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Document 62011CC0661

Conclusioni dell'avvocato generale Cruz Villalón del 18 aprile 2013.
Martin y Paz Diffusion SA contro David Depuydt e Fabriek van Maroquinerie Gauquie NV.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour de cassation - Belgio.
Marchi - Direttiva 89/104/CEE - Articolo 5 - Consenso del titolare di un marchio all’uso, da parte di un terzo, di un segno identico a tale marchio - Consenso dato nell’ambito di uno sfruttamento condiviso - Possibilità per detto titolare di porre fine allo sfruttamento condiviso e di riprendere l’uso esclusivo del suo marchio.
Causa C-661/11.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2013:252

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 18 aprile 2013 ( 1 )

Causa C‑661/11

Martin y Paz Diffusion SA

contro

David Depuydt

e

Fabriek van Maroquinerie Gauquie NV

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Belgio)]

«Marchi — Direttiva 89/104/CEE — Articolo 5, paragrafo 1 — Diritto esclusivo del titolare conferito dal marchio — Sfruttamento condiviso di un marchio — Consenso — Revoca del consenso all’uso di un marchio — Concorrenza sleale»

1. 

Al titolare di un marchio può essere definitivamente impedito di esercitare il suo diritto esclusivo e di sfruttare il marchio per determinati prodotti perché un terzo ha usato il marchio per detti prodotti con il consenso del titolare per un lungo periodo? Questo è, il nocciolo delle questioni che la Corte di giustizia è chiamata a risolvere nel presente procedimento.

2. 

Tali questioni sono sollevate in un contesto fattuale piuttosto insolito. Entrambe le parti nel procedimento principale – la Martin y Paz Diffusion (in prosieguo: la «MyP»), da un lato, e la Fabriek van Maroquinerie Gauquie (in prosieguo: la «Gauquie»), insieme al suo direttore, David Depuydt, dall’altro – sono attive nell’industria degli articoli di pelletteria. Esse hanno usato lo stesso marchio, ma ciascuna per prodotti diversi. Inizialmente le parti hanno cooperato, modificando nel tempo il marchio usato. Ad un certo momento, la MyP ha registrato alcuni di tali marchi. Successivamente, la relazione tra le parti si è deteriorata, dando luogo a vari procedimenti giudiziari.

I – Contesto normativo

A – Il diritto dell’Unione europea

3.

La prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988 (in prosieguo: la «direttiva») ( 2 ), applicabile alla fattispecie, è stata adottata al fine di armonizzare le normative sui marchi degli Stati membri.

4.

Il considerando 6 stabilisce che la direttiva «non esclude che siano applicate ai marchi di impresa norme del diritto degli Stati membri diverse dalle norme del diritto dei marchi di impresa, come le disposizioni sulla concorrenza sleale, la responsabilità civile o la tutela dei consumatori».

5.

Il considerando 7 della direttiva enuncia, tra l’altro, che «gli impedimenti alla registrazione o i motivi di nullità inerenti al marchio di impresa stesso, ad esempio l’assenza di carattere distintivo, ovvero ai conflitti tra il marchio di impresa e i diritti anteriori devono essere enumerati esaurientemente».

6.

L’articolo 3 della direttiva enumera gli impedimenti alla registrazione o i motivi di nullità. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), della direttiva, se e nella misura in cui «il richiedente abbia fatto in malafede la domanda di registrazione del marchio di impresa», uno Stato membro può prevedere che un marchio di impresa sia escluso dalla registrazione o, se registrato, possa essere dichiarato nullo. L’articolo 4 enumera ulteriori impedimenti alla registrazione o motivi di nullità relativi ai conflitti con diritti anteriori.

7.

L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva così dispone:

«Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)

un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato;

b)

un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa».

8.

L’articolo 8 della direttiva disciplina la licenza.

9.

La direttiva è stata abrogata dall’articolo 17 della direttiva 2008/96/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa ( 3 ), entrata in vigore il 28 novembre 2008. Il considerando 7 della nuova direttiva riprende il considerando 6 di quella precedente e l’articolo 5, paragrafo 1, della nuova direttiva è identico, salvo lievi modifiche, all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva precedente. Considerate le date dei fatti di cui trattasi, è la vecchia direttiva che trova applicazione.

B – Il diritto nazionale

10.

Il giudice del rinvio è tenuto ad applicare gli articoli 2.20, paragrafo 1, e 2.32, paragrafo 1, della Convenzione del Benelux in materia di proprietà intellettuale (marchi e disegni o modelli) (in prosieguo: la «CBPI»), firmata a L’Aia il 25 febbraio 2005, che hanno recepito gli articoli 5, paragrafo 1, e 8, paragrafo 1, della direttiva. La CBPI è entrata in vigore il 1o febbraio 2007, ed è stata successivamente modificata.

11.

L’articolo 2.20, paragrafo 1, così dispone:

«1.

Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Senza pregiudizio dell’eventuale applicazione del diritto ordinario in materia di responsabilità civile, il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)

un segno identico al marchio suddetto per prodotti o servizi identici a quelli per cui tale marchio è stato registrato;

b)

un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa;

c)

(…)».

12.

L’articolo 2.32, paragrafo 1, stabilisce: «1. Il marchio di impresa può essere oggetto di licenza per la totalità o parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato».

II – Fatti e procedimento principale

A – I fatti

13.

La fattispecie in esame concerne la portata del diritto esclusivo conferito alla MyP, in questa fase, da due marchi da essa registrati presso l’Ufficio marchi del Benelux: una lettera N allungata, registrata come marchio figurativo il 14 agosto 1998 (n. 636308) per tutti i prodotti delle classi 18 (cuoio) e 25 (articoli di abbigliamento) della Classificazione di Nizza ( 4 ) e il marchio denominativo «NATHAN BAUME» (n. 712962), registrato per i prodotti delle classi 18 e 25 il 24 gennaio 2002.

14.

Tuttavia, l’origine della controversia è ravvisabile nel precedente uso condiviso della MyP e della Gauquie di un terzo marchio, «NATHAN», che risale all’epoca in cui il sig. Nathan Svitckenbaum ha iniziato a produrre articoli di pelletteria negli anni ’30 con il nome Nathan Baum. Nel 1990 i diritti del nome «Nathan» erano detenuti da Paul Baquet, un altro fabbricante di articoli di pelletteria.

15.

Il 6 giugno 1990 il sig. Baquet ha venduto il nome «NATHAN» alla MyP. In forza del contratto, la vendita era conclusa «in vista dello sfruttamento di una linea di prodotti di piccola pelletteria». Il sig. Baquet «conserva la proprietà del nome per la fabbricazione di borsette». La MyP «si impegna a non compiere atti di concorrenza sleale relativamente alla fabbricazione e alla distribuzione di borse con i modelli e con il nome NATHAN».

16.

Cinque anni dopo, con contratto del 2 maggio 1995, il sig. Depuydt ha acquistato la parte residua dell’impresa del sig. Baquet, compreso «il nome commerciale/l’insegna Paul Baquet “NATHAN”, nonché il marchio denominativo “NATHAN”, registrato dal sig. Baquet nel 1991 presso l’Ufficio dei marchi del Benelux per le classi 18 e 25. In considerazione del contratto concluso tra il sig. Baquet e la MyP, il sig. Depuydt ha rinunciato a fabbricare e distribuire piccoli articoli di pelletteria con il nome «NATHAN».

17.

Nel corso del 1995 il sig. Depuydt ha immesso in commercio borsette con il marchio «NATHAN», sulle quali era apposta una lettera «N» allungata in senso orizzontale ( 5 ). La MyP utilizza il segno costituito dalla lettera «N» allungata almeno dal 1996 e sostiene di averlo utilizzato dalla fine del 1990 o dall’inizio del 1991, circostanza che viene negata dal sig. Depuydt e dalla Gauquie.

18.

Le parti hanno dovuto riconsiderare l’uso del loro marchio quando, nel 1998, la società Natan (senza alcun rapporto con le medesime) ha sostenuto che il marchio «NATHAN» era troppo simile al suo marchio «NATAN».

19.

Dal 2002 sia la MyP sia la Gauquie usano il marchio figurativo «N» e il nuovo marchio denominativo «NATHAN BAUME». Esse condividono l’uso di tali marchi nello stesso modo in cui hanno condiviso il marchio «NATHAN». Così, utilizzando il marchio figurativo «N» e il marchio denominativo «NATHAN BAUME» (gli unici due marchi che restano rilevanti in questa fase del procedimento) la MyP distribuisce una serie di articoli di pelletteria (che comprendono, ad esempio, borse da toilette, portafogli, borse da viaggio, cinture) e la Gauquie fabbrica e vende borsette e scarpe. Le parti si vendono reciprocamente i loro prodotti e li mostrano nei rispettivi negozi.

20.

Il 14 agosto 1998 la MyP ha registrato presso l’Ufficio dei marchi del Benelux sia il marchio «N» di cui trattasi sia il marchio «NATHAN» come marchio figurativo. Il marchio «NATHAN BAUME» è stato registrato dalla MyP nel 2002. Il sig. Depuydt e la Gauquie affermano che la MyP non li ha informati della registrazione. La cessione del marchio denominativo «NATHAN», registrato originariamente dal sig. Baquet, alla MyP e al sig. Depuydt sono stati registrati, rispettivamente, il 17 agosto 1998 e il 19 dicembre 2000.

21.

Nonostante la registrazione di tali marchi, le parti hanno continuato la loro relazione come in precedenza. Tuttavia, con il passare del tempo i rapporti hanno cominciato a deteriorarsi, secondo la decisione in appello perché la MyP ha cominciato a commercializzare altri prodotti e ha preteso che la Gauquie si consultasse sulla scelta di materiali, colori e comunicazione. Già nel luglio del 1998, la MyP ha rimproverato alla Gauquie una mancanza di cooperazione tra le due ditte, a danno della loro immagine sul mercato, auspicando più volte (anche nel dicembre 2001, nel giugno e nel dicembre 2003) una più stretta collaborazione. Nel dicembre del 2004 la MyP ha lamentato, come espresso dal giudice del rinvio la violazione delle «regole di comproprietà del marchio “NATHAN BAUME”». Un tentativo di raggiungere un accordo è fallito.

B – Il procedimento principale

22.

Il 24 maggio 2005 il sig. Depuydt e la Gauquie hanno citato senza successo la MyP dinanzi al tribunale commerciale di Nivelles, chiedendo l’annullamento, o almeno la dichiarazione d’invalidità, dei marchi figurativi «N» e «NATHAN» e del marchio denominativo «NATHAN BAUME» solo per i piccoli articoli di pelletteria.

23.

Come risposta al tentativo del sig. Depuydt e della Gauquie di ottenere l’annullamento dei marchi, la MyP ha deciso di porre fine all’uso condiviso dei marchi e l’11 gennaio 2007 ha citato in giudizio il sig. Depuydt e la Gauquie dinanzi al medesimo tribunale, al fine di impedire loro l’uso del marchio figurativo «N» e del marchio denominativo «NATHAN BAUME» per i prodotti della classi 18 e 25. Il sig. Depuydt e la Gauquie hanno proposto domanda riconvenzionale, chiedendo che fosse ingiunto alla MyP di cessare l’uso dei marchi «N», «NATHAN» e «NATHAN BAUME» per i prodotti di pelletteria diversi da quelli piccoli, segnatamente per le borsette. La domanda della MyP è stata respinta dal tribunale, che ha ingiunto alla medesima di cessare la fabbricazione, l’immissione in commercio, la vendita e la distribuzione di borsette identiche o simili a quelle del sig. Depuydt e della Gauquie.

24.

Le due sentenze sono state impugnate. La Cour d’appel (Corte d’appello) di Bruxelles si è pronunciata sulle impugnazioni l’8 novembre 2007.

25.

La Cour d’appel ha dichiarato che i tre marchi registrati di cui trattasi, ossia i due marchi figurativi «NATHAN» e «N» e il marchio denominativo «NATHAN BAUME», detenuti dalla MyP, sono validi. In particolare, l’azione diretta a chiederne l’annullamento per registrazione in mala fede è risultata prescritta.

26.

Alla Gauquie e al sig. Depuydt è stato vietato di usare i tre marchi per tutti i prodotti, ad eccezione delle borsette e delle scarpe, in forza dei diritti esclusivi conferiti dal marchio. La Cour d’appel ha giustificato tali eccezioni invocando la dottrina dell’abuso di diritti, in particolare lo sviamento di procedura. Essa ha dichiarato che la MyP aveva fatto valere il suo diritto esclusivo in modo così categorico con la sola intenzione di vendicarsi. In passato, la MyP aveva sempre riconosciuto il diritto della Gauquie di usare i marchi «N» e «NATHAN BAUME» per borsette e scarpe. La Cour d’appel ha dichiarato che non esisteva una licenza (illimitata, tacitamente rinnovabile) tra le parti. Tuttavia, la MyP si era spinta al punto da riconoscere una forma di comproprietà dei marchi. Secondo la Cour d’appel ciò costituisce un «consenso irrevocabile» a che la Gauquie facesse uso dei marchi per le borsette e le scarpe.

27.

Dall’altra parte, alla MyP è stato vietato di usare nel commercio tali marchi per borsette e scarpe. La Cour d’appel ha considerato che siffatto uso avrebbe configurato una concorrenza sleale. Innanzitutto, la MyP aveva sempre riconosciuto volontariamente che il suo obbligo di non compiere atti di concorrenza sleale nei confronti del sig. Baquet in ordine alla fabbricazione e alla distribuzione di borsette recanti il nome «NATHAN» si estendeva, per le borsette e le scarpe, ai marchi «N» e «NATHAN BAUME». In secondo luogo, la Gauquie per un buon numero di anni aveva fatto investimenti notevoli nella pubblicità dei suoi prodotti, pubblicità dalla quale la MyP avrebbe indebitamente tratto profitto.

28.

Una sentenza interpretativa del 12 settembre 2008 ha ulteriormente definito i termini «borsette» e «nel commercio».

29.

La MyP ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza e la sentenza interpretativa della Corte d’appello, nella misura in cui queste riguardano i marchi «N» e «NATHAN BAUME», deducendo a tal fine due motivi.

30.

Nel suo primo motivo, relativo alla limitazione del provvedimento ingiuntivo adottato nei confronti della Gauquie e del sig. Depuydt, essa fa valere che soltanto una licenza che costituisca il consenso richiesto ai sensi dell’articolo 2.20, paragrafo 1, della CBPI può consentire ad un terzo di usare un marchio. È una questione di ordine pubblico il fatto che non può esistere un consenso irrevocabile, vale a dire un obbligo irrevocabile, perché sarebbe contrario al diritto esclusivo conferito dal marchio. La revoca del consenso e l’esercizio dei diritti di marchio, a giudizio della MyP, non possono costituire un abuso di diritti e anche se configurassero un siffatto abuso, la giusta sanzione sarebbe quella di ridurre l’esercizio del diritto al suo livello normale e riconoscere un risarcimento del danno, ma non vietare l’esercizio del marchio.

31.

Sul divieto di fare essa stessa un determinato uso del marchio, la MyP sostiene, con il suo secondo motivo, che i marchi conferiscono un diritto esclusivo di vietare ad altri l’uso degli stessi senza il proprio consenso. Secondo la MyP, tale diritto implica il diritto di utilizzare il marchio essa stessa, in quanto in caso contrario il titolare ne rischia la decadenza. Al termine della validità di una licenza (anche se accompagnata da un impegno del titolare del marchio di non usarlo esso stesso) il titolare riprende il pieno esercizio esclusivo dei suoi diritti. Qualsiasi vantaggio che il titolare ricavi dalla pubblicità realizzata dalla parte che era stata autorizzata a usare il marchio, nonché il rischio di confusione risultante dal recupero del diritto, sono solo le necessarie conseguenze del legittimo esercizio del suo diritto esclusivo. In subordine, essa fa valere che la Cour d’appel non poteva legittimamente vietarle in via definitiva l’uso del marchio e avrebbe dovuto adottare un provvedimento meno restrittivo.

III – Questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

32.

Nella sentenza del 2 dicembre 2011 il giudice del rinvio ha respinto l’argomento della MyP secondo il quale il suo tentativo di impedire alla Gauquie di usare i marchi era soltanto l’esercizio del suo diritto esclusivo conferito dal marchio e non poteva dunque essere considerato un abuso di diritti, in quanto fondato su una lettura non corretta della sentenza impugnata. La Cour d’appel ha dichiarato che la decisione impugnata non solo considerava il lungo periodo di uso condiviso, ma anche i motivi di vendetta e il modo in cui la MyP aveva formulato il suo ricorso.

33.

Il giudice del rinvio ha del pari considerato che entrambi gli argomenti della MyP sollevano varie questioni d’interpretazione relative alla direttiva 89/104. Esso ha perciò sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.1.

Se l’articolo 5, paragrafo 1, e l’articolo 8, paragrafo 1, della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, debbano essere interpretati nel senso che il diritto esclusivo conferito dal marchio registrato non può essere più opposto dal suo titolare a un terzo in via definitiva, per tutti i prodotti considerati al momento della registrazione:

qualora, per un lungo periodo, il titolare abbia condiviso lo sfruttamento di tale marchio con il terzo in una forma di comproprietà riguardante una parte dei prodotti considerati;

qualora, in occasione di tale condivisione, costui abbia prestato al terzo il proprio consenso irrevocabile a che quest’ultimo facesse uso di tale marchio per i suddetti prodotti.

1.2.

Se detti articoli debbano essere interpretati nel senso che l’applicazione di una norma nazionale, come quella secondo la quale il titolare di un diritto non può esercitare quest’ultimo scorrettamente o abusivamente, può avere come conseguenza di impedire definitivamente l’esercizio di tale diritto esclusivo per una parte dei prodotti considerati o nel senso che tale applicazione deve essere limitata a sanzionare diversamente detto esercizio scorretto o abusivo del diritto.

2.1.

Se l’articolo 5, paragrafo 1, e l’articolo 8, paragrafo 1, della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, debbano essere interpretati nel senso che, qualora il titolare di un marchio registrato ponga fine al proprio impegno nei confronti del terzo di non fare uso di tale marchio per alcuni prodotti, e intenda in tal modo riprendere esso stesso tale uso, il giudice nazionale può tuttavia vietare definitivamente tale ripresa dell’uso in ragione del fatto che questa è costitutiva di un atto di concorrenza sleale in quanto per il titolare ne potrà derivare un vantaggio conseguente alla pubblicità realizzata in precedenza per il marchio dal terzo summenzionato ed una possibile confusione nella clientela, ovvero se debbano essere interpretati nel senso che il giudice nazionale deve adottare una sanzione diversa che non osti definitivamente a tale ripresa dell’uso da parte del titolare.

2.2.

Se detti articoli debbano essere interpretati nel senso che il divieto definitivo di uso del marchio da parte del titolare è giustificato qualora il terzo abbia effettuato investimenti da diversi anni per far conoscere al pubblico i prodotti per i quali è stato autorizzato dal titolare a fare uso del marchio».

34.

L’ordinanza di rinvio è pervenuta nella cancelleria della Corte il 3 gennaio 2012.

35.

Osservazioni scritte sono state presentate dalla MyP, dal sig. Depuydt e dalla Gauquie (congiuntamente), dalla Repubblica di Polonia e dalla Commissione.

36.

All’udienza del 10 gennaio 2013 le parti del procedimento principale e la Commissione hanno svolto osservazioni orali.

IV – Valutazione

A – Ricevibilità

37.

Il sig. Depuydt e la Gauquie sollevano due argomenti per contestare la ricevibilità delle questioni presentate dal giudice del rinvio. In primo luogo, posto che la direttiva è stata recepita in diritto nazionale, qualsiasi questione di interpretazione è a loro avviso una questione di diritto nazionale. Lo stesso vale per la questione se il diritto nazionale possa limitare i diritti di marchio. Anche la Commissione ravvisa nella controversia soltanto una relazione molto remota con il diritto dell’Unione in materia di marchi.

38.

In secondo luogo, il sig. Depuydt e la Gauquie sostengono che le questioni non sono pertinenti per la fattispecie in esame. A loro avviso, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva non disciplina la questione se il diritto nazionale possa limitare i diritti esclusivi del titolare di un marchio. Se i giudici nazionali hanno esplicitamente dichiarato che non era stata rilasciata alcuna licenza, non è rilevante neppure l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva ( 6 ). Il sig. Depuydt e la Gauquie considerano anche che la prima questione riguarda un provvedimento che non ha nessuna relazione con i fatti della causa.

39.

Tali argomenti non mi convincono. Ovviamente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale soltanto sull’interpretazione del diritto dell’Unione e non ha il potere di interpretare il diritto nazionale ( 7 ). Tuttavia, la Cour de cassation ha chiesto alla Corte di interpretare la direttiva e non il diritto nazionale che vi dà attuazione. Il fatto che la direttiva sia stata recepita nel diritto interno non significa che i giudici nazionali non debbano più tenerne conto. Essi hanno invece l’obbligo di interpretare il diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva ( 8 ).

40.

Per quanto concerne la pertinenza delle questioni sollevate dal giudice nazionale, ai sensi della giurisprudenza consolidata della Corte, spetta in linea di principio ai giudici nazionali aditi, dinanzi ai quali è pendente il procedimento, valutare la pertinenza delle questioni sottoposte alla Corte ( 9 ). La Corte procederà diversamente solo allorché risulti «in modo manifesto» ( 10 ) che l’interpretazione di una norma dell’Unione è irrilevante per il procedimento.

41.

Riguardo all’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva, lo stesso giudice del rinvio ha dichiarato che non esisteva un contratto di licenza tra le parti. Atteso che la Corte è vincolata da questa dichiarazione di fatto, risulta, effettivamente, che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva non è rilevante ai fini della soluzione del procedimento. Tenendo presente questa circostanza, e al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, le questioni possono essere riformulate in modo tale da non includere alcun riferimento all’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva ( 11 ).

B – Analisi nel merito

42.

Il giudice del rinvio ha accertato alcuni fatti che sono importanti per il procedimento. Alcuni di essi devono essere messi in rilievo, in quanto sono vincolanti per la Corte. Innanzitutto, la MyP è titolare dei marchi validamente registrati di cui trattasi per tutti i prodotti in questione. In secondo luogo, sin da quando la MyP ha registrato i marchi, la Gauquie e il sig. Depuydt li hanno usati con il suo consenso. In terzo luogo, è pacifico che le parti non hanno stipulato un contratto di licenza. In quarto luogo, nulla indica che anche la Gauquie e il sig. Depuydt sono titolari dei marchi controversi. Il giudice del rinvio, anche se menziona una «forma di comproprietà», non sostiene che questi ultimi abbiano registrato i marchi o che abbiano diritti di marchio acquisiti in seguito all’uso ( 12 ).

43.

A parte l’assenza di una licenza, i fatti della causa a prima vista sono simili a quelli di una situazione normale in cui esiste una licenza con tutte le conseguenze che ne derivano, fra le quali, in particolare, anche quella che a una licenza può essere posto termine. È la storia particolare delle parti che mette in discussione questo punto: originariamente le parti avevano gli stessi diritti sui segni. Esse ne hanno condiviso l’uso per un lungo periodo. Tuttavia, come precisato sopra, a un certo momento la MyP ha registrato i marchi per così dire «in segreto», sebbene occorra tener presente che i marchi sono pubblicati e si possono controllare. Il tentativo di far annullare le registrazioni per malafede è fallito a causa della prescrizione.

44.

Nonostante siano stati accertati i fatti sopra menzionati, la sentenza della Cour d’appel ha ripristinato l’uso condiviso dei marchi come le parti avevano praticato per un lungo periodo. Essa è arrivata a tale conclusione limitando il diritto di marchio, da un lato, e vietando al titolare dei marchi di usare i segni per taluni prodotti, dall’altro. Di fronte a tale sentenza, il giudice del rinvio si chiede se, e con quali strumenti, la situazione di uso condiviso possa essere mantenuta. Poiché molti degli strumenti giuridici ipotizzati si fondano sul diritto nazionale, nella fattispecie è importante sapere in che limiti il diritto nazionale possa limitare il diritto dell’Unione in materia di marchi. Occorre sottolineare che spetta solo ai giudici nazionali definire le norme nazionali. Il compito della Corte a questo riguardo è unicamente quello di definire i limiti imposti al diritto nazionale dalla direttiva.

1. La prima questione

45.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede quali siano i limiti alla rivendicazione del diritto esclusivo conferito dal marchio in una situazione come quella in esame, nella quale l’uso del marchio è stato condiviso per un lungo periodo di tempo. Il giudice del rinvio ha suddiviso la questione in due sotto questioni.

a) Oggetto della prima sotto questione

46.

Con la prima sotto questione si chiede se l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva vieti per sempre al titolare di un marchio registrato di opporre a un terzo il suo diritto esclusivo per tutti i prodotti oggetto della registrazione, allorché il titolare, per un lungo periodo, ha condiviso l’uso con detto terzo, per una parte dei prodotti considerati, «in una forma di comproprietà» e il terzo ha usato il marchio con il «consenso irrevocabile» del titolare.

47.

Dalla decisione di rinvio si evince che il giudice a quo vuole sapere se la legislazione in materia di marchi offra un fondamento per vietare in modo definitivo al titolare di un marchio registrato di esercitare i suoi diritti nei confronti di un terzo con il quale ha condiviso l’uso del marchio per un lungo periodo. I riferimenti del giudice a una «forma di comproprietà» e al «consenso irrevocabile» richiedono ulteriori chiarimenti.

48.

Innanzitutto, mi sembra che l’espressione «forma di comproprietà» possa essere facilmente compresa nel contesto della sentenza della Cour d’appel citata dal giudice del rinvio. La Cour d’appel ha fondato il suo argomento sull’uso condiviso dei marchi fatto dalle parti, asserendo che la MyP si è spinta al punto da riconoscere una «forma di comproprietà», giungendo così alla conclusione che la MyP ha dato il suo «consenso irrevocabile» all’uso del marchio. Essa non ha sostenuto che il sig. Depuydt e la Gauquie hanno registrato i marchi o che hanno un diritto sul marchio acquisito in seguito all’uso. L’espressione non è dunque impiegata in senso giuridico, ma è invece intesa come una constatazione di fatti fondata sull’uso condiviso e consensuale del marchio.

49.

L’espressione «consenso irrevocabile», impiegata dal giudice del rinvio – anche questa citata dalla Cour d’appel – sembra una constatazione di fatti, desunta dal comportamento della MyP. In udienza, il sig. Depuydt e la Gauquie hanno affermato che tale accertamento di un «consenso irrevocabile» spettava al giudice nazionale. La Commissione ha ammesso l’esistenza di un consenso irrevocabile come un fatto. Tuttavia, la constatazione del fatto che è stato dato un «consenso irrevocabile» presuppone che il consenso prestato dal titolare di un marchio possa essere irrevocabile sotto il profilo giuridico. Spetta alla Corte stabilire se il consenso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva possa essere dato in modo irrevocabile.

50.

Alla Corte non è certamente fatto divieto di rispondere a questa questione. Pur spettando al giudice nazionale stabilire i fatti della causa – e dunque, nella fattispecie, la questione se il consenso è stato dato o meno – la Corte non è vincolata dal presupposto dell’esistenza di categorie giuridiche utilizzate dal giudice del rinvio. Allo stesso modo, il giudice nazionale determina l’oggetto delle questioni che sottopone alla Corte. Tuttavia, alla Corte non è precluso fornire al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano consentirgli di dirimere la controversia a lui sottoposta, a prescindere dal fatto che detto giudice li abbia esplicitamente menzionati o meno ( 13 ).

51.

È su questa base che la Corte, interrogata in merito al carattere distintivo di uno specifico colore come marchio nella causa che ha dato luogo alla sentenza Libertel, ha potuto determinare se un colore poteva di per sé costituire un marchio ( 14 ). Lo stesso principio si applica qui.

52.

La questione che deve essere specificamente risolta dalla Corte è dunque se, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva, il titolare di un marchio registrato possa dare il suo consenso ad usare il marchio in modo irrevocabile, nel senso che il diritto esclusivo conferito dal marchio registrato non possa mai più essere opposto al terzo destinatario di tale consenso e con il quale il titolare ha condiviso l’uso del marchio per un lungo periodo, sia prima sia dopo la registrazione dei marchi.

b) Analisi della prima sotto questione

53.

Ciò detto, innanzitutto si chiede alla Corte di analizzare la natura del «consenso» nel contesto dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva.

54.

È evidente che la Corte può rispondere a tale questione soltanto se il termine «consenso», impiegato all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva è un termine di diritto dell’Unione la cui interpretazione non può dunque essere lasciata ai giudici nazionali.

55.

Come regola generale, l’applicazione del diritto dell’Unione europea e il principio di uguaglianza esigono che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione che non contiene alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri deve essere interpretata autonomamente tenendo conto del contesto della disposizione stessa e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi ( 15 ).

56.

È vero che tale regola perde molta della sua forza quando si tratta di direttive che non armonizzano completamente un settore del diritto. Tuttavia, la direttiva, sebbene ai sensi del suo considerando 3 non proceda ad un ravvicinamento completo delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi di impresa, ne armonizza alcuni settori. A questo riguardo, il considerando 9 sottolinea che, per agevolare la libera circolazione dei prodotti, è necessario che i marchi d’impresa registrati abbiano la medesima tutela negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri. Di conseguenza, la Corte ha più volte affermato che gli articoli da 5 a 7 della direttiva contengono un'armonizzazione completa delle norme relative ai diritti conferiti dal marchio d’impresa ( 16 ).

57.

La nozione di «consenso», di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva, è dunque una nozione di diritto dell’Unione.

58.

La Corte ha avuto numerose occasioni di chiarire nella sua giurisprudenza vari aspetti dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva. Tuttavia, non considero tale giurisprudenza illuminante per quanto concerne la natura del «consenso» di cui all’articolo 5, paragrafo 1.

59.

Dal contesto dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva e dalla giurisprudenza della Corte si può tuttavia trarre un importante insegnamento al riguardo. Il termine «consenso» figura diverse volte nella direttiva: all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, sulla portata dei diritti esclusivi conferiti dai marchi, all’articolo 7, paragrafo 1, sull’esaurimento del diritto conferito dal marchio, all’articolo 10, paragrafo 3, sull’uso del marchio e all’articolo 12, paragrafo 2, nel contesto dei motivi di decadenza. L’impiego di tale termine nella direttiva non è affatto straordinario. Il regolamento del Consiglio sul marchio comunitario si riferisce al «consenso» in contesti analoghi ( 17 ), e il termine è usato anche nell’Accordo TRIPS ( 18 ) e nella legge statunitense in materia di marchi ( 19 ).

60.

La Corte ha dovuto interpretare la nozione di consenso nel contesto dell’esaurimento del diritto conferito dal marchio, ovvero dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva. Ai sensi di tale disposizione ( 20 ), il titolare di un marchio non può opporsi all’uso del marchio per prodotti immessi in commercio nello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE») con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

61.

Nelle cause che hanno dato luogo alla sentenza Zino Davidoff e Levi Strauss i titolari dei marchi controversi avevano immesso i loro prodotti in commercio al di fuori del SEE e i prodotti venivano poi importati in tale area da un terzo. Alla Corte è stato chiesto in quali circostanze si possa presumere che il titolare del marchio avesse dato il suo «consenso» all’immissione in commercio dei prodotti all’interno del SEE. Essa ha dichiarato che il termine consenso necessitava di un’interpretazione uniforme da parte della Corte ( 21 ). A suo giudizio, il consenso può essere dato esplicitamente o implicitamente, e allora può essere dedotto da fatti e circostanze anteriori, concomitanti o posteriori all’immissione dei prodotti in commercio al di fuori del SEE. Tenuto conto dei gravi effetti del consenso nel contesto dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva, ovvero l’esaurimento del diritto esclusivo che consente al titolare di controllare la prima immissione in commercio nel SEE, «il consenso deve essere manifestato in un modo che esprima con certezza la volontà del titolare di rinunciare a tale diritto» ( 22 ). Sebbene il consenso di cui all’articolo 7, paragrafo 1, si riferisca all’immissione di prodotti in commercio ( 23 ) e quello di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva riguardi l’uso del marchio (o di uno simile che presenta un rischio di confusione) nel commercio, mi sembra che le dichiarazioni della Corte sulla natura del consenso si applichino anche con riguardo alla nozione di consenso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva.

62.

Le dichiarazioni della Corte indicano che il consenso esige l’espressione (inequivocabile) dell’intenzione di rinunciare ai diritti conferiti dal marchio. È un atto giuridico volontario tra il titolare e il destinatario del consenso.

63.

Tale interpretazione è confortata dalla lettura dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva, in combinato disposto con l’articolo 8 che disciplina la licenza. Una licenza è il modo più comune in cui viene dato il consenso all’uso del marchio nel commercio. Di fatto, circostanze come quelle della fattispecie in esame, in cui è stato dato il consenso all’uso del marchio, ma una licenza (esplicita o implicita) non esiste, sono estremamente rare.

64.

L’articolo 10, paragrafo 3, della direttiva conferma ulteriormente la mia interpretazione della natura del consenso. Ai sensi di questa disposizione, l’uso del marchio con il consenso del titolare è considerato come uso da parte del titolare e soddisfa dunque il requisito dell’uso ( 24 ). Attribuire al titolare l’uso da parte di un terzo si giustifica mediante una forma di rappresentanza creata con il consenso del titolare. Una costruzione giuridica del genere è giustificata soltanto in presenza di un atto giuridico tra il titolare e il terzo che usa il marchio.

65.

Anche la distinzione tra i termini «tolleranza», di cui all’articolo 9, paragrafo 1, e «consenso» è rivelatrice. Mentre il primo termine implica passività, nel senso di non vietare l’uso di un marchio posteriore, il secondo richiede l’espressione di un’intenzione di rinunciare al diritto ( 25 ).

66.

In quanto atto giuridico volontario tra il titolare e l’utilizzatore del marchio, il consenso è soggetto ai principi generali che disciplinano gli atti giuridici. Tali regole saranno in gran parte identiche a quelle applicabili alla forma più importante del consenso, ossia la licenza. Il consenso può dunque essere prestato per una durata determinata o senza determinare la durata. Anche in quest’ultima ipotesi, è possibile revocare il consenso ( 26 ). Tuttavia, una simile revoca deve rispettare le legittime attese di chi ha usato il marchio ed esige dunque, ad esempio, un preavviso o un motivo ragionevole. Il consenso irrevocabile non è ammesso.

67.

Anche se il consenso irrevocabile dunque non esiste, potrebbe comunque essere illegittimo esercitare il diritto esclusivo conferito dal marchio nei confronti della persona con la quale l’uso è stato condiviso per un lungo periodo, sia prima sia dopo la registrazione dei marchi.

68.

Il titolare di un marchio non può vietare tutti gli usi del marchio. La Corte ha desunto dall’obiettivo della normativa sui marchi che può essere vietato l’uso del segno da parte di un terzo solo quando esso pregiudichi o possa pregiudicare la funzione del marchio ( 27 ).

69.

La Polonia ha sostenuto che l’uso condiviso anteriore, come quello da parte della MyP e della Gauquie, può determinare una situazione nella quale la funzione del marchio non è più pregiudicata. Essa osserva che, se l’uso del marchio è stato condiviso in modo tale che i consumatori si sono abituati al fatto che un determinato gruppo di prodotti non è fabbricato dal titolare del marchio, ma da un terzo, essi possono aspettarsi che tale uso continui. La funzione essenziale del marchio, che è di garantire ai consumatori l’origine dei prodotti, potrebbe dunque non essere pregiudicata.

70.

Non sono convinto che questo argomento sia applicabile nel caso di specie. L’uso protratto del marchio da parte del sig. Depuydt e della Gauquie dopo la revoca del consenso da parte della MyP pregiudicherebbe la funzione essenziale del marchio che è quella di garantire ai consumatori l’origine dei prodotti.

71.

La causa che ha dato luogo alla sentenza Budějovický Budvar chiarisce le condizioni alle quali un uso simultaneo di lunga durata di un marchio determina una situazione in cui la continuazione di tale uso non pregiudica più la funzione del marchio di garantire l’origine dei prodotti. Anche se la questione in quel caso è stata posta nel contesto dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva, lo stesso principio si applica all’articolo 5, paragrafo 1 ( 28 ).

72.

I fatti della causa erano eccezionali. Sia la Anheuser‑Busch sia la Budvar avevano venduto nel Regno Unito birra con il segno denominativo «Budweiser», in modo assolutamente indipendente tra loro, per circa 30 anni prima della registrazione dei marchi. Nel 2000 entrambe le società sono state autorizzate a registrare congiuntamente e simultaneamente i marchi. La particolarità della fattispecie aveva fatto sì che i consumatori percepissero chiaramente le differenze tra le due birre, nonostante la designazione comune «Budweiser». In tali circostanze, la Corte ha dichiarato che l’uso simultaneo in buona fede dei due marchi identici non poteva pregiudicare la funzione essenziale che è quella di garantire ai consumatori l’origine dei prodotti ( 29 ).

73.

I fatti della presente fattispecie differiscono in modo significativo da quelli della causa che ha dato luogo alla sentenza Budějovický Budvar. In primo luogo, il giudice del rinvio non ha affatto precisato che i consumatori sono consapevoli dell’uso condiviso da parte della MyP e della Gauquie dei marchi controversi e che pertanto la garanzia di origine potrebbe non essere pregiudicata se tale uso continuasse.

74.

Ciò che più importa, tuttavia, è che nella causa che ha dato luogo alla sentenza Budějovický Budvar due società non collegate usavano lo stesso marchio. Nella presente fattispecie, secondo il giudice del rinvio, una parte usa i marchi validi di un’altra parte con il consenso del titolare e intende continuare ad usarli anche dopo la revoca di tale consenso. Ciò premesso, affermare che la continuazione dell’uso condiviso non pregiudicherebbe la funzione del marchio significa non aver compreso qual è la funzione dei marchi.

75.

La funzione principale dei marchi è di consentire ai consumatori di identificare l’origine dei prodotti ( 30 ). Tuttavia, a tal fine, in materia di origine dei prodotti, è importante il titolare del marchio e non (necessariamente) il reale fabbricante. In un’economia moderna, molti prodotti vengono fabbricati su licenza (o con il consenso del titolare) da terzi e/o in catene di produzione complesse. I consumatori non sono generalmente al corrente di tali accordi. Anche se la sostituzione del fabbricante può incidere sulla qualità del prodotto, i consumatori di solito non godono di un interesse protetto alla continuazione degli accordi tra il titolare del marchio e il fabbricante. È responsabilità del titolare del marchio organizzarne l’uso. Nell’ambito di tale responsabilità, il titolare può porre fine a una licenza o concederne di nuove e riorganizzare i propri processi di fabbricazione e di vendita. La garanzia di origine sarebbe dunque pregiudicata se una parte continuasse a usare il marchio, pur non avendo più il consenso del suo titolare.

c) Analisi della seconda sotto questione

76.

Con la seconda sotto questione, il giudice del rinvio chiede se una norma di diritto nazionale, come quella che vieta l’esercizio scorretto o abusivo dei diritti da parte del loro titolare, possa portare a vietare definitivamente l’esercizio del diritto esclusivo conferito dal marchio per una parte dei prodotti per i quali il marchio medesimo è registrato, o se invece detta norma debba prevedere una sanzione differente.

77.

Il sig. Depuydt e la Gauquie sono a favore della possibilità che una norma di diritto interno possa vietare definitivamente l’esercizio del diritto esclusivo conferito dal marchio. Da parte sua, la MyP è dell’avviso che siffatte norme di diritto nazionale possano prevedere soltanto sanzioni che non impediscano in via definitiva l’esercizio del diritto esclusivo conferito dal marchio. Sia la Commissione sia la Polonia concordano in linea di massima con questa tesi.

78.

Come regola generale, ai sensi del suo considerando 6, la direttiva non esclude l’applicazione di disposizioni di diritto interno diverse dalle disposizioni del diritto dei marchi di impresa, ad esempio norme in materia di concorrenza sleale o di responsabilità civile. Come correttamente sostenuto dal sig. Depuydt e dalla Gauquie, ciò vale anche per norme nazionali che vietino l’esercizio scorretto o abusivo di diritti ( 31 ).

79.

Tuttavia, in tale contesto esistono limiti all’applicazione del diritto nazionale. Il diritto nazionale non può ostacolare la piena efficacia della direttiva. Esso non può discostarsi dalla completa armonizzazione che la direttiva realizza. Ciò vale sia riguardo ai comportamenti considerati scorretti o abusivi sia riguardo alla sanzione per simili comportamenti.

80.

Riguardo ai comportamenti ritenuti scorretti, il diritto nazionale non può considerare scorretto o abusivo l’esercizio in sé di un diritto conferito dal diritto dell’Unione. Poiché la direttiva consente la revoca del consenso, una simile revoca e l’esercizio del diritto esclusivo conferito dal marchio nei confronti della persona che in precedenza beneficiava del consenso non possono essere considerati abusivi di per sé. Tuttavia, la mancanza di preavviso o situazioni analoghe possono essere oggetto di sanzioni ai sensi del diritto nazionale.

81.

Per quanto concerne la sanzione, il divieto definitivo dell’esercizio del diritto esclusivo conferito dal marchio per una parte dei prodotti per i quali il marchio è registrato contrasta anche con gli obiettivi della direttiva.

82.

La Corte ha più volte dichiarato che gli articoli da 5 a 7 della direttiva attuano un’armonizzazione completa dei diritti conferiti da un marchio. La direttiva prevede numerosi motivi di impedimento o di invalidità della registrazione dei marchi (articoli 3 e 4 della direttiva), limitazioni ed esaurimento dei diritti (articoli 6 e 7 della direttiva), nonché la possibilità di preclusione per tolleranza (articolo 9 della direttiva) ( 32 ). Non è stato sostenuto che si applica un’eccezione al diritto di esclusiva previsto dalla direttiva.

83.

Se alle leggi nazionali fosse consentito vietare in via definitiva al titolare di un marchio di esercitare il suo diritto per una parte dei prodotti per i quali il marchio è registrato per motivi non previsti dalla direttiva, una parte di tale diritto tutelato verrebbe meno, con la conseguenza di pregiudicare l’obiettivo di armonizzazione dei diritti di cui all’articolo 5 della direttiva e di eludere le condizioni di applicazione delle disposizioni della direttiva sulla limitazione dei diritti. Una simile conseguenza non è ammissibile.

84.

L’avvocato generale Jacobs è pervenuto a conclusioni analoghe quando ha esaminato le disposizioni nazionali che accordano un’ulteriore tutela al diritto di marchio nel contesto del marchio comunitario: «Se ogni Stato membro fosse libero di accordare la tutela ulteriore che vuole, sussisterebbe invero il concreto pericolo di ridurre a zero l’intero edificio del sistema comunitario dei marchi d’impresa, così come la finalità di armonizzazione della stessa direttiva, che consiste nell’impedire che vi siano ostacoli al commercio e che siano falsate le condizioni di concorrenza nell’interesse del mercato comune» ( 33 ). Tale argomento si applica, mutatis mutandis, alla fattispecie in esame.

85.

Pertanto, le disposizioni nazionali in materia di esercizio scorretto o abusivo di diritti non possono vietare definitivamente al titolare di un marchio di esercitare i propri diritti per una parte dei prodotti per i quali il marchio è registrato.

86.

Ciò premesso, nulla impedisce al diritto nazionale di prevedere una sanzione differente conforme al diritto dell’Unione, come il risarcimento dei danni o addirittura un’ingiunzione che inibisca al titolare del marchio l’esercizio del diritto esclusivo. Siffatta ingiunzione può tuttavia essere soltanto temporanea, nel rispetto dei diritti del titolare del marchio. In considerazione della complessità dei fatti, dei rischi del protrarsi della disputa e della prospettiva del risarcimento dei danni, è possibile che le parti si accordino sulla conclusione di un contratto di licenza.

2. Analisi della seconda questione

87.

Con la seconda questione, che il giudice del rinvio divide in due parti, ma che dovrebbero essere esaminate congiuntamente, tale giudice chiede, in sostanza, se l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva consenta ai giudici nazionali di vietare per sempre al titolare di un marchio registrato di ricominciare a usare il marchio dopo aver posto fine al suo impegno con un terzo di non usare tale marchio per determinati prodotti. Siffatto divieto si fonderebbe sul divieto di concorrenza sleale, perché il titolare trarrebbe indebito vantaggio dalla pubblicità e dagli investimenti effettuati dal terzo per il marchio nonché dalla confusione creata presso il pubblico dei consumatori. In subordine, il giudice a quo chiede se i giudici nazionali debbano comminare una sanzione diversa.

88.

Il sig. Depuydt e la Gauquie sostengono che il divieto definitivo dell’uso del marchio da parte del titolare è una sanzione adeguata per la concorrenza sleale. La MyP, la Polonia e la Commissione sono dell’avviso che i giudici nazionali debbano prevedere una sanzione diversa.

89.

Si ribadisce che, ai sensi del suo considerando 6, la direttiva non esclude in linea generale l’applicazione di disposizioni del diritto nazionale diverse dal diritto sul marchio, come le disposizioni sulla concorrenza sleale e sulla responsabilità civile, fermo restando che tali disposizioni non possono ostacolare la piena efficacia della direttiva o discostarsi dall’armonizzazione integrale da essa attuata.

90.

La direttiva non armonizza l’impegno del titolare di un marchio a non usarlo. Il diritto in materia di marchi generalmente non conferisce al titolare il diritto di usare il marchio ( 34 ). I diritti conferiti dai marchi sono in primo luogo diritti negativi che escludono i terzi.

91.

Ciononostante, il provvedimento nazionale proposto sarebbe in contrasto con la direttiva. Esso si fonderebbe infatti su un preteso indebito vantaggio per il titolare, risultante dagli investimenti pubblicitari sul marchio fatti dal terzo e dalla confusione che presumibilmente si ingenererebbe presso il pubblico per il fatto che i prodotti in questione sono ormai fabbricati da qualcun altro. Entrambi questi effetti derivano in gran misura dalla revoca del consenso e dalla riorganizzazione dell’uso del marchio. Tuttavia, come esaminato in precedenza, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva crea un sistema nel quale il titolare può revocare il consenso dato ad un terzo di usare il marchio e poi riorganizzare tale uso.

92.

Ancora una volta, tuttavia, nulla vieta al diritto nazionale di prevedere altre misure risarcitorie nei confronti dei terzi, che siano conformi al diritto dell’Unione.

V – Conclusione

93.

Alla luce di queste osservazioni propongo alla Corte di risolvere come segue le questioni sollevate:

Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, il titolare di un marchio registrato non può dare un consenso irrevocabile all’uso del suo marchio. Dopo la revoca di tale consenso, il diritto esclusivo conferito da un marchio registrato può essere fatto valere nei confronti del terzo che usava il marchio con il consenso del titolare, anche se il titolare e detto terzo hanno condiviso per un lungo periodo l’uso del marchio – ciascuno per prodotti diversi, per i quali il marchio era registrato.

Una normativa nazionale sull’esercizio scorretto o abusivo di diritti non può vietare in modo definitivo al titolare di un marchio di esercitare i suoi diritti per una parte dei prodotti per i quali il marchio è registrato. Ciononostante la direttiva 89/104 non vieta al diritto nazionale di prevedere sanzioni diverse.

L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 89/104 non consente ai giudici nazionali di vietare in modo definitivo al titolare di un marchio registrato di ricominciare a usare il marchio dopo aver posto fine all’impegno nei confronti di un terzo di non usare tale marchio per determinati prodotti, perché sussisterebbe una concorrenza sleale derivante dai vantaggi che il titolare trarrebbe dagli investimenti pubblicitari sul marchio fatti dal terzo e dalla confusione ingenerata presso il pubblico dei consumatori. Ciononostante, la direttiva 89/104 non vieta al diritto nazionale di prevedere sanzioni differenti.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata.

( 3 ) GU L 299, pag. 25.

( 4 ) Accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi del 15 giugno 1957, come modificato.

( 5 ) Il sig. Depuydt e la Gauquie sostengono che il segno «N» veniva già utilizzato dal sig. Baquet e da parte dell’impresa che hanno acquistato.

( 6 ) La Commissione sottolinea anche che tra le parti non è mai stato stipulato un accordo di licenza.

( 7 ) Sentenza del 2 dicembre 1964, Dingemans (24/64, Racc. pag. 1243).

( 8 ) Sentenza del 10 aprile 1984, von Colson e Kamann (14/83, Racc. pag. 1891, punto 26).

( 9 ) Sentenze del 29 novembre 1978, Redmond (83/78, Racc. pag. 2347, punto 25), e del 30 novembre 1995, Esso Española (C-134/94, Racc. pag. I-4223, punto 9).

( 10 ) Sentenza del 16 giugno 1981, Salonia (126/80, Racc. pag. 1563, punto 6).

( 11 ) V. sentenza dell’11 luglio 2002, Marks & Spencer (C-62/00, Racc. pag. I-6325, punto 32).

( 12 ) Riguardo a tali diritti, v. il considerando 4 della direttiva e l’articolo 16, paragrafo 1, terza frase, dell’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l’«Accordo TRIPS»).

( 13 ) Sentenza del 25 gennaio 2007, Dyson (C-321/03, Racc. I-687, punto 24).

( 14 ) Sentenze del 6 maggio 2003, Libertel (C-104/01, Racc. pag. I-3793, punto 22), e Dyson, cit. supra alla nota 13 (punti da 24 a 26).

( 15 ) Sentenze del 18 gennaio 1984, Ekro (327/82, Racc. pag. 107, punto 11); del 19 settembre 2000, Linster (C-287/98, Racc. pag. I-6917, punto 43), nonché del 22 settembre 2011, Budějovický Budvar (C-482/09, Racc. pag. I-8701, punto 29).

( 16 ) Sentenze del 16 luglio 1998, Silhouette International Schmied (C-355/96, Racc. pag. I-4799, punto 25); del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss (da C-414/99 a C-416/99, Racc. pag. I-8691, punto 39); del 23 aprile 2009, Copad (C-59/08, Racc. pag. I-3421, punto 40); del 3 giugno 2010, Coty Prestige Lancaster Group (C-127/09, Racc. pag. I-4965, punto 27); e Budějovický Budvar, cit. supra alla nota 15 (punto 32).

( 17 ) Riguardo ai diritti conferiti l’articolo 9, paragrafo 1, riguardo all’esaurimento l’articolo 13, paragrafo 1, riguardo all’uso l’articolo 15, paragrafo 2, e riguardo alla decadenza l’articolo 51, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1).

( 18 ) L’articolo 16, paragrafo 1, dell’Accordo TRIPS, sui diritti conferiti dai marchi, impiega il termine in un contesto analogo a quello dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva.

( 19 ) V. Trademark Act (legge sul marchio) del 1946 (Lanham Act), articolo 32, come successivamente modificato, 15 U.S.C. articolo 1114 sulle sanzioni, la violazione e la violazione involontaria ad opera degli editori.

( 20 ) Come modificato dall’articolo 65, paragrafo 2, dell’allegato XVII dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (GU 1994, L 1, pag. 3).

( 21 ) Sentenza Zino Davidoff e Levi Strauss, cit. supra alla nota 16 (punto 43).

( 22 ) Sentenze Zino Davidoff e Levi Strauss, cit. supra alla nota 16 (punti 45 e 47); Copad, cit. supra alla nota 16 (punto 42), e sentenza del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel (C-324/08, Racc. pag. I-10019, punto 22).

( 23 ) A giudizio della Corte, il consenso deve riferirsi a ogni singolo esemplare immesso nel mercato: sentenze del 1o luglio 1999, Sebago e Maison Dubois (C-173/98, Racc. pag. I-4103, punto 19), e Coty Prestige Lancaster Group, cit. supra alla nota 16 (punto 31).

( 24 ) La corrispondente disposizione del regolamento comunitario sul marchio è stata esaminata nella sentenza dell’11 maggio 2006, Sunrider/UAMI (C-416/04 P, Racc. pag. I-4237).

( 25 ) Sentenza Budějovický Budvar, cit. supra alla nota 15 (punti 43 e 44).

( 26 ) Una posizione identica in merito alle licenze per i marchi comunitari è stata adottata da Schennen, D., in Eisenführ, G., e Schennen, D. (eds.), Gemeinschaftsmarkenverordnung, Carl Heymanns Verlag, 2a ed. 2007, art. 22, punto 18.

( 27 ) Sentenze del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club (C-206/01, Racc. pag. I-10273, punto 51); del 18 giugno 2009, L’Oréal e a. (C-487/07, Racc. pag. I-5185, punto 58); del 23 marzo 2010, Google France e Google (da C-236/08 a C-238/08, Racc. pag. I-2417, punto 76); del 25 marzo 2010, BergSpechte (C-278/08, Racc. pag. I-2517, punti da 29 a 37); del 22 settembre 2011, Interflora e Interflora British Unit (C-323/09, Racc. pag. I-8625, punto 37), e Budějovický Budvar, cit. supra alla nota 15 (punto 71). La giurisprudenza risale alla sentenza del 23 febbraio 1999, BMW (C-63/97, Racc. pag. I-905, punto 38).

( 28 ) Sentenze del 20 marzo 2003, LTJ Diffusion (C-291/00, Racc. pag. I-2799, punti da 41 a 43), e Budějovický Budvar, cit. supra alla nota 15 (punti 69 e 70).

( 29 ) Sentenza Budějovický Budvar, cit. supra alla nota 15 (punti da 63 a 84).

( 30 ) Sentenza Budějovický Budvar, cit. supra alla nota 15 (punto 71).

( 31 ) Ciò è tanto più vero in quanto lo stesso diritto dell’Unione si oppone all’abuso di diritti. V. sentenza del 12 maggio 1998, Kefalas e a. (C-367/96, Racc. pag. I-2843, punto 20), e sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C-255/02, Racc. pag. I-1609, punti 68 e 69).

( 32 ) Il sig. Depuydt e la Gauquie sembrano sostenere che il considerando 11 consente un ampio principio di tolleranza, oltre i limiti delle disposizioni della direttiva. Ciò eluderebbe, segnatamente, le condizioni di cui all’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva.

( 33 ) Conclusioni presentate nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 9 gennaio 2003, Davidoff (C-292/00, Racc. pag. I-389, paragrafo 63).

( 34 ) Tuttavia, l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva impone un requisito di uso. Si deve anche sottolineare che l’articolo 20 dell’Accordo TRIPS non consente che l’uso di un marchio sia ingiustificatamente vincolato da condizioni speciali.

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