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Document 62013CC0562

    Conclusioni dell'avvocato generale Bot del 4 settembre 2014.
    Centre public d'action sociale d'Ottignies-Louvain-La-Neuve contro Moussa Abdida.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour du travail de Bruxelles - Belgio.
    Rinvio pregiudiziale - Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea - Articoli 19, paragrafo 2, e 47 - Direttiva 2004/83/CE - Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria - Persona ammissibile alla protezione sussidiaria - Articolo 15, lettera b) - Tortura o trattamenti o sanzioni inumani o degradanti ai danni del richiedente nel suo paese di origine - Articolo 3 - Disposizioni più favorevoli - Richiedente affetto da una grave malattia - Assenza di una terapia adeguata nel paese di origine - Direttiva 2008/115/CE - Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare - Articolo 13 - Ricorso giurisdizionale con effetto sospensivo - Articolo 14 - Garanzie in attesa del rimpatrio - Necessità primarie.
    Causa C-562/13.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2014:2167

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    YVES BOT

    presentate il 4 settembre 2014 ( 1 )

    Causa C‑562/13

    Centre public d’action sociale d’Ottignies-Louvain-La-Neuve

    contro

    Moussa Abdida

    [domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour du travail de Bruxelles (Belgio)]

    «Rinvio pregiudiziale — Sistema europeo comune di asilo — Direttiva 2003/9/CE — Norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri — Direttiva 2004/83/CE — Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato — Persona ammissibile alla protezione sussidiaria — Articolo 2, lettera e) — Rischio effettivo di subire un danno grave — Articolo 15, lettera b) — Trattamenti inumani o degradanti — Direttiva 2005/85/CE — Norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato — Direttiva 2008/115/CE — Norme e procedure comuni in materia di rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare — Articolo 13, paragrafo 2 — Effetto sospensivo del ricorso — Articolo 14, paragrafo 1 — Garanzie prima del rimpatrio — Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea — Diniego dello Stato membro di concedere a un cittadino di un paese terzo gravemente malato un permesso di soggiorno per motivi di salute, accompagnato dall’obbligo di lasciare il territorio — Assenza di un ricorso con pieno effetto sospensivo dell’esecuzione dell’allontanamento — Assenza di presa in carico delle necessità primarie diverse da quelle sanitarie — Concessione dell’assistenza sanitaria urgente»

    1. 

    Con il presente rinvio pregiudiziale, il giudice del rinvio si interroga sulle garanzie procedurali e sui vantaggi sociali che uno Stato membro è tenuto a concedere a un cittadino di un paese terzo il cui stato di salute richieda un’assistenza sanitaria, quando quest’ultimo sia in attesa della decisione sulla legittimità del provvedimento che reca il rigetto della sua domanda di permesso di soggiorno per motivi di salute e l’ordine di lasciare il territorio.

    2. 

    In particolare, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di valutare, alla luce delle direttive 2003/9/CE ( 2 ), 2004/83 ( 3 ) e 2005/85/CE ( 4 ) – che fondano il sistema europeo comune di asilo – e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( 5 ), la compatibilità di una normativa nazionale che, da una parte, escluda l’esistenza di un ricorso con pieno effetto sospensivo dell’esecuzione dell’allontanamento e, dall’altra, limiti, per l’intera durata del procedimento contenzioso, la presa in carico delle necessità primarie dell’interessato alla sola assistenza sanitaria urgente.

    3. 

    Il presente rinvio pregiudiziale si inserisce nell’ambito di una controversia tra il Centre public d’action sociale d’Ottignies-Louvain-la-Neuve (Centro pubblico di azione sociale; in prosieguo: il «CPAS») e il sig. Abdida, un cittadino nigeriano affetto da AIDS. A seguito della decisione con cui lo Stato belga ha respinto la sua domanda di permesso di soggiorno per motivi di salute e gli ha ordinato di lasciare il territorio, all’interessato è stato ritirato l’attestato di registrazione che gli consentiva di beneficiare gratuitamente della presa in carico delle sue necessità primarie. Inoltre, egli non ha potuto beneficiare di un mezzo di impugnazione con pieno effetto sospensivo dell’esecuzione dell’allontanamento in occasione del ricorso di annullamento proposto contro tale decisione.

    4. 

    Il suddetto rinvio pregiudiziale pone sostanzialmente tre questioni.

    5. 

    In primo luogo, si solleva la questione se il cittadino di un paese terzo che soffre di una grave malattia e che, qualora fosse rinviato nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un trattamento inumano o degradante a causa della mancanza, in detto paese, di una terapia medica adeguata, possa essere considerato una «persona ammissibile alla protezione sussidiaria» ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2004/83.

    6. 

    Tale questione è identica a quella posta dalla Cour constitutionnelle nella causa M’Bodj, attualmente pendente dinanzi alla Corte e nella quale ho presentato le mie conclusioni il 17 luglio 2014 ( 6 ).

    7. 

    In secondo luogo, si pone la questione se il ricorso proposto contro una decisione che rigetta una domanda di permesso di soggiorno per motivi di salute e ordina l’allontanamento dell’interessato dal territorio debba avere pieno effetto sospensivo, tenuto conto dei diritti riconosciuti a quest’ultimo dalle direttive 2003/9, 2004/83 e 2005/85 nonché dalla Carta.

    8. 

    In terzo luogo, e sempre sulla base dei suddetti testi, si chiede se gli Stati membri siano tenuti a farsi carico delle necessità primarie dell’interessato diverse da quelle sanitarie fino a una pronuncia sulla legittimità della decisione di rimpatrio, considerato che, nel caso di specie, il CPAS ha limitato l’assistenza sociale alla concessione dell’assistenza sanitaria urgente.

    9. 

    Nell’ambito delle presenti conclusioni, sosterrò che nessuno dei testi che disciplinano il sistema europeo comune di asilo, ossia le direttive 2003/9, 2004/83 e 2005/85, è applicabile a una domanda di permesso di soggiorno per motivi di salute fondata sull’articolo 9 ter della legge del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri, poiché essa non rappresenta una forma sussidiaria di protezione internazionale.

    10. 

    In seguito, esporrò le ragioni per cui è in considerazione, da una parte, delle prescrizioni della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ( 7 ), e, dall’altra, dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta, che esaminerò se, in circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, l’assenza di un ricorso con pieno effetto sospensivo dell’esecuzione dell’allontanamento e l’assenza di presa in carico delle necessità primarie dell’interessato rispettano i diritti riconosciuti ai migranti nell’Unione europea.

    11. 

    A tal riguardo, proporrò alla Corte di statuire che il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, sancito dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 e garantito dall’articolo 47, paragrafo 1, della Carta implica l’esistenza di un ricorso con pieno effetto sospensivo qualora l’esecuzione della decisione di rimpatrio, tenuto conto dello stato di salute dell’interessato, possa esporre quest’ultimo a un rischio di trattamento inumano o degradante contrario all’articolo 4 della Carta.

    12. 

    Spiegherò inoltre perché, in una tale situazione, la finalità dell’articolo 14 della direttiva 2008/115 nonché il rispetto dei diritti fondamentali, e in particolare delle prescrizioni contenute negli articoli da 1 a 4 e 35 della Carta, esigono che gli Stati membri garantiscano, per tutta la durata del procedimento contenzioso, una presa in carico sufficiente delle necessità primarie dell’interessato in modo tale da assicurare il suo sostentamento e un livello di vita dignitoso e adeguato per la sua salute, consentendogli in particolare di disporre di un alloggio e tenendo conto, se del caso, delle sue esigenze particolari.

    I – Contesto normativo

    A – Il diritto dell’Unione

    1. Il sistema europeo comune di asilo

    13.

    Il sistema europeo comune di asilo è composto da tre testi: le direttive 2003/9, 2004/83 e 2005/85.

    a) La direttiva 2003/9

    14.

    La direttiva 2003/9 stabilisce norme minime in materia di accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri.

    15.

    A norma dell’articolo 3, paragrafo 1, essa «si applica a tutti i cittadini di paesi terzi ed agli apolidi che presentano domanda di asilo alla frontiera o nel territorio di uno Stato membro, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio in qualità di richiedenti asilo».

    16.

    Tuttavia, ai sensi del paragrafo 4 di tale disposizione, «[g]li Stati membri possono decidere di applicare [tale] direttiva in relazione a procedimenti di esame di domande intese ad ottenere forme di protezione diverse da quella conferita dalla convenzione di Ginevra per i cittadini di paesi terzi o apolidi cui sia stato negato lo status di rifugiato».

    17.

    Nell’ambito del suo capo II, detta direttiva stabilisce le condizioni minime di accoglienza che gli Stati membri sono tenuti a riservare ai richiedenti asilo al fine di garantire loro una qualità di vita adeguata per la loro salute e assicurare il loro sostentamento.

    18.

    Agli articoli da 7 a 10 e 15 della direttiva 2003/9, il legislatore dell’Unione prevede garanzie relative in particolare alla residenza e alla libera circolazione dei richiedenti, al mantenimento dell’unità del nucleo familiare, agli esami medici e alle cure sanitarie, nonché alla scolarizzazione e all’istruzione dei minori.

    19.

    Nell’ambito del suo capo IV e, in particolare, agli articoli da 17 a 20, la direttiva 2003/9 contiene disposizioni specifiche a favore delle persone portatrici di esigenze particolari.

    b) La direttiva 2004/83

    20.

    La direttiva 2004/83 ha l’obiettivo di fissare criteri comuni a tutti gli Stati membri quanto alle condizioni sostanziali che devono essere soddisfatte dai cittadini di paesi terzi per poter beneficiare di una protezione internazionale ( 8 ) e quanto al contenuto materiale di tale protezione ( 9 ). In questo contesto, all’articolo 2, lettere c) ed e), la direttiva 2004/83 indica le persone che possono beneficiare dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria, fissa, nell’ambito dei capi II, III e V, i requisiti sostanziali che questi ultimi devono soddisfare e stabilisce, al capo VII, i diritti relativi a ciascuno di detti status.

    21.

    Nel contesto del sistema europeo comune di asilo, la protezione sussidiaria integra le norme relative allo status di rifugiato previste dalla Convenzione sullo status dei rifugiati ( 10 ).

    22.

    Si tratta di una protezione internazionale che, a norma dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2004/83, è rivolta al «cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine (...), correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15, (...) e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese».

    23.

    Ai sensi dell’articolo 18 di tale direttiva, «[g]li Stati membri riconoscono lo status di protezione sussidiaria a un cittadino di un paese terzo (...) ammissibile a beneficiare della protezione sussidiaria in conformità dei capi II e V».

    24.

    Il capo II di detta direttiva concerne la «[v]alutazione delle domande di protezione internazionale». Il suo articolo 6, rubricato «Responsabili della persecuzione o del danno grave», così recita:

    «I responsabili della persecuzione o del danno grave possono essere:

    a)

    lo Stato;

    b)

    i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio;

    c)

    soggetti non statuali, se può essere dimostrato che i responsabili di cui alle lettere a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi come definito all’articolo 7».

    25.

    Il capo V della direttiva 2004/83 è relativo ai «[r]equisiti per poter beneficiare della protezione sussidiaria». Il suo articolo 15 definisce la nozione di «danno grave» nel modo seguente:

    «Sono considerati danni gravi:

    a)

    la condanna a morte o all’esecuzione; o

    b)

    la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; o

    c)

    la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

    26.

    Inoltre, nell’ambito del capo VII di tale direttiva, relativo al «[c]ontenuto della protezione internazionale», il legislatore dell’Unione, agli articoli 28 e 29, precisa che la concessione di una protezione internazionale, a prescindere dalla circostanza che si tratti dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria, impone agli Stati membri di riconoscere all’interessato la stessa assistenza sociale e le stesse modalità di accesso all’assistenza sanitaria previste a favore dei cittadini nazionali. Tuttavia, gli Stati membri possono effettuare una distinzione tra questi due status poiché tali disposizioni li autorizzano a limitare l’assistenza sociale per i beneficiari della protezione sussidiaria alle prestazioni essenziali ( 11 ).

    27.

    Infine, occorre rilevare che la direttiva 2004/83 è volta a stabilire norme minime. Di conseguenza, ai sensi del suo considerando 8 e dell’articolo 3, gli Stati membri rimangono liberi di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone ammissibili alla protezione sussidiaria, purché tali disposizioni siano compatibili con detta direttiva.

    28.

    Tuttavia, al considerando 9 della direttiva 2004/83, il legislatore dell’Unione precisa che «[l]a presente direttiva non si applica ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi cui è concesso di rimanere nel territorio di uno Stato membro non perché bisognosi di protezione internazionale, ma per motivi caritatevoli o umanitari riconosciuti su base di discrezionale».

    c) La direttiva 2005/85

    29.

    La direttiva 2005/85 stabilisce le norme di procedura relative all’esame di una domanda di protezione internazionale. A norma del suo articolo 1, essa ha l’obiettivo di stabilire norme minime comuni a tutti gli Stati membri quanto alla procedura di riconoscimento e di revoca dello status di rifugiato e definisce, ai suoi capi II e III, i diritti e gli obblighi procedurali gravanti sul richiedente e sullo Stato membro riguardo all’esame di una domanda di protezione internazionale.

    30.

    L’ambito di applicazione di tale direttiva è precisato dal suo articolo 3 nei termini seguenti:

    «1.   La presente direttiva si applica a tutte le domande di asilo presentate nel territorio, compreso alla frontiera o nelle zone di transito degli Stati membri, nonché alla revoca dello status di rifugiato.

    (...)

    3.   Qualora gli Stati membri utilizzino o avviino un procedimento in cui le domande di asilo sono esaminate sia quali domande a norma della convenzione di Ginevra sia quali domande concernenti altri tipi di protezione internazionale a seconda delle circostanze definite dall’articolo 15 della direttiva [2004/83], essi applicano la presente direttiva nel corso dell’intero procedimento.

    4.   Gli Stati membri possono inoltre decidere di applicare la presente direttiva nei procedimenti di esame di domande intese ad ottenere qualsiasi forma di protezione internazionale».

    31.

    L’articolo 39 di tale direttiva, rubricato «Diritto a un mezzo di impugnazione efficace», dispone quanto segue:

    «1.   Gli Stati membri dispongono che il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice avverso i seguenti casi:

    a)

    la decisione sulla sua domanda di asilo,

    (...)

    3.   Gli Stati membri prevedono, se del caso, norme conformi ai loro obblighi internazionali intese:

    a)

    a determinare se il rimedio di cui al paragrafo 1 produce l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito;

    b)

    a prevedere la possibilità di un mezzo di impugnazione giurisdizionale o di misure cautelari, qualora il mezzo di impugnazione di cui al paragrafo 1 non produca l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro interessato in attesa del relativo esito. Gli Stati membri possono anche prevedere un mezzo di impugnazione d’ufficio (...)».

    2. Il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare

    32.

    Le norme sull’allontanamento di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare sono contenute nella direttiva 2008/115.

    33.

    Ai sensi del suo articolo 2, tale direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare.

    34.

    Essa ha come obiettivo l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme e garanzie giuridiche comuni, affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità ( 12 ).

    35.

    In questa prospettiva, l’articolo 13, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2008/115 riconosce all’interessato garanzie procedurali nell’ambito del ricorso proposto contro la decisione di rimpatrio.

    36.

    Tale disposizione è così formulata:

    «1.

    Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio (...).

    2.

    L’autorità o l’organo menzionati al paragrafo 1 hanno la facoltà di rivedere le decisioni connesse al rimpatrio (...) compresa la possibilità di sospenderne temporaneamente l’esecuzione, a meno che la sospensione temporanea sia già applicabile ai sensi del diritto interno».

    37.

    L’articolo 14 della medesima direttiva stabilisce i diritti economici e sociali di cui il migrante può fruire in attesa del suo allontanamento.

    38.

    L’articolo 14, paragrafo 1, è formulato come segue:

    «Gli Stati membri provvedono, ad esclusione della situazione di cui agli articoli 16 e 17, affinché si tenga conto il più possibile dei seguenti principi in relazione ai cittadini di paesi terzi durante il periodo per la partenza volontaria concesso a norma dell’articolo 7 e durante i periodi per i quali l’allontanamento è stato differito ai sensi dell’articolo 9:

    a)

    che sia mantenuta l’unità del nucleo familiare con i membri della famiglia presenti nel territorio;

    b)

    che siano assicurati le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie;

    c)

    che sia garantito l’accesso al sistema educativo di base per i minori, tenuto conto della durata del soggiorno;

    d)

    che si tenga conto delle esigenze particolari delle persone vulnerabili».

    B – La legislazione belga

    1. La legge del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri

    39.

    La legge del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri ( 13 ) ha come obiettivo la trasposizione nell’ordinamento giuridico belga della direttiva 2004/83.

    a) Le norme sostanziali e procedurali relative alla concessione di un permesso di soggiorno per motivi di salute

    40.

    L’articolo 9 ter di detta legge precisa le condizioni per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi di salute. Il paragrafo 1 è così formulato:

    «Lo straniero soggiornante in Belgio che dimostri la propria identità in conformità al § 2 e che soffra di una malattia tale da comportare un rischio effettivo per la vita o l’integrità fisica o un rischio effettivo di trattamenti inumani o degradanti, qualora non esista alcuna terapia adeguata nel suo paese d’origine o nel paese in cui risiede, può inoltrare al ministro o al suo delegato domanda di permesso di soggiorno nel Regno.

    La domanda deve essere presentata mediante plico raccomandato al ministro o al suo delegato e contiene l’indirizzo di residenza effettiva dello straniero in Belgio.

    Unitamente alla domanda, lo straniero trasmette tutte le informazioni utili e recenti relative alla sua malattia, alle possibilità e all’accessibilità di una terapia adeguata nel suo paese d’origine o nel paese in cui risiede.

    Egli trasmette un certificato medico standard previsto dal Re, mediante decreto deliberato in sede di Consiglio dei Ministri. Detto certificato medico, risalente a meno di tre mesi prima del deposito della domanda, indica la malattia, il suo grado di gravità e la terapia ritenuta necessaria.

    La valutazione del rischio di cui al comma 1, delle possibilità di cura, della loro accessibilità nel paese d’origine o nel paese in cui egli risiede e della malattia, del suo grado di gravità e della terapia ritenuta necessaria, indicati nel certificato medico, viene effettuata da un funzionario medico o da un medico designato dal ministro o dal suo delegato, che esprime un parere al riguardo. Tale medico può, se lo ritiene necessario, esaminare lo straniero e chiedere il parere supplementare di specialisti.

    (...)».

    41.

    Qualora il permesso di soggiorno per motivi di salute sia concesso, le autorità nazionali competenti rilasciano all’interessato un titolo di soggiorno di durata limitata a un anno, che è tuttavia prorogabile. L’interessato ha quindi il diritto all’assistenza sociale fornita dal CPAS, che può farsi carico, se la persona è indigente, della sua quota per un’assicurazione malattia‑invalidità nonché delle sue spese mediche. Alla scadenza di un periodo di cinque anni, l’interessato può disporre di un titolo di soggiorno di durata illimitata, che gli attribuisce gli stessi diritti conferiti ai cittadini nazionali.

    42.

    Qualora tale permesso di soggiorno non sia concesso, le autorità nazionali competenti notificano all’interessato un ordine di lasciare il territorio, in quanto il soggiorno di quest’ultimo nel territorio belga diventa irregolare. L’assistenza sociale è quindi limitata alla concessione dell’assistenza sanitaria urgente. Secondo la giurisprudenza della Cour constitutionnelle, tale assistenza sanitaria deve coprire le cure mediche, sia preventive sia terapeutiche, al fine di evitare che le persone affette da una grave malattia corrano un rischio per la loro vita o integrità fisica ( 14 ).

    43.

    Avverso la decisione di diniego del permesso di soggiorno, l’interessato può proporre un ricorso di annullamento dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Commissione per il contenzioso in materia di stranieri), che non ha effetto sospensivo dell’esecuzione del provvedimento di allontanamento.

    44.

    L’articolo 39/82 della legge del 15 dicembre 1980 prevede che tale ricorso possa essere accompagnato da una domanda di sospensione del provvedimento, che può essere proposta secondo la procedura ordinaria o secondo la procedura di estrema urgenza, anch’essa sospensiva dell’esecuzione del provvedimento.

    45.

    Tale disposizione è così formulata:

    «1)

    Qualora un atto di un’autorità amministrativa sia annullabile ai sensi dell’articolo 39/2, il Conseil ha competenza esclusiva per ordinare la sospensione della sua esecuzione.

    La sospensione è ordinata, sentite o regolarmente convocate le parti, con decisione motivata del presidente della sezione adita o del giudice per il contenzioso in materia di stranieri che egli designa a tal fine.

    In caso di estrema urgenza, la sospensione può essere disposta in via provvisoria senza che le parti o alcune di esse siano state sentite.

    Quando il ricorrente chiede la sospensione dell’esecuzione, deve optare per una sospensione di estrema urgenza o per una sospensione ordinaria. A pena di irricevibilità, non può, né simultaneamente, né consecutivamente, fare un’altra volta applicazione del comma 3 o chiedere un’altra volta la sospensione nel ricorso di cui al § 3.

    In deroga al comma 4, e fatto salvo il § 3, il rigetto della domanda di sospensione secondo la procedura di estrema urgenza non impedisce al ricorrente di presentare successivamente una domanda di sospensione secondo la procedura ordinaria, qualora tale domanda di sospensione di estrema urgenza sia stata respinta in quanto l’estrema urgenza non è stata sufficientemente dimostrata.

    2)

    La sospensione dell’esecuzione può essere disposta soltanto se siano invocati motivi seri in grado di giustificare l’annullamento dell’atto impugnato e a condizione che l’esecuzione immediata dell’atto rischi di arrecare un grave danno difficilmente riparabile.

    (...)

    3)

    Salvo in casi di estrema urgenza, la domanda di sospensione e il ricorso di annullamento devono essere proposti con un unico atto.

    Nell’intestazione dell’atto occorre menzionare il fatto che viene proposto un ricorso di annullamento o una domanda di sospensione e un ricorso di annullamento. Se tale formalità non è adempiuta, si riterrà che l’atto comporti soltanto un ricorso di annullamento.

    Una volta proposto il ricorso di annullamento, un’eventuale domanda di sospensione presentata successivamente non è ricevibile, fatta salva la possibilità, per il ricorrente, di proporre, nel modo sopra descritto, un nuovo ricorso di annullamento accompagnato da una domanda di sospensione, se il termine per presentare ricorso non è ancora scaduto.

    (...)

    4)

    (...)

    Se lo straniero è oggetto di un provvedimento di allontanamento o di respingimento la cui esecuzione sia imminente, e non ha ancora proposto domanda di sospensione, può chiedere la sospensione di detta decisione in via di estrema urgenza. (...) [S]e la sospensione non è stata concessa, è nuovamente possibile l’esecuzione forzata del provvedimento».

    46.

    Ai sensi dell’articolo 39/84 di detta legge, il Conseil du contentieux des étrangers ha competenza esclusiva per ordinare tutti i provvedimenti necessari alla tutela degli interessi delle parti o delle persone che abbiano interesse alla risoluzione della controversia, ad eccezione delle misure riguardanti diritti civili.

    47.

    L’articolo 39/85 di tale legge disciplina l’esame dei provvedimenti provvisori richiesti in via di estrema urgenza. Esso stabilisce quanto segue:

    «Se lo straniero è oggetto di un provvedimento di allontanamento o di respingimento la cui esecuzione sia imminente, lo straniero che abbia già presentato una domanda di sospensione, a condizione che il Conseil non si sia ancora pronunciato su tale domanda, può chiedere, mediante i provvedimenti provvisori di cui all’articolo 39/84, che il Conseil esamini la sua domanda di sospensione nel più breve termine.

    La domanda di provvedimenti provvisori e la domanda di sospensione sono esaminate congiuntamente (...).

    (...)

    A partire dalla ricezione della domanda di provvedimenti provvisori, non può procedersi all’esecuzione forzata del provvedimento di allontanamento o di respingimento fino a quando il Conseil non si sia pronunciato sulla domanda o non l’abbia respinta. (...) [S]e la sospensione non è stata concessa, è nuovamente possibile l’esecuzione forzata del provvedimento.

    (...)».

    48.

    Sia la domanda di sospensione di estrema urgenza che la domanda di provvedimenti provvisori di estrema urgenza richiedono che l’interessato dimostri l’imminenza di un danno grave e, in particolare, l’esistenza di una misura coercitiva volta a costringerlo a lasciare il territorio belga.

    b) Le norme relative alla concessione dello status di protezione sussidiaria

    49.

    L’articolo 48/4 della legge del 15 dicembre 1980 precisa, a sua volta, le condizioni che devono essere soddisfatte per beneficiare dello status di protezione sussidiaria ( 15 ). Esso traspone gli articoli 2, lettera e), 15 e 17 della direttiva 2004/83 e precisa quanto segue:

    «1)   Lo status di protezione sussidiaria è accordato allo straniero che non possa essere considerato un rifugiato e che non possa beneficiare dell’articolo 9 ter, e nei cui confronti sussistano seri motivi per ritenere che, in caso di rientro forzato nel suo paese d’origine ovvero, nel caso degli apolidi, nel paese di precedente dimora abituale, incorrerebbe nel rischio effettivo di subire un grave danno, quale definito al paragrafo 2, e che non possa, ovvero non intenda, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione di tale paese, a condizione che egli non rientri nell’ambito di applicazione delle clausole di esclusione di cui all’articolo 55/4.

    2)   Sono considerati danni gravi:

    a)

    la condanna a morte o all’esecuzione; o

    b)

    la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; o

    c)

    la minaccia grave alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

    50.

    Qualora la domanda di protezione internazionale venga respinta, l’interessato può proporre un ricorso giurisdizionale anche di merito dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers. A norma dell’articolo 39/70 della legge del 15 dicembre 1980, tale ricorso è sospensivo: senza il consenso dell’interessato, non può essere eseguito in modo forzato nei suoi confronti alcun provvedimento di allontanamento dal territorio o di respingimento durante il termine previsto per la proposizione del ricorso e durante l’esame dello stesso. Peraltro, l’interessato conserva il diritto di beneficiare dell’assistenza sociale concessa dal CPAS. Quest’ultima copre tutte le necessità primarie dell’interessato, vale a dire l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale, l’alloggio, il vitto e l’istruzione dei figli.

    2. La legge organica sui centri pubblici di azione sociale dell’8 luglio 1976

    51.

    La legge organica sui centri pubblici di azione sociale dell’8 luglio 1976 prevede, all’articolo 1, il diritto all’assistenza sociale per ogni cittadino allo scopo di consentire a quest’ultimo di condurre una vita conforme alla dignità umana.

    52.

    Ai sensi dell’articolo 57 di tale legge, il CPAS ha il compito di garantire alle persone e alle famiglie l’assistenza dovuta dalla collettività. Esso garantisce non solo un’assistenza palliativa o curativa, ma anche un’assistenza preventiva. Tale assistenza può essere materiale, sociale, sanitaria o psicologica.

    53.

    L’articolo 57, paragrafo 2, primo comma, di detta legge introduce tuttavia una deroga a tale principio in quanto consente al CPAS di limitare la sua funzione alla concessione dell’assistenza sanitaria urgente agli stranieri che soggiornano illegalmente nel territorio.

    54.

    Il decreto reale del 12 dicembre 1996 relativo all’assistenza sanitaria urgente concessa dai centri pubblici di azione sociale agli stranieri che soggiornano illegalmente nel Regno ( 16 ) precisa che l’assistenza sanitaria urgente di cui all’articolo 57, paragrafo 2, primo comma, della legge dell’8 luglio 1976 riguarda l’assistenza di carattere esclusivamente sanitario e la cui natura urgente sia attestata da un certificato medico. Tale assistenza non può consistere in un aiuto finanziario, in un alloggio o in un’altra assistenza sociale in natura.

    II – Fatti della controversia principale e questioni pregiudiziali

    55.

    Il 15 aprile 2009 il sig. Abdida ha presentato una domanda di permesso di soggiorno per motivi di salute a norma dell’articolo 9 ter della legge del 15 dicembre 1980. Il 4 dicembre 2009 tale domanda è stata dichiarata ricevibile e, di conseguenza, il sig. Abdida ha beneficiato dell’assistenza sociale fornita dal CPAS.

    56.

    Il 6 giugno 2011 le autorità nazionali competenti hanno tuttavia respinto tale domanda con la motivazione che il paese di origine del ricorrente dispone di un’infrastruttura sanitaria che consente la presa in carico dei malati affetti da AIDS. Tale decisione, accompagnata dall’obbligo di lasciare il territorio, è stata notificata al sig. Abdida il 29 giugno 2011. Detta notifica precisava che la proposizione di un ricorso di annullamento e di una domanda di sospensione non avrebbero comportato la sospensione dell’esecuzione del provvedimento.

    57.

    Il 7 luglio 2011 il sig. Abdida ha pertanto proposto un ricorso avverso tale decisione dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers. Il 13 luglio 2011, il CPAS ha deciso di revocare l’assistenza sociale fino ad allora versata all’interessato e si è rifiutato di prestargli l’assistenza sanitaria urgente. Il CPAS ha tuttavia riesaminato tale decisione il 27 luglio 2011, concedendo l’assistenza sanitaria urgente al sig. Abdida.

    58.

    Il 5 agosto 2011 quest’ultimo ha proposto un ricorso avverso la decisione del CPAS dinanzi al Tribunal du travail de Nivelles (Tribunale del lavoro di Nivelles). Con sentenza del 9 settembre 2011 tale giudice ha condannato il CPAS a versare un’assistenza sociale di importo pari al reddito minimo di integrazione all’aliquota per persona sola, considerando, in particolare, che il diritto all’assistenza sociale è una condizione indispensabile all’esercizio effettivo di un ricorso e che l’assistenza sociale di cui beneficia il sig. Abdida deve pertanto essere mantenuta in attesa della decisione sul ricorso proposto avverso la decisione di rigetto della sua domanda di permesso di soggiorno.

    59.

    Il 7 ottobre 2011 il CPAS ha impugnato tale decisione dinanzi alla Cour du travail de Bruxelles (Corte del lavoro di Bruxelles).

    60.

    Tale giudice considera che, ai sensi della normativa nazionale, il sig. Abdida non dispone di un ricorso sospensivo dell’esecuzione della decisione di allontanamento ed è privato, in attesa della decisione su detto ricorso, di qualsiasi assistenza sociale diversa dall’assistenza sanitaria urgente. Esso rileva altresì che vi è una disparità di trattamento tra la persona che chieda lo status di protezione sussidiaria sulla base dell’articolo 48/4 della legge del 15 dicembre 1980 e quella che chieda la concessione di un permesso di soggiorno per motivi di salute sulla base dell’articolo 9 ter di detta legge. La Cour constitutionnelle avrebbe tuttavia giustificato tale disparità di trattamento.

    61.

    Di conseguenza, la Cour du travail de Bruxelles ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

    «1)

    Se le direttive 2004/83[...], 2005/85[...] e 2003/9[...] debbano essere interpretate nel senso che obbligano lo Stato membro che dispone che lo straniero “affetto da una malattia tale da comportare un rischio effettivo per la sua vita o la sua integrità fisica o un rischio effettivo di subire un trattamento inumano o degradante qualora non esista alcuna terapia adeguata nel suo paese di origine” ha diritto alla protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 15, lettera b), della direttiva 2004/83[...],

    a prevedere un ricorso con effetto sospensivo avverso la decisione amministrativa che nega il diritto di soggiorno e/o la protezione sussidiaria e ordina di lasciare il territorio,

    a farsi carico, nell’ambito del suo regime di assistenza sociale o di accoglienza, delle necessità primarie diverse da quelle sanitarie del ricorrente, fino ad una pronuncia sul ricorso proposto avverso tale decisione amministrativa.

    2)

    In caso di risposta negativa, se la [Carta], i suoi articoli da 1 a 3 (dignità umana, diritto alla vita e all’integrità), il suo articolo 4 (proibizione di trattamenti inumani o degradanti), il suo articolo 19, paragrafo 2 (diritto di non essere espulso verso uno Stato in cui esiste un rischio effettivo di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti), i suoi articoli 20 e 21 (uguaglianza e non discriminazione, rispetto ad altre categorie di richiedenti la protezione sussidiaria) e/o il suo articolo 47 (diritto a un ricorso effettivo), obblighino lo Stato membro che traspone le direttive 2004/83[...], 2005/85[...] e 2003/9[...] a prevedere un ricorso con effetto sospensivo e la presa in carico delle necessità primarie di cui alla [prima questione sopra riportata]».

    62.

    Hanno presentato osservazioni le parti del procedimento principale, i governi belga, francese e del Regno Unito nonché la Commissione europea.

    III – Analisi

    A – Sulla prima questione

    63.

    La prima questione sottoposta dal giudice del rinvio riguarda le garanzie di ordine procedurale e i vantaggi sociali che uno Stato è tenuto a concedere nell’ambito della procedura di concessione dello status di protezione sussidiaria.

    64.

    Come rilevato dai governi belga e francese e dalla Commissione nelle loro osservazioni, tale questione si basa sul postulato secondo cui un permesso di soggiorno rilasciato a un cittadino di paese terzo a causa del suo stato di salute e fondato sull’articolo 9 ter della legge del 15 dicembre 1980 costituisce una forma sussidiaria di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2004/83.

    65.

    Orbene, per le ragioni che ho esposto ai paragrafi da 40 a 70 delle mie conclusioni nella causa M’Bodj e che presento qui a grandi linee, tale postulato è, a mio avviso, erroneo ( 17 ).

    66.

    Infatti, ritengo che il cittadino di un paese terzo che soffre di una grave malattia e che, qualora fosse rinviato nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un trattamento inumano o degradante a causa della mancanza, in detto paese, di una terapia medica adeguata, non possa essere considerato una «persona ammissibile alla protezione sussidiaria» ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2004/83. Sebbene in talune circostanze particolari la sofferenza dovuta a una malattia possa rappresentare un trattamento inumano o degradante, rimane il fatto che, a mio avviso, manca uno dei criteri essenziali per la concessione della protezione sussidiaria, ossia l’identificazione di un responsabile all’origine del danno, rispetto al quale sia necessaria una protezione.

    67.

    Pertanto, ritengo che un permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell’articolo 9 ter della legge del 15 dicembre 1980 non possa costituire una forma sussidiaria di protezione internazionale e non possa rientrare nell’ambito di applicazione dei testi che fondano il sistema europeo comune di asilo.

    68.

    Non bisogna perdere di vista il fatto che il sistema europeo comune di asilo si fonda sulla necessità di garantire agli individui che temono di essere perseguitati a causa della razza, della religione, della cittadinanza, delle opinioni politiche o dell’appartenenza ad un gruppo sociale, oppure di dover fronteggiare un rischio di danno grave nel paese di origine, una protezione che il loro paese non è o non è più in grado di garantire, poiché opera intenzionalmente per la commissione di tali atti o è inadempiente.

    69.

    Il regime volto alla concessione di una protezione internazionale da parte di uno Stato membro, a prescindere dalla circostanza che si tratti dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria, persegue dunque uno scopo particolare e istituisce uno specifico meccanismo di protezione ( 18 ) che presuppone che ricorrano due elementi essenziali. Il primo è costituito dall’esistenza di un rischio di persecuzioni o di danno grave di cui l’interessato sarebbe vittima una volta rientrato nel paese di origine. Il secondo è costituito dalla responsabilità diretta o indiretta di tale paese rispetto all’esistenza di detto rischio. Il beneficio dello status di rifugiato o di quello di protezione sussidiaria è dunque riservato ai casi in cui le autorità pubbliche del paese di origine non hanno scelto di garantire tale protezione, in quanto sono all’origine delle persecuzioni oppure incoraggiano o tollerano le persecuzioni di milizie o di altri gruppi privati.

    70.

    Questi due elementi sono determinanti per la concessione di una protezione internazionale, poiché rendono fondato il timore dell’individuo e spiegano l’impossibilità o il rifiuto da parte di quest’ultimo di invocare la protezione del suo paese di origine.

    71.

    Per quanto riguarda la protezione sussidiaria, questi due elementi risultano molto chiaramente dalla lettera dell’articolo 2, lettera e), della direttiva. Infatti, il legislatore dell’Unione precisa senza ambiguità che una «persona ammissibile alla protezione sussidiaria» è una persona che non soltanto potrebbe correre un rischio effettivo di subire un grave danno – come definito all’articolo 15 della direttiva – se ritornasse nel paese di origine, ma che, inoltre, non può o non vuole, a causa di tale rischio, avvalersi della protezione di detto paese.

    72.

    Peraltro, tale articolo definisce la nozione di «danni gravi» come atti o circostanze di cui le autorità pubbliche del paese di origine sono direttamente o indirettamente responsabili.

    73.

    Infatti, l’articolo 15 e l’articolo 6 della direttiva 2004/83 devono essere letti in combinato disposto.

    74.

    L’articolo 15 di tale direttiva definisce tre tipi di danni gravi, tra cui si trovano, alla lettera b), i trattamenti inumani o degradanti ai danni del richiedente nel suo paese di origine. Il legislatore definisce qui l’elemento materiale del danno grave. Si tratta della condanna a morte o dell’esecuzione, della tortura, di altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, subiti dall’interessato nel suo paese di origine, e della minaccia grave alla vita o alla sua persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Tali atti contengono in re ipsa la deliberata intenzione da parte di un soggetto di infliggere sofferenze fisiche o mentali di particolare intensità.

    75.

    L’articolo 6 di tale direttiva definisce l’elemento personale poiché individua i «responsabili del danno grave». Il legislatore dell’Unione, quindi, limita esplicitamente il novero dei danni contemplati dall’articolo 15 della direttiva 2004/83 a quelli realizzati dallo Stato, oppure da partiti o organizzazioni che controllano tale Stato o una parte consistente del suo territorio, oppure da soggetti non statuali, se può essere dimostrato che lo Stato o i partiti o le organizzazioni che lo controllano non possono o non vogliono fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi.

    76.

    Perché una persona possa essere ritenuta ammissibile alla protezione sussidiaria, dunque, non è sufficiente provare che, una volta rientrata nel paese di origine, correrebbe il rischio di essere esposta ad un trattamento inumano o degradante: occorre dimostrare altresì che tale rischio deriva da fattori direttamente o indirettamente imputabili alle autorità pubbliche di detto paese, vuoi che le minacce incombenti sull’interessato siano causate delle autorità del paese di cui è cittadino o siano da esse tollerate, vuoi che dette minacce siano perpetrate da gruppi indipendenti, dai quali le autorità del suo paese di origine non sono in grado di proteggere efficacemente i propri cittadini.

    77.

    Orbene, come rilevato dal governo francese nelle sue osservazioni, nell’ipotesi di un individuo il cui stato di salute richieda un’assistenza medica e che non possa beneficiare di una terapia adeguata nel paese di origine, il trattamento inumano o degradante che egli rischia di subire in caso di ritorno in tale paese non deriva da un’azione o da un’omissione intenzionale delle autorità pubbliche o di organismi indipendenti dallo Stato. In altri termini, in una siffatta ipotesi, fa necessariamente difetto uno dei criteri essenziali per il riconoscimento del beneficio della protezione sussidiaria di cui all’articolo 6 della direttiva 2004/83, ossia la responsabilità diretta o indiretta delle autorità pubbliche del paese di origine nella commissione del danno grave, nei confronti delle quali è necessaria una protezione.

    78.

    In tale situazione, la protezione offerta dallo Stato membro non risponde a un’esigenza di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva in parola e, dunque, non può iscriversi nel contesto del sistema europeo comune di asilo.

    79.

    In conformità alla lettera dell’articolo 2, lettera g), in fine, di detta direttiva ( 19 ), si tratta di un «diverso tipo di protezione» che non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva stessa. Tale protezione è accordata per una diversa ragione, su base discrezionale e per ragioni caritatevoli o umanitarie, fondate sul rispetto dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ( 20 ) nonché degli articoli 4 e 19, paragrafo 2, della Carta. In quest’ultima ipotesi, è l’esecuzione della decisione di espulsione dell’interessato da parte dello Stato membro di accoglienza, unitamente alla mancanza di adeguate risorse sanitarie nel paese di origine, a poter costituire un trattamento inumano.

    80.

    Orbene, il legislatore dell’Unione ha manifestamente inteso escludere dall’ambito di applicazione della direttiva 2004/83 le situazioni fondate su motivi umanitari.

    81.

    Infatti, nell’ambito del considerando 9 della direttiva 2004/83, esso precisa esplicitamente che «[detta] direttiva non si applica ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi cui è concesso di rimanere nel territorio di uno Stato membro non perché bisognosi di protezione internazionale, ma per motivi caritatevoli o umanitari riconosciuti su base (…) discrezionale» ( 21 ).

    82.

    Peraltro, è interessante fare riferimento ai lavori preparatori di tale direttiva relativi alla redazione dell’articolo 15, lettera b) ( 22 ), ove il legislatore dell’Unione precisa quanto segue:

    «Tuttavia, se la lettera b) dovesse includere tutta la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo [ ( 23 )] relativa all’articolo 3 della CEDU, occorrerebbe includere le cause fondate unicamente su motivi umanitari come la causa D c. Regno Unito (1997), nota anche come causa Saint-Kitts [ ( 24 )].

    Nella causa Saint-Kitts, benché l’impossibilità di accedere a un sistema sanitario sviluppato nonché la mancanza di una cerchia di persone prossime non siano di per sé considerati come una tortura o un trattamento inumano o degradante, l’espulsione verso detto paese, che costituirebbe una minaccia per la vita della persona interessata, era descritta come tale.

    Di conseguenza, per evitare cause basate su motivi umanitari nel sistema di protezione sussidiaria – il che non è mai stato la ratio della presente direttiva – la presidenza propone di limitare l’ambito di applicazione della lettera b) enunciando che nel paese di origine deve regnare un rischio effettivo di tortura o di pene o trattamenti inumani o degradanti» ( 25 ).

    83.

    Anche se, come rilevato dalla Corte nella sentenza Elgafaji ( 26 ), l’articolo 15, lettera b), della direttiva «sostanzialmente corrisponde [all’]art. 3 [della CEDU]» ( 27 ), il legislatore dell’Unione ha tuttavia limitato il suo ambito di applicazione ai trattamenti inflitti «ai danni del richiedente nel suo paese di origine» ( 28 ) , il che presuppone la responsabilità diretta o indiretta delle autorità pubbliche di tale paese. Il sistema di protezione internazionale e, in particolare, lo status di protezione sussidiaria istituisce dunque effettivamente un meccanismo di protezione concepito come proprio e specifico ( 29 ), distinto dagli obblighi incombenti sugli Stati contraenti ai sensi dell’articolo 3 della CEDU.

    84.

    Alla luce di tali elementi, ritengo pertanto che il cittadino di un paese terzo che soffre di una grave malattia e che, qualora fosse rinviato nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un trattamento inumano o degradante a causa della mancanza, in detto paese, di una terapia medica adeguata, non possa essere considerato una «persona ammissibile alla protezione sussidiaria» ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2004/83.

    85.

    Di conseguenza, una domanda fondata sull’articolo 9 ter della legge del 15 dicembre 1980 e volta alla concessione di un permesso di soggiorno per motivi di salute non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/83.

    86.

    Essa non rientra neanche nell’ambito di applicazione degli altri due testi che fondano il sistema europeo comune di asilo, ossia le direttive 2003/9 e 2005/85.

    87.

    Infatti, le condizioni materiali di accoglienza previste dal legislatore dell’Unione nell’ambito della direttiva 2003/9 sono destinate, ai sensi dell’articolo 3 di tale direttiva, ai richiedenti asilo o, se lo Stato membro ha così deciso, ai richiedenti un’altra forma di protezione.

    88.

    Allo stesso modo, le garanzie processuali riconosciute dal legislatore dell’Unione nell’ambito della direttiva 2005/85 riguardano, a norma dell’articolo 3 di detta direttiva, le domande di asilo e le decisioni di revoca dello status di rifugiato e, se lo Stato membro ha così deciso, qualsiasi altra domanda intesa a ottenere un’altra forma di protezione internazionale.

    89.

    Orbene, dagli elementi del fascicolo risulta che il Regno del Belgio non ha inteso garantire l’applicazione di tali testi alle persone che presentino una domanda ai sensi dell’articolo 9 ter della legge del 15 dicembre 1980.

    90.

    Sono quindi dell’avviso che le garanzie di ordine procedurale e i vantaggi sociali previsti dal legislatore dell’Unione nell’ambito delle direttive 2003/9, 2004/83 e 2005/85 non siano applicabili a una situazione come quella di cui trattasi nella presente causa.

    91.

    Alla luce di questi elementi, ritengo pertanto che le direttive 2003/9, 2004/83 e 2005/85 debbano essere interpretate nel senso che le garanzie di ordine procedurale e i vantaggi sociali stabiliti in tale ambito dal legislatore dell’Unione non sono applicabili a una domanda di permesso di soggiorno per motivi di salute fondata sull’articolo 9 ter della legge del 15 dicembre 1980.

    B – Sulla seconda questione

    92.

    Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte di valutare la compatibilità di una normativa nazionale che, da un lato, esclude l’esistenza di un ricorso con pieno effetto sospensivo della decisione di allontanamento per quanto riguarda le decisioni di diniego del permesso di soggiorno per motivi di salute e, dall’altro, limita la presa in carico delle necessità primarie dell’interessato alla sola assistenza sanitaria urgente per l’intera durata del procedimento contenzioso, alla luce dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta e degli obblighi incombenti agli Stati membri a norma delle direttive 2003/9, 2004/83 e 2005/85.

    1. Osservazioni preliminari

    93.

    Preliminarmente, va precisato che la questione posta alla Corte dal giudice del rinvio impone di tener conto di norme di diritto diverse da quelle espressamente citate nella decisione di rinvio ( 30 ).

    94.

    Infatti, la Cour du travail de Bruxelles incentra tale seconda questione sui diritti e sulle garanzie procedurali concessi al richiedente una protezione internazionale dalle direttive 2003/9, 2004/83 e 2005/85 nonché dalla Carta, e in particolare sulle prescrizioni contenute nei suoi articoli da 1 a 4, i quali sanciscono il principio della dignità umana e i diritti alla vita, all’integrità fisica e a non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti, nel suo articolo 19, paragrafo 2, che stabilisce il principio di non respingimento, nei suoi articoli 20 e 21, che stabiliscono i principi di uguaglianza e di non discriminazione e, infine, nel suo articolo 47, che garantisce il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo.

    95.

    Orbene, per le ragioni che abbiamo appena esposto, si deve escludere l’applicazione dei testi che fondano il sistema europeo comune di asilo a una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale. Di conseguenza, a mio avviso, non occorre esaminare la questione posta dal giudice del rinvio tenendo conto delle direttive 2003/9, 2004/83 et 2005/85.

    96.

    Per contro, a mio parere bisogna fare riferimento alle norme di procedura applicabili al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, stabilite nell’ambito della direttiva 2008/115. Infatti, ai sensi dei suoi articoli 1 e 13, quest’ultima ha lo scopo di stabilire norme e procedure comuni a tutti gli Stati membri per quanto riguarda, in particolare, i ricorsi proposti avverso le decisioni di rimpatrio, e precisa, al capo III, i diritti e le garanzie procedurali che devono essere concessi in tale ambito ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

    97.

    Orbene, nella presente causa è pacifico che, per l’intera durata del procedimento avviato dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers, il soggiorno del sig. Abdida è considerato irregolare dalle autorità nazionali competenti. Esso rientra pertanto nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, come determinato dall’articolo 2 della direttiva stessa.

    98.

    Inoltre, ritengo che la decisione con cui le autorità nazionali hanno respinto la domanda di permesso di soggiorno presentata dall’interessato e ordinato il suo allontanamento dal territorio a norma dell’articolo 7 della legge del 15 dicembre 1980 costituisca una «decisione di rimpatrio» ai sensi dell’articolo 3, punto 4, di detta direttiva ( 31 ). Infatti, con tale decisione, le autorità belghe hanno dichiarato irregolare il soggiorno del sig. Abdida nel territorio belga e hanno attestato nei suoi confronti un obbligo di rimpatrio. Detta decisione non è altro che l’attuazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, che prescrive agli Stati membri di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio sia irregolare.

    99.

    In tale situazione, che è disciplinata dal diritto dell’Unione, gli Stati membri sono quindi tenuti, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, ad applicare i diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Come ha rilevato la Corte nelle sentenze Åkerberg Fransson ( 32 ) e Pfleger e a. ( 33 ), l’applicabilità del diritto dell’Unione implica, in tali situazioni, quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta.

    100.

    È quindi alla luce, da una parte, delle prescrizioni della direttiva 2008/115 e, dall’altra, dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta che occorre esaminare se, in circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, l’assenza di un ricorso con effetto sospensivo dell’esecuzione dell’allontanamento e di una presa in carico delle necessità primarie diverse da quelle sanitarie dell’interessato rispettino i diritti riconosciuti a quest’ultimo nell’Unione.

    2. La mia interpretazione

    a) Sull’esistenza di un ricorso con pieno effetto sospensivo

    101.

    L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, intitolato «Mezzi di ricorso», attribuisce al cittadino interessato il diritto di disporre di un mezzo di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio.

    102.

    Ai sensi del paragrafo 2 di tale disposizione, le autorità nazionali competenti possono quindi sospendere temporaneamente l’esecuzione della decisione impugnata. In tal caso, detta sospensione comporta, a norma dell’articolo 9 della medesima direttiva, il rinvio dell’allontanamento.

    103.

    È necessario constatare che, contrariamente alla proposta di direttiva che la Commissione aveva formulato, tale disposizione non impone agli Stati membri l’obbligo di prevedere un ricorso sospensivo quando quest’ultimo è proposto avverso una decisione di rimpatrio ( 34 ), ma si tratta di una semplice facoltà.

    104.

    In circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, ritengo tuttavia che la finalità della direttiva 2008/113 e il rispetto dei diritti fondamentali, in particolare le prescrizioni contenute negli articoli 1, 2, 3, 4, 19, paragrafo 2, e 47 della Carta, impongano che l’interessato disponga di un ricorso con pieno effetto sospensivo dell’esecuzione dell’allontanamento.

    105.

    Infatti, la finalità dell’articolo 13 della direttiva 2008/115 si evince chiaramente dal principio cardine espresso dal legislatore dell’Unione all’articolo 1 di tale direttiva, il quale mira a garantire, nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone interessate, la protezione efficace dei loro interessi e in particolare un rimpatrio in condizioni umane e dignitose ( 35 ).

    106.

    La finalità di detta disposizione può comprendersi pertanto solo in conformità e in coerenza con i diritti riconosciuti dagli articoli da 1 a 4 della Carta, che garantiscono il rispetto della dignità umana nonché il diritto alla vita e all’integrità della persona e vietano i trattamenti inumani o degradanti. Essa deve essere interpretata, inoltre, in conformità con il principio di non respingimento di cui all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. Infine, essa deve assicurare il rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, sanciti dagli articoli 20 e 21 di tale medesimo testo, e garantire il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, come sancito dall’articolo 47 della medesima Carta. Detti riferimenti sono, infatti, necessariamente compresi nei riferimenti ai diritti fondamentali presenti nell’articolo 1 della direttiva 2008/115.

    107.

    Di conseguenza, l’articolo 13 di tale direttiva e, più in generale, le disposizioni che si occupano specificamente delle garanzie procedurali di cui i cittadini interessati possono avvalersi nell’ambito dei propri ricorsi, può essere applicato concretamente e in conformità con tali testi soltanto se assicura il rispetto di detti valori.

    108.

    Orbene, l’effettività del ricorso di cui all’articolo 13, paragrafo 1, di detta direttiva e all’articolo 47 della Carta implica, a mio avviso, che, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui l’esecuzione della decisione di rimpatrio può esporre l’interessato a un rischio di trattamenti inumani o degradanti in violazione dell’articolo 4 della Carta, tale ricorso abbia pieno effetto sospensivo.

    109.

    In primo luogo, in una tale situazione, lo Stato membro è tenuto a rispettare il principio di non respingimento, conformemente agli obblighi che gli incombono ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2008/115 e dell’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, che prescrive, ricordo, che «[n]essuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti». Il rispetto di tale prescrizione esige, pertanto, che l’esecuzione della decisione di rimpatrio sia automaticamente sospesa per il tempo necessario affinché l’autorità nazionale competente esamini la legittimità di detta decisione nonché le censure sollevate dall’interessato riguardo all’esistenza di un rischio di trattamenti contrari all’articolo 4 della Carta.

    110.

    In secondo luogo, la Corte EDU ritiene che il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, sancito dall’articolo 13 della CEDU, esiga che lo straniero nei confronti del quale sia stato emesso un ordine di espulsione possa disporre di un ricorso con pieno effetto sospensivo, quando il medesimo sollevi una «censura sostenibile», secondo cui il proprio allontanamento lo esporrebbe a un rischio di trattamenti inumani o degradanti contrari all’articolo 3 della CEDU ( 36 ). Infatti, la Corte EDU considera che, in una tale situazione, l’esecuzione dell’allontanamento di cui si contesta la legittimità può causare un danno irreversibile, che occorre prevenire sospendendo detta esecuzione. Orbene, tale Corte ritiene che uno straniero affetto da una grave malattia e che non possa essere curato nel proprio paese di origine sollevi una siffatta censura. Essa considera, peraltro, che l’effettività del ricorso implica inoltre esigenze di qualità e di rapidità ( 37 ).

    111.

    È sulla base di questa giurisprudenza che il Regno del Belgio è stato condannato in una sentenza del 27 febbraio 2014 ( 38 ). Tale causa riguardava una cittadina nigeriana, affetta da AIDS, nei confronti della quale le autorità avevano emesso un ordine di allontanamento. Ella sosteneva che l’allontanamento verso il proprio paese di origine l’avrebbe esposta a trattamenti contrari all’articolo 3 della CEDU e lamentava l’assenza di un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 di tale Convenzione.

    112.

    Dopo aver esaminato le norme di procedura applicabili, la Corte EDU ha statuito che i mezzi di ricorso disponibili avverso un ordine di allontanamento emesso a seguito del rigetto di una domanda di permesso di soggiorno fondata sull’articolo 9 ter della legge del 15 dicembre 1980 non erano sufficienti a garantire il rispetto del combinato disposto degli articoli 13 e 3 della CEDU.

    113.

    La Corte EDU ha anzitutto constatato che, ai sensi della normativa nazionale applicabile, un tale ricorso non sospende l’esecuzione dell’allontanamento ( 39 ).

    114.

    Essa ha quindi tracciato un quadro dei procedimenti specifici stabiliti dagli articoli da 39/82 a 39/85 della legge del 15 dicembre 1980 e volti alla sospensione dell’esecuzione dell’allontanamento.

    115.

    La prima modalità di ricorso consiste nel proporre, entro 30 giorni dalla notifica della decisione, un ricorso di annullamento nonché una domanda di sospensione ordinaria accompagnata, nel momento in cui l’interessato sia oggetto di una misura coercitiva, di una domanda di provvedimenti cautelari di estrema urgenza. La seconda modalità consiste nel presentare una domanda di sospensione di estrema urgenza, che postula l’esistenza di una misura coercitiva nei confronti dell’interessato ( 40 ).

    116.

    La Corte EDU ha giudicato tali procedimenti «difficilmente operativ[i]» e «troppo compless[i]» per soddisfare le esigenze di disponibilità e di accessibilità dei ricorsi previste dal combinato disposto degli articoli 13 e 3 della CEDU ( 41 ).

    117.

    Essa ha rilevato anzitutto che tale sistema ha l’effetto di obbligare l’interessato, che sia oggetto di un provvedimento di allontanamento e che sostenga l’urgenza di chiedere la sospensione dell’esecuzione del provvedimento, a proporre un ricorso conservativo, nella fattispecie una domanda di sospensione ordinaria. Secondo detto giudice, tale ricorso, che non ha effetto sospensivo, deve quindi essere proposto al solo scopo di preservare il diritto dell’interessato di agire in via d’urgenza quando la vera urgenza, vale a dire l’esistenza di una misura coercitiva, si verifica. Qualora l’interessato non abbia proposto detto ricorso conservativo all’inizio del procedimento, e l’urgenza si verifichi successivamente, la Corte EDU ha pertanto constatato che l’interessato sarebbe allora definitivamente privato della possibilità di chiedere la sospensione del provvedimento di allontanamento ( 42 ). Per quanto riguarda le norme che disciplinano le domande di sospensione presentate in via di estrema urgenza, la Corte EDU ha aggiunto che esse «costring[ono] gli interessati, che si trovano già in una situazione vulnerabile, ad agire ancora in extremis al momento dell’esecuzione forzata del provvedimento» ( 43 ).

    118.

    A seguito di tali constatazioni, la Corte EDU ha concluso che l’interessato non aveva potuto disporre di un ricorso effettivo, in quanto detto ricorso non era sospensivo e non consentiva un esame effettivo dei motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 3 della CEDU ( 44 ).

    119.

    Nella presente causa e a seguito, in particolare, delle osservazioni presentate in udienza, il governo belga ha descritto un procedimento che mi sembra effettivamente complesso da attuare, data l’urgenza e la gravità della situazione, e poco accessibile ai migranti a cui è rivolto ( 45 ). Infatti, l’effettività di un ricorso deve essere valutata caso per caso e in base al contesto in cui è inserito. Orbene, si deve tener conto della situazione di svantaggio psicologico in cui i migranti possono trovarsi e delle difficoltà che possono incontrare, ad esempio a causa della lingua, per conoscere i procedimenti che occorre avviare nell’imminenza del loro allontanamento dal territorio, in quanto molti di loro non hanno i mezzi per procurarsi, in tale fase, un’assistenza giudiziaria.

    120.

    In udienza, il governo belga si è difeso in merito all’assenza di un ricorso con pieno effetto sospensivo, sostenendo che, in pratica, la proposizione di un ricorso di annullamento dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers dà luogo a una sospensione di fatto dell’esecuzione della decisione di allontanamento, in quanto le autorità nazionali belghe tollerano il soggiorno irregolare dell’interessato nel territorio per la durata del procedimento.

    121.

    Benché tale situazione sia, in pratica, identica a quella in cui il ricorso sia espressamente sospensivo dell’esecuzione dell’allontanamento, essa presenta tuttavia molti inconvenienti.

    122.

    In primo luogo, nonostante detta sospensione di fatto, l’interessato non è ufficialmente protetto da un rimpatrio forzato poiché, a norma dell’articolo 74/14, paragrafi 1 e 2, della legge del 15 dicembre 1980, tale protezione è accordata soltanto durante il periodo di 30 giorni concesso per la partenza volontaria. Orbene, una volta trascorso tale breve periodo, le autorità nazionali competenti possono ufficialmente eseguire in qualsiasi momento l’ordine di allontanamento. Ciò causa una difficoltà notevole, soprattutto in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui l’esecuzione della decisione di rimpatrio può esporre l’interessato al rischio di trattamenti inumani o degradanti contrari all’articolo 4 della Carta.

    123.

    In secondo luogo, nonostante la tolleranza di fatto mostrata dalle autorità, l’interessato rimane esposto a una sanzione penale a causa del proprio soggiorno irregolare nel territorio. Pertanto, egli non è ufficialmente protetto da un eventuale arresto.

    124.

    In terzo luogo, poiché l’allontanamento è sospeso ufficiosamente, tale sospensione non è accompagnata dai diritti che vi sono connessi e, in particolare, dalle garanzie di ordine economico e sociale che il legislatore riconosce, all’articolo 14 della direttiva 2008/115, ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e il cui rimpatrio è ufficialmente rinviato. Ciò determina un’ulteriore difficoltà, specialmente in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui il provvedimento di allontanamento riguarda una persona gravemente malata, che dovrebbe poter beneficiare, come qualsiasi cittadino di paese terzo il cui allontanamento sia stato ufficialmente rinviato, della presa in carico delle particolari necessità imposte dal suo stato di salute.

    125.

    In quarto luogo, non si può non considerare i tempi particolarmente lunghi del procedimento di cui trattasi, che è stato avviato il 7 luglio 2011. Al di là degli inconvenienti connessi alle incertezze che gravano sullo status giuridico dell’interessato, alla sua situazione materiale estremamente preoccupante e alla gravità delle censure che quest’ultimo solleva dinanzi al giudice, ci si può chiedere se, tenuto conto della sua durata, un siffatto procedimento sia adeguato e offra tutte le garanzie che devono accompagnare la proposizione di un ricorso effettivo.

    126.

    In considerazione di questi elementi, e in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui l’esecuzione della decisione di rimpatrio può esporre l’interessato al rischio di trattamenti inumani o degradanti contrari all’articolo 4 della Carta, sono dell’avviso che l’interessato non goda dei diritti riconosciutigli da tale Carta e, in particolare, del diritto di beneficiare di un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 47 della Carta medesima.

    127.

    Alla luce di tutte queste considerazioni, ritengo pertanto che l’articolo 13, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2008/115 debba essere interpretato nel senso che osta a una norma di procedura nazionale che esclude l’esistenza di un ricorso con pieno effetto sospensivo quando tale ricorso è proposto avverso una decisione di rimpatrio la cui esecuzione può esporre l’interessato al rischio di trattamenti inumani o degradanti contrari all’articolo 4 della Carta, e ciò tenuto conto dello stato di salute di quest’ultimo.

    b) Sulla presa in carico delle necessità primarie dell’interessato diverse da quelle sanitarie

    128.

    L’articolo 14 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con il considerando 12 della medesima, enuncia le garanzie di ordine economico e sociale di cui i «cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ma che non è ancora possibile allontanare» possono beneficiare «prima del rimpatrio». Così, durante il periodo per la partenza volontaria e durante i periodi per i quali l’allontanamento è stato differito, gli Stati membri devono provvedere affinché sia mantenuta l’unità del nucleo familiare e siano assicurati le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie. Essi devono anche garantire che i minori abbiano accesso al sistema di istruzione di base e che si tenga conto delle esigenze particolari delle persone vulnerabili. Tale disposizione riecheggia l’articolo 5 della direttiva 2008/115, che impone agli Stati membri di tenere debitamente conto della situazione sanitaria, familiare e sociale dell’interessato e, in particolare, del suo stato di salute quando applicano detta direttiva.

    129.

    Benché il legislatore dell’Unione abbia espresso, nel considerando 12 della direttiva in parola, il proprio intento di «occuparsi della situazione» di tali migranti, questo obiettivo, a mio avviso, è solo parzialmente raggiunto, e ciò per i seguenti motivi.

    130.

    In primo luogo, se ci si attiene alla lettera dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, va constatato che il sig. Abdida non può rientrare nell’ambito di applicazione di tale disposizione e non può quindi beneficiare delle garanzie previste dalla stessa. Infatti, il termine di 30 giorni concessogli per la partenza volontaria è scaduto e il provvedimento di allontanamento adottato nei suoi confronti non è stato ufficialmente differito.

    131.

    Detto testo non riconosce pertanto espressamente garanzie in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui l’allontanamento dell’interessato è sospeso di fatto per la durata del procedimento contenzioso ( 46 ).

    132.

    In secondo luogo, rilevo che le garanzie previste dal legislatore dell’Unione nella disposizione in parola non coprono l’insieme dei diritti e, in particolare, i diritti che mi sembrano più essenziali nel momento in cui l’interessato non dispone più necessariamente di fonti di reddito e deve essere allontanato dal territorio, vale a dire la possibilità di nutrirsi, di vestirsi e di disporre di un alloggio.

    133.

    Benché si debba mantenere l’unità del nucleo familiare, garantire l’istruzione di base dei minori, assicurare le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento «essenziale delle malattie» e tener conto delle esigenze particolari delle persone vulnerabili, l’articolo 14, paragrafo 1, della suddetta direttiva non obbliga espressamente gli Stati membri a farsi carico delle necessità primarie dell’interessato diverse da quelle sanitarie.

    134.

    Pertanto, la direttiva 2008/115 non procede a un’armonizzazione, neanche minima, delle norme che disciplinano la presa in carico da parte degli Stati membri delle necessità primarie di tali migranti. Detta direttiva si distingue quindi molto nettamente dalla direttiva 2003/9, nella quale il legislatore dell’Unione ha inteso obbligare gli Stati membri a garantire condizioni minime di accoglienza ai richiedenti asilo in attesa di una decisione, coprendo l’insieme delle loro necessità più essenziali.

    135.

    Tale constatazione può essere formulata sulla base di una semplice lettura del considerando 12 della direttiva 2008/115. Infatti, nel considerando in parola il legislatore dell’Unione precisa che «[l]e condizioni basilari per il (...) sostentamento [dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ma che non è ancora possibile allontanare] dovrebbero essere definite conformemente alla legislazione nazionale» ( 47 ). L’uso del condizionale e, in particolare, la scelta del verbo «definire» dimostrano chiaramente la volontà del legislatore dell’Unione di lasciare agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità per quanto riguarda la natura delle condizioni basilari di sostentamento che questi ultimi intendono assicurare (mentre, a mio avviso, la definizione di condizioni basilari di sostentamento si impone da sé). Peraltro, il legislatore dell’Unione non fa alcun’altra menzione riguardo alla realizzazione di tali condizioni di sostentamento nella parte restante della suddetta direttiva.

    136.

    Tale formulazione si distingue da quella proposta dalla Commissione nella sua proposta di direttiva, in cui essa suggeriva un allineamento delle garanzie da concedere ai migranti in situazione irregolare a quelle previste nell’ambito della direttiva 2003/9.

    137.

    Il considerando 8 della proposta di direttiva era infatti formulato come segue:

    «È necessario occuparsi della situazione di coloro che sono in posizione irregolare ma che non è (ancora) possibile allontanare. È opportuno fissare norme minime sulle condizioni di soggiorno di quelle persone, rifacendosi alle disposizioni della direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri» ( 48 ).

    138.

    All’articolo 13 della proposta di direttiva, relativo alle «[g]aranzie prima del rimpatrio», la Commissione aveva quindi fatto espresso riferimento ai capi II e IV della direttiva 2003/9, che prevedono in termini molto più concreti e precisi le condizioni materiali di accoglienza che gli Stati membri devono assicurare ai richiedenti asilo in attesa di una decisione al fine, da una parte, di garantire loro un livello di vita dignitoso e adeguato e, dall’altra, di assicurare loro condizioni di vita analoghe in tutti gli Stati membri ( 49 ). Tale disposizione era così formulata:

    «Gli Stati membri provvedono affinché le condizioni di soggiorno dei cittadini di paesi terzi per i quali sia stata differita l’esecuzione della decisione di rimpatrio o che non possano essere allontanati per le ragioni di cui all’articolo 8 della presente direttiva non siano meno favorevoli delle condizioni previste agli articoli da 7 a 10, 15 e da 17 a 20 della direttiva [2003/9]» ( 50 ).

    139.

    In sede di negoziati, tali proposte di testo sono state abbandonate e così, in particolare, tutti i riferimenti espressi al regime concesso ai richiedenti asilo dalla direttiva 2003/9. Sebbene il nuovo articolo 14 della direttiva 2008/115 riprenda in parte alcune delle garanzie previste dalla direttiva 2003/9, esso omette alcuni elementi fondamentali di queste ultime e, in particolare, la garanzia di una qualità di vita dignitosa e adeguata.

    140.

    Infine, l’articolo 14 della direttiva 2008/115 è formulato in modo tale che è difficile valutare la portata, la forma e il livello minimo delle prestazioni da concedere all’interessato.

    141.

    Detto articolo, infatti, non precisa quali disposizioni gli Stati membri siano tenuti ad adottare al fine di preservare l’unità del nucleo familiare e che tipo di presa in carico occorra concedere alle persone più vulnerabili al fine di soddisfare le loro esigenze particolari. Allo stesso modo, alcune espressioni, come quella riguardante «il trattamento essenziale delle malattie», sono sufficientemente ampie da dare adito a diverse interpretazioni e avere una portata a geometria variabile a seconda degli Stati membri.

    142.

    Alla luce di tali elementi, e contrariamente all’obiettivo dichiarato dal legislatore dell’Unione al considerando 12 della direttiva 2008/115, non può considerarsi che ci si sia «occupa[ti]» della situazione di detti «cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ma che non è ancora possibile allontanare».

    143.

    Nell’ambito della sua proposta di risoluzione sulla riduzione delle disuguaglianze sanitarie nell’Unione europea ( 51 ), il Parlamento ha peraltro constatato che l’accesso paritario ai servizi sanitari previsti dall’articolo 35 della Carta non è garantito, di fatto o per legge, per le persone sprovviste di permesso di soggiorno. Di conseguenza, il Parlamento ha invitato gli Stati membri a provvedere affinché i migranti sprovvisti di documenti abbiano diritto e possano di fatto beneficiare della parità di accesso all’assistenza sanitaria e a valutare la fattibilità di finanziamenti pubblici in materia di prestazioni sanitarie fornite alle popolazioni migranti in situazione irregolare, elaborando sulla base di principi comuni un’offerta di assistenza sanitaria di base quale definita nelle relative normative nazionali.

    144.

    Al di là della constatazione effettuata dal Parlamento, la presente causa rivela un’altra realtà, quella della situazione giuridica e materiale concreta in cui si trovano alcuni migranti in attesa di allontanamento.

    145.

    Vi è da chiedersi come faccia concretamente il sig. Abdida, che versa in uno stato di salute critico, a provvedere alle sue necessità più elementari dalla proposizione del suo ricorso dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers il 7 luglio 2011, vale a dire da 3 anni.

    146.

    Egli si trova in situazione irregolare nel territorio belga dal 29 giugno 2011, data in cui le autorità gli hanno notificato l’obbligo di lasciare il territorio e l’hanno cancellato dal registro degli stranieri. Tuttavia, la sua presenza nel territorio è tollerata di fatto dalle autorità per il tempo necessario affinché queste si pronuncino sulla legittimità della decisione impugnata. Orbene, come abbiamo visto, tale procedimento è lungo, e per molti mesi, o persino alcuni anni, l’interessato rimane non solo nell’incertezza sul suo eventuale allontanamento, ma anche privo di protezione da un eventuale arresto, in quanto il soggiorno irregolare può dar luogo a una sanzione penale.

    147.

    Tale status determina ovviamente il suo grado di accesso a un lavoro, a un alloggio e alle prestazioni sociali e sanitarie, che nel caso di specie è quasi nullo. Il sig. Abdida si trova escluso dal mercato del lavoro regolare, il che comporta l’assenza di un reddito necessario per provvedere alle proprie necessità e, in particolare, per il vitto, il vestiario e l’alloggio. Egli si trova certamente di fronte a grandi difficoltà per accedere a un alloggio, anche perché la locazione di un alloggio a un migrante in situazione irregolare può dar luogo a sanzioni. Inoltre, può accedere soltanto parzialmente all’assistenza sociale, poiché questa, ai sensi della normativa nazionale applicabile, è limitata alla concessione dell’assistenza sanitaria urgente.

    148.

    Ad ogni evidenza, tale stato di fatto rischia di porre l’interessato in una situazione di indigenza e incide direttamente sul rispetto dei suoi diritti fondamentali. Peraltro, secondo una costante giurisprudenza della Corte EDU, l’insufficienza di redditi può, in alcune circostanze particolari, causare un rischio per la vita o per l’integrità fisica dell’individuo nonché un rischio di trattamenti inumani o degradanti, contrari agli articoli 2 e 3 della CEDU ( 52 ).

    149.

    Alla luce del testo dell’articolo 14 della direttiva 2008/115, non ritengo che sia coerente obbligare gli Stati membri a fornire l’assistenza sanitaria urgente se, in situazioni come quella di cui trattasi nel procedimento principale, non esiste alcuna presa in carico delle necessità più elementari dell’interessato. Analogamente, non credo sia coerente obbligare gli Stati membri a garantire l’unità del nucleo familiare o l’istruzione di base dei minori senza che ciò implichi l’obbligo di assicurare il sostentamento di tali persone e di garantire loro condizioni di vita umane e dignitose.

    150.

    Non ritengo neanche che sia giusto ed equo che il cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio sia tollerato di fatto in attesa dell’esame del suo ricorso, sia trattato in modo meno favorevole rispetto al cittadino di un paese terzo trattenuto ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2008/115. Sebbene quest’ultimo sia effettivamente privato della propria libertà di movimento, e ciò in considerazione del suo comportamento, egli è comunque sistemato in un centro di permanenza temporanea che copre, in linea di principio, tutte le sue necessità primarie, compresa l’assistenza legale, sociale e sanitaria, per un periodo fino a 18 mesi. Orbene, è necessario constatare che, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui anche l’interessato resta «in attesa di allontanamento», la copertura delle sue necessità non è assicurata.

    151.

    Non credo neanche che sia coerente imporre agli Stati membri di assicurare l’effettività di un ricorso e, in particolare, di prevedere un ricorso con pieno effetto sospensivo della decisione di allontanamento, se il migrante, in attesa della decisione emessa dal giudice, non può nutrirsi, alloggiare e vestirsi in modo dignitoso.

    152.

    Infine, non va ignorato che la mancata presa in carico delle necessità più elementari dei migranti accentua la loro emarginazione. Orbene, il fatto che un cittadino di un paese terzo in attesa di allontanamento sia privato, per un periodo così lungo dopo la proposizione del suo ricorso, della copertura delle proprie necessità più essenziali, rischia di indurlo a lasciare il territorio dello Stato di accoglienza per recarsi in un altro Stato membro, alimentando così i movimenti secondari di migranti in situazione irregolare e di conseguenza l’immigrazione clandestina all’interno dei confini dell’Unione. Tale situazione può anche indurlo a una scelta non di illegalità o clandestinità – poiché si trova già in una tale situazione – ma di criminalità, al fine di provvedere alle sue necessità. Chiaramente, tali conseguenze sono molto lontane dall’obiettivo dichiarato del legislatore dell’Unione al considerando 4 della direttiva 2008/115, secondo cui «[o]ccorrono norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d’immigrazione correttamente gestita» ( 53 ).

    153.

    Applicare la direttiva 2008/115 in modo tale da pervenire a tali incoerenze e irregolarità non consente, ad ogni evidenza, di garantirne l’effetto utile.

    154.

    La portata delle garanzie previste dall’articolo 14 di tale direttiva deve pertanto essere interpretata alla luce del suo obiettivo, il quale, lo ricordo, tende a stabilire norme chiare ed eque per definire una politica di rimpatrio che sia non solo efficace, ma che consenta anche di assicurare, conformemente al principio cardine espresso dal legislatore all’articolo 1 di detta direttiva, il rispetto dei valori sanciti dalla Carta.

    155.

    Orbene, il rispetto della dignità umana e dei diritti alla vita, all’integrità e alla salute, sanciti rispettivamente dagli articoli 1, 2, 3 e 35 ( 54 ) della Carta, nonché il divieto di trattamenti inumani o degradanti previsto dall’articolo 4 della Carta, ostano, a mio avviso, a che, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare e il cui allontanamento è stato sospeso di fatto sia privato, in attesa dell’esame del suo ricorso, della copertura delle sue necessità primarie.

    156.

    La soddisfazione delle necessità primarie è, a mio avviso, un diritto fondamentale che non può dipendere dallo status giuridico dell’interessato.

    157.

    Benché la portata di tale presa in carico debba essere determinata da ciascuno degli Stati membri, in considerazione del margine di discrezionalità loro attribuito dalla direttiva 2008/115, ritengo che detta presa in carico debba essere sufficiente a garantire all’interessato il sostentamento e un livello di vita dignitoso e adeguato per la sua salute, consentendogli in particolare di disporre di un alloggio e tenendo conto, se del caso, delle sue esigenze particolari ( 55 ).

    158.

    Alla luce di tali elementi, ritengo quindi che l’articolo 14 della direttiva 2008/115 debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che, nel caso di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, che hanno proposto un ricorso avverso la decisione di rimpatrio, limita la presa in carico delle loro necessità primarie alla sola assistenza sanitaria urgente. In una tale situazione, e per l’intera durata del procedimento contenzioso, lo Stato membro è tenuto a garantire una presa in carico sufficiente delle necessità primarie dell’interessato, in modo da assicurare il suo sostentamento e un livello di vita dignitoso e adeguato per la sua salute, consentendogli in particolare di disporre di un alloggio e tenendo conto, se del caso, delle sue esigenze particolari.

    IV – Conclusione

    159.

    Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla Cour du travail de Bruxelles nel modo seguente:

    1)

    La direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, la direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, nonché la direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, devono essere interpretate nel senso che le garanzie di ordine procedurale e i vantaggi sociali stabiliti in tale ambito dal legislatore dell’Unione non sono applicabili a una domanda di permesso di soggiorno per motivi di salute fondata sull’articolo 9 ter della legge del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri.

    2)

    L’articolo 13, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, deve essere interpretato nel senso che osta a una norma di procedura nazionale che esclude l’esistenza di un ricorso con pieno effetto sospensivo quando tale ricorso è proposto avverso una decisione di rimpatrio la cui esecuzione può esporre l’interessato al rischio di trattamenti inumani o degradanti contrari all’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e ciò tenuto conto del suo stato di salute.

    3)

    L’articolo 14 della direttiva 2008/115 deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che, nel caso di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, che hanno proposto un ricorso avverso la decisione di rimpatrio, limita la presa in carico delle loro necessità primarie alla sola assistenza sanitaria urgente. In una tale situazione, e per l’intera durata del procedimento contenzioso, lo Stato membro è tenuto a garantire una presa in carico sufficiente delle necessità primarie dell’interessato, in modo da assicurare il suo sostentamento e un livello di vita dignitoso e adeguato per la sua salute, consentendogli in particolare di disporre di un alloggio e tenendo conto, se del caso, delle sue esigenze particolari.


    ( 1 ) Lingua originale: il francese.

    ( 2 ) Direttiva del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU L 31, pag. 18). Tale direttiva è stata sostituita dalla direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU L 180, pag. 96).

    ( 3 ) Direttiva del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 304, pag. 12, e rettifica in GU 2005, L 204, pag. 24).

    ( 4 ) Direttiva del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU L 326, pag. 13, e rettifica in GU 2006, L 236, pag. 36).

    ( 5 ) In prosieguo: la «Carta».

    ( 6 ) Conclusioni nella causa M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2113).

    ( 7 ) GU L 348, pag. 98.

    ( 8 ) V. articolo 1 di tale direttiva.

    ( 9 ) V. le conclusioni nella causa M. (C‑277/11, EU:C:2012:253, paragrafo 19) che ha dato luogo alla sentenza M. (C‑277/11, EU:C:2012:744, punto 72).

    ( 10 ) Tale convenzione, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Raccolta dei trattati delle Nazioni unite, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], è entrata in vigore il 22 aprile 1954. Essa è stata completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967.

    ( 11 ) Nella sentenza M. (EU:C:2012:744), la Corte ha rilevato che la natura dei diritti inerenti allo status di rifugiato e quella dei diritti inerenti allo status di protezione sussidiaria sono infatti diverse (punto 92). Va nondimeno osservato che la direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, la quale provvede alla rifusione della direttiva 2004/83, rimuove le disparità esistenti rispetto al quantum dei diritti riconosciuti ai rifugiati e ai beneficiari di protezione sussidiaria per quanto concerne l’accesso all’assistenza sanitaria (articolo 30). Tuttavia, una simile disparità non è stata rimossa per quanto concerne l’assistenza sociale (articolo 29).

    ( 12 ) V. articolo 1 e considerando 2 e 11 di tale direttiva.

    ( 13 ) Come modificata dalla legge del 15 settembre 2006 (in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»).

    ( 14 ) V. sentenza della Cour constitutionnelle n. 43/2013, del 21 marzo 2013, punto B 13, pag. 16.

    ( 15 ) Lo status di protezione sussidiaria consente alla persona che ne beneficia di disporre di un titolo di soggiorno per un periodo di un anno, rinnovabile per cinque anni. Successivamente a tale periodo di cinque anni, l’interessato può essere ammesso al soggiorno a tempo indeterminato in base all’articolo 49/2, paragrafi 2 e 3, della legge del 15 dicembre 1980.

    ( 16 ) Moniteur belge del 31 dicembre 1996, pag. 32518, modificato il 13 gennaio 2003 (Moniteur belge del 17 gennaio 2003, pag. 1553).

    ( 17 ) Come ho rilevato ai paragrafi da 34 a 37 delle conclusioni nella causa M’Bodj (EU:C:2014:2113), vi è disaccordo tra le autorità nazionali sulla questione se un tale permesso di soggiorno costituisca una trasposizione dell’articolo 15, lettera b), della direttiva 2004/83.

    ( 18 ) V., a tal proposito, sentenza Diakité (C‑285/12, EU:C:2014:39).

    ( 19 ) Come rilevato dalla Corte nella sentenza B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661), risulta dall’articolo 2, lettera g), in fine, della direttiva 2004/83 che essa non osta a che una persona chieda di essere protetta nell’ambito di un «diverso tipo di protezione» che non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva stessa (punto 116).

    ( 20 ) In prosieguo: la «CEDU». Convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950.

    ( 21 ) La direttiva 2004/83, come la Convenzione sullo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, muove dal principio che gli Stati membri di accoglienza, in conformità al proprio diritto nazionale, possono accordare una protezione nazionale che include diritti che consentano alle persone escluse dallo status di rifugiati ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, di detta direttiva di risiedere sul territorio dello Stato membro interessato.

    ( 22 ) V. nota della presidenza del Consiglio dell’Unione europea al comitato strategico sull’immigrazione, le frontiere e l’asilo, del 25 settembre 2002 (12148/02, pag. 6).

    ( 23 ) In prosieguo: la «Corte EDU».

    ( 24 ) Corte EDU, 2 maggio 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-III. In tale causa, la Corte EDU ha dichiarato che l’esecuzione della decisione di espulsione di un individuo affetto da AIDS costituirebbe, in caso di ritorno nel suo paese di origine, una violazione dell’articolo 3 della CEDU qualora egli fosse esposto a un rischio effettivo di morire in circostanze particolarmente dolorose. Nella sua sentenza, la Corte EDU ha tenuto conto del fatto che l’interessato si trovava in uno stadio avanzato della malattia e che la brusca interruzione delle cure mediche fornite nello Stato di accoglienza, unitamente alla mancanza di una terapia adeguata nel suo paese di origine, nonché all’assenza di qualsiasi forma di supporto morale e di assistenza sociale, avrebbero accelerato la morte dell’interessato e l’avrebbero sottoposto a forti sofferenze fisiche e mentali (§ 42, da 51 a 54). La Corte EDU ha quindi dichiarato di riservarsi una flessibilità sufficiente a statuire sull’applicazione dell’articolo 3 della CEDU in situazioni in cui il rischio che nel paese di destinazione l’interessato subisca trattamenti vietati deriva da fattori che esulano dalla responsabilità, diretta o indiretta, delle autorità pubbliche di tale paese o che, se isolatamente considerati, di per sé non contrastano con le disposizioni dell’articolo in parola. In una siffatta ipotesi, tenuto conto di considerazioni umanitarie giudicate cogenti, gli Stati contraenti non possono dunque eseguire la propria decisione di espulsione, salvo rendersi responsabili ai sensi dell’articolo 3 della CEDU.

    ( 25 ) Il corsivo è mio.

    ( 26 ) C‑465/07, EU:C:2009:94.

    ( 27 ) Ibidem, punto 28.

    ( 28 ) McAdam, J., «The Qualification Directive: An Overview», The Qualification Directive: Central Themes, Problem Issues, and Implementation in Selected Member States, Wolf Legal Publishers, Nimega, 2007, pag. 19.

    ( 29 ) V., a tal proposito, sentenza Diakité (EU:C:2014:39, punto 24).

    ( 30 ) Ricordo che da una giurisprudenza costante risulta che spetta alla Corte, nell’ambito della procedura di cooperazione con i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. In tale prospettiva, la Corte può prendere in considerazione norme di diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nel formulare le sue questioni pregiudiziali, qualora tali norme siano necessarie ai fini dell’esame della controversia principale [v., in particolare, sentenza Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C‑157/10, EU:C:2011:813), punti da 18 a 20 e giurisprudenza ivi citata].

    ( 31 ) A norma di tale disposizione, una «decisione di rimpatrio» è una «decisione o [un] atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio».

    ( 32 ) C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 21.

    ( 33 ) C‑390/12, EU:C:2014:281, punto 34.

    ( 34 ) V. articolo 12, paragrafo 2, della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, COM(2005) 391 definitivo, del 1o settembre 2005 (in prosieguo: la «proposta di direttiva»), che era così formulato: «Il ricorso giurisdizionale ha effetto sospensivo ovvero conferisce al cittadino di paesi terzi il diritto di chiedere la sospensione dell’esecuzione della decisione di rimpatrio o del provvedimento di allontanamento, nel qual caso l’esecuzione è differita fino a che la decisione o il provvedimento non siano confermati o consentano ricorso con effetto sospensivo» (il corsivo è mio).

    ( 35 ) V. anche i considerando 2 e 11 della stessa direttiva.

    ( 36 ) V. i principi generali relativi all’effettività dei ricorsi e delle garanzie che devono fornire gli Stati contraenti in caso di espulsione di uno straniero in virtù del combinato disposto degli articoli 13 e 3 della CEDU, riassunti nelle sentenze della Corte EDU, M.S.S c. Belgio e Grecia [GC], n. 30696/09, §§ da 286 a 293, CEDU 2011, nonché Corte EDU, I.M. c. Francia, n. 9152/09, §§ da 127 a 135, 2 febbraio 2012, e Corte EDU, De Souza Ribeiro c. Francia [GC], n. 22689/07, §§ da 77 a 83, CEDU 2012.

    ( 37 ) V. Corte EDU, I.M. c. Francia, cit., §§ da 132 a 134 e giurisprudenza citata.

    ( 38 ) S.J. c. Belgio, n. 70055/10, 27 febbraio 2014. Tale sentenza è oggetto di un rinvio alla Grande Sezione.

    ( 39 ) § 95.

    ( 40 ) § 96 e 97.

    ( 41 ) § 103.

    ( 42 ) Idem.

    ( 43 ) § 104.

    ( 44 ) § 106.

    ( 45 ) Si rinvia al testo degli articoli da 39/82 a 39/85 della legge del 15 dicembre 1980, riportato nei paragrafi da 44 a 47 delle presenti conclusioni.

    ( 46 ) Nell’ambito dei lavori preparatori della direttiva, il Parlamento europeo aveva peraltro formulato una proposta in tal senso. V. l’emendamento 53 all’articolo 13, paragrafo 1, nella relazione del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva (A6-0339/2007).

    ( 47 ) Il corsivo è mio.

    ( 48 ) Il corsivo è mio.

    ( 49 ) Considerando 7 e 8 della direttiva 2003/9.

    ( 50 ) Il corsivo è mio. Osservo tuttavia che la Commissione non ha fatto espresso riferimento agli articoli 13 e 14 della direttiva 2003/9, i quali garantiscono ai richiedenti asilo condizioni materiali di accoglienza tali da assicurare loro una qualità di vita adeguata e il loro sostentamento. L’articolo 13, paragrafo 2, di tale direttiva obbliga, infatti, gli Stati membri a prevedere condizioni di accoglienza (aiuto materiale o finanziario) che «garantiscano una qualità di vita adeguata per la salute ed il sostentamento dei richiedenti asilo». Dal canto suo, l’articolo 14 prevede che, «[n]el caso in cui l’alloggio è fornito in natura, esso dovrebbe [essere in forma di] centri di accoglienza che garantiscano una qualità di vita adeguata» o di «case private, appartamenti, alberghi o altre strutture atte a garantire un alloggio per i richiedenti».

    ( 51 ) Relazione dell’8 febbraio 2011 sulla riduzione delle disuguaglianze sanitarie nell’Unione europea [2010/2089(INI)]; v., in particolare, il considerando AD e il punto 5.

    ( 52 ) V., per quanto riguarda l’articolo 2 della CEDU, le sentenze della Corte EDU, Kutepov e Anikeyenko c. Russia, n. 68029/01, § 62, 25 ottobre 2005, e Corte EDU, Huc c. Romania e Germania (dec.), n. 7269/05, § 59, 1o dicembre 2009, e, per quanto riguarda l’articolo 3 della CEDU, Corte EDU Larioshina c. Russia (dec.), n. 56869/00, 23 aprile 2002, e Corte EDU Budina c. Russia (dec.), n. 45603/05, 18 giugno 2009.

    ( 53 ) Considerando 4 della direttiva 2008/115. Il corsivo è mio.

    ( 54 ) Ai sensi di tale disposizione, «[o]gni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana».

    ( 55 ) Mi riferisco, a tal riguardo, alla sentenza Saciri e a. (C‑79/13, EU:C:2014:103), in cui la Corte si è pronunciata sulle condizioni materiali di accoglienza dei richiedenti asilo e, in particolare, al punto 40.

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