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Document 62013CC0409

    Conclusioni dell’avvocato generale N. Jääskinen, presentate il 18 dicembre 2014.
    Consiglio dell'Unione europea contro Commissione europea.
    Ricorso di annullamento – Assistenza macrofinanziaria a paesi terzi – Decisione della Commissione di ritirare una proposta di regolamento quadro – Articoli 13, paragrafo 2, TUE e 17 TUE – Articolo 293 TFUE – Principio di attribuzione delle competenze – Principio dell’equilibrio istituzionale – Principio di leale cooperazione – Articolo 296 TFUE – Obbligo di motivazione.
    Causa C-409/13.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2014:2470

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    NIILO JÄÄSKINEN

    presentate il 18 dicembre 2014 ( 1 )

    Causa C‑409/13

    Consiglio dell’Unione europea

    contro

    Commissione europea

    «Ricorso di annullamento — Diritto delle istituzioni — Articolo 293 TFUE — Articolo 294 TFUE — Principio di ripartizione delle competenze tra le istituzioni dell’Unione — Principio dell’equilibrio istituzionale — Principio di leale cooperazione — Procedura legislativa ordinaria — Diritto di iniziativa della Commissione — Potere di ritiro di una proposta di atto legislativo — Portata del sindacato giurisdizionale sull’atto di ritiro — Motivazione di tale ritiro»

    I – Introduzione

    1.

    Il presente contenzioso, avente carattere costituzionale, oppone il Consiglio dell’Unione europea alla Commissione europea in merito all’esistenza del potere eventualmente attribuito alla Commissione di ritirare una proposta legislativa, e, se del caso, in merito alla portata e ai limiti dello stesso. Vorrei in primis sottolineare che, nonostante la scelta delle parti nel presente procedimento di utilizzare l’espressione «diritto di ritiro» per descrivere la contestata competenza della Commissione, nelle presenti conclusioni intendo impiegare l’espressione «potere di ritiro» ( 2 ) poiché l’esercizio del citato potere incide sulla posizione giuridica del colegislatore solo nel senso che esso osta al proseguimento della procedura legislativa da parte di quest’ultimo.

    2.

    Il ricorso del Consiglio ha ad oggetto la decisione di ritiro della Commissione dell’8 maggio 2013 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), relativa alla proposta di regolamento quadro del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le disposizioni generali relative all’assistenza macrofinanziaria ai paesi terzi (in prosieguo: la «proposta di regolamento quadro») ( 3 ), che è intervenuta nel corso della prima lettura della procedura legislativa ordinaria ai sensi dell’articolo 294 TFUE e prima che il Consiglio avesse formalmente adottato la sua posizione in merito a tale proposta.

    3.

    Il presente ricorso si fonda su tre motivi basati rispettivamente su una violazione del principio di attribuzione delle competenze, enunciato all’articolo 13, paragrafo 2, TUE, nonché del principio dell’equilibrio istituzionale; su una violazione del principio di leale cooperazione di cui all’articolo 13, paragrafo 2, TUE, nonché su una violazione dell’obbligo di motivazione sancito dall’articolo 296, secondo comma, TFUE.

    4.

    Trattandosi della prima causa in cui la Corte è chiamata a valutare la validità di un atto di ritiro di una proposta legislativa da parte della Commissione, la presente causa richiede di assumere una posizione di principio in ordine a tale potere e alle sue modalità di esercizio, nonché in ordine alla portata del sindacato giurisdizionale da esercitarsi su un atto di ritiro. Rilevo a tal proposito, anzitutto, che il potere di ritiro della Commissione costituisce un soggetto inedito. Così, non solo esso è assai poco trattato nella giurisprudenza e in dottrina, ma oltretutto, ove vi compaia, esso è trascurato, a causa di una mescolanza con il diritto di iniziativa della Commissione nonché con il principio dell’equilibrio istituzionale.

    5.

    Per questi motivi, le presenti conclusioni si sforzeranno di distillare l’essenza del potere di ritiro in quanto tale, proponendo nel contempo, nello spirito del principio di semplicità, altresì noto con il nome di «rasoio di Occam» ( 4 ), una soluzione basata su una distinzione tra l’aspetto formale del potere di ritiro, per un verso, e l’analisi della fondatezza dell’atto di ritiro adottato dalla Commissione nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, per altro verso. È sulla base di questa distinzione che intendo stabilire i limiti del sindacato giurisdizionale in ordine a detto potere di ritiro.

    II – Antefatti e decisione impugnata

    6.

    L’assistenza macrofinanziaria è un sostegno finanziario di natura macroeconomica attribuito a paesi terzi che affrontano difficoltà a breve termine relative alla bilancia dei pagamenti. Inizialmente essa veniva concessa, caso per caso, mediante decisioni del Consiglio adottate in base all’articolo 352 TFUE ( 5 ). A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’articolo 212 TFUE costituisce un fondamento giuridico specifico per le decisioni di concessione di un aiuto macrofinanziario, che devono essere adottate dal Parlamento europeo e dal Consiglio in conformità alla procedura legislativa ordinaria, fatta salva la procedura d’urgenza prevista dall’articolo 213 TFUE, nel cui ambito il Consiglio può statuire autonomamente.

    7.

    Alla luce degli elementi versati agli atti, la proposta di regolamento quadro è stata presentata dalla Commissione il 4 luglio 2011, in base agli articoli 209 TFUE e 212 TFUE. L’articolo 7 di tale proposta si riferiva al procedimento di concessione di una assistenza macrofinanziaria. Ai sensi del paragrafo 1 di tale articolo, il paese che intendesse beneficiare dell’assistenza macrofinanziaria doveva presentare domanda scritta alla Commissione. L’articolo 7, paragrafo 2, letto in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 2, della proposta di regolamento quadro disponeva che, se risultavano soddisfatte le condizioni di cui agli articoli 1, 2, 4 e 6, la Commissione concedeva l’assistenza richiesta secondo la procedura cosiddetta «d’esame» istituita dall’articolo 5 del regolamento comitatologia (UE) n. 182/2011 ( 6 ).

    8.

    Dopo varie riunioni del gruppo di lavoro dei consulenti finanziari, la proposta di regolamento quadro è stata oggetto di un orientamento generale del Consiglio, approvata dal Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) il 15 dicembre 2011. In tale orientamento generale il Consiglio ha segnatamente proposto, per quanto riguarda l’articolo 7, paragrafo 2, della proposta stessa, di sostituire l’attribuzione di una competenza di esecuzione alla Commissione con l’applicazione della procedura legislativa ordinaria.

    9.

    In occasione della sua seduta plenaria del 24 maggio 2012 il Parlamento ha adottato, con voto parziale in prima lettura, la relazione contenente 53 proposte di emendamenti sulla proposta di regolamento quadro. Tale relazione proponeva, segnatamente, di ricorrere ad atti delegati, anziché ad atti di esecuzione, ai fini della concessione di un’assistenza macrofinanziaria ( 7 ).

    10.

    Tre incontri trilaterali informali sono intercorsi tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, il 5 e il 28 giugno 2012 nonché il 19 settembre 2012. Ne è emerso che, nonostante le divergenze tra essi sussistenti in ordine alla procedura da seguire ai fini della concessione di un’assistenza macrofinanziaria, né il Parlamento né il Consiglio erano favorevoli alla proposta della Commissione di ricorrere ad atti di esecuzione.

    11.

    Il 10 gennaio 2013 la Commissione ha presentato, in vista del quarto incontro trilaterale, un «non‑paper», recante il titolo «Landing zone on implementing acts, delegated acts and co‑decision in the MFA Framework Regulation» (in prosieguo: il «“non‑paper” della Commissione»), che proponeva una soluzione di compromesso per quanto riguarda la procedura di concessione di un’assistenza macrofinanziaria. Essa consisteva in una «combinazione di i) condizioni dettagliate per l’assistenza macrofinanziaria, ii) meccanismi di consultazione informale a monte [del processo decisionale proposto], iii) l’inclusione di un massimo di quattro atti delegati, iv) l’impiego selettivo della comitatologia e v) diversi meccanismi di valutazione e di relazione».

    12.

    A seguito del quarto incontro trilaterale in data 30 gennaio 2013 il Parlamento e il Consiglio hanno considerato un’altra soluzione di compromesso consistente nell’applicare la procedura legislativa ordinaria per l’adozione di una decisione di concessione di un’assistenza macrofinanziaria, nel ricorrere ad un atto di esecuzione per l’adozione dell’accordo con il paese beneficiario e nel delegare alla Commissione il potere di adottare taluni atti connessi all’assistenza in tal modo concessa ( 8 ).

    13.

    In occasione del quinto incontro trilaterale tenutosi il 27 febbraio 2013, i rappresentanti del Parlamento e del Consiglio hanno confermato la loro volontà di preservare il ricorso alla procedura legislativa ordinaria ai fini della concessione di un’assistenza macrofinanziaria. Secondo il ricorso, il rappresentante della Commissione avrebbe in questa fase dichiarato che essa si chiedeva se un siffatto orientamento non andasse a falsare la sua proposta e che essa avrebbe eventualmente potuto ritirare la proposta stessa, a causa della distorsione arrecata al suo diritto di iniziativa legislativa.

    14.

    L’orientamento basato su una sostituzione della procedura dell’atto di esecuzione con la procedura legislativa ordinaria è stato oggetto di un accordo di principio tra il Parlamento e il Consiglio, formalizzato in occasione del sesto incontro trilaterale del 25 aprile 2013. In tale occasione il rappresentante della Commissione ha ufficialmente espresso il suo dissenso rispetto a tale orientamento. In una lettera del 6 maggio 2013 indirizzata al sig. Rehn, vice presidente della Commissione, il presidente del Coreper ha deplorato l’annuncio effettuato dal rappresentante della Commissione in occasione del sesto incontro trilaterale. Egli ha chiesto a quest’ultima di riconsiderare la propria posizione, tenuto conto, segnatamente, della prospettiva di un imminente accordo tra il Parlamento e il Consiglio.

    15.

    Con lettera datata 8 maggio 2013, indirizzata ai rispettivi presidenti del Parlamento e del Consiglio, la quale costituisce la decisione impugnata, il sig. Rehn ha reso noto che in occasione della sua 2045a riunione il collegio dei commissari aveva deciso di ritirare la proposta di regolamento quadro in conformità all’articolo 293, paragrafo 2, TFUE. Il verbale di tale riunione riferisce a tal proposito che«[l]a Commissione approva la linea di condotta indicata nella nota SI(2013)231» ( 9 ). Dalla nota citata emerge che i servizi della Commissione hanno ritenuto che il ricorso alla procedura legislativa ordinaria rappresentasse una distorsione della proposta di regolamento quadro, in quanto la procedura sarebbe divenuta gravosa e imprevedibile e, soprattutto, in quanto le decisioni di concessione dell’assistenza, sotto forma di regolamenti specifici, avrebbero assunto lo stesso rango normativo del regolamento quadro. La nota riferiva peraltro dell’esistenza di preoccupazioni di carattere costituzionale attinenti ad una limitazione del diritto di iniziativa della Commissione.

    16.

    Il Parlamento e il Consiglio hanno formalizzato il loro accordo in una dichiarazione congiunta, adottata il 9 luglio 2013.

    III – Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

    17.

    Con ricorso proposto il 18 luglio 2013 il Consiglio chiede alla Corte di annullare la decisione impugnata e di condannare la Commissione alle spese.

    18.

    Nel suo controricorso la Commissione chiede alla Corte di respingere il ricorso in quanto infondato e di condannare il Consiglio alle spese.

    19.

    La Repubblica ceca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica slovacca, la Repubblica di Finlandia, il Regno di Svezia nonché il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono stati autorizzati ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

    20.

    All’udienza, tenutasi il 23 settembre 2014, sono stati sentiti la Repubblica ceca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Regno Unito, il Consiglio e la Commissione.

    IV – Sulla ricevibilità

    21.

    Occorre anzitutto stabilire se la decisione impugnata sia un atto suscettibile di ricorso ai sensi dell’articolo 263 TFUE. Ritengo che tale questione debba essere esaminata d’ufficio dalla Corte per stabilire la propria competenza a pronunciarsi sul ricorso.

    22.

    Secondo una costante giurisprudenza, rappresenta un atto impugnabile ai sensi dell’articolo 263 TFUE qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni, indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma, che miri a produrre effetti giuridici obbligatori ( 10 ). Per stabilire se un atto produca simili effetti, occorre tener conto della sua sostanza nonché dell’intenzione del suo autore ( 11 ). Pertanto, la forma rivestita da un atto o da una decisione è in linea di principio indifferente sotto il profilo della ricevibilità di un ricorso d’annullamento proposto avverso tale atto o tale decisione ( 12 ).

    23.

    Nella fattispecie, si tratta di un atto atipico ( 13 ), vale a dire una lettera del vicepresidente della Commissione indirizzata ai rispettivi presidenti del Parlamento e del Consiglio, con cui la Commissione li informa della decisione del suo collegio di ritirare la proposta di regolamento quadro in conformità all’articolo 293, paragrafo 2, TFUE.

    24.

    Ne consegue che, mediante l’atto impugnato, la Commissione ha posto fine alla procedura legislativa, privando così il Parlamento e il Consiglio di qualsiasi mezzo d’azione. Infatti, come osservato dal Consiglio, l’atto impugnato ha inciso sulla sua posizione giuridica impedendogli di adottare la proposta di cui era stato in precedenza investito.

    25.

    Nella fattispecie deve quindi concludersi che la decisione impugnata ha prodotto effetti giuridici nei rapporti tra le istituzioni. Di conseguenza, la decisione impugnata mira effettivamente a produrre effetti giuridici obbligatori. Ne consegue che il ricorso di annullamento di tale decisione è ricevibile.

    V – Sulla violazione del principio di attribuzione delle competenze e del principio di equilibrio istituzionale

    A – Argomenti delle parti

    26.

    Nell’ambito del suo primo motivo il Consiglio, sostenuto dagli Stati membri intervenienti, pur sottolineando il nesso esistente tra il principio di attribuzione delle competenze e quello dell’equilibrio istituzionale ( 14 ), rileva come i Trattati non contengano alcun riferimento esplicito ad una prerogativa generale della Commissione che la autorizzi a ritirare le proposte da essa sottoposte al legislatore.

    27.

    Il Consiglio contesta l’esistenza di un «diritto» di ritiro di natura simmetrica al diritto di iniziativa sancito dall’articolo 17, paragrafo 2, TUE, quasi assoluto in quanto discrezionale. Il diritto di ritiro della Commissione dovrebbe essere, al contrario, limitato a situazioni obiettive tra cui rientrerebbero l’esaurimento del tempo ovvero l’emersione di nuove circostanze o di dati tecnici o scientifici tali da rendere la proposta legislativa obsoleta o priva di oggetto, una durevole assenza di significativi progressi della procedura legislativa, che lasci presagire un fallimento, o ancora l’esistenza di una strategia comune condivisa con il legislatore in uno spirito di leale cooperazione e di rispetto dell’equilibrio istituzionale ( 15 ). Il ruolo della Commissione nell’ambito della procedura legislativa ordinaria risulterebbe così limitato a quello di «honest broker» ( 16 ).

    28.

    La prerogativa generale di ritiro non potrebbe pertanto essere riconosciuta alla Commissione sulla base dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, a meno di non voler disconoscere tanto il tenore letterale, quanto la finalità di tale disposizione, che mirerebbe a facilitare il processo legislativo. Il riconoscimento alla Commissione di una prerogativa generale di ritiro equivarrebbe inoltre a privare di ogni efficacia pratica il diritto del Consiglio, sancito dall’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, di emendare la proposta della Commissione nei limiti del suo oggetto e del suo scopo ( 17 ).

    29.

    Oltretutto, il Consiglio sostiene che il potere discrezionale di ritiro in ogni circostanza in cui la Commissione si trovi in disaccordo con gli emendamenti concordati tra i colegislatori, o in cui essa non sia soddisfatta del risultato finale di un negoziato, equivarrebbe ad attribuirle uno strumento di pressione ingiustificato sullo sviluppo dei lavori legislativi nonché un diritto di veto sull’azione legislativa in funzione di considerazioni di opportunità politica, il che porrebbe la Commissione allo stesso livello dei colegislatori e condurrebbe in tal modo ad uno sviamento della procedura legislativa ordinaria, ad uno sconfinamento ai danni del potere legislativo riservato al Parlamento e al Consiglio dagli articoli 14, paragrafo 1, TUE, e 16, paragrafo 1, TUE, nonché a consentire alla Commissione di travalicare la propria competenza di iniziativa. Riconoscere alla Commissione un potere discrezionale di ritiro sarebbe inoltre contrario alla separazione dei poteri ed al principio di democrazia ai sensi dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2, TUE ( 18 ).

    30.

    Nelle sue osservazioni ( 19 ), la Repubblica federale di Germania aggiunge che, alla luce della rivalutazione del ruolo del Parlamento nell’ambito della procedura legislativa, nonché dell’importanza attribuita dalle istituzioni dell’Unione europea alla procedura di negoziazione informale in seno agli incontri trilaterali, la Commissione non può più, a meno di non voler eludere il principio di leale cooperazione, ritirare la sua proposta legislativa a partire dal momento in cui interviene un compromesso tra i colegislatori auspicante l’adozione dell’atto legislativo di cui trattasi.

    31.

    Nel suo controricorso la Commissione afferma che il ritiro di una proposta legislativa rappresenta, al pari della presentazione o della modifica di una siffatta proposta, una delle espressioni del suo diritto di iniziativa nell’interesse generale dell’Unione, sancito dall’articolo 17, paragrafo 1, prima frase, TUE. Di conseguenza, come spetterebbe alla sola Commissione decidere di presentare o di non presentare una proposta legislativa e di modificare o meno la sua proposta iniziale o una proposta già modificata, così spetterebbe alla sola Commissione, fintanto che la sua proposta non sia stata adottata, decidere di mantenere la stessa o di ritirarla ( 20 ). L’articolo 7 del protocollo sulla sussidiarietà dimostrerebbe che gli autori del Trattato FUE hanno concepito il diritto di ritiro della Commissione come un diritto generale.

    32.

    La prassi consolidata della Commissione garantirebbe il rispetto delle competenze delle altre istituzioni dell’Unione e del principio di leale cooperazione. Al di fuori dei casi dei ritiri periodici raggruppati, la Commissione procederebbe a specifici ritiri qualora constati una mancanza di sostegno politico alla sua iniziativa ( 21 ).

    33.

    Per quanto riguarda il caso di specie, la Commissione contesta in primo luogo il fatto di aver sconfinato a danno dei poteri del legislatore dell’Unione ( 22 ). Adottando la decisione impugnata essa avrebbe assunto le responsabilità che le incombono nell’ambito della procedura legislativa e che implicano, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE, che essa adotti le iniziative appropriate per promuovere l’interesse generale dell’Unione, nel corso dell’intera procedura. La Commissione nega che la decisione impugnata contravvenga all’articolo 293, paragrafo 1, TFUE e sottolinea come quest’ultima rappresenti una norma procedurale e non l’espressione di un qualsivoglia principio generale secondo cui il Consiglio avrebbe il diritto di adottare un atto in ogni circostanza nonostante l’obbligo sancito dall’articolo 13, paragrafo 2, TFUE. Neppure il citato articolo 293, paragrafo 1, TFUE vieterebbe alla Commissione di ritirare una proposta legislativa.

    34.

    Per quanto concerne la disposizione dell’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, essa illustrerebbe il fatto che il ruolo della Commissione nella procedura legislativa perdura per l’intero corso della stessa e consiste non solo nel favorire i contatti tra i colegislatori per ravvicinare le loro rispettive posizioni, ma altresì nell’assumere, nell’ambito degli incontri trilaterali, le proprie responsabilità difendendo la propria posizione, se necessario ritirando la sua iniziale proposta in circostanze quali quelle della fattispecie.

    35.

    Infine, la Commissione contesta il fatto che la decisione impugnata incida sul principio di democrazia, sottolineando che, al pari delle altre istituzioni dell’Unione, essa presenta la propria legittimità democratica, segnatamente ai sensi dell’articolo 17, paragrafi 7 e 8, TUE, e politica dinanzi al Parlamento.

    B – Analisi (esistenza, portata ed esercizio del potere di ritiro di una proposta legislativa nell’ambito della procedura legislativa ordinaria ai sensi dell’articolo 294 TFUE)

    1. Introduzione

    36.

    Se è vero che le parti del presente procedimento sembrano concordare sul postulato secondo cui il diritto dell’Unione consentirebbe alla Commissione di ritirare una proposta legislativa, esse sono discordi quanto al fondamento costituzionale e alla portata di una siffatta competenza. Intendo pertanto, in una prima fase, individuare il fondamento giuridico e la sostanza del potere di ritiro della Commissione, prima di affrontare, in una seconda fase, la natura giuridica precisa della decisione di ritiro, sotto il profilo della portata del sindacato giurisdizionale da esercitarsi in ordine a un simile atto ( 23 ).

    2. Fondamento costituzionale del potere di ritiro

    37.

    Pur eccependo una violazione del principio di attribuzione delle competenze, il Consiglio espone chiaramente, nel suo primo motivo, i timori legati al riconoscimento alla Commissione di un potere in forza del quale quest’ultima bloccherebbe l’attività legislativa dell’Unione ed assurgerebbe a colegislatore, titolare di un veto legislativo, privando in tal modo delle loro prerogative il Parlamento e il Consiglio. Nel contempo il Consiglio ammette che la possibilità di ritirare una proposta legislativa è sempre stata riconosciuta, nella prassi, alla Commissione, quale corollario del diritto di iniziativa, il che non consentirebbe tuttavia di dedurne l’esistenza di un «diritto» di ritiro.

    38.

    Ritengo tuttavia, per un verso, che tali timori non siano giustificati, dal momento che il riconoscimento di un potere di ritiro della proposta legislativa temporalmente limitato, conformemente all’articolo 294 TFUE, contribuisce, di per sé, a preservare l’equilibrio istituzionale ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, implicando che ogni istituzione eserciti le proprie competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni ( 24 ). Inoltre, l’orientamento teso, per un verso, ad ammettere l’esistenza di una facoltà specifica, in capo alla Commissione, di procedere a ritiri «limitati a situazioni di natura oggettiva, indipendenti dagli interessi particolari della Commissione», e, per altro verso, a negare l’esistenza di un siffatto potere in capo alla Commissione, mi sembra viziato da una intrinseca contraddizione.

    39.

    Per altro verso, tuttavia, non condivido neppure la posizione che sembra difesa dalla Commissione, ove sostiene che una decisione di ritiro sarebbe sottoposta alle medesime norme che vigono per la presentazione della proposta legislativa. Ritengo infatti che le disposizioni dei Trattati non sottendano un orientamento basato su una perfetta simmetria tra diritto di iniziativa legislativa e potere di ritiro. Al contrario, il potere di ritiro rappresenta una competenza certamente importante, ma dotata di caratteristiche proprie e di limiti specifici.

    40.

    È pacifico che i Trattati non prevedono espressamente né l’esistenza di un potere di ritiro di una proposta legislativa della Commissione né, a maggior ragione, le sue modalità di esercizio. Tuttavia, secondo una consolidata tradizione, la Commissione procede a ritiri singoli o raggruppati a titolo di «pulizia amministrativa» ( 25 ). Nella giurisprudenza della Corte la possibilità di un ritiro compare solo a titolo incidentale. Ne risulta che «la Commissione può ritirare o modificare la sua proposta (…) qualora in seguito ad una nuova valutazione degli interessi della Comunità ritenga superflua l’adozione d[ei] provvedimenti [in questione]» ( 26 ). L’eventualità di un ritiro è altresì ammessa ai sensi del protocollo sulla sussidiarietà, il quale prevede un ritiro del progetto legislativo in ragione dei dubbi manifestati dai Parlamenti nazionali quanto al rispetto del principio di sussidiarietà.

    41.

    Vorrei a tal proposito rilevare, anzitutto, che la legittimità dell’Unione si fonda sul rilievo secondo cui i Trattati istitutivi sono qualificati alla stregua di carta costituzionale generatrice di un ordinamento giuridico i cui soggetti sono i cittadini dell’Unione ( 27 ). Tale legittimità implica che le norme relative alla formazione della volontà delle istituzioni, stabilite dai Trattati, «non sono derogabili né dagli Stati membri né dalle stesse istituzioni» ( 28 ). In particolare, i limiti alla competenza attribuita alla Commissione da una norma specifica del Trattato non possono ricavarsi da un principio generale, ma dall’interpretazione del contenuto proprio della norma di cui trattasi ( 29 ).

    42.

    Così, conformemente agli articoli 14, paragrafo 1, TUE, e 16, paragrafo 1, TUE letti in combinato disposto con l’articolo 289, paragrafo 1, TFUE, la funzione di «legiferare» è attribuita al Parlamento e al Consiglio. Essi la esercitano congiuntamente. Per contro, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, TUE, un atto legislativo può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i Trattati non dispongano diversamente. La Commissione, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine.

    43.

    L’idea di attribuire alla Commissione il compito di individuare l’interesse generale di tutti gli Stati membri e di proporre le soluzioni idonee a soddisfarlo ha portato, nel sistema comunitario, ad attribuire alla Commissione un quasi‑monopolio dell’iniziativa legislativa ( 30 ). Benché talvolta si parli dell’erosione politica di tale potere della Commissione, è essenziale sottolineare che le riforme successive del quadro istituzionale non hanno modificato il contenuto del diritto d’iniziativa della Commissione ( 31 ).

    44.

    In tale contesto, pur riconoscendo l’impatto dell’evoluzione del diritto dell’Unione sulla nozione di «metodo comunitario» ( 32 ), esso permane nondimeno applicabile e corrisponde ad un sistema originale di ripartizione dei poteri ( 33 ), che conduce a processi decisionali che si pongono all’origine della distinzione tra l’Unione e qualsiasi altra entità statale o organizzazione internazionale intergovernativa. Il citato metodo rappresenta quindi una caratteristica sui generis del meccanismo legislativo sovranazionale istituito dai Trattati.

    45.

    Sarebbe quindi erroneo, a mio parere, procedere ad una semplice assimilazione dell’ufficio svolto dalla Commissione in tale ambito ad un’attribuzione della funzione esecutiva nel senso stretto del termine ( 34 ). La Commissione non è infatti chiamata ad esprimersi solo in veste di futuro organo attuativo delle disposizioni legislative che saranno adottate dal Parlamento e dal Consiglio, bensì, in veste di depositaria dell’interesse generale dell’Unione, quale istituzione effettivamente in grado di farlo presente ( 35 ).

    46.

    La responsabilità di promuovere l’interesse dell’Unione, gravante sulla Commissione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE rappresenta, a mio modo di vedere, il principale fondamento per riconoscere in capo ad essa un potere di ritiro di una proposta legislativa.

    47.

    Certamente, il Trattato UE non innalza la Commissione al livello di colegislatore. Tuttavia, la sua partecipazione al procedimento legislativo deriva dal suo potere d’iniziativa ai sensi dell’articolo 17 TUE e dalla disposizione di cui all’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, in forza della quale il Consiglio può emendare una proposta della Commissione solo deliberando all’unanimità, nonché dall’articolo 293, paragrafo 2, TFUE che la autorizza a modificare la propria proposta legislativa fintantoché il Consiglio non abbia deliberato. Di conseguenza, il potere di ritiro deriva dal ruolo assegnato alla Commissione nell’ambito del procedimento legislativo e si basa pertanto congiuntamente sugli articoli 17, paragrafi 1 e 2, TUE e 293, paragrafi 1 e 2, TFUE.

    48.

    Inoltre, alla luce della giurisprudenza sull’equilibrio istituzionale, poiché i Trattati attribuiscono alla Commissione una prerogativa costituzionale che le conferisce il potere di valutare in piena indipendenza l’opportunità di una proposta legislativa o della modifica di una proposta siffatta, nessun’altra istituzione può costringere la Commissione ad adottare un’iniziativa qualora quest’ultima non vi individui l’esistenza di un interesse dell’Unione ( 36 ). L’esercizio del potere di ritiro può quindi essere analizzato quale manifestazione ultima del monopolio di iniziativa legislativa della Commissione, considerato come espressione del suo ruolo di custode dell’interesse dell’Unione.

    49.

    Per tale ragione ritengo che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, il riconoscimento, se non addirittura la conferma, in favore della Commissione, di un potere di ritiro non sia tale da arrecare pregiudizio al principio di attribuzione delle competenze ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, TFUE. Esso risulta esserne, piuttosto, un’espressione particolare, facendo salve le modalità di esercizio del potere citato le quali, a loro volta, possono eventualmente ledere l’equilibrio costituzionale, il che dovrà essere esaminato nel prosieguo.

    50.

    Va riconosciuta in proposito la valenza dell’articolo 293 TFUE ( 37 ) che rappresenta lo strumento destinato a garantire l’equilibrio tra i poteri del Consiglio e quelli della Commissione ( 38 ). Infatti tale disposizione, il cui tenore letterale ha conosciuto solo una lieve evoluzione a partire dalla sottoscrizione del Trattato CEE, contiene due disposizioni strettamente connesse, vale a dire una che esclude che il Consiglio adotti un testo senza il consenso della Commissione e l’altra che consente agevolmente alla Commissione di modificare in qualsiasi momento la sua stessa proposta, in modo tale che il Consiglio non sia costretto a votare all’unanimità ( 39 ). Tuttavia, le modifiche successive del Trattato hanno limitato l’uso del paragrafo 1 di tale articolo, in particolare a partire dalla generalizzazione della codecisione e successivamente della procedura legislativa ordinaria ai sensi del Trattato di Lisbona. Infatti, l’articolo 293, paragrafo 1, TFUE non si applica né nell’ipotesi di un comitato di conciliazione, né in quella di una terza lettura ai sensi dell’articolo 294 TFUE, né nell’ambito della procedura di bilancio, casi questi disciplinati da specifiche disposizioni.

    51.

    Va infine esaminato l’argomento relativo al principio di democrazia, sollevato dal governo tedesco sotto il profilo del rafforzamento del ruolo del Parlamento in veste di colegislatore. Detto governo propone infatti di interpretare l’articolo 293, paragrafo 2, TFUE come riguardante, segnatamente, lo svolgimento dei negoziati tra il Parlamento e il Consiglio. Una simile interpretazione sembra muovere dal postulato secondo cui, una volta intervenuto un accordo politico tra i legislatori, la Commissione si troverebbe nell’impossibilità di esercitare le sue prerogative riguardo alla proposta legislativa, il che confermerebbe il suo ruolo di mediazione al servizio del legislatore («honest broker»).

    52.

    Pur ammettendo che la partecipazione del Parlamento alla procedura legislativa sia il riflesso di un principio democratico fondamentale secondo cui i popoli partecipano all’esercizio del potere mediante un’assemblea rappresentativa ( 40 ), ritengo che accogliere sin da subito un principio di preferenza teso a massimizzare la partecipazione del Parlamento al processo decisionale equivale a compromettere l’equilibrio istituzionale stabilito dal Trattato ( 41 ). Oltretutto, un simile dibattito va ricondotto al suo contesto costituzionale corretto, vale a dire quello del contenzioso relativo al fondamento giuridico di un atto da adottarsi. Orbene, la presente causa solleva la diversa questione del fondamento costituzionale del potere di ritiro legislativo. In ogni caso, la giurisprudenza della Corte non avvalora l’orientamento difeso da tale governo ( 42 ).

    53.

    Inoltre, dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il Parlamento è divenuto, in veste di colegislatore, pari al Consiglio nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, il che rappresenta a mio modo di vedere un segno fondamentale della valorizzazione del Parlamento nell’attuale fase di sviluppo del diritto dell’Unione. In particolare, l’importanza della relazione tra il Parlamento e il Consiglio e la corrispondente riduzione del ruolo della Commissione emerge agevolmente dal confronto tra la prima lettura e le successive della procedura legislativa ai sensi dell’articolo 294 TFUE ( 43 ). Così, la seconda lettura non ha più ad oggetto la proposta della Commissione, bensì verte sugli emendamenti alla posizione del Consiglio, rispetto ai quali la Commissione può esprimere il suo consenso ovvero formulare un parere negativo ( 44 ). La procedura prosegue allora con una terza lettura basata e sul progetto adottato dal Parlamento e dal Consiglio ( 45 ).

    54.

    È vero che, a partire dalla prima lettura, si riconosce l’importanza dei negoziati tra il Parlamento e il Consiglio. Così, il Consiglio trae profitto dall’adozione dell’«orientamento generale», che è di fatto considerato come l’elemento di base delle negoziazioni ( 46 ). Per contro, nulla nel tenore letterale degli articoli 293 TFUE e 294 TFUE consente di avvalorare la tesi di una preponderanza assoluta dell’intesa politica, formale o informale, tra il Parlamento e il Consiglio a danno dell’esercizio del diritto di iniziativa della Commissione nella fase della prima lettura. Al contrario, l’esercizio di tale competenza rappresenta un’espressione dell’equilibrio istituzionale. A tal proposito, lo stesso governo tedesco ammette che in taluni casi la Commissione può ritirare la sua proposta in base a un diritto di carattere complementare, non scritto.

    55.

    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, risulta che l’attribuzione alla Commissione di un potere di ritiro deve essere temperata nel senso che un potere siffatto può esercitarsi solamente, tenuto conto dei suoi effetti, nell’osservanza dei limiti delineati dai Trattati e dai principi generali del diritto. Condivido quindi pienamente la posizione del Consiglio quando sottolinea che il potere di ritiro non può essere esercitato in modo abusivo ( 47 ). Vanno quindi tracciati i limiti del potere di ritiro.

    3. Sull’essenza del potere di ritiro della Commissione

    56.

    Anzitutto, mi sembra incontestabile che il riconoscimento del potere di ritiro e soprattutto il suo esercizio da parte della Commissione incidono sulla posizione normativa delle altre istituzioni partecipanti alla procedura legislativa. Essendo infatti ancorato alla responsabilità attribuita alla Commissione, in base al Trattato UE, di promuovere l’interesse dell’Unione, il suo esercizio osta al proseguimento della procedura legislativa da parte dei colegislatori. Poiché incide sulla loro posizione giuridica in termini definitivi, il potere di ritiro non può essere illimitato.

    57.

    In primo luogo, il potere di ritiro rappresenta anzitutto una prerogativa riconosciuta alla Commissione in modo limitato nel tempo. Nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, alla Commissione sono state attribuite importanti funzioni di custode dell’interesse generale nelle diverse fasi della procedura, il che la porta a svolgere arbitrati politici tra le istituzioni, pur mantenendo la propria autonomia. Il ruolo della Commissione evolve, in maniera rilevante, nel corso della procedura legislativa. Lo stesso deve accadere quindi per il potere di ritiro della proposta legislativa, che non deve essere confuso con un diritto di veto legislativo, il quale costituisce una prerogativa dell’esecutivo, generalmente attribuita al capo di Stato per impedire, con modalità sospensiva o definitiva, l’entrata in vigore di un atto legislativo adottato dall’istituzione investita del potere legislativo.

    58.

    È per questo motivo che l’articolo 293, paragrafo 2, TFUE, in forza del quale la Commissione mantiene il potere di modificare il progetto, deve essere considerato come implicante un limite temporale altresì ai fini dell’esercizio del potere di ritiro.

    59.

    Infatti, dal raffronto tra le varie letture previste dall’articolo 294 TFUE emerge che, nella fase della prima lettura, la Commissione esercita il suo potere di iniziativa fatta salva l’osservanza dei principi generali, mentre, nelle fasi della seconda e della terza lettura, le sue prerogative costituzionali risultano sempre più limitate.

    60.

    Dopo aver adottato «la sua posizione in prima lettura» ai sensi dell’articolo 294, paragrafo 5, TFUE, il Consiglio ha «deliberato» ai sensi dell’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, di modo che il ruolo della Commissione si limita a quel punto, in applicazione del combinato disposto dell’articolo 294, paragrafo 7, lettera c), e dell’articolo 294, paragrafo 9, TFUE, a formulare un parere sugli emendamenti proposti dal Parlamento in seconda lettura sulla posizione del Consiglio in prima lettura. Così, la ripartizione del potere legislativo tra il Parlamento e il Consiglio, che trae origine dalla precedente procedura di cooperazione, non consente alla Commissione di arrivare a modificare ovvero, a fortiori, a ritirare la sua proposta dopo che il Consiglio ha formalmente adottato la propria posizione. La Commissione resta tuttavia pienamente associata alla procedura sino alla fine della stessa. Infatti, prima di potersi pronunciare sulla posizione del Parlamento, il Consiglio deve essere investito del parere della Commissione in ordine a tali emendamenti ( 48 ).

    61.

    Di conseguenza, poiché il potere di ritiro rappresenta una delle manifestazioni delle responsabilità attribuite alla Commissione in forza dei Trattati, e segnatamente del suo potere di iniziativa legislativa, l’articolo 294, paragrafo 5, TFUE deve essere interpretato nel senso che esso stabilisce il limite temporale oltre il quale la Commissione non ha più diritto a ritirare la proposta di un atto legislativo ( 49 ).

    62.

    La peculiare ipotesi del ritiro di cui al protocollo sulla sussidiarietà depone anch’essa in favore di una siffatta interpretazione dei limiti temporali del potere di ritiro. Infatti se, nonostante i dubbi dei parlamenti nazionali quanto all’osservanza del principio di sussidiarietà da parte di un progetto di atto legislativo, espressi ai sensi dell’articolo 6 del citato protocollo, la Commissione mantiene la sua proposta, il legislatore è tenuto, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera a), del medesimo protocollo, a pronunciarsi sull’osservanza del principio di sussidiarietà prima di concludere la prima lettura. Ciò implica che le eventuali contestazioni dei Parlamenti nazionali, nonché la decisione della Commissione in ordine al ritiro, al mantenimento o alla modifica della proposta devono intervenire in una fase precedente e, comunque, prima della conclusione della prima lettura.

    63.

    Inoltre, una simile determinazione dei limiti temporali conferma la legittimità dei ritiri raggruppati sino ad oggi effettuati dalla Commissione. Infatti, in assenza di termini imperativi nell’ambito della prima lettura, questa rimane responsabile della sorte da destinarsi alle proposte legislative in questa fase. Poiché la prima lettura non è sottoposta ad alcun termine, i dibattiti possono proseguire per tutto il tempo ritenuto utile dalle istituzioni, se non per vari anni. In tale contesto, sembra quindi coerente riconoscere alla Commissione il potere, se non addirittura l’obbligo, di ritirare la sua proposta qualora venga meno la sua convinzione che l’atto in questione risponda ancora all’interesse generale dell’Unione. Per contro, in occasione della seconda o della terza lettura, i termini imperativi, assai brevi ( 50 ), sono di rigida applicazione e sono i colegislatori a divenire «titolari» dell’atto da adottare.

    64.

    Infine, inquadrare il potere di ritiro nell’ambito di una disposizione del Trattato risponde all’imperativo elementare di certezza del diritto. In tale contesto, non può accogliersi l’argomento dedotto dal governo tedesco ( 51 ) secondo cui sarebbe la formalizzazione di un accordo tra il Parlamento e il Consiglio, sotto forma di risultato degli incontri trilaterali, ad impedire il ritiro della proposta legislativa da parte della Commissione. Va certamente riconosciuta la doppia dimensione della procedura legislativa, giuridica, ma altresì politica; dimensione, quest’ultima, che si rivela determinante nel senso che consente di giungere ad un consenso ( 52 ). Tuttavia, la necessità di una disciplina giuridica derivante dal principio costituzionale della democrazia rappresentativa, il quale esige una trasparenza delle procedure nell’ambito dell’adozione di un atto legislativo, prevale nel senso che il consenso dev’essere ancorato a posteriori ad una disposizione del Trattato, salvo non volersi esporre al rischio di illegittimità dell’azione della legislatore ( 53 ).

    65.

    In secondo luogo, nel contesto temporale definito in precedenza, il potere di ritiro è sottoposto ad un limite fondamentale derivante dal necessario rispetto del principio di leale cooperazione di cui all’articolo 13, paragrafo 2, TUE. Infatti, nell’ambito del dialogo interistituzionale su cui si basa la procedura legislativa, alle istituzioni si impongono gli stessi obblighi reciproci di cooperazione leale che disciplinano le relazioni tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione ( 54 ).

    66.

    Infine, il potere di ritiro si confronta con il limite che può costituire il fondamento di un ricorso per carenza ai sensi dell’articolo 265 TFUE. Infatti, il ritiro di una proposta legislativa può costituire, in capo alla Commissione, un inadempimento ad un obbligo di agire ( 55 ).

    4. Sulla natura della decisione di ritiro della proposta legislativa e sui limiti del sindacato esercitato dal giudice dell’Unione

    67.

    Nel suo controricorso, la Commissione sostiene di aver adottato la decisione impugnata in quanto l’atto legislativo che i colegislatori intendevano adottare nonostante i suoi avvertimenti rappresentava uno snaturamento della sua proposta e implicava una grave compromissione dell’equilibrio istituzionale, in ragione dell’accordo di principio intervenuto tra il Parlamento e il Consiglio allo scopo di sostituire, all’articolo 7 della proposta di regolamento quadro, l’attribuzione di una competenza di esecuzione alla Commissione con il ricorso alla procedura legislativa ordinaria, e ciò a danno degli obiettivi di efficacia, trasparenza e coerenza perseguiti dalla proposta stessa. Essa aggiunge che le altre disposizioni di detta proposta di regolamento quadro, che miravano a definire le sue competenze di esecuzione, sarebbero state private di qualsiasi effetto giuridico a seguito della modifica sulla quale si sono accordati il Parlamento e il Consiglio.

    68.

    Ad avviso della Commissione, lo snaturamento della proposta di regolamento quadro non deriverebbe tanto dal rifiuto di attribuirle la competenza ad adottare le decisioni individuali di concessione di un’assistenza macrofinanziaria, quanto dalla volontà dei colegislatori di mantenere il ricorso alla procedura legislativa ordinaria. Essa sottolinea come una scelta vertente, in conformità all’iniziale suggerimento del Parlamento, sul ricorso ad atti delegati alle condizioni stabilite dall’articolo 290, paragrafo 2, TFUE non avrebbe, dal canto suo, rappresentato dal suo punto di vista uno snaturamento di tal genere. Inoltre, i colegislatori avrebbero preferito tentare di modificare la proposta della Commissione in un senso che non solo l’avrebbe obbligata a presentare una proposta legislativa in ciascun caso specifico in cui ricorressero le condizioni di concessione di una assistenza macrofinanziaria, ma che avrebbe altresì determinato in misura assai ampia il contenuto stesso delle sue future proposte. Il suo diritto di iniziativa ne sarebbe risultato totalmente predeterminato e delimitato.

    69.

    Il Consiglio osserva che, anche volendo ammettere che uno snaturamento della proposta legislativa o un grave pregiudizio arrecato all’equilibrio istituzionale rappresentino validi motivi di ritiro, nessuna di tali circostanze si sarebbe verificata nel caso di specie.

    70.

    Tenuto conto dei termini del dibattito risulta essenziale stabilire, preliminarmente, l’esatta natura della decisione di ritiro.

    71.

    La decisione di ritiro della proposta legislativa indirizzata al Parlamento e al Consiglio interviene nel corso della procedura legislativa, che rappresenta una forma peculiare di dialogo interistituzionale.

    72.

    Nella fattispecie, emerge chiaramente dal fascicolo che tale decisione, considerata sotto il profilo dei motivi che spingono la Commissione ad interrompere la procedura legislativa, deve essere analizzata ad un duplice livello, che rappresenterà il punto di partenza della mia analisi. Occorre quindi distinguere, per un verso, il livello formale relativo all’esercizio del potere di ritiro (si deve qui verificare l’osservanza dell’essenza stessa del potere citato, come in precedenza definito) e, per altro verso, il livello sostanziale relativo alla fondatezza della decisione di ritiro in un caso preciso (vale a dire le giustificazioni sostanziali che hanno condotto la Commissione a ritirare la proposta specifica).

    73.

    Orbene, ritengo che solo il primo profilo della decisione di ritiro possa essere ricondotto al sindacato giurisdizionale operato dalla Corte. Per contro, il secondo profilo, vertente sulla fondatezza, attiene al sindacato sulla legittimità dell’atto definitivo, la cui adozione potrebbe intervenire solo se la Commissione non esercitasse il suo potere di ritiro ovvero se essa lo esercitasse erroneamente. Peraltro, tenuto conto di tale distinzione, la decisione di ritiro non deve, a mio modo di vedere, soddisfare l’obbligo di motivazione sancito dall’articolo 296 TFUE, poiché le ragioni sottese all’adozione dell’atto rientrano nel sindacato di merito dell’atto definitivo. Ritornerò sul tema nell’ambito del terzo motivo.

    74.

    Per contro, qualora la Corte procedesse a sindacare la fondatezza della decisione di ritiro della Commissione, ciò equivarrebbe non solo a eludere il sistema dei mezzi di ricorso istituito dal Trattato, procedendo ad un controllo della legittimità ex ante ( 56 ) di un atto legislativo, ma anche a realizzare un sindacato indiretto della legittimità di un atto legislativo in statu nascendi, che non è stato ancora adottato e che è quindi privo di esistenza giuridica.

    75.

    Osservo così che, nella fattispecie, il profilo riguardante la fondatezza della decisione controversa implica un’analisi politica dell’opportunità della misura da adottare, un esame delle particolarità dell’applicazione dell’atto di cui trattasi, segnatamente delle modalità dell’assistenza macrofinanziaria, la scelta del fondamento giuridico, la questione della ripartizione delle competenze dal punto di vista della delega delle competenze di esecuzione della Commissione e, più in generale, la problematica dell’eventuale illegittimità di cui sarebbe viziato il regolamento da adottare. Orbene, all’esito della procedura legislativa ordinaria, queste diverse questioni possono essere sottoposte alla Corte nell’ambito di un ricorso d’annullamento promosso contro l’atto finale.

    76.

    Così, la Commissione rileva che la decisione impugnata è stata assunta non tanto sulla base di considerazioni di opportunità o di scelta politica che essa avrebbe asseritamente voluto far prevalere, considerandosi erroneamente colegislatore, quanto a causa del timore che l’atto adottato dai colegislatori andasse a scontrarsi con gli interessi dell’Unione. Orbene, a mio modo di vedere, la Corte non può pronunciarsi in ordine alla legittimità di una tale argomentazione prima dell’adozione della misura legislativa di cui trattasi, a meno di non voler incorrere nel rischio di travalicare le competenze attribuitele dai Trattati.

    77.

    In tale contesto, una particolare importanza deve essere riconosciuta al controllo della violazione del principio della ripartizione dei poteri.

    78.

    Anzitutto, l’argomento basato su un asserito snaturamento della proposta legislativa deve essere esaminato, a mio avviso, nell’ambito del controllo dell’atto definitivo, dal momento che lo snaturamento ad opera del colegislatore di una proposta della Commissione equivale a statuire senza essere stato investito di una proposta e pertanto a violare il diritto di iniziativa della Commissione. In tale ipotesi, è la misura definitiva a risultare viziata da illegittimità ( 57 ).

    79.

    Peraltro, il pregiudizio a prerogative delle istituzioni deriva in maniera classica dall’erronea scelta del fondamento giuridico. La scelta del fondamento giuridico di un atto dell’Unione deve infatti basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell’atto ( 58 ). L’esigenza di certezza del diritto impone che qualsiasi atto che miri a produrre effetti giuridici tragga la propria forza vincolante da una disposizione del diritto dell’Unione che dev’essere espressamente indicata come fondamento giuridico e che prescriva la forma giuridica di cui il provvedimento dev’essere rivestito ( 59 ). Orbene, questa giurisprudenza non è applicabile prima dell’adozione dell’atto la cui fondatezza viene contestata nell’ambito di una procedura incidentale rispetto all’atto principale.

    80.

    In ogni caso, anche a voler supporre che la Corte possa esercitare un sindacato sulla fondatezza della decisione di ritiro, si pone la questione di quale sarebbe l’effetto giuridico di una siffatta sentenza della Corte, soprattutto sotto il profilo dell’autorità del giudicato connessa alla sentenza stessa.

    81.

    Così, se la Corte dovesse accogliere le censure mosse avverso i motivi della decisione di ritiro a livello sostanziale e stabilisse che erroneamente la Commissione ha considerato l’azione dei colegislatori come uno snaturamento del suo progetto iniziale, la procedura legislativa potrebbe proseguire. Poiché, ai sensi dell’articolo 278 TFUE, i ricorsi proposti alla Corte non hanno effetto sospensivo, salvo che la Corte non reputi che si debba ordinare la sospensione, la procedura dovrebbe essere integralmente riavviata, il che implicherebbe la presentazione da parte della Commissione di una nuova proposta legislativa. Si porrebbe allora la questione di sapere in quali limiti la sentenza della Corte vincoli la Commissione limitando l’esercizio del suo diritto di iniziativa, nel senso che la Commissione non potrebbe più presentare né la sua proposta iniziale, né una proposta difforme dalla posizione dei colegislatori «convalidata» dalla Corte. Sanzionando la Commissione sotto questo profilo, la Corte si discosterebbe, a mio modo di vedere, dalla giurisprudenza prima citata secondo cui le prerogative delle istituzioni rappresentano uno degli elementi dell’equilibrio istituzionale creato dai Trattati ( 60 ).

    82.

    Lo stesso varrebbe qualora la Corte dovesse confermare la decisione di ritiro, ad esempio in quanto il fondamento giuridico proposto dai colegislatori fosse erroneo rispetto a quello su cui si basava la proposta della Commissione. Ritengo utile rammentare che, secondo le norme del Trattato FUE che disciplinano l’attività legislativa delle istituzioni dell’Unione, il Parlamento e il Consiglio, agendo congiuntamente, hanno la facoltà, segnatamente in forza dell’articolo 294, paragrafi 7, lettera a), e 13, TFUE, di modificare, nel corso del procedimento legislativo, il fondamento giuridico scelto dalla Commissione ( 61 ).

    83.

    Mi sembra quindi che la Corte si arrogherebbe in tal modo una missione di arbitro per eccellenza nell’ambito di una procedura legislativa in corso.

    84.

    Pertanto, per tutti i motivi esposti, propongo alla Corte di non pronunciarsi, nell’ambito del presente ricorso, sui motivi dedotti dalla Commissione a sostegno della sua decisione di ritiro. Rammento a tal proposito che la Commissione afferma che potrebbe procedere al ritiro, segnatamente, in caso di grave snaturamento, di grave pregiudizio all’equilibrio istituzionale o qualora la proposta implicasse una manifesta illegittimità. La Commissione si pronuncia altresì in favore di una possibilità di ritiro basata sull’assenza di competenza dell’Unione o ancora per un motivo basato su una violazione del principio di sussidiarietà. Orbene, si tratta a mio avviso, in simili casi, di aspetti riconducibili, caso per caso, al sindacato di legittimità di un atto definitivo adottato in esito alla procedura legislativa.

    85.

    Propongo pertanto di considerare inoperanti gli argomenti sollevati sia dal Consiglio che dalla Commissione in ordine alla fondatezza della decisione impugnata e di limitare il sindacato giurisdizionale ai soli elementi di carattere formale riguardanti l’essenza del diritto di ritiro, come esposti ai paragrafi da 56 a 65 delle presenti conclusioni.

    86.

    In base a quanto precede, propongo di respingere il primo motivo del Consiglio. Poiché emerge dal fascicolo che la Commissione ha proceduto al ritiro prima che il Consiglio avesse statuito, ai sensi dell’articolo 294, paragrafo 5, TFUE, occorre esaminare il secondo motivo del Consiglio relativo alla violazione del principio di leale cooperazione.

    VI – Sulla violazione del principio di leale cooperazione ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE

    A – Argomenti delle parti

    87.

    Con il suo secondo motivo il Consiglio rileva come la Commissione sia venuta meno, nella fattispecie, al principio di leale cooperazione, il quale, in base ad una giurisprudenza codificata dall’articolo 13, paragrafo 2, ultima frase, TUE, si impone altresì alle istituzioni dell’Unione ( 62 ), segnatamente nell’ambito della procedura legislativa ordinaria ( 63 ).

    88.

    Il Consiglio e gli Stati membri intervenienti a suo sostegno deducono che, anziché esprimere riserve, segnatamente in fase di adozione dell’orientamento generale del Consiglio, o dei dibattiti sulla relazione del Parlamento, la Commissione avrebbe sostenuto che esso rappresentava una valida base per le successive discussioni. Nel novembre 2011 uno dei suoi funzionari avrebbe informato un funzionario del Consiglio in ordine al fatto che un certo numero di emendamenti snaturava la sostanza della sua proposta di regolamento quadro, senza menzionare specificamente la modifica dell’articolo 7 di tale proposta. Neppure il «non‑paper» della Commissione del gennaio 2013 ventilerebbe alcuna possibilità di ritiro della sua iniziativa legislativa. Pur essendo costantemente presente alle sedute di lavoro del Consiglio e agli incontri trilaterali, la Commissione avrebbe ufficialmente manifestato la sua intenzione di procedere al ritiro stesso solo in una fase tardiva, vale a dire in occasione dell’incontro trilaterale del 25 aprile 2013. Dalla sua nota interna SI(2013)231, risulterebbe che essa si è affrettata a ritirare la sua proposta il giorno stesso in cui il Parlamento e il Consiglio dovevano siglare il compromesso cui erano pervenuti.

    89.

    In occasione della riunione del gruppo di lavoro dei consulenti finanziari del 7 maggio 2013, nonostante un esplicito invito della presidenza del Consiglio ad informare le delegazioni della sua eventuale intenzione di procedere ad un ritiro della proposta di regolamento quadro, la Commissione non avrebbe in alcun modo menzionato il fatto che tale questione era all’ordine del giorno del collegio dei commissari del giorno successivo.

    90.

    L’inosservanza del principio di leale cooperazione da parte della Commissione sarebbe aggravata dal fatto che quest’ultima non ha esaurito i mezzi procedurali previsti dagli articoli 3, paragrafo 2, e 11, paragrafo 1, del regolamento interno del Consiglio ( 64 ), per verificare se l’unanimità richiesta dall’articolo 293, paragrafo 1, TFUE per emendare la sua proposta di regolamento quadro ricorresse nella fattispecie, nonché dal fatto che essa non ha neppure chiesto un voto indicativo in seno agli organi preparatori del Consiglio ( 65 ).

    91.

    La Repubblica ceca e la Repubblica federale di Germania affermano che la Commissione è incorsa in un abuso di diritto ( 66 ). La Repubblica italiana e il Regno Unito sostengono che, a prescindere dal momento in cui la Commissione ha effettuato il ritiro della proposta di regolamento quadro, quest’ultima avrebbe subito escluso qualsiasi discussione e qualsiasi negoziato con i colegislatori sul contenuto dell’articolo 7 della citata proposta, quando invece questi ultimi condividevano un orientamento comune in proposito.

    92.

    Da parte sua, per quanto riguarda la presunta tardività del ritiro, la Commissione sottolinea di aver chiaramente indicato, in occasione delle riunioni del gruppo di lavoro dei consulenti finanziari del 15 e del 22 novembre 2011, che le modifiche considerate dal Consiglio snaturavano la sua proposta di regolamento quadro. In sede di adozione dell’orientamento generale del Consiglio, il 15 dicembre 2011, essa non avrebbe ritenuto necessario esprimere una riserva formale in quanto tale «orientamento generale» rappresentava meramente la posizione che la presidenza del Consiglio avrebbe difeso nell’ambito degli incontri trilaterali. In ogni caso non sarebbe risultato certo, in quella fase, che tale posizione sarebbe prevalsa, tanto più che il Parlamento non aveva ancora adottato la sua posizione e quando l’ha adottata, nel maggio 2012, esso raccomandava la decisione basata sull’adozione di atti delegati. Essa avrebbe in seguito ribadito, nel suo «non‑paper» del gennaio 2013, le sue obiezioni nei confronti della posizione del Consiglio, pur esprimendo un certo numero di elementi risolutivi per uscire dalla situazione di stallo.

    93.

    La Commissione precisa, in secondo luogo, che subito dopo l’incontro trilaterale del 30 gennaio 2013, nel corso del quale è emerso un rischio di snaturamento della proposta di regolamento quadro, e immediatamente dopo essere stati autorizzati in tal senso dal collegio dei commissari, i suoi rappresentanti hanno avvertito i colegislatori, in occasione delle riunioni successive, del fatto che essa avrebbe potuto ritirare tale proposta ( 67 ). È solo nel momento in cui le è risultato chiaro, all’inizio del mese di maggio 2013, che non avrebbe potuto convincere questi ultimi della necessità di rivedere la loro posizione comune, che essa avrebbe assunto le proprie responsabilità adottando la decisione impugnata.

    94.

    La Commissione sostiene, in terzo luogo, che, al momento della redazione della nota interna SI(2013)231, non era ancora nota la data del successivo incontro trilaterale. Il fatto che la decisione impugnata sia stata adottata il giorno in cui i colegislatori stipulavano un accordo sarebbe stato una casualità temporale. La Commissione aggiunge che il fatto di evocare prematuramente, da parte sua, la possibilità di un ritiro della proposta di regolamento quadro avrebbe pregiudicato la serenità dei dibattiti interistituzionali e il corretto svolgimento della procedura legislativa.

    95.

    Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’assenza di ricorso ad altre possibilità procedurali previste dal regolamento interno del Consiglio, la Commissione sostiene che la sua partecipazione a tutti i lavori del gruppo di consulenti finanziari del Consiglio l’ha portata a constatare che le posizioni degli Stati membri erano perfettamente chiare e che un voto formale non avrebbe modificato la situazione.

    B – Valutazione

    96.

    Anzitutto, al fine di delineare correttamente la portata della problematica del principio di leale cooperazione, occorre sottolineare che il primissimo limite posto all’esercizio del potere di ritiro emerge dal divieto di sviamento di potere. Secondo una costante giurisprudenza, un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato FUE per far fronte alle circostanze del caso di specie ( 68 ).

    97.

    Di conseguenza, un’eventuale violazione del principio di leale cooperazione non può essere assimilata ad uno sviamento di potere.

    98.

    Rilevo a tal proposito, per un verso, che il principio di leale cooperazione consente di rimediare alle incertezze derivanti da aree grigie del Trattato, quali quelle derivanti dalle modalità di esercizio del potere di ritiro. Per altro verso, benché esso sia applicabile alla cooperazione informale tra le istituzioni dell’Unione, essa non ha un contenuto esattamente definibile ( 69 ).

    99.

    Il principio di leale cooperazione, codificato ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, ha ad oggetto il rispetto dovuto alla ripartizione delle rispettive competenze e all’equilibrio istituzionale ( 70 ). In tale contesto, in conformità all’articolo 295 TFUE, per definire di comune accordo le modalità della loro cooperazione, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione possono concludere accordi interistituzionali che possono assumere carattere vincolante.

    100.

    Con il suo motivo, e tenuto conto dello svolgimento temporale dei fatti all’origine della controversia, il Consiglio contesta sostanzialmente alla Commissione il fatto di aver espresso la propria intenzione di ritirare la proposta solo in una fase assai tardiva degli incontri trilaterali, quando era imminente l’accordo tra il Parlamento e il Consiglio sul ricorso alla procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio sembra in tal modo muovere dal postulato secondo cui il fatto che l’incontro trilaterale fosse programmato lo stesso giorno in cui è intervenuta l’adozione della decisione impugnata ostava alla possibilità per la Commissione di esercitare il suo potere di ritiro.

    101.

    Orbene, pur riconoscendo l’importanza di un incontro trilaterale ( 71 ) quale espressione della cooperazione interistituzionale, come ho già affermato nell’ambito dell’esame del primo motivo, la dimensione politica della procedura legislativa non può prevalere sulla sua dimensione giuridica.

    102.

    Infatti, gli incontri trilaterali si svolgono in un contesto informale e possono essere indetti in tutte le fasi della procedura e a vari livelli di rappresentanza, a seconda della natura della discussione prevista ( 72 ). Al pari del comitato di conciliazione nell’ambito della procedura legislativa ordinaria (e della codecisione in precedenza) l’incontro trilaterale riveste un ruolo di arbitrato delle controversie che possono sorgere tra le istituzioni e di ricerca di un accordo tra le stesse.

    103.

    Per contro, a differenza del comitato di conciliazione, l’incontro trilaterale non ha un’esistenza autonoma nel Trattato FUE e non rappresenta una tappa giuridicamente vincolante dello sviluppo della procedura legislativa ( 73 ). Ciò emerge altresì dalla dichiarazione comune del 2007, secondo cui una lettera indica la volontà del Consiglio di «accettare il risultato [di un incontro trilaterale], previa verifica effettuata dai giuristi linguisti, qualora esso fosse confermato dal voto in seduta plenaria» ( 74 ). Per tale motivo, ritengo che non possa essere accolta la censura basata su una comunicazione asseritamente «tardiva» della decisione impugnata.

    104.

    In questo contesto, mi sembra essenziale sottolineare che l’atto di ritiro deve essere preceduto e seguito da un’ampia comunicazione tra la Commissione e i colegislatori. Infatti, il ritiro non può intervenire di sorpresa o in violazione dell’obbligo di buona fede.

    105.

    A tal proposito, i termini degli accordi interistituzionali possono fornire utili indicazioni. Così, emerge segnatamente dall’accordo quadro datato 20 novembre 2010, stipulato tra il Parlamento e la Commissione, che la Commissione è tenuta a fornire a tempo debito una motivazione dettagliata prima di ritirare qualsivoglia proposta, su cui il Parlamento abbia già espresso la sua posizione in prima lettura ( 75 ). Inoltre, ai sensi della dichiarazione comune del 2007, le istituzioni si sforzano di cooperare lealmente nel corso di tutta la procedura, pur rispettando pienamente il carattere politico del processo decisionale.

    106.

    Nella fattispecie, la Commissione non sembra aver pienamente osservato il proprio obbligo di una comunicazione ampia e temporalmente congrua con altre istituzioni. In particolare, un semplice scambio di posta elettronica tra i funzionari della Commissione e del Consiglio in data 25 novembre 2011, in cui si cita lo snaturamento della proposta della Commissione, non rappresenta una congrua modalità a tal proposito. Emerge tuttavia dal fascicolo che a partire dal mese di febbraio 2013 la Commissione ha evocato l’eventualità del ritiro a più riprese e ad alto livello.

    107.

    Così, alla riunione dei consulenti finanziari del 26 febbraio 2013, il rappresentante della Commissione ha sottolineato come l’orientamento proposto andasse a snaturare la proposta della Commissione, il che avrebbe potuto portarla a considerare il ritiro della sua proposta ( 76 ). In occasione del quinto incontro trilaterale, le istituzioni, in particolare il Parlamento, erano manifestamente coscienti del rischio di ritiro, dal momento che il relatore, sig. Kazak, ha chiesto alla Commissione di sostenere e di non ritirare la proposta ( 77 ). In seguito, in occasione della riunione dei consulenti finanziari del 9 aprile 2013, la Commissione ha chiaramente ribadito la possibilità di un ritiro qualora per le decisioni AMF dovesse essere accolta la procedura legislativa ordinaria ( 78 ). Oltretutto, in occasione della riunione del 2 maggio 2013, la Commissione non solo ha evocato il rischio di un ritiro, ma ha anche ammesso che una simile ipotesi era stata esaminata dai servizi della Commissione ai più alti livelli ( 79 ).

    108.

    Di conseguenza, gli elementi materiali del fascicolo non consentono di ammettere una violazione, da parte della Commissione, del principio di leale cooperazione.

    109.

    Per quanto riguarda infine la questione del mancato esaurimento, da parte della Commissione, delle possibilità procedurali offerte dal regolamento interno del Consiglio, rammento che i regolamenti interni delle istituzioni rappresentano atti atipici che disciplinano i principi organizzativi di ciascuna di esse. Per quanto riguarda gli effetti che possono essere prodotti rispetto ad altre istituzioni, i regolamenti interni possono riguardare solamente le modalità di collaborazione tra le istituzioni. Così, mi sembra incontestabile che essi possono incidere sul comportamento di un’altra istituzione, segnatamente, assoggettandola ad un certo obbligo o attribuendole una determinata competenza. Ciò ricorre nel caso dell’articolo 3, paragrafo 2, in combinato disposto con l’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento interno del Consiglio, da cui emerge una facoltà per la Commissione di chiedere l’iscrizione all’ordine del giorno di un punto che richiede una procedura di voto. Per contro, nulla nella disposizione citata implica un obbligo in capo alla Commissione.

    110.

    Peraltro, la sentenza Parlamento/Consiglio, citata dal Consiglio a sostegno del suo motivo, ( 80 ) mirava a sanzionare non l’assenza di esaurimento dei mezzi procedurali da parte del Parlamento, bensì il fatto che la sua decisione si basava su motivi estranei all’atto in questione e soprattutto non teneva in considerazione l’urgenza della procedura e la necessità di adottare il regolamento prima della data difesa, in maniera giustificata, dal Consiglio.

    111.

    Di conseguenza, tenuto conto del principio di equilibrio istituzionale, che implica un’autonomia delle istituzioni, una tesi secondo cui la Commissione sarebbe tenuta, in base alle disposizioni del regolamento interno del Consiglio, a chiedere un voto prima di procedere al ritiro della sua proposta legislativa, deve essere disattesa.

    112.

    In ogni caso, rilevo che i Trattati hanno instaurato una ripartizione netta tra le funzioni e i poteri delle istituzioni politiche dell’Unione. Ne consegue che ciascuna di esse può legittimamente adottare i propri orientamenti politici e utilizzare gli strumenti d’azione disponibili al fine di esercitare un’influenza sulle altre istituzioni. Così, una preliminare comunicazione in merito all’eventualità di un ritiro, quale quella effettuata dalla Commissione in occasione del quinto incontro trilaterale, in data 26 febbraio 2013, non può in alcun modo equivalere ad una minaccia abusiva, costitutiva di uno sviamento di potere.

    113.

    Propongo di conseguenza di respingere il secondo motivo.

    VII – Sulla violazione dell’obbligo di motivazione

    A – Argomenti delle parti

    114.

    Pur ammettendo che la decisione impugnata rappresenta un atto «fuori nomenclatura», il Consiglio adduce con il suo terzo motivo che una decisione di ritiro di una proposta legislativa è un atto suscettibile di sindacato giurisdizionale. Di conseguenza, una siffatta decisione di ritiro dovrebbe rispettare l’obbligo di motivazione di cui all’articolo 296, secondo comma, TFUE, come interpretato dalla giurisprudenza ( 81 ) e ciò a prescindere dalla questione se tale decisione rappresenti una decisione ai sensi dell’articolo 288 TFUE ( 82 ).

    115.

    Orbene, la decisione impugnata non avrebbe dato luogo ad alcuna spiegazione né ad alcuna pubblicazione e tacerebbe quanto ai motivi del ritiro.

    116.

    La Commissione afferma che il Consiglio confonde il preciso obbligo dettato dall’articolo 296 TFUE, consistente nel motivare gli atti giuridici dell’Unione, ai sensi dell’articolo 288 TFUE, inserendo una motivazione nel testo stesso dell’atto in questione, e il principio generale espresso dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo cui ogni decisione di un’istituzione deve essere basata su ragioni da comunicare, in qualsiasi forma, agli interessati.

    117.

    Essa sostiene che una decisione di ritiro, quale la decisione impugnata, rappresenta una decisione procedurale interna e non un atto giuridico ai sensi del l’articolo 288 TFUE. Una decisione siffatta non avrebbe alcun destinatario ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE o dell’articolo 288 TFUE. Essa non conterrebbe né titolo, né visti, né considerando, né articoli. Essa non dovrebbe essere né notificata, né pubblicata, ai sensi dell’articolo 297, paragrafo 2, TFUE, per produrre effetti. Pertanto, l’obbligo di motivazione di cui all’articolo 296 TFUE non le sarebbe applicabile ( 83 ).

    B – Analisi

    118.

    Pur riconoscendo il valore costituzionale dell’obbligo di motivazione, come interpretato dalla Corte ( 84 ), la natura e il contesto dell’adozione dell’atto impugnato mi inducono a concludere che la decisione impugnata non rientra nell’ambito dell’obbligo di motivazione sancito dall’articolo 296 TFUE.

    119.

    Nella fattispecie, emerge dal tenore della lettera del vicepresidente della Commissione che la decisione impugnata definisce in termini inequivocabili e definitivi la posizione della Commissione ( 85 ), la quale traduce l’intenzione della Commissione di interrompere il procedimento legislativo. Si tratta pertanto di una decisione procedurale interna alle istituzioni.

    120.

    Rammento a tal proposito che la Corte ha già accettato, nel contesto di un dialogo interistituzionale, una dichiarazione orale di un commissario, contenente la proposta della Commissione, come una valida fase della procedura legislativa. Ad avviso della Corte, il fatto che tale proposta modificata della Commissione non si presentasse in forma scritta sarebbe privo di conseguenze. Infatti, «l’art. 149, n. 3, del Trattato [divenuto articolo 293, paragrafo 2 TFUE] (…) [non] richiede che [le] proposte modificate si presentino necessariamente in forma scritta. Siffatte proposte modificate fanno parte dell’iter legislativo comunitario, caratterizzato da una certa flessibilità, necessaria per raggiungere una convergenza di vedute tra le istituzioni. Esse si distinguono fondamentalmente dagli atti che la Commissione adotta e che riguardano direttamente i singoli. Pertanto, per l’adozione di queste proposte non si può imporre la rigida osservanza delle forme prescritte per l’adozione degli atti riguardanti direttamente i singoli» ( 86 ).

    121.

    Detta analisi vale a maggior ragione per ammettere che una lettera di un commissario che esprime la posizione del collegio non è soggetta all’obbligo di motivazione, una volta che si iscrive nel procedimento legislativo, quale definito dalla Corte.

    122.

    Inoltre, se la Corte accetta di circoscrivere il sindacato della legittimità di un atto sui generis, quale quello di cui trattasi, al solo livello formale relativo all’essenza del diritto di ritiro, risulta evidente che l’obbligo di motivazione ai sensi dell’articolo 296 TFUE, basato sul principio secondo cui l’atto in questione deve far apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’autore dell’atto, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo ( 87 ), risulta privo di rilevanza.

    123.

    In realtà, una volta che la Commissione resta nei limiti dell’essenza del potere di ritiro, come essi sono stati definiti prima, la motivazione non si impone se i colegislatori sono stati debitamente informati delle ragioni del ritiro in occasione degli incontri trilaterali interistituzionali e se tali ragioni sono intimamente connesse al ruolo che la Commissione esercita in conformità all’articolo 17, paragrafo 1, TUE.

    124.

    Conseguentemente, il terzo motivo dev’essere respinto.

    125.

    Infine, per quanto riguarda l’onere delle spese, osservo come, proponendo il presente ricorso, il Consiglio si sia legittimamente rivolto alla Corte per ottenere chiarimenti quanto alla portata del potere costituzionale di ritiro della Commissione, il che potrebbe di primo acchito giustificare la ripartizione delle spese tra le due istituzioni. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Consiglio, rimasto soccombente, va condannato alle spese.

    VIII – Conclusione

    126.

    Per tutti i motivi sopra esposti, propongo alla Corte di:

    respingere il ricorso del Consiglio dell’Unione europea e di condannarlo alle spese, e

    decidere che, ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportino le proprie spese.


    ( 1 ) Lingua originale: il francese.

    ( 2 ) Ammettere l’esistenza di un simile potere equivale, a mio avviso, a riconoscere alla Commissione una competenza normativa per decidere di ritirare o di mantenere la sua proposta legislativa senza esigere alcun consenso esplicito o implicito da parte delle altre istituzioni.

    ( 3 ) COM(2011) 396 definitivo.

    ( 4 ) Attribuito a Guglielmo di Occam, filosofo del XIV secolo, il principio di semplicità è applicabile in ambito scientifico, enunciando che «a parità di fattori la spiegazione più semplice tende ad essere quella esatta». Esso mi sembra applicabile al ragionamento giuridico da svolgersi nel caso di specie.

    ( 5 ) Precedenti articoli 308 CE e 235 del Trattato CE.

    ( 6 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU L 55, pag. 13).

    ( 7 ) 2011/0176(COD), del 24 maggio 2012. Testo adottato dal Parlamento con voto parziale in prima lettura/lettura unica (GU 2012, C 264 E).

    ( 8 ) Tale soluzione è stata precisata nell’ambito di un documento del 19 febbraio 2013, che è stato distribuito ai membri del gruppo di lavoro dei consulenti finanziari a cui partecipavano taluni rappresentanti della Commissione.

    ( 9 ) La nota citata, versata agli atti dalla Commissione, rappresenta uno studio predisposto dalla DG «Economia e finanze», sotto l’autorità del gabinetto del sig. Rehn, che riprende lo svolgimento dei negoziati sulla proposta di regolamento quadro nonché i motivi che giustificano il ritiro.

    ( 10 ) V. sentenze Commissione/Consiglio, detta «AETR» (22/70, EU:C:1971:32, punto 42); Parlamento/Consiglio e Commissione (C‑181/91 e C‑248/91, EU:C:1993:271, punto 13), nonché Commissione/Consiglio (C‑27/04, EU:C:2004:436, punto 44).

    ( 11 ) V. sentenza Paesi Bassi/Commissione (C‑147/96, EU:C:2000:335, punto 27).

    ( 12 ) Ordinanza Makhteshim‑Agan Holding e a./Commissione (C‑69/09 P, EU:C:2010:37, punti 37 e 38).

    ( 13 ) V. inoltre, sulla ricevibilità di una decisione adottata dai rappresentanti degli Stati membri in qualità di rappresentanti dei loro governi e non di membri del Consiglio, sentenza Commissione/Consiglio (C‑114/12, EU:C:2014:2151, punti da 38 a 40).

    ( 14 ) V., in proposito, sentenze Meroni/Alta Autorità (9/56, EU:C:1958:7, pag. 41); Meroni/Alta Autorità (10/56, EU:C:1958:8, pag. 76); Roquette Frères/Consiglio (138/79, EU:C:1980:249, punti 33 e 34); Wybot (149/85, EU:C:1986:310, punto 23); Parlamento/Consiglio (C‑70/88, EU:C:1990:217, punto 22), e Parlamento/Consiglio (C‑133/06, EU:C:2008:257, punto 57).

    ( 15 ) Il Consiglio si riferisce a tal proposito all’articolo 7, paragrafi 2 e 3, del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato ai Trattati UE e FUE (in prosieguo: il «protocollo sulla sussidiarietà»).

    ( 16 ) V., in tal senso, punti 13, 17, 22, 24 e 27 della dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione sulle modalità pratiche della procedura di codecisione (articolo 251 del Trattato CE) (GU 2007, C 145, pag. 5; in prosieguo: la «dichiarazione comune del 2007»).

    ( 17 ) Sentenze ACF Chemiefarma/Commissione (41/69, EU:C:1970:71); Commissione/Consiglio (355/87, EU:C:1989:220, punto 44), e Eurotunnel e a. (C‑408/95, EU:C:1997:532, punto 39).

    ( 18 ) Il Consiglio si riferisce alla giurisprudenza secondo cui tale principio trova espressione tanto nel Parlamento che nell’appartenenza dei membri del Consiglio a governi politicamente responsabili dinanzi ai loro rispettivi parlamenti nazionali. V., in tal senso, sentenze Roquette Frères/Consiglio (EU:C:1980:249, punto 33); Maizena/Consiglio (139/79, EU:C:1980:250, punto 34), e Commissione/Consiglio (C‑300/89, EU:C:1991:244, punto 20).

    ( 19 ) È vero che tale argomento è formulato dalla Repubblica federale di Germania nell’ambito del secondo motivo, relativo alla violazione del principio di leale cooperazione Tuttavia la risposta a tale critica è fondamentale ai fini del riconoscimento del potere di ritiro in quanto tale.

    ( 20 ) V., in tal senso, sentenza Fediol/Commissione (188/85, EU:C:1988:400, punto 37).

    ( 21 ) La Commissione aggiunge che, tra il 1977 e il 1994, nei rari casi in cui non è stato possibile trovare una soluzione conforme al diritto dell’Unione, essa avrebbe ritirato la sua proposta legislativa in quanto il legislatore intendeva adottare un atto che avrebbe snaturato la sua proposta, avrebbe arrecato grave danno all’equilibrio istituzionale o avrebbe comportato una manifesta illegittimità. V. i programmi di lavoro della Commissione per il 2011, 2012 e 2013 [rispettivamente, COM(2010) 623 definitivo, COM(2011) 777 definitivo, e COM(2012) 629 definitivo].

    ( 22 ) V., in tal senso, sentenza Eurotunnel e a. (EU:C:1997:532, punto 39).

    ( 23 ) In ogni caso, la presente analisi riguarda solo l’esercizio delle prerogative della Commissione nell’ambito della procedura legislativa ordinaria ed è limitata ai rapporti con le altre istituzioni in tale ambito.

    ( 24 ) Sentenza Parlamento/Consiglio (EU:C:1991:373, punto 20).

    ( 25 ) La Commissione vi procede o all’inizio del mandato del collegio, o annualmente nell’ambito di una revisione globale, tenuto conto di obiettivi vincolanti, dello stato di avanzamento della procedura legislativa nonché della verifica dell’osservanza delle esigenze attuali in materia di miglioramento della legislazione. V., ad esempio, comunicazione della Commissione, intitolata «Esito dello screening delle proposte legislative pendenti dinanzi al legislatore», COM(2005) 462 definitivo, punto 1. Sulla problematica dell’autolimitazione del potere legislativo ad opera della Commissione per ragioni politiche, vale a dire per evitare lo snaturamento di una proposta, il cui ultimo esempio risale al 1994, v. Ponzano, P., «Le droit d’initiative de la Commission européenne: théorie e pratique», Revue des affaires européennes, 2009‑2010/1, pagg. 27 e segg. (accessibile all’indirizzo Internet: http://ddata.over‑blog.com/xxxyyy/2/48/17/48/Fichiers‑pdf/Europe/Droit‑d‑initiative‑de‑la‑Commission.pdf, pag. 11, che rinvia a Rasmussen, A., «Challenging the Commission’s right of initiative», West European Politics, vol. 30, n. 2, da 244 a 264, marzo 2007. Infine, v. risposta della Commissione in data 23 gennaio 1987 al quesito scritto n. 2422/86 (del sig. Fernand Herman): ritiro di una proposta da parte della Commissione (GU 1987, C 220, pag. 6.)

    ( 26 ) Sentenza Fediol/Commissione (EU:C:1988:400).

    ( 27 ) V., in tal senso, parere 1/91 (EU:C:1991:490, punto 21), e sentenza van Gend & Loos (26/62, EU:C:1963:1, pag. 22).

    ( 28 ) Sentenza Regno Unito/Consiglio (68/86, EU:C:1988:85, punto 38), nonché conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella causa Parlamento/Consiglio (C‑133/06, EU:C:2007:551, paragrafo 29).

    ( 29 ) Sentenza Francia e a./Commissione (da 188/80 a 190/80, EU:C:1982:257, punto 6).

    ( 30 ) V. contributo proposto dai sigg. Barnier e Vittorino, membri della Convenzione: «Le droit d’initiative de la Commission», La Convention européenne, Bruxelles, 3 septembre 2002, CONV 230/02. È pacifico che tale diritto non è più esclusivo, segnatamente alla luce degli articoli 7 TUE, 11, paragrafo 4 TUE, 129, paragrafi 3 e 4, TFUE, 252, primo comma, TFUE e 308, terzo comma, TFUE.

    ( 31 ) V., segnatamente, gli studi di Soldatos, P., «L’urgence de protéger le pouvoir d’initiative législative de la Commission européenne», L’Union européenne et l’idéal de la meilleure législation, Éditions Pédone 2013, pagg. da 175 a 190.

    ( 32 ) Facendo riferimento alla costruzione europea, Jean Monnet affermava che «la chiave di volta ne è il dialogo costante che [la Comunità] organizza tra le istituzioni nazionali e le istituzioni comunitarie, i cui obiettivi sono collegati e che possono procedere solo solidalmente (…). Tale dialogo inseparabile dalla decisione rappresenta l’essenza stessa della vita comunitaria e ne costituisce l’originalità rispetto ai sistemi politici moderni», Monnet, J., Mémoires, Parigi, 1976, pag. 626. In dottrina, ex multis, Dehousse, R., La méthode communautaire, a‑t‑elle encore un avenir?, Mélanges en hommage à Jean‑Victor Louis, vol. I (2003), pag. 95. Manin, Ph., «La méthode communautaire: changement e permanence», Mélanges en hommage à Guy Isaac, t. 1 (2004), pagg. da 213 a 237. Sul metodo comunitario quale «cuore» dell’integrazione europea nell’ambito delle Comunità, a fronte delle modalità più «intergovernamentali», v. altresì conclusioni dell’avvocato generale Mazák nella causa Commissione/Consiglio (C‑440/05, EU:C:2007:393).

    ( 33 ) V. libro bianco sulla governance [COM(2001) 428]: il metodo è basato sui principi secondo cui: «[1] Spetta esclusivamente alla Commissione europea presentare proposte legislative ed in tema di politiche. La sua indipendenza rafforza la sua capacità di dare esecuzione alle politiche, di agire come custode dei trattati e di rappresentare la Comunità nei negoziati internazionali; [2] Gli atti legislativi e di bilancio sono approvati dal Consiglio dei ministri (che rappresenta gli Stati membri) e dal Parlamento europeo (che rappresenta i cittadini). (…) L’esecuzione della politica è affidata alla Commissione e alle autorità nazionali; [3] la Corte europea di giustizia garantisce il rispetto del principio di legalità».

    ( 34 ) Una tale assimilazione deriverebbe da un parallelismo tra i sistemi parlamentari classici, in cui il diritto di iniziativa legislativa spetta al sovrano. Orbene, storicamente, tale prerogativa sovrana è stata affiancata dalla competenza, riconosciuta ai Parlamenti nazionali, di proporre emendamenti, i quali in seguito si sono visti attribuire un proprio diritto di iniziativa legislativa.

    ( 35 ) Roland, S., Le triangle décisionnel communautaire à l’aune de la théorie de la séparation des pouvoirs, Bruylant, 2008 (citazione di M. Troper), pag. 315.

    ( 36 ) V., in tal senso, sentenza Parlamento/Consiglio (EU:C:1990:217, punto 19).

    ( 37 ) La dottrina insiste sul fatto che l’articolo 293 TFUE riflette, di per se stesso, la forza del diritto di iniziativa della Commissione. V., in tal senso, Grabitz, Hilf, Nettesheim, Krajewski/Rösslein, Das Recht der Europäischen Union, 53. Ergänzungslieferung 2014, AEUV Art. 293 Kommissionsvorschlag; Änderungsrecht, Rn. 1.

    ( 38 ) Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 293 TFUE: 1. Quando, in virtù dei trattati, delibera su proposta della Commissione, il Consiglio può emendare la proposta solo deliberando all’unanimità, salvo nei casi di cui agli articoli 294, paragrafi 10 e 13, 310 TFUE, 312 TFUE, 314 TFUE e 315, secondo comma, TFUE. 2. Fintantoché il Consiglio non ha deliberato, la Commissione può modificare la propria proposta in ogni fase delle procedure che portano all’adozione di un atto dell’Unione.

    ( 39 ) Petite, M., «Avis de temps calme sur l’article 189 A, paragraphe 1», Revue du Marché Unique Européen, 1998/3, pag. 197.

    ( 40 ) V., in tal senso, sentenze Commissione/Consiglio, detta «Diossido di titanio» (C‑300/89, EU:C:1991:244, punto 20), nonché Parlamento/Consiglio (C‑65/93, EU:C:1995:91, punto 21), e Parlamento/Consiglio (C‑155/07, EU:C:2008:605, punto 78).

    ( 41 ) Condivido pertanto il parere espresso dall’avvocato generale Poiares Maduro nella causa Commissione/Parlamento e Consiglio (C‑411/06, EU:C:2009:189, nota n. 5). Infatti, pur riconoscendo l’importanza della rappresentatività direttamente democratica come misura della democrazia europea, egli ha sottolineato come la democrazia europea presuppone anche un attento equilibrio tra le dimensioni nazionale ed europea della democrazia, senza che necessariamente l’una debba prevalere sull’altra. Il Parlamento europeo, quindi, non disporrebbe dello stesso potere dei parlamenti nazionali nel processo legislativo e, quand’anche si dovesse essere a favore di un rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, è ai cittadini europei che spetterebbe decidere in merito, mediante la revisione dei Trattati.

    ( 42 ) Infatti, ad avviso della Corte, riconoscere ad un’istituzione la facoltà di porre in essere fondamenti normativi derivati, che vadano nel senso di un aggravio ovvero di una semplificazione delle modalità d’adozione di un atto, significherebbe consentirle di arrecare pregiudizio al principio dell’equilibrio istituzionale. V. in tal senso, sentenza Parlamento/Consiglio (EU:C:2008:257, punti 56 e 57).

    ( 43 ) L’articolo 294, paragrafi da 1 a 6, TFUE, è così formulato: «1. Quando nei trattati si fa riferimento alla procedura legislativa ordinaria per l’adozione di un atto, si applica la procedura che segue. 2. La Commissione presenta una proposta al Parlamento europeo e al Consiglio. Prima lettura 3. Il Parlamento europeo adotta la sua posizione in prima lettura e la trasmette al Consiglio. 4. Se il Consiglio approva la posizione del Parlamento europeo, l’atto in questione è adottato nella formulazione che corrisponde alla posizione del Parlamento europeo. 5. Se il Consiglio non approva la posizione del Parlamento europeo, esso adotta la sua posizione in prima lettura e la trasmette al Parlamento europeo. 6. Il Consiglio informa esaurientemente il Parlamento europeo dei motivi che l’hanno indotto ad adottare la sua posizione in prima lettura. La Commissione informa esaurientemente il Parlamento europeo della sua posizione».

    ( 44 ) Ai sensi dell’articolo 294, paragrafo 7, lettera c), TFUE, «se, entro un termine di tre mesi da tale comunicazione, il Parlamento europeo (…) propone emendamenti alla posizione del Consiglio in prima lettura a maggioranza dei membri che lo compongono, il testo così emendato è comunicato al Consiglio e alla Commissione che formula un parere su tali emendamenti».

    ( 45 ) Ai sensi dell’articolo 294, paragrafo 11, TFUE, «la Commissione partecipa ai lavori del comitato di conciliazione e prende ogni iniziativa necessaria per favorire un ravvicinamento fra la posizione del Parlamento europeo e quella del Consiglio».

    ( 46 ) V., Jacqué, J.P., «Le Conseil après Lisbonne», Revue des affaires européennes, 2012/2, pagg. 213 e segg.

    ( 47 ) Punto 62 del ricorso.

    ( 48 ) Per i dettagli, v. la guida alla procedura legislativa ordinaria, opuscolo del Consiglio 2010, disponibile all’indirizzo Internet: http://consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload/QC3109179FRC.pdf

    ( 49 ) È ovvio che se il Consiglio approva la posizione del Parlamento ai sensi dell’articolo 294, paragrafo 4, TFUE la Commissione non può più esercitare il suo potere di ritiro.

    ( 50 ) Nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, la prima fase si compone di una prima lettura, che non è sottoposta ad alcun termine, quindi di una seconda lettura, sottoposta a un doppio termine di tre mesi più un mese per la seconda lettura del Parlamento e di tre mesi più un mese per la seconda lettura del Consiglio. Il comitato di conciliazione è assoggettato ad un termine di sei settimane (salva una proroga in base all’articolo 294, paragrafo 14, TFUE). In seguito, per quanto riguarda la terza lettura del Parlamento e del Consiglio, è applicabile questo stesso termine di sei settimane.

    ( 51 ) Nell’ambito del secondo motivo: pur contestando la liceità di un ritiro nei casi elencati dalla Commissione, il governo tedesco propone, in subordine, di interpretare l’articolo 293, paragrafo 2, TFUE nel senso che, tenuto conto del principio di leale cooperazione, l’ultimo momento possibile per l’esercizio, da parte della Commissione, del suo diritto di modifica e, a fortiori, della sua facoltà non scritta di ritiro corrisponde all’intervento di un accordo tra il Parlamento e il Consiglio.

    ( 52 ) Ritornerò sulla natura degli accordi interistituzionali nell’ambito del secondo motivo.

    ( 53 ) V., a tal proposito, in merito al requisito di trasparenza, l’articolo 16, paragrafo 8, TUE, in forza del quale il Consiglio si riunisce in seduta pubblica allorché delibera e vota in relazione ad un progetto di atto legislativo, vale a dire quando agisce in veste di legislatore. La trasparenza, al riguardo, contribuisce a rafforzare la democrazia permettendo ai cittadini di controllare tutte le informazioni che hanno costituito il fondamento di un atto legislativo. V., in tal senso, segnatamente, sentenza Svezia e Turco/Consiglio (C‑39/05 P e C‑52/05 P, EU:C:2008:374, punto 46).

    ( 54 ) V., mutatis mutandis, sentenza Parlamento/Consiglio (EU:C:1995:91, punto 23).

    ( 55 ) V., a tal proposito, ordinanza Parlamento/Commissione (C‑445/93, EU:C:1996:283). Tale aspetto è strettamente legato altresì al fatto che il potere di ritiro incontra un limite nell’articolo 241 TFUE, in quanto la Commissione deve poter esporre le ragioni soggiacenti ad una decisione di ritiro nell’ipotesi in cui il Consiglio chieda alla Commissione di sottoporgli tutte le proposte del caso, in applicazione dell’articolo citato. Le ragioni di cui trattasi devono segnatamente tendere a dimostrare che un’eventuale proposta legislativa non risponderebbe ad un interesse dell’Unione ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, TFUE. Ciò riflette del pari la questione del diritto di iniziativa de jure e de facto. V. documento della Convenzione, intitolato «Le droit d’initiative de la Commission», CONV 230/02, pag. 4.

    ( 56 ) La sola ipotesi dell’esame ex‑ante è quella della procedura di cui all’articolo 218, paragrafo 11, TFUE.V., recentemente, sentenza Consiglio/in ‘t Veld (C‑350/12 P, EU:C:2014:2039, punto 58).

    ( 57 ) V. Petite, M., op cit.

    ( 58 ) V. sentenze «Diossido di titanio» (EU:C:1991:244, punto 10), e Huber (C‑336/00, EU:C:2002:509, punto 30).

    ( 59 ) V. sentenza Commissione/Consiglio (C‑370/07, EU:C:2009:590, punti da 37 a 39).

    ( 60 ) Sentenza Parlamento/Consiglio (EU:C:1990:217, punto 20).

    ( 61 ) Sentenza Commissione/Consiglio (C‑63/12, EU:C:2013:752, punto 62).

    ( 62 ) V., in tal senso, sentenze Grecia/Consiglio (204/86, EU:C:1988:450, punto 16), e Parlamento/Consiglio (EU:C:1995:91, punti 23 e 27).

    ( 63 ) V., in tal senso, la dichiarazione comune del 2007.

    ( 64 ) Decisione 2009/937/UE del Consiglio, del 1o dicembre 2009, relativa all’adozione del suo regolamento interno (GU L 325, pag. 35; in prosieguo: il «regolamento interno del Consiglio»).

    ( 65 ) V., in tal senso, sentenza Parlamento/Consiglio (EU:C:1995:91, punti 27 e 28).

    ( 66 ) V., in particolare, sentenza Emsland‑Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punti 39, 52 e 53).

    ( 67 ) La Commissione si riferisce alla riunione del gruppo di lavoro dei consulenti finanziari del 26 febbraio 2013, l’incontro trilaterale del 27 febbraio 2013 (emerge dal fascicolo che la Commissione ha inviato il messaggio di posta elettronica del 12 aprile 2013 chiedendo la correzione del «quadro ricapitolativo» successivo a detto incontro trilaterale), alle riunioni del gruppo di lavoro dei consulenti finanziari del 9 aprile e del 2 maggio 2013, nonché all’incontro trilaterale del 25 aprile 2013.

    ( 68 ) V., in particolare, sentenze Spagna/Consiglio (C‑310/04, EU:C:2006:521, punto 69 e giurisprudenza ivi citata), nonché Spagna/Consiglio (C‑442/04, EU:C:2008:276, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

    ( 69 ) V., per un’approfondita analisi, Blumann, C., «Caractéristiques générales de la coopération interinstitutionnelle», L’union européenne carrefour de coopérations, LGDJ, 2000, pagg. da 29 a 61.

    ( 70 ) Sentenze Parlamento/Consiglio (EU:C:1995:91, punto 23), e Grecia/Consiglio (EU:C:1988:450, punto 16).

    ( 71 ) Si tratta infatti di un organo importante, la cui instaurazione risale agli anni ‘80, poiché gli incontri trilaterali sono stati istituiti dalla dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione concernente varie disposizioni volte a migliorare la procedura di bilancio (GU 1982, C 194, pag. 1).

    ( 72 ) Punto 8 della dichiarazione comune del 2007.

    ( 73 ) Esso è tuttavia considerato dalla dichiarazione comune del 2007, adottata prima del Trattato di Lisbona, da cui emerge (al punto 14) che, qualora un accordo è raggiunto in fase di prima lettura del Parlamento mediante negoziati informali, in sede di incontri trilaterali, il presidente del Coreper lo trasmette sotto forma di emendamenti alla proposta della Commissione.

    ( 74 ) V. punto 14 della dichiarazione comune del 2007.

    ( 75 ) Accordo quadro sulle relazioni tra il Parlamento europeo e la Commissione europea (GU 2010, L 304, pag. 47). Tale accordo è integrato al regolamento interno del Parlamento (quale allegato XIII).

    ( 76 ) V. documento comunicato dalla Commissione, intitolato «Report: Financial Counsellors WG of 26 February 2013, ECFIN/D2/NL/SN324590», pag. 3.

    ( 77 ) Ibidem, pag. 6: «He asked COM to encourage and not to withdraw its proposal».

    ( 78 ) Documento comunicato dalla Commissione, intitolato «Report: Financial Counsellors WG of 9 April 2013 on MFA, ECFIN/D2/NL dl Ares(2013)», pagg. 1 e 5.

    ( 79 ) Documento comunicato dalla Commissione, intitolato «ECFIN/D2/NL/ dl Ares (2013) Report: Financial Counsellors WG of 2 May 2013 on the MFA», pag. 2.

    ( 80 ) Sentenza Parlamento/Consiglio (EU:C:1995:91, punti 27 e 28).

    ( 81 ) V., segnatamente, sentenze Consiglio/Bamba (C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 50), e Kendrion/Commissione (C‑50/12 P, EU:C:2013:771, punti 41 e 42).

    ( 82 ) V., in tal senso, sentenze Commissione/Consiglio (EU:C:2009:590, punto 42), e Commissione/Consiglio (EU:C:2013:752, punto 28).

    ( 83 ) Peraltro, il fatto che le ragioni di una decisione procedurale non risultino nella menzione di cui una siffatta decisione deve, ai sensi degli articoli 8, paragrafo 4, e 16 del regolamento interno della Commissione (GU 2010, L 55, pag. 61), essere oggetto nell’ambito di un verbale della riunione o di una dichiarazione relativa agli atti, non rappresenterebbe una violazione dell’obbligo di motivazione.

    ( 84 ) V., segnatamente, sentenze Commissione/Consiglio (EU:C:2009:590, punti da 37 a 39 e 42), nonché Svizzera/Commissione (C‑547/10 P, EU:C:2013:139, punto 67).

    ( 85 ) Per la giurisprudenza che nega il carattere di atto impugnabile alla lettera di un commissario alla concorrenza nonché alla corrispondenza tra la DG e uno Stato membro, in quanto si tratta unicamente di una proposta di attenuazione dell’effetto restrittivo di un accordo tra imprese, v. sentenza Nefarma/Commissione (T‑113/89, EU:T:1990:82).

    ( 86 ) V. sentenza Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367, punto 36).

    ( 87 ) Sentenza Deutsche Telekom/Commissione (C‑280/08 P, EU:C:2010:60, punti 130 e 131).

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