da parte delle amministrazioni pubbliche e il sostegno agli enti locali con problemi finanziari; in prosieguo: il «decreto legge 8/2013») ha istituito un meccanismo di finanziamento straordinario mediante il quale le imprese che vantavano un credito nei confronti di autorità pubbliche la cui capacità finanziaria risultasse compromessa, potevano convenire di rinunciare agli interessi, alle spese legali e ai costi di recupero in cambio del pagamento immediato del debito principale. L’effetto ottenuto consisteva nella cancellazione dell’obbligo di pagamento dell’intero debito e nella conclusione di ogni procedimento giudiziario avviato.

    3. 

    Una società di factoring ha acquistato una serie di crediti insoluti vantati da fornitori nei confronti di un’autorità sanitaria regionale in Spagna e ha richiesto il pagamento di tali crediti, maggiorati degli interessi e dei costi di recupero dinanzi ai giudici spagnoli. Tale società ha poi aderito al meccanismo straordinario di finanziamento e ha recuperato (quasi) l’intero importo del credito principale. Tuttavia, essa ha interposto un ulteriore ricorso contestando l’esclusione degli interessi e dei costi di recupero, considerandola contraria alla direttiva sul ritardo nei pagamenti.

    4. 

    Al fine di stabilire se tale argomento sia valido, il Juzgado Contencioso-Administrativo no 6, Murcia (Tribunale per il contenzioso amministrativo n. 6 di Murcia) ha proposto un rinvio pregiudiziale vertente sull’interpretazione di tale direttiva. Un’ulteriore questione, sollevata dalla Commissione, riguarda se la versione vigente della direttiva sui ritardi di pagamento (direttiva 2011/7) o la direttiva che l’ha preceduta (direttiva 2000/35) sia applicabile ratione temporis alle pretese fatte valere nel procedimento principale.

    Contesto normativo

    Direttiva 2000/35

    5.

    La direttiva 2000/35 si applicava «ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale» (articolo 1), vale a dire ai «contratti tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro pagamento di un prezzo» (articolo 2, paragrafo 1).

    6.

    L’articolo 3 disponeva, in particolare, così:

    «1.   Gli Stati membri assicurano quanto segue:

    a)

    gli interessi di cui alla lettera [d] cominciano a decorrere dal giorno successivo alla data di scadenza o alla fine del periodo di pagamento stabiliti nel contratto;

    b)

    se la data o il periodo di pagamento non sono stabiliti nel contratto, gli interessi cominciano a decorrere automaticamente, senza che sia necessario un sollecito:

    i)

    trascorsi 30 giorni dal ricevimento della fattura da parte del debitore o di una richiesta equivalente di pagamento, o

    (…);

    c)

    il creditore ha diritto agli interessi di mora se:

    i)

    ha adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge; e

    ii)

    non ha ricevuto nei termini l’importo dovuto, a meno che il ritardo non sia imputabile al debitore;

    d)

    il livello degli interessi di mora (“tasso legale”) a carico del debitore è pari al tasso d’interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione (“tasso di riferimento”), maggiorato di almeno 7 punti percentuali (“margine”), salvo altrimenti disposto dal contratto. (…);

    e)

    a meno che il debitore non sia responsabile del ritardo, il creditore ha il diritto di esigere dal debitore un risarcimento ragionevole per tutti i costi di recupero sostenuti a causa del ritardo di pagamento del debitore. Questi costi di recupero devono rispettare i principi della trasparenza e della proporzionalità per quanto riguarda il debito in questione. Gli Stati membri possono, nel rispetto dei suddetti principi, fissare un importo massimo per quanto riguarda i costi di recupero per vari livelli di debito.

    (…)

    3.   Gli Stati membri dispongono che un accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardo di pagamento che non sia conforme alle disposizioni di cui ai paragrafi 1, lettere da b) a d), e 2 non possa essere fatto valere e non dia diritto a un risarcimento del danno, se, considerate tutte le circostanze del caso, ivi compresa la corretta prassi commerciale e la natura del prodotto, risulti gravemente iniquo nei confronti del creditore. Per determinare se un accordo è gravemente iniquo per il creditore, si terrà conto inter alia se il debitore ha qualche motivo oggettivo per ignorare le disposizioni dei paragrafi 1, lettere da b) a d), e 2. Ove si accerti che tale accordo è gravemente iniquo, si applicano i termini legali, a meno che il giudice nazionale non riporti il contratto ad equità.

    4.   Gli Stati membri assicurano che, nell’interesse dei creditori e dei concorrenti, esistano mezzi efficaci ed idonei per impedire il continuo ricorso a condizioni gravemente inique nel senso di cui al paragrafo 3.

    (…)».

    7.

    L’articolo 6 imponeva agli Stati membri di recepire la direttiva anteriormente all’8 agosto 2002, ma li autorizzava a lasciare in vigore od emanare norme che fossero più favorevoli al creditore di quelle necessarie per conformarsi alla direttiva e ad escludere, in particolare, i contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002.

    Direttiva 2011/7

    8.

    L’articolo 1 così dispone:

    «1.   Lo scopo della presente direttiva è di lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno, favorendo in tal modo la competitività delle imprese e in particolare delle PMI.

    2.   La presente direttiva si applica ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale.

    3.   Gli Stati membri possono escludere i debiti che formano oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito».

    9.

    L’articolo 2, paragrafo 1, definisce le «transazioni commerciali» in termini identici a quelli usati dall’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2000/35.

    10.

    L’articolo 4 contempla le transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni. Il suo paragrafo 1 così recita:

    «Gli Stati membri assicurano che, nelle transazioni commerciali in cui il debitore è la pubblica amministrazione, alla scadenza del periodo di cui al paragrafo 3, 4 o 6 il creditore abbia diritto agli interessi legali di mora senza che sia necessario un sollecito, qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni:

    a)

    il creditore ha adempiuto agli obblighi contrattuali e di legge; e

    b)

    il creditore non ha ricevuto nei termini l’importo dovuto e il ritardo è imputabile al debitore».

    11.

    L’articolo 4, paragrafi 3, 4 e 6 stabilisce un periodo di pagamento di 30 giorni o, in determinate circostanze, di 60 giorni.

    12.

    L’articolo 6 così stabilisce:

    «1.   Gli Stati membri assicurano che, ove gli interessi di mora diventino esigibili in transazioni commerciali in conformità dell’articolo 3 o 4, il creditore abbia il diritto di ottenere dal debitore, come minimo, un importo forfettario di 40 EUR.

    2.   Gli Stati membri assicurano che l’importo forfettario di cui al paragrafo 1 sia esigibile senza che sia necessario un sollecito e quale risarcimento dei costi di recupero sostenuti dal creditore.

    3.   Il creditore, oltre all’importo forfettario di cui al paragrafo 1, ha il diritto di esigere dal debitore un risarcimento ragionevole per ogni costo di recupero che ecceda tale importo forfettario sostenuto a causa del ritardo di pagamento del debitore. Ciò potrebbe comprendere anche le spese che il creditore ha sostenuto per aver affidato un incarico a un avvocato o a una società di recupero crediti».

    13.

    L’articolo 7 dispone, in particolare, quanto segue:

    «1.   Gli Stati membri dispongono che una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al periodo di pagamento, al tasso dell’interesse di mora o al risarcimento per i costi di recupero non possa essere fatta valere oppure dia diritto a un risarcimento del danno qualora risulti gravemente iniqua per il creditore.

    Per determinare se una clausola contrattuale o una prassi sia gravemente iniqua per il creditore, ai sensi del primo comma, si tiene conto di tutte le circostanze del caso, tra cui:

    a)

    qualsiasi grave scostamento dalla corretta prassi commerciale, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza;

    b)

    la natura del prodotto o del servizio; e

    c)

    se il debitore abbia qualche motivo oggettivo per derogare al tasso d’interesse di mora legale [o] al periodo di pagamento (…).

    2.   Ai fini del paragrafo 1, una clausola contrattuale o una prassi che escluda l’applicazione di interessi di mora è considerata gravemente iniqua.

    3.   Ai fini del paragrafo 1, si presume che una clausola contrattuale o una prassi che escluda il risarcimento per i costi di recupero di cui all’articolo 6 sia gravemente iniqua.

    (…)».

    14.

    L’articolo 12, in particolare, così dispone:

    «1.   Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli articoli da 1 a 8 e all’articolo 10 entro il 16 marzo 2013. (…)

    (…)

    3.   Gli Stati membri possono mantenere in vigore o adottare disposizioni più favorevoli al creditore di quelle necessarie per conformarsi alla presente direttiva.

    4.   Nel recepire la presente direttiva, gli Stati membri decidono se escludere contratti conclusi prima del 16 marzo 2013».

    15.

    L’articolo 13, in particolare, prevede quanto segue:

    «La direttiva 2000/35/CE è abrogata con effetto dal 16 marzo 2013, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento nel diritto interno e di applicazione. Essa continua tuttavia ad applicarsi ai contratti conclusi prima di tale data ai quali in virtù dell’articolo 12, paragrafo 4, non si applica la presente direttiva.

    (…)».

    Diritto spagnolo

    16.

    La direttiva 2000/35 è stata recepita nell’ordinamento spagnolo dalla Ley 3/2004, de 29 de diciembre, por la que se establecen medidas de lucha contra la morosidad en las operaciones comerciales (legge n. 3/2004 del 29 dicembre 2004, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali; in prosieguo: la «legge n. 3/2004»). Detta legge si applicava ai contratti conclusi successivamente all’8 agosto 2002.

    17.

    La direttiva 2011/7 è stata recepita attraverso il Real Decreto-ley 4/2013, de 22 de febrero, de medidas de apoyo al emprendedor y de estímulo del crecimiento y de la creación de empleo (regio decreto legge 4/2013 del 22 febbraio 2013 concernente misure di sostegno all’imprenditore e di stimolo alla crescita e alla creazione di posti di lavoro; in prosieguo: il decreto legge n. 4/2013») ( 3 ), il cui articolo 33 ha modificato la legge n. 3/2004. In particolare, l’articolo 9, paragrafo 1, della legge n. 3/2004, nella versione attuale, così dispone:

    «Le clausole concordate tra le parti circa la data di scadenza o le conseguenze del ritardo di pagamento che si discostino dal periodo di pagamento e dal tasso di interesse di mora legale (…) rispettivamente, nonché le clausole contrarie ai requisiti per esigere gli interessi di mora di cui all’articolo 6, sono nulle se risultano gravemente inique nei confronti del creditore, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, tra cui la natura del prodotto o del servizio, la prestazione da parte del debitore di garanzie aggiuntive e la corretta prassi commerciale. Si ritiene iniqua la clausola che esclude il risarcimento delle spese di recupero (…)

    (…)

    Per determinare se una clausola o prassi sia iniqua per il creditore si considera, tra l’altro, se il debitore abbia qualche motivo oggettivo per derogare al periodo di pagamento e al tasso d’interesse di mora legale (…), si tiene conto della natura del prodotto o del servizio o si suppone un grave scostamento dalla corretta prassi commerciale, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza.

    Analogamente, per determinare se una clausola o prassi sia iniqua si considera, alla luce di tutte le circostanze del caso, se [detta clausola o prassi] abbia principalmente l’obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore o se l’appaltatore principale imponga ai suoi fornitori o subappaltatori condizioni di pagamento non giustificate dalle condizioni di cui lo stesso è beneficiario o da altre ragioni oggettive» ( 4 ).

    18.

    In relazione ai contratti conclusi prima dell’entrata in vigore del decreto legge n. 4/2013, la terza disposizione transitoria così stabilisce:

    «L’esecuzione di tutti i contratti a partire da un anno dall’entrata in vigore del presente regio decreto legge, benché gli stessi siano stati conclusi anteriormente, è soggetta alle disposizioni della [legge n. 3/2004], come modificata dalla presente legge».

    19.

    Il decreto legge n. 8/2013 ( 5 ) prevedeva una terza e ultima fase di un meccanismo straordinario di finanziamento avviato e proseguito attraverso i due precedenti strumenti normativi, per il pagamento a favore dei fornitori della Comunità autonoma della regione della Murcia (Comunidad Autónoma de la Región de Murcia) tra le altre amministrazioni. Nell’ambito di tale meccanismo i fornitori acconsentivano alla rinuncia a una parte del debito derivante dal ritardo dei pagamenti da parte dell’amministrazione in cambio del pagamento immediato del debito di primo rango ( 6 ).

    20.

    Il giudice del rinvio afferma che tale normativa aveva lo scopo di stabilire misure congiunturali, straordinarie e urgenti per favorire la riduzione e l’eradicazione dei ritardi di pagamento da parte delle amministrazioni pubbliche come presupposto per l’applicazione di misure strutturali, al fine di realizzare gli obiettivi di stabilità del bilancio e sostenibilità finanziaria.

    21.

    L’articolo 6 di detto decreto legge, rubricato «Effetti del pagamento dei debiti esigibili», così recita:

    «Il pagamento a favore del fornitore comporta l’estinzione del debito contratto dalla Comunità autonoma o da comuni e province, a seconda dei casi, con il fornitore per quanto concerne il capitale, gli interessi, le spese giudiziarie e ogni altro costo aggiuntivo».

    Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

    22.

    Tra il 2008 e il 2013 alcuni fornitori del settore sanitario effettuavano forniture e offrivano servizi a favore di centri medici facenti parte del Servicio Murciano de Salud (servizio di assistenza sanitaria della Murcia; in prosieguo: il «Servizio sanitario»), che non aveva effettuato il pagamento delle relative fatture entro la scadenza prevista.

    23.

    La IOS Finance EFC S.A. acquistava dai suddetti fornitori determinati crediti derivanti dalla fatture insolute ( 7 ). Nel settembre 2013 tale società presentava al Servizio sanitario una richiesta di pagamento per le seguenti somme: EUR 2780463,37 corrispondenti all’importo delle fatture insolute rispetto alle quali le era stato ceduto il diritto di recupero del credito; EUR 165164,24 a titolo di interessi di mora maturati per le fatture insolute al 2 settembre 2013, fatti salvi gli interessi che avrebbero continuato a maturare, ed EUR 14256,35 a titolo di risarcimento per i costi di recupero. Il Servizio sanitario non eseguiva il pagamento.

    24.

    Nel dicembre 2013 la IOS Finance annunciava l’interposizione di un ricorso contenzioso-amministrativo avverso il rigetto implicito della sua richiesta di pagamento. Successivamente, tuttavia, detta società aderiva al meccanismo straordinario di finanziamento per il pagamento dei fornitori della Comunità autonoma della regione di Murcia, nel secondo scaglione, terza fase di tale meccanismo, come stabilito dal decreto legge n. 8/2013, con gli effetti ivi previsti. Del capitale richiesto la IOS Finance recuperava così l’importo di EUR 2765621,79 attraverso il meccanismo citato, ma non riceveva gli interessi di mora né il risarcimento per i costi di recupero.

    25.

    Nel maggio 2014 la IOS Finance proponeva ricorso dinanzi al Juzgado Contencioso-Administrativo n. 6, Murcia (Tribunale per il contenzioso amministrativo n. 6 di Murcia), chiedendo il pagamento di EUR 272771,03 a titolo di interessi di mora e di EUR 14256,35 quale risarcimento per i costi di recupero.

    26.

    Tale società sostiene che: a) il diritto di ricevere gli interessi di mora e un risarcimento per i costi di recupero è irrinunciabile e nasce «ope legis» per il decorso del termine di pagamento senza che l’amministrazione abbia versato la somma dovuta a titolo principale; b) il decreto legge n. 8/2013 viola la normativa dell’Unione europea, nel prevedere che il versamento del debito principale implichi l’estinzione degli interessi, delle spese giudiziarie e di ogni altro costo aggiuntivo, e c) la direttiva sui ritardi di pagamento trova applicazione diretta, nella misura in cui dichiara che le clausole contrattuali e le prassi che escludono gli interessi di mora e il risarcimento dei costi di recupero sono gravemente inique.

    27.

    Il Servizio sanitario replica che l’adesione al meccanismo straordinario del piano di pagamenti per i fornitori è volontaria e la rinuncia al diritto di recupero degli interessi di mora e di risarcimento dei costi di recupero non è avvenuta prima, ma solo dopo l’insorgenza del debito e il mancato pagamento dello stesso.

    28.

    Il giudice del rinvio nutre dubbi in merito all’interpretazione della pertinente normativa dell’Unione europea e sulla compatibilità con quest’ultima della normativa spagnola applicata. Pertanto, esso sottopone la seguente questione pregiudiziale:

    «Considerando il disposto degli articoli 4, paragrafo 1, 6 e 7, paragrafi 2 e 3, della [direttiva 2011/7]:

    Se l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riscossione del debito di quote di capitale alla rinuncia agli interessi di mora.

    Se l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva debba essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riscossione del debito di quote di capitale alla rinuncia ai costi di recupero.

    In caso di risposta affermativa alle due questioni, se il debitore, in qualità di amministrazione aggiudicatrice, possa invocare l’autonomia della volontà delle parti per sottrarsi all’obbligo di pagamento degli interessi di mora e dei costi di recupero».

    29.

    Hanno presentato osservazioni scritte la IOS Finance, i governi spagnolo e tedesco nonché la Commissione europea. All’udienza del 2 marzo 2016 sono intervenuti la IOS Finance, il governo spagnolo e la Commissione.

    Analisi

    Considerazione preliminare

    30.

    Benché le questioni sottoposte dal giudice del rinvio sembrino essere fondate sulla premessa che la normativa applicabile ratione temporis ai fatti di cui al procedimento principale sia la direttiva 2011/7, nelle sue osservazioni scritte la Commissione rileva che tale impostazione può invece rivelarsi complessa.

    31.

    La Commissione osserva che l’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2011/7 permette agli Stati membri, nel recepire la direttiva, di escludere dall’ambito di applicazione di quest’ultima i contratti conclusi prima del 16 marzo 2013. Essa prosegue citando la disposizione transitoria della legge n. 4/2013 in cui si dichiara che l’«esecuzione» di tutti i contratti «a partire da un anno dalla sua entrata in vigore, benché gli stessi siano stati conclusi anteriormente» doveva continuare ad essere soggetta alle disposizioni della legge n. 3/2004. Da ciò discende, secondo la Commissione, il fatto che il legislatore spagnolo ha voluto escludere i contratti eseguiti prima della data di entrata in vigore della legge n. 4/2013, ossia il 24 febbraio 2014, dall’ambito di applicazione della direttiva 2011/7. Di conseguenza tali contratti continuerebbero ad essere disciplinati dalla direttiva 2000/35.

    32.

    Non mi pronuncio sul significato della disposizione transitoria in questione o sulla sua applicazione ai contratti di cui al procedimento principale, poiché si tratta di una questione che rientra interamente nella competenza del giudice nazionale. Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza della Corte, la circostanza che, formalmente, il giudice nazionale abbia formulato una questione pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni. Spetta, al riguardo, alla Corte trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi di diritto dell’Unione che richiedano un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia ( 8 ).

    33.

    Ciò premesso, esaminerò le questioni sollevate dal giudice del rinvio alla luce sia della direttiva 2000/35 che della direttiva 2011/7, in ordine di successione.

    Prima e seconda questione

    34.

    Con la prima e la seconda questione, che esaminerò congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la normativa dell’Unione che disciplina i ritardi di pagamento delle transazioni commerciali debba essere interpretata nel senso che osta ad una disciplina del diritto nazionale che a) conferisce al creditore il diritto di aderire ad un regime di pagamento «accelerato» della somma dovuta a titolo principale in forza di un contratto, ove il creditore abbia adempiuto i propri obblighi contrattuali, a condizione che questi rinunci al pagamento degli interessi moratori ed al risarcimento per i costi di recupero, mentre b) permette al creditore di rifiutare l’adesione a tale regime, con la conseguenza che egli conserverà entrambi i diritti al pagamento degli interessi moratori e al risarcimento per i costi di recupero, anche se probabilmente dovrà attendere molto più a lungo per ricevere il pagamento. Il giudice del rinvio formula le questioni con particolare riguardo alle disposizioni dell’attuale articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2011/7, che disciplinano le clausole contrattuali o le prassi gravemente inique.

    Direttiva 2000/35

    35.

    La direttiva 2000/35 è stata adottata al fine di contrastare quelli che essa definisce «pesanti oneri amministrativi e finanziari [imposti] alle imprese [da] periodi di pagamento eccessivi e ritardi di pagamento» ( 9 ). Al considerando 12 si indicava che «[l’] obiettivo della lotta contro i ritardi di pagamento nel mercato interno non può essere sufficientemente realizzato dagli Stati membri separatamente e può pertanto essere meglio realizzato a livello comunitario. La presente direttiva non va al di là di quanto necessario per raggiungere l’obiettivo auspicato. La presente direttiva è quindi integralmente conforme ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità enunciati all’articolo 5 del trattato». A termini del considerando 16: «[i] ritardi di pagamento costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraente per i debitori nella maggior parte degli Stati membri per i bassi livelli dei tassi degli interessi di mora e/o dalla lentezza delle procedure di recupero». Il considerando 19 proseguiva dichiarando che «[l]a presente direttiva dovrebbe proibire l’abuso della libertà contrattuale in danno del creditore».

    36.

    È importante ricordare, in limine, che la direttiva 2000/35 ha un ambito di applicazione limitato. Nella sentenza Caffaro, la Corte ha statuito che la direttiva deve essere interpretata con riferimento all’obiettivo perseguito e al sistema da essa istituito ( 10 ). Essa ha poi aggiunto che la direttiva «mira solo ad armonizzare, per quanto possibile, talune regole e prassi di pagamento seguite negli Stati membri al fine di lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali» e che «detta soltanto talune disposizioni specifiche relative a tali ritardi, disciplinando gli interessi in caso di ritardo di pagamento (…), la riserva di proprietà (…) e le procedure di recupero dei crediti non contestati (…)» ( 11 ). Nelle sue conclusioni in tale causa, l’avvocato generale Trstenjak ha rilevato che la direttiva costituiva solamente «un’armonizzazione minima» ( 12 ). In altri termini, la direttiva non dovrebbe essere interpretata nel senso che intende armonizzare ogni aspetto delle normative degli Stati membri relative ai ritardi di pagamento dei debiti nelle transazioni commerciali ( 13 ).

    37.

    Procederò ad analizzare più dettagliatamente l’armonizzazione che la direttiva in parola si è prefissa di raggiungere nell’ambito delle prime due questioni pregiudiziali.

    38.

    L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/35 offriva ai creditori una serie di diritti intesi a tutelare gli stessi contro i ritardi di pagamento. In particolare, essa specificava la data di inizio della decorrenza degli interessi ( 14 ) e il livello degli interessi di mora a carico del debitore ( 15 ). Il diritto agli interessi sorgeva solo se il creditore avesse adempiuto ai propri obblighi contrattuali e di legge senza ricevere nei termini l’importo dovuto, a meno che il ritardo non fosse imputabile al debitore ( 16 ). La direttiva conferiva inoltre al creditore il diritto di esigere dal debitore un risarcimento ragionevole per tutti i costi di recupero sostenuti a causa del ritardo di pagamento del debitore (a meno che quest’ultimo non fosse responsabile del ritardo) ( 17 ). Tali costi dovevano rispettare i principi della trasparenza e della proporzionalità per quanto riguarda il debito in questione e gli Stati membri potevano, nel rispetto dei suddetti principi, fissare un importo massimo per quanto riguarda i costi di recupero per vari livelli di debito. L’articolo 3, paragrafo 2, stabiliva il periodo di scadenza e il tasso al quale erano dovuti gli interessi in determinati casi ( 18 ).

    39.

    I diritti stabiliti dall’articolo 3, paragrafo 1, in relazione alla data di pagamento e al tasso d’interesse esigibile si applicavano solo nel caso in cui il contratto non disponesse diversamente. L’articolo 3, paragrafo 3, colmava quella che altrimenti sarebbe stata una lacuna manifesta del regime di tutela, prevedendo disposizioni atte a contrastare clausole contrattuali gravemente inique. Gli Stati membri dovevano provvedere affinché un accordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardo di pagamento, che non fosse conforme alle disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafi 1, lettere da b) a d), e 2, non potesse essere fatto valere e non desse diritto a un risarcimento del danno, se, considerate tutte le circostanze del caso, risultasse gravemente iniquo nei confronti del creditore. Per determinare se un accordo rientrasse in tale categoria, si doveva considerare se il debitore avesse qualche motivo oggettivo per ignorare dette disposizioni. Ove si accertasse che l’accordo era gravemente iniquo, si applicavano le disposizioni dell’articolo 3, paragrafi 1, lettere da b) a d), e 2 (definiti come «termini legali»), a meno che il giudice nazionale non riportasse il contratto ad equità. Il campo di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 3, non comprendeva le misure relative ai costi di recupero di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera e). Tuttavia, la tutela accordata da tale disposizione non era specificata dai termini contrattuali.

    40.

    Pertanto, l’articolo 3 della direttiva 2000/35 conferiva ai creditori una serie di diritti in relazione ai ritardi di pagamento ( 19 ). Se e nella misura in cui il contratto sottostante taceva, dovevano essere fatti valere i termini legali relativi alla data di pagamento ai sensi del contratto e al tasso d’interesse dovuto. Qualora il contratto in questione contenesse disposizioni in proposito senza però applicare la tutela offerta dagli articoli 3, paragrafi 1, lettere da b) a d), e 2, esso rischiava di non essere fatto valere o di dare diritto a un risarcimento del danno. Il diritto di ottenere un risarcimento per un ritardo di pagamento doveva essere integrato nel diritto nazionale. Il contratto inizialmente concluso tra il creditore e il debitore veniva alterato in tal senso ma, con riferimento agli interessi moratori e al risarcimento per i ritardi di pagamento, solo entro tali limiti. Questo era il grado (limitato) di armonizzazione che la direttiva si era prefissa di raggiungere. In altri termini, al creditore veniva offerta una serie di benefici con la facoltà di decidere se se ne sarebbe avvalso o meno.

    41.

    Si può sostenere che la direttiva 2000/35 precludesse al creditore, cui fossero stati conferiti i suddetti diritti, di scegliere di rinunciare a questi ultimi in cambio del pagamento immediato di una somma, in circostanze in cui, se lo avesse scelto, il creditore avrebbe anche potuto decidere, alternativamente, di non avvalersi di tale opzione e di attendere il pagamento integrale del suo credito? Ritengo di no.

    42.

    È indubbiamente vero che, per dare efficacia a tale rinuncia sarebbe necessario stipulare un contratto. Tuttavia tale contratto, per definizione, sarebbe accessorio rispetto al contratto iniziale, con il quale è stato costituito il debito stesso. Il contratto accessorio derogherebbe ai diritti conferiti al creditore con il primo contratto, sostituendoli con un nuovo diritto, ossia con il diritto al pagamento immediato. Sempreché il diritto di attendere il pagamento integrale del credito sia reale e non illusorio, non vedo come un accordo di tal genere possa essere considerato «gravemente iniquo» nei confronti del creditore ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2000/35. L’esistenza stessa della scelta offerta al creditore osterebbe ad una siffatta conclusione.

    43.

    L’applicazione di tale ragionamento alla controversia di cui al procedimento principale mi induce a svolgere alcune considerazioni. Anzitutto, come ha rilevato il legale della IOS Finance all’udienza, la Corte ha ritenuto che, sebbene i termini in cui è stipulato il contratto siano generalmente caratterizzati dal principio di autonomia della volontà, dalla normativa dell’Unione applicabile possano tuttavia discendere taluni limiti a tale libertà contrattuale ( 20 ). Tuttavia, l’applicazione di tale ragionamento presuppone che il diritto dell’Unione sia anzitutto intervenuto per limitare detta libertà. Anche se si può sostenere che, in virtù delle disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 3, la direttiva abbia avuto l’effetto di limitare in certa misura la libertà contrattuale delle parti, in relazione all’eventuale omissione da parte del debitore di effettuare il pagamento alla data di scadenza prevista, a mio avviso tale limitazione non si è prodotta con riguardo alla situazione descritta al precedente paragrafo 41.

    44.

    In secondo luogo, il meccanismo di finanziamento introdotto dal decreto legge n. 8/2013 ha accordato al creditore la possibilità di scegliere. Il creditore poteva aderire al meccanismo in parola, caso in cui avrebbe ricevuto il pagamento, se non in forma immediata, almeno in tempi brevi. In alternativa, egli poteva mantenere inalterata la situazione precedente. In tale caso, doveva aspettarsi tempi di attesa più lunghi (e probabilmente molto più lunghi) per il pagamento, ma avrebbe conservato il proprio diritto a percepire gli interessi moratori e un risarcimento per i costi di recupero. Interrogato su questo punto all’udienza, l’agente del governo spagnolo ha dichiarato che tutti i creditori che avevano scelto di non aderire a detto meccanismo, in effetti, erano stati già interamente pagati. Sebbene la Commissione abbia vigorosamente cercato di dimostrare invece che il meccanismo in questione non era per certi versi facoltativo e che i creditori di fatto non avevano scelta, alla luce delle spiegazioni fornite dal governo spagnolo tale argomento mi sembra infondato ( 21 ).

    45.

    Invero, mi sembra che l’elemento della scelta — con i rischi ad esso connessi — sia una normale componente della vita economica. Con l’introduzione del meccanismo di finanziamento sono state offerte due alternative. La prima (adesione al meccanismo) prevedeva livelli di rischio e di ricompensa inferiori. La seconda (mantenimento della situazione iniziale) comportava un rischio più elevato ma anche la possibilità di ottenere una maggiore ricompensa. Non ritengo che tale tipo di situazione rientrasse tra i casi che si è inteso evitare con l’adozione della direttiva.

    46.

    In terzo luogo, mi sembra che non abbia alcuna influenza sull’esito complessivo dell’analisi il fatto che il debitore di cui al procedimento principale fosse da intendersi come emanazione dello Stato piuttosto che come impresa privata. È certamente vero che gli obblighi incombenti a uno Stato membro in forza di una direttiva vanno oltre l’emanazione di disposizioni di diritto interno che riflettono le norme sostanziali stabilite dalla direttiva stessa. Lo Stato ha anche l’obbligo di applicare tali norme e farle valere concretamente ( 22 ). Tale principio vale a fortiori quando il debitore obbligato è lo Stato o un’emanazione dello stesso. Tuttavia, il requisito imposto allo Stato membro al riguardo non supera, per definizione, i limiti degli obblighi stabiliti dalla direttiva. Giacché, come ho concluso in precedenza, detti obblighi non si spingono fino a vietare modalità di pagamento dei creditori come quelle di cui al procedimento principale, i principi che ho appena delineato non possono essere applicati per obbligare uno Stato membro ad adempiere un requisito che la direttiva stessa non prevede ( 23 ).

    47.

    In altre parole, secondo me la questione che si pone è se le azioni dello Stato membro nella controversia di cui al procedimento principale fossero legittime. Supponiamo che il debitore obbligato, invece di essere lo Stato o una sua emanazione, sia un’impresa privata. Non credo che sarebbe particolarmente difficile ammettere che, conformemente alla direttiva, tale impresa possa validamente offrire al creditore un compromesso simile a quello offerto alla IOS Finance nel quadro del meccanismo di finanziamento di cui trattasi nel presente procedimento. La risposta sarebbe forse diversa se si sostituisse lo Stato membro o una sua emanazione quale variabile di tale equazione? Ritengo di no.

    48.

    Infine, e ancora una volta durante l’udienza, si è discusso sull’impatto della circostanza che il creditore nel procedimento principale non era il fornitore iniziale di beni e servizi a favore del Servizio sanitario, bensì una società di factoring. Si può sostenere che quelli che potrei definire come strumenti di capitale sottostanti influiscano sulla conclusione cui sono pervenuta al precedente paragrafo 41?

    49.

    Propendo per una risposta negativa.

    50.

    Le società di factoring prestano servizi alla comunità imprenditoriale, acquistando i crediti contabilizzati delle imprese, generalmente operanti nei settori di produzione, commercio al dettaglio o dei servizi, a prezzo scontato. Nel calcolare lo sconto, le società interessate prendono in considerazione tutti gli elementi rilevanti, compresi i verosimili tempi di pagamento e il rischio di mancato pagamento. Tale operazione implica inevitabilmente un certo margine di valutazione da parte della società interessata. La capacità di quest’ultima di fissare il livello di sconto appropriato in esito a tale valutazione determinerà il suo successo o insuccesso sul mercato. Se accetta lo sconto offertole, l’impresa interessata riceverà in contropartita l’immediato pagamento del suo credito (o di una parte di esso). La società di factoring, dal suo canto, acquista l’intera posizione creditoria. Conformemente alla massima assignatus utitur iure auctoris, il credito ceduto sarà precisamente quello — né più né meno — che, prima della cessione, figurava sui registri contabili dell’impresa cedente. Il fatto che, nella fattispecie, la società di factoring in questione risulti aver pagato i debiti soggiacenti prima dell’introduzione del meccanismo de quo, e di conseguenza, abbia realizzato quello che potrebbe sembrare un profitto eccezionale, non influisce a mio parere sulle questioni di fondo.

    51.

    Ne deriva che la direttiva 2000/35 e, in particolare, il suo articolo 3, paragrafo 3, deve essere interpretata nel senso che non osta a una disciplina del diritto nazionale che a) conferisce al creditore il diritto di aderire ad un regime di «pagamento accelerato» della somma dovuta a titolo principale in forza di un contratto, ove il creditore abbia adempiuto i propri obblighi contrattuali, a condizione che questi rinunci al pagamento degli interessi moratori ed al risarcimento per i costi di recupero, mentre b) permette al creditore di rifiutare l’adesione a tale regime, con la conseguenza che egli conserverà entrambi i diritti al pagamento degli interessi moratori e al risarcimento per i costi di recupero, anche se probabilmente dovrà attendere molto più a lungo per ricevere il pagamento.

    Direttiva 2011/7

    52.

    La direttiva 2011/7 rifonde la direttiva 2000/35 ampliando il sistema di tutela dei creditori per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali istituito dalla precedente normativa. Esisteva, apparentemente, la percezione che la direttiva 2000/35 non riuscisse affatto, o per lo meno in maniera sufficiente, a raggiungere gli obiettivi prefissati al riguardo ( 24 ). Si riportano di seguito le principali modifiche introdotte dalla nuova normativa.

    53.

    L’articolo 1, paragrafo 3, permette agli Stati membri di escludere i debiti che formano oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore, comprese le procedure finalizzate alla ristrutturazione del debito. Poiché, all’udienza, la Corte è stata informata del fatto che la Spagna non ha emanato misure a tali effetti, non esaminerò ulteriormente tale questione.

    54.

    Gli articoli 3 e 4 della direttiva 2011/7 prevedono entrambi il diritto del creditore di percepire gli interessi moratori, riflettendo quindi l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2000/35. Tuttavia, essi introducono una distinzione tra le transazioni che avvengono fra due o più imprese ( 25 ) (contemplate dall’articolo 3) e le transazioni fra imprese e pubbliche amministrazioni (soggette all’applicazione dell’articolo 4) ( 26 ). Poiché si ritiene che, di regola, queste ultime godano di flussi di entrate più certi, prevedibili e continui e che possano ottenere finanziamenti a condizioni più interessanti rispetto alle imprese ( 27 ), esse sono generalmente assoggettate a condizioni più rigorose. Per quanto riguarda la data di scadenza o il periodo di pagamento, l’articolo 3 prevede che essi possano essere stabiliti nel contratto nel rispetto del limite massimo di sessanta giorni di calendario, se non diversamente concordato espressamente nel contratto e purché ciò non sia gravemente iniquo per il creditore ai sensi dell’articolo 7 ( 28 ). Ai sensi dell’articolo 4, nella maggior parte dei casi tale periodo non supera i 30 giorni. Il tasso d’interesse applicabile ai ritardi di pagamento a norma dell’articolo 3 deve essere stabilito con accordo delle parti sempre nel rispetto delle disposizioni sulle clausole contrattuali e le prassi inique di cui all’articolo 7 ( 29 ). Il tasso equivalente ai sensi dell’articolo 4 è in ogni caso un tasso d’interesse di penalizzazione da calcolarsi sulla base di quello che viene definito il «tasso di riferimento» ( 30 ), maggiorato di almeno otto punti percentuali.

    55.

    L’articolo 6 della direttiva fornisce maggiori garanzie ai creditori che cercano di ottenere un risarcimento dei costi di recupero rispetto a quelle offerte dall’equivalente articolo 3, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2000/35. In particolare, esso prevede che gli Stati membri assicurino che, ove gli interessi di mora diventino esigibili in transazioni commerciali in conformità dell’articolo 3 o 4, il creditore abbia il diritto di ottenere dal debitore, come minimo, un importo forfettario di 40 EUR.

    56.

    L’articolo 7 della direttiva 2011/7 sostituisce l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2000/35. Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, gli Stati membri dispongono che una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al periodo di pagamento, al tasso dell’interesse di mora o al risarcimento per i costi di recupero non possa essere fatta valere oppure dia diritto a un risarcimento del danno qualora risulti gravemente iniqua per il creditore. Per determinare se una clausola contrattuale o una prassi sia gravemente iniqua si tiene conto di tutte le circostanze del caso. A tal fine, anche se non appare formulata in termini identici a quelli dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2000/35, la tutela accordata ai creditori dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2011/7 non è sostanzialmente diversa da quella prevista dal suo predecessore. Tuttavia, i paragrafi 2 e 3 dell’articolo 7 hanno rafforzato ulteriormente la tutela del creditore ed è opportuno esaminarli in dettaglio.

    57.

    Anzitutto, l’articolo 7, paragrafo 2, dispone che, ai fini dell'articolo 7, paragrafo 1, una clausola contrattuale o una prassi che escluda l’applicazione di interessi di mora è considerata gravemente iniqua. Se l’espressione «clausola contrattuale» non richiede spiegazioni, la nozione di «prassi» potrebbe averne bisogno. Tale termine non viene definito dalla direttiva. Ritengo che esso vada interpretato quale elemento che ha effetto al momento della conclusione del contratto. Con ciò mi riferisco ad una disposizione la quale, benché non espressamente inserita o prevista nel contratto, abbia nondimeno carattere vincolante per le parti, nella maggior parte dei casi quale risultato della trattativa tra queste ultime o in ragione degli usi e delle consuetudini propri del ramo commerciale o imprenditoriale interessato. Ciò riflette la ratio e la finalità complessiva della pertinente parte della normativa, che consiste nello stabilire norme regolanti gli effetti sostanziali dei contratti conclusi tra parti che in genere hanno un potere negoziale diseguale. Al fine di assicurare la protezione necessaria, l’articolo 7, paragrafo 2 stabilisce norme relative al pagamento e alle conseguenze dei ritardi di pagamento che, per definizione, le parti sono incoraggiate ad inserire nei loro contratti (la carota) e che, qualora non vengano inserite, si ritiene che comportino inapplicabilità (o, in alcuni casi, che siano idonee a generare inapplicabilità), oppure diano diritto ad un risarcimento del danno (il bastone).

    58.

    La mia conclusione circa l’interpretazione della nozione di «prassi» è avvalorata dal considerando 28 della direttiva 2011/7, secondo il quale «[l]a presente direttiva dovrebbe proibire l’abuso della libertà contrattuale a danno del creditore. Di conseguenza, quando una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al periodo di pagamento, al tasso di interesse di mora o al risarcimento dei costi di recupero non sia giustificata sulla base delle condizioni concesse al debitore, o abbia principalmente l’obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, si può ritenere che si configuri un siffatto abuso. A tale riguardo e conformemente al progetto accademico di quadro comune di riferimento [ ( 31 ) ], qualsiasi clausola contrattuale o prassi che si discosti gravemente dalla corretta prassi commerciale e sia in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza dovrebbe essere considerata iniqua per il creditore (…)». In tale contesto, osservo che il quadro comune di riferimento contiene la seguente definizione di «clausole contrattuali»: «le clausole contrattuali possono derivare da un accordo espresso o tacito tra le parti, da norme di diritto nonché dalle pratiche instaurate tra le parti o dagli usi» ( 32 ).

    59.

    In secondo luogo, l’articolo 7, paragrafo 3 introduce la presunzione secondo cui una clausola contrattuale o una prassi che escluda il risarcimento per i costi di recupero è gravemente iniqua. Sotto tale profilo, detto paragrafo differisce dal paragrafo 2 dello stesso articolo, nella misura in cui quest’ultimo stabilisce che una clausola contrattuale o una prassi che escluda l’applicazione di interessi di mora «è considerata» gravemente iniqua. In altri termini, mentre nel secondo caso non vi è discussione, la presunzione di cui al paragrafo 3 può essere confutata. Un debitore che cerchi di confutarla dovrà pertanto fornire prove sufficienti per rovesciare ogni argomento contrario e far valere la propria causa.

    60.

    A parte tale punto, l’articolo 7, paragrafo 3 va inteso in modo analogo all’articolo 7, paragrafo 2.

    61.

    Se la direttiva 2011/7 ha indubbiamente rafforzato la tutela dei creditori contro i ritardi di pagamento, la sua struttura complessiva rimane essenzialmente simile a quella della direttiva 2000/35. Pertanto, essa richiede agli Stati membri di assicurare che ai creditori siano conferiti diritti relativi alla data in cui gli interessi moratori diventano esigibili in forza di un contratto, al tasso d’interesse e al risarcimento per i costi di recupero. Qualsiasi tentativo messo in atto dal debitore per imporre clausole o prassi gravemente inique nel contratto stipulato con il creditore può determinare o determinerà l’inapplicabilità della disposizione di cui trattasi o darà diritto ad un risarcimento del danno.

    62.

    Tuttavia, secondo la mia opinione, nessun elemento della direttiva 2011/7 impedisce al creditore, dopo che questi abbia adempiuto i propri obblighi contrattuali, di concludere validamente un accordo volontario con il debitore, che gli permetta di ricevere il pagamento immediato della somma dovuta a titolo principale in forza del contratto, in cambio della rinuncia ai diritti che avrebbe altrimenti potuto far valere in relazione agli interessi di mora e al risarcimento per i costi di recupero. In particolare, mi sembra che le disposizioni di un tale accordo non rappresentino una «clausola contrattuale o una prassi» ai fini dell’articolo 7, paragrafi da 1 a 3 della direttiva e, di riflesso, che non siano «gravemente inique», per i motivi già esposti nel precedente paragrafo 42. Con riguardo all’applicazione di tale direttiva al procedimento principale, le osservazioni che ho formulato supra, nei paragrafi da 43 a 50 circa la direttiva 2000/35 valgono anche per la direttiva 2011/7.

    63.

    Aggiungo che il governo tedesco, sebbene concordi sul fatto che l’articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2011/7 non si applichi alle circostanze di cui al procedimento principale, ritiene che l’articolo 7, paragrafo 1 sia nondimeno pertinente. In altri termini, tale disposizione non sarebbe sottoposta agli stessi limiti temporali che si applicano ai paragrafi 2 e 3.

    64.

    Non condivido questa tesi.

    65.

    Con l’uso dell’espressione «clausola contrattuale o prassi» nei paragrafi 1, 2 e 3 dell’articolo 7 il legislatore ha chiaramente inteso che ciascuno di essi dovesse applicarsi alle medesime circostanze. Pertanto, i paragrafi 2 e 3 rappresentano disposizioni semplicemente più rigorose, previste in particolare per i casi di abuso manifesto. Essi si applicano «ai fini del paragrafo 1». L’applicazione ratione temporis di tutti e tre i paragrafi è identica.

    66.

    Ne deriva, secondo me, che la direttiva 2011/7 e in particolare il suo articolo 7, paragrafi 2 e 3, devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una disciplina del diritto nazionale che a) conferisce al creditore il diritto di aderire ad un regime di «pagamento accelerato» della somma dovuta a titolo principale in forza di un contratto, ove il creditore abbia adempiuto i propri obblighi contrattuali, a condizione che questi rinunci al pagamento degli interessi moratori ed al risarcimento per i costi di recupero, mentre b) permette al creditore di rifiutare l’adesione a tale regime, con la conseguenza che egli conserverà entrambi i diritti al pagamento degli interessi moratori e al risarcimento dei costi di recupero, anche se probabilmente dovrà attendere molto più a lungo per ricevere il pagamento.

    Terza questione

    67.

    Poiché la terza questione viene formulata dal giudice del rinvio solo in caso di risposta affermativa alla prima e alla seconda questione, non è necessario rispondervi.

    Conclusione

    68.

    Alla luce delle considerazioni che precedono ritengo che la Corte debba rispondere alle questioni sollevate dal Juzgado Contencioso-Administrativo No 6, Murcia (Tribunale per il contenzioso amministrativo n. 6 di Murcia, Spagna) nel seguente modo:

    La direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e, in particolare, il suo articolo 3, paragrafo 3, e la direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e, in particolare, il suo articolo 7, paragrafi 2 e 3, devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una disciplina del diritto nazionale che:

    a)

    conferisce al creditore il diritto di aderire ad un regime di «pagamento accelerato» della somma dovuta a titolo principale in forza di un contratto, ove il creditore abbia adempiuto i propri obblighi contrattuali, a condizione che questi rinunci al pagamento degli interessi moratori ed al risarcimento per i costi di recupero, mentre

    b)

    permette al creditore di rifiutare l’adesione a tale regime, con la conseguenza che egli conserverà entrambi i diritti al pagamento degli interessi moratori e al risarcimento per i costi di recupero, anche se probabilmente dovrà attendere molto più a lungo per ricevere il pagamento.

    Non è necessario rispondere alla terza questione sottoposta dal giudice del rinvio.


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) Attualmente incorporata nella direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU 2011, L 48 pag. 1), che costituisce il testo rifuso e modificato della direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU 2000, L 200, pag. 35).

    ( 3 ) Questo almeno è quanto si riporta nell’ordinanza di rinvio. Nelle sue osservazioni scritte, il governo spagnolo suggerisce che il recepimento è avvenuto con la Ley 11/2013, de 26 de julio, de medidas de apoyo al emprendedor y de estímulo del crecimiento y de la creación de empleo (legge n. 11/2013 del 26 giugno 2013 recante misure di sostegno alle imprese e di stimolo alla crescita e alla creazione di posti di lavoro). Non mi esprimo in merito a quale delle due informazioni sia quella corretta.

    ( 4 ) Nell’ordinanza di rinvio si indica che tale paragrafo è stato a sua volta modificato dalla Ley 17/2014, de 30 de septiembre, por la que se adoptan medidas urgentes en materia de refinanciación y reestructuración de deuda empresarial (legge n. 17/2014 del 30 settembre 2014, concernente l’adozione di misure urgenti in materia di rifinanziamento e ristrutturazione del debito d’impresa). Tuttavia, non si spiega in che senso tale paragrafo è stato modificato.

    ( 5 ) Cit. supra al paragrafo 2.

    ( 6 ) All’udienza è stato indicato che l’accesso a tale meccanismo è ormai chiuso, dal momento che il termine per l’adesione è scaduto il 31 dicembre 2013.

    ( 7 ) Sebbene l’ordinanza di rinvio non indichi la data o le date delle cessioni pertinenti, in risposta a una questione sottopostagli in udienza, il legale della IOS Finance ha affermato che la società aveva acquistato i crediti in parola prima che venisse introdotto il piano di rifinanziamento di cui al decreto legge n. 8/2013.

    ( 8 ) V., tra le tante, sentenza del 17 novembre 2015, Regio Post, C‑115/14, EU:C:2015:760, punto 46.

    ( 9 ) Considerando 7.

    ( 10 ) Sentenza dell’11 settembre 2008, Caffaro, C‑265/07, EU:C:2008:496, punto 14.

    ( 11 ) Sentenza dell’11 settembre 2008Caffaro, C‑265/07, EU:C:2008:496, punti 1516.

    ( 12 ) Conclusioni nella causa Caffaro, C‑265/07, EU:C:2008:250, paragrafo 28.

    ( 13 ) V., inoltre, sentenze del 26 ottobre 2006, Commissione/Italia, C‑302/05, EU:C:2006:683, punto 23, e del 3 aprile 2008, 01051 Telecom, C‑306/06, EU:C:2008:187, punto 21, in cui la Corte ha dichiarato che la direttiva non operava un’armonizzazione completa di tutte le norme relative ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ma dettava solamente talune disposizioni specifiche del settore.

    ( 14 ) Lettere a) e b).

    ( 15 ) Lettera d).

    ( 16 ) Lettera c).

    ( 17 ) Lettera e).

    ( 18 ) Per quanto riguarda l’articolo 3 della direttiva 2000/35 v., inoltre, sentenza dell’11 dicembre 2008, Commissione/SpagnaC‑380/06, EU:C:2008:702, punti 17 e segg.

    ( 19 ) La Corte ha statuito che l’obbligo di assicurare l’esigibilità di interessi in caso di ritardo di pagamento, gravante sugli Stati membri in virtù dell’articolo 3, è categorico e sufficientemente preciso per poter produrre direttamente i suoi effetti V. sentenza del 24 maggio 2012, Amia, C‑97/11, EU:C:2012:306, punto 37.

    ( 20 ) V., al riguardo, sentenza del 20 maggio 2010, Harms, C‑434/08, EU:C:2010:285, punto 36 e giurisprudenza ivi citata.

    ( 21 ) Devo sottolineare che, se la situazione fosse diversa e se il creditore venisse presentato come chi non ha una vera libertà di scelta in materia, considererei tale accordo come contrario ai requisiti della direttiva e quindi «gravemente iniquo» nei confronti del creditore ai fini dell’articolo3, paragrafo 3.

    ( 22 ) In proposito v., in particolare, sentenze del 10 aprile 1984, von Colson e Kamann, 14/83, EU:C:1984:153, punto 23, e del 2 agosto 1993, Marshall, C‑271/91, EU:C:1993:335, punto 24. V., inoltre, Prechal, S., Directives in EC Law, Oxford University Press, Oxford, 2010, pagg. 51 e segg.

    ( 23 ) Per ragioni di completezza devo aggiungere che, mentre nell’ordinanza di rinvio si indica che il pagamento a favore della IOS Finance è stato effettuato dal Servizio sanitario, all’udienza il governo spagnolo ha precisato che in realtà era stato effettuato dallo Stato, con la contestuale imposizione, a carico del Servizio sanitario, dell’obbligo di rimborsare lo Stato in una data successiva. Non ritengo che tale aspetto incida sull’analisi delle questioni soggiacenti.

    ( 24 ) V., per esempio, la relazione della Commissione nella proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (rifusione) (COM(2009) 126 def.), in cui si indica che «è ampiamente provato che, malgrado l’entrata in vigore della direttiva 2000/35/CE i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali continuano ad essere un problema generale nell’UE».

    ( 25 ) Un’«impresa» è definita dall’articolo 2, paragrafo 3, come «ogni soggetto organizzato, diverso dalle pubbliche amministrazioni, che agisce nell’ambito di un’attività economica o professionale indipendente, anche quando tale attività è svolta da una sola persona».

    ( 26 ) Per «pubblica amministrazione» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, s’intende «qualsiasi amministrazione aggiudicatrice quale definita all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2004/17/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali (GU 2004, L 134, pag. 1)] e all’articolo 1, paragrafo 9, della direttiva 2004/18/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU 2004, L 134, pag. 114)], indipendentemente dall’oggetto o dal valore dell’appalto».

    ( 27 ) Considerando 23.

    ( 28 ) V. anche infra, paragrafi 57 e segg.

    ( 29 ) V. anche infra, paragrafi 57 e segg.

    ( 30 ) Definito all’articolo 2, paragrafo 7, nei seguenti due modi: «a) per gli Stati membri la cui moneta è l’euro: i) il tasso di interesse applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali; o ii) il tasso di interesse marginale risultante dalle procedure di appalto a tasso variabile per le più recenti operazioni di rifinanziamento principali della Banca centrale europea; b) per gli Stati membri la cui moneta non è l’euro, il tasso equivalente fissato dalle rispettive banche centrali».

    ( 31 ) Il documento è disponibile su Internet al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/justice/policies/civil/docs/dcfr_outline_edition_en.pdf.

    ( 32 ) Sezione II. – 9:101 [Traduzione libera NdT].

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