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Document 62011CJ0313

    Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 18 luglio 2013.
    Commissione europea contro Repubblica di Polonia.
    Inadempimento di uno Stato – Regolamento (CE) n. 1829/2003 – Mangimi – Alimenti geneticamente modificati – Produzione, immissione in commercio o utilizzo – Divieto nazionale non ancora entrato in vigore.
    Causa C‑313/11.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2013:481

    SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

    18 luglio 2013 ( *1 )

    «Inadempimento di uno Stato — Regolamento (CE) n. 1829/2003 — Mangimi — Alimenti geneticamente modificati — Produzione, immissione in commercio o utilizzo — Divieto nazionale non ancora entrato in vigore»

    Nella causa C-313/11,

    avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 20 giugno 2011,

    Commissione europea, rappresentata da D. Bianchi e A. Szmytkowska, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

    ricorrente,

    contro

    Repubblica di Polonia, rappresentata da M. Szpunar in qualità di agente,

    convenuta,

    LA CORTE (Quinta Sezione),

    composta da A. Borg Barthet, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, M. Safjan e M. Berger (relatore), giudici,

    avvocato generale: P. Mengozzi

    cancelliere: A. Calot Escobar

    vista la fase scritta del procedimento,

    vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    1

    Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che, avendo vietato la produzione, l’immissione sul mercato e l’utilizzo nell’alimentazione animale in Polonia di mangimi geneticamente modificati, nonché gli organismi geneticamente modificati destinati ad essere utilizzati nei mangimi, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 16, paragrafo 5, 19, 20 e 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GU L 268, pag. 1).

    Contesto normativo

    Il diritto dell’Unione

    2

    Secondo i considerando 3, 4, 7 e 30 del regolamento n. 1829/2003, al fine di proteggere la salute umana e degli animali e di garantire condizioni di concorrenza eque e leali, gli alimenti e i mangimi che contengono organismi geneticamente modificati (in prosieguo: gli «OGM») o che sono costituiti o prodotti a partire da tali organismi (in prosieguo: «gli alimenti e i mangimi geneticamente modificati») dovrebbero essere sottoposti a una valutazione della sicurezza, prima di essere immessi sul mercato dell’Unione europea, secondo una procedura comunitaria unica, efficiente e trasparente.

    3

    Il considerando 31 di tale regolamento recita che, per garantire una valutazione scientifica armonizzata degli elementi e dei mangimi geneticamente modificati, tale valutazione dovrebbe essere effettuata dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare.

    4

    L’articolo 15, paragrafo 1, di detto regolamento, rubricato «Campo di applicazione», stabilisce che le disposizioni sull’autorizzazione relativa ai mangimi geneticamente modificati e le norme in materia di vigilanza si applicano:

    «(...)

    a)

    agli OGM destinati all’alimentazione degli animali;

    b)

    ai mangimi che contengono o sono costituiti da OGM;

    c)

    ai mangimi prodotti a partire da OGM».

    5

    L’articolo 16, paragrafi 1, lettera a), 2, 3 e 5 di tale regolamento, intitolato «Requisiti», così dispone:

    «1.   I mangimi di cui all’articolo 15, paragrafo 1, non devono:

    a)

    avere effetti nocivi sulla salute umana, la salute degli animali o l’ambiente;

    (...)

    2.   Nessuno può immettere in commercio, usare o modificare un prodotto di cui all’articolo 15, paragrafo 1, a meno che per esso non sia stata rilasciata un’autorizzazione conformemente alla presente sezione e a meno che non vengano rispettate le pertinenti condizioni dell’autorizzazione.

    3.   Nessun prodotto indicato all’articolo 15, paragrafo 1, è autorizzato senza che il richiedente l’autorizzazione abbia dimostrato, in modo adeguato e sufficiente, il rispetto dei requisiti di cui al paragrafo 1 del presente articolo.

    (...)

    5.   L’autorizzazione di cui al paragrafo 2 è rilasciata, rifiutata, rinnovata, modificata, sospesa o revocata soltanto per i motivi e secondo le procedure stabiliti nel presente regolamento.

    (...)».

    6

    Gli articoli da 17 a 19 del citato regolamento disciplinano la procedura di autorizzazione. L’articolo 19 precisa, in particolare, che la Commissione è competente a concedere l’autorizzazione.

    7

    L’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003 verte sullo status dei prodotti esistenti e stabilisce le condizioni in presenza delle quali tali prodotti, se legalmente immessi sul mercato prima della data di applicazione del regolamento n. 1829/2003, possono rimanere sul mercato e continuare ad essere utilizzati e lavorati purché siano soddisfatte talune condizioni.

    8

    L’articolo 34 del regolamento in parola dispone che possono essere adottate misure urgenti conformemente alle procedure previste agli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (GU L 31, pag. 1), nel caso in cui un prodotto comporti un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente.

    9

    Gli articoli 53 e 54 del regolamento n. 178/2002 stabiliscono che, in un caso del genere, l’adozione delle misure adeguate è riservata alla Commissione, e uno Stato membro può emanarle esclusivamente in caso di inerzia di detta istituzione.

    Il diritto polacco

    10

    L’articolo 15, paragrafo 1, punto 4), della legge sui mangimi del 22 luglio 2006 (Dz. U. n. 144, posizione 1045; in prosieguo: la «legge sui mangimi»), dispone che la produzione, l’immissione in commercio e l’utilizzo nell’alimentazione animale in Polonia di mangimi geneticamente modificati nonché gli OGM destinati ad essere utilizzati nei mangimi sono vietati (in prosieguo: il «divieto controverso»).

    11

    A norma dell’articolo 53 della legge sui mangimi, chiunque trasgredisca il divieto controverso è passibile di ammenda.

    12

    Tale divieto doveva entrare in vigore, in conformità all’articolo 65 della legge sui mangimi, due anni dopo la sua pubblicazione, ossia il 12 agosto 2008.

    13

    Il 26 giugno 2008 il legislatore polacco ha adottato la legge recante modifica della legge sui mangimi (Dz. U. n. 144, posizione 899), entrata in vigore il 12 agosto 2008, che ha emendato l’articolo 65 della legge sui mangimi rinviando la data di entrata in vigore del divieto controverso al 1o gennaio 2013.

    Fase precontenziosa del procedimento

    14

    Il 24 ottobre 2006 la Commissione, dopo essere venuta a conoscenza della data di entrata in vigore della legge sui mangimi, inviava alla Repubblica di Polonia una lettera in cui spiegava che a suo avviso il divieto controverso costituiva una violazione del regolamento n. 1829/2003, in quanto incideva sulla libera commercializzazione, sulla circolazione e sull’utilizzo dei mangimi già approvati in forza di tale regolamento.

    15

    Con lettera del 28 novembre 2006, la Repubblica di Polonia rispondeva sottolineando la posizione quadro adottata dal Consiglio dei ministri polacco nel contesto del dibattito politico e sociale sorto in Polonia in merito ai mangimi geneticamente modificati, nel cui ambito esso si è pronunciato contro l’introduzione sul mercato di tali mangimi. Detto Stato membro informava la Commissione, segnatamente, di svariati studi in corso riguardanti l’effetto causato da tale divieto sulla produzione e sull’offerta di mangimi geneticamente modificati nonché sulla possibilità di sostituirli, affermando che la decisione definitiva in ordine alla disposizione controversa doveva essere adottata prima della data della sua entrata in vigore, ossia prima del 12 agosto 2008.

    16

    Il 23 marzo 2007 la Commissione inviava una lettera di diffida alla Repubblica di Polonia, nella quale precisava che gli OGM ai sensi del regolamento n. 1829/2003 potrebbero essere vietati solo in ipotesi eccezionali, le cui condizioni non ricorrerebbero nel caso di specie. Pertanto, vietando la produzione, l’immissione in commercio e l’utilizzazione nei mangimi in Polonia di alimenti geneticamente modificati, nonché gli OGM destinati ad essere utilizzati nei mangimi, la Repubblica di Polonia era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del regolamento n. 1829/2003.

    17

    Il 22 maggio 2007 la Repubblica di Polonia chiedeva alla Commissione di rinviare il termine per rispondere alla lettera di diffida al 22 giugno 2007, affermando che «i rischi per l’uomo, gli animali e l’ambiente associati all’utilizzo di prodotti geneticamente modificati suscitano forti timori». Essa asseriva inoltre che, per preparare la propria risposta, le incombeva la responsabilità di tenere conto delle osservazioni e delle opinioni di svariati esperti, circostanza che implicava la prestazione di consulenze, lo svolgimento d’indagini e di colloqui, nonché l’analisi di una grande mole di documenti. La Commissione accoglieva tale domanda con lettera del 31 maggio 2007.

    18

    Con lettera del 22 giugno 2007, la Repubblica di Polonia replicava alla lettera di diffida reiterando, in sostanza, i medesimi argomenti dedotti in giudizio nella sua lettera del 28 novembre 2006.

    19

    La Commissione, non ritenendosi soddisfatta da tale risposta, in data 23 ottobre 2007 inviava un parere motivato alla Repubblica di Polonia, intimandole di adottare le misure necessarie per conformarsi ai suoi obblighi entro un termine di due mesi a decorrere dal ricevimento di tale parere motivato, che avveniva sempre il 23 ottobre 2007.

    20

    Facendo valere la difficoltà che il Ministro dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale incontrava, alla luce della sua recente nomina, nell’adottare tempestivamente una decisione in merito alla posizione definitiva da tenere quanto alla violazione contestata, la Repubblica di Polonia chiedeva il differimento del termine per rispondere al parere motivato al 13 dicembre 2007. La Commissione respingeva tale domanda in quanto non ricorrevano i presupposti applicabili.

    21

    Nella sua risposta al parere motivato, in data 21 gennaio 2008, detto Stato membro annunciava l’abrogazione dell’articolo 15, paragrafo 4, della legge sui mangimi.

    22

    La Commissione, non avendo ricevuto alcuna informazione riguardo a tale abrogazione, con lettera del 16 giugno 2008 chiedeva di essere informata senza indugio in merito alla soppressione del divieto controverso.

    23

    Con lettera del 26 giugno 2008, la Repubblica di Polonia informava la Commissione che i lavori legislativi relativi al progetto di modifica della legge sui mangimi erano in corso e che il divieto controverso doveva entrare in vigore non già il 12 agosto 2008, bensì il 1o gennaio 2012. In realtà la modifica adottata dal legislatore polacco ha rinviato tale data al 1o gennaio 2013.

    24

    Alla luce di tali fatti, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

    Sul ricorso

    Argomenti delle parti

    25

    In via preliminare, per quanto attiene all’argomento dedotto in giudizio dalla Repubblica di Polonia in virtù del quale la vacatio legis relativa al divieto controverso prevista fino al 1o gennaio 2013 permette effettivamente di conservare, in conformità con il regolamento n. 1829/2003, la possibilità di produrre, di immettere in commercio e di utilizzare mangimi geneticamente modificati, la Commissione, fondandosi segnatamente sulle sentenze del 29 ottobre 1998, Commissione/Grecia (C-185/96, Racc. pag. I-6601) e del 28 novembre 2002, Commissione/Francia (C-259/01, Racc. pag. I-11093), asserisce che l’adozione del divieto controverso ed il rinvio della sua entrata in vigore sono in contrasto con il principio della certezza del diritto.

    26

    A tale proposito, la Commissione precisa che, posto che la Repubblica di Polonia non ha abrogato il divieto controverso, i produttori di mangimi interessati, che sono, in particolare, tenuti ad individuare nuove fonti di materie prime, si trovano in una situazione giuridica incerta a fronte del rischio di un ennesimo rinvio dell’entrata in vigore di tale divieto.

    27

    In questo contesto, fondandosi sulla giurisprudenza della Corte, la Commissione ricorda che uno Stato membro viola il diritto dell’Unione non solo se conserva una disposizione di legge ad esso contraria, ancorché la disposizione in questione non sia attuata, ma altresì se istituisce un quadro normativo in contrasto con una direttiva, anche quando esso non sia stato ancora applicato a casi concreti.

    28

    Inoltre uno Stato membro non potrebbe giustificare l’inosservanza del diritto dell’Unione adducendo il fatto che non ne è derivata nessuna conseguenza negativa, laddove emerga da svariati documenti che il divieto controverso, una volta entrato in vigore, darebbe origine a conseguenze siffatte.

    29

    La Commissione rimarca poi che la libertà di scelta di cui gode uno Stato membro quanto alla tecnica legislativa non implica la libertà di adottare una normativa incompatibile con il diritto dell’Unione.

    30

    Inoltre, la Commissione ricorda di aver inviato alla Repubblica di Polonia il suo parere motivato prima dell’entrata in vigore del divieto controverso, che era stata prevista per il 12 agosto 2008, e che, pertanto, la modifica apportata dalla Repubblica di Polonia alla data di entrata in vigore di tale divieto, fissata ormai al 1o gennaio 2013, non incide affatto sulla sostanza della violazione nella causa in esame.

    31

    Inoltre, per quanto attiene ad un’eventuale giustificazione fondata sulla moralità pubblica prevista all’articolo 36 TFUE, la Commissione sottolinea, in via preliminare, che il regolamento n. 1829/2003 costituisce una misura di armonizzazione completa nel settore dei mangimi geneticamente modificati nonché degli OGM destinati ad essere utilizzati nell’alimentazione animale. Pertanto, una misura nazionale deve essere valutata alla luce non già delle disposizioni del diritto primario, bensì di quelle di tale misura di armonizzazione.

    32

    Anche qualora ci si avvalga della procedura di urgenza, prevista all’articolo 34 del regolamento n. 1829/2003, che fa rinvio al complesso procedimento da seguire previsto dal regolamento n. 178/2002, qualora esista un grave rischio per la salute umana, la salute degli animali o l’ambiente, l’adozione delle misure adeguate sarebbe tuttavia riservata alla Commissione, e uno Stato membro sarebbe autorizzato ad emanare misure provvisorie di tutela solo in caso di inerzia di tale istituzione.

    33

    Nell’esprimere i propri dubbi in merito al fatto che, come avviene nella fattispecie, uno Stato membro possa sollevare le eccezioni enunciate all’articolo 36 TFUE, la Commissione asserisce, inoltre, che, in ogni caso, la Repubblica di Polonia non ha dimostrato, come richiede la costante giurisprudenza, che ricorrano le condizioni che consentono una deroga a norma dell’articolo 36 TFUE.

    34

    A questo proposito, tale istituzione addebita alla Repubblica di Polonia di non aver invocato la moralità pubblica in via autonoma, bensì, piuttosto, di confonderla con la giustificazione fondata sulla tutela della salute e dell’ambiente. Tale Stato membro, inoltre, non avrebbe dimostrato un nesso tra il divieto controverso e la moralità pubblica. Per di più, secondo la Commissione, la circostanza che non sia stato prodotto alcuno studio su questo tema è in contrasto con la giurisprudenza della Corte secondo cui uno Stato membro non può basarsi sull’orientamento di una parte dell’opinione pubblica per rimettere unilateralmente in discussione una misura di armonizzazione.

    35

    Infine, sottolineando che uno Stato membro che ricorre alle misure previste all’articolo 36 TFUE è tenuto, secondo la giurisprudenza della Corte, a rispettare il principio della proporzionalità, la Commissione afferma che il divieto controverso è, in ogni caso, manifestamente sproporzionato.

    36

    La Repubblica di Polonia replica che nella fattispecie non è possibile qualificare alla stregua di una violazione del diritto dell’Unione il mero fatto che il legislatore nazionale abbia adottato disposizioni di legge che non sono entrate in vigore e non entreranno in vigore.

    37

    A tale riguardo, detto Stato membro contesta la pertinenza della giurisprudenza addotta dalla Commissione per corroborare i suoi argomenti, rimarcando che le sentenze in parola riguardano solo situazioni in cui la Corte si pronunciava in merito alla violazione del diritto dell’Unione da parte del diritto nazionale in vigore negli Stati membri coinvolti, il che è esattamente ciò che non accade nel caso di specie.

    38

    L’effetto di tale presunta violazione potrebbe eventualmente prodursi dopo la scadenza della vacatio legis prevista dalla legge, quindi dopo un periodo considerevole, ma, secondo la Repubblica di Polonia, sarebbe ipotetico, stante il fatto che, fino alla scadenza di detta vacatio legis, il divieto controverso potrebbe ancora subire una modifica o un’abrogazione da parte del legislatore polacco. Pertanto, la Commissione non potrebbe fondare la procedura prevista all’articolo 258 TFUE su siffatte violazioni eventuali ed ipotetiche.

    39

    Sottolineando che gli Stati membri sono liberi di scegliere la propria tecnica legislativa, in particolare per quanto attiene ai tempi per l’entrata in vigore di una disposizione, la Repubblica di Polonia sostiene che la circostanza che la Commissione metta in discussione disposizioni non ancora entrate in vigore potrebbe sfociare in una situazione in cui tale istituzione può contestare le tecniche legislative di cui si avvale uno Stato membro secondo il suo ordinamento giuridico, laddove, in realtà, la normativa dello Stato membro in oggetto sia conforme al diritto dell’Unione.

    40

    La Repubblica di Polonia ne desume che, dato che la normativa nazionale in vigore garantisce pienamente la possibilità di fabbricare, immettere in commercio e utilizzare nell’alimentazione animale mangimi geneticamente modificati e OGM destinati all’alimentazione animale, la certezza del diritto non è affatto messa a repentaglio come sostiene invece la Commissione.

    41

    Inoltre, detto Stato membro afferma che la citata vacatio legis riflette l’orientamento prudente seguito dalla Repubblica di Polonia in materia di utilizzo di prodotti geneticamente modificati e che tali disposizioni sono state applicate conformemente al procedimento previsto dagli articoli da 17 a 19 del regolamento n. 1829/2003.

    42

    Infine, nella controreplica, la Repubblica di Polonia annuncia a titolo informativo che la legge sui mangimi sarà soggetta ad una modifica a partire dall’inizio del 2012 la quale prevede, in particolare, la proroga fino al 1o gennaio 2017 della vacatio legis del divieto controverso che, diversamente da quanto sostenuto dalla Commissione, non entrerà quindi in vigore il 1o gennaio 2013.

    Giudizio della Corte

    43

    In via preliminare, occorre osservare che come principale motivo di difesa la Repubblica di Polonia adduce il fatto che il divieto controverso non era ancora entrato in vigore nel momento in cui è scaduto il termine fissato nel parere motivato, e che, di conseguenza, il diritto dell’Unione non è stato violato.

    44

    La Commissione, pur non contestando la vacatio legis dell’articolo 15, paragrafo 1, punto 4, della legge sui mangimi, sostiene che il mero fatto dell’adozione e della pubblicazione di tale disposizione configura, a suo parere, un inadempimento degli obblighi della Repubblica di Polonia come definiti dal regolamento n. 1829/2003.

    45

    A tal riguardo, è sufficiente ricordare che la Corte ha ripetutamente statuito che l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che i mutamenti intervenuti in seguito non possono essere presi in considerazione dalla Corte (v., in particolare, sentenze del 17 gennaio 2008, Commissione/Germania, C-152/05, Racc. pag. I-39, punto 15, e del 6 novembre 2012, Commissione/Ungheria, C-286/12, punto 41 e la giurisprudenza citata).

    46

    Occorre constatare che, in conformità a tale giurisprudenza, la data in cui si deve collocare la Corte per valutare l’esistenza dell’inadempimento addebitato alla Repubblica di Polonia è il 23 dicembre 2007.

    47

    Orbene, in questo caso di specie è pacifico che alla scadenza del citato termine il divieto controverso non era vigente, in quanto, a norma dell’articolo 65 della legge sui mangimi, quest’ultima doveva entrare in vigore due anni dopo la sua pubblicazione, ossia il 12 agosto 2008, quindi successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, sicché esso non può costituire l’oggetto del presente ricorso.

    48

    Il ricorso della Commissione potrebbe essere coronato da successo solamente se il regolamento n. 1829/2003 avesse obbligato la Repubblica di Polonia ad osservare taluni obblighi anche prima della data del 12 agosto 2008. Nel contesto della presente controversia, siffatti obblighi avrebbero comportato, segnatamente, che gli Stati membri fossero tenuti ad astenersi dall’adottare normative idonee a produrre effetti negativi contrari agli obiettivi di tale regolamento anche prima della loro entrata in vigore (v., in questo senso, sentenza del 28 ottobre 2010, Commissione/Malta, C-508/08, Racc. pag. I-10589, punto 21). È giocoforza constatare, tuttavia, che la Commissione non ha affatto fondato i motivi dedotti a sostegno del suo ricorso sull’esistenza degli obblighi direttamente risultanti dal citato regolamento.

    49

    Inoltre, quanto agli eventuali obblighi discendenti da altre disposizioni del diritto dell’Unione, la Commissione, rifacendosi a numerose sentenze della Corte, lamenta che il divieto controverso viola il principio della certezza del diritto.

    50

    A questo proposito, è sufficiente constatare che la giurisprudenza citata dalla Commissione riguarda, da un lato, situazioni in cui la Corte si pronunciava in merito ad una violazione del diritto dell’Unione da parte del diritto nazionale vigente negli Stati membri in oggetto e, dall’altro, la trasposizione di direttive. Posto che tali situazioni non sono identiche a quella oggetto della causa in esame, la Commissione non ha dimostrato in maniera sufficientemente precisa che, nelle specifiche circostanze del caso di specie, è stata commessa una violazione del principio della certezza del diritto.

    51

    Peraltro, la Commissione non ha neppure addotto il fatto che uno Stato membro, nel contesto della fattispecie, è soggetto ad altri obblighi che sarebbero stati violati nel caso di specie, come quelli risultanti, a titolo di esempio, dal principio di lealtà sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE.

    52

    Alla luce di quanto precede, e senza che occorra pronunciarsi sulle ulteriori censure presentate sia dalla Commissione sia dalla Repubblica di Polonia, occorre respingere il ricorso della Commissione.

    Sulle spese

    53

    A norma dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Repubblica di Polonia ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

     

    Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara e statuisce:

     

    1)

    Il ricorso è respinto.

     

    2)

    La Commissione europea è condannata alle spese.

     

    Firme


    ( *1 ) Lingua processuale: il polacco.

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