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Document 62012TJ0017

Sentenza del Tribunale (Quinta Sezione) del 30 aprile 2014.
Moritz Hagenmeyer e Andreas Hahn contro Commissione europea.
Tutela dei consumatori – Regolamento (CE) n. 1924/2006 – Indicazioni sulla salute fornite sui prodotti alimentari – Diniego di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia – Menzione di un fattore di rischio – Legittimità del procedimento di autorizzazione delle indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia – Ricorso di annullamento – Interesse ad agire – Incidenza diretta e individuale – Ricevibilità – Proporzionalità – Obbligo di motivazione.
Causa T‑17/12.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2014:234

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

30 aprile 2014 ( *1 )

«Tutela dei consumatori — Regolamento (CE) n. 1924/2006 — Indicazioni sulla salute fornite sui prodotti alimentari — Diniego di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia — Menzione di un fattore di rischio — Legittimità del procedimento di autorizzazione delle indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia — Ricorso di annullamento — Interesse ad agire — Incidenza diretta e individuale — Ricevibilità — Proporzionalità — Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑17/12,

Moritz Hagenmeyer, residente in Amburgo (Germania),

Andreas Hahn, residente in Hannover (Germania),

rappresentati da T. Teufer, avvocato,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da L. Pignataro-Nolin e S. Grünheid, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da I. Šulce, Z. Kupčová e M. Simm, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda di annullamento parziale del regolamento (UE) n. 1170/2011 della Commissione, del 16 novembre 2011, relativo al diniego dell’autorizzazione di determinate indicazioni sulla salute fornite su prodotti alimentari e riguardanti la riduzione del rischio di malattia (GU L 299, pag. 1),

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto da A. Dittrich (relatore), presidente, J. Schwarcz e V. Tomljenović, giudici,

cancelliere: K. Andová, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 gennaio 2014,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti

1

I ricorrenti, sigg. Moritz Hagenmeyer e Andreas Hahn, sono, il primo, avvocato e docente di diritto alimentare presso l’università Leibniz di Hannover (Germania) e, il secondo, professore di scienze dell’alimentazione e della nutrizione umana presso tale università.

2

Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), e dell’articolo 15 del regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari (GU L 404, pag. 9), modificato da ultimo dal regolamento (UE) n. 116/2010 della Commissione del 9 febbraio 2010 (GU L 37, pag. 16) (in prosieguo: il «regolamento n. 1924/2006»), l’11 febbraio 2008 i ricorrenti chiedevano alla competente autorità tedesca, ossia al Bundesamt für Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit (Ufficio federale tedesco per la tutela dei consumatori e la sicurezza alimentare; in prosieguo: il «Bundesamt»), di autorizzare la seguente indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia: «Il consumo regolare di quantità significative di acqua può ridurre il rischio di disidratazione e di concomitante diminuzione dell’efficienza» (in prosieguo: l’«indicazione in questione»). La domanda si estendeva a qualsiasi altra indicazione alla quale il consumatore attribuirebbe, con tutta probabilità, lo stesso significato.

3

Il 10 marzo 2008, i ricorrenti inviavano nuovamente una richiesta di autorizzazione al Bundesamt, dopo essere stati informati da quest’ultimo, il 29 febbraio 2008, in risposta ad un quesito attinente allo stato di avanzamento della pratica, che la domanda inviata l’11 febbraio 2008 risultava introvabile presso il competente servizio del Bundesamt.

4

Con lettera dell’8 maggio 2008, il Bundesamt rilasciava ricevuta della domanda inviata l’11 febbraio 2008.

5

Con lettera del 21 luglio 2008, il Bundesamt richiamava l’attenzione del primo ricorrente sul fatto che, il 18 aprile 2008, la Commissione delle Comunità europee ha adottato il regolamento (CE) n. 353/2008, che fissa le norme d’attuazione relative alle richieste di autorizzazione delle indicazioni sulla salute di cui all’articolo 15 del regolamento (CE) n. 1924/2006 (GU L 109, pag. 11), chiedendogli di presentare nuovamente la domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione utilizzando i formulari editi all’uopo dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).

6

Con lettera del 21 agosto 2008 indirizzata al Bundesamt, i ricorrenti si rifiutavano di presentare nuovamente la domanda impiegando i formulari editi dall’EFSA, e chiedevano che la loro domanda venisse trasmessa senza indugio all’EFSA.

7

Con lettera del 15 settembre 2008, il Bundesamt trasmetteva la domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione all’EFSA, affinché essa formulasse il proprio parere sulla medesima ai sensi dell’articolo 16 del regolamento n. 1924/2006.

8

In risposta ad una lettera dei ricorrenti del 20 ottobre 2008, concernente i motivi del lasso di tempo trascorso fra la presentazione della domanda di cui trattasi e la sua trasmissione all’EFSA, il Bundesamt faceva presenta al primo ricorrente, con lettera dell’11 novembre 2008, di essere tenuto a trasmettere all’EFSA soltanto domande complete e valide e che taluni requisiti di natura formale nonché l’adozione, avvenuta medio tempore, di provvedimenti esecutivi avevano comportato un allungamento dei tempi necessari alla verifica delle domande.

9

Con lettera del 10 novembre 2008, il Bundesamt spiegava al primo ricorrente che l’EFSA gli aveva esposto i dubbi da essa nutriti quanto all’applicabilità dell’articolo 14 del regolamento n. 1924/2006 alla domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione, dal momento che tale indicazione non presentava, né direttamente né indirettamente, un collegamento con una malattia. Inoltre, il Bundesamt ha indicato che, ai fini dell’esame nella forma prescritta della domanda di cui trattasi da parte dell’EFSA, era necessario menzionare, nei documenti allegati a tale domanda, il rapporto scientifico fra un fattore di rischio e una o più malattie.

10

Dopo che, con lettera del 28 novembre 2008, i ricorrenti avevano dichiarato al Bundesamt che la domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione riguardava una malattia, ossia la «disidratazione e [la] concomitante diminuzione dell’efficienza», quest’ultimo rispondeva, con lettera del 18 dicembre 2008, che la trasmissione della domanda di cui trattasi richiedeva ancora l’indicazione di un fattore di rischio.

11

Con lettera del 10 febbraio 2009, i ricorrenti facevano presente al Bundesamt che la menzione di un fattore di rischio non era necessaria, ma che, in base ad un’esatta interpretazione dell’indicazione de qua, un ridotto contenuto di acqua nei tessuti avrebbe potuto essere inteso come un fattore di rischio. Inoltre, rammentando che la domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione si estendeva a qualsiasi altra indicazione alla quale il consumatore attribuirebbe, con tutta probabilità, lo stesso significato, i ricorrenti proponevano altre formulazioni dell’indicazione medesima, nei quali la perdita di acqua nei tessuti era menzionata quale fattore di rischio.

12

Con lettera del 20 marzo 2009, il Bundesamt trasmetteva all’EFSA le lettere dei ricorrenti del 28 novembre 2008 e del 10 febbraio 2009.

13

In risposta alle domande relative allo stato di avanzamento della pratica e alle lettere dei ricorrenti del 15 giugno, del 27 luglio, del 15 ottobre 2009 e del 15 gennaio 2010, l’EFSA comunicava, con lettere del 21 luglio, del 23 settembre, del 23 novembre 2009 e del 27 gennaio 2010, che, prima di procedere alla valutazione scientifica dell’indicazione in questione, la Commissione e gli Stati membri dovevano chiarire alcune questioni attinenti all’interpretazione delle disposizioni applicabili.

14

Con lettera del 9 luglio 2010, la Commissione informava il primo ricorrente che, alla luce delle discussioni del gruppo informale di lavoro sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute, svoltesi il 12 aprile 2010, la domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione non soddisfaceva i requisiti del regolamento n. 1924/2006, in quanto essa non designava alcun fattore di rischio.

15

In risposta alla lettera dell’EFSA del 1o ottobre 2010, che invitava i ricorrenti a precisare il fattore di rischio sul quale essi proponevano di agire al fine di ridurre il rischio di malattia, i ricorrenti insistevano, con lettera del 25 ottobre 2010, sulla loro posizione, espressa nella loro lettera del 10 febbraio 2009.

16

Il 28 gennaio 2011, l’EFSA adottava il proprio parere scientifico sul fondamento dell’indicazione in questione, in forza dell’articolo 16 del regolamento n. 1924/2006. In tale parere, l’EFSA affermava che i fattori di rischio proposti dai ricorrenti costituivano misure di deplezione dell’acqua e, quindi, misure della malattia. Di conseguenza, l’indicazione in questione non era conforme, a suo avviso, ai requisiti relativi ad un’indicazione sulla riduzione dei rischi di malattia, ai sensi dell’articolo 14 del regolamento n. 1924/2006.

17

Il 16 febbraio 2011, il parere scientifico dell’EFSA veniva reso pubblico, in conformità dell’articolo 16, paragrafo 6, primo comma, del regolamento n. 1924/2006. Nei trenta giorni successivi a tale pubblicazione, i ricorrenti, nonché terzi interessati, presentavano osservazioni alla Commissione relative al parere dell’EFSA, ai sensi del paragrafo 6, secondo comma, di tale articolo.

18

Il 28 aprile 2011, la Commissione sottoponeva al comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali (in prosieguo: il «comitato»), istituito dall’articolo 58, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1), un progetto di regolamento relativo al diniego dell’autorizzazione di talune indicazioni sulla salute fornite sui prodotti alimentari e facenti riferimento alla riduzione di un rischio di malattia e, segnatamente, all’indicazione in questione.

19

Il 30 giugno 2011, su domanda della Commissione, l’EFSA produceva un rapporto tecnico che rispondeva a talune osservazioni rivolte da terzi interessati ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006.

20

L’11 luglio 2011, secondo la procedura di regolamentazione con controllo, prevista dall’articolo 17, paragrafo 3, e dall’articolo 25, paragrafo 3, del regolamento n. 1924/2006, il comitato si pronunciava all’unanimità a favore dell’adozione del progetto di regolamento della Commissione e, il 26 luglio 2011, tale progetto veniva sottoposto per controllo al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea, i quali non formulavano obiezioni.

21

Il 16 novembre 2011, la Commissione adottava il regolamento (UE) n. 1170/2011, relativo al diniego dell’autorizzazione di determinate indicazioni sulla salute fornite su prodotti alimentari e riguardanti la riduzione del rischio di malattia (GU L 299, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento impugnato»). In virtù dell’articolo 1, in combinato con l’allegato a tale regolamento, l’indicazione in questione non è inserita nell’elenco delle indicazioni consentite dell’Unione europea, di cui all’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1924/2006. Per motivare tale diniego di autorizzazione, la Commissione concludeva, in particolare, al considerando 6 del regolamento impugnato, richiamando l’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, del regolamento n. 1924/2006 e il parere scientifico dell’EFSA, che, non risultando dimostrata la riduzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia, l’indicazione in questione non era conforme alle prescrizioni del regolamento (CE) n. 1924/2006 e non poteva essere autorizzata.

22

Con lettera del 28 novembre 2011, la Commissione informava i ricorrenti in merito alla propria decisione definitiva sulla domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione, contenuta nel regolamento impugnato.

Procedimento e conclusioni delle parti

23

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 gennaio 2012, i ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

24

Con separato atto, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 marzo 2012, la Commissione ha sollevato eccezione di irricevibilità ex articolo 114, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale. Il 14 maggio 2012, i ricorrenti hanno depositato le loro osservazioni sull’eccezione di irricevibilità.

25

Con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 16 aprile 2012, il Consiglio ha chiesto di intervenire a sostegno della Commissione. Il 16 maggio 2012, il presidente della Settima Sezione del Tribunale ha deciso di sospendere l’esame della domanda di intervento fino alla decisione sull’eccezione di irricevibilità.

26

Con ordinanza del Tribunale (Settima Sezione) del 23 novembre 2012, l’eccezione d’irricevibilità è stata riunita al merito e le spese sono state riservate.

27

Con ordinanza del presidente della Settima Sezione del Tribunale del 4 febbraio 2013, sentite le parti nel procedimento principale, la domanda di intervento del Consiglio è stata accolta. Il Consiglio ha depositato propria memoria di intervento il 15 marzo 2013. Con memoria depositata presso la cancelleria del Tribunale il 17 maggio 2013, i ricorrenti hanno presentato le loro osservazioni relativamente a tale memoria. La Commissione non ha presentato osservazioni in merito alla memoria medesima.

28

A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Quinta Sezione alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

29

Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di passare alla fase orale del procedimento.

30

Le difese orali delle parti e le risposte ai quesiti posti dal Tribunale sono state sentite all’udienza del 15 gennaio 2014. Nel corso di tale udienza, la Commissione ha ritirato la propria domanda di non luogo a statuire, del che è stato preso atto nel verbale.

31

I ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

dichiarare nulla la parte del regolamento impugnato concernente l’indicazione in questione;

condannare la Commissione alle spese.

32

La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

dichiarare il ricorso irricevibile o, in subordine, infondato;

condannare i ricorrenti alle spese.

33

Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

regolare conseguentemente le spese.

In diritto

34

Prima di analizzare i motivi e gli argomenti dedotti dalle parti nel merito, occorre esaminare l’eccezione di irricevibilità della Commissione.

Sulla ricevibilità

35

A sostegno della propria eccezione di irricevibilità, la Commissione deduce due motivi di irricevibilità. Il primo attiene all’assenza di interesse ad agire dei ricorrenti, mentre il secondo riguarda la carenza di legittimazione ad agire dei ricorrenti, sulla base del rilievo che quest’ultimi non sarebbero interessati dal regolamento impugnato né direttamente né individualmente.

Sul primo motivo di irricevibilità, attinente all’assenza di interesse ad agire

36

La Commissione fa valere che i ricorrenti non hanno interesse ad agire, dal momento che l’indicazione in questione sarebbe stata dettata unicamente da un interesse teorico per il regolamento n. 1924/2006. Ciò si evincerebbe, da un lato, dal fatto che i ricorrenti avrebbero avviato il procedimento amministrativo relativo all’indicazione in questione invocando la loro potenziale attività di operatori del settore alimentare o di rappresentanti potenziali di tali operatori e, dall’altro, dal fatto che essi, in occasione della presentazione pubblica di tale procedimento amministrativo in una rivista specializzata, avrebbero sostenuto che la possibilità di richiedere un’autorizzazione era stata offerta dal regolamento n. 1924/2006 nell’interesse di tutta l’umanità. Secondo la Commissione, anche se chiunque può avviare un procedimento inteso ad ottenere l’autorizzazione di un’indicazione ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1924/2006, da ciò non consegue che chiunque abbia parimenti interesse ad ottenere l’annullamento di un regolamento con il quale venga respinta una domanda di inserire un’indicazione nell’elenco delle indicazioni consentite da tale disposizione. L’interesse ad agire non discenderebbe, segnatamente, dal fatto che i ricorrenti abbiano richiesto l’autorizzazione ad utilizzare l’indicazione in questione e che l’adozione del regolamento impugnato ha concluso il procedimento amministrativo.

37

I ricorrenti affermano di avere un interesse ad agire in ragione del loro diritto di richiedere l’autorizzazione dell’indicazione in questione, prevista dall’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1924/2006. Essi sarebbero titolari di un interesse giuridico diretto proprio, che potrebbe parimenti essere utilizzato a fini economici. Secondo i ricorrenti, essi non hanno a disposizione alcun mezzo di ricorso giurisdizionale per ottenere l’annullamento del regolamento impugnato che ha respinto la loro domanda di autorizzazione a seguito di un esame nel merito di quest’ultima da parte della Commissione. La questione se i ricorrenti siano operatori del settore alimentare o se rappresentino tali operatori non rileverebbe. Secondo i ricorrenti, una volta ottenuta l’autorizzazione della loro indicazione sulla salute, essi potrebbero divenire in qualsiasi momento operatori del genere o collaborare con questi ultimi al fine di utilizzare commercialmente tale indicazione. Essi sottolineano che il loro interesse risiede nel fatto di ottenere l’autorizzazione dell’indicazione in questione, di utilizzarla loro stessi e di renderla, al contempo, utilizzabile per altri.

38

Secondo una giurisprudenza costante, l’interesse ad agire di un ricorrente deve sussistere, relativamente all’oggetto del ricorso, nella fase della presentazione dello stesso pena l’irricevibilità. Tale oggetto della controversia deve perdurare, così come l’interesse ad agire, fino alla pronuncia della decisione del giudice, pena il non luogo a statuire, il che presuppone che il ricorso possa, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che l’ha proposto (v. sentenza della Corte del 17 aprile 2008, Flaherty e a./Commissione, C-373/06 P, C-379/06 P e C-382/06 P, Racc. pag. I-2649, punto 25, e la giurisprudenza citata) e che essa dimostri di possedere un interesse esistente ed attuale all’annullamento dell’atto impugnato (v. sentenza del Tribunale del 19 giugno 2009, Socratec/Commissione, T‑269/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 36, e la giurisprudenza citata). Tale requisito garantisce, infatti, a livello processuale, che il giudice dell’Unione non venga investito di domande di pareri e/o di questioni meramente teoriche (sentenza Socratec/Commissione, cit., punto 38).

39

Si evince parimenti dalla giurisprudenza che è il ricorrente a dover fornire la prova del proprio interesse ad agire, che costituisce il presupposto essenziale e preliminare di qualsiasi azione giurisdizionale (ordinanza del presidente della Seconda Sezione della Corte del 31 luglio 1989, S./Commissione, 206/89 R, Racc. pag. 2841, punto 8; sentenza del Tribunale del 14 aprile 2005, Sniace/Commissione, T-141/03, Racc. pag. II-1197, punto 31). Inoltre, qualora l’interesse sul quale si fonda l’azione del ricorrente riguardi una situazione giuridica futura, egli dovrà stabilire che il pregiudizio a questa situazione è comunque già certo. Di conseguenza, un ricorrente non può fare riferimento a situazioni future e incerte per dimostrare il proprio interesse a richiedere l’annullamento dell’atto impugnato (sentenze del Tribunale del 17 settembre 1992, NBV e NVB/Commissione, T-138/89, Racc. pag. II-2181, punto 33, e Sniace/Commissione, cit., punto 26).

40

Occorre rilevare, come asserito dai ricorrenti, che il regolamento impugnato è caratterizzato da natura ibrida. Infatti, tale regolamento riveste, al contempo, carattere normativo nei confronti di tutti gli operatori del settore alimentare e carattere decisionale nei confronti dei richiedenti l’autorizzazione.

41

Da un lato, escludendo l’indicazione in questione dall’elenco delle indicazioni consentite dell’Unione di cui all’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, il regolamento impugnato mira a vietare a tutti gli operatori del settore alimentare l’utilizzazione di tale indicazione. Infatti, come si evince dall’articolo 1, paragrafo 2, primo comma, del regolamento n. 1924/2006, quest’ultimo si applica alle indicazioni figuranti in comunicazioni commerciali. Inoltre, l’articolo 6, paragrafo 2, di tale regolamento prende in considerazione l’operatore del settore alimentare che, quando formula un’indicazione sulla salute, deve giustificare l’impiego di tale indicazione. Ancora, secondo l’articolo 17, paragrafo 5, di detto regolamento, le indicazioni sulla salute incluse nell’elenco di cui all’articolo 14 possono, in linea di principio, essere utilizzate da qualsiasi operatore del settore alimentare.

42

Dall’altro, occorre rilevare che la presente controversia verte su un procedimento di autorizzazione concernente un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1924/2006. La decisione definitiva sulla domanda di autorizzazione, presentata dai ricorrenti a norma dell’articolo 15 di tale regolamento, è stata presa in considerazione dalla Commissione nel regolamento impugnato, in forza dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento n. 1924/2006, come si evince dall’articolo 1 e dall’allegato al regolamento impugnato. È sulla base di quest’ultimo, che conclude il procedimento di autorizzazione previsto agli articoli da 14 a 17 del regolamento n. 1924/2006, che tale domanda è stata dunque respinta, come confermato dalla lettera della Commissione del 28 novembre 2011 ai ricorrenti.

43

Ciò si evince parimenti dai considerando 5, 6 e 9 del regolamento impugnato, i quali fanno espressamente riferimento alla domanda dei ricorrenti. Il considerando 5 di detto regolamento indica, a tal riguardo, che, in seguito a tale domanda, è stato richiesto all’EFSA di esprimere un parere in merito all’indicazione sulla salute riguardante gli effetti dell’acqua e la riduzione del rischio di disidratazione e di concomitante diminuzione dell’efficienza. Tale considerando riporta anche il testo dell’indicazione in questione. Il considerando 6 del regolamento impugnato riassume il procedimento di autorizzazione relativo all’indicazione in questione. Secondo il considerando 9 del regolamento impugnato, nel definire le misure previste da tale regolamento si è tenuto conto delle osservazioni dei richiedenti e dei cittadini pervenute alla Commissione conformemente alle disposizioni di cui all’articolo 16, paragrafo 6, del regolamento n. 1924/2006.

44

Emerge dall’articolo 15 del regolamento n. 1924/2006 che il legislatore intendeva consentire a qualsiasi persona fisica o giuridica di presentare una domanda di autorizzazione, e che esso non ha ristretto la cerchia dei richiedenti un’autorizzazione, circostanza che la Commissione ha peraltro ammesso espressamente all’udienza. Infatti, le norme procedurali previste agli articoli da 15 a 17 e 19 del regolamento n. 1924/2006 non prevedono, contrariamente alle norme procedurali previste all’articolo 18 di tale regolamento, che un operatore del settore alimentare possa chiedere di ottenere l’autorizzazione di una siffatta indicazione. Esse si limitano a fare riferimento, in termini generali, ai richiedenti. Inoltre, occorre rilevare che la Commissione non ha respinto la domanda dei ricorrenti sulla base del rilievo che essi non erano autorizzati a domandare l’autorizzazione dell’indicazione in questione.

45

Ciò premesso, una persona che abbia presentato, nel rispetto delle norme al riguardo applicabili, domanda di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia, ha manifestatamene un interesse a chiedere l’annullamento di una decisione che nega la corrispondente autorizzazione. L’annullamento di una decisione con cui la Commissione nega l’autorizzazione richiesta ha, infatti, come conseguenza per tutti coloro le cui domande sono state respinte, che il rilascio di un’autorizzazione diviene nuovamente possibile al termine del nuovo esame di tali domande, cui la Commissione è tenuta a procedere [v., in tal senso, sentenza Flaherty e a./Commissione, punto 38 supra, punti 32 e 33, e sentenza del Tribunale del 3 dicembre 2009, Iranian Tobacco/UAMI – AD Bulgartabac (TIR 20 FILTER CIGARETTES), T‑245/08, non pubblicata nella Raccolta, punti da 17 a 22].

46

Tale conclusione non viene rimessa in discussione dall’argomento della Commissione secondo il quale i ricorrenti sarebbero unicamente titolari di un interesse teorico relativo al regolamento n. 1924/2006. Se è vero che il giudice dell’Unione non può essere investito di questioni meramente teoriche, resta il fatto che il caso di specie non riguarda questioni del genere. Infatti, il presente ricorso verte sul rigetto della domanda individuale di autorizzazione presentata dai ricorrenti in conformità del procedimento previsto dagli articoli da 14 a 17 del regolamento n. 1924/2006.

47

Di conseguenza, il primo motivo di irricevibilità deve essere respinto.

Sul secondo motivo di irricevibilità, attinente al difetto di legittimazione ad agire

48

La Commissione fa valere che i ricorrenti sono privi di legittimazione ad agire, in quanto non sarebbero interessati né direttamente né individualmente dal regolamento impugnato.

– Sull’incidenza diretta sui ricorrenti

49

La Commissione sostiene che i ricorrenti non sono interessati direttamente dal regolamento impugnato, in quanto la qualificazione dell’indicazione in tale regolamento riguarderebbe direttamente soltanto gli operatori del settore alimentare ai sensi del regolamento n. 1924/2006, ai quali il regolamento impugnato vieterebbe di utilizzare tale indicazione nell’ambito delle loro attività economiche. I ricorrenti non avrebbero affermato di esercitare essi stessi un’attività di operatore del settore alimentare al momento della presentazione del loro ricorso né avrebbero indicato se, come, in quale contesto o per quali prodotti essi, in quanto soggetti interessati, avrebbero utilizzato essi stessi l’indicazione in questione. Un interesse meramente intellettuale per l’economia del regolamento n. 1924/2006 e per l’indicazione in questione non sarebbe sufficiente ad assumere un’incidenza diretta.

50

Ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste al primo e secondo comma di suddetto articolo, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione.

51

Nella specie, il regolamento impugnato non è stato indirizzato ai ricorrenti, i quali non sono pertanto destinatari di tale atto. Se è vero che, con lettera del 28 novembre 2011, la Commissione ha informato i ricorrenti, ex articolo 17, paragrafo 4, del regolamento n. 1924/2006, della sua decisione definitiva in merito alla propria domanda di autorizzazione contenuta nel regolamento impugnato, ciò non toglie che tale informazione non consente di concludere che il regolamento impugnato sia stato indirizzato ai ricorrenti. Infatti, un regolamento, il quale ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 288, secondo comma, TFUE, non è indirizzato ad un destinatario particolare, bensì è pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, in conformità dell’articolo 297, paragrafo 2, secondo comma, TFUE. In tal senso, il regolamento impugnato è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 17 novembre 2011, a norma del suo articolo 2.

52

In tale situazione, in base dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, i ricorrenti potevano proporre ricorso di annullamento avverso il regolamento impugnato solo a condizione che questo li riguardasse direttamente.

53

Per quanto attiene all’incidenza diretta, secondo giurisprudenza costante, tale condizione esige, in primo luogo, che il provvedimento contestato produca direttamente effetti sulla situazione giuridica del singolo e, in secondo luogo, che non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari del provvedimento stesso incaricati della sua applicazione, applicazione avente carattere meramente automatico e derivante dalla sola normativa dell’Unione senza intervento di altre norme intermedie (sentenze della Corte del 5 maggio 1998, Dreyfus/Commissione, C-386/96 P, Racc. pag. I-2309, punto 43; del 29 giugno 2004, Front national/Parlamento, C-486/01 P, Racc. pag. I-6289, punto 34, e del 10 settembre 2009, Commissione/Ente per le Ville vesuviane e Ente per le Ville vesuviane/Commissione, C-445/07 P e C-455/07 P, Racc. pag. I-7993, punto 45).

54

Occorre dunque verificare se il regolamento impugnato produca direttamente effetti sulla situazione giuridica dei ricorrenti.

55

A tal riguardo, occorre rammentare che il regolamento impugnato riveste natura ibrida (v. punti da 40 a 43 supra).

56

Da un lato, poiché il legislatore intendeva consentire a qualsiasi persona fisica o giuridica di presentare domanda di autorizzazione ai sensi dell’articolo 15 del regolamento n. 1924/2006, e la decisione definitiva di diniego relativa alla domanda di autorizzazione dei ricorrenti figura nel regolamento impugnato, il quale conclude il procedimento di autorizzazione di cui agli articoli da 14 a 17 del regolamento n. 1924/2006, si deve rilevare che il regolamento impugnato produce direttamente effetti sulla situazione giuridica dei ricorrenti. Dall’altro, va osservato che tale decisione di diniego ha un carattere meramente automatico e derivante dal solo regolamento impugnato, senza intervento di altre norme intermedie.

57

Di conseguenza, il regolamento impugnato riguarda direttamente i ricorrenti ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

– Sull’incidenza individuale sui ricorrenti

58

La Commissione fa valere che i ricorrenti non sono individualmente interessati dal regolamento impugnato, poiché quest’ultimo, quale normativa che si focalizzerebbe sulle norme sostanziali e non sulle persone, vieterebbe a chiunque di utilizzare l’indicazione in questione. Inoltre, il mero deposito di una domanda di autorizzazione di utilizzare un’indicazione, nonché la corrispondenza eventualmente scambiata successivamente con le autorità adite non possono bastare a conferire al richiedente la legittimazione ad agire.

59

Ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, il presente ricorso è ricevibile soltanto se i ricorrenti sono interessati individualmente dal regolamento impugnato o se quest’ultimo costituisce un atto regolamentare che non comporta alcuna misura d’esecuzione.

60

Secondo costante giurisprudenza della Corte, i soggetti diversi dai destinatari di un atto possono sostenere che esso li riguarda individualmente solo se detto atto li concerne a causa di determinate qualità loro personali o di una situazione di fatto che li caratterizzi rispetto a chiunque altro e, quindi, li distingue in modo analogo ai destinatari (v. sentenze della Corte del 15 luglio 1963, Plaumann/Commissione, 25/62, Racc. pag. 197, 223, e Flaherty e a./Commissione, punto 38 supra, punto 36, e la giurisprudenza citata).

61

Per gli stessi motivi indicati ai punti da 38 a 45 supra, concernenti l’interesse ad agire, si deve rilevare che il regolamento impugnato riguarda i ricorrenti individualmente. Infatti, poiché essi hanno presentato domanda individuale di autorizzazione dell’indicazione in questione, è sufficiente rilevare che ciò costituisce una circostanza suscettibile, in conformità della giurisprudenza richiamata al punto 60 supra, di caratterizzarli rispetto a chiunque altro e di distinguerli in modo analogo ai destinatari di un atto (v., in tal senso, sentenza Flaherty e a./Commissione, punto 38 supra, punto 41, e sentenza della Corte del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione, C-463/10 P e C-475/10 P, Racc. pag. I-9639, punto 74).

62

Dalle suesposte considerazioni emerge che l’argomento della Commissione relativo all’incidenza individuale sui ricorrenti deve essere respinto.

63

Ne consegue che il secondo motivo di irricevibilità e, quindi, l’eccezione di irricevibilità della Commissione, devono essere respinti.

Nel merito

64

A sostegno del ricorso, i ricorrenti deducono nove motivi. I primi quattro motivi attengono alla violazione del diritto dell’Unione, risultante, in primo luogo, dall’assenza di necessità della menzione di un fattore di rischio; in secondo luogo, dal fatto che la Commissione non avrebbe tenuto conto della menzione effettiva di un fattore di rischio; in terzo luogo, dal fatto che il regolamento impugnato sarebbe sproporzionato, e, in quarto luogo, dalla carenza di un fondamento normativo sufficiente. I quattro motivi successivi attengono alla violazione delle forme sostanziali, risultante dall’adozione, da parte della Commissione, di un regolamento anziché di una decisione (quinto motivo); dall’inosservanza della ripartizione delle competenze (sesto motivo); dall’assenza di una decisione adottata entro il termine impartito (settimo motivo) e dalla carente considerazione delle osservazioni dei ricorrenti e dei terzi interessati (ottavo motivo). Infine, il nono motivo riguarda la violazione dell’obbligo di motivazione.

Sul primo motivo, attinente ad un errore di diritto risultante dall’assenza di necessità di menzionare un fattore di rischio

65

I ricorrenti fanno valere che la Commissione, avendo ritenuto obbligatoria la menzione, nella domanda di autorizzazione, di un fattore di rischio, benché un requisito di tal genere non risulti dal regolamento n. 1924/2006, è incorsa in una violazione del diritto dell’Unione.

66

Dal considerando 6 del regolamento impugnato emerge che la Commissione ha negato l’autorizzazione dell’indicazione in questione sulla base del rilievo che quest’ultima non era conforme alle prescrizioni del regolamento n. 1924/2006, non essendo stata dimostrata la riduzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia. Ne consegue che, secondo la Commissione, l’autorizzazione dell’indicazione in questione esigeva la menzione, da parte del richiedente, di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia. La Commissione ritiene che una menzione di tal genere avrebbe potuto essere effettuata nella proposta di testo dell’indicazione in questione oppure nei documenti che accompagnavano la domanda di autorizzazione.

67

Occorre dunque esaminare se, in occasione della domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione, i ricorrenti dovessero menzionare, nel testo proposto per tale indicazione o nei documenti che accompagnavano la domanda di autorizzazione, un fattore di rischio di sviluppo di una malattia.

68

Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1924/2006, le indicazioni sulla riduzione dei rischi di malattia possono essere fornite qualora ne sia stato autorizzato, secondo la procedura di cui agli articoli da 15 a 17 e 19 di tale regolamento, l’inserimento in un elenco dell’Unione di tali indicazioni consentite, unitamente a tutte le condizioni necessarie per il loro impiego. L’articolo 15, paragrafo 3, del regolamento n. 1924/2006 contiene gli elementi che il richiedente deve accludere alla propria domanda.

69

Se è vero che, come asserito dai ricorrenti, il dettato dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), e quello dell’articolo 15, paragrafo 3, del regolamento n. 1924/2006 non menzionano i termini «fattore di rischio», ciò non toglie che la nozione di indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia viene definita all’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, di tale regolamento. Ai sensi di tale definizione, tale nozione comprende qualunque indicazione sulla salute che affermi, suggerisca o sottintenda che il consumo di una categoria di alimenti, di un alimento o di uno dei suoi componenti riduce significativamente un fattore di rischio di sviluppo di una malattia umana.

70

A tal riguardo, i ricorrenti fanno valere che la nozione di «indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, del regolamento n. 1924/2006, deve essere interpretata in maniera ampia e comprende qualsiasi riduzione di un rischio di malattia suggerito o sottinteso, in quanto il legislatore non avrebbe operato una distinzione fra tale nozione e quella di «rischi di malattia», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento, come si evincerebbe parimenti da un comunicato stampa della Commissione e dalla sentenza della Corte del 18 luglio 2013, Green Swan (C‑299/12, punto 25). Inoltre, i ricorrenti sottolineano che, secondo le regole generali di comprensione linguistica e l’utilizzazione nella prassi, non sussiste una differenza sostanziale fra un rischio e un fattore di rischio.

71

Tale argomento va respinto. Infatti, è vero che il giudice dell’Unione ha già avuto modo di dichiarare che un determinato elemento della nozione di indicazioni sulla salute ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 5, del regolamento n. 1924/2006, ossia il termine «rapporto» che deve esistere tra un alimento o uno dei suoi componenti, da una parte, e la salute, dall’altra, deve essere inteso in senso ampio (sentenza della Corte del 6 settembre 2012, Deutsches Weintor, C‑544/10, punto 34). Tuttavia, va rilevato che, anche ammesso che il legislatore abbia inteso accogliere un’interpretazione ampia della nozione di indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, del regolamento n. 1924/2006, ciò non consentirebbe di ignorare la sua componente «fattore di rischio». Inoltre, se esso avesse voluto comprendere qualsiasi riduzione di un rischio di malattia, senza fondarsi sulla necessità dell’esistenza di un fattore di rischio, non avrebbe avuto bisogno di definire tale nozione, la quale menziona espressamente il requisito di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia. Del resto, nella parte in cui i ricorrenti richiamano, in tale contesto, un comunicato stampa della Commissione, occorre rilevare che tale comunicato è privo di valore giuridico nell’ambito della presente causa.

72

Per quanto riguarda l’argomento relativo alla sentenza Green Swan, punto 70 supra, va rilevato che la Corte, nella parte di tale sentenza cui fanno riferimento i ricorrenti, ha interpretato l’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, del regolamento n. 1924/2006 nel senso che, per essere qualificate come «indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia» ai sensi di tale disposizione, le indicazioni sulla salute non devono necessariamente menzionare esplicitamente che il consumo di una categoria di alimenti, di un alimento o di uno dei suoi componenti riduce «significativamente» un fattore di rischio di sviluppo di una malattia umana. Orbene, poiché tale questione non è rilevante nella specie, l’argomento dei ricorrenti deve essere respinto.

73

L’autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, del regolamento n. 1924/2006, esige pertanto, in primo luogo, oltre alla menzione di una malattia, quella di un fattore di rischio di sviluppo di tale malattia e, in secondo luogo, la constatazione che il consumo di una categoria di alimenti, di un alimento o di uno dei suoi componenti riduce significativamente tale fattore di rischio.

74

Ne consegue che, affinché la Commissione potesse procedere all’esame della domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione, era necessaria la menzione, da parte dei ricorrenti, oltre che di una malattia, di un fattore di rischio di sviluppo di tale malattia.

75

Anche se era sufficiente che tale menzione emergesse, quantomeno implicitamente, dal testo proposto per tale indicazione o dai documenti che accompagnavano la domanda di autorizzazione, ciò non toglie che i ricorrenti dovevano menzionare una malattia e un fattore di rischio concreto di sviluppo di quest’ultima, il quale, a loro avviso, verrebbe significativamente ridotto. Infatti, il legislatore ha riconosciuto, all’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 1924/2006, che una malattia è dovuta a molteplici fattori di rischio. Ai sensi di tale disposizione, l’etichettatura o, in mancanza di etichettatura, la presentazione o pubblicità reca parimenti una dicitura indicante che la malattia cui l’indicazione fa riferimento è dovuta a molteplici fattori di rischio e che l’intervento su uno di questi fattori può anche non avere un effetto benefico. Di conseguenza, senza menzione di una malattia e di un fattore di rischio concreto da parte dei ricorrenti, la Commissione non era in grado di valutare quale fattore di rischio di sviluppo di quale malattia venisse significativamente ridotto dal consumo regolare di quantità significative d’acqua.

76

Peraltro, occorre rilevare, come asserito dalla Commissione, che una siffatta interpretazione della nozione di indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia garantisce il rispetto del principio, contemplato dall’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006 e dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (GU L 109, pag. 29), secondo il quale l’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono attribuire ad un prodotto alimentare proprietà di prevenzione.

77

L’argomento dei ricorrenti, secondo il quale la Commissione ha erroneamente ritenuto obbligatoria la menzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia, deve dunque essere respinto.

78

Tale conclusione non è rimessa in discussione dagli altri argomenti dei ricorrenti.

79

In primo luogo, i ricorrenti fanno valere che non era possibile respingere la loro domanda di autorizzazione sulla base del rilievo che essa non era conforme alle prescrizioni del regolamento n. 1924/2006, in quanto, in forza del combinato dell’articolo 17, paragrafo 1, dell’articolo 16, paragrafo 3, e dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, sarebbe spettato alla Commissione verificare, sulla base degli atti della domanda e del parere dell’EFSA, se l’indicazione in questione si fondava su prove scientifiche e se il testo della stessa era conforme ai criteri enunciati in tale regolamento. Tuttavia, la Commissione e l’EFSA si sarebbero astenute dal procedere all’esame delle prove scientifiche apportate dai ricorrenti nel corso del procedimento di autorizzazione. Inoltre, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, la Commissione non avrebbe fondato la propria decisione né sulle disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione né su altri fattori legittimi pertinenti.

80

A tal riguardo, occorre rilevare che, al fine di poter procedere, sulla base degli atti della domanda e del parere dell’EFSA, all’esame delle prove scientifiche prodotte dai ricorrenti e, successivamente, all’adozione di una decisione definitiva su tale domanda, tenuto conto di ogni disposizione pertinente del diritto dell’Unione e di altri fattori legittimi pertinenti alla questione considerata, la Commissione doveva disporre di una domanda di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, e dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1924/2006. Orbene, come già rilevato (v. punto 75 supra), una domanda di tal genere esigeva la menzione, da parte dei ricorrenti, accanto alla malattia di cui trattasi, di un fattore di rischio concreto di sviluppo della stessa il quale, a loro avviso, verrebbe significativamente ridotto.

81

Nella misura in cui i ricorrenti affermano al riguardo, facendo valere che l’indicazione in questione non è ingannevole, che esiste un consenso scientifico in ordine a tale indicazione, cosicché una prova scientifica non sarebbe stata necessaria, e che, per tutelare i consumatori, la Commissione non avrebbe dovuto adottare la restrizione prevista nel regolamento impugnato, occorre rammentare che la Commissione non ha negato l’autorizzazione dell’indicazione in questione fondandosi sull’assenza di prove scientifiche sul rapporto fra la disidratazione e la concomitante diminuzione dell’efficienza. L’autorizzazione è stata negata sulla base del rilievo che l’esistenza di una riduzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia, necessaria secondo il sistema fissato dal regolamento n. 1924/2006, non era dimostrata. Inoltre, come si evince dall’articolo 13 del regolamento n. 1924/2006, il sistema fissato da tale regolamento consente l’autorizzazione delle indicazioni sulla salute diverse da quelle che fanno riferimento alla riduzione di un rischio di malattia, le quali non esigono la menzione di un fattore di rischio. Una situazione del genere non ricorre, tuttavia, nel caso della domanda in questione. L’argomento dei ricorrenti non può pertanto essere accolto.

82

In secondo luogo, i ricorrenti fanno valere che il paragrafo 2.2.3 degli orientamenti sull’utilizzo delle indicazioni nutrizionali e sulla salute, adottati dalla Commissione del Codex Alimentarius dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) nel 1997, nella versione riveduta del 2004 e modificata, da ultimo, nel 2008 (CAC/GL 23-1997), contiene due esempi di indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia, i quali non menzionano espressamente un fattore di rischio specifico.

83

A tal riguardo, da un lato, va rilevato che è vero che si evince dal considerando 7 del regolamento n. 1924/2006 che il legislatore ha riservato la dovuta considerazione alle definizioni e alle condizioni contenute in tali orientamenti. Tuttavia, al fine di definire la nozione di indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia, il legislatore non si è limitato a richiamare la definizione figurante in tali orientamenti, ma ha incluso una definizione propria all’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, di tale regolamento. Dall’altro lato, occorre rilevare che il paragrafo 2.2.3 di tali orientamenti, nel definire l’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia, menziona l’esistenza di un fattore di rischio. Infatti, secondo tale definizione, la riduzione del rischio significa la modifica sostanziale di uno o più fattori di rischio importanti nello sviluppo di una malattia o di uno stato di salute specifico. Suddetta definizione indica che le malattie hanno molteplici fattori di rischio e che la modifica di uno di tali fattori può avere o meno un effetto benefico. Di conseguenza, l’argomento dei ricorrenti deve essere respinto.

84

In terzo luogo, occorre respingere l’argomento dei ricorrenti secondo il quale, nel suo regolamento (CE) n. 1024/2009, del 29 ottobre 2009, relativo all’autorizzazione e al diniego dell’autorizzazione di alcune indicazioni sulla salute fornite sui prodotti alimentari e facenti riferimento alla riduzione dei rischi di malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini (GU L 283, pag. 22), la Commissione ha autorizzato un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia riguardante gli effetti delle gomme da masticare/pastiglie a base di xilitolo sul rischio di carie dentaria, senza ritenere necessaria la menzione di un fattore di rischio. Infatti, l’indicazione autorizzata dalla Commissione nel regolamento n. 1024/2009 indica chiaramente che la placca dentaria costituiva il fattore di rischio preso in considerazione. Inoltre, la nozione di indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, del regolamento n. 1924/2006, poiché presenta carattere giuridico e deve essere interpretata sulla base di elementi obiettivi, non può dipendere da una valutazione soggettiva della Commissione e deve essere determinata indipendentemente da ogni prassi anteriore di tale istituzione (v., in tal senso, sentenze della Corte del 20 maggio 2010, Todaro Nunziatina & C., C-138/09, Racc. pag. I-4561, punto 21, e del Tribunale del 27 settembre 2012, Wam Industriale/Commissione, T‑303/10, punto 82). Inoltre, occorre rammentare che il principio della parità di trattamento non può essere invocato per giustificare il ripetersi di un’interpretazione non corretta di un atto (sentenza della Corte del 24 marzo 1993, CIRFS e a./Commissione, C-313/90, Racc. pag. I-1125, punto 45).

85

Il primo motivo deve essere, pertanto, respinto.

Sul secondo motivo, attinente alla violazione di diritto risultante dal fatto che la Commissione non avrebbe considerato la menzione effettiva di un fattore di rischio

86

I ricorrenti deducono che la Commissione, non avendo tenuto conto della menzione effettiva di un fattore di rischio nelle loro proposte di testo dell’indicazione in questione, è incorsa in una violazione del diritto dell’Unione. Infatti, nella loro lettera del 28 novembre 2008, essi avrebbero già fatto riferimento al contenuto di acqua nei tessuti e, seguendo il consiglio espresso dal Bundesamt nella sua lettera del 18 dicembre 2008, essi avrebbero richiamato, nella loro lettera del 10 febbraio 2009, la perdita d’acqua nei tessuti quale fattore di rischio. Inoltre, il fattore di rischio «disidratazione» figurerebbe già nel testo proposto dell’indicazione in questione nell’ambito della malattia«diminuzione dell’efficienza». In ogni caso, l’EFSA e la Commissione avrebbero potuto modificare il testo della proposta dell’indicazione in questione nell’ambito del loro potere discrezionale oppure interpretare, in maniera ampia, tale proposta.

87

In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo il quale la Commissione non avrebbe tenuto conto del fatto che essi avevano indicato la perdita d’acqua nei tessuti quale fattore di rischio, occorre rilevare che l’EFSA e la Commissione hanno preso in considerazione tale menzione. Infatti, da un lato, nel suo parere scientifico del 28 gennaio 2011, l’EFSA ha concluso che i fattori di rischio proposti dai ricorrenti, ossia la perdita d’acqua nei tessuti o un ridotto contenuto di acqua nei tessuti, erano misure di deplezione dell’acqua e quindi misure della malattia «disidratazione» presa in considerazione dai ricorrenti. Dall’altro, secondo il considerando 6 del regolamento impugnato, in seguito a una richiesta di chiarimenti, i ricorrenti hanno indicato la perdita di acqua nei tessuti o un ridotto contenuto di acqua nei tessuti come fattori di rischio per la disidratazione. Sulla base del parere scientifico dell’EFSA, la Commissione ha poi concluso che la riduzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia non era stata dimostrata.

88

A tal riguardo, si deve rilevare, come affermato dalla Commissione e come risulta parimenti dal parere scientifico dell’EFSA del 28 gennaio 2011, che la perdita di acqua nei tessuti non costituisce un fattore di rischio per la malattia «disidratazione», bensì descrive, piuttosto, lo stato di disidratazione e l’esistenza di tale stato corrispondentemente alla perdita d’acqua rilevata. La Commissione poteva pertanto giustamente concludere, al considerando 6 del regolamento impugnato, sulla base del parere scientifico dell’EFSA, che la riduzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia non era stata dimostrata, in quanto la perdita di acqua nei tessuti costituisce una misura di deplezione dell’acqua e, quindi, una misura della malattia «disidratazione».

89

Per quanto riguarda, in tale contesto, l’argomento dei ricorrenti secondo il quale l’EFSA e la Commissione avrebbero erroneamente preso in considerazione la «disidratazione» come malattia e non hanno tenuto conto della «disidratazione e [della] concomitante diminuzione dell’efficienza» come malattia, come indicato nella loro lettera del 28 novembre 2008, occorre rilevare, al pari della Commissione, che una concomitante diminuzione dell’efficienza non costituisce, di per sé, una malattia, bensì la conseguenza o il sintomo di una malattia. Peraltro, nella loro lettera del 28 novembre 2008, i ricorrenti hanno riconosciuto che una diminuzione dell’efficienza costituiva un sintomo concomitante classico della disidratazione e una conseguenza di quest’ultima. Analogamente, nella loro lettera del 25 ottobre 2010, i ricorrenti hanno ritenuto che la disidratazione costituisse uno stato patologico accompagnato da una diminuzione dell’efficienza, e che il consumo regolare di quantità significative di acqua riducesse il rischio di disidratazione, senza menzionare la concomitante diminuzione dell’efficienza.

90

Per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo il quale essi avrebbero menzionato la perdita d’acqua nei tessuti quale fattore di rischio, seguendo il consiglio del Bundesamt, occorre rilevare che quest’ultimo si è limitato ad indicare, nella sua lettera del 18 dicembre 2008, che era ipotizzabile che i ricorrenti prendessero in considerazione, al fine di menzionare un fattore di rischio, la perdita d’acqua nei tessuti. Il Bundesamt non ha dunque affatto indicato la perdita d’acqua nei tessuti come un fattore di rischio della malattia «disidratazione».

91

In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo il quale la Commissione non avrebbe erroneamente tenuto conto del fattore di rischio «disidratazione» per la malattia «diminuzione dell’efficienza», la quale figurerebbe espressamente nel testo proposto dell’indicazione in questione, è sufficiente rilevare che i ricorrenti, su richiesta formulata dal Bundesamt nella propria lettera del 10 novembre 2008, hanno espressamente indicato, nella loro lettera del 28 novembre 2008, che essi si riferivano alla malattia «disidratazione e [alla] concomitante diminuzione dell’efficienza». A prescindere dal fatto che la diminuzione dell’efficienza non può essere considerata una malattia (v. punto 89 supra), l’EFSA e la Commissione non potevano dunque considerare la disidratazione un fattore di rischio ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, e dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1924/2006.

92

In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo il quale l’EFSA e la Commissione avrebbero dovuto, in applicazione del loro potere discrezionale, riformulare il testo della proposta dell’indicazione in questione, interpretare tale testo in maniera ampia ovvero subordinare l’impiego dell’indicazione de qua alla menzione di altri fattori, è già stato rilevato (v. punto 75 supra) che il richiedente è tenuto a menzionare, quantomeno implicitamente, una malattia e un fattore di rischio concreto di sviluppo della stessa il quale, a suo avviso, sarebbe significativamente ridotto. In assenza di una menzione del genere, a prescindere dal testo concreto dell’indicazione in questione, né l’EFSA né la Commissione erano in grado di valutare quale fattore di rischio di sviluppo di quale malattia verrebbe significativamente ridotto dal consumo di un certo alimento o di uno dei suoi componenti. Del resto, come emerge dagli atti, il Bundesamt, l’EFSA e la Commissione hanno, a più riprese, richiamato l’attenzione dei ricorrenti sulla necessità di menzionare un fattore di rischio di sviluppo di una malattia (v. punti 9, 10, 14 e 15 supra).

93

In quarto luogo, laddove i ricorrenti menzionano, nella memoria di replica, l’insufficiente apporto d’acqua quale fattore di rischio, è sufficiente rilevare che da una considerazione svolta dai ricorrenti nella stessa memoria risulta che tale apporto insufficiente costituisce, a loro avviso, un fattore di rischio supplementare che non veniva preso in considerazione nella domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione.

94

Conseguentemente, il secondo motivo dev’essere respinto.

Sul terzo motivo, attinente alla violazione del principio di proporzionalità

95

I ricorrenti sostengono che la Commissione, adottando il regolamento impugnato, è incorsa in una violazione del principio di proporzionalità. Secondo i ricorrenti, il rigetto della domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione non era né idoneo né necessario al conseguimento dell’obiettivo perseguito dal regolamento n. 1924/2006, ossia garantire l’utilizzazione di indicazioni sulla salute sufficientemente fondate sul piano scientifico. Infatti, la Commissione avrebbe potuto modificare il testo proposto dell’indicazione in questione nel rispetto del suo contenuto essenziale, e fare così apparire in maniera sufficientemente chiara in suddetto testo il fattore di rischio da essa richiesto. Più precisamente, il diniego non sarebbe idoneo, in quanto il regolamento n. 1924/2006 non sarebbe inteso a vietare di comunicare tramite l’impiego di indicazioni sulla salute sufficientemente fondate sotto il profilo scientifico. Inoltre, il diniego non sarebbe stato necessario, in quanto il rapporto descritto a sostegno della domanda di autorizzazione sarebbe incontestabilmente munito di un fondamento scientifico sufficiente. Inoltre, il diniego risulterebbe sproporzionato, in quanto impedirebbe di far conoscere ai consumatori un’informazione pacifica sotto il profilo sostanziale. Secondo i ricorrenti, il regolamento impugnato viola parimenti le loro libertà riconosciute dagli articoli 6 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Inoltre, la Commissione avrebbe violato il principio della parità di trattamento, avendo autorizzato in passato indicazioni simili relative alla riduzione di un rischio di malattia in assenza di menzione di qualsiasi fattore di rischio.

96

In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo il quale la Commissione, adottando il regolamento impugnato, sarebbe incorsa in una violazione del principio di proporzionalità, va rilevato che la Commissione ha negato l’autorizzazione dell’indicazione de qua a causa dell’inosservanza di un requisito obbligatorio del procedimento di autorizzazione previsto dal regolamento n. 1924/2006. Infatti, secondo il considerando 6 del regolamento impugnato, la Commissione si è rifiutata di autorizzare l’indicazione in questione in quanto i ricorrenti non avevano dimostrato la riduzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia, dal momento che i fattori di rischio da essi proposti erano misure della malattia. Come rilevato in precedenza (v. punto 75 supra), una domanda di autorizzazione di un’indicazione di tal genere esigeva la menzione, oltre che della malattia di cui trattasi, di un fattore di rischio concreto di sviluppo di quest’ultima, il quale, secondo i ricorrenti, sarebbe significativamente ridotto. Inoltre, dall’esame del secondo motivo si evince che i ricorrenti non hanno menzionato tale fattore di rischio. In un caso del genere, la Commissione non era pertanto in grado di valutare quale fattore di rischio di sviluppo della malattia in questione verrebbe significativamente ridotto dal consumo regolare di significative quantità d’acqua. Contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, il diniego di autorizzare l’indicazione in questione non era dunque legato alla formulazione concreta del testo proposto per l’indicazione in questione. In assenza di una menzione di un fattore di rischio da parte dei ricorrenti, un’eventuale modifica di tale testo non sarebbe potuta in ogni caso sfociare nell’autorizzazione richiesta. Di conseguenza, l’argomento dei ricorrenti secondo il quale la Commissione, adottando il regolamento impugnato, sarebbe incorsa in una violazione del principio di proporzionalità, dev’essere respinto.

97

Tale conclusione non viene messa in discussione dall’affermazione dei ricorrenti, secondo la quale, in forza della sentenza della Corte del 15 luglio 2004, Douwe Egberts (C-239/02, Racc. pag. I-7007), un divieto assoluto di pubblicità eccederebbe quanto necessario per conseguire lo scopo di tutela dei consumatori contro le frodi. Infatti, il caso di specie non riguarda giustamente un divieto assoluto dell’indicazione in questione, bensì il rispetto dei requisiti del procedimento di autorizzazione di cui agli articoli da 14 a 17 del regolamento n. 1924/2006.

98

Inoltre, laddove i ricorrenti fanno valere che il rigetto della loro domanda era sproporzionato, in quanto avrebbe impedito di far conoscere ai consumatori un’informazione pacifica sotto il profilo sostanziale, occorre rammentare che il regolamento n. 1924/2006 prevede parimenti, a norma del suo articolo 13, l’autorizzazione di indicazioni sulla salute diverse da quelle che si riferiscono alla riduzione di un rischio di malattia, le quali non esigono la menzione di un fattore di rischio e tramite le quali è possibile richiamare l’attenzione sull’effetto positivo di un consumo sufficiente d’acqua sul corpo umano e sulle sue funzioni.

99

In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo il quale il regolamento impugnato violerebbe le libertà riconosciute dagli articoli 6 e 16 della Carta dei diritti fondamentali, relativi al diritto alla libertà e alla sicurezza, nonché alla libertà d’impresa, occorre rilevare che, nell’ambito del presente motivo, i ricorrenti si limitano ad elencare la violazione di suddette disposizioni in maniera astratta. Orbene una violazione degli articoli 6 e 16 della Carta dei diritti fondamentali costituisce un motivo proprio e indipendente da quello qui in esame, relativo alla violazione del principio di proporzionalità. Ai sensi dell’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale conformemente all’articolo 53, primo comma, dello Statuto medesimo, e dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura, il ricorso deve, in particolare, contenere un’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Ciò significa che esso deve chiarire i motivi sui quali il ricorso stesso si basa, di modo che la semplice enunciazione astratta dei motivi non risponde alle prescrizioni dello Statuto della Corte e del regolamento di procedura (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 14 febbraio 2008, Provincia di Imperia/Commissione, T-351/05, Racc. pag. II-241, punto 87, e la giurisprudenza citata). Ne consegue che l’argomento dei ricorrenti relativo alla violazione degli articoli 6 e 16 della Carta dei diritti fondamentali deve essere respinto in quanto irricevibile.

100

In terzo luogo, occorre respingere l’argomento dei ricorrenti secondo il quale la Commissione, avendo autorizzato in passato indicazioni sulla salute in assenza di menzione di qualsiasi fattore di rischio, sarebbe incorsa in una violazione dei principi di proporzionalità e della parità di trattamento. Infatti, è sufficiente rilevare, da un lato, che i ricorrenti richiamano indicazioni sulla salute diverse da quelle che fanno riferimento alla riduzione di un rischio di malattia, autorizzate dalla Commissione in base all’articolo 13 del regolamento n. 1924/2006. Orbene, è già stato rilevato (v. punti 81 e 98 supra) che l’autorizzazione di tali indicazioni non esige la menzione di un fattore di rischio. Dall’altro, essi fanno riferimento all’autorizzazione, nel regolamento n. 1024/2009, di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia riguardante gli effetti delle gomme da masticare/pastiglie a base di xilitolo sul rischio di carie dentaria. Tale argomento è già stato respinto nell’ambito del primo motivo (v. punto 84 supra).

101

Di conseguenza il terzo motivo dev’essere respinto.

Sul quarto motivo, attinente alla carenza di un sufficiente fondamento normativo

102

I ricorrenti fanno valere che il regolamento impugnato deve essere annullato, in quanto non sarebbe fondato su un sufficiente fondamento normativo. Tale regolamento sarebbe fondato sull’articolo 17, paragrafo 1, in combinato con l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), e l’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006. Secondo i ricorrenti, tali disposizioni sono contrarie al diritto dell’Unione, poiché violerebbero il principio di proporzionalità, previsto dall’articolo 5, paragrafo 4, TUE. Con il presente motivo, i ricorrenti sollevano pertanto un’eccezione di illegittimità nei confronti dell’articolo 17, paragrafo 1, in combinato con l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), e con l’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006.

103

Va ricordato che il principio generale di proporzionalità richiede che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di quanto sia idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa in questione, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva, e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v. sentenza della Corte del 9 marzo 2006, Zuid-Hollandse Milieufederatie e Natuur en Milieu, C-174/05, Racc. pag. I-2443, punto 28, e la giurisprudenza citata).

104

Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale delle condizioni menzionate al punto precedente, occorre rammentare che il regolamento n. 1924/2006 ha come fondamento normativo l’articolo 95 CE, ai sensi del quale il legislatore adotta le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. Ai sensi del paragrafo 3 di tale articolo, il legislatore deve cercare, segnatamente in materia di sanità e di tutela dei consumatori, di basarsi su un livello di protezione elevato, tenuto conto, in particolare, degli eventuali nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici. In tale ambito, al fine di poter perseguire in maniera efficace l’obiettivo assegnatogli, si deve riconoscere al legislatore dell’Unione un ampio potere discrezionale in un settore come quello del caso di specie, che richiede da parte sua scelte di natura politica, economica e sociale e rispetto al quale esso è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. Solo la manifesta inidoneità di una misura adottata in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale misura [v., in tal senso, sentenze della Corte del 10 dicembre 2002, British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, C-491/01, Racc. pag. I-11453, punto 123; del 14 dicembre 2004, Swedish Match, C-210/03, Racc. pag. I-11893, punto 48; del 6 dicembre 2005, ABNA e a., C-453/03, C-11/04, C-12/04 e C-194/04, Racc. pag. I-10423, punto 69, nonché del 12 dicembre 2006, Germania/Parlamento e Consiglio, C-380/03, Racc. pag. I-11573, punto 145; sentenza del Tribunale del 9 settembre 2011, Dow AgroSciences e a./Commissione, T-475/07, Racc. pag. II-5937, punto 150].

105

Per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 1924/2006, occorre rammentare che dall’articolo 1, paragrafo 1, e dai considerando 1 e 36 di tale regolamento, si evince che l’obiettivo di suddetto regolamento consiste nel garantire il buon funzionamento del mercato interno con riferimento alle indicazioni nutrizionali e sulla salute, assicurando al contempo ai consumatori un elevato livello di tutela. Come emerge dai considerando 1 e 18 del regolamento n. 1924/2006, la tutela della salute si annovera tra le principali finalità di tale regolamento (sentenza Deutsches Weintor, punto 71 supra, punto 45). Il considerando 1 di suddetto regolamento precisa, al riguardo, che i prodotti, compresi quelli importati, immessi sul mercato dovrebbero essere sicuri e adeguatamente etichettati. Secondo il considerando 9 di tale regolamento, i principi stabiliti da quest’ultimo dovrebbero garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, per dare loro le informazioni necessarie affinché compiano scelte nella piena consapevolezza dei fatti e per creare condizioni paritarie di concorrenza per l’industria alimentare. A tal riguardo, il considerando 23 del regolamento n. 1924/2006 enuncia che le indicazioni sulla salute dovrebbero essere autorizzate nell’Unione soltanto a seguito di una valutazione scientifica del più alto livello possibile e che, per garantire una valutazione scientifica armonizzata di tali indicazioni, l’EFSA dovrebbe effettuare tali valutazioni.

106

In primo luogo, i ricorrenti fanno valere che il procedimento di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia, previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, dall’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), e dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, non è idoneo a consentire il conseguimento dell’obiettivo di armonizzazione dell’uso delle indicazioni sulla salute, garantendo al contempo un elevato livello di tutela dei consumatori. Secondo i ricorrenti, il procedimento di valutazione scientifica all’interno dell’EFSA è privo di qualsivoglia trasparenza e dà luogo a risultati incoerenti.

107

A sostegno di tale affermazione, i ricorrenti sottolineano anzitutto che le indicazioni come quelle in questione non possono essere utilizzate nella comunicazione destinata ai consumatori, nonostante l’EFSA abbia già riconosciuto, in un parere scientifico distinto, che le relazioni scientifiche sottese all’indicazione in questione potevano essere considerati sufficientemente fondati sul piano scientifico. Inoltre, l’EFSA avrebbe preteso, nella specie, la menzione di un fattore di rischio, mentre essa non avrebbe ritenuto necessaria la menzione di un fattore del genere in un’altra causa, riguardante gli effetti delle gomme da masticare/pastiglie a base di xilitolo sul rischio di carie dentaria, il che sarebbe stato approvato dalla Commissione.

108

A tal riguardo, da un lato, occorre rilevare che tali critiche formulate dai ricorrenti riguardano, in sostanza, le modalità con cui il procedimento di autorizzazione in questione è stato applicato dall’EFSA. Orbene, elementi del genere non sono, di per sé, tali da infirmare la legittimità di tale procedimento (v., in tal senso, sentenza della Corte del 12 luglio 2005, Alliance for Natural Health e a., C-154/04 e C-155/04, Racc. pag. I-6451, punti 87 e 88). Dall’altro, occorre rilevare che il parere scientifico, preso in considerazione dai ricorrenti, verte in generale sui valori dietetici di riferimento relativi all’acqua, e che non riguarda pertanto gli effetti di un consumo regolare di significative quantità d’acqua su un fattore di rischio di sviluppo di una malattia. Per quanto attiene all’argomento relativo all’asserita incoerenza rispetto alla causa avente ad oggetto gli effetti delle gomme da masticare/pastiglie a base di xilitolo sul rischio di carie dentaria, esso è già stato respinto (v. punto 84 supra).

109

In secondo luogo, laddove i ricorrenti fanno valere, senza fornire precisazioni supplementari, che il contesto normativo disciplinante il procedimento di autorizzazione in questione non è idoneo, difettando disposizioni specifiche relative alla valutazione scientifica condotta dall’EFSA, è sufficiente rilevare che il capo III del regolamento n. 178/2002 disciplina in dettaglio il metodo di lavoro dell’EFSA. Inoltre, l’articolo 16 del regolamento n. 1924/2006 contiene disposizioni relative al parere dell’EFSA e la Commissione, adottando il regolamento n. 353/2008, ha fissato le norme di attuazione dell’articolo 15 del regolamento n. 1924/2006, fra cui talune norme relative alla stesura e alla presentazione di una domanda di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia. Tale argomento va, quindi, disatteso.

110

Di conseguenza, alla luce della tesi dei ricorrenti, non sembra che il procedimento di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia, previsto dall’articolo 10, paragrafo 1, dall’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), e dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, non sia idoneo a consentire il conseguimento degli obiettivi di tale regolamento.

111

I ricorrenti fanno valere, inoltre, che il procedimento di autorizzazione de quo non è necessario al fine di realizzare gli obiettivi del regolamento n. 1924/2006. Tale procedimento prevedrebbe un divieto assoluto di pubblicità accompagnato da una possibilità di autorizzazione. La libertà di promozione e di comunicazione degli interessati sarebbe tuttavia meno limitata se si mantenesse il principio del divieto di abuso, previsto dall’articolo 2 della direttiva 2000/13, il quale ha goduto di primato applicativo fino all’adozione del regolamento n. 1924/2006. Secondo i ricorrenti, il legislatore avrebbe potuto avvalersi dell’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2000/13, secondo il quale il divieto di pubblicità tramite indicazioni legate ad una malattia potrebbe essere limitato. Le disposizioni di tale direttiva, che consentirebbero di esercitare, in ciascun singolo caso, a livello nazionale, un controllo a posteriori sull’uso di indicazioni sulla salute, sarebbero state sufficienti. Inoltre, posto che il criterio scientifico sarebbe rimasto invariato, la ragione per la quale gli obiettivi del regolamento n. 1924/2006 potrebbero essere più adeguatamente conseguiti tramite l’esame dell’EFSA che tramite quello delle autorità nazionali, non sarebbe evidente.

112

A tal riguardo, si deve rilevare che il legislatore ha motivato la necessità del regolamento n. 1924/2006 e, più precisamente, del procedimento di autorizzazione concernente le indicazioni relative ad un rischio di malattia, rispetto agli obiettivi di tale regolamento, tramite le seguenti considerazioni. Al considerando 2 del regolamento n. 1924/2006, il legislatore ha indicato che le differenze tra le disposizioni nazionali relative a tali indicazioni, che potevano impedire la libera circolazione degli alimenti e instaurare condizioni di concorrenza diseguali, avevano dirette ripercussioni sul funzionamento del mercato interno. Come si legge nel considerando 10 di detto regolamento, avvalersi, a livello nazionale, dei criteri per determinare se un prodotto possa recare indicazioni rischia di creare ostacoli al commercio nell’Unione e dovrebbe quindi essere armonizzato. Ciò viene precisato al successivo considerando 14, secondo il quale vi è una vasta gamma di indicazioni attualmente utilizzate nell’etichettatura e nella pubblicità degli alimenti in alcuni Stati membri che fanno riferimento a sostanze il cui effetto benefico non è ancora stato dimostrato, o in merito al quale non esiste un consenso scientifico sufficiente. A tal riguardo, il considerando 17 del regolamento medesimo prevede, da un lato, che la fondatezza scientifica dovrebbe essere l’aspetto principale di cui tenere conto nell’utilizzo di indicazioni nutrizionali e sulla salute, e, dall’altro, che gli operatori del settore alimentare che fanno uso di indicazioni dovrebbero giustificarle. Secondo tale considerando, un’indicazione dovrebbe essere scientificamente corroborata, tenendo conto del complesso dei dati scientifici disponibili e valutando gli elementi di prova. Inoltre, il considerando 28 del regolamento n. 1924/2006 enuncia che, poiché la dieta è uno dei tanti fattori che influenzano l’insorgere di determinate malattie umane e che altri fattori possono influenzare l’insorgere delle malattie, l’apposizione di indicazioni riguardanti la riduzione di un rischio di malattia dovrebbe essere sottoposta a condizioni specifiche.

113

Tenuto conto degli argomenti dedotti dai ricorrenti, non sembra che tali considerazioni non siano idonee a motivare la necessità delle disposizioni in oggetto, relative al procedimento di autorizzazione concernente le indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia, rispetto agli obiettivi del regolamento n. 1924/2006. È pur vero che la libertà di promozione e di comunicazione degli interessati sarebbe forse potuta essere meno limitata se il regime previsto dalla direttiva 2000/13, prevalente fino all’adozione del regolamento n. 1924/2006, fosse stato mantenuto. Tuttavia, alla luce dei motivi esposti ai considerando indicati al punto 112 supra, non sembra che misure adottate sulla base del regime previsto dalla direttiva 2000/13 nel settore delle indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia sarebbero, rispetto agli obiettivi menzionati al punto 105 supra, tutte altrettanto adeguate al pari delle disposizioni di cui trattasi del regolamento n. 1924/2006. Ciò è dovuto, in particolare, al fatto che, a causa dell’introduzione, da parte del regolamento n. 1924/2006, del principio del divieto di tali indicazioni sulla salute, accompagnato da una possibilità di autorizzazione, queste ultime devono essere sottoposte a controlli preliminari.

114

Per quanto attiene al trasferimento dell’esame delle indicazioni sulla salute in questione dalle autorità nazionali all’EFSA, la considerazione svolta al considerando 23 del regolamento n. 1924/2006, secondo la quale, per garantire una valutazione scientifica armonizzata, l’EFSA dovrebbe effettuare la valutazione scientifica delle indicazioni sulla salute in questione, non sembra erronea. Infatti, anche se le autorità nazionali devono applicare gli stessi criteri al fine di valutare tali indicazioni, il fatto che le valutazioni scientifiche siano effettuate da un unico ente costituisce un elemento supplementare in grado di garantire l’armonizzazione. Inoltre, come si evince dall’articolo 22, paragrafi 2, 3 e 6, del regolamento n. 178/2002, l’EFSA ha la funzione, in particolare, di formulare pareri scientifici che costituiscono la base scientifica da prendere in considerazione per l’elaborazione e per l’adozione di misure dell’Unione nei campi che hanno un’incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti, e contribuisce ad un livello elevato di tutela della salute.

115

L’argomento dei ricorrenti concernente la mancanza di necessità del procedimento di autorizzazione delle indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia dev’essere, pertanto, respinto.

116

In terzo luogo, i ricorrenti fanno valere che il procedimento di autorizzazione in questione, fissato dal regolamento n. 1924/2006, non è adeguato, in quanto porrebbe a carico degli interessati un procedimento lungo e costoso, nonché privo di trasparenza. La questione di un’eventuale diversa interpretazione, da parte delle autorità nazionali competenti, del criterio del fondamento scientifico sufficiente, nella vigenza della direttiva 2000/13, avrebbe potuto, a loro avviso, essere affrontata tramite il procedimento di rinvio pregiudiziale alla Corte.

117

Per quanto riguarda l’affermazione secondo la quale il procedimento di autorizzazione in questione sarebbe lungo e privo di trasparenza, è sufficiente rilevare che tale procedimento prevede dei termini ed è dettagliatamente disciplinato agli articoli da 14 a 17 del regolamento n. 1924/2006. In particolare, dall’articolo 15, paragrafo 2, di tale regolamento si evince che le domande vengono trasmesse alla competente autorità nazionale di uno Stato membro, la quale ne rilascia ricevuta entro 14 giorni dalla sua ricezione informandone senza indugio l’EFSA. In virtù dell’articolo 16, paragrafo 1, di suddetto regolamento, nel formulare il parere, l’EFSA rispetta un termine di cinque mesi dalla data di ricezione di una domanda valida, e, ogniqualvolta essa chieda al richiedente ulteriori informazioni, detto termine è prorogato sino a due mesi. Infine, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, entro due mesi dalla ricezione del parere dell’EFSA, la Commissione presenta al comitato un progetto di decisione relativo agli elenchi delle indicazioni sulla salute consentite. L’articolo 17, paragrafo 3, di tale regolamento prevede che la decisione sulla domanda è adottata secondo la procedura di regolamentazione con controllo.

118

Per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo il quale il procedimento in questione sarebbe costoso, occorre rilevare che né l’EFSA né la Commissione percepiscono un contributo per le spese del procedimento. Inoltre, i ricorrenti non hanno dimostrato che il procedimento in questione sia eccessivamente costoso rispetto agli obiettivi del regolamento n. 1924/2006.

119

In considerazione dei suesposti rilievi, l’argomento dei ricorrenti concernente un’armonizzazione tramite il procedimento di rinvio pregiudiziale alla Corte non può essere accolto.

120

Di conseguenza, alla luce dell’argomento dei ricorrenti, non sembra che il procedimento di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia sia inadeguato rispetto agli obiettivi del regolamento n. 1924/2006.

121

Dalle suesposte considerazioni emerge che l’articolo 10, paragrafo 1, l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), e l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006 non sono manifestamente inidonei, ai sensi della giurisprudenza menzionata al punto 104 supra, rispetto agli obiettivi che le istituzioni intendono perseguire, e che, di conseguenza, tali disposizioni non sono illegittime in ragione di una violazione del principio di proporzionalità.

122

Laddove i ricorrenti fanno valere, nella memoria di replica, senza alcuna precisazione supplementare, la violazione dell’articolo 14, paragrafo 1, dell’articolo 15, paragrafo 1, e dell’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali, concernenti il diritto all’istruzione e alle libertà professionale e d’impresa, tale argomento deve essere dichiarato irricevibile. Infatti, da un lato, la semplice enunciazione astratta di una siffatta violazione non risponde alle prescrizioni dello Statuto della Corte e del regolamento di procedura (v. punto 99 supra). Dall’altro, ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di procedura, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento, ipotesi che manifestamente non ricorre nella specie. Inoltre, l’affermazione di una violazione delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali non costituisce un’estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del giudizio. In ogni caso, occorre rilevare che il divieto di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia risultante dall’applicazione del procedimento previsto agli articoli da 14 a 17 del regolamento n. 1924/2006 non viola le libertà professionale e d’impresa (v., in tal senso, sentenza Deutsches Weintor, punto 71 supra, punti da 42 a 59).

123

Pertanto, il quarto motivo dev’essere respinto.

Sul quinto motivo, attinente alla violazione di forme sostanziali derivante dall’adozione di un regolamento

124

I ricorrenti fanno valere che la Commissione, adottando un regolamento, anziché una decisione, per negare l’autorizzazione dell’indicazione de qua, è incorsa in una violazione di forme sostanziali. Ai sensi dell’articolo 17, paragrafi da 1 a 4, del regolamento n. 1924/2006, spetterebbe alla Commissione pronunciarsi sull’autorizzazione o meno di indicazioni sulla salute tramite una decisione ai sensi dell’articolo 288, primo comma, TFUE. Secondo i ricorrenti, l’adozione di un regolamento è contraria all’economia del procedimento previsto agli articoli 15 e seguenti del regolamento n. 1924/2006, in quanto il legislatore avrebbe concepito quest’ultimo come un procedimento avviato su iniziativa del singolo.

125

La Commissione contesta gli argomenti dei ricorrenti. Per quanto riguarda la questione della ricevibilità di tale motivo, la Commissione fa valere che quest’ultimo è irricevibile, in quanto i ricorrenti non avrebbero subito un pregiudizio a causa della forma giuridica dell’atto che ha respinto la loro domanda. Infatti, essi affermerebbero parimenti di essere direttamente interessati da un regolamento.

126

Questo argomento della Commissione è contraddittorio. Infatti, la Commissione non può, da un lato, affermare che il ricorso è irricevibile e, dall’altro, fondarsi, al fine di dimostrare l’irricevibilità di tale motivo, sull’argomento dei ricorrenti secondo il quale il ricorso sarebbe ricevibile.

127

Tuttavia, il motivo in esame è infondato, come affermato dalla Commissione. Dall’articolo 17, paragrafi da 1 a 4, del regolamento n. 1924/2006, non si evince che la Commissione avrebbe dovuto adottare una decisione ai sensi dell’articolo 288 TFUE al fine di negare l’autorizzazione dell’indicazione in questione. L’impiego del termine «decisione» all’articolo 17 del regolamento n. 1924/2006 significa unicamente che la Commissione deve statuire in maniera positiva o negativa sulla domanda in questione.

128

Infatti, secondo costante giurisprudenza, per interpretare una disposizione di diritto dell’Unione, bisogna tener conto allo stesso tempo del suo dettato, del suo contesto e delle sue finalità (v. sentenza della Corte del 18 novembre 1999, Pharos/Commissione, C-151/98 P, Racc. pag. I-8157, punto 19, e la giurisprudenza citata). Nella specie, se è vero che l’articolo 17, paragrafi da 1 a 4, del regolamento n. 1924/2006, contiene lo stesso termine impiegato all’articolo 288 TFUE, ciò non toglie che l’interpretazione del termine «decisione» di cui all’articolo 17 del regolamento n. 1924/2006 deve essere effettuata tenendo conto del contesto in cui tale termine viene utilizzato e della finalità di questa disposizione.

129

A tal riguardo, occorre rilevare che l’articolo 17 del regolamento n. 1924/2006 contiene disposizioni concernenti la fine del procedimento di autorizzazione delle indicazioni sulla salute previsto dall’articolo 14 di tale regolamento, una volta che l’EFSA ha formulato il suo parere scientifico, in forza dell’articolo 16 di suddetto regolamento. In tal senso, l’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006 prevede che, entro due mesi dalla ricezione del parere dell’EFSA, la Commissione presenta al comitato un «progetto di decisione» relativo agli elenchi delle indicazioni sulla salute consentite, e che, se il «progetto di decisione» non è conforme al parere, essa motiva le divergenze. Il paragrafo 2 di tale articolo precisa il contenuto del «progetto di decisione». Il suo paragrafo 3 determina il procedimento inteso all’adozione della «decisione definitiva», fra cui, segnatamente la «decisione» sull’autorizzazione dell’indicazione, quando, su domanda del richiedente per la protezione di dati protetti da proprietà industriale, la Commissione propone di limitare l’uso dell’indicazione in favore del richiedente. L’articolo 17, paragrafo 4, del regolamento n. 1924/2006 prevede l’obbligo di informare in merito alla «decisione adottata» e l’obbligo di pubblicazione della «decisione» nella Gazzetta ufficiale.

130

Si evince dall’uso del termine «decisione» e, in particolare, di quello dei termini «progetto», «definitiva» e «adottata» nell’ambito della nozione di «decisione», che l’articolo 17 del regolamento n. 1924/2006 prende in considerazione le diverse fasi del procedimento che la Commissione è tenuta a seguire per emettere una decisione finale su una domanda ai sensi dell’articolo 14 di tale regolamento. Per contro, la forma giuridica di tale decisione non è oggetto di alcuna precisazione. La scelta della forma giuridica dell’atto da adottare è, piuttosto, lasciata dal legislatore alla valutazione della Commissione. Se è pur vero che dall’articolo 17 del regolamento n. 1924/2006 non si evince che il legislatore contemplasse la possibilità dell’adozione di un regolamento da parte della Commissione, nulla consente di ritenere che tale disposizione escluda l’adozione di un tale atto.

131

Infine, occorre respingere l’argomento dei ricorrenti secondo il quale l’adozione di un regolamento sarebbe contraria all’economia del procedimento di cui agli articoli 15 e seguenti del regolamento n. 1924/2006, in quanto il legislatore avrebbe concepito tale procedimento come avviato su iniziativa del singolo. Infatti, se è vero che il procedimento di autorizzazione in questione ha ad oggetto una domanda individuale, ciò non toglie che, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 5, di tale regolamento, le indicazioni sulla salute autorizzate dalla Commissione possano essere utilizzate da qualsiasi operatore del settore alimentare. Poiché tale disposizione prevede effetti erga omnes, il procedimento di autorizzazione in questione riveste un duplice carattere, ossia un carattere individuale e un carattere generale. Ne consegue che l’adozione di un regolamento, il quale ha portata generale, non è contrario all’economia del procedimento in oggetto.

132

Peraltro, laddove i ricorrenti fanno valere, in tale contesto, che la Commissione ha erroneamente omesso di menzionare il loro indirizzo nel regolamento impugnato, occorre rilevare che un obbligo del genere sussiste, in base all’articolo 17, paragrafo 2, in combinato con l’articolo 16, paragrafo 4, lettera a), del regolamento n. 1924/2006, solo nel caso di una decisione che modifichi l’elenco delle indicazioni sulla salute consentite, in conformità dell’articolo 19 di tale regolamento. Orbene, ciò non avviene nel caso di specie.

133

Il quinto motivo dev’essere, pertanto, respinto.

Sul sesto motivo, attinente alla violazione della ripartizione delle competenze

134

I ricorrenti deducono che la Commissione, non avendo rispettato, nel corso del procedimento amministrativo, la ripartizione delle competenze fra la stessa, l’EFSA e il Bundesamt, è incorsa in una violazione di forme sostanziali. Secondo i ricorrenti, ai sensi del regolamento n. 1924/2006, la competenza a risolvere le questioni giuridiche interpretative aventi ad oggetto l’ambito di applicazione di tale regolamento spetta esclusivamente alla Commissione; il Bundesamt non sarebbe altro che una «cassetta delle lettere» per depositare una domanda e l’EFSA sarebbe unicamente incaricata di procedere all’esame scientifico dei dati forniti e della proposta di testo, sulla scorta dei criteri previsti da suddetto regolamento. Orbene, nel corso del procedimento amministrativo, l’EFSA e il Bundesamt si sarebbero pronunciati su due questioni giuridiche, ossia sul requisito della menzione di un fattore di rischio e sulla qualità di impresa del settore alimentare per poter presentare una domanda di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia; ciò avrebbe comportato un ritardo considerevole nello svolgimento di tale procedimento.

135

In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo il quale il Bundesamt avrebbe ecceduto l’ambito delle proprie competenze, occorre rilevare che, contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, il ruolo dell’autorità nazionale competente non è unicamente quello di una mera «cassetta delle lettere» per depositare una domanda. Infatti, è vero che la domanda di autorizzazione di un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia deve essere depositata presso l’autorità nazionale competente, in conformità dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1924/2006, ai sensi del quale la domanda è trasmessa alla competente autorità nazionale di uno Stato membro, la quale rilascia ricevuta della domanda, per iscritto, entro 14 giorni dalla ricezione stessa, informa senza indugio l’EFSA e mette a disposizione dell’EFSA la domanda e le eventuali informazioni supplementari fornite dal richiedente.

136

Tuttavia, dall’articolo 16, paragrafo 1, prima frase, del regolamento n. 1924/2006, si evince che la responsabilità dell’esistenza di una domanda valida incombe perlomeno anche all’autorità nazionale competente. Infatti, ai sensi di tale disposizione, nel formulare il parere, l’EFSA rispetta un termine di cinque mesi dalla data di ricezione di una domanda valida. Il passaggio alla fase successiva del procedimento, ossia l’elaborazione di un parere scientifico da parte dell’EFSA, presuppone la validità della domanda trasmessa dall’autorità nazionale competente all’EFSA. Tale domanda deve pertanto soddisfare i requisiti formali e sostanziali previsti dal regolamento n. 1924/2006, e segnatamente il requisito della menzione di un fattore di rischio, senza il quale l’EFSA non può formulare il proprio parere (v. il primo motivo a tal riguardo).

137

Contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, tale considerazione non viene contraddetta dalla seconda frase dell’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, secondo la quale ogniqualvolta l’EFSA chieda al richiedente ulteriori informazioni a norma del paragrafo 2 di suddetto articolo, detto termine è prorogato sino a due mesi a decorrere dalla data di ricezione dell’informazione richiesta presentata dal richiedente. Infatti, tale frase non rimette in discussione il requisito della trasmissione di una domanda valida da parte dell’autorità nazionale competente, a partire dalla quale inizia a decorrere il termine di cinque mesi durante i quali l’EFSA è quindi obbligata a formulare il proprio parere scientifico.

138

Di conseguenza, il fatto che il Bundesamt si sia pronunciato, nel corso del procedimento amministrativo, sui requisiti attinenti alla validità della domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione, non costituisce un’irregolarità procedurale.

139

In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo il quale l’EFSA, pronunciandosi su questioni di interpretazione giuridica delle disposizioni del regolamento n. 1924/2006, avrebbe ecceduto l’ambito delle proprie competenze, occorre rilevare che, nelle proprie lettere del 23 novembre 2009 e del 27 gennaio 2010, indirizzate al primo ricorrente, l’EFSA ha chiaramente segnalato il fatto di non essere competente ad interpretare le disposizioni del diritto dell’Unione. Essa ha fatto riferimento, a tal riguardo, alla Commissione e agli Stati membri. Inoltre, nella parte in cui l’EFSA, nel suo parere scientifico, è partita dal presupposto che la menzione di un fattore di rischio da parte dei ricorrenti fosse necessaria, occorre rilevare che emergeva già dalle discussioni del gruppo informale di lavoro sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute, svoltesi il 12 aprile 2010, che la domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione non era conforme alle prescrizioni del regolamento n. 1924/2006, dal momento che non menzionava un fattore di rischio (v. punto 14 supra). Di conseguenza, l’argomento dei ricorrenti deve essere respinto.

140

Anche ammettendo che il Bundesamt o l’EFSA, pronunciandosi su questioni di interpretazione giuridica del regolamento n. 1924/2006, abbiano ecceduto l’ambito delle proprie competenze, occorre rammentare che un’irregolarità procedurale determina l’annullamento, totale o parziale, dell’atto soltanto nel caso in cui, in assenza di tale irregolarità, tale atto avrebbe potuto avere un contenuto diverso (v., in tal senso, sentenze della Corte del 29 ottobre 1980, van Landewyck e a./Commissione, da 209/78 a 215/78 e 218/78, Racc. pag. 3125, punto 47; del 21 marzo 1990, Belgio/Commissione, C-142/87, Racc. pag. I-959, punto 48, nonché del 25 ottobre 2005, Germania e Danimarca/Commissione, C-465/02 e C-466/02, Racc. pag. I-9115, punto 37).

141

Secondo i ricorrenti, la Commissione si è astenuta dall’esercitare la propria competenza relativa all’interpretazione giuridica del requisito della menzione di un fattore di rischio, limitandosi a riprendere l’interpretazione figurante nel parere scientifico dell’EFSA. Probabilmente la Commissione avrebbe adottato una decisione positiva in ordine alla loro domanda qualora l’EFSA si fosse limitata ad esercitare le proprie competenze.

142

A tal riguardo, da un lato, occorre rilevare che si evince già dalla lettera della Commissione del 9 luglio 2010 che, stando alle discussioni del gruppo informale di lavoro sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute svoltesi il 12 aprile 2010, la menzione di un fattore di rischio era necessaria (v. punto 14 supra). Dall’altro, non emerge da alcun elemento degli atti che la Commissione, astenendosi dall’interpretare essa stessa i requisiti previsti dagli articoli da 14 a 16 del regolamento n. 1924/2006, si sia limitata a riprendere il parere scientifico dell’EFSA. Al contrario, il procedimento di autorizzazione dell’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia riguardante gli effetti delle gomme da masticare/pastiglie a base di xilitolo sul rischio di carie dentaria, menzionato dai ricorrenti quale esempio della prassi della Commissione, costituisce, piuttosto, un indizio del fatto che la Commissione non riprende sempre il parere scientifico dell’EFSA. Infatti, dai considerando 7 e 8 del regolamento n. 1024/2009, con il quale la Commissione ha autorizzato tale indicazione, si evince che essa ne ha modificato la dicitura, dopo che l’EFSA ha formulato il suo parere.

143

Di conseguenza, i ricorrenti non sono stati in grado di dimostrare che, senza l’asserito superamento, da parte del Bundesamt e dell’EFSA, delle loro competenze, il regolamento impugnato avrebbe potuto avere un contenuto diverso.

144

Pertanto, il sesto motivo dev’essere respinto.

Sul settimo motivo, attinente all’inosservanza dei termini impartiti

145

I ricorrenti sostengono che la Commissione, non rispettando i termini impartiti dal regolamento n. 1924/2006 per la trasmissione della loro domanda di autorizzazione, per l’elaborazione del parere scientifico e per l’adozione della decisione relativa alla loro domanda di autorizzazione, è incorsa in una violazione di forme sostanziali.

146

In primo luogo, i ricorrenti sostengono che, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), i) e ii), del regolamento n. 1924/2006, il Bundesamt avrebbe omesso di rilasciare ricevuta della domanda, per iscritto, entro 14 giorni dalla ricezione stessa, e che, dopo le istruzioni della Commissione secondo cui incombeva al Bundesamt esaminare tutte le questioni giuridiche interpretative concernenti l’ambito di applicazione di suddetto regolamento, quest’ultimo non avrebbe trasmesso senza indugio tale domanda all’EFSA.

147

A tal riguardo, occorre anzitutto rilevare che dagli atti si evince che, con lettera datata 8 maggio 2008, il Bundesamt ha rilasciato ricevuta della domanda dei ricorrenti inviata l’11 febbraio 2008 (v. punto 4 supra). Anche prendendo come punto di partenza del termine di cui trattasi il secondo invio della domanda, con lettera datata 10 marzo 2008, effettuato in quanto, secondo il Bundesamt, la prima domanda era introvabile, occorre rilevare che il Bundesamt non ha rispettato il termine di 14 giorni dalla ricezione della domanda per rilasciare ricevuta di quest’ultima, in forza dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), i), del regolamento n. 1924/2006.

148

Per quanto riguarda l’obbligo del Bundesamt di trasmettere la domanda dei ricorrenti all’EFSA, occorre inoltre rilevare che, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), ii) e iii), del regolamento n. 1924/2006, il Bundesamt deve, da un lato, informare senza indugio l’EFSA, e, dall’altro, mettere a disposizione dell’EFSA la domanda e le eventuali informazioni supplementari fornite dal richiedente. A tal riguardo, è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto avviene nel caso dell’obbligo di informazione previsto dall’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 1924/2006, non è previsto alcun termine particolare per la trasmissione della domanda e delle informazioni supplementari all’EFSA, in forza dell’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), iii), di tale regolamento.

149

Ciò premesso, occorre rammentare che, in forza di un principio generale di diritto dell’Unione, nell’ambito di procedimenti amministrativi dell’Unione, deve essere rispettato un termine ragionevole (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 22 ottobre 1997, SCK e FNK/Commissione, T-213/95 e T-18/96, Racc. pag. II-1739, punto 56, e la giurisprudenza citata). Il carattere ragionevole del termine è valutato alla luce delle circostanze proprie di ciascun caso di specie e, in particolare, alla luce della posta in gioco nella controversia per l’interessato, della complessità della causa, nonché del comportamento delle parti (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte del 25 gennaio 2007, Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione, C-403/04 P e C-405/04 P, Racc. pag. I-729, punto 116, e la giurisprudenza citata).

150

Nella specie, è trascorso un lasso di tempo di circa sette mesi fra l’invio della domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione, l’11 febbraio 2008, e la sua trasmissione all’EFSA, il 15 settembre 2008. Come emerge dagli atti e, in particolare, dalla lettera del Bundesamt dell’11 novembre 2008, tale lasso di tempo era dovuto, da un lato, al fatto che la domanda dei ricorrenti non era in un primo momento rintracciabile nel servizio competente del Bundesamt e, dall’altro, al fatto che il Bundesamt ha esaminato, su richiesta della Commissione, la validità della domanda in questione prima di trasmetterla all’EFSA.

151

Nelle circostanze del caso di specie, tale lasso di tempo sembra eccessivo. Infatti, anche se dagli atti non emerge che gli interessi in gioco dei ricorrenti, i quali non sono operatori del settore alimentare (v. punto 1 supra), fossero estremamente importanti, ciò non toglie che, a seguito del quesito dei ricorrenti del 29 febbraio 2008, concernente lo stato della loro domanda, e dopo il nuovo invio della medesima con lettera del 10 marzo 2008, il Bundesamt, dopo aver rilasciato ricevuta della domanda con lettera datata 8 maggio 2008, si è limitato a richiamare l’attenzione dei ricorrenti sull’adozione del regolamento n. 353/2008 e, con lettera del 21 luglio 2008, li ha invitati a presentare nuovamente tale domanda impiegando i formulari editi dall’EFSA (v. punti da 3 a 7 supra). Inoltre, sebbene occorra tenere conto del fatto che la Commissione ha chiesto al Bundesamt di trasmettere all’EFSA unicamente domande valide, nonché del fatto che la responsabilità dell’esistenza di una domanda valida incombe perlomeno anche al medesimo in forza del regolamento n. 1924/2006, come rilevato in precedenza (v. punto 136 supra), si deve rammentare che l’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), i) e ii), l’articolo 16, paragrafo 1, e l’articolo 17, paragrafo 1, di tale regolamento prevedono dei termini per le fasi del procedimento di autorizzazione in questione. In tal senso, l’autorità nazionale deve rilasciare ricevuta della domanda entro 14 giorni dalla ricezione stessa e informarne senza indugio l’EFSA. Quest’ultima deve, in linea di principio, formulare il proprio parere entro un termine di cinque mesi. La Commissione, da parte sua, deve presentare al comitato un progetto di decisione relativo agli elenchi delle indicazioni sulla salute consentite entro due mesi dalla ricezione del parere dell’EFSA. Dall’economia di tali disposizioni risulta che il controllo della validità di una domanda da parte dell’autorità nazionale non può in alcun caso durare sette mesi. Di conseguenza, il termine che è stato necessario al Bundesamt per trasmettere la domanda dei ricorrenti all’EFSA non sembra ragionevole.

152

Alla luce dei suesposti rilievi, l’argomento dei ricorrenti secondo il quale il Bundesamt non avrebbe rispettato il termine previsto per il rilascio della ricevuta della loro domanda, né quello della trasmissione della domanda all’EFSA, dev’essere accolto.

153

In secondo luogo, i ricorrenti fanno valere che, in violazione dell’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, l’EFSA non ha rispettato il termine di cinque mesi per formulare il proprio parere, ma ha avuto bisogno, per farlo, di 29 mesi.

154

A tal riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, nel formulare il parere, l’EFSA rispetta un termine di cinque mesi dalla data di ricezione della domanda valida. Affinché tale domanda sia valida, essa deve soddisfare i requisiti formali e sostanziali previsti dal regolamento n. 1924/2006, fra cui, segnatamente, il requisito della menzione di un fattore di rischio, senza il quale l’EFSA non può formulare il proprio parere (v. il primo motivo a tal riguardo e il punto 136 supra).

155

Nella specie, emerge dagli atti che, dopo la trasmissione della domanda all’EFSA, il 15 settembre 2008, il Bundesamt ha chiesto ai ricorrenti, con lettere del 10 novembre e del 18 dicembre 2008, di menzionare un fattore di rischio. Con lettera del 10 febbraio 2009, i ricorrenti hanno indicato al Bundesamt che la menzione di un fattore di rischio non era necessaria, ma che un ridotto contenuto di acqua nei tessuti potrebbe essere inteso come un fattore di rischio. Inoltre, i ricorrenti hanno proposto altre diciture per l’indicazione in questione, nelle quali la perdita d’acqua nei tessuti era menzionata come fattore di rischio (v. punto 11 supra). Ne consegue che i ricorrenti, nella loro lettera del 10 febbraio 2009, hanno presentato un ridotto contenuto d’acqua nei tessuti o la perdita d’acqua nei tessuti come fattori di rischio, come peraltro si evince parimenti dal considerando 6 del regolamento impugnato. Poiché nella specie non sono controversi altri requisiti formali o sostanziali relativi alla validità della domanda dei ricorrenti, è giocoforza constatare che la domanda dei ricorrenti è divenuta valida a seguito della menzione dei fattori di rischio nella lettera del 10 febbraio 2009.

156

Tale considerazione non viene rimessa in discussione dall’argomento della Commissione, secondo il quale la domanda è divenuta valida e completa soltanto dopo la lettera dei ricorrenti del 25 ottobre 2010 di risposta alla lettera dell’EFSA del 1o ottobre 2010. Infatti, si evince dagli atti che le questioni che, durante il periodo che va dal marzo 2009 al settembre 2010, hanno impedito all’EFSA di formulare il suo parere, riguardavano l’interpretazione giuridica delle disposizioni del regolamento n. 1924/2006, e segnatamente il requisito della menzione di un fattore di rischio (v. punti 13 e 14 supra). Inoltre, si deve rilevare che, in risposta alla richiesta dell’EFSA, formulata con lettera del 1o ottobre 2010, di precisare il fattore di rischio, i ricorrenti si sono limitati a mantenere la posizione da essi espressa nella loro lettera del 10 febbraio 2009, il che non ha tuttavia impedito all’EFSA di formulare il suo parere scientifico.

157

Come emerge dagli atti, la lettera dei ricorrenti del 10 febbraio 2009 è stata trasmessa all’EFSA dal Bundesamt con lettera del 20 marzo 2009 (v. punto 12 supra). Di conseguenza, il termine di cinque mesi previsto dall’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, è iniziato a decorrere dalla data di ricezione della lettera del Bundesamt del 20 marzo 2009. Poiché l’EFSA ha formulato il suo parere scientifico il 28 gennaio 2011, essa non ha pertanto rispettato il termine di cinque mesi.

158

L’argomento dei ricorrenti relativo all’inosservanza del termine di cinque mesi, previsto dall’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, deve, pertanto, essere accolto.

159

In terzo luogo, i ricorrenti deducono che la Commissione non ha rispettato il termine previsto dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006 per l’adozione della decisione relativa alla domanda di autorizzazione. A tal riguardo, va osservato che tale disposizione prevede che la Commissione presenta al comitato un progetto di decisione relativo agli elenchi delle indicazioni sulla salute consentite entro due mesi dalla ricezione del parere dell’EFSA. Nella specie, l’EFSA ha formulato il suo parere il 28 gennaio 2011 ed esso è stato pubblicato il 16 febbraio 2011. La presentazione di un progetto di decisione al comitato in data 28 aprile 2011 non ha, pertanto, rispettato il termine previsto dall’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006. Di conseguenza, l’argomento dei ricorrenti dev’essere accolto.

160

In quarto luogo, per quanto riguarda le conseguenze giuridiche dell’inosservanza dei termini previsti all’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), i), all’articolo 16, paragrafo 1, e all’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1924/2006, si deve rilevare che tale regolamento non prevede alcuna sanzione in caso di superamento dei termini in questione. In un caso del genere, occorre ricordare la giurisprudenza secondo la quale, in mancanza di una disposizione che preveda espressamente o implicitamente le conseguenze del superamento di termini procedurali come quelli in oggetto, il superamento in questione può comportare l’annullamento totale o parziale dell’atto il cui iter di adozione comprende i termini in causa soltanto se è provato che, in mancanza di questa irregolarità, detto atto avrebbe potuto avere un contenuto diverso (v. sentenza Dow AgroSciences e a./Commissione, punto 104 supra, punto 203, e la giurisprudenza citata).

161

Orbene, i ricorrenti non hanno dimostrato che, in mancanza del superamento dei termini in questione, la Commissione avrebbe adottato un regolamento con un contenuto diverso. Infatti, essi si limitano a far valere che l’inosservanza dei termini in questione è, in sostanza, imputabile alla cattiva ripartizione delle competenze fra la Commissione, l’EFSA e il Bundesamt. A loro avviso, se il procedimento si fosse svolto correttamente, sarebbero state disponibili risorse per esaminare in maniera sufficiente i motivi della loro domanda, e la Commissione avrebbe dunque autorizzato l’indicazione in questione. A tal riguardo, si deve rilevare che le questioni che hanno impedito all’EFSA, per il periodo che si estende dal marzo 2009 al settembre 2010, di formulare il suo parere, riguardavano l’interpretazione giuridica delle disposizioni del regolamento n. 1924/2006 e, segnatamente, il requisito della menzione di un fattore di rischio. La menzione di un siffatto fattore era tuttavia già stata reputata necessaria prima dell’adozione del parere scientifico da parte dell’EFSA (v. punto 155 supra).

162

Alla luce delle suesposte considerazioni, il settimo motivo dev’essere respinto.

Sull’ottavo motivo, relativo all’incompleta considerazione delle osservazioni dei ricorrenti e dei terzi interessati

163

I ricorrenti fanno valere che la Commissione, non avendo tenuto conto, nella propria decisione relativa all’indicazione in questione, di una parte importante delle loro osservazioni e di quelle dei terzi interessati intervenuti nel procedimento dinanzi alla Commissione, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006, è incorsa in una violazione di forme sostanziali. Secondo i ricorrenti, la Commissione non ha risposto agli argomenti sviluppati in tali osservazioni, e dal regolamento impugnato non è dato vedere se la Commissione abbia esaminato tali osservazioni.

164

Va rilevato che i ricorrenti deducono, in termini generici, che la Commissione non ha preso in considerazione le osservazioni presentate a norma dell’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006. Essi non richiamano, nell’ambito del presente motivo, alcuna osservazione particolare che non sarebbe stata presa in considerazione dalla Commissione.

165

Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006, il richiedente o altro cittadino può rivolgere osservazioni alla Commissione entro trenta giorni dalla pubblicazione del parere scientifico dell’EFSA. Tale diritto implica la considerazione delle osservazioni nel processo che sfocia nell’adozione della decisione definitiva sulla domanda in questione, ma non crea a carico della Commissione un obbligo di attuare le proposte contenute in tali osservazioni (v., in tal senso, ordinanza della Corte del 5 maggio 2009, WWF-UK/Consiglio, C‑355/08 P, non pubblicata nella Raccolta, punto 45).

166

Si evince dagli atti che la Commissione ha ricevuto, oltre alle osservazioni dei ricorrenti, otto osservazioni di terzi interessati. Come emerge dalle lettere di risposta della Commissione a coloro che hanno inviato tali osservazioni, le quali hanno confermato la ricezione delle lettere medesime, la Commissione li ha informati in merito alle modalità di trattamento delle loro osservazioni nell’ambito del procedimento di autorizzazione. In tal senso, secondo tali lettere, l’Istituzione ha trasmesso le osservazioni relative a questioni di gestione dei rischi e al parere scientifico dell’EFSA alle autorità competenti degli Stati membri, al fine di agevolare l’esame di tali questioni nell’ambito del procedimento di autorizzazione, in conformità dell’articolo 17 del regolamento n. 1924/2006. Inoltre, da una di queste lettere emerge che essa ha risposto direttamente a talune questioni sollevate da un terzo interessato e, da un’altra, che, nella misura in cui le osservazioni riguardavano il parere scientifico dell’EFSA, esse sono state parimenti trasmesse all’EFSA, la quale, il 30 giugno 2011, ha prodotto un rapporto tecnico in risposta a tali osservazioni.

167

Come si evince dal verbale della riunione del comitato dell’11 luglio 2011, le osservazioni presentate ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006 sono state esaminate da tale comitato, che ha approvato all’unanimità il progetto del regolamento impugnato.

168

Alla luce dei suesposti rilievi, la Commissione poteva correttamente indicare, al considerando 9 del regolamento impugnato e nella sua lettera del 28 novembre 2011, la quale informava i ricorrenti in merito alla decisione definitiva dell’istituzione sulla loro domanda di autorizzazione, che le loro osservazioni e quelle di altri cittadini trasmesse alla Commissione a norma dell’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006, erano state prese in considerazione in occasione della determinazione delle misure del regolamento impugnato nel corso del procedimento di autorizzazione.

169

Inoltre, laddove i ricorrenti fanno valere che la Commissione non ha trasmesso le loro osservazioni all’EFSA, è sufficiente rilevare, da un lato, che essi non hanno prodotto alcun elemento che consenta di concludere nel senso della necessità di tale trasmissione, e, dall’altro, che tale trasmissione non è stata neanche suggerita dai ricorrenti nelle loro osservazioni.

170

Ne consegue che l’argomento dei ricorrenti secondo il quale la Commissione non avrebbe tenuto conto, nella propria decisione relativa all’autorizzazione dell’indicazione in questione, di una parte importante delle loro osservazioni e di quelle dei terzi interessati intervenuti nel procedimento dinanzi alla Commissione, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006, non può essere accolto.

171

Di conseguenza, l’ottavo motivo dev’essere respinto.

Sul nono motivo, attinente alla violazione dell’obbligo di motivazione

172

I ricorrenti fanno valere che la Commissione, non affrontando, nel regolamento impugnato, né il loro argomento secondo il quale la menzione di un fattore di rischio non sarebbe stato necessario, né la menzione di fattori di rischio diversi dalla perdita d’acqua nei tessuti o da un ridotto contenuto di acqua nei tessuti, né le loro osservazioni e quelle dei terzi interessati presentate ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006, è incorsa in una violazione dell’obbligo di motivazione ad essa incombente.

173

Occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall’articolo 296, secondo comma, TFUE, dev’essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e da permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. L’obbligo di motivazione dev’essere valutato in funzione delle circostanze del caso di specie. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la questione se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti dell’articolo 296, secondo comma, TFUE, va valutata alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto nonché del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia. In particolare, la Commissione non è obbligata a prendere posizione su tutti gli argomenti che gli interessati fanno valere dinanzi ad essa, ma le è sufficiente esporre i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’economia della decisione (v. sentenza Dow AgroSciences e a./Commissione, punto 104 supra, punto 246, e la giurisprudenza citata).

174

Nella specie, i considerando 5 e 6 del regolamento impugnato espongono i motivi del rigetto della domanda dei ricorrenti intesa ad ottenere l’autorizzazione dell’indicazione in questione. Il considerando 5 del regolamento impugnato riporta il nome dei ricorrenti e la proposta di testo dell’indicazione in questione. Quanto al considerando 6 del regolamento impugnato, esso menziona la perdita di acqua nei tessuti e un ridotto contenuto di acqua nei tessuti quali fattori di rischio dedotti dai ricorrenti, dopo aver richiamato la nozione di indicazioni relative alla riduzione di un rischio di malattia contenuta all’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, del regolamento n. 1924/2006. La Commissione menziona ivi anche il parere scientifico dell’EFSA, secondo il quale tali fattori costituiscono misure di deplezione dell’acqua e, quindi, misure della malattia, e precisa che, non risultando dimostrata la riduzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia, l’indicazione in questione non era conforme alle prescrizioni del regolamento n. 1924/2006 e non doveva essere autorizzata.

175

Tale motivazione ha consentito ai ricorrenti di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al Tribunale di esercitare il proprio controllo. Infatti, la proposta di testo dell’indicazione in questione, la norma giuridica applicata dalla Commissione e i fattori di rischio dedotti dai ricorrenti emergono in maniera chiara da tali considerando. Inoltre, è indicato chiaramente che, secondo il parere dell’EFSA, non si era in presenza di fattori di rischio ai sensi del regolamento n. 1924/2006 e che, pertanto, in assenza di prove che dimostrassero la riduzione di un fattore di rischio di sviluppo di una malattia, l’indicazione in questione non era conforme alle prescrizioni del regolamento n. 1924/2006 e non doveva pertanto essere autorizzata.

176

Tale conclusione non viene messa in discussione dagli argomenti dei ricorrenti.

177

In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo cui la motivazione non affronterebbe l’argomento dei ricorrenti secondo il quale la menzione di un fattore di rischio non sarebbe stata necessaria, è sufficiente rilevare che, indicando al considerando 6 del regolamento impugnato il testo dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, del regolamento n. 1924/2006, la Commissione ha sufficientemente motivato la necessità di menzionare un fattore di rischio nella specie.

178

In secondo luogo, per quanto concerne l’argomento secondo il quale la motivazione non avrebbe affrontato gli altri fattori di rischio dedotti dai ricorrenti, è stato già rilevato che l’unico altro fattore di rischio che, secondo i ricorrenti, figurava anche nel testo proposto dell’indicazione in questione, era la disidratazione, mentre l’apporto insufficiente di acqua non era menzionato quale fattore di rischio da parte dei ricorrenti nella loro domanda di autorizzazione dell’indicazione in questione (v. punti 91 e 93 supra). Orbene, poiché la disidratazione viene espressamente menzionata dai ricorrenti come la malattia interessata, l’EFSA e la Commissione non potevano considerarla un fattore di rischio ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, punto 6, e dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1924/2006 (v. punto 91 supra). Una motivazione particolare relativa all’assenza di qualificazione della disidratazione quale fattore di rischio non era dunque necessaria. L’argomento dei ricorrenti deve pertanto essere respinto.

179

In terzo luogo, occorre respingere l’argomento secondo il quale la motivazione non affrontava le osservazioni dei ricorrenti e dei terzi interessati presentate in base all’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006. Infatti, si evince dalla giurisprudenza menzionata al punto 173 supra, che la Commissione non era obbligata a prendere posizione su tutti gli argomenti dedotti dagli interessati dinanzi alla medesima, ma che le era sufficiente esporre i fatti e le considerazioni giuridiche aventi un ruolo essenziale nell’economia della decisione. Pertanto, la Commissione poteva giustamente limitarsi ad indicare, al considerando 9 del regolamento impugnato, che, nel definire le misure del regolamento impugnato si era tenuto conto delle osservazioni dei ricorrenti e dei cittadini pervenute alla Commissione in conformità dell’articolo 16, paragrafo 6, secondo comma, del regolamento n. 1924/2006.

180

Tale considerazione non viene rimessa in discussione dall’affermazione dei ricorrenti secondo la quale la Commissione avrebbe dovuto trattare almeno due elementi presentati in tali osservazioni, vale a dire il parere scientifico dell’EFSA sui valori dietetici di riferimento relativi all’acqua e la sua prassi decisionale. Infatti, da un lato, per quanto attiene a tale parere scientifico dell’EFSA, è stato rilevato in precedenza (v. punto 108 supra) che quest’ultimo non riguardava gli effetti di un consumo regolare di significative quantità d’acqua su un fattore di rischio di sviluppo di una malattia. Dall’altro, per quanto attiene alla prassi decisionale della Commissione, i ricorrenti fanno riferimento ad autorizzazioni relative ad indicazioni sulla salute diverse da quelle che fanno riferimento alla riduzione di un rischio di malattia e ad un’indicazione relativa alla riduzione di un rischio di malattia riguardante gli effetti delle gomme da masticare/pastiglie a base di xilitolo sul rischio di carie dentaria. Orbene, come già rilevato (v. punti 84 e 100 supra), mentre le indicazioni sulla salute diverse da quelle che fanno riferimento alla riduzione di un rischio di malattia non esigono la menzione di un fattore di rischio, nel caso dell’indicazione concernente gli effetti delle gomme da masticare/pastiglie a base di xilitolo, la placca dentaria costituiva il fattore di rischio preso in considerazione. La Commissione non era pertanto tenuta a trattare tali elementi nella motivazione del regolamento impugnato.

181

In quarto luogo, i ricorrenti fanno valere che si evince dai considerando del regolamento impugnato che la Commissione non ha esaminato le loro osservazioni e quelle presentate dai terzi interessati, ma che essa ha ripreso in maniera globale le considerazioni figuranti nel parere dell’EFSA, senza svolgere un esame proprio. A tal riguardo, occorre rilevare che l’obbligo di motivazione è una questione distinta da quella della fondatezza della motivazione dell’atto impugnato (v. sentenza Dow AgroSciences e a./Commissione, punto 104 supra, punto 245, e la giurisprudenza citata). L’argomento relativo all’omesso esame delle osservazioni presentate dai ricorrenti e dai terzi interessati attiene alla legittimità sostanziale del regolamento impugnato e non può, pertanto, fondare una violazione dell’obbligo di motivazione della Commissione. In ogni caso, si deve rilevare che tale argomento è già stato respinto nell’ambito dell’esame del sesto e dell’ottavo motivo (v. punti 141 e 142, nonché punti da 163 a 171 supra).

182

Infine, laddove i ricorrenti fanno valere che la Commissione avrebbe dovuto menzionare il loro indirizzo, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, in combinato con l’articolo 16, paragrafo 4, del regolamento n. 1924/2006, è stato già rilevato (v. punto 132 supra) che, nella specie, un siffatto obbligo non sussisteva.

183

Il nono motivo e, di conseguenza, il ricorso in toto devono essere respinti.

Sulle spese

184

Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Conformemente all’articolo 87, paragrafo 4, di tale regolamento, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese.

185

I ricorrenti, risultati soccombenti, sopporteranno le proprie spese, nonché quelle sostenute dalla Commissione, conformemente alla domanda di quest’ultima. Il Consiglio sopporta le proprie spese.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

Il ricorso è respinto.

 

2)

I sigg. Moritz Hagenmeyer e Andreas Hahn sopporteranno le proprie spese, nonché quelle sostenute dalla Commissione.

 

3)

Il Consiglio dell’Unione sopporterà le proprie spese.

 

Dittrich

Schwarcz

Tomljenović

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 30 aprile 2014.

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.

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