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Document 62009TJ0286
Judgment of the General Court (Seventh Chamber, Extended Composition), 12 June 2014.#(publication by extracts) Intel Corp. v European Commission.#Competition — Abuse of dominant position — Microprocessors market — Decision finding an infringement of Article 82 EC and Article 54 of the EEA Agreement — Loyalty rebates — ‘Naked’ restrictions — Classification as abuse — As-efficient-competitor analysis — Commission’s international jurisdiction — Obligation on the Commission to investigate — Limits — Rights of the defence — Principle of sound administration — Overall strategy — Fines — Single and continuous infringement — 2006 Guidelines on the method of setting fines.#Case T‑286/09.
Sentenza del Tribunale (Settima Sezione ampliata) del 12 giugno 2014.
(pubblicazione per estratto) Intel Corp. contro Commissione europea.
Concorrenza – Abuso di posizione dominante – Mercato dei microprocessori – Decisione che constata una violazione dell’articolo 82 CE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE – Sconto di fedeltà – Restrizioni “allo scoperto” – Qualificazione come pratica abusiva – Analisi del concorrente altrettanto efficiente – Competenza internazionale della Commissione – Obbligo di istruzione gravante sulla Commissione – Limiti – Diritti della difesa – Principio di buona amministrazione – Strategia complessiva – Ammende – Infrazione unica e continuata – Orientamenti del 2006 per il calcolo dell’importo delle ammende.
Causa T‑286/09.
Sentenza del Tribunale (Settima Sezione ampliata) del 12 giugno 2014.
(pubblicazione per estratto) Intel Corp. contro Commissione europea.
Concorrenza – Abuso di posizione dominante – Mercato dei microprocessori – Decisione che constata una violazione dell’articolo 82 CE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE – Sconto di fedeltà – Restrizioni “allo scoperto” – Qualificazione come pratica abusiva – Analisi del concorrente altrettanto efficiente – Competenza internazionale della Commissione – Obbligo di istruzione gravante sulla Commissione – Limiti – Diritti della difesa – Principio di buona amministrazione – Strategia complessiva – Ammende – Infrazione unica e continuata – Orientamenti del 2006 per il calcolo dell’importo delle ammende.
Causa T‑286/09.
Court reports – general
ECLI identifier: ECLI:EU:T:2014:547
SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione ampliata)
12 giugno 2014 ( *1 )
«Concorrenza — Abuso di posizione dominante — Mercato dei microprocessori — Decisione che constata una violazione dell’articolo 82 CE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE — Sconto di fedeltà — Restrizioni “allo scoperto” — Qualificazione come pratica abusiva — Analisi del concorrente altrettanto efficiente — Competenza internazionale della Commissione — Obbligo di istruzione gravante sulla Commissione — Limiti — Diritti della difesa — Principio di buona amministrazione — Strategia complessiva — Ammende — Infrazione unica e continuata — Orientamenti del 2006 per il calcolo dell’importo delle ammende»
Nella causa T‑286/09,
Intel Corp., con sede in Wilmington, Delaware (Stati Uniti), rappresentata inizialmente da K. Bacon, barrister, M. Hoskins, N. Green, QC, S. Singla, barrister, I. Forrester, QC, A. Parr, R. Mackenzie, solicitors, e D. Piccinin, barrister, successivamente da I. Forrester, A. Parr, R. Mackenzie e D. Piccinin,
ricorrente,
sostenuta da!
Association for Competitive Technology, Inc., con sede in Washington, DC (Stati Uniti), rappresentata da J.‑F. Bellis, avvocato,
interveniente,
contro
Commissione europea, rappresentata da T. Christoforou, V. Di Bucci, N. Khan e M. Kellerbauer, in qualità di agenti,
convenuta,
sostenuta da:
Union fédérale des consommateurs – Que choisir (UFC – Que choisir), con sede in Parigi (Francia), rappresentata inizialmente da. J. Franck, successivamente da E. Nasry, avvocati,
interveniente,
avente ad oggetto la domanda intesa all’annullamento della decisione C (2009) 3726 definitivo della Commissione del 13 maggio 2009, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 82 [CE] e dell’articolo 54 dell’accordo SEE (Caso COMP/C‑3/37.990 – Intel), oppure, in subordine, la domanda intesa all’annullamento o alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,
IL TRIBUNALE (Settima Sezione ampliata),
composto da A. Dittrich (relatore), presidente, I. Wiszniewska-Białecka, M. Prek, J. Schwarcz e M. Kancheva, giudici,
cancelliere: E. Coulon e J. Weychert, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dal 3 al 6 luglio 2012,
ha pronunciato la seguente
Sentenza ( 1 )
Fatti
1 |
La ricorrente, Intel Corp., è una società di diritto americano che assicura la progettazione, lo sviluppo, la fabbricazione e la commercializzazione di microprocessori (in prosieguo: i «CPU»), «chipsets» e altri componenti di semiconduttori, nonché soluzioni per piattaforme nell’ambito del trattamento dei dati e dei dispositivi di comunicazione. |
2 |
Alla fine del 2008, Intel impiegava circa 94100 persone in tutto il mondo. Nel 2007, i ricavi netti di Intel ammontavano a 38334 milioni di dollari statunitensi (USD) e il suo profitto netto a USD 6976 milioni. Nel 2008, i suoi ricavi netti ammontavano a USD 37586 milioni e il suo profitto netto a USD 5292 milioni. |
I – Il procedimento amministrativo
3 |
Il 18 ottobre 2000, Advanced Micro Devices, Inc. (in prosieguo: «AMD») ha presentato una denuncia formale alla Commissione delle Comunità europee in base all’articolo 3 del regolamento n. 17 del Consiglio del 6 febbraio 1962, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, 13, pag. 204), che essa ha ulteriormente integrato con nuovi fatti e affermazioni nell’ambito di una denuncia complementare del 26 novembre 2003. |
4 |
Nel maggio 2004, la Commissione ha avviato una serie di indagini relativa a taluni elementi presentati nella denuncia complementare di AMD. Nel luglio 2005, nell’ambito della suddetta indagine, la Commissione, coadiuvata da varie autorità nazionali garanti della concorrenza, ha effettuato accertamenti in base all’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1), presso quattro sedi di Intel situate nel Regno Unito, in Germania, in Italia ed in Spagna, nonché presso le sedi di vari clienti di Intel in Francia, in Germania, in Italia, in Spagna e nel Regno Unito. |
5 |
Il 17 luglio 2006, AMD ha presentato una denuncia al Bundeskartellamt (Ufficio federale tedesco garante della concorrenza), sostenendo che Intel aveva instaurato, segnatamente, pratiche commerciali di esclusione con Media‑Saturn‑Holding GmbH (in prosieguo: «MSH»), rivenditore europeo di dispositivi microelettronici e primo distributore europeo di computer per ufficio. Il Bundeskartellamt ha scambiato con la Commissione informazioni relative al caso, a norma dell’articolo 12 del regolamento n. 1/2003. |
6 |
Il 23 agosto 2006, la Commissione ha tenuto una riunione con il sig. D1, [riservato] ( 2 ) di Dell Inc., un cliente di Intel. La Commissione non ha inserito nel fascicolo della causa l’elenco indicativo dei temi di tale riunione (in prosieguo: l’«elenco indicativo dei temi») e non ha redatto al riguardo un verbale. Un membro della squadra incaricata del fascicolo all’interno della Commissione ha redatto una nota concernente tale riunione, la quale è stata qualificata come interna dalla Commissione (in prosieguo: la «nota interna»). Il 19 dicembre 2008, la Commissione ha fornito alla ricorrente una versione non riservata di tale nota. |
7 |
Il 26 luglio 2007, la Commissione ha notificato alla ricorrente una comunicazione degli addebiti (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti del 2007») relativa al suo comportamento nei confronti di cinque grandi produttori di apparecchiature originali (Original Equipment Manufacturer; in prosieguo: i «costruttori OEM»), ossia Dell, Hewlett‑Packard Company (HP), Acer Inc., NEC Corp. e International Business Machines Corp. (IBM). Intel ha risposto a tale comunicazione il 7 gennaio 2008, e l’11 e il 12 marzo 2008 si è tenuta un’audizione orale. Intel ha avuto accesso al fascicolo in tre occasioni, segnatamente il 31 luglio 2007, il 23 luglio e il 19 dicembre 2008. |
8 |
La Commissione ha posto in atto diverse azioni d’indagine in merito alle dichiarazioni di AMD, fra cui accertamenti presso le sedi di vari rivenditori di computer e di Intel, nel febbraio del 2008. Inoltre, essa ha inviato diverse richieste scritte d’informazioni ad alcuni dei principali costruttori OEM, ai sensi dell’articolo 18 del regolamento n. 1/2003. |
9 |
Il 17 luglio 2008, la Commissione ha notificato alla ricorrente una comunicazione degli addebiti complementare, relativa al suo comportamento nei confronti di MSH. Tale comunicazione degli addebiti (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti complementare del 2008») riguardava parimenti il comportamento di Intel nei confronti di Lenovo Group Ltd (in prosieguo: «Lenovo») e comprendeva nuove prove del comportamento di Intel nei riguardi di alcuni costruttori OEM oggetto della comunicazione degli addebiti del 2007, acquisite dalla Commissione successivamente alla pubblicazione di quest’ultima. |
10 |
La Commissione ha inizialmente assegnato ad Intel un termine di otto settimane per presentare la sua risposta alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008. Il 15 settembre 2008, tale termine è stato prorogato fino al 17 ottobre 2008 dal consigliere‑auditore. |
11 |
Intel non ha risposto nel termine impartito alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008. Il 10 ottobre 2008, essa ha, per contro, presentato un ricorso al Tribunale, iscritto al numero di ruolo T‑457/08, chiedendo, in primo luogo, l’annullamento di due decisioni della Commissione relative alla fissazione del termine per rispondere alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 e al diniego della Commissione di acquisire varie categorie di documenti provenienti, segnatamente, dal fascicolo della controversia di diritto privato fra Intel e AMD nello Stato americano del Delaware e, in secondo luogo, la proroga del termine per rispondere alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008, al fine di disporre di un termine di 30 giorni di tempo a decorrere dalla data in cui essa avrebbe ottenuto l’accesso ai documenti pertinenti. |
12 |
Intel ha inoltre presentato una domanda di provvedimenti provvisori, iscritta al numero di ruolo T‑457/08 R, intesa ad ottenere la sospensione del procedimento della Commissione in attesa della pronuncia nel merito, nonché la sospensione del termine fissato per il deposito della sua risposta alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 e, in subordine, la concessione di 30 giorni di tempo a decorrere dalla data di detta pronuncia per rispondere alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008. |
13 |
Il 19 dicembre 2008, la Commissione ha inviato ad Intel una lettera in cui richiamava la sua attenzione su alcuni specifici elementi di prova di cui intendeva eventualmente avvalersi in una possibile decisione finale (in prosieguo: la «lettera sui fatti»). Intel non ha risposto a questa lettera entro il termine fissato al 23 gennaio 2009. |
14 |
Il 27 gennaio 2009, il presidente del Tribunale ha respinto la richiesta di provvedimenti provvisori (ordinanza del presidente del Tribunale del 27 gennaio 2009, Intel/Commissione, T‑457/08 R, non pubblicata nella Raccolta). A seguito di tale ordinanza, Intel, il 29 gennaio 2009, ha proposto di presentare la propria risposta alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 e alla lettera sui fatti entro 30 giorni a decorrere dall’ordinanza del presidente del Tribunale. |
15 |
Il 2 febbraio 2009, la Commissione ha informato Intel per posta del fatto che i suoi servizi avevano deciso di non concederle la proroga del termine impartito per rispondere alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 o alla lettera sui fatti. La lettera del 2 febbraio 2009 indicava parimenti che i servizi della Commissione erano cionondimeno disposti a prendere in considerazione l’eventuale rilevanza di una memoria tardiva, a condizione che Intel presentasse le proprie osservazioni entro il 5 febbraio 2009. Infine, la Commissione era dell’avviso di non essere tenuta ad accogliere una domanda di audizione depositata fuori termine e che i suoi servizi ritenevano che il buono svolgimento del procedimento amministrativo non esigesse l’organizzazione di un’udienza. |
16 |
Il 3 febbraio 2009, Intel ha rinunciato al ricorso principale nella causa T‑457/08 e la causa è stata cancellata dal ruolo con ordinanza del presidente della Quinta Sezione del Tribunale del 24 marzo 2009. |
17 |
Il 5 febbraio 2009, Intel ha presentato una memoria contenente osservazioni relative alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008, nonché alla lettera sui fatti, da essa qualificata come «risposta alla comunicazione degli addebiti complementare [del 2008]» e come «risposta alla [lettera sui fatti]». |
18 |
Il 10 febbraio 2009, Intel ha scritto al consigliere‑auditore chiedendo che le fosse concessa un’audizione sulla comunicazione degli addebiti complementare del 2008. Con lettera del 17 febbraio 2009, il consigliere‑auditore ha respinto tale richiesta. |
19 |
Il 13 maggio 2009, la Commissione ha adottato la decisione C (2009) 3726 definitivo, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 82 [CE] e dell’articolo 54 dell’accordo SEE (Caso COMP/C‑3/37.990 – Intel) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), una sintesi della quale è pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (GU C 227, pag. 13). |
II – La decisione impugnata
20 |
Secondo la decisione impugnata, Intel ha commesso un’infrazione unica e continuata dell’articolo 82 CE e dell’articolo 54 dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) fra l’ottobre 2002 e il dicembre 2007, mediante una strategia volta a precludere ad un concorrente, ossia AMD, il mercato dei processori basati sull’architettura x86 (in prosieguo: i «CPU x86»). |
A – Mercato di cui trattasi
21 |
I prodotti oggetto della decisione impugnata sono CPU. Il processore è una componente essenziale dei computer, in termini sia di funzionamento generale sia di costo del sistema, e viene spesso chiamato il «cervello» del computer. Il processo di produzione dei CPU richiede costosi impianti ad alta tecnologia. |
22 |
I CPU utilizzati nei computer possono essere suddivisi in due categorie, ossia i CPU x86 e i CPU basati su altre architetture. L’architettura x86 è uno standard sviluppato da Intel per i suoi CPU. Essa può supportare entrambi i sistemi operativi, Windows e Linux. Windows è principalmente connesso alle istruzioni x86. Prima del 2000, c’erano vari produttori di CPU x86, ma da allora la maggior parte di essi è uscita dal mercato. La decisione impugnata rileva che, a partire da tale data, Intel e AMD sono essenzialmente le uniche due società che continuano a produrre CPU x86. |
23 |
L’indagine della Commissione ha concluso che il mercato rilevante del prodotto non era più esteso del mercato dei CPU x86. La decisione impugnata lascia aperta la questione se esista un mercato unico di CPU x86 per tutti i computer, oppure se sia opportuno operare una distinzione fra tre mercati separati dei CPU x86, ossia quello per computer fissi, quello per computer portatili e quello per server. Secondo la decisione impugnata, date le quote di mercato detenute da Intel per ciascun segmento, le conclusioni relative alla posizione dominante non cambiavano. |
24 |
Il mercato geografico è stato definito a livello mondiale. |
B – Posizione dominante
25 |
Nella decisione impugnata, la Commissione rileva che, nel periodo di dieci anni oggetto di esame (1997-2007), Intel ha regolarmente detenuto quote di mercato pari o superiori al 70% circa. Inoltre, secondo la decisione impugnata, nel mercato dei CPU x86 esistono significativi ostacoli all’accesso e all’espansione, dovuti agli investimenti irrecuperabili nella ricerca e sviluppo, nella proprietà intellettuale e negli impianti di produzione necessari per produrre CPU x86. Di conseguenza, tutti i concorrenti di Intel, eccetto AMD, sarebbero usciti dal mercato o ne deterrebbero ancora una quota insignificante. |
26 |
Basandosi sulle quote di mercato di Intel e sugli ostacoli all’accesso e all’espansione sul mercato di cui trattasi, la decisione impugnata conclude che Intel ha detenuto una posizione dominante su detto mercato almeno per il periodo contemplato da detta decisione, ossia dall’ottobre 2002 al dicembre 2007. |
C – Comportamento abusivo e ammenda
27 |
La decisione impugnata descrive due tipi di comportamento adottati da Intel nei confronti dei partner commerciali, ossia gli sconti condizionati e le «restrizioni allo scoperto» (naked restrictions). |
28 |
In primo luogo, secondo la decisione impugnata, Intel ha applicato sconti a quattro costruttori OEM, nella specie Dell, Lenovo, HP e NEC, a condizione che essi si rifornissero per tutto o quasi tutto il loro fabbisogno di CPU x86 presso la medesima. Analogamente, Intel avrebbe effettuato pagamenti a MSH, a condizione che quest’ultimo vendesse esclusivamente computer muniti di CPU x86 di Intel. |
29 |
La decisione impugnata conclude che gli sconti condizionati concessi da Intel costituiscono sconti di fedeltà. Per quanto riguarda i pagamenti condizionati di Intel a MSH, la decisione impugnata stabilisce che il meccanismo economico di detti pagamenti è equivalente a quello degli sconti condizionati accordati ai costruttori OEM. |
30 |
Inoltre, la decisione impugnata svolge anche un’analisi economica della capacità degli sconti di precludere il mercato ad un concorrente efficiente al pari di Intel (as efficient competitor test; in prosieguo: il «test AEC»), sebbene non in posizione dominante. In concreto, l’esame stabilisce il prezzo a cui un concorrente efficiente al pari di Intel avrebbe dovuto vendere i suoi CPU per compensare un costruttore OEM della perdita di uno sconto che gli avrebbe accordato Intel. Un’analisi dello stesso genere è stata svolta per i pagamenti di Intel a MSH. |
31 |
In base alle prove acquisite, la Commissione giunge alla conclusione che gli sconti condizionati e i pagamenti di Intel fidelizzavano i principali costruttori OEM e MSH. Tali pratiche avrebbero avuto effetti complementari in quanto avrebbero ridotto in modo significativo la capacità dei concorrenti di competere sulla qualità dei loro CPU x86. Il comportamento anticoncorrenziale di Intel avrebbe pertanto determinato una scelta più limitata per i consumatori e minori incentivi all’innovazione. |
32 |
In secondo luogo, per quanto riguarda le restrizioni allo scoperto, la Commissione sostiene che Intel ha accordato dei pagamenti a tre costruttori OEM, ossia HP, Acer e Lenovo, a condizione che essi ritardassero o annullassero il lancio di prodotti muniti di CPU di AMD (in prosieguo: i «CPU AMD») e/o ne limitassero la distribuzione. La decisione impugnata conclude che il comportamento di Intel ha parimenti arrecato un pregiudizio diretto alla concorrenza e non costituisce una normale concorrenza basata sui meriti. |
33 |
La Commissione conclude nella decisione impugnata che ciascun comportamento controverso adottato da Intel nei confronti dei summenzionati costruttori OEM e di MSH costituisce un abuso ai sensi dell’articolo 82 CE, ma che questi singoli abusi sono anche parte di una strategia complessiva volta a precludere il mercato dei CPU x86 ad AMD, unico concorrente importante di Intel. Tali abusi costituirebbero pertanto una violazione unica dell’articolo 82 CE. |
34 |
Facendo applicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006»), la Commissione ha inflitto alla ricorrente un’ammenda pari a EUR 1,06 miliardi (per quanto riguarda il calcolo dell’ammenda, v. punti da 1554 a 1558 infra). |
D – Dispositivo
35 |
Il dispositivo della decisione impugnata è così formulato: «Articolo 1 Intel (…) ha commesso un’infrazione unica e continuata all’articolo 82 [CE] e all’articolo 54 dell’accordo SEE, fra l’ottobre 2002 e il dicembre 2007, mediante una strategia volta a precludere ai concorrenti il mercato dei CPU x86, la quale è stata caratterizzata dalle seguenti azioni:
Articolo 2 Per l’infrazione di cui all’articolo 1, ad Intel è inflitta un’ammenda di EUR 1 060 000 000 (…) Articolo 3 Intel (…) pone immediatamente fine all’infrazione menzionata all’articolo 1, se in corso. Intel (…) si astiene dal reiterare qualsiasi atto o comportamento di cui all’articolo 1, nonché da qualsiasi atto o comportamento che abbia oggetto o effetti analoghi. (…)». |
Procedimento e conclusioni delle parti
36 |
Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 22 luglio 2009, la ricorrente ha proposto il presente ricorso. |
37 |
Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 14 ottobre 2009, AMD ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno della Commissione. Tuttavia, il 16 novembre 2009, AMD ha informato il Tribunale della sua decisione di ritirare la sua domanda di intervento in tale causa. Di conseguenza, con ordinanza del presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale del 5 gennaio 2010, AMD è stata esclusa dalla causa in qualità di parte interveniente. |
38 |
Con atto registrato presso la cancelleria del Tribunale il 30 ottobre 2009, l’Union fédérale des consommateurs – Que choisir (UFC – Que choisir) (in prosieguo: l’«UFC») ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno della Commissione. Con ordinanza del 7 giugno 2010, il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale ha consentito tale intervento. Con lettera registrata presso la cancelleria del Tribunale il 22 settembre 2010, l’UFC ha informato il Tribunale di rinunciare al deposito di una memoria di intervento, ma di voler presentare osservazioni orali in udienza. |
39 |
Con atto registrato presso la cancelleria del Tribunale il 2 novembre 2009, l’Association for Competitive Technology (in prosieguo: l’«ACT») ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno di Intel. Con ordinanza del 7 giugno 2010, il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale ha ammesso tale intervento. L’ACT ha depositato la propria memoria di intervento nel termine assegnato e le parti principali hanno presentato osservazioni in relazione alla medesima. |
40 |
A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato alla Settima Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa. |
41 |
Con decisione del 18 gennaio 2012, il Tribunale ha rinviato la causa dinanzi alla Settima Sezione ampliata ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, e dell’articolo 51, paragrafo 1, del suo regolamento di procedura. |
42 |
Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di avviare la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 64 del regolamento di procedura, ha posto alcuni quesiti scritti alle parti e ha invitato la ricorrente e la Commissione a fornire determinati documenti. La ricorrente, la Commissione e l’ACT hanno risposto ai quesiti scritti e hanno prodotto i documenti richiesti nel termine assegnato. |
43 |
La risposta dell’UFC ad un quesito scritto del Tribunale è pervenuta alla cancelleria del Tribunale oltre il termine assegnato; con decisione del 1o giugno 2012, il presidente della Settima Sezione ha deciso di inserire comunque nel fascicolo tale risposta. |
44 |
Con ordinanza del 16 aprile 2012, il Tribunale ha ingiunto alla Commissione, in conformità dell’articolo 65, lettera b), dell’articolo 66, paragrafo 1, e dell’articolo 67, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento di procedura, di produrre la versione riservata della nota interna attinente alla riunione fra taluni agenti della Commissione e il sig. D1, [riservato] di Dell, svoltasi il 23 agosto 2006. La Commissione ha ottemperato a tale provvedimento nel termine impartito. In un primo momento, tale documento non è stato comunicato né alla ricorrente né agli intervenienti. |
45 |
Intel e la Commissione hanno chiesto che taluni dati riservati contenuti nei loro scritti e nei loro allegati, comprese le risposte ai quesiti scritti del Tribunale, fossero esclusi dalla comunicazione alle parti intervenienti. La comunicazione alle parti intervenienti dei suddetti scritti e allegati è stata limitata alle versioni non riservate prodotte dalla ricorrente e dalla Commissione. Le parti intervenienti non hanno sollevato obiezioni in proposito. |
46 |
Il 7 giugno 2012, la ricorrente, la Commissione e l’ACT hanno assistito ad una riunione informale avente ad oggetto il trattamento riservato di taluni dati e l’organizzazione dell’udienza in presenza dei cinque membri della Settima Sezione ampliata. |
47 |
Con lettera registrata presso la cancelleria del Tribunale il 2 luglio 2012, la ricorrente ha indicato che i diversi costruttori OEM interessati, nonché MSH e AMD, manifestavano il loro consenso alla divulgazione dei dati che li riguardavano precedentemente identificati come riservati nella parte dell’udienza che si sarebbe tenuta pubblicamente, nonché nella versione pubblica della futura sentenza, fatte salve talune eccezioni. |
48 |
Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza che si è tenuta, in parte, a porte chiuse dal 3 al 6 luglio 2012. |
49 |
Con ordinanza del 29 gennaio 2013, è stata riaperta la fase orale del procedimento. Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, poiché la Commissione, che aveva a sua volta consultato Dell, era stata sentita e non aveva sollevato obiezioni, il Tribunale ha comunicato alla ricorrente e alle parti intervenienti la versione integrale della nota interna concernente la riunione con il sig. D1, [riservato] di Dell, e le ha invitate a presentare le loro osservazioni sulle parti di detta nota che non erano state loro precedentemente trasmesse. La ricorrente e l’ACT hanno ottemperato a tale richiesta entro il termine assegnato. L’UFC non ha depositato osservazioni nel termine stabilito. Il Tribunale ha quindi invitato la Commissione a presentare le sue osservazioni in riferimento alle osservazioni della ricorrente. La Commissione ha ottemperato a tale richiesta nel termine impartito. Il Tribunale ha parimenti invitato la ricorrente e la Commissione a presentare le loro osservazioni in riferimento alle osservazioni dell’ACT. Queste hanno dato seguito a tale richiesta nel termine impartito. La fase orale del procedimento è stata quindi dichiarata chiusa il 6 maggio 2013. |
50 |
La ricorrente, sostenuta dall’ACT, chiede che il Tribunale voglia:
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51 |
La Commissione chiede che il Tribunale voglia:
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52 |
L’UFC aderisce, in sostanza, alle conclusioni della Commissione e chiede che la ricorrente sia condannata alle spese. |
In diritto
I – Sulla ricevibilità di taluni allegati
53 |
La Commissione fa valere che taluni documenti prodotti dalla ricorrente in allegato al ricorso, i quali corrispondono a testimonianze rese dinanzi al Tribunale del Delaware, che era stato investito del procedimento americano (in prosieguo: il «Tribunale del Delaware», v. punto 11 supra), sono irricevibili ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 5, del regolamento di procedura, ai sensi del quale «[q]ualora, a causa della mole di un atto o documento, ne siano esibiti soltanto degli estratti, l’intero documento, o copia completa di esso, dev’essere depositato in cancelleria». |
54 |
La Commissione sottolinea che la ricorrente non ha né fornito né depositato in cancelleria gli allegati alle deposizioni fatte dinanzi al Tribunale del Delaware. La Commissione sottolinea inoltre che, per una parte di queste testimonianze, la ricorrente si è limitata a fornire estratti del verbale anziché il verbale completo. |
55 |
Occorre anzitutto respingere l’argomento della Commissione nella parte concernente le testimonianze il cui verbale è stato prodotto nella sua integralità, ma senza i loro allegati. Infatti, ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 5, del regolamento di procedura, è sufficiente depositare l’intero documento in cancelleria. Tale articolo non esige che tutti gli altri documenti ai quali fa riferimento un documento allegato ad un atto processuale siano parimenti depositati in cancelleria. L’eventualità che talune parti delle testimonianze sulle quali si fonda la ricorrente non siano comprensibili in assenza di accesso ai documenti ai quali i testimoni si riferiscono riguarderebbe unicamente il valore probatorio delle parti delle testimonianze interessate. Tuttavia, ciò non può rimettere in discussione la ricevibilità delle testimonianze prodotte dalla ricorrente in allegato al suo ricorso. |
56 |
Per quanto attiene alle testimonianze in relazione alle quali la ricorrente si è limitata a produrre estratti allegati alle proprie memorie, occorre rilevare quanto segue. |
57 |
Anche qualora si dovesse interpretare l’articolo 43, paragrafo 5, del regolamento di procedura nel senso che esso impone alle parti un obbligo di depositare nella cancelleria una versione completa di tutti i documenti dei quali esse producono estratti in allegato ad un atto processuale, una violazione di tale obbligo potrebbe in ogni caso essere sanata. |
58 |
A tal riguardo occorre osservare che, ai sensi del paragrafo 57, lettera d), delle istruzioni pratiche alle parti adottate dal Tribunale il 5 luglio 2007 (GU L 232, pag. 7), nella loro versione modificata, anche la mancata produzione degli allegati menzionati nell’indice può essere sanata. A maggior ragione, la produzione del solo estratto di un documento ad opera di una parte al posto del documento completo costituisce un vizio sanabile. |
59 |
Nella specie, il Tribunale ha chiesto alla ricorrente, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, di produrre le versioni integrali della totalità delle testimonianze delle quali essa si era limitata a produrre degli estratti, e delle quali essa non aveva depositato in cancelleria una versione completa. La ricorrente ha adempiuto a tale richiesta nel termine impartito e il Tribunale ha offerto alla Commissione la possibilità di presentare osservazioni scritte in relazione a tali documenti. |
60 |
Deve pertanto essere respinto l’argomento della Commissione secondo il quale taluni documenti presentati dalla ricorrente sono irricevibili ai sensi dell’articolo 43, paragrafo 5, del regolamento di procedura. |
II – Sulle conclusioni intese all’annullamento della decisione impugnata
A – Questioni orizzontali concernenti le valutazioni giuridiche effettuate dalla Commissione
1. Sull’onere della prova e sul livello probatorio richiesto
61 |
La ricorrente richiama la giurisprudenza del giudice dell’Unione europea e sottolinea, segnatamente, che le cause in materia di concorrenza analoghe a quella in oggetto rivestono natura penale, il che significherebbe la necessità di un livello probatorio elevato e l’applicazione della presunzione di innocenza. |
62 |
Ai sensi dell’articolo 2 del regolamento n. 1/2003, in tutti i procedimenti relativi all’applicazione dell’articolo 82 CE, l’onere della prova di un’infrazione di tale articolo incombe alla parte o all’autorità che asserisce tale infrazione, ossia, nella specie, alla Commissione. Inoltre, secondo una giurisprudenza ben consolidata, qualora il giudice nutra un qualsivoglia dubbio, tale circostanza deve avvantaggiare l’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione. Il giudice non può quindi concludere che la Commissione abbia sufficientemente dimostrato l’esistenza dell’infrazione in questione qualora egli nutra ancora dubbi in merito a tale questione, in particolare nell’ambito di un ricorso diretto all’annullamento di una decisione che infligge un’ammenda (sentenze del Tribunale dell’8 luglio 2004, JFE Engineering e a./Commissione, T-67/00, T-68/00, T-71/00 e T-78/00, Racc. pag. II-2501; in prosieguo: la «sentenza JFE», punto 177, e del 12 luglio 2011, Hitachi e a./Commissione, T-112/07, Racc. pag. II-3871, punto 58). |
63 |
Infatti, in quest’ultima situazione, è necessario tener conto del principio della presunzione d’innocenza, quale risulta in particolare dall’articolo 6, paragrafo 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, nonché dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Considerata la natura delle infrazioni di cui trattasi nonché la natura e il grado di severità delle sanzioni che vi sono connesse, il principio della presunzione d’innocenza si applica segnatamente alle procedure relative a violazioni delle norme sulla concorrenza applicabili alle imprese che possono sfociare nella pronuncia di multe o ammende (sentenze della Corte dell’8 luglio 1999, Hüls/Commissione, C-199/92 P, Racc. pag. I-4287, punti 149 e 150, e Montecatini/Commissione, C-235/92 P, Racc. pag. I-4539, punti 175 e 176; sentenza JFE, cit. al punto 62 supra, punto 178). |
64 |
Sebbene sia necessario che la Commissione produca elementi probatori precisi e concordanti che corroborino la ferma convinzione che l’infrazione sia stata commessa, occorre sottolineare che non tutte le prove prodotte dalla Commissione devono necessariamente rispondere a tali criteri con riferimento ad ogni elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito, come ritenuto dalla giurisprudenza elaborata in relazione all’applicazione dell’articolo 81 CE (v., in tal senso, sentenza della Corte del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C-238/99 P, C-244/99 P, C-245/99 P, C-247/99 P, da C-250/99 P a C-252/99 P e C-254/99 P, Racc. pag. I-8375, punti da 513 a 523). Tale principio si applica parimenti nelle cause relative all’applicazione dell’articolo 82 CE (sentenza del Tribunale del 1o luglio 2010, AstraZeneca/Commissione, T-321/05, Racc. pag. II-2805; in prosieguo: la «sentenza AstraZeneca», punto 477). |
65 |
Quanto all’efficacia probatoria degli elementi di prova considerati dalla Commissione, occorre distinguere due situazioni. |
66 |
Da un lato, ove la Commissione constati una violazione delle norme sulla concorrenza basandosi sulla supposizione che i fatti accertati possano trovare spiegazione soltanto in funzione della sussistenza di un comportamento anticoncorrenziale, il giudice dell’Unione sarà indotto ad annullare la decisione di cui trattasi qualora le imprese interessate adducano un’argomentazione che ponga in una luce diversa i fatti accertati dalla Commissione e che consenta, quindi, di sostituire una spiegazione plausibile dei fatti diversa da quella considerata dalla Commissione per concludere per la sussistenza di un’infrazione. Infatti, in un’ipotesi del genere, non si può considerare che la Commissione abbia fornito la prova della sussistenza di un’infrazione al diritto della concorrenza (v., in tal senso, sentenze della Corte del 28 marzo 1984, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink/Commissione, 29/83 e 30/83, Racc. pag. 1679, punto 16, e del 31 marzo 1993, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, C-89/85, C-104/85, C-114/85, C-116/85, C-117/85 e da C-125/85 a C-129/85, Racc. pag. I-1307, punti 126 e 127). |
67 |
Dall’altro lato, quando la Commissione si basa su elementi di prova che sono, in linea di principio, sufficienti a dimostrare l’esistenza dell’infrazione, l’impresa interessata non può limitarsi ad evocare la possibilità che si sia verificata una circostanza atta a pregiudicare il valore probatorio di tali elementi di prova affinché la Commissione abbia l’onere di dimostrare che detta circostanza non ha potuto incidere sul loro valore probatorio. Al contrario, tranne nel caso in cui la prova in questione non possa essere fornita dall’impresa interessata per effetto del comportamento della stessa Commissione, incombe all’impresa interessata dimostrare adeguatamente, da un lato, la sussistenza della circostanza da essa invocata e, dall’altro, che tale circostanza mette in discussione il valore probatorio degli elementi di prova sui quali si basa la Commissione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 15 dicembre 2010, E.ON Energie/Commissione, T-141/08, Racc. pag. II-5761, punto 56 e giurisprudenza ivi citata). |
68 |
È sulla scorta delle considerazioni che precedono che occorre verificare se la Commissione abbia dimostrato in maniera sufficiente le circostanze considerate nella decisione impugnata alla luce dei motivi della ricorrente. |
2. Sulla qualificazione giuridica degli sconti e dei pagamenti concessi come contropartita di un approvvigionamento esclusivo
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Al considerando 924 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che l’importo degli sconti concessi a Dell, HP, NEC e Lenovo era di fatto collegato alla condizione che tali imprese si rifornissero presso Intel per la totalità o per la quasi totalità del loro fabbisogno di CPU x86, perlomeno in un segmento determinato e che, di conseguenza, la libertà di scelta di tali imprese fosse ristretta. Per quanto attiene ai pagamenti accordati a MSH, la Commissione ha rilevato, al medesimo considerando, che tali pagamenti erano subordinati alla condizione che MSH vendesse unicamente computer muniti di CPU x86 di Intel, e che essi hanno pertanto limitato la libertà di scelta di MSH. La Commissione ha rilevato, al considerando 925 della decisione impugnata, che, in mancanza di una giustificazione oggettiva, tali accertamenti erano sufficienti a dimostrare un’infrazione all’articolo 82 CE. |
70 |
La ricorrente contesta la qualificazione giuridica dei pagamenti accordati effettuata dalla Commissione. In sostanza, essa fa valere che la Commissione era tenuta a procedere ad una valutazione del contesto fattuale globale al fine di stabilire se gli sconti e i pagamenti contestati fossero atti a restringere il gioco della concorrenza. Prima di concludere che una concessione di sconti è contraria all’articolo 82 CE, la Commissione dovrebbe dimostrare che tali sconti sono effettivamente idonei a precludere il mercato ai concorrenti, a scapito dei consumatori. Qualora il comportamento risalga al passato, la Commissione dovrebbe dimostrare che gli accordi contestati hanno effettivamente comportato la preclusione di concorrenti. |
71 |
La Commissione fa valere che gli sconti in questione costituivano «sconti di fedeltà ai sensi della giurisprudenza Hoffmann‑La Roche» quale risulta dalla sentenza della Corte del 13 febbraio 1979, Hoffmann‑La Roche/Commissione (85/76, Racc. pag. 461; in prosieguo: la «sentenza Hoffmann‑La Roche»). Essa ritiene che, per questo tipo di pratica, non sia necessario dimostrare caso per caso effetti preclusivi reali o potenziali. |
a) Sugli sconti accordati ai costruttori OEM quale contropartita di un approvvigionamento esclusivo o quasi esclusivo
1) Sulla qualificazione giuridica
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Secondo una giurisprudenza costante, per un’impresa che si trova in posizione dominante su un mercato, il fatto di vincolare - sia pure a loro richiesta - gli acquirenti con l’obbligo o la promessa di rifornirsi per tutto o gran parte del loro fabbisogno esclusivamente presso l’impresa in questione costituisce sfruttamento abusivo di posizione dominante ai sensi dell’articolo 82 CE, tanto se l’obbligo in questione è imposto sic et simpliciter, quanto se ha come contropartita la concessione di sconti (sentenza Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 89, e sentenza del Tribunale del 9 settembre 2010, Tomra Systems e a./Commissione, T-155/06, Racc. pag. II-4361; in prosieguo: la «sentenza del Tribunale Tomra», punto 208). |
73 |
Lo stesso dicasi se detta impresa, senza vincolare gli acquirenti con un obbligo formale, applica, o in forza di accordi stipulati con tali acquirenti, o unilateralmente, un sistema di sconti di fedeltà, cioè di riduzioni subordinate alla condizione che il cliente - indipendentemente dal volume degli acquisti, rilevante o trascurabile - si rifornisca esclusivamente per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante (sentenza Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 89, e sentenza della Corte del 19 aprile 2012, Tomra Systems e a./Commissione, C‑549/10 P; in prosieguo: la «sentenza della Corte Tomra», punto 70). |
74 |
Per quanto riguarda, più in particolare, la qualificazione come abusiva della concessione di sconti da parte di un’impresa in posizione dominante, occorre distinguere tre categorie di sconti (v., in tal senso, sentenze della Corte del 9 novembre 1983, Nederlandsche Banden‑Industrie‑Michelin/Commissione, 322/81, Racc. pag. 3461; in prosieguo: la «sentenza Michelin I», punti da 71 a 73, e del 15 marzo 2007, British Airways/Commissione, C-95/04 P, Racc. pag. I-2331; in prosieguo: la «sentenza della Corte British Airways», punti 62, 63, 65, 67 e 68). |
75 |
In primo luogo, si ritiene, di regola, che i sistemi di sconti quantitativi (in prosieguo: gli «sconti di quantità»), connessi esclusivamente al volume degli acquisti effettuati presso un’impresa in posizione dominante, non comportino un effetto di preclusione vietato dall’articolo 82 CE. Se l’aumento della quantità fornita si traduce in un costo inferiore per il fornitore, quest’ultimo ha il diritto, infatti, di far beneficiare il suo cliente di tale riduzione mediante una tariffa più vantaggiosa. Si presume pertanto che gli sconti di quantità riflettano guadagni in termini di efficienza ed economie di scala realizzate dall’impresa in posizione dominante (v. sentenza del Tribunale del 30 settembre 2003, Michelin/Commissione, T-203/01, Racc. pag. II-4071; in prosieguo: la «sentenza Michelin II», punto 58 e giurisprudenza ivi citata). |
76 |
In secondo luogo, esistono sconti la cui concessione è subordinata alla condizione che il cliente si rifornisca, per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno, presso l’impresa in posizione dominante. Questo tipo di sconto, al quale si riferisce la Commissione con l’espressione «sconto di fedeltà ai sensi della giurisprudenza Hoffmann‑La Roche», sarà denominano in seguito «sconto di esclusiva». Occorre sottolineare che tale espressione verrà parimenti impiegata per sconti connessi non ad una condizione di approvvigionamento al 100%, bensì alla condizione che il cliente si rifornisca per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante. |
77 |
Tali sconti di esclusiva, applicati da un’impresa in posizione dominante, sono incompatibili con lo scopo che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune, in quanto non si fondano – salvo circostanze eccezionali – su una prestazione economica che giustifichi tale vantaggio finanziario, bensì mirano a togliere all’acquirente o a ridurre nei suoi riguardi la possibilità di scelta per quel che concerne le sue fonti di approvvigionamento e a precludere l’accesso al mercato agli altri produttori (v., in tal senso, sentenza Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 90, e sentenza del Tribunale Tomra, cit. al punto 72 supra, punto 209). Infatti, tali sconti mirano ad impedire, mediante la concessione di un vantaggio finanziario, che i clienti si riforniscano presso produttori concorrenti (sentenza Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 90, e sentenza del Tribunale Tomra, cit. al punto 72 supra, punto 210). |
78 |
In terzo luogo, esistono altri regimi di sconto nei quali la concessione di un incentivo finanziario non è direttamente connessa alla condizione di un approvvigionamento esclusivo o quasi esclusivo presso l’impresa in posizione dominante, ma nei quali il meccanismo della concessione dello sconto può anche rivestire un effetto fidelizzante (in prosieguo: gli «sconti facenti parte della terza categoria»). Tale categoria di sconti comprende, segnatamente, sistemi di sconti dipendenti dalla realizzazione di obiettivi di vendita individuali, che non costituiscono sconti di esclusiva, in quanto non comportano alcun impegno di esclusiva o di copertura di una certa quota del loro fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante. Per determinare se l’applicazione di un siffatto sconto costituisca un abuso di posizione dominante, occorre valutare tutte le circostanze, in particolare i criteri e le modalità della concessione dello sconto, e accertare se questo sconto miri, mediante un vantaggio non basato su alcuna prestazione economica che lo giustifichi, a sopprimere o limitare la possibilità dell’acquirente di scegliere la fonte di rifornimento, a precludere ai concorrenti l’accesso al mercato, o a rafforzare la posizione dominante mediante una concorrenza falsata (v., in tal senso, sentenze Michelin I, cit. al punto 74 supra, punto 73; della Corte British Airways, cit. al punto 74 supra, punti 65 e 67, e Tomra, cit. al punto 73 supra, punto 71). |
79 |
Gli sconti accordati a Dell, HP, NEC e Lenovo menzionati dalla Commissione, segnatamente, all’articolo 1, lettere da a) a d), della decisione impugnata, sono sconti che rientrano nella seconda categoria, ossia sono sconti di esclusiva. Infatti, stando agli accertamenti della Commissione figuranti nella decisione impugnata, si trattava di sconti connessi alla condizione che il cliente si rifornisse presso Intel, perlomeno in un segmento determinato, o per la totalità del suo fabbisogno di CPU x86, per quanto riguardava Dell e Lenovo, o per una parte considerevole del suo fabbisogno, nella specie il 95% per HP e l’80% per NEC. |
80 |
Occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la qualificazione come abusivo di uno sconto di esclusiva non dipende da un’analisi delle circostanze della specie volta a dimostrare un potenziale effetto preclusivo. |
81 |
Infatti, si evince dalla sentenza Hoffmann‑La Roche, citata al punto 71 supra (punti 89 e 90), che questo tipo di sconto costituisce un abuso di posizione dominante qualora la sua concessione non sia obiettivamente giustificata. La Corte non ha preteso la dimostrazione di una capacità di restringere la concorrenza in funzione delle circostanze del caso. |
82 |
Inoltre, risulta dalla sentenza Michelin I, citata al punto 74 supra, e dalla sentenza della Corte British Airways, citata al punto 74 supra, che occorre valutare l’insieme delle circostanze del caso di specie solo nel caso di sconti facenti parte della terza categoria. Infatti, al punto 71 della sentenza Michelin I, citata al punto 74 supra, la Corte ha richiamato la giurisprudenza secondo la quale uno sconto mirante ad impedire, mediante la concessione di un vantaggio finanziario, che i clienti si riforniscano presso produttori concorrenti, costituiva un abuso ai sensi dell’articolo 82 CE. Al punto 72 di tale sentenza, la Corte ha poi rilevato che il sistema di sconti oggetto di quella causa non costituiva un semplice sconto di quantità, né un sistema che comportava un impegno di esclusiva o quello di rifornirsi, per una determinata quota del fabbisogno, presso l’impresa in posizione dominante. La Corte ha infine rilevato, al punto 73 della medesima sentenza, che bisognava «quindi» valutare tutte le circostanze e, in particolare, i criteri e le modalità della concessione dello sconto. |
83 |
Nella sentenza della Corte British Airways, citata al punto 74 supra, quest’ultima ha in un primo momento richiamato, al punto 62, la giurisprudenza scaturita dalla sentenza Hoffmann‑La Roche, citata al punto 71 supra, e, in un secondo tempo, ha rilevato la differenza fra i fatti alla base di quest’ultima sentenza e i fatti all’origine della sentenza Michelin I, citata al punto 74 supra, sottolineando, al punto 65, che questa sentenza riguardava sconti che non comportavano, da parte dei clienti dell’impresa in posizione dominante, alcun impegno di esclusiva o di copertura di una certa quota del loro fabbisogno presso tale impresa. Essa ha rilevato quindi, al punto 67, che si evinceva dalla giurisprudenza che occorreva valutare tutte le circostanze per determinare se un’impresa che occupava una posizione dominante avesse sfruttato in modo abusivo tale posizione applicando un sistema di sconti «come quello descritto al punto 65 della presente sentenza». Infine, al punto 68, la Corte ha rilevato che la necessità di verificare se degli sconti potessero produrre un effetto preclusivo riguardava un sistema di sconti o di premi «che non costitui[va]no sconti o premi quantitativi, né sconti o premi fedeltà ai sensi della (…) sentenza Hoffmann‑La Roche». |
84 |
Ne consegue che, secondo la giurisprudenza, è solo nel caso degli sconti facenti parte della terza categoria che occorre valutare l’insieme delle circostanze, e non nel caso degli sconti di esclusiva di cui alla seconda categoria. |
85 |
Tale approccio è giustificato dal fatto che gli sconti di esclusiva accordati da un’impresa in posizione dominante sono per loro stessa natura atti a restringere la concorrenza. |
86 |
Infatti, la capacità di vincolare i clienti all’impresa in posizione dominante è inerente agli sconti di esclusiva. Il fatto, per un’impresa in posizione dominante, di concedere uno sconto come contropartita di un approvvigionamento esclusivo o concernente una parte considerevole del fabbisogno del cliente implica che l’impresa in posizione dominante conceda un vantaggio finanziario volto ad impedire ai clienti di rifornirsi presso produttori concorrenti. Non è dunque necessario esaminare le circostanze del caso di specie al fine di determinare se tale sconto sia inteso ad impedire ai clienti di rifornirsi presso i concorrenti. |
87 |
Occorre inoltre sottolineare che gli sconti di esclusiva concessi da un’impresa in posizione dominante dispongono, per loro stessa natura, della capacità di escludere dei concorrenti. Infatti, un vantaggio finanziario accordato al fine di indurre un cliente a rifornirsi per la totalità o per una parte considerevole del proprio fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante implica un incentivo per tale cliente a non rifornirsi, per la parte della sua domanda interessata dalla condizione di esclusiva, presso concorrenti dell’impresa in posizione dominante. |
88 |
In tale contesto, occorre rilevare che un effetto preclusivo non si produce unicamente quando l’accesso al mercato è reso impossibile per i concorrenti, ma anche quando tale accesso è reso più difficile (v., in tal senso, sentenze della Corte Michelin I, cit. al punto 74 supra, punto 85; del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige, C-52/09, Racc. pag. I-527; in prosieguo: la «sentenza TeliaSonera», punto 63, e la sentenza Michelin II, cit. al punto 75 supra, punto 244). Un incentivo finanziario accordato da un’impresa in posizione dominante al fine di indurre un cliente a non rifornirsi, per la parte della propria domanda interessata dalla condizione di esclusiva, presso i suoi concorrenti, è per la sua stessa natura capace di rendere più difficile l’accesso al mercato per tali concorrenti. |
89 |
Benché le condizioni di esclusiva possano, in linea di principio, presentare effetti benefici per la concorrenza, cosicché, in una situazione normale di un mercato concorrenziale, occorre valutare i loro effetti sul mercato nel loro contesto specifico (v., in tal senso, sentenza della Corte del 28 febbraio 1991, Delimitis, C-234/89, Racc. pag. I-935, punti da 14 a 27), tali considerazioni non possono essere accolte nel caso di un mercato nel quale, proprio a causa della posizione dominante detenuta da uno degli operatori, la concorrenza è già ristretta (v., in tal senso, sentenza della Corte del 6 aprile 1995, BPB Industries e British Gypsum/Commissione, C-310/93 P, Racc. pag. I-865; in prosieguo: la «sentenza della Corte BPB Industries e British Gypsum», punto 11, e conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger in relazione a tale sentenza, Racc. pag. I‑867, paragrafi da 42 a 45). |
90 |
Tale soluzione si giustifica con il dovere particolare incombente all’impresa in posizione dominante di non compromettere lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato comune e con il fatto che, qualora un operatore detenga una forte posizione sul mercato, la stipulazione di contratti di fornitura esclusiva relativamente ad una quota rilevante degli acquisti di un cliente costituisce un ostacolo inammissibile all’ingresso nel mercato (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 1o aprile 1993, BPB Industries e British Gypsum/Commissione, T-65/89, Racc. pag. II-389; in prosieguo: la «sentenza del Tribunale BPB Industries e British Gypsum», punti da 65 a 68). Infatti, in un caso del genere, l’esclusiva fornitura provoca un pregiudizio ulteriore alla struttura concorrenziale del mercato. In tal senso, nella nozione di sfruttamento abusivo rientra, in linea di massima, qualsiasi impegno di fornitura esclusiva a vantaggio di un’impresa in posizione dominante (v., in tal senso, sentenza Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punti 120, 121 e 123; sentenza della Corte BPB Industries e British Gypsum, cit. al punto 89 supra, punto 11, e conclusioni presentate dall’avvocato generale Léger in relazione a tale sentenza, cit. al punto 89 supra, paragrafi 46 e 47). |
91 |
Inoltre, occorre parimenti sottolineare che è inerente ad una forte posizione dominante, quale quella occupata dalla ricorrente, il fatto che, per una buona parte della domanda, non esista un prodotto sostitutivo adeguato a quello fornito dall’impresa che detiene tale posizione dominante. Il fornitore in posizione dominante è quindi, in ampia misura, un partner commerciale irrinunciabile (v., in tal senso, sentenze Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 41; della Corte British Airways, cit. al punto 74 supra, punto 75, e sentenza del Tribunale Tomra, cit. al punto 72 supra, punto 269). Nella specie, la ricorrente non contesta gli accertamenti effettuati nella decisione impugnata, secondo i quali la sua posizione sul mercato nel periodo dell’infrazione considerata nella presente causa era quella di un partner commerciale irrinunciabile. |
92 |
Consegue dalla posizione di partner commerciale irrinunciabile che i clienti si riforniranno in ogni modo per una parte del loro fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante (in prosieguo: la «quota non contendibile»). Il concorrente di un’impresa in posizione dominante non è pertanto in grado di entrare in concorrenza per la fornitura globale di un cliente, bensì unicamente per la quota della domanda eccedente la quota non contendibile (in prosieguo: la «quota contendibile»). La quota contendibile è dunque la quantità del fabbisogno di un cliente che può realisticamente essere trasferita ad un concorrente dell’impresa in posizione dominante in un periodo di riferimento, come rilevato dalla Commissione al considerando 1009 della decisione impugnata. La concessione di sconti di esclusiva da parte di un’impresa in posizione dominante rende più difficile ad un concorrente la fornitura dei propri prodotti ai clienti di tale impresa. Infatti, se un cliente dell’impresa in posizione dominante si rifornisce presso un concorrente, non rispettando la condizione di esclusiva o di quasi esclusiva, esso rischia di perdere non solo gli sconti per le unità trasferite a tale concorrente, bensì la totalità dello sconto di esclusiva. |
93 |
Al fine di sottoporre un’offerta allettante, non è dunque sufficiente che il concorrente di un’impresa in posizione dominante offra condizioni allettanti per le unità che esso stesso può fornire al cliente, bensì deve parimenti offrire a quest’ultimo una compensazione per la perdita dello sconto di esclusiva. Al fine di sottoporre un’offerta allettante, il concorrente deve pertanto ripartire sulla sola quota contendibile lo sconto accordato dall’impresa in posizione dominante per la totalità o la quasi totalità del fabbisogno del cliente, compresa la quota non contendibile. In tal senso, la concessione di uno sconto di esclusiva da parte di un partner commerciale irrinunciabile rende strutturalmente più difficile la possibilità, per un concorrente, di sottoporre un’offerta ad un prezzo allettante e dunque di accedere al mercato. La concessione di sconti di esclusiva consente all’impresa in posizione dominante di utilizzare il proprio potere economico sulla quota non contendibile della domanda del cliente come una leva, al fine di assicurarsi anche la quota contendibile, rendendo in tal modo più difficile per un concorrente l’accesso al mercato. |
94 |
Infine, occorre osservare che resta possibile, per l’impresa in posizione dominante, giustificare l’impiego di un sistema di sconti di esclusiva, in particolare dimostrando che il suo comportamento è oggettivamente necessario o che l’effetto preclusivo potenziale derivante da una tale pratica può essere controbilanciato, o anche superato, da vantaggi in termini di efficienza che vadano anche a beneficio dei consumatori (v., in tal senso, sentenze Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 90; della Corte British Airways, cit. al punto 74 supra, punti 85 e 86, e della Corte del 27 marzo 2012, Post Danmark, C‑209/10, in prosieguo: la «sentenza Post Danmark», punti 40 e 41 nonché giurisprudenza ivi citata). Orbene, nella specie, la ricorrente non deduce alcun argomento al riguardo. |
2) Sugli argomenti della ricorrente
2.1) Sugli argomenti secondo i quali la Commissione è tenuta ad effettuare un’analisi delle circostanze del caso di specie al fine di accertare perlomeno un effetto preclusivo potenziale
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La ricorrente fa valere che la Commissione è tenuta ad effettuare un’analisi delle circostanze del caso di specie al fine di accertare perlomeno un effetto preclusivo potenziale. |
96 |
In primo luogo, la ricorrente si basa sul punto 73 della sentenza Michelin I, citata al punto 74 supra, e sul punto 67 della sentenza della Corte British Airways, citata al punto 74 supra. Tali punti riguardano, tuttavia, sconti facenti parte della terza categoria e non sono pertanto rilevanti con riferimento gli sconti di esclusiva. |
97 |
A tal riguardo occorre respingere l’argomento della ricorrente, sollevato in udienza, secondo il quale la Corte avrebbe abbandonato la distinzione fra gli sconti di esclusiva e gli sconti facenti parte della terza categoria nella sentenza della Corte Tomra, citata al punto 73 supra. È vero che, al punto 70 di tale sentenza, la Corte ha richiamato, in un primo momento, la formula menzionata al punto 73 supra, secondo la quale l’applicazione di un regime di sconti di fedeltà da parte di un’impresa in posizione dominante costituiva un abuso e ha poi aggiunto, al punto 71, che, «[a]l riguardo, occorre[va] valutare l’insieme delle circostanze (…)». Tuttavia, come rilevato correttamente dalla Commissione, si evince dal contesto della sentenza che la Corte, così facendo, non ha esteso l’ambito di applicazione dell’analisi delle circostanze del caso di specie agli sconti di esclusiva. Infatti, le considerazioni svolte ai punti 70 e 71 di tale sentenza, nelle quali la Corte ha richiamato la giurisprudenza, si trovano all’interno dell’esame del terzo motivo, il quale non verteva su un sistema di sconti di esclusiva, bensì su un sistema di sconti facenti parte della terza categoria, ossia un sistema di sconti retroattivi individuali (sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 73 supra, punti 73, 74, 77 e 78, e conclusioni presentate dall’avvocato generale Mazák in relazione a tale sentenza, paragrafo 27). |
98 |
In secondo luogo, la ricorrente invoca le sentenze della Corte del 14 ottobre 2010, Deutsche Telekom/Commissione, C-280/08 P (Racc. pag. I-9555; in prosieguo: la «sentenza della Corte Deutsche Telekom», punto 175), TeliaSonera, punto 88 supra (punto 28), e Post Danmark, citata al punto 94 supra (punto 26). In tali sentenze, la Corte ha dichiarato che «[p]er determinare se l’impresa che occupa una posizione dominante [avesse] sfruttato in modo abusivo tale posizione per effetto dell’applicazione delle proprie pratiche tariffarie, occorre[va] valutare tutte le circostanze (…)». |
99 |
Tuttavia, la portata di tale giurisprudenza è limitata a pratiche tariffarie e non incide sulla qualificazione giuridica degli sconti di esclusiva. Infatti, la sentenza della Corte Deutsche Telekom, citata al punto 98 supra, e la sentenza TeliaSonera, citata al punto 88 supra, riguardavano pratiche relative alla compressione dei margini, e la sentenza Post Danmark, citata al punto 94 supra, verteva su pratiche relative a prezzi bassi, cosicché queste tre cause avevano ad oggetto pratiche tariffarie. Orbene, la presente causa non riguarda una pratica tariffaria. Per quanto attiene agli sconti concessi ai diversi costruttori OEM, l’addebito mosso nei confronti della ricorrente nella decisione impugnata non si fonda sull’importo esatto degli sconti e dunque sui prezzi applicati dalla ricorrente, bensì sul fatto che la loro concessione era subordinata alla condizione di un approvvigionamento esclusivo o quasi esclusivo. Una disparità di trattamento degli sconti di esclusiva e delle pratiche tariffarie si giustifica con il fatto che, a differenza di un incentivo ad un approvvigionamento esclusivo, il livello di un prezzo non può essere considerato di per sé illegittimo. |
100 |
A tal riguardo, occorre parimenti respingere l’argomento della ricorrente, sollevato in udienza, secondo il quale la sentenza Post Danmark, citata al punto 94 supra, ha ad oggetto sconti di fedeltà paragonabili a quelli del caso di specie. In tale causa, infatti, il procedimento dinanzi alla Corte riguardava la pratica della Post Danmark nei confronti degli ex clienti del suo concorrente principale, consistente nell’applicazione di tariffe differenti rispetto a quelle applicate ai suoi clienti, senza che la Post Danmark avesse potuto giustificare in termini di costi dette significative differenze in materia di tariffe e di sconti; tale pratica era qualificata dall’autorità danese competente in materia di concorrenza come «discriminazione principale tramite i prezzi» (sentenza Post Danmark, cit. al punto 94 supra, punto 8). Orbene, tale presentazione delle pratiche anticoncorrenziali non contiene alcun riferimento ad un sistema di sconti di esclusiva. Al contrario, il procedimento sfociato nel rinvio pregiudiziale riguardava unicamente l’esistenza di un abuso in termini di prezzi bassi e selettivi (sentenza Post Danmark, cit. al punto 94 supra, punti da 15 a 17). In tal senso, in risposta alla questione pregiudiziale che le è stata sottoposta, la Corte si è limitata a risolvere la questione di quali fossero le circostanze in cui si doveva ritenere che una politica di prezzi bassi configurasse un abuso diretto all’esclusione di un concorrente contrario all’articolo 82 CE (sentenza Post Danmark, cit. al punto 94 supra, punto 19). |
101 |
Si deve quindi respingere questo argomento della ricorrente. |
2.2) Sull’argomento secondo il quale la Commissione è tenuta a dimostrare effetti preclusivi concreti
102 |
La ricorrente deduce che, qualora il comportamento di cui trattasi risalga al passato, la Commissione è tenuta a dimostrare effetti preclusivi concreti. La Commissione si sarebbe a torto astenuta dal prendere in considerazione l’assenza di effetti anticoncorrenziali concreti delle sue pratiche. Inoltre, la ricorrente fa valere che la Commissione deve dimostrare un nesso di causalità fra le pratiche contestate e gli effetti sul mercato. |
103 |
Anzitutto, è giocoforza constatare che, anche nell’ambito di un’analisi delle circostanze del caso di specie, la Commissione deve unicamente dimostrare l’idoneità di una pratica a restringere la concorrenza (v., in tal senso, sentenze della Corte Tomra, cit. al punto 73 supra, punto 68, e TeliaSonera, cit. al punto 88 supra, punto 64). Il meccanismo di uno sconto di esclusiva concesso da un’impresa in posizione dominante che è un partner commerciale irrinunciabile le consente di utilizzare la quota non contendibile della domanda del cliente come una leva, al fine di assicurarsi anche la quota contendibile (v. punto 93 supra). Dinanzi a uno strumento commerciale di questo tipo non è necessario procedere ad un’analisi degli effetti concreti degli sconti sulla concorrenza (v., in tal senso, sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 73 supra, punto 79). |
104 |
Inoltre, poiché non è necessario dimostrare gli effetti concreti degli sconti, ne consegue necessariamente che la Commissione non è neanche tenuta a dimostrare un nesso di causalità fra le pratiche contestate ed effetti concreti sul mercato. In tal senso, la circostanza dedotta dalla ricorrente, secondo la quale i clienti si sono riforniti esclusivamente presso la stessa per motivi commerciali del tutto indipendenti dagli sconti, ammesso che risulti accertata, non osta a che tali sconti abbiano potuto indurre i clienti ad un approvvigionamento esclusivo. |
105 |
Infine, occorre sottolineare che, a maggior ragione, la Commissione non è tenuta a dimostrare né un danno immediato ai consumatori né un nesso di causalità fra un tale danno e le pratiche oggetto della decisione impugnata. Infatti, si evince dalla giurisprudenza che l’articolo 82 CE riguarda non soltanto le pratiche di natura tale da causare direttamente un danno ai consumatori, bensì anche quelle che arrecano loro pregiudizio compromettendo un regime di concorrenza effettiva (sentenza della Corte British Airways, cit. al punto 74 supra, punto 106). |
2.3) Sull’argomento relativo all’assenza di obblighi formali
106 |
La ricorrente fa valere che gli sconti oggetto della presente causa non comportavano obblighi di esclusiva formali o vincolanti. Orbene, risulta dalla sentenza Hoffmann‑La Roche, citata al punto 71 supra (punto 89), che un’impresa in posizione dominante abusa di tale posizione se applica un sistema di sconti di esclusiva anche «senza vincolare gli acquirenti con un obbligo formale». A tal riguardo, la Commissione sottolinea giustamente che l’incentivo anticoncorrenziale degli sconti di esclusiva non discende dall’imposizione di un obbligo formale di rifornirsi esclusivamente o quasi esclusivamente presso l’impresa dominante, bensì dai vantaggi finanziari ottenuti o dagli svantaggi finanziari evitati effettuando tali acquisti. In tal senso, è sufficiente che l’impresa in posizione dominante segnali in maniera credibile al proprio cliente che la concessione di un beneficio finanziario è subordinata ad un approvvigionamento esclusivo o quasi esclusivo. |
2.4) Sull’argomento attinente alla rilevanza dell’ammontare dello sconto
107 |
La ricorrente afferma che la Commissione ha omesso di prendere in considerazione la portata degli sconti concessi da Intel ai costruttori OEM come contropartita dell’approvvigionamento esclusivo o quasi esclusivo, e che è illogico condannare sconti di un importo estremamente basso (USD 1 ad esempio) che AMD avrebbe potuto superare. |
108 |
Orbene, come rilevato correttamente dalla Commissione, la decisione impugnata non verte sul livello degli sconti, bensì sull’esclusiva come contropartita della quale essi sono stati concessi. In tal senso, è sufficiente che lo sconto possa indurre il cliente ad un approvvigionamento esclusivo, a prescindere dalla questione se il fornitore concorrente avrebbe potuto offrire una compensazione al cliente per la perdita dello sconto in caso di cambio di fornitore. |
109 |
Non è dunque necessario esaminare la questione se, nell’esempio meramente teorico di uno sconto pari a USD 1, come dedotto dalla ricorrente, un tale sconto minimo possa costituire un incentivo per il cliente a rispettare la condizione di esclusiva. Nella specie, infatti, la Commissione ha sufficientemente dimostrato che la ricorrente aveva concesso degli sconti ai costruttori OEM pari a milioni di USD l’anno. La Commissione ha inoltre sufficientemente dimostrato che tali sconti venivano accordati, perlomeno in parte, come contropartita di un’esclusiva (v. punti da 444 a 584, da 673 a 798, da 900 a 1017, da 1145 a 1208 e da 1381 a 1502 infra). Tali elementi sono sufficienti per poter concludere nel senso che gli sconti di esclusiva oggetto della decisione impugnata erano atti a indurre i costruttori OEM ad un approvvigionamento esclusivo. |
2.5) Sull’argomento attinente alla rilevanza della durata
110 |
Secondo la ricorrente, occorre tenere conto della breve durata dei suoi contratti di fornitura, nonché del fatto che taluni di questi contratti potevano essere risolti entro un termine di 30 giorni. |
111 |
Tale argomento dev’essere parimenti respinto. Al riguardo occorre rammentare che, in linea di principio, qualsiasi incentivo finanziario ad un approvvigionamento esclusivo provoca un pregiudizio ulteriore alla struttura concorrenziale di un mercato e deve pertanto essere considerato abusivo, sempreché esso sia posto in essere da un’impresa in posizione dominante (v. punto 90 supra). |
112 |
Quanto all’argomento attinente alla possibilità di risolvere taluni contratti entro un breve termine, occorre sottolineare che il diritto di risolvere un contratto non impedisce affatto la sua effettiva applicazione, finché non sia stata esercitata la facoltà di risoluzione (sentenza del Tribunale BPB Industries e British Gypsum, cit. al punto 90 supra, punto 73). |
113 |
Inoltre, occorre rilevare che, nella specie, per tutti i costruttori OEM e per MSH, il periodo totale di applicazione degli sconti di esclusiva non è stato breve. Tale periodo, infatti, andava da circa un anno, per quanto riguardava Lenovo, fino a più di cinque anni nel caso di MSH. In tale contesto, occorre rilevare che l’incentivo, per i clienti, di rifornirsi per la totalità o la quasi totalità del loro fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante sussiste fintantoché quest’ultima concede sconti di esclusiva, a prescindere dalla questione se sia stato concluso un contratto a lungo termine o se si succedano più contratti di breve durata (v., parimenti, punto 195 infra). |
2.6) Sull’argomento attinente alla quota ridotta del mercato interessata dal comportamento contestato
114 |
La ricorrente fa valere che la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione il fatto che le pratiche di cui alla decisione impugnata riguardavano unicamente una quota ridotta del mercato dei CPU x86, ossia fra lo 0,3 e il 2% all’anno. |
115 |
Occorre rilevare, in via preliminare, che, per le ragioni che verranno illustrate ai punti da 187 a 194 infra, un siffatto argomento è infondato in punto di fatto, in quanto il metodo di calcolo impiegato dalla ricorrente per pervenire a tali cifre è errato. |
116 |
Inoltre, il carattere eventualmente ridotto delle quote di mercato interessate dalle pratiche di cui trattasi non può costituire un argomento pertinente. Infatti, quando si tratta del comportamento di un’impresa in posizione dominante sul mercato nel quale, di conseguenza, la struttura concorrenziale è già indebolita, qualsiasi ulteriore restrizione di detta struttura concorrenziale può costituire sfruttamento abusivo di posizione dominante (sentenza Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 123). La Corte ha dunque respinto l’applicabilità di un criterio legato a un «effetto apprezzabile» o a un limite de minimis ai sensi dell’articolo 82 CE (conclusioni presentate dall’avvocato generale Mazák in relazione alla sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 97 supra, paragrafo 17). |
117 |
Inoltre, i clienti che si trovano nella quota bloccata del mercato dovrebbero avere la possibilità di approfittare di ogni grado di concorrenza che sia possibile sul mercato e i concorrenti dovrebbero poter operare in un regime di concorrenza fondata sul merito su tutto il mercato e non soltanto su una parte di quest’ultimo (sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 73 supra, punti 42 e 46). Un’impresa in posizione dominante non può dunque giustificare la concessione di sconti di esclusiva a taluni clienti adducendo che i concorrenti restano liberi di rifornire gli altri clienti. |
118 |
L’argomento della ricorrente deve pertanto essere respinto. |
119 |
Tale risultato non è rimesso in discussione dalla circostanza che, nella sentenza della Corte Tomra, citata al punto 73 supra (punti da 41 a 45), quest’ultima ha convalidato la considerazione del Tribunale secondo la quale la quota del mercato che era stata bloccata in tale causa era «significativa». Infatti, tale considerazione non conferma la tesi secondo la quale non può sussistere un effetto preclusivo qualora la quota bloccata del mercato non sia significativa. A tal riguardo occorre osservare che risulta dalla sentenza del Tribunale Tomra, citata al punto 72 supra (punto 243), che il Tribunale ha rilevato che «quand’anche si ammettesse la tesi delle ricorrenti secondo cui il blocco di una piccola quota della domanda sarebbe irrilevante, nella specie tale quota era lungi dall’essere di scarsa rilevanza». Il Tribunale non ha pertanto preso posizione sulla questione se tale tesi fosse corretta. |
120 |
Per la Corte era sufficiente convalidare la constatazione del Tribunale secondo la quale, in tale causa, era stata bloccata una quota significativa del mercato, senza che tale circostanza debba essere intesa nel senso che la Corte avrebbe ritenuto che il blocco di una quota significativa del mercato costituisse una condizione necessaria alla constatazione di un abuso. Inoltre, la Corte ha espressamente rilevato, nella sua sentenza Tomra, citata al punto 73 supra (punto 46), che la determinazione di una soglia precisa di blocco del mercato oltre la quale le pratiche in causa dovevano essere considerate abusive non era necessaria ai fini dell’applicazione dell’articolo 82 CE e che, «in ogni caso», era stato adeguatamente dimostrato che le pratiche in questione avevano chiuso il mercato alla concorrenza. |
121 |
Tale risultato non può neanche essere rimesso in discussione dalla sentenza del Tribunale del 23 ottobre 2003, Van den Bergh Foods/Commissione (T-65/98, Racc. pag. II-4653, punto 160), fatta valere dalla ricorrente e dall’ACT. Infatti, tale sentenza non riguardava una pratica mediante la quale un incentivo finanziario era direttamente connesso alla condizione che il cliente si rifornisse per la totalità o per una parte considerevole del suo fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante. In quella causa, l’impresa in posizione dominante aveva messo a disposizione di dettaglianti di gelato irlandese dei frigocongelatori a titolo gratuito, a condizione che essi fossero usati esclusivamente per conservare i gelati forniti dall’impresa in posizione dominante. I dettaglianti restavano tuttavia liberi di vendere gelati forniti da concorrenti, a condizione che li conservassero nei propri frigocongelatori o in frigocongelatori messi a disposizione da altri produttori di gelato. |
122 |
È in tali circostanze che la Commissione ha ritenuto che costituisse un abuso di posizione dominante il fatto che l’impresa in posizione dominante avesse fatto pressione sui dettaglianti irlandesi che non disponevano di frigocongelatori propri o forniti da un produttore di gelato diverso affinché sottoscrivessero gli accordi per la fornitura di frigocongelatori soggetti ad un vincolo di esclusiva, proponendo di fornire loro i frigocongelatori per la conservazione di gelati destinati al consumo immediato in confezione monodose e di effettuare la manutenzione di detti frigocongelatori, senza oneri diretti per gli stessi (sentenza Van den Bergh Foods/Commissione, cit. al punto 121 supra, punto 23). La Commissione aveva parimenti constatato, in tale causa, che nel 40% circa di tutti i punti vendita in Irlanda l’unico o gli unici frigocongelatori per gelati destinati al consumo immediato installati nel negozio erano stati forniti dall’impresa in posizione dominante (sentenza Van den Bergh Foods/Commissione, cit. al punto 121 supra, punto 19). |
123 |
È in tali circostanze che il Tribunale ha rilevato, nella sentenza Van den Bergh Foods/Commissione, citata al punto 121 supra (punto 160), che «[i]l fatto che un’impresa in posizione dominante su un mercato vincoli di fatto – anche se su loro richiesta – il 40% dei punti vendita del mercato rilevante mediante una clausola di esclusiva, che opera in realtà come un’esclusiva imposta a tali punti vendita, costitui[va] sfruttamento abusivo di una posizione dominante». |
124 |
Occorre rilevare che, in tale causa, era solo per tale 40% dei punti vendita che la condizione collegata alla conservazione dei soli prodotti forniti dall’impresa in posizione dominante operava de facto come una condizione di esclusiva, in quanto gli altri punti vendita disponevano di altri frigocongelatori, nei quali potevano conservare gelati forniti da altri produttori. Non si può pertanto desumere da tale sentenza che, per gli sconti direttamente subordinati alla condizione di un approvvigionamento esclusivo o quasi esclusivo, occorra procedere alla determinazione della quota del mercato che è bloccata. |
2.7) Sull’argomento attinente all’assenza di copertura, da parte delle condizioni di esclusiva addotte, di una parte considerevole del fabbisogno di taluni costruttori OEM
125 |
La ricorrente sottolinea che, per quanto riguarda taluni costruttori OEM, ossia HP, NEC e Lenovo, la condizione di esclusiva menzionata dalla Commissione nella decisione impugnata non concerneva l’integralità della domanda di CPU x86 da parte di tali costruttori OEM, bensì, nel caso di HP, solamente una quota del 95% del suo fabbisogno di CPU x86 destinati ai suoi computer fissi, questi ultimi destinati a loro volta alle imprese, nel caso di NEC, solamente l’80% del suo fabbisogno di CPU x86 destinati ai suoi PC «clienti», ossia i computer fissi e i computer portatili, ad eccezione dei server e, nel caso di Lenovo, unicamente il suo fabbisogno di CPU x86 destinati ai computer portatili. |
126 |
In udienza, la ricorrente ha aggiunto che il fabbisogno di CPU x86 di HP per i computer aziendali fissi corrispondeva al 30% soltanto del fabbisogno totale di CPU x86 di HP. Poiché la condizione addotta copriva unicamente il 95% del fabbisogno di CPU x86 di HP per i computer aziendali fissi, essa avrebbe riguardato il 28% circa soltanto del fabbisogno totale di CPU x86 di HP e non avrebbe potuto, pertanto, essere considerata una condizione di esclusiva. |
127 |
Con questo argomento, la ricorrente fa valere, in sostanza, che gli sconti concessi a HP, NEC e Lenovo non possono essere considerati sconti di esclusiva, dal momento che la condizione non avrebbe riguardato «la totalità o (…) una parte considerevole», ai sensi della sentenza Hoffmann‑La Roche, citata al punto 71 supra (punto 89), del fabbisogno di CPU x86 di tali costruttori OEM. |
128 |
Tale argomento deve essere respinto. |
129 |
Per quanto attiene agli sconti concessi a HP, occorre sottolineare che il comportamento in questione non è connesso alla condizione secondo la quale HP doveva acquistare almeno il 28% del proprio fabbisogno totale di CPU x86 presso Intel, bensì alla condizione secondo la quale HP doveva acquistare, su un segmento determinato del mercato, il 95% del proprio fabbisogno totale di CPU x86 presso Intel. La condizione secondo la quale HP doveva rifornirsi, in un settore determinato, per il 95% del proprio fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante non è né identico né paragonabile ad una condizione ipotetica secondo la quale HP avrebbe dovuto rifornirsi presso tale impresa per il 28% del suo fabbisogno in tutti i segmenti. |
130 |
La libertà di HP di rifornirsi presso AMD per il suo fabbisogno di CPU x86 per computer aziendali fissi poteva essere limitata a causa degli sconti di esclusiva accordati da Intel. Infatti, se HP avesse deciso di rifornirsi per più del 5% del proprio fabbisogno di CPU x86 per computer aziendali fissi presso AMD, non rispettando quindi la condizione di quasi esclusiva, essa avrebbe rischiato di perdere lo sconto di esclusiva, e non solo per le unità acquistate presso AMD. In tal senso, per poter fornire più del 5% dei CPU x86 per i computer aziendali fissi dei quali HP aveva bisogno, AMD avrebbe dovuto non solo presentare un’offerta più allettante per i CPU x86 nella quota contendibile della domanda di HP, ma anche offrire una compensazione a HP per la perdita dello sconto di esclusiva. È esattamente questo il meccanismo anticoncorrenziale degli sconti di esclusiva. |
131 |
Tale meccanismo non veniva neutralizzato per il fatto che AMD poteva rifornire HP per il suo fabbisogno di CPU x86 per tutti i computer destinati ai privati, nonché per i computer aziendali portatili. Infatti, la circostanza che la libertà di scelta di HP non fosse limitata in tali segmenti di mercato non rimette in discussione il fatto che la libertà di scelta di HP poteva essere limitata nel segmento dei computer aziendali fissi. |
132 |
In tale contesto occorre rammentare che i concorrenti dell’impresa in posizione dominante devono poter operare in un regime di concorrenza fondata sul merito su tutto il mercato e non soltanto su una parte di questo (sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 73 supra, punto 42). Un’impresa in posizione dominante non può dunque giustificare la concessione di sconti di esclusiva a taluni clienti sulla base del rilievo che i suoi concorrenti sono liberi di rifornire gli altri clienti (v. punto 117 supra). Analogamente, un’impresa in posizione dominante non può giustificare la concessione di sconti subordinata alla condizione di un approvvigionamento quasi esclusivo da parte di un cliente su un segmento determinato di un mercato sulla base del rilievo che il cliente resta libero di rifornirsi presso i concorrenti per il suo fabbisogno negli altri segmenti. |
133 |
In tale contesto, è priva di rilevanza la circostanza, fatta valere dall’ACT in udienza, secondo la quale, nell’ambito della definizione del mercato dei prodotti di cui trattasi, la Commissione non ha operato distinzioni fra i CPU utilizzati nei computer destinati ai professionisti e quelli destinati ai privati, come risulterebbe dal considerando 831, punto 2, della decisione impugnata. Infatti, il meccanismo anticoncorrenziale degli sconti di esclusiva applicati nella specie funziona a prescindere dalla questione se i CPU utilizzati nei computer destinati ai professionisti e quelli destinati ai privati siano interscambiabili o meno. Nella specie, la condizione è stata formulata con riferimento al fabbisogno di HP per i suoi computer aziendali fissi. La HP ha pertanto dovuto utilizzare i CPU di Intel (in prosieguo: i «CPU Intel») nel 95% dei computer aziendali fissi contenenti CPU x86 che essa fabbricava. La questione se tali CPU siano diversi dai CPU x86 utilizzati per i computer destinati ai privati non è rilevante in tale ambito, in quanto, anche qualora essi fossero interscambiabili, HP non avrebbe potuto utilizzare CPU dei concorrenti in più del 5% dei suoi computer aziendali fissi senza infrangere la condizione dello sconto di esclusiva. |
134 |
Ne consegue che gli sconti accordati a HP devono essere considerati sconti di esclusiva, anche se la condizione di quasi esclusiva riguardava unicamente un segmento del fabbisogno di HP. |
135 |
Per quanto riguarda gli sconti accordati a NEC, occorre rilevare che la percentuale dell’80% coperta dalla condizione di esclusiva è sufficiente per costituire una «parte considerevole» del suo fabbisogno ai sensi della sentenza Hoffmann-La Roche, citata al punto 71 supra (punto 89). In tale contesto, occorre rilevare che, in tale sentenza, i comportamenti in questione includevano obblighi di acquisto che interessavano segnatamente l’80% o il 75% del fabbisogno di un cliente (sentenza Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 83). |
136 |
Per quanto riguarda la circostanza secondo la quale la condizione di esclusiva riguardava unicamente i computer fissi e i computer portatili, ad eccezione dei server, essa è priva di rilevanza. Si applicano a tal riguardo, mutatis mutandis, le considerazioni svolte ai punti da 130 a 132 supra. |
137 |
Infine, per quanto riguarda gli sconti accordati a Lenovo, la circostanza secondo la quale la condizione di esclusiva riguardava unicamente i computer portatili è, per gli stessi motivi, priva di rilievo. |
2.8) Sull’argomento attinente al potere di acquisto dei clienti
138 |
La ricorrente afferma che il potere di acquisto dei clienti esclude l’abuso. Nella specie, i clienti avrebbero utilizzato il loro potere di acquisto come leva per ottenere sconti più elevati. |
139 |
Questo argomento va respinto. Infatti, la circostanza, ammesso che sia accertata, che gli sconti concessi dalla ricorrente costituivano una risposta alle domande e al potere di acquisto dei clienti non giustifica il loro assoggettamento alla condizione di un approvvigionamento esclusivo (v., in tal senso, sentenze Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 89; del Tribunale BPB Industries e British Gypsum, cit. al punto 90 supra, punto 68, e del 25 giugno 2010, Imperial Chemical Industries/Commissione, T-66/01, Racc. pag. II-2631, punto 305). Come rilevato dalla Corte nella sentenza Hoffmann-La Roche, citata al punto 71 supra (punto 120), il fatto che la controparte dell’impresa in posizione dominante sia essa stessa un’impresa di primo piano e che il contratto non sia manifestamente la conseguenza della pressione esercitata dall’impresa in posizione dominante sulla controparte non esclude l’esistenza di uno sfruttamento abusivo di posizione dominante, dal momento che detto sfruttamento è costituito dall’ulteriore colpo inferto dall’esclusiva di fornitura alla struttura concorrenziale di un mercato nel quale, data la presenza di un’impresa in posizione dominante, il grado di concorrenza è già sminuito. Inoltre, il potere di acquisto dei costruttori OEM non incide sulla circostanza che essi dipendevano dalla ricorrente in quanto partner commerciale irrinunciabile sul mercato dei CPU x86. |
2.9) Sull’argomento concernente la rilevanza del test AEC
140 |
La ricorrente sostiene che il test AEC (v. punto 30 supra) è un fattore importante allorché si tratta di dimostrare l’effetto preclusivo potenziale degli sconti di cui trattasi. Il test AEC costituirebbe l’unico elemento di prova presentato dalla Commissione nella decisione impugnata per dimostrare che gli sconti di Intel fossero atti ad esplicare un effetto preclusivo anticoncorrenziale. La Commissione negherebbe, tuttavia, che il test AEC faccia parte dell’analisi giuridica della decisione impugnata. Ne consegue, secondo la ricorrente, che la valutazione giuridica effettuata dalla Commissione nella decisione impugnata non ha dimostrato la capacità di preclusione degli sconti di cui trattasi. Inoltre, secondo la ricorrente, la Commissione è incorsa in numerosi errori in sede di applicazione di tale test. A suo avviso, un’applicazione corretta del test AEC dimostra che gli sconti accordati da Intel non avevano una capacità di preclusione. |
141 |
Occorre rilevare, in via preliminare, che il test AEC effettuato nella decisione impugnata prende le mosse dalla circostanza, rilevata al punto 93 supra, secondo la quale un concorrente altrettanto efficiente, il quale tenta di conquistare la quota contendibile degli ordini evasi fino a quel momento da un’impresa dominante che è un partner commerciale irrinunciabile, deve offrire una compensazione al cliente per lo sconto di esclusiva che questi perderebbe qualora acquistasse una quota inferiore a quella definita dalla condizione di esclusiva o di quasi esclusiva. Il test AEC è inteso a determinare se il concorrente efficiente al pari dell’impresa in posizione dominante, il quale subisca gli stessi costi di tale impresa, possa sempre coprire i propri costi in tale caso. |
142 |
Quanto alla rilevanza del test AEC in relazione agli sconti di esclusiva, occorre constatare quanto segue. |
143 |
Anzitutto, occorre rammentare che la constatazione dell’illegittimità di uno sconto di esclusiva non esige un esame delle circostanze del caso di specie (v. punti da 80 a 93 supra). La Commissione non è dunque tenuta a dimostrare la capacità di preclusione degli sconti di esclusiva caso per caso. |
144 |
Inoltre, risulta dalla giurisprudenza che, persino nel caso di sconti facenti parte della terza categoria, in relazione ai quali è necessario un esame delle circostanze del caso di specie, non è indispensabile effettuare un test AEC. In tal senso, nella sentenza Michelin I, citata al punto 74 supra (punti da 81 a 86), la Corte si è fondata sul meccanismo fidelizzante degli sconti di cui trattasi, senza esigere la prova, tramite un test quantitativo, che i concorrenti erano stati costretti a vendere in perdita al fine di poter compensare gli sconti facenti parte della terza categoria accordati dall’impresa in posizione dominante. |
145 |
Inoltre, risulta dalla sentenza della Corte Tomra, punto 73 supra (punti 73 e 74), che, al fine di constatare effetti concorrenziali, non è necessario che un sistema di sconto forzi un concorrente altrettanto efficiente a fatturare prezzi «negativi», vale a dire prezzi al di sotto dei costi. Al fine di accertare un effetto anticoncorrenziale potenziale, è sufficiente dimostrare l’esistenza di un meccanismo di fidelizzazione (v., in tal senso, sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 73 supra, punto 79). |
146 |
Ne consegue che, anche ammesso che una valutazione delle circostanze del caso di specie sia necessaria al fine di dimostrare gli effetti anticoncorrenziali potenziali degli sconti di esclusiva, non sarebbe comunque necessario dimostrarli mediante un test AEC. |
147 |
Inoltre, l’argomento della ricorrente secondo il quale il test AEC è l’unico elemento di prova che la Commissione avrebbe presentato nella decisione impugnata al fine di dimostrare la capacità preclusiva degli sconti di cui trattasi è erroneo in punto di fatto (v. punti da 173 a 175 infra). |
148 |
Quanto all’argomento della ricorrente secondo il quale essa avrebbe dimostrato tramite un test AEC effettuato correttamente che gli sconti di cui trattasi non erano muniti di capacità preclusiva, si deve rilevare quanto segue. |
149 |
Anzitutto, occorre rammentare che un effetto preclusivo non si produce unicamente quando l’accesso al mercato è reso impossibile ai concorrenti, ma anche quando tale accesso è reso più difficile (v. punto 88 supra). |
150 |
Orbene, è giocoforza constatare che un test AEC consente unicamente di verificare il caso di un accesso al mercato reso impossibile, e non di scartare l’eventualità di un accesso reso più difficile al suddetto mercato. È vero che un risultato negativo implica che per un concorrente altrettanto efficiente sia economicamente impossibile assicurarsi la quota contendibile della domanda di un cliente. Infatti, per offrire al cliente una compensazione per la perdita dello sconto di esclusiva, il suddetto concorrente sarebbe costretto a vendere i suoi prodotti ad un prezzo che non gli consentirebbe neanche di coprire i propri costi. Tuttavia, un risultato positivo significa unicamente che un concorrente altrettanto efficiente è in grado di coprire i propri costi (nel caso del test AEC, come effettuato nella decisione impugnata e proposto dalla ricorrente, unicamente i costi evitabili medi). Tale circostanza non significa, tuttavia, che non esista un effetto preclusivo. Infatti, il meccanismo degli sconti di esclusiva, quale descritto al punto 93 supra, resta tale da rendere più difficile l’accesso al mercato per i concorrenti dell’impresa in posizione dominante, anche se tale accesso non è economicamente impossibile (v., per quanto riguarda tale differenziazione, il paragrafo 54 delle conclusioni presentate dall’avvocato generale Mazák in relazione alla sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 97 supra). |
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Risulta da quanto precede che non è necessario verificare se la Commissione abbia effettuato il test AEC secondo le regole applicabili e che non è neanche necessario esaminare la questione se i calcoli alternativi proposti dalla ricorrente siano stati effettuati correttamente. Infatti, neanche un risultato positivo di un test AEC sarebbe idoneo ad escludere l’effetto preclusivo potenziale inerente al meccanismo descritto al punto 93 supra. |
152 |
Tale risultato non viene rimesso in discussione dalla sentenza TeliaSonera, citata al punto, citata al punto 88 supra, dalla sentenza della Corte Deutsche Telekom, citata al punto 98 supra, e dalla sentenza Post Danmark, punto 94 supra. La ricorrente ritiene che risulti da tali sentenze che il criterio chiave è se un concorrente efficiente al pari dell’impresa in posizione dominante possa continuare a farle concorrenza. Occorre tuttavia rammentare che tali cause riguardavano pratiche di forbice tariffaria (TeliaSonera e Deutsche Telekom) oppure di prezzi bassi (Post Danmark). L’obbligo, risultante da tali sentenze, di effettuare analisi dei prezzi e dei costi si spiega con il fatto che è impossibile valutare il carattere abusivo di un prezzo senza paragonarlo ad altri prezzi e costi. Un prezzo non può essere illegittimo di per sé. Per contro, nel caso di uno sconto di esclusiva, è la condizione di un approvvigionamento esclusivo o quasi esclusivo alla quale è subordinata la sua concessione, piuttosto che l’importo dello sconto, che ne fonda il carattere abusivo. |
153 |
Inoltre, si evince dalla sentenza della Corte Tomra, citata al punto 73 supra (punti 73, 74 e 80), posteriore alle sentenze menzionate al punto precedente, che non è indispensabile esaminare se un sistema di sconti costringa un concorrente altrettanto efficiente a fatturare prezzi negativi, e ciò anche in presenza di sconti facenti parte della terza categoria. A maggior ragione, non è necessario farlo per quanto attiene agli sconti di esclusiva. |
154 |
Il risultato non viene rimesso in discussione neanche dalla comunicazione della Commissione intitolata «Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82 [CE] al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti» (GU 2009, C 45, pag. 7; in prosieguo: gli «orientamenti articolo 82»). |
155 |
Ai sensi del paragrafo 2 degli orientamenti articolo 82, «[l]a presente comunicazione stabilisce le priorità che indirizzeranno l’azione della Commissione nell’applicare l’articolo 82 [CE]». Come rilevato dalla Commissione al considerando 916 della decisione impugnata, poiché gli orientamenti articolo 82 mirano a determinare le priorità nella scelta dei casi sui quali la Commissione si concentrerà in futuro, essi non si applicano ad un procedimento che la Commissione aveva già avviato prima della loro pubblicazione. Poiché la decisione di apertura del procedimento da parte della Commissione è datata 26 luglio 2007, quest’ultima non era in ogni caso tenuta a seguire gli orientamenti articolo 82 nella specie. |
156 |
La circostanza secondo la quale la pubblicazione degli orientamenti articolo 82 ha avuto luogo prima dell’adozione della decisione impugnata non significa che esse fossero applicabili. Infatti, il fatto che la Commissione dia indicazioni sulle priorità che guideranno la sua azione in futuro non può obbligarla a riconsiderare la questione se essa consideri prioritaria una causa che la stessa aveva già deciso di considerare prioritaria e la cui trattazione si trova inoltre in una fase avanzata. |
157 |
Non è pertanto necessario esaminare la questione se la decisione impugnata sia conforme agli orientamenti articolo 82. |
158 |
La mera circostanza che la Commissione abbia indicato, al considerando 916 della decisione impugnata, che essa riteneva tuttavia che la suddetta decisione fosse conforme agli orientamenti articolo 82 non è in grado di rimettere in discussione l’assenza di rilevanza degli orientamenti articolo 82 per la presente causa. Infatti, si tratta chiaramente di una considerazione svolta dalla Commissione ad abundantiam, dopo aver spiegato che gli orientamenti articolo 82 non erano applicabili nella specie. |
159 |
Quanto alla circostanza, invocata dalla ricorrente, secondo la quale il membro della Commissione incaricato della concorrenza all’epoca aveva indicato, in un discorso del 17 luglio 2009, che, nella causa Intel, la Commissione aveva applicato il test AEC seguendo il metodo definito negli orientamenti articolo 82, occorre rilevare che si evince chiaramente dalla decisione impugnata, che è stata adottata dal collegio dei commissari, che la Commissione aveva ritenuto che gli orientamenti articolo 82 fossero inapplicabili e che il test AEC non costituisse un elemento necessario al fine di dimostrare l’illegittimità delle pratiche di cui trattasi. È pertanto ad abundantiam che la Commissione ha effettuato un test AEC e ha rilevato che la decisione impugnata era conforme agli orientamenti articolo 82. La circostanza che il membro della Commissione incaricato della concorrenza abbia tenuto un discorso successivamente all’adozione della decisione impugnata, nel quale egli ha indicato che la Commissione aveva svolto un test AEC nella causa Intel, senza precisare in tale ambito che tale test era stato effettuato ad abundantiam, non è in grado di modificare l’interpretazione che deve essere data alla decisione impugnata. |
160 |
In risposta ad un quesito posto in udienza, la ricorrente ha affermato che il ragionamento da essa seguito in relazione alla rilevanza del test AEC, il quale avrebbe svolto un ruolo importante nel procedimento amministrativo, doveva essere inteso nel senso che essa si fondava parimenti sul principio del legittimo affidamento. |
161 |
A tal riguardo occorre rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, il diritto di invocare la tutela del legittimo affidamento, che rappresenta uno dei principi fondamentali dell’Unione, si estende a chiunque si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione dell’Unione, avendogli fornito assicurazioni precise, ha suscitato in lui aspettative fondate. Rappresentano assicurazioni di tal genere, a prescindere dalla forma in cui siano state comunicate, informazioni precise, incondizionate e concordanti, che derivino da fonti autorizzate ed affidabili. Per contro, nessuno può invocare una violazione di tale principio in mancanza di assicurazioni precise fornitegli dall’amministrazione (v. sentenza del Tribunale del 19 marzo 2003, Innova Privat‑Akademie/Commissione, T-273/01, Racc. pag. II-1093, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). |
162 |
Nella specie, la ricorrente non ha mostrato che esistesse un’assicurazione precisa fornita nel procedimento amministrativo, secondo la quale il test AEC sarebbe essenziale per la Commissione al fine di dimostrare una violazione dell’articolo 82 CE. Al contrario, come giustamente sottolineato dalla Commissione in udienza, si evince dal punto II 1, secondo comma, della relazione finale del consigliere-auditore nella presente causa (GU 2009, C 227, pag. 7) che «durante l’audizione la Commissione ha chiarito alla Intel, e la Intel ha compreso, che la valutazione economica non era una condizione per dichiarare l’esistenza di un abuso». |
163 |
La ricorrente ha quindi precisato, in udienza, di aver ben compreso le affermazioni del consigliere-auditore. Essa ha fatto valere che si evincerebbe tuttavia dal punto 340 della comunicazione degli addebiti del 2007 che, nel caso in cui fosse necessaria la prova di una capacità preclusiva, la Commissione si fonderebbe unicamente sul test AEC al fine di dimostrare tale capacità. |
164 |
Occorre tuttavia osservare che la mera circostanza che la Commissione abbia affermato, al punto 340 della comunicazione degli addebiti del 2007, che essa avrebbe dimostrato che gli sconti in questione avevano effetto preclusivo, in quanto hanno impedito ad un concorrente altrettanto efficiente di offrire una compensazione al costruttore OEM per la perdita dello sconto potenziale, non può essere considerata un’assicurazione precisa che la Commissione non si sarebbe basata su nessun altro fondamento per dimostrare la capacità preclusiva. Inoltre, si evince dai punti 260 e 329 della comunicazione complementare degli addebiti del 2008 che, nella sua analisi, la Commissione non si è fondata esclusivamente sul test AEC, bensì anche su altre prove qualitative e quantitative. |
165 |
La Commissione non ha dunque violato il principio del legittimo affidamento con l’approccio da essa seguito nella decisione impugnata. |
166 |
Risulta da quanto precede che gli argomenti dedotti dalla ricorrente non sono in grado di rimettere in discussione né la conclusione secondo la quale non è necessario verificare se la Commissione abbia effettuato il test AEC nel rispetto delle regole applicabili o esaminare in dettaglio gli argomenti della ricorrente concernenti gli errori che la Commissione avrebbe commesso in occasione del suo svolgimento, né la conclusione secondo la quale non è neanche necessario esaminare i calcoli alternativi proposti dalla ricorrente (v. punto 151 supra). |
b) Sui pagamenti accordati a MSH
167 |
La Commissione rileva, in sostanza, al considerando 1000 della decisione impugnata, che l’effetto dei pagamenti accordati a MSH a condizione che la stessa vendesse esclusivamente prodotti della ricorrente era equivalente a quello di uno sconto di esclusiva, e che tali pagamenti soddisfacevano pertanto i requisiti fissati dalla giurisprudenza per poterli qualificare come abusivi. |
168 |
In udienza, la ricorrente ha fatto valere, in sostanza, che la Commissione aveva a torto applicato il medesimo test ai fini della qualificazione giuridica degli sconti di esclusiva concessi ai costruttori OEM e della qualificazione dei pagamenti concessi a MSH. Essa ha dedotto, segnatamente, che, diversamente dai costruttori OEM, MSH era un operatore presente sul mercato al dettaglio. Per verificare se a un produttore concorrente venga precluso l’accesso al mercato al dettaglio, la giurisprudenza esigerebbe un’analisi degli effetti cumulativi esplicati da una rete di relazioni di esclusiva. Orbene, nel periodo di cui trattasi, MSH avrebbe detenuto soltanto una quota estremamente ridotta del mercato mondiale rilevante, ossia circa l’1%. |
169 |
Occorre rilevare che l’argomento della ricorrente equivale a dire che la Commissione avrebbe dovuto procedere ad un’analisi delle circostanze del caso di specie sul mercato al dettaglio per dimostrare la capacità delle pratiche attuate dalla ricorrente nei confronti di MSH di restringere la concorrenza. Tale argomento non può tuttavia essere accolto. Infatti, come osservato giustamente dalla Commissione in udienza, il meccanismo anticoncorrenziale delle pratiche attuate dalla ricorrente nei confronti dei costruttori OEM e di MSH era lo stesso: l’unica differenza risiedeva nel fatto che il pagamento di esclusiva accordato a MSH non mirava ad impedire l’approvvigionamento di un cliente diretto della ricorrente presso un concorrente, bensì la vendita di prodotti concorrenti da parte di un dettagliante situato più a valle nella catena di approvvigionamento. Infatti, i costruttori OEM incorporano nei computer CPU che vengono poi venduti ai consumatori da dettaglianti come MSH. Inducendo un dettagliante a vendere computer unicamente muniti di CPU provenienti da Intel, la ricorrente privava dunque i costruttori OEM di un canale di distribuzione per i computer muniti di CPU delle imprese concorrenti. In tal senso, privando MSH della sua libertà di scelta per quanto attiene alle proprie vendite, essa ha ristretto la libertà di scelta dei costruttori OEM per quanto concerne i loro canali di distribuzione. Poiché tale restrizione poteva ripercuotersi sulla domanda dei costruttori OEM di CPU AMD, il fatto di indurre MSH ad una vendita esclusiva tendeva a rendere più difficile l’accesso di AMD al mercato dei CPU x86. In entrambe le situazioni, la ricorrente ha utilizzato il proprio potere economico sulla quota non contendibile della domanda come leva per assicurarsi anche la quota contendibile della domanda, rendendo in tal modo più difficile l’accesso di AMD al mercato (v. punto 93 supra). |
170 |
Se è vero che, nell’ambito dell’articolo 81 CE, la Corte ha dichiarato che, in una situazione normale del mercato concorrenziale, occorreva valutare i rapporti di esclusiva fra un fornitore e un dettagliante nel loro contesto specifico, il che implicava, in particolare, un’analisi dell’effetto cumulativo di una rete di tali rapporti, è giocoforza constatare che tali considerazioni non possono essere ammesse nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 82 CE, il quale riguarda mercati nei quali, per il fatto stesso della posizione dominante detenuta da uno degli operatori, la concorrenza è già ristretta (v. punto 89 supra). |
171 |
Pertanto, anche per quanto riguarda i pagamenti concessi a MSH, la Commissione non era tenuta ad esaminare le circostanze del caso di specie, ma doveva limitarsi a dimostrare la concessione, da parte della ricorrente, di un incentivo finanziario soggetto ad una condizione di esclusiva. |
c) Analisi della capacità degli sconti di restringere la concorrenza nelle circostanze del caso di specie
172 |
Ad abundantiam, per quanto attiene alla questione se, nella decisione impugnata, la Commissione abbia dimostrato la capacità degli sconti e dei pagamenti di esclusiva accordati a Dell, HP, NEC, Lenovo e MSH di restringere la concorrenza anche a seguito di un’analisi delle circostanze del caso di specie, si deve rilevare quanto segue. |
173 |
In via preliminare, occorre osservare che, al considerando 924 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che gli sconti e i pagamenti di esclusiva accordati a Dell, HP, NEC, Lenovo e MSH facevano parte di una strategia complessiva a lungo termine intesa a precludere ai concorrenti il mercato. Al considerando 925 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato di aver dimostrato, ai punti da VII.4.2.3 a VII.4.2.6 della suddetta decisione, che, oltre a soddisfare i requisiti definiti dalla giurisprudenza, le pratiche di Intel erano in grado di esplicare un effetto preclusivo, o potevano esplicarlo. Benché non indispensabile ai fini della prova di una violazione dell’articolo 82 CE, una possibilità di dimostrare che le pratiche di Intel erano in grado di o potevano provocare la preclusione di concorrenti consisterebbe nel procedere ad un’analisi relativa al concorrente altrettanto efficiente (v. punto VII.4.2.3 della decisione impugnata). Fondandosi sui risultati di tale analisi e sulle prove qualitative e quantitative (v. punti VII.4.2.4 e VII.4.2.5 della decisione impugnata), nonché sulla mancanza di giustificazione oggettiva e sull’assenza di efficienze (v. punto VII.4.2.6 della decisione impugnata), la Commissione ha concluso, al considerando 925 della decisione impugnata, che gli sconti condizionati concessi da Intel a Dell, HP, NEC e Lenovo nonché i pagamenti di Intel a MSH costituivano una pratica abusiva che meritava l’attenzione particolare della Commissione. |
174 |
Inoltre, occorre osservare che altre parti della decisione impugnata, e segnatamente quelle concernenti la presentazione dei prodotti di cui trattasi e del comportamento oggetto di tale decisione, ai punti V. e VI. di detta decisione, quelle concernenti la definizione del mercato, ai punti VII.1 e VII.2 di detta decisione, e la posizione dominante della ricorrente, al punto VII.3 di detta decisione, nonché le parti concernenti la qualificazione giuridica dei pagamenti di esclusiva, al punto VII.4.2.2 di detta decisione, devono essere considerate il fondamento della conclusione della Commissione secondo la quale i pagamenti di cui trattasi erano atti a restringere la concorrenza. |
175 |
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il test AEC non costituisce dunque l’unico elemento di prova presentato nella decisione impugnata per dimostrare la capacità dei pagamenti di esclusiva di restringere la concorrenza (v. punto 147 supra). |
176 |
Per quanto riguarda la valutazione della capacità degli sconti e dei pagamenti di esclusiva di cui alla presente causa di restringere la concorrenza, occorre osservare che, nell’ambito di un’analisi delle circostanze del caso di specie, la Commissione deve esaminare, in particolare alla luce dei criteri e delle modalità di concessione dei pagamenti di esclusiva, se tali sconti e tali pagamenti mirino, mediante un vantaggio che non è giustificato da alcuna prestazione economica, a togliere o a ridurre all’acquirente la possibilità di scelta per quel che concerne le sue fonti di approvvigionamento, a precludere l’accesso al mercato ai concorrenti o a rafforzare la posizione dominante mediante una concorrenza falsata (v., in tal senso, sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 73 supra, punto 71). |
177 |
Occorre precisare che, anche nell’ambito di un’analisi delle circostanze del caso di specie, la Commissione non è tenuta a dimostrare l’esistenza di un effetto concreto. La Commissione può accontentarsi di dimostrare la capacità dei comportamenti contestati di restringere la concorrenza (v. punto 103 supra). |
178 |
A tal riguardo occorre osservare che, anche qualora si dovesse ritenere che la concessione di uno sconto o di un pagamento di esclusiva da parte di un’impresa in posizione dominante non abbia di per sé la capacità di restringere la concorrenza, ciò non toglie che la concessione di un siffatto incentivo finanziario da parte di un partner commerciale irrinunciabile come la ricorrente costituisce almeno un indizio della sua capacità di restringere la concorrenza. Infatti, se concesso da un partner commerciale irrinunciabile, uno sconto di esclusiva consente a quest’ultimo di utilizzare il suo potere economico sulla quota non contendibile della domanda come leva per assicurarsi anche la quota contendibile, rendendo così più difficile per il concorrente l’accesso al mercato (v. punti 91 e 92 supra). |
179 |
Tale capacità inerente agli sconti e ai pagamenti di esclusiva di rendere più difficile l’accesso al mercato per un concorrente è confermata, nella specie, dalle constatazioni effettuate al considerando 893 della decisione impugnata, secondo le quali gli sconti per i costruttori OEM erano un elemento importante da prendere in considerazione, a causa della forte concorrenza sul mercato dei costruttori OEM e dei loro ridotti margini operativi. La ricorrente non contesta tali caratteristiche particolari del mercato nel quale operano i costruttori OEM. Orbene, l’importanza particolare degli sconti per i loro beneficiari rafforza l’incentivo per questi ultimi di rispettare le condizioni di un approvvigionamento esclusivo o quasi esclusivo e contribuisce, pertanto, alla capacità degli sconti di restringere la concorrenza. |
180 |
Inoltre, la prova che l’incentivo finanziario sia effettivamente stato preso in considerazione al momento della decisione dei suoi beneficiari di rifornirsi per la totalità o per la quasi totalità del loro fabbisogno presso l’impresa in posizione dominante o di non vendere prodotti concorrenti costituisce un elemento che conferma la capacità di tale incentivo finanziario di restringere la concorrenza. Nella presente causa, la Commissione ha dimostrato che gli sconti e i pagamenti di esclusiva accordati dalla ricorrente sono stati perlomeno un elemento che è stato preso in considerazione da Dell, HP, NEC e Lenovo nella loro decisione di rifornirsi per la totalità o per la quasi totalità del loro fabbisogno presso la ricorrente, e da MSH nella sua decisione di non vendere prodotti concorrenti (v. punti da 592 a 599, da 882 a 890, da 1027 a 1030, da 1215 a 1220 e da 1513 a 1521, infra). |
181 |
Inoltre, la capacità degli sconti e dei pagamenti di esclusiva accordati ai quattro costruttori OEM e a MSH di restringere la concorrenza è confermata, nella specie, dalle constatazioni effettuate nella decisione impugnata, secondo le quali la ricorrente ha proceduto a due diversi tipi di abuso, ossia, da un lato, gli sconti e i pagamenti di esclusiva e, dall’altro, le restrizioni allo scoperto. Come rilevato giustamente dalla Commissione ai considerando 917, 1681, in combinato disposto con la nota a piè di pagina n. 1999 (n. 1990 nella versione pubblica), e 1747 della decisione impugnata, questi due tipi di pratiche si completano e si rafforzano a vicenda. |
182 |
Peraltro, occorre rilevare che la circostanza che un’impresa in posizione dominante si adoperi per vincolare clienti importanti costituisce parimenti un indizio che può essere preso in considerazione in sede di valutazione del carattere anticoncorrenziale del suo comportamento (v., in tal senso, sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 73 supra, punto 75). Si deve osservare che, secondo la decisione impugnata, in particolare Dell e HP si distinguono da altri costruttori OEM per le loro quote di mercato più elevate, per la loro presenza forte nel segmento di mercato più redditizio e per il loro potere di legittimare un nuovo CPU x86 sul mercato. Nella decisione impugnata, la Commissione ha rilevato, al considerando 1597, che il fatto di prendere in considerazione tali imprese, le quali rivestono un’importanza strategica particolare per l’accesso al mercato, aveva un impatto sul mercato globale più significativo di quello corrispondente alle loro sole quote cumulative di mercato, circostanza che la ricorrente non ha contestato. Di conseguenza, la Commissione poteva giustamente concludere nel senso che gli sconti di esclusiva hanno riguardato costruttori OEM importanti. |
183 |
Quanto a MSH, sarà dimostrato più dettagliatamente ai punti da 1507 a 1511 infra che tale impresa rivestiva un’importanza strategica particolare nella distribuzione dei computer muniti di CPU x86 destinati ai consumatori in Europa. |
184 |
Infine, occorre rilevare che il fatto che le pratiche di cui alla decisione impugnata rientrino in una strategia complessiva intesa a bloccare l’accesso di AMD ai canali di vendita più importanti costituisce parimenti una circostanza che conferma la capacità degli sconti e dei pagamenti di esclusiva di restringere la concorrenza (v., in tal senso, sentenza della Corte Tomra, cit. al punto 73 supra, punti 19 e 20). Verrà dimostrato più in dettaglio, ai punti da 1523 a 1552 infra, che la Commissione ha dimostrato in maniera sufficiente l’esistenza di una siffatta strategia complessiva. |
185 |
In primo luogo, la ricorrente si adopera per confutare la capacità delle sue pratiche di restringere la concorrenza, facendo valere che, nel corso del periodo di riferimento, AMD ha riportato il più grande successo commerciale della propria storia, ha registrato un tasso di crescita senza pari presso i costruttori OEM che sono ritenuti essere l’oggetto di un comportamento abusivo, ha dovuto fare fronte a restrizioni della capacità di produzione che le hanno impedito di soddisfare le domande di CPU e ha aumentato i propri investimenti in materia di ricerca e di sviluppo. Inoltre, il prezzo adeguato in funzione della qualità dei CPU sarebbe diminuito del 36,1% ogni anno nel corso del periodo preso in considerazione dalla decisione impugnata. |
186 |
Tali argomenti non possono essere accolti. Qualora un’impresa in posizione dominante ponga effettivamente in essere una pratica che sia capace di restringere la concorrenza, la circostanza secondo cui tale capacità non produca effetti concreti non è sufficiente ad escludere l’applicazione dell’articolo 82 CE (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 17 dicembre 2003, British Airways/Commissione, T-219/99, Racc. pag. II-5917, punto 297; in prosieguo: la «sentenza del Tribunale British Airways»). Orbene, il fatto che AMD, nel corso del periodo preso in considerazione dalla decisione impugnata, abbia riportato un notevole successo commerciale e, di conseguenza, abbia subìto delle restrizioni di capacità, potrebbe tutt’al più dimostrare che le pratiche della ricorrente non hanno esplicato effetti concreti. Ciò non può tuttavia bastare per confutare la capacità delle pratiche attuate dalla ricorrente di restringere la concorrenza. Del resto, né l’incremento delle quote di mercato di AMD e dei suoi investimenti in materia di ricerca e di sviluppo né il ribasso del prezzo dei CPU x86 nel corso del periodo preso in considerazione dalla decisione impugnata significano che le pratiche della ricorrente siano state improduttive di effetti. È infatti legittimo ritenere che, in assenza di tali pratiche, l’aumento delle quote di mercato del concorrente e dei suoi investimenti in materia di ricerca e di sviluppo nonché il ribasso del prezzo dei CPU x86 avrebbero potuto essere più significativi (v., in tal senso, sentenza Michelin II, cit. al punto 75 supra, punto 245, e sentenza del Tribunale British Airways, cit., punto 298). Di conseguenza, non è necessario pronunciarsi sulle affermazioni della Commissione secondo le quali gli argomenti della ricorrente concernenti l’aumento delle quote di mercato di AMD e il ribasso del prezzo dei CPU x86 sono erronei in punto di fatto. |
187 |
In secondo luogo, la ricorrente non può trarre alcun argomento dal fatto che le pratiche di cui alla decisione impugnata avrebbero riguardato unicamente una quota ridotta del mercato globale dei CPU x86, ossia fra lo 0,3 e il 2% annuo. Oltre agli argomenti illustrati ai punti da 116 a 124 supra, occorre rilevare che la ricorrente si basa su un metodo di calcolo errato per pervenire alla conclusione secondo la quale le sue pratiche incidevano solo fra lo 0,3 e il 2% del mercato dei CPU x86. Infatti, tali cifre sono state calcolate prendendo in considerazione la sola quota contendibile (v. punto 92 supra) per quanto riguardava i costruttori OEM interessati e MSH, e non la quota di mercato integrale detenuta da tali imprese. |
188 |
Un tale metodo di calcolo ha per effetto la diminuzione artificiosa del risultato, in quanto la quota del mercato bloccata da uno sconto di esclusiva non si limita alla quota contendibile. Al contrario, la parte del fabbisogno di un cliente vincolata da uno sconto di esclusiva viene bloccata integralmente nei confronti dei concorrenti. |
189 |
Ne consegue che, al fine di determinare la parte del mercato colpita dal comportamento dell’impresa in posizione dominante, non è possibile limitarsi a prendere in considerazione la quota contendibile della domanda dei clienti. |
190 |
Nella specie, la quota di mercato di Dell era pari al 14,58% nel primo trimestre del 2003 ed è aumentata fino a raggiungere il 16,34% nel quarto trimestre del 2005, come emerge dal considerando 1580 della decisione impugnata. Dato che, secondo detta decisione, Intel ha accordato a Dell sconti assoggettati alla condizione che Dell si rifornisse presso la stessa per la totalità del proprio fabbisogno di CPU x86, ciò significa che, fra il 2003 e il 2005, Intel aveva già bloccato fra il 14,58 e il 16,34% del mercato tramite i soli sconti accordati a Dell. |
191 |
Tale quota del mercato deve essere considerata significativa, alla luce della circostanza che i concorrenti dell’impresa in posizione dominante hanno il diritto di beneficiare di una concorrenza basata sui meriti nella totalità del mercato e non solo in una parte di esso. |
192 |
Durante il 2006 e il 2007, la quota di mercato colpita è stata più ridotta, in quanto i comportamenti menzionati dalla Commissione nella decisione impugnata riguardavano unicamente MSH, mediante pagamenti di esclusiva, e Lenovo, mediante restrizioni allo scoperto fra il giugno 2006 e il dicembre 2006 e sconti di esclusiva durante il 2007. |
193 |
A tal riguardo, occorre rilevare che la Commissione ha concluso a buon diritto nel senso dell’esistenza di un’infrazione unica e continuata, come verrà illustrato più dettagliatamente ai punti da 1561 a 1563 infra. In presenza di un’infrazione unica e continuata, non si può esigere che, per la totalità del periodo coperto, una parte significativa del mercato sia stata interessata dal comportamento di cui trattasi. A tal riguardo è sufficiente effettuare un’analisi globale della media della parte del mercato che è stata bloccata (v., in tal senso, sentenza del Tribunale Tomra, cit. al punto 72 supra, punto 243). |
194 |
Nella specie, la relazione di un esperto fornita dalla ricorrente in allegato alla replica e recante il riferimento C.1 indica, al punto 48, che la quota del mercato globale interessata dal comportamento menzionato nella decisione impugnata era pari, in media, al 14% circa nel corso della durata complessiva dell’infrazione considerata dalla Commissione, se il calcolo non è limitato alla sola quota contendibile della domanda dei clienti di cui trattasi. Occorre rilevare che una tale quota deve essere ritenuta significativa. |
195 |
Per quanto riguarda, poi, l’argomento della ricorrente secondo il quale i suoi contratti di fornitura avevano unicamente una durata breve o potevano essere risolti entro un termine di 30 giorni, si deve constatare che il criterio rilevante non è la durata del termine di risoluzione di un contratto o la durata determinata di un contratto individuale che si inserisce in una serie di contratti consecutivi, bensì la durata totale durante la quale la ricorrente applica sconti e pagamenti di esclusiva nei confronti di un cliente (v. punti 112 e 113 supra). Tale durata era pari, nella specie, a circa cinque anni per quanto riguardava MSH, a circa tre anni per quanto riguardava Dell e NEC, a più di due anni per quanto riguardava HP e a circa un anno per quanto riguardava Lenovo. La concessione di sconti e di pagamenti di esclusiva durante tali periodi è generalmente atta a restringere la concorrenza. Ciò vale a maggior ragione su un mercato come quello dei CPU, caratterizzato da un forte dinamismo e da cicli di vita brevi dei prodotti. |
196 |
Infine, per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente concernenti l’assenza di obblighi di esclusiva formali, il potere di acquisto dei costruttori OEM e la rilevanza del test AEC ai fini della valutazione dei pagamenti di esclusiva, occorre richiamare rispettivamente i punti 106, 138 e 139 nonché i punti da 140 a 166 supra. |
197 |
Pertanto, sulla base delle considerazioni che precedono, è legittimo concludere nel senso che, nella decisione impugnata, la Commissione ha dimostrato in maniera sufficiente e sulla scorta di un’analisi delle circostanze del caso di specie che gli sconti e i pagamenti di esclusiva concessi dalla ricorrente a Dell, HP, NEC, Lenovo e MSH erano atti a restringere la concorrenza. |
3. Sulla qualificazione giuridica delle pratiche denominate «restrizioni allo scoperto»
198 |
Nella decisione impugnata, la Commissione ha qualificato come abuso tre pratiche da essa denominate «restrizioni allo scoperto». A suo avviso, queste tre pratiche presentavano una caratteristica comune, ossia il fatto che la ricorrente avrebbe concesso pagamenti ai costruttori OEM affinché essi ritardassero, annullassero o limitassero, in un modo o in un altro, la commercializzazione di taluni prodotti muniti di CPU AMD. Più specificamente, la concessione dei pagamenti era soggetta alle seguenti condizioni:
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199 |
Al fine di motivare la qualificazione come abusive delle restrizioni allo scoperto, la Commissione si è fondata, ai considerando 1643 e 1671 della decisione impugnata, sulla sentenza del Tribunale del 7 ottobre 1999, Irish Sugar/Commissione (T-228/97, Racc. pag. II-2969; in prosieguo: la «sentenza Irish Sugar»). Inoltre, essa ha constatato, al considerando 1643, che una violazione dell’articolo 82 CE poteva parimenti risultare dall’oggetto delle pratiche perseguito da un’impresa in posizione dominante. Ancora, la Commissione ha esposto, ai considerando 1670, 1672, 1678 e 1679 della decisione impugnata, che le restrizioni allo scoperto avevano avuto un effetto sul processo decisionale dei costruttori OEM, in quanto questi ultimi avevano ritardato, annullato o limitato, in un modo o in un altro, la commercializzazione dei loro computer muniti di CPU AMD, nonostante la domanda di tali prodotti da parte dei consumatori. Infine, al considerando 1642 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che le restrizioni si inserivano in una strategia unica intesa a precludere a AMD il mercato. |
200 |
La ricorrente fa valere, in primo luogo, che la Commissione è tenuta a dimostrare la capacità delle pratiche di restringere la concorrenza «in termini economici». In secondo luogo, le pratiche di cui al caso di specie sarebbero distinte da quelle che hanno dato luogo alla sentenza Irish Sugar, citata al punto 199 supra. In terzo luogo, la Commissione, condannando le restrizioni allo scoperto, avrebbe a torto creato un nuovo tipo di abuso rientrante nell’ambito dell’articolo 82 CE. |
201 |
Anzitutto, occorre rammentare che un effetto preclusivo si produce non solo qualora l’accesso al mercato venga reso impossibile per i concorrenti, bensì anche qualora tale accesso sia reso più difficile (v. punto 88 supra). |
202 |
Nella specie, la concessione di pagamenti soggetti alle tre condizioni menzionate al punto 198 supra poteva rendere più difficile l’accesso di AMD al mercato. Infatti, la concessione di pagamenti assoggettati alla prima di queste condizioni era idonea a rendere più difficile la commercializzazione di prodotti AMD, dal momento che essa ha indotto HP a non offrire in maniera proattiva computer aziendali fissi muniti di CPU x86 di AMD ad un gruppo predefinito di clienti. La concessione di pagamenti assoggettati alla seconda di tali condizioni poteva rendere più difficile la commercializzazione di prodotti AMD, dal momento che essa ha indotto HP a non vendere computer aziendali fissi muniti di CPU x86 di AMD tramite i suoi partner di distribuzione, a meno che questi ultimi non operassero in qualità di agenti commerciali. Infine, la concessione di pagamenti assoggettati alla terza di tali condizioni era idonea a rendere più difficile la commercializzazione di prodotti AMD, in quanto essa ha indotto HP, Lenovo e Acer ad astenersi dal vendere un determinato tipo di computer munito di CPU x86 di AMD, e ciò almeno per un certo periodo e, nel caso di HP, in una certa area geografica, ossia l’area Europa, Medio Oriente e Africa (in prosieguo: l’«area EMOA»). Il comportamento della ricorrente, consistente nell’assoggettare la concessione di pagamenti alle suddette condizioni, era pertanto idoneo a rendere più difficile la commercializzazione di computer muniti di CPU x86 di AMD per i costruttori OEM interessati. Dato che tali costruttori OEM erano clienti di AMD, il comportamento era al contempo idoneo a rendere più difficile l’accesso di AMD al mercato, compromettendo in tal modo la struttura concorrenziale del mercato dei CPU x86 dove, tenuto conto proprio della posizione della ricorrente, il livello della concorrenza era già indebolito. |
203 |
Inoltre, occorre sottolineare che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 82 CE, la prova in merito all’oggetto e quella relativa all’effetto anticoncorrenziale possono, eventualmente, confondersi. Se si dimostra che il comportamento di un’impresa in posizione dominante ha come oggetto quello di restringere la concorrenza, detto comportamento sarà anche idoneo a produrre un effetto di tal genere (v. sentenza del Tribunale del 30 gennaio 2007, France Télécom/Commissione, T-340/03, Racc. pag. II-107, punto 195 e giurisprudenza ivi citata). |
204 |
Ciò si verifica nel caso di specie. Infatti, la portata delle tre condizioni illustrate al punto 198 supra era limitata ai prodotti AMD, cosicché tale impresa deve essere considerata l’obiettivo concreto delle pratiche della ricorrente. Orbene, l’unico interesse che può avere un’impresa in posizione dominante ad impedire in maniera mirata la commercializzazione di prodotti muniti di un prodotto di un determinato concorrente è quello di nuocere a tale concorrente. Di conseguenza, attuando restrizioni allo scoperto nei confronti di HP, Lenovo e Acer, la ricorrente ha perseguito un oggetto anticoncorrenziale. |
205 |
Infine, occorre sottolineare che incombe ad un’impresa in posizione dominante una responsabilità particolare di non compromettere, con un comportamento estraneo alla concorrenza basata sui meriti, lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato comune (v., in tal senso, sentenza AstraZeneca, cit. al punto 64 supra, punto 355 e giurisprudenza ivi citata). Orbene, il fatto di concedere pagamenti a taluni clienti come contropartita di restrizioni imposte alla commercializzazione di prodotti muniti di un prodotto di un determinato concorrente non rientra manifestamente in una concorrenza basata sui meriti. |
206 |
Pertanto, è legittimo concludere che l’attuazione di ciascuna delle pratiche denominate «restrizioni allo scoperto» costituiva un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 82 CE. |
207 |
Tale conclusione è parimenti confermata dalla sentenza Irish Sugar, citata al punto 199 supra. Ai punti 226 e 233 di tale sentenza, il Tribunale ha concluso nel senso dell’esistenza di un abuso, in quanto l’impresa dominante aveva concordato con un grossista e un dettagliante lo scambio di prodotti di zucchero al dettaglio concorrenti contro una confezione di zucchero di sua produzione. Il Tribunale ha rilevato che la ricorrente aveva recato pregiudizio alla struttura concorrenziale che il mercato di cui trattasi avrebbe potuto acquisire mediante l’ingresso di un nuovo prodotto, procedendo allo scambio dei prodotti concorrenti su un mercato nel quale essa deteneva oltre l’80% del volume delle vendite. Il ragionamento sotteso a tale sentenza è parimenti applicabile al caso di specie. Infatti, una restrizione alla commercializzazione, la quale interessi i prodotti di un concorrente reca pregiudizio alla struttura della concorrenza, in quanto ostacola in maniera mirata l’immissione sul mercato di prodotti di tale concorrente. |
208 |
Gli argomenti della ricorrente non possono rimettere in discussione tale conclusione. |
209 |
In primo luogo, occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione è tenuta a dimostrare la capacità di restringere la concorrenza «in termini economici». A tal riguardo occorre rilevare che la ricorrente non precisa neanche cosa essa intenda per «termini economici». Poiché le tre pratiche denominate «restrizioni allo scoperto» non rientrano manifestamente nell’ambito di una concorrenza basata sui meriti (v. punto 205 supra), la Commissione non era tenuta a dimostrare più dettagliatamente la loro capacità di restringere la concorrenza. Inoltre, occorre osservare che, fondandosi sulla sentenza Irish Sugar, citata al punto 199 supra, e sull’oggetto anticoncorrenziale delle pratiche, la Commissione ne ha illustrato a sufficienza il carattere abusivo. |
210 |
A tal riguardo, occorre parimenti respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione era tenuta a dimostrare la possibilità o la probabilità di una preclusione della concorrenza, piuttosto che fare riferimento all’oggetto anticoncorrenziale delle pratiche. Poiché, nella specie, l’oggetto anticoncorrenziale si confonde con l’effetto potenziale delle pratiche denominate «restrizioni allo scoperto» (v. punti 203 e 204 supra), si deve ritenere che la Commissione, basandosi sul loro oggetto anticoncorrenziale, non sia incorsa in un errore. |
211 |
Inoltre, occorre osservare che, nella decisione impugnata, la Commissione non si è fondata unicamente sull’oggetto anticoncorrenziale delle tre restrizioni allo scoperto. Oltre a richiamare la sentenza Irish Sugar, citata al punto 199 supra, essa si è basata su circostanze supplementari che confermano la capacità delle restrizioni allo scoperto di restringere la concorrenza, benché la menzione di tali circostanze non sia indispensabile per qualificarle come abusive ai sensi dell’articolo 82 CE. |
212 |
In primo luogo, la Commissione ha dimostrato in maniera sufficiente che i pagamenti soggetti alle condizioni illustrate al punto 198 supra erano stati un fattore preso in considerazione da HP (v. punti da 882 a 890 infra), Lenovo (v. punti da 1215 a 1220 infra) e Acer (v. punti da 1367 a 1369 infra) nelle loro decisioni di ritardare, annullare o limitare in altra maniera la commercializzazione dei loro computer muniti di CPU AMD. Tale fatto conferma la capacità di tali pagamenti di restringere la concorrenza. In tale ambito, occorre sottolineare che la qualificazione come abusiva di una restrizione allo scoperto dipende unicamente dalla capacità di restringere la concorrenza, cosicché essa non esige la dimostrazione né di un effetto concreto sul mercato né di un nesso di causalità (v., per quanto attiene agli sconti di esclusiva, punti 103 e 104 supra). |
213 |
In secondo luogo, la Commissione ha dimostrato che le restrizioni allo scoperto facevano parte di una strategia complessiva a lungo termine intesa a bloccare l’accesso di AMD ai canali di vendita più importanti dal punto di vista strategico (v. punti da 1523 a 1552 infra). |
214 |
Infine, nei limiti in cui la ricorrente deduce, ai punti da 307 a 311 del ricorso, che i pagamenti concernenti la restrizione allo scoperto attuata nei confronti di Lenovo ottengono un risultato positivo al test AEC, occorre constatare che il test AEC non costituisce uno strumento idoneo a confutare il carattere anticoncorrenziale di una restrizione allo scoperto. Ammesso che la ricorrente riesca a dimostrare che la restrizione allo scoperto applicata nei confronti di Lenovo otterrebbe un risultato positivo al test AEC, ciò non priverebbe tale pratica né del suo oggetto anticoncorrenziale né della sua capacità di rendere più difficile l’accesso al mercato per il concorrente. |
215 |
In secondo luogo, occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale le restrizioni allo scoperto di cui alla decisione impugnata sono troppo diverse dalla pratica constatata nella causa sfociata nella sentenza Irish Sugar, citata al punto 199 supra, perché la Commissione possa qualificarle come abusive. Infatti, le differenze invocate dalla ricorrente fra la causa Irish Sugar e la presente causa sono prive di rilevanza sotto il profilo giuridico. |
216 |
Anzitutto, se è vero che la sentenza Irish Sugar, citata al punto 199 supra, verte sull’ingresso di un nuovo prodotto di una nuova impresa sul mercato, ciò non toglie che l’articolo 82 CE vieta in generale le pratiche abusive idonee a limitare gli sbocchi, che venga impedita l’immissione in commercio di nuovi prodotti di una nuova impresa oppure che vengano svantaggiati prodotti esistenti di un concorrente consolidato. Nella presente causa, anche se AMD doveva essere considerata un concorrente già consolidato e anche se i prodotti colpiti dalle restrizioni allo scoperto non potevano essere qualificati come nuovi, tali circostanze non inciderebbero sulla capacità delle pratiche di rendere più difficile l’accesso di AMD al mercato. Esse non rimetterebbero neanche in discussione il modo in cui le pratiche di cui trattasi interessavano in maniera specifica AMD. Né la capacità di rendere più difficile l’accesso di AMD al mercato né l’oggetto anticoncorrenziale delle restrizioni allo scoperto dipendono dalla questione se tali restrizioni riguardino un nuovo prodotto di una nuova impresa sul mercato. |
217 |
Inoltre, nella parte in cui la ricorrente fa valere che, nella sentenza Irish Sugar, citata al punto 199 supra, il Tribunale si è basato su minacce finanziarie esplicite, occorre rilevare che il fatto che la ricorrente ha fatto sapere ai costruttori OEM che essi rischiavano di perdere sconti preferenziali, nel caso di HP e di Acer, oppure che essa si sarebbe rifiutata di aumentare il finanziamento, nel caso di Lenovo, in caso di violazione delle condizioni anticoncorrenziali illustrate al punto 198 supra, è sufficiente per concludere che gli annunci della ricorrente erano tali da indurre i costruttori OEM di cui trattasi a rispettare tali condizioni. |
218 |
Infine, la ricorrente sostiene che la causa sfociata nella sentenza Irish Sugar, citata al punto 199 supra, si distingue dal caso di specie in quanto, in quest’ultimo, AMD non sarebbe stata costretta ad abbandonare il mercato e avrebbe addirittura aumentato la propria quota di mercato. Il fatto che AMD non abbia avuto più successo era dovuto, secondo la ricorrente, a suoi propri limiti. Orbene, la questione se le restrizioni allo scoperto attuate dalla ricorrente avessero la capacità di restringere la concorrenza non dipende dall’effettiva preclusione di AMD. Infatti, al fine di dimostrare tale capacità, la dimostrazione di un effetto concreto sul mercato non è necessaria (v. punto 212 supra). Inoltre, occorre osservare che i diversi canali di commercializzazione interessati dalle restrizioni allo scoperto erano bloccati per i CPU AMD nei periodi di cui trattasi. Per il resto, nella parte in cui la ricorrente invoca il successo commerciale di AMD, nonché i limiti commerciali di tale impresa, il suo argomento deve essere respinto per i motivi illustrati al punto 186 supra. |
219 |
In terzo luogo, deve essere respinto l’argomento della ricorrente secondo il quale l’impiego della nozione di «restrizione allo scoperto» costituisce un nuovo tipo di abuso. È giocoforza constatare che la qualificazione giuridica di una pratica in materia di abuso non dipende dalla sua denominazione, ma dai criteri sostanziali accolti a tal riguardo. In tal senso, il mero impiego della nozione di «restrizione allo scoperto» non può bastare a concludere nel senso che i criteri sostanziali accolti sono nuovi. Per quanto attiene ai criteri sostanziali applicati nella specie, si evince dal testo dell’articolo 82, comma 2, lettera b), CE che la limitazione degli sbocchi costituisce un abuso. Inoltre, non è una novità, nel diritto della concorrenza, che una pratica che non rientra manifestamente nell’ambito di una concorrenza fondata sui meriti venga considerata illegittima (v., in tal senso, sentenza Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 91, e sentenza della Corte del 3 luglio 1991, AKZO/Commissione, C-62/86, Racc. pag. I-3359, punto 70). |
220 |
Infine, anche se la qualificazione come abusive delle pratiche di cui trattasi fosse effettivamente «nuova», ciò non rimetterebbe in discussione la facoltà della Commissione di vietarle. Infatti, anche nell’ambito del calcolo delle ammende, il Tribunale ha già rilevato che il fatto che un comportamento avente le medesime caratteristiche non sia stato ancora esaminato in precedenti decisioni non esenta l’impresa dalla sua responsabilità (v., in tal senso, sentenze Michelin I, cit. al punto 74 supra, punto 107, e AstraZeneca, cit. al punto 64 supra, punto 901). |
B – Sulla competenza della Commissione
1. Argomenti delle parti
221 |
La ricorrente, sostenuta dall’ACT, rileva che l’ambito di applicazione ratione loci degli articoli 81 CE e 82 CE non è illimitato e che, pertanto, per potersi dichiarare competente al fine di valutare un comportamento adottato al di fuori dell’Unione, la Commissione dovrebbe dimostrare un nesso di causalità diretto con il territorio dell’Unione, fornendo prove solide dell’effetto sostanziale esplicato dall’effettiva attuazione di tali pratiche sulla concorrenza in seno all’Unione. Sarebbe parimenti dimostrato che, in presenza di scambi commerciali con paesi terzi, e ciò anche qualora l’attuazione delle pratiche di cui trattasi avvenga all’interno dell’Unione, la Commissione deve altresì dimostrare che i loro effetti nell’Unione sono immediati, sostanziali, diretti e prevedibili. |
222 |
La ricorrente fa valere, a titolo di esempio, che la decisione impugnata, contestando l’accordo concluso con Lenovo nel secondo semestre del 2006 in relazione ad un computer portatile destinato al mercato interno cinese, non soddisfa i criteri illustrati al punto precedente. |
223 |
Anche se fosse corretto l’approccio della Commissione secondo il quale, per quanto riguarda gli sconti e le restrizioni allo scoperto di cui trattasi, essa potrebbe dimostrare un abuso di posizione dominante senza dimostrare gli effetti di tali pratiche, la Commissione, al fine di stabilire la propria competenza, sarebbe cionondimeno tenuta a dimostrare l’esistenza di un effetto delle medesime nell’Unione. Infatti, la questione della competenza territoriale sarebbe una questione separata e distinta, risultante dal diritto internazionale pubblico. |
224 |
Nella fase scritta del procedimento, la ricorrente ha fatto valere che, per quanto attiene all’insieme degli accordi che coinvolgono enti situati al di fuori dell’Unione, nella specie Dell, HP, NEC, Acer e Lenovo, la decisione impugnata non stabiliva la competenza della Commissione. |
225 |
In udienza, la ricorrente ha dichiarato di limitare tale motivo ai soli comportamenti adottati nei confronti di Acer e di Lenovo, circostanza della quale è stato preso atto nel verbale di udienza. |
226 |
Per quanto riguarda Acer e Lenovo, la ricorrente ha sottolineato che i loro impianti di produzione si trovavano al di fuori del SEE e che esse non acquistavano CPU nel SEE né presso Intel né presso AMD. Il comportamento di cui trattasi avrebbe riguardato le vendite di CPU a clienti situati in Asia, ossia a Taiwan nel caso di Acer e in Cina nel caso di Lenovo, e la sua attuazione sarebbe avvenuta in Asia. La circostanza che un certo numero di computer di Acer e di Lenovo abbiano poi potuto essere venduti all’interno del SEE non rileverebbe con riferimento alla questione della realizzazione del comportamento contestato. |
227 |
Dal momento che il comportamento assunto da Intel nei confronti di Acer e Lenovo avrebbe riguardato le vendite di CPU in Asia, gli effetti immediati di tale comportamento verrebbero risentiti in Asia e non nel SEE. Le uniche vendite di computer che avrebbero potuto interessare il SEE sarebbero effettuate da parti terze, ossia Acer e Lenovo, che non sarebbero controllate da Intel. |
228 |
Il volume di computer interessato sarebbe stato estremamente ridotto e l’effetto nel SEE non potrebbe essere considerato sostanziale. |
229 |
In udienza, la ricorrente ha parimenti fatto valere che il comportamento in questione non poteva pregiudicare il commercio fra gli Stati membri. |
230 |
La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente e dell’ACT. |
2. Giudizio del Tribunale
a) Osservazioni preliminari
231 |
Anzitutto, occorre sottolineare che, nella giurisprudenza della Corte e del Tribunale, vengono seguiti due approcci per dimostrare che la competenza della Commissione era giustificata sotto il profilo delle norme del diritto internazionale pubblico. |
232 |
Il primo approccio si fonda sul principio di territorialità. Tale approccio è stato seguito nella sentenza della Corte del 27 settembre 1988, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione (89/85, 104/85, 114/85, 116/85, 117/85 e da 125/85 a 129/85, Racc. pag. 5193; in prosieguo: la «sentenza Pasta di legno»). Al punto 16 di tale sentenza, la Corte ha rilevato che occorreva distinguere due atti, vale a dire la formazione dell’intesa e la sua messa in pratica. Subordinare l’applicazione dei divieti posti dal diritto sulla concorrenza al luogo di formazione dell’intesa si risolverebbe chiaramente nel fornire alle imprese un facile mezzo per sottrarsi a detti divieti. La Corte ha dunque rilevato che quello che contava era il luogo in cui l’intesa veniva posta in atto. |
233 |
Il secondo approccio si fonda sugli effetti qualificati delle pratiche nell’Unione. Tale approccio è stato seguito nella sentenza del Tribunale del 25 marzo 1999, Gencor/Commissione (T-102/96, Racc. pag. II-753; in prosieguo: la «sentenza Gencor»). Al punto 90 di tale sentenza, il Tribunale rileva che, qualora sia prevedibile che una progettata concentrazione produca un effetto immediato e sostanziale nell’Unione, l’applicazione del regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio del 21 dicembre 1989, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (GU L 395, pag. 1), come rettificato (GU 1990, L 257, pag. 13), è giustificata sotto il profilo del diritto internazionale pubblico. |
234 |
Sostenendo che, in presenza di scambi commerciali con paesi terzi, anche qualora la realizzazione delle pratiche di cui trattasi avvenga all’interno dell’Unione, la Commissione deve altresì dimostrare l’esistenza di effetti immediati, sostanziali, diretti e prevedibili nell’Unione, il ragionamento della ricorrente equivale ad affermare che la realizzazione e gli effetti qualificati nell’Unione sono condizioni cumulative. |
235 |
La Commissione ha sottolineato, in udienza, che, nella specie, la sua competenza era giustificata, da un lato, in forza della teoria dell’attuazione delle pratiche di cui trattasi nel SEE, seguita nella sentenza Pasta di legno, citata al punto 232 supra, e, dall’altro, in virtù della teoria degli effetti, seguita nella sentenza Gencor, citata al punto 233 supra. |
236 |
A tal riguardo occorre rilevare che il fatto di dimostrare l’attuazione delle pratiche di cui trattasi nel SEE o il fatto di dimostrare effetti qualificati sono approcci alternativi e non cumulativi al fine di provare che la competenza della Commissione è giustificata sotto il profilo delle norme del diritto internazionale pubblico. |
237 |
Infatti, nella sentenza Pasta di legno, citata al punto 232 supra, la Corte si è unicamente basata sulla realizzazione del comportamento di cui trattasi nel territorio dell’Unione. |
238 |
La ricorrente non può trarre alcun argomento dal fatto che l’avvocato generale Darmon ha indicato, nelle conclusioni presentate in relazione alla sentenza Pasta di legno, citata al punto 232 supra (Racc. pag. 5214, paragrafo 82), che sarebbe compito della Corte, «per stabilire se la Commissione abbia con ragione esercitato la propria competenza nei confronti delle ricorrenti, accertare se gli effetti del comportamento che essa allega fossero sostanziali, diretti e prevedibili». Infatti, l’avvocato generale ha proposto alla Corte di fondarsi sugli effetti del comportamento di cui trattasi nel territorio dell’Unione per accertare la competenza della Commissione. La Corte non ha seguito la proposta dell’avvocato generale e si è fondata sull’attuazione dell’intesa nell’Unione. Risulta in tal senso dalla sentenza della Corte in tale causa che, qualora la competenza della Commissione possa essere accertata sulla base della realizzazione del comportamento di cui trattasi nell’Unione, non è necessario esaminare l’esistenza degli effetti per stabilire tale competenza. |
239 |
La ricorrente si basa, in tale ambito, anche sulla sentenza Gencor, citata al punto 233 supra. |
240 |
Tuttavia, nella sentenza Gencor, citata al punto 233 supra (punti da 89 a 101), il Tribunale si è unicamente fondato sugli effetti qualificati per dimostrare che la competenza della Commissione era giustificata sotto il profilo delle norme del diritto internazionale pubblico. |
241 |
È ben vero che, al punto 87 di tale sentenza, il Tribunale ha rammentato che, secondo la sentenza Pasta di legno, citata al punto 232 supra, il criterio dell’attuazione dell’intesa veniva soddisfatto con la semplice vendita nell’Unione. Cionondimeno, detto punto 87 si inserisce nel ragionamento del Tribunale con il quale quest’ultimo ha rilevato che il regolamento n. 4064/89 non privilegiava, ai fini della delimitazione del suo ambito di applicazione territoriale, le attività di produzione rispetto alle attività di vendita (sentenza Gencor, cit. al punto 233 supra, punti da 85 a 88). In tale contesto, il Tribunale ha respinto un argomento della ricorrente tratto dalla sentenza Pasta di legno, citata al punto 232 supra, rilevando che, secondo tale sentenza, il criterio dell’attuazione dell’intesa veniva soddisfatto da semplici vendite. Il Tribunale ha pertanto respinto l’argomento della ricorrente secondo il quale risulterebbe dalla sentenza Pasta di legno, citata al punto 232 supra, che le attività di produzione verrebbero privilegiate rispetto alle attività di vendita. |
242 |
Il Tribunale ha poi verificato, nella sentenza Gencor, citata al punto 233 supra (punti da 89 a 101), se l’applicazione del regolamento n. 4064/89 in tale causa fosse conforme al diritto internazionale pubblico. In tale contesto, il Tribunale si è limitato ad esaminare se i criteri dell’effetto immediato, sostanziale e prevedibile fossero soddisfatti. |
243 |
Si evince pertanto dalla sentenza Gencor, citata al punto 233 supra, che, per giustificare la competenza della Commissione secondo le norme del diritto internazionale pubblico, è sufficiente che i criteri dell’effetto immediato, sostanziale e prevedibile nell’Unione siano soddisfatti. |
244 |
Risulta da quanto precede che, per giustificare la competenza della Commissione sotto il profilo del diritto internazionale pubblico, è sufficiente dimostrare o gli effetti qualificati della pratica o la sua attuazione nell’Unione. |
245 |
Inoltre, occorre rilevare che, nella decisione impugnata, la Commissione non tratta esplicitamente la questione se la competenza della Commissione sia giustificata sotto il profilo delle norme del diritto internazionale pubblico. A tal riguardo, la Commissione sottolinea di aver trattato, ai considerando da 1749 a 1753 della decisione impugnata, la questione del pregiudizio per il commercio fra gli Stati membri. |
246 |
Inoltre, la Commissione sottolinea, senza essere contraddetta sul punto dalla ricorrente, che, nel procedimento amministrativo, la ricorrente non ha mai rimesso in discussione la competenza internazionale della Commissione. |
247 |
In tale ambito, occorre sottolineare che il testo dell’articolo 82 CE contiene due elementi relativi ad un collegamento con il territorio dell’Unione. In primo luogo, l’articolo 82 CE esige l’esistenza di una posizione dominante «sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo». In secondo luogo, esso esige che il comportamento di cui trattasi possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri. Nella decisione impugnata, la Commissione ha constatato l’esistenza di una posizione dominante della ricorrente a livello mondiale, il che include il mercato comune. Inoltre, ai considerando da 1749 a 1753 della suddetta decisione, essa ha esaminato in maniera esplicita il pregiudizio del commercio fra Stati membri. |
248 |
È vero che la questione se la competenza della Commissione sia giustificata sotto il profilo del diritto internazionale pubblico costituisce una questione distinta da quella dei criteri previsti dall’articolo 82 CE. A tal riguardo, occorre rilevare che il criterio del pregiudizio del commercio fra gli Stati membri è inteso a delimitare la sfera di applicazione delle norme comunitarie in rapporto alle leggi nazionali (v., in tal senso, sentenza della Corte del 6 marzo 1974, Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/Commissione, 6/73 e 7/73, Racc. pag. 223, punto 31). |
249 |
Cionondimeno, alla luce del fatto, da un lato, che la Commissione si è pronunciata, nella decisione impugnata, sui due criteri previsti dall’articolo 82 CE e che riguardano un collegamento con il territorio dell’Unione e, dall’altro, che la ricorrente non ha rimesso in discussione, nel procedimento amministrativo, la competenza internazionale della Commissione, quest’ultima poteva prescindere dal fornire, nella decisione impugnata, una motivazione esplicita con riferimento a tale questione (v. parimenti, per quanto riguarda l’obbligo di motivare la competenza della Commissione, sentenza della Corte del 14 luglio 1972, Imperial Chemical Industries/Commissione, 48/69, Racc. pag. 619, punti da 143 a 145). La ricorrente ha peraltro precisato, in udienza, che il suo motivo non verteva su un’assenza di motivazione, circostanza della quale è stato preso atto nel verbale di udienza. |
b) Sugli effetti qualificati
1) Osservazioni preliminari
250 |
La ricorrente fa valere che la mancata verifica, da parte della Commissione, dell’esistenza di effetti sostanziali, diretti e prevedibili nell’Unione è particolarmente grave allorché la Commissione dichiara, al considerando 1685 della decisione impugnata, di non essere tenuta a «dimostrare gli effetti concreti di un abuso ai sensi dell’articolo 82 [CE]». |
251 |
A tal riguardo, occorre sottolineare che la Commissione non è obbligata a dimostrare l’esistenza di effetti concreti al fine di giustificare la propria competenza sotto il profilo del diritto internazionale pubblico. I criteri dell’effetto immediato, sostanziale e prevedibile non significano che l’effetto debba anche essere concreto. Infatti, incombe alla Commissione assicurare la protezione della concorrenza all’interno del mercato comune contro le minacce al suo funzionamento effettivo. |
252 |
In tali circostanze, non si può ritenere che la Commissione debba limitarsi a perseguire e a sanzionare comportamenti abusivi che hanno raggiunto l’obiettivo atteso e in relazione ai quali la minaccia nei confronti del funzionamento della concorrenza si è realizzata. La Commissione non può essere condannata ad una posizione passiva nel caso in cui esista una minaccia gravante sulla struttura della concorrenza effettiva nel mercato comune, e può dunque intervenire parimenti in casi in cui la minaccia non si è realizzata o non lo si è ancora. |
253 |
A ciò si aggiunge il fatto che, nella specie, il comportamento nei confronti di Acer e Lenovo era destinato ad esplicare effetti all’interno del mercato comune. |
254 |
Infatti, il comportamento assunto nei confronti di Acer è consistito nell’accordare pagamenti a condizione che Acer ritardasse il lancio di un computer portatile munito di un CPU AMD nel mondo intero. Un tale incentivo finanziario mirava a che, per un certo periodo, un certo modello di computer di Acer non fosse disponibile sul mercato in nessuna parte del mondo, compreso il SEE. |
255 |
Il comportamento assunto nei confronti di Lenovo è consistito, da un lato, nell’accordare allo stesso pagamenti a condizione che questi ritardasse e alla fine annullasse il lancio dei suoi computer portatili muniti di CPU x86 di AMD. Tale comportamento mirava dunque a che taluni modelli di computer di Lenovo muniti di CPU AMD non fossero disponibili in nessuna parte del mondo, compreso il SEE. Dall’altro, il comportamento assunto nei confronti di Lenovo è consistito nell’accordare sconti il cui livello era subordinato alla condizione che Lenovo acquistasse la totalità dei CPU x86 destinati ai suoi computer portatili presso Intel. Tale comportamento mirava a che nessun computer portatile di Lenovo munito di un CPU AMD fosse disponibile sul mercato, compreso il SEE. Il comportamento di Intel era dunque inteso ad esplicare effetti anche nel SEE. In tali circostanze, la questione se la ricorrente abbia raggiunto il risultato atteso non rileva nell’ambito dell’esame della giustificazione della competenza della Commissione sotto il profilo del diritto internazionale pubblico. |
256 |
Inoltre, occorre rilevare che la ricorrente stessa si fonda sulla sentenza del Tribunale del 27 settembre 2006, Haladjian Frères/Commissione (T-204/03, Racc. pag. II-3779), e segnatamente sul suo punto 167, nel quale il Tribunale ha rilevato quanto segue: «[P]er giustificare l’applicazione delle regole di concorrenza ad un accordo riguardante prodotti acquistati negli Stati Uniti per essere venduti nella Comunità, tale accordo deve, sulla base di un insieme di elementi di fatto e di diritto, permettere di prevedere con un grado di probabilità sufficiente che esso possa esercitare un’influenza più che insignificante sulla concorrenza nella Comunità e sul commercio tra Stati membri (v., in tal senso, sentenza [della Corte del 28 aprile 1998,] Javico, [C-306/96, Racc. pag. I-1983], punti 16 e 18). Il semplice fatto che un comportamento produca determinati effetti, quali che essi siano, sull’economia della Comunità non costituisce in sé un nesso sufficientemente stretto per permettere di fondare la competenza comunitaria. Per potere essere preso in considerazione è necessario che tale effetto sia sostanziale, cioè sensibile e non trascurabile». |
257 |
Tale sentenza non esige dunque l’esistenza di effetti concreti sulla concorrenza nell’Unione, ma unicamente che sia sufficientemente probabile che l’accordo di cui trattasi possa ivi esercitare un’influenza più che insignificante. In tale ambito, occorre rilevare che tale considerazione non riguardava esplicitamente la questione della giustificazione della competenza della Commissione sotto il profilo del diritto internazionale pubblico, bensì che essa è stata effettuata nell’ambito dell’esame della questione se i criteri previsti all’articolo 81 CE fossero soddisfatti. Cionondimeno, tale sentenza invocata dalla ricorrente costituisce un elemento che conferma la circostanza che gli effetti di un comportamento sulla concorrenza non devono necessariamente essere concreti per instaurare un vincolo sufficientemente stretto con l’Unione, idoneo a dar fondamento alla competenza della Commissione. |
258 |
Occorre dunque verificare se i tre criteri dell’effetto sostanziale, immediato e prevedibile siano soddisfatti nel caso di specie. |
2) Acer
2.1) Effetto sostanziale
259 |
La ricorrente fa valere che il rinvio menzionato dalla Commissione nella decisione riguardava un modello di computer portatile munito di un CPU AMD a tecnologia 64 bit. Essa sottolinea che, nel quarto trimestre del 2003, soltanto 100000 CPU di tale tipo erano disponibili su scala mondiale. A suo avviso, Acer avrebbe potuto acquistarne al massimo 4000 unità circa, e la maggior parte dei computer di Acer interessati dal ritardo del lancio sarebbero in ogni caso stati venduti al di fuori del SEE. Gli effetti nel SEE non avrebbero dunque potuto in ogni caso essere sostanziali. |
260 |
La Commissione contesta la cifra di 4000 unità. Cionondimeno, essa ha ammesso in udienza che la quantità di computer interessati era modesta. Essa ha tuttavia sottolineato in tale udienza che, in presenza di una strategia complessiva intesa ad escludere l’unico concorrente importante di Intel e di un’infrazione unica e continuata, gli effetti dei diversi comportamenti non dovevano essere considerati in maniera isolata. |
261 |
Quanto al carattere sostanziale degli effetti, occorre sottolineare, anzitutto, che non è necessario che l’Unione o il SEE siano più interessati rispetto ad altre regioni del mondo (v., in tal senso, sentenza Gencor, cit. al punto 233 supra, punto 98). |
262 |
Inoltre, il SEE costituisce una parte importante del mercato mondiale. A titolo illustrativo, occorre rilevare che, secondo il considerando 1775 della decisione impugnata, le vendite di computer muniti di un CPU x86 di Intel nell’area EMOA corrispondevano a circa il 32% delle vendite mondiali. Inoltre, la Commissione ha rilevato che il valore delle vendite di Intel ad imprese stabilite nel SEE corrispondeva a circa l’80% delle vendite nell’area EMOA. |
263 |
Occorre inoltre sottolineare che risulta dagli elementi di prova menzionati nella decisione impugnata, e segnatamente dalla e‑mail menzionata al punto 1240 infra, che Acer aveva programmato di vendere in Europa il modello interessato dal ritardo del lancio. Si deve pertanto respingere l’argomento dedotto dalla ricorrente in udienza secondo il quale è possibile che i computer di cui trattasi sarebbero stati tutti venduti al di fuori del SEE. |
264 |
Il fatto di accordare un incentivo finanziario al fine di indurre un cliente a ritardare su scala mondiale il lancio di un computer munito di un CPU di un concorrente e che si programmava di vendere in Europa, è atto a esplicare effetti almeno potenziali nel SEE. |
265 |
L’ACT ha fatto valere che si evinceva dalla e‑mail menzionata al punto 1240 infra che la restrizione allo scoperto dedotta dalla Commissione riguardava unicamente limitazioni delle vendite di Acer verso paesi situati al di fuori dell’Europa. |
266 |
A tal riguardo è sufficiente rilevare che Acer si è alla fine impegnata a ritardare il lancio del computer in questione dappertutto nel mondo (v. punti 1246, 1247, 1268 e 1269 infra). L’argomento dell’ACT secondo il quale la Commissione ha ritenuto sussistente un’infrazione che riguardava unicamente le vendite di Acer verso paesi situati al di fuori dell’Europa è dunque erronea in fatto. |
267 |
Inoltre, occorre rilevare che la Commissione ha giustamente concluso nel senso che i diversi comportamenti menzionati nella decisione impugnata facevano parte di un’infrazione unica e continuata (v. punti da 1561 a 1563 infra). |
268 |
Al fine di verificare se gli effetti siano sostanziali, non si devono prendere in considerazione in maniera isolata i diversi comportamenti facenti parte di un’infrazione unica e continuata. Al contrario, è sufficiente che l’infrazione unica, considerata nel suo insieme, possa esplicare effetti sostanziali. |
269 |
Per quanto attiene al pregiudizio per il commercio fra gli Stati membri ai sensi dell’articolo 82 CE, si evince dalla giurisprudenza che si devono prendere in considerazione gli effetti che un abuso di posizione dominante può avere sul mantenimento di un’effettiva concorrenza nell’ambito del mercato comune (v. sentenza della Corte del 25 ottobre 1979, Greenwich Film Production, 22/79, Racc. pag. 3275, punto 11 e giurisprudenza ivi citata). La Corte ha parimenti precisato che, per stabilire se si applicasse l’articolo 82 CE, l’attività inerente all’adempimento di taluni contratti non poteva essere valutata isolatamente, ma doveva esserlo alla luce del complesso delle attività dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenza Greenwich Film Production, cit., punto 12). Per quanto attiene al criterio del pregiudizio per il commercio fra gli Stati membri, la Corte ha pertanto rilevato esplicitamente che non si dovevano prendere in considerazione in maniera isolata taluni contratti. |
270 |
La medesima soluzione si impone, in presenza di un’infrazione unica e continuata, quando si tratta di verificare se la competenza della Commissione sia giustificata sotto il profilo del diritto internazionale pubblico. Infatti, non si può consentire alle imprese di sottrarsi all’applicazione delle regole di concorrenza combinando più comportamenti che perseguono un obiettivo identico, ciascuno dei quali, considerato isolatamente, non è idoneo a produrre un effetto sostanziale nell’Unione, ma i quali, considerati nel loro insieme, sono idonei a produrre un siffatto effetto. |
271 |
Nella specie, occorre rammentare che l’infrazione unica e continuata, considerata nel suo insieme, ha interessato in media, stando ai calcoli effettuati dal legale della ricorrente, il 14% circa del mercato mondiale, nel caso in cui tali calcoli non vengono limitati alla sola quota contendibile, percentuale che deve essere considerata una quota significativa del mercato (v. punto 194 supra). |
272 |
Tale circostanza è sufficiente per constatare che gli effetti potenziali delle pratiche della ricorrente erano sostanziali. |
273 |
Inoltre, occorre rilevare che la Commissione ha sufficientemente dimostrato che la ricorrente aveva perseguito una strategia complessiva a lungo termine intesa a bloccare l’accesso di AMD ai canali di vendita più importanti sotto il profilo strategico (v. punti da 1523 a 1552 infra). |
274 |
Si evince dalla giurisprudenza che, in relazione al criterio del pregiudizio per il commercio fra Stati membri, si devono prendere in considerazione le ripercussioni che derivano per la struttura della concorrenza effettiva nel mercato comune dall’eliminazione di un concorrente (v., in tal senso, sentenza Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/Commissione, cit. al punto 248 supra, punto 33, e sentenza del Tribunale dell’8 ottobre 1996, Compagnie maritime belge transports e a./Commissione, da T-24/93 a T-26/93 e T-28/93, Racc. pag. II-1201, punto 203). Modifiche della struttura del mercato devono parimenti essere prese in considerazione allorché si tratta di determinare l’esistenza di effetti sostanziali all’interno del SEE nell’ambito dell’esame della questione se la competenza della Commissione sia giustificata sotto il profilo del diritto internazionale pubblico (v., in tal senso, sentenza Gencor, cit. al punto 233 supra, punti 94 e 96). |
275 |
In tale contesto, occorre sottolineare che non solo l’eliminazione di un concorrente può ripercuotersi sulla struttura della concorrenza nel mercato comune, ma che un comportamento idoneo ad indebolire l’unico concorrente importante della ricorrente a livello mondiale, bloccandogli l’accesso ai canali di vendita più importanti, come il comportamento in oggetto, è parimenti capace di avere ripercussioni sulla struttura della concorrenza effettiva nel mercato comune. Pertanto, la constatazione secondo la quale gli effetti potenziali del comportamento della ricorrente devono essere considerati sostanziali si giustifica parimenti a causa degli effetti potenziali sulla struttura della concorrenza effettiva nel mercato comune. |
276 |
Risulta da quanto precede che gli effetti potenziali del comportamento della ricorrente devono essere considerati sostanziali. |
2.2) Effetto immediato
277 |
Il comportamento di Intel era inteso ed era idoneo a produrre un effetto immediato nel SEE. |
278 |
Infatti, tale comportamento era inteso ed era idoneo ad indurre Acer a ritardare il lancio di un computer portatile munito di un CPU AMD in tutto il mondo, compreso il SEE. Il ritardo del lancio significa che, per un certo periodo di tempo, un certo modello di computer con CPU AMD non è disponibile, neanche nel SEE. Siamo in presenza di un effetto diretto e non solo di un effetto riflesso. |
279 |
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente e dall’ACT, la circostanza che Intel non abbia venduto CPU ad Acer nel SEE non significa che l’effetto nel SEE del comportamento di Intel abbia potuto essere unicamente indiretto. Infatti, la condizione alla quale erano assoggettati i pagamenti, ossia il ritardo del lancio di un certo modello di computer in tutto il mondo, compreso il SEE, riguardava in maniera diretta le vendite di computer da parte di Acer. |
280 |
Inoltre, l’infrazione unica e continuata commessa dalla ricorrente, considerata nel suo complesso, era idonea ad avere come effetto immediato l’indebolimento dell’unico concorrente importante della ricorrente, bloccandogli l’accesso ai canali di vendita più importanti, e dunque la modifica della struttura della concorrenza effettiva nel mercato comune. |
2.3) Effetto prevedibile
281 |
L’effetto consistente nell’assenza di disponibilità, anche nel SEE, di un certo modello di computer munito di un CPU AMD per la durata del ritardo poteva essere previsto dalla ricorrente. Infatti, si trattava dell’effetto perseguito con il suo comportamento. |
282 |
Analogamente, l’indebolimento dell’unico concorrente importante della ricorrente era prevedibile e voluto dalla stessa. |
3) Lenovo
3.1) Sulle restrizioni allo scoperto
i) Sul ritardo del lancio concernente il mercato cinese
283 |
La ricorrente fa valere che il primo ritardo del lancio dedotto dalla Commissione nella decisione impugnata era relativo al lancio ritardato in Cina di due modelli di computer portatili muniti di un CPU AMD (v., a tal riguardo, punti 1035 e 1037 infra). Tale accordo avrebbe interessato unicamente il mercato cinese e non sarebbe stato attuato nell’Unione. |
284 |
A tal riguardo è sufficiente constatare che la Commissione non dimostra, nella decisione impugnata, l’esistenza di un’infrazione all’articolo 82 CE in relazione al ritardo del lancio dei computer portatili muniti di un CPU AMD in Cina (v. punto 1042 infra). L’argomento della ricorrente concernente il difetto di competenza della Commissione a sanzionare tale comportamento è dunque inoperante. |
ii) Sul ritardo del lancio concernente il mercato mondiale
285 |
Il ritardo del lancio di cui alla decisione impugnata riguarda il lancio ritardato dei suddetti modelli di computer a livello mondiale. A tal riguardo, la ricorrente ha sottolineato, in udienza, che risultava dall’allegato A.120 della domanda che, in relazione ai due modelli di computer interessati dal ritardo del lancio, il livello delle vendite previsto era estremamente basso. |
286 |
A tal riguardo occorre rilevare che risulta da tale allegato che, il 1o giugno 2006, le cifre di vendite progettate nell’area EMOA per il quarto trimestre del 2006 per i due modelli di computer portatile interessati dal ritardo del lancio erano pari a 5400 e a 4250 unità. |
287 |
In udienza, la ricorrente ha suggerito che fosse possibile che la totalità di tali computer fosse stata destinata a zone dell’area EMOA al di fuori del SEE. |
288 |
A tal riguardo occorre rilevare che si tratta di una mera speculazione della ricorrente, non sostenuta da alcun argomento. È vero che il volume esatto delle vendite previste nel SEE non risulta dall’allegato A.120 del ricorso. Occorre tuttavia rilevare che il SEE è una parte estremamente importante dell’area EMOA. |
289 |
Si evince chiaramente dall’allegato A.120 del ricorso che Lenovo aveva previsto delle vendite nell’area EMOA. Tale circostanza è sufficiente per constatare effetti perlomeno potenziali nel SEE, in assenza di indizi concreti che potrebbero far supporre che la totalità delle vendite previste avrebbe riguardato parti dell’area EMOA al di fuori del SEE. |
290 |
È vero che il numero di unità interessate nell’area EMOA era modesto. Tuttavia, occorre rilevare che il comportamento assunto nei confronti di Lenovo faceva parte di un’infrazione unica e continuata, e che è sufficiente che tale infrazione, considerata nel suo insieme, sia stata idonea ad esplicare effetti sostanziali, come nel caso di specie (v. punti da 267 a 276 supra). |
291 |
Quanto al carattere immediato dell’effetto e alla sua prevedibilità, le considerazioni svolte ai punti da 277 a 282 supra si applicano mutatis mutandis. |
3.2) Sugli sconti di esclusiva
292 |
Secondo la decisione impugnata, Intel ha accordato sconti a Lenovo, fra il gennaio 2007 e il dicembre 2007, sconti il cui livello era subordinato all’acquisto presso Intel, da parte di Lenovo, di tutti i CPU x86 destinati ai suoi computer portatili. |
293 |
La decisione impugnata prende pertanto atto di un incentivo finanziario accordato da Intel a Lenovo al fine di indurla ad utilizzare, nei suoi computer portatili, esclusivamente CPU x86 prodotti da Intel. Tale comportamento era idoneo ad avere, come effetto immediato, l’assenza di disponibilità in tutto il mondo, compreso il SEE, di computer portatili di Lenovo muniti di un CPU x86 di un concorrente di Intel. La circostanza che Intel venda CPU, mentre Lenovo vende computer, non significa che l’effetto possa essere unicamente indiretto. Infatti, qualora Lenovo si rifornisca presso Intel per la totalità del suo fabbisogno di CPU x86 destinati ai suoi computer portatili, ciò significa direttamente e necessariamente che essa non può né fabbricare né vendere alcun computer portatile munito di un CPU x86 proveniente da un concorrente. |
294 |
Tale effetto era prevedibile per Intel, nonché voluto dalla stessa. |
295 |
Quanto al carattere sostanziale dell’effetto, è sufficiente rammentare che gli sconti di esclusiva facevano parte di un’infrazione unica e continuata che, considerata nel suo insieme, era idonea ad esplicare effetti sostanziali nel territorio dell’Unione e del SEE: ciò è sufficiente (v. punti da 267 a 276 supra). Non è dunque necessario esaminare la questione se gli sconti di esclusiva accordati a Lenovo, considerati isolatamente, fossero idonei ad esplicare un effetto sostanziale nel suddetto territorio. |
296 |
Risulta da quanto precede che il comportamento di Intel menzionato dalla Commissione nella decisione impugnata era idoneo ad esplicare un effetto sostanziale, immediato e prevedibile all’interno del SEE. Ne consegue che la competenza della Commissione a sanzionare tale comportamento è giustificata sotto il profilo delle norme del diritto internazionale pubblico. |
297 |
È dunque ad abundantiam che verrà esaminata, nel prosieguo, la realizzazione del comportamento di cui trattasi nel territorio del SEE. |
c) Sulla realizzazione
298 |
La ricorrente fa valere che, secondo la giurisprudenza, per stabilire la competenza della Commissione è necessario che esistano vendite dirette verso l’Unione, da parte dell’impresa stessa, di prodotti interessati dal comportamento di cui trattasi. Nella specie, la Commissione non dimostrerebbe che ciascuno degli atti di abuso dedotti riguardava vendite dirette del prodotto pertinente, ossia di CPU x86, da parte di Intel ad acquirenti all’interno dell’Unione o del SEE. |
299 |
La ricorrente sottolinea di non aver venduto CPU x86 né ad Acer né a Lenovo nel SEE. Acer e Lenovo non avrebbero venduto i prodotti interessati dalla decisione impugnata, ossia i CPU x86, bensì computer muniti di CPU x86. |
300 |
La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente. |
1) Acer
301 |
Occorre rammentare che la messa in atto delle pratiche di cui trattasi nell’Unione è sufficiente a giustificare la competenza della Commissione sotto il profilo del diritto internazionale pubblico (v., in tal senso, sentenza Pasta di legno, cit. al punto 232 supra, punto 16). |
302 |
È vero che, nella causa sfociata nella sentenza Pasta di legno, citata al punto 232 supra (punti 12, 13, 16 e 17), la Corte ha rilevato che l’attuazione dell’intesa di cui trattasi nel mercato comune era avvenuta tramite vendite dirette ad acquirenti stabiliti nell’Unione, a prezzi effettivamente coordinati, da parte dei partecipanti all’intesa. |
303 |
Tuttavia, non ne consegue che le vendite dirette effettuate dai destinatari della decisione impugnata della Commissione siano l’unico mezzo di attuazione di una pratica nell’Unione. La mera circostanza che la ricorrente non abbia venduto CPU a società controllate da Acer e da Lenovo situate nel SEE non esclude pertanto la realizzazione nel SEE delle pratiche di cui trattasi. |
304 |
Nella specie, la Commissione non ha menzionato, nella decisione impugnata, un’azione avviata dalla ricorrente stessa nel territorio del SEE al fine di attuare la restrizione allo scoperto concernente Acer. |
305 |
Cionondimeno, l’abuso di posizione dominante è consistito, nella specie, nella concessione di un incentivo finanziario al fine di indurre Acer a ritardare il lancio di un certo modello di computer portatile in tutto il mondo. La condizione alla quale erano assoggettati i pagamenti accordati da Intel, vale a dire il ritardo di un certo modello di computer portatile munito di un CPU AMD, era pertanto destinata ad essere attuata da Acer in tutto il mondo, compreso il SEE. |
306 |
In una fattispecie del genere, sarebbe artificioso limitarsi a prendere in considerazione l’attuazione delle pratiche di cui trattasi da parte della stessa impresa in posizione dominante. Al contrario, occorre prendere parimenti in considerazione la loro attuazione da parte del cliente di tale impresa. |
307 |
In tale contesto, l’astensione dalla vendita di un certo modello di computer nel SEE per un certo periodo di tempo da parte del cliente dell’impresa dominante deve essere considerata un’attuazione della restrizione allo scoperto. |
308 |
Inoltre, si evince dagli elementi di prova menzionati nella decisione impugnata che Acer ha intrapreso azioni nell’area EMOA al fine di ritardare il lancio del computer di cui trattasi. Infatti, risulta dalla e‑mail menzionata al punto 1247 infra, invocata in tale contesto dalla Commissione in udienza, che il [riservato] all’interno di Acer ha ricevuto l’istruzione di «far cadere» il CPU AMD in questione per il 2003, e che lo stesso eseguirà tale istruzione nell’area EMOA. |
309 |
Risulta da quanto precede che la competenza della Commissione era giustificata anche a causa della realizzazione dell’infrazione nel territorio dell’Unione e del SEE. |
2) Lenovo
310 |
Per quanto attiene alle restrizioni allo scoperto, ossia agli sconti accordati a condizione che Lenovo ritardasse il lancio di due modelli di computer, occorre rilevare che essi erano destinati ad essere messi in pratica da Lenovo in tutto il mondo, compreso il SEE. Ne consegue che la competenza della Commissione era giustificata anche in ragione della realizzazione dell’infrazione nel suddetto territorio. A tal riguardo si applicano, mutatis mutandis, le considerazioni svolte ai punti da 304 a 307 supra. |
311 |
Quanto agli sconti di esclusiva, la contropartita di tali sconti, ossia l’approvvigionamento esclusivo di Lenovo presso Intel per i CPU x86 destinati ai suoi computer portatili, era destinata ad essere attuata da Lenovo in tutto il mondo, compreso il SEE, tramite la vendita esclusiva dei computer portatili muniti di CPU x86 di Intel. In tale contesto, occorre sottolineare che la destinazione dei CPU, ossia la loro utilizzazione da parte di Lenovo in computer portatili, faceva parte della contropartita nei termini in cui era stata definita. In tali circostanze, la ricorrente non può trarre alcun argomento dal fatto che il mercato di cui trattasi riguardava i CPU x86, mentre Lenovo non vendeva CPU, bensì computer che incorporavano CPU. Infatti, la contropartita, nei termini in cui era stata definita, ha instaurato un collegamento diretto con i computer che sarebbero stati prodotti e venduti da Lenovo. |
312 |
Il comportamento della ricorrente mirava a che la contropartita di Lenovo fosse attuata in qualsiasi luogo in cui Lenovo vendeva computer portatili, compreso il SEE. |
313 |
Dal momento che la contropartita, nei termini in cui era stata definita, riguardava in maniera specifica i CPU destinati ad essere utilizzati per un certo tipo di prodotti, ossia i computer portatili, la ricorrente non può far valere utilmente che essa stessa non avrebbe alcuna influenza sull’impiego fatto da Lenovo dei CPU Intel. Peraltro, la ricorrente non ha sostenuto di ignorare il fatto che Lenovo era presente sul mercato comune e vendeva nel medesimo i propri computer portatili. |
314 |
Risulta da quanto precede che, per quanto attiene al comportamento della ricorrente nei confronti di Lenovo, la competenza della Commissione è parimenti giustificata a causa della realizzazione dell’infrazione nel territorio dell’Unione e del SEE. |
d) Sul pregiudizio per il commercio fra Stati membri
315 |
In udienza, la ricorrente ha parimenti fatto valere che il comportamento di cui trattasi non era idoneo a pregiudicare il commercio fra gli Stati membri. |
316 |
Per quanto attiene al criterio del pregiudizio per il commercio fra gli Stati membri, la Commissione ha rilevato, al considerando 1750 della decisione impugnata, che gli abusi che incidevano sulla struttura della concorrenza in più di uno Stato membro erano per natura in grado di pregiudicare il commercio fra gli Stati membri. |
317 |
Secondo la giurisprudenza, perché una decisione, un accordo o una prassi possano pregiudicare il commercio fra Stati membri è necessario che, in base ad un complesso di elementi obiettivi di diritto o di fatto, appaia con un sufficiente grado di probabilità che essi esercitano un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale, sugli scambi tra Stati membri, in un modo tale da far temere che possano nuocere al conseguimento di un mercato unico fra Stati membri. Tale influenza deve inoltre essere significativa (v. sentenza Javico, cit. al punto 256 supra, punto 16 e giurisprudenza ivi citata). |
318 |
Nella specie, la ricorrente non ha fatto valere che il suo comportamento nei confronti di Acer e Lenovo aveva interessato unicamente il territorio di un solo Stato membro. Al fine di contestare il pregiudizio per il commercio fra Stati membri, la ricorrente si è fondata piuttosto sulla circostanza che gli effetti si sarebbero fatti sentire in territori al di fuori del SEE e che, comunque, il volume di computer interessati sarebbe stato estremamente ridotto, cosicché gli effetti non avrebbero potuto in ogni caso essere significativi. |
319 |
Tuttavia, come rilevato al punto 269 supra, non occorre prendere in considerazione isolatamente gli effetti del comportamento della ricorrente nei confronti di Acer e di Lenovo. L’infrazione unica commessa dalla ricorrente, considerata nel suo insieme, era idonea ad esplicare un effetto sostanziale all’interno dell’Unione e del SEE. |
320 |
Occorre pertanto respingere l’argomento della ricorrente inteso a contestare il pregiudizio per gli scambi fra Stati membri. |
321 |
Risulta da tutto quanto precede che l’argomento della ricorrente inteso a contestare la competenza della Commissione deve essere respinto. |
C – Vizi procedurali
1. Sul diniego della Commissione di accordare una seconda audizione alla ricorrente
322 |
La ricorrente, sostenuta dall’ACT, sostiene che la Commissione ha erroneamente negato lo svolgimento di una seconda audizione al fine di sentire Intel sulla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 (v. punto 9 supra) e sulla lettera sui fatti (v. punto 13 supra), benché tali documenti abbiano menzionato tutte le nuove affermazioni concernenti, segnatamente, gli sconti condizionati e le restrizioni allo scoperto, coinvolgenti Lenovo, e la concessione di sconti a MSH. |
323 |
Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU L 123, pag. 18), nella comunicazione degli addebiti alle parti interessate la Commissione stabilisce il termine entro il quale le stesse possono presentare osservazioni scritte. La Commissione non è tenuta a tener conto delle osservazioni scritte pervenute oltre la scadenza di tale termine. |
324 |
Ai sensi dell’articolo 12 del regolamento n. 773/2004, la Commissione offre alle parti destinatarie della comunicazione degli addebiti la possibilità di sviluppare gli argomenti nel corso dell’audizione, sempre che esse lo richiedano nelle osservazioni scritte. |
325 |
Per quanto riguarda la comunicazione degli addebiti complementare del 2008, è pacifico fra le parti che la ricorrente aveva diritto, in linea di principio, ad una seconda audizione in forza delle summenzionate disposizioni. La Commissione ha riconosciuto l’esistenza di tale diritto nella lettera di accompagnamento della comunicazione degli addebiti complementare del 2008. Tuttavia, è giocoforza constatare che la ricorrente non ha chiesto in tempo utile lo svolgimento di una seconda audizione. Infatti, nella comunicazione degli addebiti complementare del 2008, la Commissione aveva anzitutto accordato alla ricorrente un termine di otto settimane per presentare le proprie osservazioni. Il 15 settembre 2008, tale termine è stato prorogato fino al 17 ottobre 2008 da parte del consigliere‑auditore (v. punto 10 supra). La ricorrente non ha risposto alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 entro quest’ultimo termine, astenendosi al contempo dal chiedere una seconda audizione. Di conseguenza, essa era decaduta dal proprio diritto ad una seconda audizione. |
326 |
Tale conclusione, la quale risulta già dal dettato dell’articolo 10, paragrafo 2, e dell’articolo 12 del regolamento n. 773/2004, è confermata dall’oggetto stesso di tali disposizioni. L’obbligo incombente al destinatario di una comunicazione degli addebiti di chiedere, a pena di decadenza, un’audizione nel termine impartito dalla Commissione si giustifica per ragioni di economia processuale. Infatti, la preparazione di un’audizione comporta uno sforzo di coordinamento non trascurabile da parte della Commissione, in quanto ad un’audizione assistono non solo il destinatario della comunicazione degli addebiti e i servizi della Commissione, ma, eventualmente, anche terzi e rappresentanti degli Stati membri. Inoltre, la Commissione deve disporre di tempo sufficiente per poter prendere in considerazione in una decisione finale le osservazioni fatte durante un’audizione. |
327 |
Per quanto riguarda, poi, la lettera sui fatti, è giocoforza constatare che il diritto ad un’audizione previsto dall’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 sorge solo successivamente all’emissione, da parte della Commissione, di una comunicazione degli addebiti. La ricorrente non aveva pertanto alcun diritto ad un’audizione con riferimento alla lettera sui fatti. In ogni caso, occorre rilevare che, anche per quanto attiene a tale lettera, la ricorrente non ha chiesto un’audizione in tempo utile, dal momento che essa non ha risposto a tale lettera nel termine fissato per il 23 gennaio 2009. |
328 |
Di conseguenza, la Commissione ha giustamente negato lo svolgimento di un’audizione in relazione sia alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 sia alla lettera sui fatti. Gli argomenti della ricorrente e dell’ACT non sono idonei a rimettere in discussione tale conclusione. |
329 |
In primo luogo, la ricorrente fa valere che, nella sua lettera del 2 febbraio 2009 (v. punto 15 supra), la Commissione ha espressamente accettato di prendere in considerazione le osservazioni scritte della ricorrente sulla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 e sulla lettera sui fatti, sempreché esse venissero comunicate prima del 5 febbraio 2009. Secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe così prorogato il termine per il deposito di una domanda di audizione fino al 5 febbraio 2009. |
330 |
Questa affermazione deve essere respinta. La Commissione rileva giustamente che, nel corso del procedimento amministrativo, al pari che nella decisione impugnata, essa ha escluso esplicitamente l’accettazione della memoria tardiva di Intel quale risposta formulata in tempo utile, così come essa ha escluso la possibilità di interpretare la considerazione di tali osservazioni come una proroga del termine. Infatti, in particolare nella lettera del 2 febbraio 2009, sulla quale la ricorrente si basa per fondare la propria argomentazione, la Commissione ha rilevato di non essere tenuta ad accogliere una domanda di audizione depositata fuori termine, e che i suoi servizi ritenevano che il corretto svolgimento del procedimento amministrativo non esigeva l’organizzazione di un’audizione. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, nella lettera del 2 febbraio 2009, la Commissione non ha pertanto prorogato il termine per il deposito di una domanda di audizione fino al 5 febbraio 2009. |
331 |
In secondo luogo, la ricorrente sostiene di non aver indirizzato la sua risposta alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 e alla lettera sui fatti prima del 5 febbraio 2009, in quanto a quella data essa presentava un ricorso presso il Tribunale al fine di ottenere l’annullamento della decisione del consigliere-auditore del 15 settembre 2008 e l’adozione di un’ordinanza provvisoria intesa a sospendere la scadenza del termine fissato. |
332 |
Orbene, è giocoforza constatare che la ricorrente avrebbe potuto presentare alla Commissione, in via cautelare, le sue osservazioni sulla comunicazione degli addebiti complementare del 2008, esercitando al contempo il suo diritto di accesso al Tribunale. Come rilevato dal presidente del Tribunale nell’ordinanza Intel/Commissione, citata al punto 14 supra (punto 87), la proposizione del suo ricorso di annullamento e della sua domanda di provvedimenti provvisori non hanno impedito in alcun modo alla ricorrente di preparare e presentare, a tempo debito, la sua risposta alla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 sulla base delle informazioni di cui disponeva, almeno in via cautelare, e ciò a maggior ragione tenuto conto del fatto che il consigliere-auditore le aveva concesso una proroga del termine di quattro settimane. In ogni caso, Intel avrebbe potuto chiedere un’audizione nel termine fissato dal consigliere-auditore, vale a dire prima del 17 ottobre 2008, in quanto tale domanda non dipendeva da informazioni supplementari. |
333 |
Il medesimo ragionamento si applica anche alla lettera sui fatti, fatto salvo il fatto che l’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 non prevede un’audizione successivamente all’invio di una lettera sui fatti (v. punto 327 supra). Alla ricorrente non è stato impedito di domandare un’audizione in tempo utile né attraverso il suo ricorso di annullamento né attraverso la sua domanda di provvedimenti provvisori. |
334 |
In terzo luogo, è vero che, nelle condizioni previste dall’articolo 10, paragrafo 2, e dall’articolo 12 del regolamento n. 773/2004, la Commissione non dispone di un potere discrezionale concernente il diritto ad un’audizione. L’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 dispone che la Commissione «offre» alle parti destinatarie di una comunicazione degli addebiti la possibilità di sviluppare i loro argomenti nel corso dell’audizione, sempre che esse lo richiedano nelle osservazioni scritte. Tuttavia, la ricorrente non ha presentato una domanda in tempo utile, cosicché tale disposizione è inapplicabile. |
335 |
In quarto luogo, la ricorrente afferma che la decisione del consigliere‑auditore del 17 febbraio 2009, con la quale egli ha respinto una nuova domanda della ricorrente intesa ad ottenere un’audizione sulla comunicazione degli addebiti complementare del 2008, è irragionevole e sproporzionata. |
336 |
A tal riguardo, occorre ricordare che la ricorrente non ha chiesto in tempo utile lo svolgimento di un’audizione sulla comunicazione degli addebiti complementare del 2008. Orbene, come giustamente sottolineato dal consigliere-auditore nella sua decisione del 17 febbraio 2009, esiste un diritto soggettivo a un’audizione soltanto fino alla fine del termine fissato per rispondere alla comunicazione degli addebiti. Alla scadenza di tale termine, alla Commissione non incombe nessun obbligo di organizzare un’audizione. |
337 |
Ammettendo che il consigliere-auditore possedesse cionondimeno un potere discrezionale di accordare un’audizione, la Commissione non ha dunque travisato l’articolo 12 del regolamento n. 773/2004, ma ha interpretato il suddetto regolamento in maniera favorevole alla ricorrente. Del resto, il consigliere-auditore ha illustrato i motivi del proprio rifiuto di concedere una seconda audizione in maniera dettagliata nella sua lettera del 17 febbraio 2009. A tal riguardo, la ricorrente si limita ad affermare che lo svolgimento di un’audizione non avrebbe arrecato un pregiudizio alla Commissione, dal momento che, secondo la ricorrente, il ritardo nello svolgimento del procedimento amministrativo causato da una seconda audizione sarebbe stato «minimo». Orbene, è giocoforza constatare che il consigliere-auditore, rilevando, in sostanza, che un ritardo indebito nello svolgimento del procedimento amministrativo avrebbe rischiato di arrecare pregiudizio non solo ai diritti delle parti terze interessate dal procedimento concernente la ricorrente, bensì anche ai diritti di altre parti in procedimenti paralleli, le quali avevano chiesto delle audizioni in tempo utile, non è incorso in un errore. |
338 |
In quinto luogo, l’ACT sostiene, in sostanza, che, a dispetto del fatto che l’articolo 12 del regolamento n. 773/2004 prevede lo svolgimento di un’audizione solo successivamente all’emissione, da parte della Commissione, di una comunicazione degli addebiti, la Commissione era tuttavia tenuta ad accordare un’audizione a seguito dell’invio della lettera sui fatti, a causa del diritto fondamentale della ricorrente al rispetto dei suoi diritti della difesa. Tale argomento non persuade. Anzitutto, occorre osservare che il capo V del regolamento n. 773/2004, intitolato «Esercizio del diritto ad essere sentiti», il quale contiene le disposizioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2, e all’articolo 12 di detto regolamento, costituisce una concretizzazione dei diritti della difesa della ricorrente. Né la ricorrente né l’ACT hanno dedotto argomenti concernenti un’eventuale illegittimità di tali disposizioni. Nei limiti in cui l’ACT afferma che la Commissione non può far valere limiti da essa stessa fissati nei propri regolamenti per giustificare una violazione del diritto fondamentale di una parte ad essere sentita, è giocoforza constatare che, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1/2003, la Commissione è autorizzata ad adottare le modalità delle audizioni. Inoltre, occorre osservare, ad abundantiam, che, anche ammesso che i diritti della difesa possano, in circostanze particolari, imporre alla Commissione lo svolgimento di un’audizione a seguito dell’invio di una lettera sui fatti, ciò non toglie che tale diritto ipotetico non sarebbe illimitato. Esso potrebbe essere ristretto dalla Commissione tramite la fissazione di termini per il deposito di una domanda di audizione. Orbene, nella specie, la ricorrente non ha risposto alla lettera sui fatti in tempo utile (v. punto 327 supra). |
339 |
Risulta da tutto quanto precede che la Commissione ha potuto negare lo svolgimento di un’audizione al fine di sentire Intel sulla comunicazione degli addebiti complementare del 2008 e sulla lettera sui fatti senza incorrere in un errore di diritto e senza violare le disposizioni del regolamento n. 773/2004. |
2. Sul rifiuto della Commissione di procurarsi taluni documenti di AMD
a) Fatti e posizioni delle parti
340 |
Il 21 maggio 2008, a seguito di una pubblicazione on line delle memorie preparatorie redatte dalla ricorrente e da AMD nell’ambito del procedimento che le vede contrapposte nello Stato del Delaware (v. punto 11 supra), la Commissione ha chiesto sia alla ricorrente sia a AMD di farle pervenire tutti i documenti redatti o ricevuti da queste ultime e che erano citati nelle loro rispettive memorie preparatorie. |
341 |
Con lettera del 6 agosto 2008, la ricorrente ha indicato che essa riteneva che l’indagine condotta dalla Commissione fosse incompleta. Essa ha invitato la Commissione a chiedere a AMD di produrre tutti i documenti pertinenti con riferimento alle affermazioni contenute nella comunicazione degli addebiti complementare del 2008. Inoltre, essa ha sottolineato che un’ordinanza cautelare (protective order) del Tribunale investito della causa nello Stato del Delaware del 26 settembre 2006 (in prosieguo: «l’ordinanza cautelare») le impediva di utilizzare i documenti prodotti da AMD nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware al di fuori di tale procedimento. |
342 |
In allegato ad una lettera del 4 settembre 2008, la ricorrente ha inviato alla Commissione un elenco di 87 punti, corrispondenti a documenti o a categorie di documenti che essa invitava la Commissione a procurarsi presso AMD (in prosieguo: l’«Elenco»). |
343 |
Con lettera del 6 ottobre 2008, la Commissione ha indicato alla ricorrente di aver deciso di chiedere a AMD la produzione dei documenti in questione a condizione che essi fossero descritti nell’Elenco in maniera tale da consentire la loro individuazione precisa, ed ha inviato alla ricorrente un elenco indicante i sette documenti che aveva chiesto ad AMD di farle pervenire. |
344 |
Ai considerando da 61 a 74 della decisione impugnata, la Commissione spiega perché non si riteneva obbligata a procurarsi gli altri documenti catalogati nell’Elenco, sottolineando che la richiesta della ricorrente non era sufficientemente precisa, che era sproporzionata, che la ricorrente non aveva dimostrato di aver esaurito tutti i mezzi a sua disposizione al fine di fornire più documenti del procedimento nello Stato del Delaware alla Commissione, e che i documenti che la ricorrente aveva chiesto alla Commissione di procurarsi non erano a discarico. |
345 |
La ricorrente ritiene che i documenti che aveva chiesto alla Commissione di procurarsi presso AMD rivestissero un interesse particolare per la sua difesa al fine di dimostrare, segnatamente, che, anche in assenza del comportamento contestatole, i costruttori OEM non avrebbero più acquistato CPU AMD, e che AMD si trovava di fronte a limiti di capacità di produzione. Rifiutandosi di procurarsi tali documenti supplementari presso AMD, la Commissione non avrebbe analizzato elementi di prova pertinenti e avrebbe violato un obbligo procedurale sostanziale. La Commissione avrebbe così violato i diritti della difesa di Intel. |
346 |
La ricorrente sostiene che i sette documenti che la Commissione ha chiesto a AMD di fornirle non erano gli unici individuati in maniera chiara nell’Elenco. In risposta ad un quesito scritto del Tribunale, essa ha inoltre fatto valere che non sarebbe stata in grado di individuare i documenti di cui trattasi più precisamente di come aveva fatto nell’Elenco senza violare l’ordinanza cautelare. |
347 |
La Commissione replica che la richiesta della ricorrente non aveva alcun fondamento giuridico, in quanto i documenti di cui trattasi non figuravano nel fascicolo istruttorio. |
348 |
Inoltre, gli elementi dedotti dalla ricorrente non avrebbero potuto discolparla. Non sarebbe necessario provare, per dimostrare l’illegittimità del comportamento di Intel, né la preclusione effettiva della concorrenza, né i limiti di AMD sul piano delle capacità, né le prestazioni commerciali o tecniche di AMD, né un eventuale pregiudizio per i consumatori. |
b) Sulle condizioni alle quali la Commissione può essere obbligata a procurarsi taluni documenti
1) Giurisprudenza esistente
349 |
La ricorrente si basa sulla giurisprudenza concernente l’accesso al fascicolo, secondo la quale non spetta alla Commissione da sola decidere quali siano i documenti utili per la difesa delle imprese coinvolte in un procedimento di infrazione alle regole sulla concorrenza (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 29 giugno 1995, Solvay/Commissione, T-30/91, Racc. pag. II-1775; in prosieguo: la «sentenza Solvay», punto 81). |
350 |
Secondo costante giurisprudenza, il diritto di accesso agli atti, corollario del principio dei diritti della difesa, comporta che la Commissione deve dare all’impresa interessata la possibilità di procedere ad un esame della totalità dei documenti presenti nel fascicolo istruttorio che potrebbero essere rilevanti per la sua difesa (v., in tal senso, sentenza della Corte del 2 ottobre 2003, Corus UK/Commissione, C-199/99 P, Racc. pag. I-11177, punti da 125 a 128, e sentenza Solvay, cit. al punto 349 supra, punto 81). |
351 |
Occorre tuttavia sottolineare che tale giurisprudenza verte sul diritto di accesso ai documenti facenti parte del fascicolo istruttorio della Commissione. È vero che si evince chiaramente dalla giurisprudenza che la Commissione è obbligata ad accordare alle parti l’accesso a tutti i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo, ad eccezione dei documenti interni o riservati, e che la Commissione non è autorizzata ad esaminare da sola quali siano i documenti che possono rivelarsi utili per la difesa delle imprese. Tuttavia, l’obbligo di accordare l’accesso a tutti i documenti figuranti nel fascicolo amministrativo non significa che la Commissione sia obbligata a procurarsi qualsiasi tipo di documento che potrebbe potenzialmente essere a favore. |
352 |
La giurisprudenza si è già pronunciata sulle condizioni di accesso a documenti in possesso della Commissione, ma che non fanno parte del fascicolo dell’istruttoria propriamente detto. In tal senso, per quanto riguarda le risposte alla comunicazione degli addebiti ad opera delle altre parti nel procedimento, si evince dalla giurisprudenza che, quanto ai documenti non appartenenti al fascicolo costituito al momento della notifica della comunicazione degli addebiti, la Commissione è tenuta a divulgare dette risposte ad altre parti interessate solo nel caso in cui risulti che esse contengono nuovi elementi a carico o a favore (sentenza del Tribunale del 16 giugno 2011, Heineken Nederland e Heineken/Commissione, T-240/07, Racc. pag. II-3355, punto 242), oppure se tali risposte sono indispensabili al fine di mettere la ricorrente nella condizione di contestare le cifre utilizzate dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 16 giugno 2011, Ziegler/Commissione, T-199/08, Racc. pag. II-3507, punto 118). |
353 |
In tale contesto, la giurisprudenza ha avuto l’occasione di precisare che il rilievo risultante dalla sentenza della Corte del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione (C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P, Racc. pag. I-123, punto 126), secondo cui la determinazione dei documenti utili alla difesa dell’impresa interessata non può spettare alla sola Commissione, è relativo ai documenti provenienti dal fascicolo della Commissione e non può applicarsi alle risposte fornite da altre parti interessate dagli addebiti comunicati dalla Commissione (sentenza Heineken Nederland e Heineken/Commissione, cit. al punto 352 supra, punto 254). |
354 |
Nella sentenza del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione (T-25/95, T-26/95, da T-30/95 a T-32/95, da T-34/95 a T-39/95, da T-42/95 a T-46/95, T-48/95, da T-50/95 a T-65/95, da T-68/95 a T-71/95, T-87/95, T-88/95, T-103/95 e T-104/95, Racc. pag. II-491), invocata dalla ricorrente, il Tribunale ha esaminato tutta una serie di argomenti tratti dal fatto che la Commissione non aveva concesso l’accesso a documenti che, secondo le imprese interessate, sarebbero stati utili per la preparazione della loro difesa nel procedimento amministrativo. Si trattava, oltre che delle risposte alla comunicazione degli addebiti di altri destinatari della medesima, dei verbali delle audizioni relative alle intese nazionali, di un fascicolo della Commissione relativo alla notifica di un certo sistema, del fascicolo della Commissione relativo a taluni aiuti di Stato, di alcune annotazioni interne della Commissione e dei controricorsi nelle altre cause vertenti sulla medesima intesa (punto 380 di tale sentenza). Si trattava di documenti che, pur non facendo parte del fascicolo istruttorio, erano in possesso della Commissione. |
355 |
La presente situazione si distingue, tuttavia, da quella alla base della giurisprudenza citata ai punti da 349 a 354 supra. Infatti, nella specie, si è in presenza di documenti che non erano neanche in possesso della Commissione. La questione sollevata non riguarda pertanto la portata del diritto di accesso al fascicolo. |
356 |
La ricorrente fa valere che il ragionamento seguito dalla giurisprudenza relativa al diritto di accesso a documenti a favore già acquisiti al fascicolo istruttorio deve applicarsi a fortiori quando la Commissione non solo si è astenuta dal comunicare, bensì anche dal procurarsi documenti a favore rilevanti. La logica di tale argomentazione sembra essere che, se non può essere accettato il fatto che solo la Commissione verifica quali documenti contenuti nel fascicolo possono essere utili per la difesa delle imprese interessate, la situazione sarebbe ancora più grave qualora taluni documenti non figurassero affatto nel fascicolo, cosicché neanche la Commissione è in grado di verificare se essi contengano elementi a favore. |
357 |
Tale argomento non può essere accolto. Infatti, una siffatta logica non tiene conto del fatto che l’idea alla base della giurisprudenza relativa al diritto all’accesso al fascicolo completo è quella che la parità delle armi presuppone che l’impresa interessata abbia una conoscenza del fascicolo relativo al procedimento pari a quella di cui dispone la Commissione (v., in tal senso, sentenza Solvay, cit. al punto 349 supra, punto 83). Per quanto attiene ai documenti che non sono neanche in possesso della Commissione, non vi è alcun rischio che quest’ultima si fondi su elementi a carico figuranti in tali documenti e ometta di prendere sufficientemente in considerazione gli elementi a favore. La disparità rilevata al punto 83 della sentenza Solvay, citata al punto 349 supra, ossia che Commissione ha potuto decidere da sola se utilizzare o meno taluni documenti contro la ricorrente, mentre quest’ultima non aveva avuto accesso a tali documenti e non aveva dunque potuto prendere la corrispondente decisione di utilizzarli o meno per la propria difesa, non sussiste nella specie. Pertanto, il problema stesso della parità delle armi si pone unicamente nel caso di documenti che figurano nel fascicolo amministrativo della Commissione. |
358 |
La questione che si pone nella specie è, in realtà, quella del rispetto, da parte della Commissione, del suo obbligo di istruire il fascicolo con diligenza e imparzialità. |
359 |
A tal riguardo occorre osservare che, tra le garanzie offerte dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi, figura in particolare il principio di buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, al quale si ricollega l’obbligo per l’istituzione competente di esaminare con cura e imparzialità tutti gli elementi pertinenti della fattispecie (v. sentenza del Tribunale del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione, T-191/98, da T-212/98 a T-214/98, Racc. pag. II-3275, punto 404 e giurisprudenza ivi citata). |
360 |
Occorre tuttavia rilevare che, in linea di principio, spetta alla Commissione decidere come desidera condurre l’istruttoria in una causa in materia di concorrenza, e i documenti che la stessa deve raccogliere al fine di avere una visione sufficientemente completa della causa. |
361 |
Non si deve imporre alla Commissione un obbligo di procurarsi un numero il più elevato possibile di documenti al fine di assicurarsi il possesso di ogni elemento potenziale a favore. Infatti, a parte il fatto che le risorse della Commissione sono limitate, alla stessa sarebbe impossibile assicurarsi che non le sfugga alcun potenziale elemento a favore. |
362 |
Se un’impresa oggetto di un procedimento che può sfociare nell’irrogazione di un’ammenda per violazione del diritto della concorrenza chiede alla Commissione di procurarsi taluni documenti, spetta alla Commissione esaminare tale richiesta. Essa dispone di un potere discrezionale per risolvere la questione se occorra procurarsi i documenti di cui trattasi. Le parti in un procedimento non sono titolari di un diritto incondizionato a che la Commissione si procuri determinati documenti, in quanto spetta a quest’ultima decidere in ordine alle modalità di conduzione dell’istruttoria di una causa. |
363 |
A tal riguardo si evince dalla giurisprudenza che non si può pretendere dalla Commissione che essa effettui indagini ulteriori, qualora ritenga che la pratica sia stata adeguatamente istruita (sentenze della Corte del 16 maggio 1984, Eisen und Metall/Commissione, 9/83, Racc. pag. 2071, punto 32, e del Tribunale dell’11 marzo 1999, Thyssen Stahl/Commissione, T-141/94, Racc. pag. II-347, punto 110). |
364 |
Ciò non esclude che, in determinate circostanze, possa esistere un obbligo incombente alla Commissione di istruire un certo aspetto del fascicolo. |
365 |
In tal senso, nella sentenza Thyssen Stahl/Commissione, citata al punto 363 supra, il Tribunale ha rilevato, al punto 97, che dai principi di buona amministrazione e della parità delle armi discendeva che la Commissione aveva l’obbligo di istruire con serietà le affermazioni della ricorrente secondo le quali i funzionari facenti parte di un’altra direzione generale della Commissione l’avevano indotta ad attuare le pratiche addebitatele nella decisione, precisando al contempo che competeva alla Commissione, e non alle ricorrenti, stabilire le modalità per procedere a tale istruzione. Il Tribunale si è fondato sulle circostanze secondo le quali, da un lato, la Commissione si era trovata di fronte ad affermazioni che avevano una sicura importanza per la difesa delle imprese interessate e, dall’altro, la Commissione si trovava in una posizione privilegiata per verificarne la veridicità o la falsità, trattandosi del comportamento dei suoi uffici (sentenza Thyssen Stahl/Commissione, cit. al punto 363 supra, punto 96). Occorre sottolineare che tale sentenza si è limitata a rilevare che la Commissione era obbligata a istruire un certo aspetto del fascicolo conducendo un’indagine interna. Tale sentenza non riguardava un obbligo della Commissione di procurarsi determinati documenti. |
366 |
Si evince dalla giurisprudenza citata ai punti 363 e 365 supra che la Commissione ha il controllo dell’indagine. In primo luogo, essa può, in linea di principio, decidere in che momento l’istruzione della causa sia stata sufficiente. In secondo luogo, anche in una situazione nella quale la Commissione ha l’obbligo di istruire un certo aspetto del fascicolo, compete alla stessa stabilire le modalità per procedere a tale istruzione (v., in tal senso, sentenza Thyssen Stahl/Commissione, cit. al punto 363 supra, punto 97). |
367 |
La ricorrente invoca parimenti, a sostegno dei propri argomenti, la sentenza del Tribunale del 27 settembre 2006, Avebe/Commissione (T-314/01, Racc. pag. II-3085). |
368 |
Si evince dal punto 70 della sentenza menzionata al punto precedente che, nella causa in questione, Avebe ha presentato uno scambio di corrispondenza tra i suoi avvocati ed i servizi del Department of Justice degli Stati Uniti da cui risultava che Avebe aveva tentato a più riprese di ottenere presso questi ultimi copia di un’asserita dichiarazione di un’altra impresa dinanzi alle autorità americane, che, secondo Avebe, era a suo discarico. Avebe aveva voluto presentarla alla Commissione nell’ambito del procedimento amministrativo. Tuttavia, secondo tale scambio di corrispondenza, detti servizi hanno respinto le domande in questione indicando che, all’occorrenza, essi sarebbero stati disposti a fornire il documento in questione alla Commissione se quest’ultima avesse dovuto presentare una richiesta siffatta. |
369 |
In tale sentenza, il Tribunale ha respinto l’argomento di Avebe secondo il quale la Commissione era tenuta a procurarsi una copia del documento di cui trattasi presso le competenti autorità degli Stati Uniti, fondandosi sulla circostanza che l’Avebe non aveva formulato, nel procedimento amministrativo, una richiesta espressa alla Commissione affinché essa si procurasse tale documento (punto 72 di tale sentenza). Il Tribunale ha espressamente rilevato, al punto 71 di tale sentenza, che non occorreva esaminare se la Commissione dovesse prendere misure appropriate onde procurarsi copia dell’asserita dichiarazione dinanzi alle autorità americane. |
370 |
Il Tribunale non ha dunque definito in tale sentenza le condizioni alle quali la Commissione poteva essere tenuta a procurarsi determinati documenti presso un terzo. Esso poteva limitarsi a definire un’unica condizione, relativa, nella specie, all’esistenza di una richiesta espressa in tal senso nel procedimento amministrativo, condizione che non era in ogni caso stata soddisfatta nella causa in questione. |
2) Definizione delle condizioni
371 |
Occorre rilevare che, in determinate circostanze, può esistere un obbligo in capo alla Commissione di procurarsi determinati documenti su richiesta di un’impresa interessata da un’indagine. Un siffatto obbligo della Commissione deve tuttavia essere limitato a circostanze eccezionali, in quanto, in linea di principio, spetta alla Commissione e non alle imprese interessate decidere le modalità di conduzione dell’istruzione di una causa da parte della medesima. |
372 |
Qualora un’impresa interessata da un’indagine sia venuta a conoscenza dell’esistenza di un documento a discarico, ma non possa procurarselo essa stessa o non le sia consentito presentarlo alla Commissione, mentre quest’ultima può procurarsi tale documento e utilizzarlo, è possibile, in determinate circostanze, che la Commissione sia obbligata a procurarsi tale documento a seguito di una richiesta espressa in tal senso da parte dell’impresa interessata. Infatti, spetta alla Commissione condurre un’indagine con diligenza e imparzialità, cosicché essa non può limitarsi a raccogliere documenti a carico chiudendo gli occhi sull’esistenza di elementi a discarico. |
373 |
Cionondimeno, è necessario ponderare l’obbligo della Commissione di istruire una causa con diligenza e imparzialità, da un lato, e la prerogativa della Commissione di decidere il modo in cui essa desidera condurre le sue indagini e dispiegare le proprie risorse al fine di assicurare in maniera efficace il rispetto del diritto della concorrenza, dall’altro. |
374 |
Un obbligo della Commissione di procurarsi determinati documenti su richiesta di un’impresa deve pertanto essere assoggettato, oltre alla condizione di una richiesta in tal senso nel procedimento amministrativo (v. punti 369 e 370 supra), almeno alle condizioni cumulative definite ai punti da 375 a 382 infra. |
375 |
Un obbligo del genere è anzitutto subordinato alla condizione che sia effettivamente impossibile, per l’impresa di cui trattasi, procurarsi essa stessa i documenti in questione o comunicarli alla Commissione. Infatti, poiché la Commissione ha il controllo delle proprie indagini, un tale obbligo deve essere limitato a casi eccezionali, nei quali l’impresa interessata dall’indagine si trova di fronte ad un ostacolo che non può aggirare da sola, in quanto essa è a conoscenza dell’esistenza di un elemento a discarico, ma non può ottenerlo o comunicarlo alla Commissione. |
376 |
Spetta dunque all’impresa di cui trattasi dimostrare di aver intrapreso tutti i passi necessari per procurarsi i documenti in questione e/o ottenere il permesso di utilizzarli nell’indagine della Commissione. |
377 |
Inoltre, spetta a tale impresa individuare in maniera il più possibile precisa i documenti che essa chiede alla Commissione di ottenere. Infatti, la fissazione in via eccezionale di un obbligo della Commissione di procurarsi determinati documenti su richiesta di un’impresa interessata da un’indagine presuppone una cooperazione da parte di tale impresa. |
378 |
Inoltre, un obbligo della Commissione di procurarsi determinati documenti su richiesta di un’impresa interessata da un’indagine è assoggettato alla condizione che i documenti in questione rivestano probabilmente un’importanza considerevole per la difesa dell’impresa di cui trattasi. |
379 |
A tal riguardo, occorre rammentare che spetta alla Commissione decidere, in linea di principio, quando il suo fascicolo è abbastanza completo per adottare la sua decisione finale (v., in tal senso, sentenze Eisen und Metall/Commissione, cit. al punto 363 supra, punto 32, e Thyssen Stahl/Commissione, cit. al punto 363 supra, punto 110). Il mero fatto che taluni documenti possano contenere elementi a discarico non è sufficiente ad affermare che sussiste un obbligo incombente alla Commissione di ottenerli su richiesta di una parte interessata dall’indagine. Qualora la Commissione ritenga che l’istruzione della causa sia stata sufficiente, essa non è tenuta a proseguire l’indagine al fine di ottenere una visione ancora più completa della causa. Infatti, nelle indagini concernenti infrazioni al diritto della concorrenza, esiste spesso una quantità estremamente considerevole di documenti che possono potenzialmente contenere elementi a discarico ed è sempre possibile chiarire in maniera ancora più approfondita taluni aspetti di un fascicolo; le risorse della Commissione sono però limitate. |
380 |
La Commissione dispone di un potere discrezionale al fine di decidere se l’importanza degli asseriti elementi a discarico giustifichi il fatto di procurarseli ed essa può, ad esempio, respingere una richiesta adducendo che gli elementi potenzialmente a discarico riguardano questioni che non si trovano al centro degli accertamenti necessari alla dimostrazione di un’infrazione. |
381 |
Si deve respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale, nelle conclusioni presentate in relazione alla sentenza della Corte del 19 maggio 1994, SEP/Commissione (C-36/92 P, Racc. pagg. I-1911, I-1914, paragrafo 21), l’avvocato generale Jacobs avrebbe descritto il criterio corretto come la questione se «la Commissione [può] ragionevolmente supporre, al momento della richiesta, che il documento le sarebbe utile nel determinare se la presunta violazione ha avuto luogo». Tale passaggio, infatti, verte sulle condizioni alle quali la Commissione ha il diritto di richiedere la comunicazione di un documento e non sulla ben diversa questione delle condizioni alle quali la Commissione è obbligata a procurarsi determinati documenti. |
382 |
Infine, occorre rilevare che la Commissione può segnatamente respingere una richiesta se il volume dei documenti in questione è sproporzionato rispetto all’importanza che essi possono rivestire nell’ambito dell’indagine. In tale contesto, la Commissione è legittimata a prendere in considerazione, se del caso, l’eventualità che l’ottenimento e l’analisi dei documenti di cui trattasi ritardino in maniera sostanziale l’istruzione della causa. La Commissione ha il diritto di ponderare il volume dei documenti richiesti e il ritardo che l’ottenimento e lo studio dei medesimi potrebbero comportare per l’istruzione della causa, da un lato, e il grado di potenziale rilevanza per la difesa dell’impresa, dall’altro. |
c) Esame delle circostanze del caso di specie
383 |
Occorre verificare se i requisiti cumulativi, quali definiti supra, siano soddisfatti nella specie in relazione ai documenti prodotti da AMD nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware ed individuati nell’Elenco menzionato al punto 342 supra (in prosieguo: i «documenti AMD del Delaware»). |
1) Sull’obbligo di Intel di adottare tutte le misure necessarie ad ottenere il permesso di utilizzare i documenti AMD del Delaware nell’indagine della Commissione
1.1) Sulla decisione impugnata e sugli argomenti delle parti
384 |
Al considerando 67 della decisione impugnata, la Commissione osserva che la ricorrente non ha dimostrato di aver esaurito tutti i mezzi a sua disposizione al fine di fornirle più documenti provenienti dal procedimento nello Stato del Delaware, mentre la ricorrente aveva invece potuto fornirle rapidamente taluni documenti provenienti da Dell nell’ambito del suddetto procedimento. |
385 |
Nel controricorso, la Commissione fa valere che la ricorrente si trovava essa stessa nella posizione di ottenere l’autorizzazione ad utilizzare i documenti AMD del Delaware nell’ambito del procedimento dinanzi ad essa pendente. |
386 |
La Commissione sottolinea, inoltre, che l’ordinanza cautelare si fonda su un accordo di riservatezza stipulato fra la ricorrente e AMD e accettato dalla ricorrente nel proprio interesse. Essa rileva che, in forza dell’ordinanza cautelare, tutte le informazioni prodotte da AMD e dalla ricorrente nel procedimento nello Stato del Delaware sono state classificate a priori come riservate, fatto tuttavia salvo il diritto delle parti di ottenere il consenso a che detti documenti fossero «utilizzati per qualsiasi fine legale». Essa sottolinea che, in conformità del punto 16 dell’ordinanza cautelare, Intel avrebbe potuto chiedere a AMD l’autorizzazione a comunicare alla Commissione i documenti che AMD aveva prodotto nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware, posto che il tribunale americano rivestiva il ruolo di arbitro in caso di diniego da parte di AMD. La Commissione fa valere che, a partire dal 26 settembre 2006, ossia dalla data dell’ordinanza cautelare, la ricorrente disponeva di un meccanismo al fine di ottenere l’autorizzazione ad utilizzare i documenti AMD del Delaware nell’ambito del procedimento amministrativo della Commissione, ma che la ricorrente non aveva neanche tentato di presentare una siffatta richiesta. |
387 |
Inoltre, secondo la Commissione, AMD sarebbe stata favorevole ad una richiesta di autorizzazione di Intel intesa ad utilizzare i documenti AMD del Delaware nel corso dell’indagine della Commissione, in quanto ciò avrebbe consentito ad AMD di chiedere un’autorizzazione reciproca concernente documenti di Intel che avrebbero potuto sostenere la propria denuncia. |
388 |
In risposta a tale argomento, la ricorrente fa valere che è escluso che AMD, suo avversario nel procedimento nello Stato del Delaware e denunciante dinanzi alla Commissione, avrebbe acconsentito ad assistere Intel nel procedimento dinanzi alla Commissione mentre il processo nello Stato del Delaware era ancora in corso, e che una domanda presso il Tribunale del Delaware intesa a rimuovere la qualificazione come riservati di tali documenti non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo. Inoltre, la ricorrente sostiene che, in assenza di una disposizione di legge che imponga l’esaurimento dei rimedi esperibili durante il procedimento amministrativo, imporre tale condizione limiterebbe in modo non opportuno i diritti della difesa, citando a tal riguardo le conclusioni presentate dall’avvocato generale Mazák in relazione alla sentenza della Corte del 1o luglio 2010, Knauf Gips/Commissione (C-407/08 P, Racc. pagg. I-6375, I-6380, paragrafo 38). |
389 |
Nell’ambito delle risposte ai quesiti scritti posti dal Tribunale, la ricorrente ha inoltre fatto valere che AMD non aveva interesse alla reciprocità prima dell’adozione della decisione impugnata, in quanto il fascicolo della Commissione conteneva numerosi documenti di Intel, ma un numero estremamente ridotto di documenti di AMD. La Commissione non avrebbe apportato alcuna prova contemporanea a sostegno della sua ipotesi secondo la quale AMD sarebbe stata favorevole ad una richiesta di Intel nel corso dell’indagine, a condizione di reciprocità. |
1.2) Giudizio del Tribunale
390 |
Nella specie, la ricorrente non ha dimostrato che non le era possibile ottenere da AMD l’autorizzazione ad utilizzare i documenti AMD del Delaware. |
391 |
Anzitutto, occorre sottolineare che, in risposta ad un quesito del Tribunale posto in udienza, la ricorrente ha ammesso di non aver chiesto a AMD di accordarle una tale autorizzazione. |
392 |
Tuttavia, non era affatto escluso che AMD le avrebbe accordato un’autorizzazione del genere, se la ricorrente glielo avesse chiesto. Infatti, AMD era vincolata al pari della ricorrente dall’ordinanza cautelare e non ha potuto fornire alla Commissione i documenti presentati da Intel nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware senza che essi venissero privati del loro status di documenti riservati. È dunque ben possibile che AMD abbia autorizzato la ricorrente ad utilizzare i documenti AMD del Delaware a condizione che la ricorrente le avesse accordato l’autorizzazione reciproca ad utilizzare i documenti del procedimento nello Stato del Delaware provenienti da Intel nell’ambito del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione. |
393 |
Occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale AMD non aveva interesse alla reciprocità prima dell’adozione della decisione impugnata, in quanto il fascicolo della Commissione avrebbe contenuto un numero elevato di documenti di Intel, ma un numero estremamente ridotto di documenti di AMD. |
394 |
In tale contesto, occorre rilevare che, stando alle affermazioni di Intel, quest’ultima aveva fornito l’equivalente elettronico di più di 145 milioni di pagine nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware. Evidentemente, la circostanza che il fascicolo amministrativo della Commissione conteneva «un numero elevato» di documenti di Intel non consente di stabilire che, fra i più di 145 milioni di pagine fornite da Intel nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware, non esistessero documenti che AMD avrebbe voluto invocare quali elementi a carico. |
395 |
Ad abundantiam, occorre rilevare che la ricorrente ha indicato, in udienza, che se essa avesse chiesto a AMD, nel corso dell’indagine della Commissione, l’autorizzazione ad utilizzare una categoria rilevante di documenti, AMD avrebbe quasi inevitabilmente affermato che, se Intel voleva determinati documenti di AMD, quest’ultima desiderava allora produrre, per il fascicolo della Commissione, un numero elevato di documenti addizionali a sostegno della propria denuncia. Tale dichiarazione non è tuttavia conforme all’affermazione della ricorrente, fatta nell’ambito delle risposte ai quesiti scritti, secondo la quale AMD non aveva interesse alla reciprocità prima dell’adozione della decisione impugnata. |
396 |
La ricorrente non può neanche utilmente criticare la Commissione per non aver fornito alcuna prova contemporanea a sostegno della propria ipotesi secondo la quale AMD sarebbe stata favorevole ad una richiesta di Intel nel corso dell’indagine, a condizione di reciprocità. Infatti, non spetta alla Commissione dimostrare che AMD avrebbe accordato ad Intel l’autorizzazione ad utilizzare i documenti AMD del Delaware, bensì spetta alla ricorrente dimostrare che essa non ha potuto ottenere tale autorizzazione, nonostante essa avesse intrapreso tutti i passi necessari in tal senso. |
397 |
Dal momento che non era escluso che AMD avrebbe accordato alla ricorrente l’autorizzazione ad utilizzare i documenti AMD del Delaware, spettava a quest’ultima chiedere una siffatta autorizzazione. È del tutto evidente che la mera circostanza che AMD avrebbe potuto richiedere un’autorizzazione reciproca non può dispensare la ricorrente da tale obbligo. La ricorrente addebita alla Commissione di aver adottato la decisione impugnata sulla base di un fascicolo incompleto. A tal riguardo occorre rilevare che il fascicolo della Commissione sarebbe stato ancora più completo se avesse contenuto, oltre ai documenti AMD del Delaware che la ricorrente riteneva fossero a discarico, i documenti forniti da Intel nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware che AMD riteneva fossero a carico. La ricorrente non può, da un lato, beneficiare dell’ordinanza cautelare nel senso che AMD non può fornire alla Commissione eventuali documenti a carico fra i documenti presentati da Intel nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware e, dall’altro, evitare di subire gli svantaggi di tale ordinanza esigendo dalla Commissione che essa si procuri presso AMD gli eventuali elementi a discarico fra i documenti prodotti da AMD nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware. |
398 |
La ricorrente fa inoltre valere che, in assenza di una disposizione di legge che imponga l’esaurimento dei rimedi esperibili durante il procedimento amministrativo, imporre tale condizione limiterebbe in modo non opportuno i diritti della difesa, citando a tal riguardo le conclusioni presentate dall’avvocato generale Mazák in relazione alla sentenza Knauf Gips/Commissione, citata al punto 388 supra (paragrafo 38). |
399 |
Nella causa sfociata in tale sentenza, la Commissione aveva negato ad una ricorrente l’accesso alle risposte alla comunicazione degli addebiti di altre parti nel procedimento. La suddetta ricorrente ha fatto valere una violazione del suo diritto di accesso al fascicolo. La Commissione ha ritenuto che la ricorrente non potesse far validamente valere una violazione dei suoi diritti della difesa. A tal riguardo, la Commissione si è fondata sulla circostanza che la ricorrente in tale causa non aveva esaurito i rimedi esperibili nei confronti del diniego di accordarle l’accesso richiesto, non essendo essa ricorsa al consigliere-auditore. L’avvocato generale Mazák ha proposto il rigetto di tale argomento e ha ritenuto che, in assenza di una qualsivoglia disposizione di legge che specificamente imponga alla parte interessata di esaurire tutti i rimedi esperibili durante il procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione, imporre una tale condizione limiterebbe in modo non opportuno i diritti della difesa di tale parte, negandole un pieno accesso alla giustizia (conclusioni presentate dall’avvocato generale Mazák in relazione alla sentenza Knauf Gips/Commissione, cit. al punto 388 supra, paragrafo 38). |
400 |
La Commissione sottolinea che la posizione dell’avvocato generale Mazák è stata contraddetta da un’altra giurisprudenza, ossia dalla sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, Mannesmannröhren‑Werke/Commissione (T-44/00, Racc. pag. II-2223, punti da 51 a 53). |
401 |
Nella specie, non è necessario risolvere la questione se occorra seguire l’argomento dell’avvocato generale Mazák. Infatti, i fatti alla base del presente procedimento sono diversi da quelli alla base della causa Knauf Gips. In quest’ultima causa, si poneva la questione se la ricorrente fosse obbligata ad esaurire i rimedi esperibili durante il procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione nei confronti di un diniego di quest’ultima di accordarle l’accesso a taluni documenti in possesso della medesima, ossia le risposte di altre parti alla comunicazione degli addebiti. |
402 |
Nella specie, la questione che si pone non è quella dell’esaurimento dei rimedi esperibili avverso una decisione della Commissione, bensì la questione se un eventuale obbligo della Commissione di procurarsi i documenti AMD del Delaware fosse condizionato dagli sforzi della ricorrente intesi ad ottenere essa stessa l’autorizzazione di AMD ad utilizzare tali documenti. Nella specie ricorreva effettivamente una situazione del genere, in quanto l’obbligo della Commissione di procurarsi determinati documenti su richiesta di un’impresa interessata da un’indagine deve essere limitato a casi eccezionali, ed è necessario che l’impresa interessata sia impossibilitata a comunicare essa stessa i suddetti documenti alla Commissione (v. punto 375 supra). |
403 |
Occorre sottolineare che, nella specie, non si tratta di restringere un diritto del quale la ricorrente dispone in forza dei suoi diritti della difesa, esigendo l’esaurimento dei rimedi esperibili avverso un diniego della Commissione di accordare tale diritto. Al contrario, si tratta di definire la portata di un eventuale diritto della ricorrente a che la Commissione proceda a determinate misure istruttorie procurandosi taluni documenti. |
404 |
Poiché non era escluso che AMD avrebbe accordato ad Intel l’autorizzazione a fornire i documenti AMD del Delaware alla Commissione, se del caso a condizione di reciprocità, spettava ad Intel tentare di ottenere tale autorizzazione. Non è necessario esaminare la questione se, inoltre, una richiesta intesa a rimuovere la riservatezza di tali documenti presentata da Intel presso il Tribunale del Delaware avrebbe avuto una possibilità di essere accolta. |
405 |
Risulta da quanto precede che la Commissione non era obbligata a procurarsi i documenti AMD del Delaware, in quanto la ricorrente non ha dimostrato che le era impossibile ottenere da AMD l’autorizzazione ad utilizzare tali documenti. |
2) Sull’importanza dei documenti per la difesa della ricorrente
406 |
Si evince dall’Elenco che i documenti o le categorie di documenti che la ricorrente ha invitato la Commissione a procurarsi riguardano i limiti di capacità di AMD (punti da 1 a 9 dell’Elenco), i suoi inadempimenti nel processo di esecuzione (punti da 10 a 33 e 85 dell’Elenco), la sua strategia di prezzi elevati in Europa (punti 34 e 35 dell’Elenco), le sue deboli prestazioni tecniche e commerciali e la sua mancanza di credibilità come fornitore (punti da 36 a 57, 83 e 84 dell’Elenco), le pratiche correnti nell’industria (punti da 58 a 63 dell’Elenco), il fatto che Intel e AMD si sono fatti concorrenza (punti da 64 a 82 dell’Elenco) e taluni dati concernenti il test AEC (punti 86 e 87 dell’Elenco). |
407 |
Occorre rilevare che taluni documenti concernenti i limiti di capacità di AMD, i suoi inadempimenti nel processo di esecuzione, la sua strategia di prezzi elevati in Europa e le sue deboli prestazioni tecniche e commerciali, quali dedotte dalla ricorrente, avrebbero potuto essere rilevanti per dimostrare che i clienti di quest’ultima avevano motivi commerciali validi per rifornirsi presso Intel anziché presso AMD. Occorre tuttavia rilevare che l’esistenza di tali motivi commerciali validi, ammesso che esistano, non è tale da confutare le prove invocate nella decisione impugnata per dimostrare l’esistenza degli sconti di esclusiva e delle restrizioni allo scoperto (v. punti da 540 a 543 e da 1096 a 1101 infra). Inoltre, per quanto riguarda la qualificazione come abusive delle pratiche menzionate dalla decisione impugnata, è giocoforza constatare che la Commissione non è tenuta a dimostrare né gli effetti concreti di tali pratiche né un nesso di causalità fra queste ultime e le decisioni commerciali dei costruttori OEM (v. punti 104 e 212 supra). |
408 |
Peraltro, occorre rammentare che il fatto che altri motivi abbiano potuto favorire la scelta di rifornirsi in maniera esclusiva o quasi esclusiva presso la ricorrente non esclude che le pratiche di quest’ultima che costituiscono l’oggetto della decisione impugnata abbiano parimenti potuto essere prese in considerazione dai clienti nella loro decisione. |
409 |
Ne consegue che, rispetto alle categorie di documenti elencati al punto 407 supra, la condizione secondo la quale deve essere probabile che i documenti che l’impresa chiede alla Commissione di procurarsi rivestano un’importanza considerevole per la sua difesa non è soddisfatta. |
410 |
In tale contesto, occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale un’impresa interessata da un’indagine può scegliere essa stessa il modo in cui difendersi. Infatti, l’utilità per la difesa dell’impresa deve essere valutata in maniera obiettiva, e se è a torto che un’impresa interessata da un’indagine ritiene che taluni argomenti siano estremamente rilevanti per la sua difesa, la Commissione non può essere obbligata a procurarsi documenti che, secondo tale impresa, possono sostenere tali argomenti. |
411 |
Per quanto attiene alle pratiche correnti nell’industria dedotte da Intel, occorre rilevare quanto segue. |
412 |
I punti da 58 a 60 dell’Elenco vertono sulle pratiche correnti nell’industria relative agli accordi di sostegno finanziario conclusi fra taluni produttori di CPU e taluni dettaglianti di computer. A tal riguardo occorre sottolineare che ciò che viene addebitato ad Intel nella decisione impugnata non è il fatto di avere concluso con MSH accordi di sostegno finanziario, bensì il fatto che l’incentivo finanziario era assoggettato ad una condizione di esclusiva. Dei documenti che dimostrano che gli accordi di sostegno finanziario sono usuali nell’industria non sarebbero pertanto stati a discarico della ricorrente. Il fatto che altri dettaglianti abbiano potuto concludere contestualmente accordi di sostegno finanziario con Intel e AMD non avrebbe potuto rimettere in discussione la circostanza che gli elementi di prova sui quali si basa la Commissione nella decisione impugnata dimostrano l’esistenza di una condizione di esclusiva negli accordi conclusi fra Intel e MSH (v. punto 1487 infra). |
413 |
I punti da 61 a 63 dell’Elenco riguardavano documenti che, secondo l’indicazione figurante nella rubrica «Rilevanza dei documenti mancanti per la [comunicazione degli addebiti del 2007/comunicazione degli addebiti complementare del 2008]», erano rilevanti a causa delle tattiche aggressive di AMD, le quali erano «rivelatrici del clima concorrenziale aspro e contribui[vano] a chiarire il fatto che le strategie concorrenziali di Intel rivelavano una concorrenza normale basata sui meriti in un mercato commerciale fortemente concorrenziale». A tal riguardo, occorre rilevare che il fatto che tattiche aggressive siano potute essere normali nell’industria dei CPU non potrebbe rimettere in discussione né la prova dell’esistenza degli sconti di esclusiva e delle restrizioni allo scoperto né la loro qualificazione come abusive. Lo stesso dicasi per l’esistenza di un «clima competitivo». Tale fatto potrebbe tutt’al più dimostrare l’assenza di preclusione reale. Per contro, esso non può né confutare l’esistenza delle pratiche di cui trattasi nella decisione impugnata né rimettere in discussione la loro capacità di restringere la concorrenza. |
414 |
Per quanto attiene al fatto che Intel avrebbe fatto fronte alla concorrenza (punti da 64 a 82 dell’Elenco), occorre rilevare quanto segue. |
415 |
Il punto 64 dell’Elenco riguarda la situazione di un costruttore OEM in relazione al quale non è stata ritenuta esistente alcuna infrazione nella decisione impugnata. I documenti che potrebbero dimostrare, secondo la ricorrente, che ad AMD non è stato impedito di fare concorrenza a Intel con riferimento a tale costruttore OEM non avrebbero, pertanto, potuto essere a discarico di Intel. |
416 |
I punti da 65 a 71 dell’Elenco riguardano documenti che, secondo la ricorrente, sarebbero stati rilevanti per dimostrare che «AMD e Intel si facevano concorrenza meglio che potevano per fare affari con Lenovo, il che dimostra l’esistenza di una concorrenza normale basata sui meriti in un mercato fortemente concorrenziale». La ricorrente ha chiesto alla Commissione di procurarsi presso AMD i documenti concernenti le offerte che AMD aveva presentato a Lenovo e relative alle trattative fra tali imprese. A tal riguardo, occorre rilevare che il fatto che AMD abbia parimenti presentato offerte a Lenovo ed abbia negoziato con la medesima non può rimettere in discussione né la prova dell’esistenza delle pratiche di Intel concernenti Lenovo menzionate nella decisione impugnata né la loro capacità di restringere la concorrenza. Infatti, il mero fatto che Lenovo abbia negoziato con AMD non esclude né che Lenovo abbia ricevuto incentivi finanziari assoggettati alle condizioni di ritardare il lancio di prodotti muniti di CPU AMD e di rifornirsi esclusivamente presso la ricorrente, né che tali incentivi abbiano inciso sulle decisioni commerciali di Lenovo (v. punti 530 e 1089 infra). |
417 |
I punti da 72 a 82 dell’Elenco riguardano documenti che, secondo la ricorrente, sarebbero stati rilevanti per dimostrare che «AMD e Intel si facevano concorrenza per fare affari con MSH, e che AMD beneficiava di opportunità equivalenti per competere al fine di aggiudicarsi l’affare se desiderava farlo». La ricorrente ha chiesto alla Commissione di procurarsi presso AMD documenti concernenti le offerte di AMD alla società tedesca Media Markt del 2002 e del 2004, relativi all’interesse di MSH ad acquistare prodotti muniti di CPU AMD e alle corrispondenti offerte di AMD, nonché documenti relativi alle offerte di AMD ad altri dettaglianti. A tal riguardo, occorre rilevare che la circostanza che AMD abbia parimenti fatto offerte a Media Markt e la circostanza che MSH abbia preso in considerazione la possibilità di acquistare prodotti muniti di CPU AMD non rimettono in discussione né la prova dell’esistenza delle pratiche di Intel concernenti MSH menzionate nella decisione impugnata, né la loro capacità di restringere la concorrenza. Infatti, il mero fatto che AMD abbia presentato offerte a Media Markt e che MSH abbia preso in considerazione la possibilità di acquistare prodotti muniti di CPU AMD non esclude né che MSH abbia ricevuto incentivi finanziari assoggettati alla condizione che essa vendesse esclusivamente prodotti muniti di CPU Intel, né che tali incentivi abbiano inciso sulle decisioni commerciali di MSH (v. punti 530 e 1089 infra). Le offerte fatte da AMD ad altri dettaglianti non possono rimettere in discussione le conclusioni della decisione impugnata per le ragioni illustrate al punto 412 supra. |
418 |
Quanto ai dati concernenti il test AEC (punti 86 e 87 dell’Elenco), è sufficiente richiamare l’assenza di rilevanza del test AEC nella specie (v. punti da 142 a 166 supra). |
419 |
Risulta da quanto precede che nessuno dei documenti o delle categorie di documenti indicati nell’Elenco rivestiva un’importanza tale per la difesa della ricorrente da poter obbligare la Commissione ad ottenerli. |
420 |
La ricorrente si basa inoltre su documenti nuovi da essa prodotti, successivamente alla definizione della causa nello Stato del Delaware fra la stessa e AMD, in allegato alla replica, e menzionati ai punti da 298 a 304 della medesima, in quanto, secondo la ricorrente, detti documenti sono a discarico. Tali documenti non sono tuttavia idonei a rimettere in discussione il risultato al quale è pervenuta la Commissione, e non è necessario pronunciarsi in ordine alla loro ricevibilità, contestata dalla Commissione. |
421 |
A tal riguardo, occorre rilevare che il criterio di valutazione non è la questione se taluni dei documenti AMD del Delaware fossero a discarico, in quanto la questione che si pone nella specie non ha ad oggetto un diniego di consentire l’accesso al fascicolo, bensì l’obbligo della Commissione di condurre l’istruttoria in maniera diligente e imparziale. L’esistenza di un obbligo in capo alla Commissione di procurarsi determinati documenti deve essere esaminata in funzione delle condizioni definite ai punti da 374 a 382 supra, segnatamente in funzione della condizione che doveva essere probabile, nel procedimento amministrativo, che i documenti di cui trattasi avessero rivestito un’importanza considerevole per la difesa dell’impresa interessata. |
422 |
Ad abundantiam, occorre rilevare quanto segue con riferimento al contenuto di tali documenti. |
423 |
La ricorrente fa valere che si evince da tali documenti, segnatamente, che AMD non registrava successi con Dell, in quanto quest’ultima sarebbe stata preoccupata del fatto che AMD non aveva mantenuto le proprie promesse in materia di rendimento, che AMD aveva riconosciuto che Dell aveva ragioni commerciali valide per non rifornirsi presso la stessa e che Dell ha persistito nel mantenere rapporti con AMD. A tal riguardo, occorre sottolineare che la circostanza secondo la quale Dell ha potuto parimenti avere altri motivi per non rifornirsi presso AMD non esclude né la prova dell’esistenza degli sconti di esclusiva né la loro capacità di restringere la concorrenza (v. punti da 540 a 546 infra). Analogamente, il fatto che Dell abbia continuato ad intrattenere rapporti con AMD e abbia costantemente valutato la possibilità di rifornirsi presso la stessa non rimette in discussione l’esistenza di uno sconto di esclusiva (v. punto 530 infra). |
424 |
La ricorrente fa del pari valere che si evince da uno dei documenti in questione che il [riservato] di HP ha indicato a AMD che «gli insuccessi [di AMD presso HP] non avevano niente a che vedere con Intel». A tal riguardo, occorre rilevare che la Commissione ha sufficientemente dimostrato l’esistenza degli sconti di esclusiva e delle restrizioni allo scoperto, come risulta dai punti da 673 a 873 infra. Il documento menzionato da Intel può unicamente dimostrare la circostanza che HP ha negato, nel corso di una riunione con AMD, che gli insuccessi di AMD presso HP sarebbero stati collegati al comportamento di Intel. Tale circostanza non può rimettere in discussione gli elementi di prova che dimostrano chiaramente l’esistenza degli sconti di esclusiva e delle restrizioni allo scoperto. In tale contesto, occorre sottolineare che HP aveva un interesse a non comunicare a AMD le condizioni non scritte degli accordi fra la stessa e Intel. |
425 |
Analogamente, le riflessioni interne di AMD quanto alle ragioni dei suoi insuccessi nonché le e‑mail interne di AMD concernenti la qualità dei suoi prodotti e la sua reputazione non possono rimettere in discussione l’esistenza degli sconti di esclusiva e delle restrizioni allo scoperto. Esse potrebbero tutt’al più dimostrare che i clienti hanno potuto avere anche altri motivi per rifornirsi presso Intel. |
3) Sulla proporzionalità della richiesta
426 |
Occorre rilevare che la maggior parte dei punti nell’Elenco non riguarda documenti precisi, bensì categorie di documenti. |
427 |
La Commissione sottolinea giustamente che, se essa avesse accolto in toto la richiesta della ricorrente e avesse chiesto a AMD di fornire tutte le categorie di documenti enumerati nell’Elenco, AMD avrebbe potuto fornire una quantità enorme di documenti. Occorre rilevare che, secondo le asserzioni della ricorrente stessa, AMD aveva fornito circa 45 milioni di pagine di prova nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware. Se la Commissione le avesse chiesto, ad esempio, di fornire «tutti i documenti di AMD relativi ai limiti di capacità di AMD» (punti da 1 a 3 dell’Elenco), AMD avrebbe potuto fornire alla Commissione una quantità potenzialmente enorme di documenti. Lo stesso dicasi per quanto riguarda, ad esempio, «tutti i documenti di AMD concernenti le previsioni di vendita e le cifre relative alle vendite di AMD» (punti da 6 a 9 dell’Elenco), «tutti gli elementi di AMD relativi ai suoi inadempimenti in materia di consegna e design» (punti da 10 a 12, da 16 a 24, 33 e da 52 a 56 dell’Elenco), «tutti i documenti di AMD relativi alle sue prestazioni e alla percezione dei suoi clienti nel segmento impresa» (punti 13, da 37 a 43 e 57 dell’Elenco) oppure «nel segmento dei portatili» (punti da 48, 49 e 51 dell’Elenco). |
428 |
L’indagine della Commissione avrebbe potuto essere ritardata in maniera considerevole se essa avesse chiesto la produzione di tutti i documenti compresi in queste ampie categorie, studiato i documenti forniti, consentito alla ricorrente l’accesso ai medesimi e raccolto le osservazioni svolte da quest’ultima al loro riguardo. |
429 |
La Commissione poteva pertanto validamente ritenere che la richiesta di Intel, considerata nel suo insieme, fosse sproporzionata rispetto al valore aggiunto potenziale che tali documenti avrebbero potuto apportare a quelli già in suo possesso. |
430 |
La Commissione poteva parimenti prendere in considerazione la circostanza che il procedimento si trovava in una fase avanzata nel momento in cui la ricorrente le ha chiesto di procurarsi documenti supplementari e che l’adozione della decisione impugnata rischiava di essere ritardata in maniera considerevole qualora essa avesse accolto la richiesta della ricorrente. |
431 |
Come sottolineato dalla Commissione, l’argomento della ricorrente equivale a conferire all’impresa oggetto dell’indagine, piuttosto che alla Commissione, un potere discrezionale sulle modalità di impiegare risorse al fine di garantire un’applicazione efficace del diritto della concorrenza. |
432 |
Infine, occorre rammentare che, con lettera del 21 maggio 2008, a seguito di una pubblicazione on line delle memorie preparatorie redatte dalla ricorrente e AMD nell’ambito del procedimento nello Stato del Delaware, la Commissione ha chiesto sia alla ricorrente sia a AMD di farle pervenire tutti i documenti redatti o ricevuti da queste ultime e che erano citati nelle loro rispettive memorie preparatorie (v. punto 340 supra). |
433 |
Come sottolineato dalla Commissione, un’ordinanza del Tribunale del Delaware del 28 marzo 2008 indicava che tali memorie preparatorie dovevano contenere, per entrambe le parti, «i principali elementi di fatto a sostegno di ciascuno degli elementi delle loro argomentazioni o della loro difesa». |
434 |
La Commissione aveva dunque il diritto di ritenere di aver ottenuto le prove che le parti consideravano più rilevanti, sia a carico che a discarico. La Commissione, avendo chiesto a Intel e a AMD di produrre i documenti citati nelle loro rispettive memorie preparatorie, ha potuto ritenere di aver fatto il necessario per avere una visione sufficientemente completa della causa. |
435 |
In tale contesto, occorre ricordare che la questione che si pone nella specie è quella del rispetto, da parte della Commissione, del suo obbligo di istruire il fascicolo con diligenza e imparzialità (v. punto 358 supra). Poiché la Commissione ha richiesto tutti i documenti citati dalla ricorrente e da AMD nelle loro rispettive memorie preparatorie, non si può addebitare alla Commissione di aver condotto un’indagine parziale. |
d) Conclusione su tale censura
436 |
Risulta da tutto quanto precede che la censura relativa al diniego della Commissione di procurarsi determinati documenti di AMD deve essere respinta. Infatti, la ricorrente avrebbe dovuto tentare di ottenere da AMD l’autorizzazione a comunicare alla Commissione i documenti AMD del Delaware. La circostanza che la ricorrente non l’abbia fatto è sufficiente a respingere tale censura, in quanto le condizioni definite ai punti da 374 a 382 supra sono cumulative. Inoltre, la Commissione non era obbligata a procurarsi i documenti AMD del Delaware, in quanto non era probabile che essi avessero rivestito un’importanza considerevole per la difesa della ricorrente. La Commissione ha potuto inoltre validamente ritenere che la richiesta di Intel, considerata nel suo insieme, fosse sproporzionata rispetto al valore aggiunto potenziale che i documenti avrebbero potuto apportare rispetto a quelli già in possesso della Commissione. Non è dunque necessario esaminare la questione se la ricorrente avrebbe potuto individuare in maniera più precisa i documenti che aveva chiesto alla Commissione di procurarsi. |
D – Errori di valutazione concernenti le pratiche nei confronti dei diversi costruttori OEM e di MSH
1. Dell
[omissis]
a) Valutazione delle prove presentate nella decisione impugnata per dimostrare l’esistenza di un comunicazione di Intel a Dell che indicava che il livello degli sconti MCP era soggetto ad una condizione di esclusiva
[omissis]
3) Sugli altri argomenti della ricorrente
[omissis]
3.2) Sull’argomento secondo il quale la Commissione non può basarsi sulle proiezioni interne di un cliente per dimostrare un’infrazione ai sensi dell’articolo 82 CE
519 |
La ricorrente, sostenuta dall’ACT, fa valere che, nella decisione impugnata, la Commissione si è a torto basata sulle proiezioni interne di Dell. Secondo la ricorrente, l’affermazione secondo la quale Dell era convinta che il livello degli sconti MCP fosse fondato sul suo status di venditore esclusivo di Intel è giuridicamente irrilevante in virtù del principio della certezza del diritto. La responsabilità dell’impresa in posizione dominante non può essere fondata su quello che i suoi clienti credevano. In udienza, la ricorrente ha precisato a tal riguardo, in sostanza, che è impossibile desumere l’esistenza di un comportamento proprio della ricorrente basandosi su proiezioni interne di un cliente, in quanto tali proiezioni potrebbero essere irragionevoli. |
520 |
L’ACT ha fatto valere, in udienza, che il fatto che la Commissione abbia fondato la sua teoria dell’esistenza di un abuso su valutazioni interne di Dell è confermato dalla circostanza secondo la quale il comportamento della ricorrente non è mutato né all’inizio del periodo dell’infrazione di cui alla decisione impugnata né alla fine del medesimo. Secondo l’ACT, la Commissione, per determinare l’inizio e la fine del periodo dell’infrazione, si è fondata unicamente sull’inizio e sulla fine dell’esistenza di speculazioni interne in seno a Dell in ordine alle conseguenze di una decisione di rifornirsi parzialmente presso AMD. Interrogata sul proprio argomento dal Tribunale, l’ACT ha precisato di non sostenere che la durata dell’infrazione considerata nella decisione impugnata doveva essere ridotta, ma soltanto che la teoria dell’esistenza di un abuso elaborata dalla Commissione poggiava su speculazioni interne di Dell. |
521 |
Occorre rilevare che, nella presente causa, in assenza di una condizione formale di esclusiva, la Commissione si è basata su proiezioni interne di Dell per stabilire che la ricorrente ha de facto segnalato a Dell, nel periodo di cui trattasi, che il livello degli sconti MCP era soggetto ad una condizione del genere. Tale approccio, mediante il quale la Commissione ha tenuto conto delle aspettative di un cliente della ricorrente unicamente al fine di dimostrare un comportamento proprio della ricorrente, non può essere criticato. |
522 |
È vero che, nella sentenza della Corte Deutsche Telekom, citata al punto 98 supra (punti 198 e 202), e nella sentenza TeliaSonera, citata al punto 88 supra (punti 41 e 44), la Corte ha confermato che, per valutare la correttezza della politica in materia di prezzi applicata da un’impresa dominante, occorre, in linea di principio, fare riferimento a criteri relativi ai prezzi basati sui costi sostenuti dall’impresa dominante stessa, e che un tale approccio è tanto più giustificato in quanto risulta parimenti conforme al principio generale della certezza del diritto, considerato che la valutazione dei costi e dei prezzi dell’impresa dominante consente a quest’ultima di valutare la legittimità della propria condotta. |
523 |
Tuttavia, tale giurisprudenza, la quale limita i criteri giuridici che possono essere presi in considerazione in sede di valutazione della correttezza di una politica dei prezzi, non impedisce alla Commissione di basarsi, sul piano fattuale, sulle aspettative interne di un cliente al fine di dimostrare un comportamento proprio dell’impresa in posizione dominante. Nella specie, la critica giuridica dell’esistenza di un abuso di posizione dominante poggia sulla circostanza secondo la quale la ricorrente ha applicato un sistema di sconti il cui livello era assoggettato de facto ad una condizione di esclusiva. Tale critica poggia dunque esclusivamente su un comportamento proprio della ricorrente, del quale essa doveva essere a conoscenza. Per contro, esso non poggia sulle proiezioni interne di Dell, delle quali la Commissione si è servita unicamente al fine di fornire la prova fattuale della pratica in questione. |
524 |
Per le stesse ragioni, occorre respingere l’argomento dell’ACT secondo il quale la Commissione, per determinare l’inizio e la fine del periodo dell’infrazione, si è fondata unicamente sull’inizio e sulla fine dell’esistenza di speculazioni interne in seno a Dell sulle conseguenze di una decisione di rifornirsi parzialmente presso AMD. Infatti, dato che, nella decisione impugnata, la Commissione ha messo in discussione un comportamento proprio della ricorrente, nulla ostava a che essa si basasse sulle proiezioni interne di Dell per determinare il momento iniziale e finale di tale comportamento. |
525 |
Infine, occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale è impossibile desumere l’esistenza di un comportamento proprio della ricorrente basandosi sulle proiezioni interne di un cliente, in quanto tali proiezioni potrebbero essere irragionevoli. È vero che, in linea di principio, la ricorrente è legittimata a confutare la prova fornita dalla Commissione nella decisione impugnata, dimostrando che le proiezioni interne di Dell, sulla base delle quali la Commissione ha desunto l’attuazione di uno sconto di esclusiva da parte della ricorrente, erano irragionevoli, e che esse non sono pertanto state causate dal comportamento della ricorrente. Tuttavia, nella specie, la ricorrente non ha dimostrato tale fatto. Al contrario, il fatto che le proiezioni interne di Dell coincidano con il contenuto dei documenti interni di Intel e con quello della e‑mail del 7 dicembre 2004 (v. punti da 505 a 515 supra) conferma che tali proiezioni non erano irragionevoli, bensì poggiavano appunto su quanto la ricorrente aveva segnalato a Dell. |
3.3) Sull’argomento secondo il quale la Commissione dovrebbe dimostrare che gli sconti MCP sarebbero effettivamente stati ridotti in maniera sproporzionata qualora Dell avesse deciso di rifornirsi parzialmente presso AMD
526 |
La ricorrente fa valere, in sostanza, che la Commissione si è erroneamente astenuta dal dimostrare che gli sconti MCP sarebbero effettivamente stati ridotti in maniera sproporzionata qualora Dell avesse deciso di rifornirsi parzialmente presso AMD. In particolare, i documenti interni di Dell non terrebbero conto delle modifiche effettivamente apportate agli sconti di Dell. Piuttosto, essi conterrebbero ipotesi in merito a ciò che sarebbe potuto succedere se Dell avesse deciso di rifornirsi presso AMD. |
527 |
Occorre rilevare che la capacità anticoncorrenziale di uno sconto di esclusiva poggia sul fatto che esso è idoneo ad indurre il cliente ad un approvvigionamento esclusivo (v., in tal senso, sentenza Hoffmann‑La Roche, cit. al punto 71 supra, punto 90, e sentenza della Corte British Airways, cit. al punto 74 supra, punto 62). Orbene, l’esistenza di un siffatto incentivo non dipende dalla questione se lo sconto sia effettivamente ridotto o soppresso in caso di violazione della condizione di esclusiva alla quale è assoggettata la sua concessione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale Tomra, cit. al punto 72 supra, punto 300). Infatti, è sufficiente, al riguardo, che l’impresa dominante dia al cliente l’impressione che ciò si verificherebbe.. Ciò che conta sono le circostanze che il cliente doveva aspettarsi nel momento in cui ha effettuato gli ordini, in conformità di quanto gli è stato segnalato dall’impresa in posizione dominante, e non la reazione effettiva di quest’ultima alla decisione del cliente di cambiare la propria fonte di approvvigionamento. [omissis] |
3.6) Sull’argomento secondo il quale Dell si sarebbe rifornita esclusivamente presso la ricorrente per ragioni del tutto indipendenti da qualsivoglia timore di una riduzione sproporzionata degli sconti in caso di approvvigionamento presso AMD
539 |
La ricorrente fa valere che Dell si è rifornita esclusivamente presso la stessa per ragioni del tutto indipendenti da qualsivoglia timore di una riduzione sproporzionata degli sconti in caso di approvvigionamento presso AMD. In primo luogo, Dell avrebbe scelto di acquistare CPU in via esclusiva presso Intel a causa del suo modello commerciale a basso costo e del costo inferiore di un approvvigionamento esclusivo presso Intel. In secondo luogo, Dell avrebbe ritenuto che i CPU Intel fossero, in generale, di qualità superiore rispetto a quella dei CPU AMD, e che Intel fosse dotata di capacità superiori quale fornitore. In terzo luogo, Dell avrebbe nutrito preoccupazioni per quanto riguarda «la sostenibilità della tabella di marcia [di AMD] e la salute dell’ecosistema dei chipsets [di AMD]». In quarto luogo, Dell avrebbe dubitato dell’affidabilità di AMD quale fornitore. In quinto luogo, Dell avrebbe concluso nel senso che il fatto di rifornirsi presso AMD avrebbe comportato considerevoli problemi di logistica. In sesto luogo, Dell avrebbe nutrito preoccupazioni quanto all’incapacità di AMD di soddisfare le sue richieste di volumi elevati. |
540 |
A tal riguardo è giocoforza constatare, in primo luogo, che gli argomenti della ricorrente sono inoperanti nella parte in cui sono intesi a confutare la prova del fatto che la ricorrente ha segnalato a Dell che il livello degli sconti MCP era assoggettato ad una condizione di esclusiva. |
541 |
Infatti, con i suoi argomenti, la ricorrente si adopera per spiegare l’esistenza di un rapporto di esclusiva fra la stessa e Dell nel periodo in questione, richiamando ragioni diverse dalla concessione degli sconti di esclusiva. Orbene, nella decisione impugnata, la Commissione non ha desunto l’esistenza degli sconti di esclusiva dalla mera esistenza di un rapporto di esclusiva fra la ricorrente e Dell, cosicché, per confutare tale prova, la ricorrente avrebbe potuto limitarsi a fornire una spiegazione alternativa. Al contrario, basandosi, in particolare, sui documenti interni di Intel e di Dell, nonché sulla risposta di Dell in forza dell’articolo 18 e sulla e‑mail del 7 dicembre 2004, la Commissione ha dimostrato con prove precise e concordanti che la ricorrente ha segnalato a Dell che il livello degli sconti MCP era soggetto ad una condizione di approvvigionamento esclusivo (v. punti da 446 a 515 supra). Gli argomenti della ricorrente concernenti gli asseriti motivi indipendenti di Dell per il suo approvvigionamento esclusivo non riguardano tuttavia direttamente le prove accolte nella decisione impugnata. Piuttosto, essi si limitano a rimetterli in discussione indirettamente, offrendo una spiegazione alternativa per l’esistenza di un rapporto di esclusiva fra la ricorrente e Dell nel periodo in questione. Una siffatta contestazione indiretta non può affatto bastare a confutare il valore probatorio degli elementi di prova accolti nella decisione impugnata. |
542 |
Inoltre, si evince dalla giurisprudenza che, quando la Commissione si basa su elementi di prova che risultano sufficienti, in linea di principio, a dimostrare l’esistenza dell’infrazione, l’impresa interessata non può limitarsi ad evocare la possibilità che si sia verificata una circostanza atta a pregiudicare il valore probatorio di tali elementi di prova affinché la Commissione sia tenuta a dimostrare che detta circostanza non poteva comportare tale conseguenza. Al contrario, salvo che la prova in questione non possa essere fornita dall’impresa interessata a causa del comportamento della stessa Commissione, incombe all’impresa interessata dimostrare in misura giuridicamente sufficiente, da un lato, l’esistenza della circostanza da essa invocata e, dall’altro, che tale circostanza mette in discussione il valore probatorio degli elementi di prova sui quali si basa la Commissione (v. sentenza E.ON Energie/Commissione, cit. al punto 67 supra, punto 56). |
543 |
Orbene, è giocoforza constatare che, fornendo una spiegazione alternativa per l’esistenza di un rapporto di esclusiva fra la ricorrente e Dell, la ricorrente non rimette in discussione il fatto che il livello degli sconti MCP fosse soggetto ad una condizione di esclusiva. Anche supponendo che la ricorrente riesca a dimostrare che Dell si è rifornita presso la stessa unicamente per i motivi da essa invocati, tale circostanza non metterebbe in discussione il valore probatorio degli elementi di prova sui quali la Commissione si è fondata al fine di dimostrare l’esistenza di uno sconto di esclusiva. Infatti, la prova presa in considerazione dalla ricorrente consentirebbe unicamente di confutare il nesso di causalità fra lo sconto di esclusiva, la cui esistenza è stata dimostrata sufficientemente nella decisione impugnata, e la decisione di Dell di rifornirsi esclusivamente presso la ricorrente. Essa non consentirebbe tuttavia di confutare l’esistenza di uno sconto di esclusiva in quanto tale. |
544 |
Ne consegue che gli argomenti della ricorrente sono inoperanti nella parte in cui sono intesi a confutare la prova del fatto che la ricorrente ha segnalato a Dell che il livello degli sconti MCP era soggetto ad una condizione di esclusiva. |
545 |
In secondo luogo, occorre rilevare che gli argomenti della ricorrente sono parimenti inoperanti nella parte in cui sono intesi a rimettere in discussione la qualificazione giuridica di pratiche abusive data agli sconti di esclusiva. A tal riguardo occorre rammentare che, per qualificare come abusivo uno sconto di esclusiva, non occorre la dimostrazione né di un effetto concreto sul mercato né di un nesso di causalità (v. punti 103 e 104 supra). Uno sconto del genere è illegittimo in ragione della sua capacità di restringere la concorrenza. Anche ammesso che la ricorrente sia riuscita a confutare l’esistenza di un nesso di causalità fra la concessione degli sconti di esclusiva e la decisione di Dell di rifornirsi esclusivamente presso la stessa, ciò non rimetterebbe in discussione la capacità inerente agli sconti MCP di restringere la concorrenza. Infatti, ogni vantaggio finanziario la cui concessione è assoggettata ad una condizione di esclusiva è necessariamente idoneo ad indurre il cliente ad un approvvigionamento esclusivo, senza che rilevi sapere se il cliente si sarebbe rifornito esclusivamente presso l’impresa dominante anche in assenza di uno sconto di esclusiva. |
546 |
Pertanto, occorre concludere nel senso che sono inoperanti gli argomenti della ricorrente concernenti l’esistenza di altre ragioni per le quali Dell si è rifornita esclusivamente presso la stessa nel periodo di cui alla decisione impugnata. Essi non sono neanche in grado di confutare la prova dell’esistenza di uno sconto di esclusiva, né la sua qualificazione giuridica come abusivo. Di conseguenza, tali argomenti devono essere respinti senza che occorra esaminarne la fondatezza e pronunciarsi sulla questione se la ricorrente abbia sufficientemente dimostrato che Dell si è rifornita esclusivamente presso la stessa unicamente per ragioni diverse dall’esistenza di uno sconto di esclusiva. [omissis] |
b) Riunione con il sig. D1 di Dell
1) Argomenti delle parti e procedimento
601 |
La ricorrente fa valere che la Commissione, omettendo di redigere un verbale adeguato della riunione tenutasi il 23 agosto fra i membri dei servizi della Commissione e il [riservato], sig. D1, è incorsa in una violazione dei suoi diritti della difesa. La Commissione avrebbe ammesso l’organizzazione di tale riunione solo dopo che la ricorrente le avrebbe dimostrato l’esistenza dell’elenco indicativo dei temi, negando contestualmente l’avvenuta redazione di un verbale. Qualche mese più tardi, il consigliere-auditore avrebbe ammesso l’esistenza della nota interna, dichiarando al contempo che si trattava di un documento interno al quale la ricorrente non aveva il diritto di accedere. La Commissione avrebbe infine trasmesso «per cortesia» ad Intel, il 19 dicembre 2008, una copia della nota interna, molti passaggi della quale erano stati omessi. |
602 |
Secondo la ricorrente, discende sia dall’elenco indicativo dei temi sia dalla nota interna che la riunione fra la Commissione e il sig. D1 ha avuto ad oggetto questioni chiave concernenti Dell. Sarebbe probabile che il sig. D1 abbia fornito elementi in grado di discolpare Intel. [omissis] |
2) Giudizio del Tribunale
[omissis]
2.1) Sull’esistenza di un’irregolarità procedurale
612 |
Per quanto attiene alla questione se un vizio della Commissione abbia inficiato il procedimento amministrativo, occorre rilevare, in primo luogo, che la Commissione non ha violato l’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004. Infatti, la Commissione non era tenuta ad organizzare la riunione con il sig. D1 come interrogatorio formale ai sensi di queste ultime disposizioni. |
613 |
L’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 prevede che la Commissione possa sentire ogni persona fisica o giuridica che vi acconsenta ai fini della raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine. L’articolo 3 del regolamento n. 773/2004 assoggetta gli interrogatori fondati su quest’ultima disposizione al rispetto di talune formalità. Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 773/2004, la Commissione deve indicare, all’inizio del colloquio, la base giuridica e la finalità dello stesso e ricordarne la natura facoltativa. Essa informa inoltre la persona sentita qualora intenda effettuare una registrazione del colloquio. Ai sensi del paragrafo 3 del suddetto articolo, la Commissione può registrare in qualsiasi forma le dichiarazioni rese dalle persone sentite. Una copia dell’eventuale registrazione viene messa a disposizione della persona sentita per l’approvazione. All’occorrenza la Commissione può stabilire il termine entro il quale la persona sentita può comunicare eventuali correzioni da apportare alla dichiarazione resa. |
614 |
Orbene, occorre rilevare che l’ambito di applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, non si estende a tutti i colloqui relativi all’oggetto di un’indagine effettuata dalla Commissione. Infatti, occorre distinguere gli interrogatori formali effettuati dalla Commissione in forza delle suddette disposizioni dai colloqui informali. Le esigenze pratiche del buon funzionamento dell’amministrazione nonché l’interesse di una protezione efficace delle regole di concorrenza giustificano il fatto che la Commissione disponga della possibilità di effettuare colloqui che non sono soggetti alle formalità previste dall’articolo 3 del regolamento n. 773/2004. Sia ragioni di economia processuale sia i potenziali effetti deterrenti che un interrogatorio formale può esplicare sulla propensione di un testimone a fornire informazioni ostano all’esistenza di un obbligo generale della Commissione di assoggettare tutti i colloqui alle formalità previste dall’articolo 3 del regolamento n. 773/2004. Se la Commissione intende utilizzare nella sua decisione un elemento a carico comunicatole in un colloquio informale, essa deve renderlo accessibile alle imprese destinatarie della comunicazione degli addebiti, redigendo eventualmente a questo scopo un documento scritto destinato a comparire nel fascicolo (v., in tal senso, sentenze del Tribunale Atlantic Container Line e a./Commissione, cit. al punto 359 supra, punto 352, e del 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, T-38/02, Racc. pag. II-4407, punto 67). Tuttavia, la Commissione può servirsi di informazioni ottenute nel corso di un colloquio informale, segnatamente per ottenere elementi di prova più solidi, non rendendo al contempo accessibili all’impresa di cui trattasi le informazioni ottenute nel corso di un colloquio informale. |
615 |
Si evince dal testo dell’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003, ai sensi del quale la Commissione «può sentire» una persona «ai fini della raccolta di informazioni relative all’oggetto di un’indagine», che la Commissione gode di un potere discrezionale per decidere se assoggettare un colloquio ai requisiti formali previsti dall’articolo 3 del regolamento n. 773/2004. Tale interpretazione del testo è confermata dall’obiettivo dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004. Discende dall’obbligo della Commissione di mettere a disposizione della persona sentita per l’approvazione una copia dell’eventuale registrazione che le formalità previste dall’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, oltre a tutelare la persona sentita, mirano soprattutto ad aumentare l’affidabilità delle dichiarazioni ottenute. In tal senso, dette disposizioni non si applicano a tutti i colloqui relativi all’oggetto di un’indagine, bensì unicamente ai casi in relazione ai quali la Commissione persegue l’obiettivo di raccogliere informazioni, sia a carico che a favore, sulle quali essa potrà basarsi quali elementi di prova nella sua decisione che chiude una determinata indagine. Per contro, tali disposizioni non sono intese a restringere la possibilità della Commissione di ricorrere a colloqui informali. |
616 |
Tale interpretazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, si evince anche dal considerando 25 del regolamento n. 1/2003. Esso rileva che, poiché diventa sempre più difficile individuare le infrazioni alle regole di concorrenza, per far sì che la concorrenza sia efficacemente tutelata, è necessario ampliare i poteri di indagine della Commissione. Tale considerando rileva inoltre che la Commissione dovrebbe in particolare avere la facoltà di sentire chiunque possa disporre di informazioni utili e di verbalizzarne le dichiarazioni. L’obiettivo dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 consiste dunque nell’«ampliare» gli altri poteri di indagine della Commissione e nell’accordarle la «facoltà» di sentire e verbalizzare. Tuttavia, la suddetta disposizione non mira a restringere il ricorso, da parte della Commissione, a pratiche informali, imponendole un obbligo generale di assoggettare tutti i colloqui che vertono su informazioni relative all’oggetto di un’indagine ai requisiti formali di cui all’articolo 3 del regolamento n. 773/2004 e di mettere una registrazione a disposizione dell’impresa accusata. |
617 |
Tale interpretazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, non significa che la Commissione possa decidere in maniera arbitraria, durante un colloquio, quali informazioni verbalizzare. Infatti, si evince dall’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 773/2004 che, qualora la Commissione proceda ad un interrogatorio ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, essa deve, all’inizio del colloquio, indicare alla persona sentita la base giuridica e la finalità dello stesso, nonché la sua intenzione di registrarlo. Ne consegue che la Commissione deve decidere, all’inizio di ogni colloquio, se desidera procedere ad un interrogatorio formale. Qualora la Commissione decida, con il consenso della persona sentita, di procedere ad un siffatto interrogatorio, essa non può astenersi dal registrarne taluni aspetti. Piuttosto, in tal caso essa è tenuta a registrare l’interrogatorio nella sua integralità, ciò non togliendo che la prima frase dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 773/2004 lascia la Commissione libera di scegliere la forma della registrazione. Tuttavia, nella specie, la Commissione ha rilevato, senza essere contraddetta sul punto dalla ricorrente, che la riunione non aveva avuto come scopo la raccolta delle prove sotto forma di un resoconto controfirmato o di dichiarazioni ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, bensì unicamente la verifica dell’eventuale esistenza di indizi sufficienti di violazioni del diritto della concorrenza concernenti le pratiche commerciali di Intel nei confronti di Dell e la considerazione di nuove misure di istruzione nei confronti di Dell. La riunione fra i servizi della Commissione e il sig. D1 non costituiva pertanto un interrogatorio formale ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003. |
618 |
Poiché la riunione fra i servizi della Commissione e il sig. D1 non costituiva un interrogatorio formale ai sensi dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003 e la Commissione non era neanche tenuta a procedere ad un siffatto interrogatorio, l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004 non è applicabile nella specie, cosicché l’argomento attinente ad un’asserita violazione delle formalità prescritte da quest’ultima disposizione è inoperante. |
619 |
In secondo luogo, per quanto riguarda il principio di buona amministrazione sancito dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, si evince da una giurisprudenza costante che tale principio impone l’obbligo per l’istituzione competente di esaminare, con cura ed imparzialità, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie (sentenze del Tribunale Atlantic Container Line e a./Commissione, cit. al punto 359 supra, punto 404, e del 22 marzo 2012, Slovak Telekom/Commissione, T‑458/09 e T‑171/10,punto 68). Se non sussiste alcun obbligo generale, per la Commissione, di redigere registrazioni delle discussioni avute con i denuncianti o con altre parti nel corso di riunioni o di colloqui telefonici con esse (v., in tal senso, sentenze Atlantic Container Line e a./Commissione, cit. al punto 359 supra, punti 351 e 385, e Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 614 supra, punto 66), ciò non toglie che il principio di buona amministrazione possa, in funzione delle particolari circostanze del caso di specie, imporre alla Commissione un obbligo di verbalizzare le dichiarazioni da essa ricevute (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 15 marzo 2006, BASF/Commissione, T-15/02, Racc. pag. II-497, punto 501). |
620 |
A tal riguardo, occorre precisare che l’esistenza di un obbligo della Commissione di verbalizzare le informazioni ricevute nel corso di riunioni o di colloqui telefonici nonché la natura e la portata di un siffatto obbligo dipendono dal contenuto di tali informazioni. La Commissione è tenuta a redigere una documentazione adeguata, nel fascicolo al quale hanno accesso le imprese interessate, sugli aspetti essenziali relativi all’oggetto di un’indagine. Tale conclusione vale per tutti gli elementi che rivestono una certa importanza e presentano un collegamento oggettivo con l’oggetto di un’indagine, a prescindere dal loro carattere incriminatorio o a discarico. |
621 |
Nella specie, si evince segnatamente dalla nota interna che i temi affrontati nel corso della riunione non riguardavano questioni meramente formali, quali, ad esempio, la riservatezza di taluni dati, bensì questioni che presentavano un collegamento oggettivo con il merito dell’indagine. Inoltre, il sig. D1 era uno dei più alti dirigenti del cliente più importante di Intel. Infine, come è stato rilevato da Intel in udienza e nelle sue osservazioni del 6 marzo 2013, la riunione è durata cinque ore. Tali circostanze conferivano alla riunione un’importanza che imponeva alla Commissione un obbligo di acquisire agli atti almeno una nota succinta contenente, fatte salve eventuali richieste di riservatezza, il nome dei partecipanti, nonché un breve riassunto dei temi affrontati. Poiché la Commissione si è astenuta dal redigere un siffatto documento destinato a figurare nel fascicolo al quale la ricorrente avrebbe potuto chiedere l’accesso, è giocoforza constatare che essa è incorsa in una violazione del principio di buona amministrazione. |
622 |
Tuttavia, mettendo a disposizione della ricorrente, nel procedimento amministrativo, la versione non riservata della nota interna e offrendole la possibilità di presentare i suoi commenti in relazione a tale documento, la Commissione ha rimediato a tale lacuna iniziale del procedimento amministrativo, cosicché quest’ultimo non è viziato da illegittimità. Il fatto che la nota interna sia stata redatta allo scopo di fungere da promemoria ai membri dei servizi della Commissione e che solo una versione nella quale taluni passaggi sono stati oscurati è stata trasmessa alla ricorrente non rimette in discussione tale conclusione. Infatti, la versione della nota interna che è stata trasmessa alla ricorrente nel procedimento amministrativo contiene le informazioni che la Commissione avrebbe dovuto verbalizzare in un documento destinato a figurare nel fascicolo al quale la ricorrente avrebbe potuto richiedere l’accesso. Essa contiene il nome dei partecipanti nonché un breve riassunto dei temi affrontati. |
623 |
In terzo luogo, deve essere respinto l’argomento della ricorrente, sollevato nelle sue osservazioni del 6 marzo 2013, secondo il quale la Commissione, astenendosi dal rivelarle, nel corso del procedimento amministrativo, anche le parti della nota interna trattate come riservate, ha commesso un’irregolarità procedurale. Infatti, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 e dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 773/2004, il diritto di accesso al fascicolo non si estende ai documenti interni della Commissione. Tale restrizione è giustificata dalla necessità di garantire il buon funzionamento dell’istituzione interessata nel settore della repressione delle violazioni alle regole di concorrenza del Trattato (v., in tal senso, sentenza Atlantic Container Line e a./Commissione, cit. al punto 359 supra, punto 394). La nota concernente la riunione fra la Commissione e il sig. D1 costituisce un documento di natura interna esente dal diritto all’accesso al fascicolo. Essa contiene informazioni provenienti da fonti diverse dal sig. D1, nonché valutazioni e conclusioni personali del suo autore (v. parimenti i considerando 108 e 109 della decisione del Mediatore). Di conseguenza, la Commissione non era obbligata a comunicare alla ricorrente le parti oscurate della nota interna. |
624 |
È vero che, nella presente causa, la comunicazione alla ricorrente della versione non riservata della nota interna ha consentito alla Commissione di porre rimedio alla lacuna iniziale del procedimento amministrativo, risultante dal fatto che la Commissione si era astenuta dal redigere una nota concernente la sua riunione con il sig. D1, destinata a figurare nel fascicolo al quale la ricorrente avrebbe potuto chiedere l’accesso. Tuttavia, tale regolarizzazione del procedimento amministrativo non esigeva la comunicazione alla ricorrente dell’integralità della nota interna. Dal momento che la versione della nota interna trasmessa alla ricorrente costituiva unicamente il sostituto della nota che avrebbe dovuto figurare nel fascicolo e che essa conteneva le informazioni che la Commissione avrebbe dovuto verbalizzare in tale nota, la Commissione non era tenuta ad accordare alla ricorrente un accesso più esteso alla nota interna. |
625 |
Risulta da tutto quanto precede che il procedimento amministrativo non è viziato da irregolarità. |
2.2) Sulle eventuali conseguenze di un’irregolarità procedurale sulla legittimità della decisione impugnata
i) Osservazioni preliminari
626 |
Ad abundantiam, occorre verificare se un’ipotetica irregolarità del procedimento amministrativo che risulterebbe da una violazione dell’articolo 19 del regolamento n. 1/2003, in combinato disposto con l’articolo 3 del regolamento n. 773/2004, da una mancata regolarizzazione dell’infrazione al principio di buona amministrazione o da una violazione del diritto di accesso al fascicolo potrebbe avere ripercussioni sulla legittimità della decisione impugnata. A tal riguardo, occorre rilevare che un’irregolarità procedurale può condurre all’annullamento della decisione impugnata solo in quanto sia tale da influire concretamente sui diritti della difesa della ricorrente e, di conseguenza, sul contenuto della predetta decisione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 9 settembre 2008, Bayer CropScience e a./Commissione, T-75/06, Racc. pag. II-2081, punto 131). Lo stesso avviene qualora l’irregolarità consista in una violazione del principio di buona amministrazione (v., in tal senso, sentenza della Corte del 3 dicembre 2009, Evropaïki Dynamiki/Commissione, C‑476/08 P, non pubblicata nella Raccolta, punto 35). |
627 |
Per quanto riguarda una violazione del diritto di accesso al fascicolo, si evince dalla giurisprudenza che, qualora l’accesso agli atti e, più in particolare, a documenti a discarico venga concesso nella fase del procedimento giurisdizionale, l’impresa interessata non deve dimostrare che, se essa avesse avuto accesso ai documenti non forniti, la decisione della Commissione avrebbe avuto un contenuto differente, ma soltanto che detti documenti avrebbero potuto essere utili per la sua difesa (v. sentenza della Corte del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C-110/10 P, Racc. pag. I-10439, punto 52 e giurisprudenza ivi citata). In un’ipotesi del genere, incombe all’impresa interessata fornire un primo indizio dell’utilità, ai fini della sua difesa, dei documenti non comunicati (v., in tal senso, sentenza Heineken Nederland e Heineken/Commissione, cit. al punto 352 supra, punto 256). A tal riguardo, qualora la Commissione si fondi su prove documentali dirette per accertare un’infrazione, l’impresa deve dimostrare che elementi rimasti inaccessibili nel corso del procedimento amministrativo contraddicono il tenore di tali prove o, quanto meno, offrono di esse una luce diversa (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. al punto 353 supra, punto 133). |
628 |
Nei limiti in cui la ricorrente sostiene che la Commissione, astenendosi dal trasmetterle i passaggi della nota interna che erano stati trattati in modo riservato nel procedimento amministrativo, ha violato i suoi diritti della difesa, tale giurisprudenza è direttamente applicabile al caso di specie. Dal momento che la versione integrale della nota interna è stata comunicata alla ricorrente in sede giurisdizionale, essa poteva fornire un primo indizio dell’utilità, per la sua difesa, degli elementi ripresi nei passaggi trattati in precedenza come riservati. |
629 |
Per il resto, in quanto la ricorrente addebita alla Commissione di non aver redatto un verbale adeguato della riunione, è giocoforza constatare che, perlomeno nelle circostanze del caso di specie, i criteri rilevanti al fine di esaminare la questione se un’eventuale irregolarità procedurale concernente tale aspetto sia idonea a incidere concretamente sui diritti della difesa della ricorrente sono identici a quelli richiesti dalla giurisprudenza relativa all’accesso al fascicolo. La ricorrente deve pertanto fornire un primo indizio del fatto che la Commissione si è astenuta dal verbalizzare elementi a discarico che contraddicono il tenore delle prove documentali dirette sulle quali la Commissione si è fondata nella decisione impugnata o, quanto meno, offrono di esse una luce diversa. Non è tuttavia sufficiente che un’ipotesi del genere non possa essere esclusa. |
630 |
Infatti, nella presente causa, anche in assenza del verbale rivendicato dalla ricorrente, il contenuto del colloquio fra la Commissione e il sig. D1 può essere ricostruito sufficientemente a partire da altre fonti, ossia, segnatamente, la nota interna e un documento contenente risposte scritte di Dell a quesiti orali posti al sig. D1 durante la riunione (in prosieguo: il «documento di accompagnamento»). Tale circostanza distingue la presente causa da quella sfociata nella sentenza Solvay/Commissione, citata al punto 627 supra (punti da 61 a 63), invocata dalla ricorrente in udienza e nelle sue osservazioni successive, nella quale la Corte ha concluso nel senso di una violazione dei diritti della difesa risultante dal fatto che la Commissione, dopo aver negato alla ricorrente l’accesso al fascicolo nel corso del procedimento amministrativo, aveva perso un certo numero di sottofascicoli interi il cui contenuto non poteva essere ricostruito, cosicché non poteva escludersi che tali sottofascicoli avessero potuto contenere elementi a discarico che avrebbero potuto risultare rilevanti ai fini della difesa della ricorrente. |
631 |
La conclusione secondo la quale la nota interna costituisce uno degli elementi a partire dai quali il contenuto del colloquio fra la Commissione e il sig. D1 può essere ricostruito non viene rimessa in discussione dalla funzione della nota interna, consistente nel fungere da promemoria alla Commissione. Infatti, in quanto tale, la nota interna perseguiva un duplice obiettivo. Da un lato, essa mirava a fissare in maniera obiettiva le circostanze che rivestivano importanza per la Commissione in quanto autorità responsabile dell’istruttoria. In tal senso, essa perseguiva obiettivi propri di una documentazione di natura obiettiva. Dall’altro, la nota interna consentiva ai membri dei servizi della Commissione che avevano partecipato alla riunione di conservare le loro valutazioni soggettive. Tuttavia, tali valutazioni soggettive integrano la documentazione obiettiva contenuta nella nota interna e non la rimettono in discussione. Inoltre, poiché la nota è stata redatta come un promemoria destinato ad essere utilizzato soltanto a fini interni dalla Commissione, non vi è alcuna ragione per pensare che essa ignori una discussione che ha certamente avuto luogo. [omissis] |
2. HP
[omissis]
a) Sugli sconti di esclusiva
1) Valutazione delle prove della condizionalità degli sconti presentate nella decisione impugnata
[omissis]
1.1) Risposta di HP ai sensi dell’articolo 18
(omissis)
ii) Valore probatorio
Sull’affidabilità inerente alla risposta di HP ai sensi dell’articolo 18
680 |
Occorre rilevare che la risposta di HP in forza dell’articolo 18 indica espressamente e inequivocabilmente che gli accordi HPA erano assoggettati a talune condizioni non scritte, inter alia la condizione del 95%. |
681 |
Occorre sottolineare che HP era un’impresa terza, ossia né la denunciante né un’impresa oggetto dell’indagine della Commissione. |
682 |
Occorre inoltre rilevare che, nella specie, non risulta che HP abbia avuto un qualsivoglia interesse a fornire a tal riguardo informazioni inesatte alla Commissione e ad accusare a torto Intel. |
683 |
In tale contesto, occorre sottolineare che è possibile che un cliente di un’impresa in posizione dominante oggetto di un’indagine abbia interesse a non divulgare un comportamento illegittimo di quest’ultima per timore di eventuali rappresaglie. In tal senso, nella sentenza della Corte BPB Industries e British Gypsum, citata al punto 89 supra (punto 26), quest’ultima ha segnalato la possibilità che un’impresa in posizione dominante possa adottare misure di ritorsione nei confronti dei clienti che hanno collaborato all’istruzione condotta dalla Commissione, e ne ha concluso che la Commissione poteva trattare come riservate le risposte a richieste di informazioni. |
684 |
Tuttavia, un cliente di un’impresa in posizione dominante non ha in genere alcun interesse ad accusare quest’ultima a torto di un comportamento anticoncorrenziale. Al contrario, il cliente di un’impresa in posizione dominante che accusa a torto quest’ultima di un comportamento anticoncorrenziale nell’ambito di un’indagine della Commissione corre il rischio di esporsi a misure di ritorsione da parte di tale impresa. |
685 |
Nella specie, è estremamente improbabile che HP, per la quale Intel era un partner commerciale irrinunciabile, abbia fornito informazioni inesatte alla Commissione, la quale poteva servirsene per accertare un’infrazione all’articolo 82 CE da parte di Intel. [omissis] |
690 |
Occorre inoltre rilevare che, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1/2003, informazioni inesatte fornite da un’impresa sono passibili di ammenda. Fornendo informazioni inesatte alla Commissione, HP avrebbe dunque parimenti rischiato l’irrogazione di un’ammenda da parte della Commissione. |
691 |
Infine, come è stato ricordato al punto 557 supra, risulta dalla giurisprudenza che le risposte date a nome di un’impresa in quanto tale godono di una credibilità superiore a quella che potrebbe presentare la risposta fornita da un suo dipendente (sentenza JFE, cit. al punto 62 supra, punto 205). |
692 |
Occorre dunque rilevare che le indicazioni estremamente chiare e precise di HP devono essere considerate particolarmente attendibili, in quanto HP non aveva alcun interesse a fornire informazioni inesatte che potevano essere utilizzate dalla Commissione al fine di accertare un’infrazione all’articolo 82 CE commessa da Intel, e che HP, fornendo informazioni inesatte alla Commissione, sarebbe incorsa in rischi considerevoli. [omissis] |
Importanza della risposta di HP ai sensi dell’articolo 18 al fine di dimostrare l’esistenza dei requisiti non scritti
717 |
Quanto alla questione se la risposta di HP ai sensi dell’articolo 18 possa, se del caso, bastare da sola a dimostrare l’esattezza dei fatti considerati nella decisione impugnata quanto all’esistenza dei requisiti non scritti degli accordi HPA, occorre rilevare quanto segue. |
718 |
Il principio vigente nel diritto dell’Unione è quello della libera produzione delle prove e il solo criterio pertinente per valutare le prove prodotte è quello della loro credibilità (sentenza della Corte del 25 gennaio 2007, Dalmine/Commissione, C-407/04 P, Racc. pag. I-829, punto 63). |
719 |
La giurisprudenza ha parimenti precisato, con riferimento ad un documento utilizzato come prova di un’infrazione all’articolo 81 CE, che nessun principio del diritto dell’Unione ostava a che la Commissione si basasse su un unico documento, purché il valore probatorio dello stesso non desse adito a dubbi e attestasse da solo in modo certo l’esistenza dell’infrazione in questione (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, cit. al punto 354 supra, punto 1838). |
720 |
Quanto alle infrazioni all’articolo 81 CE, la giurisprudenza ha sancito la regola secondo la quale la dichiarazione di un’impresa accusata di aver partecipato ad un’intesa, la cui esattezza viene contestata da varie altre imprese accusate, non può essere considerata una prova sufficiente dell’esistenza di un’infrazione commessa da queste ultime senza essere suffragata da altri elementi di prova (v. sentenza JFE, cit. al punto 62 supra, punto 219 e giurisprudenza ivi citata). Nella giurisprudenza è stato parimenti precisato che nel caso di un’intesa che riguarda solo due parti, la contestazione del contenuto della dichiarazione di una delle imprese da parte dell’altra impresa è sufficiente per esigere che tale dichiarazione sia confermata da altri elementi di prova (sentenza Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 614 supra, punto 285). |
721 |
Una regola del genere non deve tuttavia essere applicata parimenti alla dichiarazione di un’impresa terza, che non è né la denunciante né l’impresa oggetto dell’indagine, la quale segnali un comportamento che costituisce una violazione dell’articolo 82 CE da parte di un’altra impresa, qualora l’impresa in posizione dominante oggetto dell’indagine contraddica il contenuto di tale dichiarazione. |
722 |
A tal riguardo, occorre sottolineare che il fatto di sancire una regola generale costituisce un’eccezione al principio della libera produzione delle prove. Nel caso di un’impresa che dichiara di avere partecipato ad un’intesa contraria all’articolo 81 CE, una regola del genere è giustificata, in quanto un’impresa oggetto di un’indagine, o che compare dinanzi alla Commissione al fine di beneficiare di un’immunità o di una riduzione dell’ammenda, può avere la tendenza ad attenuare la propria responsabilità in un’infrazione e a mettere in risalto la responsabilità di altre imprese. |
723 |
La situazione è diversa per quanto concerne le dichiarazioni di un’impresa terza come HP, la quale è, in sostanza, un testimone. È vero che una siffatta impresa può, in taluni casi, avere interesse a non divulgare l’infrazione, per timore di misure di ritorsione che l’impresa in posizione dominante potrebbe adottare nei suoi confronti (v. punto 683 supra). È tuttavia estremamente improbabile che un’impresa come HP, per la quale l’impresa in posizione dominante è un partner commerciale irrinunciabile, accusi a torto quest’ultima di un comportamento che integra un’infrazione all’articolo 82 CE, qualora non sussistano circostanze eccezionali che giustifichino un interesse di tale impresa terza a procedere in tal senso. |
724 |
Non occorre pertanto stabilire una regola generale secondo la quale la dichiarazione di un’impresa terza che indichi che un’impresa in posizione dominante ha adottato un certo comportamento non può mai bastare, da sola, a dimostrare i fatti che integrano un’infrazione all’articolo 82 CE. |
725 |
In casi come quello di specie, nei quali non risulta che l’impresa terza abbia un qualsivoglia interesse ad incriminare a torto l’impresa in posizione dominante, la dichiarazione dell’impresa terza può bastare da sola, in linea di principio, a dimostrare l’esistenza di un’infrazione. |
726 |
In ogni caso, la risposta di HP ai sensi dell’articolo 18 è corroborata da numerosi altri elementi di prova, come verrà spiegato nel prosieguo. [omissis] |
3. NEC
[omissis]
4. Lenovo
[omissis]
5. Acer
[omissis]
6. MSH
[omissis]
E – Sulla prova di una strategia complessiva intesa a bloccare l’accesso di AMD ai canali di vendita più importanti
1523 |
Secondo la decisione impugnata, la ricorrente ha attuato una strategia complessiva a lungo termine intesa a bloccare l’accesso di AMD ai canali di vendita più importanti sotto il profilo strategico. Nella suddetta decisione, la Commissione ha motivato l’esistenza di tale strategia basandosi, in sostanza, sui seguenti indizi:
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1524 |
La ricorrente contesta l’esistenza di una strategia complessiva. Una conclusione del genere sarebbe erronea, in quanto essa sarebbe inconciliabile con la natura frammentaria delle affermazioni della Commissione nei confronti di ciascuno dei costruttori OEM e di MSH, per quanto attiene sia ai prodotti di cui trattasi sia al periodo in questione. La posizione della Commissione sarebbe incompatibile con le osservazioni del professor P3, il quale avrebbe negato l’esistenza di una strategia, facendo riferimento a «controindizi», e segnatamente all’aumento degli acquisti presso AMD effettuati dai costruttori OEM di cui trattasi. La Commissione non avrebbe fornito alcuna prova dell’esistenza di un piano coerente e persistente. Le e‑mail del 1998 non avrebbero fornito alcuna prova dell’esistenza di un piano coerente destinato ad escludere AMD. Infine, la ricorrente nega di aver dissimulato il carattere anticoncorrenziale delle sue pratiche. |
1525 |
In via preliminare, occorre osservare che la prova dell’esistenza di una strategia complessiva non richiede necessariamente un elemento di prova diretto che dimostri l’esistenza di un piano coerente anticoncorrenziale. Piuttosto, la Commissione può dimostrare l’esistenza di un tale piano anche tramite un insieme di indizi. |
1526 |
Per quanto riguarda, poi, gli indizi sui quali la Commissione si è basata nella decisione impugnata, occorre rilevare quanto segue. |
1527 |
Anzitutto, nella parte in cui la ricorrente fa valere un’asserita natura frammentaria delle pratiche in questione, occorre rilevare che gli indizi sui quali la Commissione si è basata nella decisione impugnata dimostrano in maniera sufficiente la coerenza di tali pratiche. |
1528 |
In primo luogo, la Commissione si è basata a buon diritto sul fatto che le infrazioni sono state coerenti nel tempo. La decisione impugnata sottolinea a tal riguardo che pratiche in questione si sono concentrate fra il 2002 e il 2005 e che, nel periodo fra il settembre 2003 e il gennaio 2004, hanno avuto luogo sei abusi individuali, ossia sconti o pagamenti condizionati nei confronti di Dell, di HP, di NEC e di MSH e restrizioni allo scoperto nei confronti di HP e di Acer. Se è vero che, per una parte del 2006, la decisione impugnata si limita ad accertare una sola pratica illegittima nei confronti di MSH e, per il resto del 2006 nonché per il 2007, unicamente pratiche illegittime nei confronti di MSH e di Lenovo, tale indebolimento dell’intensità globale del comportamento anticoncorrenziale della ricorrente verso la fine del periodo totale contestato non rimette in discussione la circostanza secondo la quale sussiste una continuità temporale fra le rispettive pratiche. Ne consegue che deve essere respinto l’argomento della ricorrente secondo il quale tali pratiche rivestivano un carattere frammentario per quanto riguarda il periodo in questione. |
1529 |
In secondo luogo, la Commissione si è giustamente basata sul carattere comparabile e complementare delle pratiche oggetto della decisione impugnata. Per contro, non persuade l’argomento della ricorrente secondo il quale la natura frammentaria delle infrazioni discende dalle differenze fra i prodotti di cui trattasi. |
1530 |
Da un lato, l’insieme delle pratiche di cui alla decisione impugnata presenta una caratteristica comune, in quanto esse avevano tutte la capacità di precludere ad AMD il mercato mondiale dei CPU x86. In tal senso, tali pratiche erano collegate fra loro, in quanto riguardavano tutte lo stesso mercato e lo stesso concorrente della ricorrente. |
1531 |
È vero che la ricorrente fa valere che le sue pratiche nei confronti di MSH si distinguono dalle sue pratiche nei confronti dei costruttori OEM, in quanto esse riguardano un distributore di prodotti elettronici che non acquista un CPU direttamente da Intel e non riceve sconti veri e propri da Intel, bensì unicamente dei contributi di marketing. Inoltre, essa addebita alla Commissione di non aver definito il mercato di prodotto né il mercato geografico rilevante in relazione alle affermazioni aventi ad oggetto MSH. |
1532 |
Tuttavia, è giocoforza constatare che tali argomenti non possono privare le pratiche della ricorrente di cui alla decisione impugnata del loro carattere comparabile e complementare. |
1533 |
A tal riguardo occorre rammentare che le pratiche della ricorrente nei confronti dei costruttori OEM e di MSH sono, in linea di principio, comparabili; la sola differenza risiede nel fatto che il pagamento di esclusiva accordato a MSH non tende a impedire l’approvvigionamento di un cliente diretto della ricorrente presso un concorrente, bensì la vendita di prodotti concorrenti da parte di un distributore situato più a valle della catena di approvvigionamento. Occorre osservare che la Commissione non era tenuta a definire un mercato di prodotto proprio o un mercato geografico proprio per quanto riguarda MSH. Infatti, le pratiche della ricorrente nei confronti di MSH hanno avuto la capacità di restringere la concorrenza sul mercato mondiale dei CPU x86. Privando i costruttori OEM di un canale di distribuzione per i computer muniti di CPU AMD, tali pratiche potevano avere ripercussioni sulla domanda di CPU AMD dei costruttori OEM sul mercato mondiale dei CPU x86. In tal senso, esse miravano a rendere più difficile l’accesso di AMD a tale mercato (v. punto 169 supra). Tale mercato costituisce dunque almeno uno dei mercati interessati dal comportamento della ricorrente nei confronti di MSH. Il fatto che la pratica della ricorrente nei confronti di MSH possa avere riguardato anche il mercato nel quale operava MSH non rimette in discussione tale conclusione. Di conseguenza, non è necessario pronunciarsi sulla questione della delimitazione corretta del mercato nel quale operava MSH. |
1534 |
Dall’altro lato, i meccanismi anticoncorrenziali delle pratiche di cui trattasi nella decisione impugnata sono complementari. Per quanto attiene, in primo luogo, alla complementarità fra gli sconti e i pagamenti di esclusiva, da un lato, e le restrizioni allo scoperto, dall’altro, la Commissione afferma giustamente, al considerando 1642 della decisione impugnata, che la portata delle restrizioni allo scoperto è più specifica di quella degli sconti e dei pagamenti di esclusiva. Infatti, le restrizioni allo scoperto hanno una durata più breve e sono concentrate su un prodotto o su una linea di prodotti specifici o su canali di distribuzione specifici, mentre gli accordi di esclusiva hanno una durata più lunga e coprono almeno segmenti commerciali interi. In tal senso, nell’ambito della strategia complessiva, le restrizioni allo scoperto costituiscono operazioni tattiche intese a bloccare l’accesso di AMD a prodotti o a canali di distribuzione ben individuati, mentre gli sconti e i pagamenti di esclusiva costituiscono strumenti più strategici intesi a bloccare l’accesso di AMD a segmenti interi della domanda dei costruttori OEM. |
1535 |
Per quanto riguarda, in secondo luogo, la complementarità fra gli sconti di esclusiva accordati ai costruttori OEM, da un lato, e i pagamenti di esclusiva nei confronti di MSH, dall’altro, la Commissione ha giustamente rilevato, al considerando 1597 della decisione impugnata, che tali pratiche sono state applicate a due diversi livelli della catena di approvvigionamento. Anche ammesso, come dedotto dalla ricorrente, che MSH si sia limitata ad acquistare una parte esigua dei suoi computer presso costruttori OEM ai quali la ricorrente concedeva sconti di esclusiva, tale circostanza non rimetterebbe in discussione la complementarità fra gli sconti di esclusiva accordati ai costruttori OEM, da un lato, e i pagamenti di esclusiva accordati a MSH, dall’altro. Infatti, inducendo MSH a vendere esclusivamente computer muniti di CPU Intel, la ricorrente ha attuato uno strumento anticoncorrenziale addizionale idoneo a restringere parimenti la libertà commerciale dei costruttori OEM ai quali essa non concedeva sconti di esclusiva, privandoli di un canale di distribuzione per i loro computer muniti di CPU AMD. In tal senso, la ricorrente ha creato una barriera supplementare all’accesso di AMD al mercato, complementare a quella eretta dagli sconti di esclusiva. |
1536 |
Inoltre, la ricorrente deduce, da un lato, che il fatto che le infrazioni abbiano interessato soltanto una parte di mercato limitata costituisce un controindizio del carattere strategico del suo comportamento. In udienza, essa ha sottolineato a tal riguardo che, per una parte del 2006, la decisione impugnata si limita a constatare una sola pratica illegittima nei confronti di MSH e, per il resto del 2006 nonché per il 2007, l’esistenza delle pratiche illegittime soltanto nei confronti di MSH e di Lenovo (v. punto 1528 supra). Essa ha aggiunto che la suddetta decisione non rileva che Lenovo aveva un’importanza strategica equiparabile a quella di Dell e di HP. Le vendite di computer portatili nell’Unione potenzialmente interessate dalle sue pratiche nei confronti di Lenovo sarebbero trascurabili. Lo stesso avverrebbe nel caso delle vendite di computer potenzialmente interessate dalle sue pratiche nei confronti di MSH qualora si considerino tali vendite in relazione alle vendite mondiali. Dall’altro lato, la ricorrente deduce che il fatto che i costruttori OEM di cui trattasi abbiano aumentato i loro acquisti presso AMD nel periodo contestato, e che tale aumento fosse superiore all’incremento delle vendite di AMD nel resto del mercato costituisce un altro contro‑indizio del carattere strategico del suo comportamento. |
1537 |
Tuttavia, da un lato, nei limiti in cui la ricorrente fa valere che le infrazioni hanno interessato unicamente una parte di mercato limitata, occorre osservare che una pratica può essere considerata strategica anche qualora interessi soltanto una parte limitata del mercato. Nella specie, infatti, il carattere strategico del comportamento della ricorrente discende dal fatto che essa si è adoperata per bloccare l’accesso di AMD ai canali di distribuzione più importanti, ossia Dell per il periodo compreso fra il dicembre 2002 e il dicembre 2005 e HP per il periodo compreso fra il novembre 2002 e il maggio 2005 (v. punto 182 supra). Per il resto, quanto al 2006 e al 2007, è giocoforza rilevare che la coerenza fra le infrazioni individuali che costituiscono la strategia complessiva non viene interrotta dal fatto che le infrazioni che riguardavano Lenovo e MSH rivestivano un’importanza minore rispetto alle infrazioni concernenti Dell e HP. Tale conclusione è a maggior ragione valida in quanto MSH rivestiva un’importanza strategica particolare per quanto attiene alla distribuzione dei computer muniti di CPU x86 destinati ai consumatori in Europa (v. punti 183 e da 1507 a 1511 supra). In ogni caso, occorre ricordare che la media della parte del mercato preclusa è stata significativa (v. punti da 187 a 194 supra). |
1538 |
Dall’altro lato, nella parte in cui la ricorrente invoca l’aumento degli acquisti dei costruttori OEM presso AMD nel periodo contestato, è giocoforza rilevare che neanche tale circostanza può dimostrare che le pratiche della ricorrente erano prive di effetto. In assenza di pratiche della ricorrente, è consentito ritenere che l’aumento degli acquisti dei costruttori OEM presso AMD avrebbe potuto essere più consistente (v. punto 186 supra). |
1539 |
In terzo luogo, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, le due e‑mail del novembre 1998 forniscono parimenti indizi concernenti la maniera strategica in cui la ricorrente ha attuato le sue pratiche. Il 27 novembre 1998, il [riservato] di Intel ha scritto quanto segue: «[È]sostanzialmente pacifico che, a lungo termine, desidererei vedere la produzione di AMD espandersi nel mondo quali prodotti non di marca a basso costo/basso valore. I vicoli di Pechino sono meravigliosi». Analogamente, il 20 novembre 1998, il [riservato] di Intel ha scritto: «Riconoscendo al contempo che dobbiamo far fronte ad una concorrenza, ritengo che sarebbe meglio che essi vendano i loro prodotti con una penetrazione limitata nel mondo piuttosto che con una forte penetrazione nel mercato più visibile e più creatore di tendenze». Se è vero che, di per sé, dichiarazioni del genere potrebbero essere considerate caratterizzate da un linguaggio commerciale certamente aggressivo, ma non sospetto, resta il fatto che, alla luce degli altri elementi di prova summenzionati, le due e‑mail confermano che l’obiettivo di Intel consisteva nel limitare l’accesso di AMD al mercato. Inoltre, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, il mero fatto che le due e‑mail risalgano al 1998 e, quindi, a circa quattro anni prima del periodo di cui trattasi nella decisione impugnata non le priva di ogni valore probatorio. |
1540 |
In quarto luogo, nella parte in cui la ricorrente contesta di aver dissimulato la natura anticoncorrenziale delle sue pratiche, occorre osservare che la Commissione menziona a tal riguardo, ai considerando 1742 e 1743 della decisione impugnata, i seguenti indizi:
|
1541 |
Per quanto riguarda, anzitutto, la e‑mail del 18 giugno 2006, la ricorrente spiega che tale e‑mail si limita a riflettere gli sforzi di negoziazione effettuati dal suo [riservato] al fine di persuadere Lenovo a sviluppare le proprie attività presso la stessa. È evidente che sarebbe stato imbarazzante, per la ricorrente, se un terzo, in particolare Dell, avesse appreso che la ricorrente sfruttava la decisione di Dell di dirigersi verso un concorrente nell’ambito delle sue trattative con un altro costruttore OEM. Tale argomento non persuade. Infatti, alla luce della dichiarazione secondo la quale ogni programma di allineamento in materia di concorrenza sarebbe annullato in quanto Dell introduceva la concorrenza, la e‑mail contiene un indizio del fatto che gli sconti accordati dalla ricorrente a Dell erano muniti di una condizione di esclusiva (v. punti 460, 463 e 1124 supra). Inoltre, la dichiarazione del sig. I2 secondo la quale la rottura, da parte di Dell, di tale condizione «apre delle prospettive di opportunità per Lenovo/Intel (…) unicamente accennat[e] in passato» implicava che, a seguito della riduzione degli sconti concessi a Dell, la ricorrente avrebbe offerto a Lenovo la posizione privilegiata detenuta in precedenza da Dell (v. considerando 526 della decisione impugnata). Di conseguenza, la domanda del sig. I2 a [riservato] di Lenovo di cancellare la e‑mail costituisce un indizio del fatto che egli tentava di occultare il carattere anticoncorrenziale dei rapporti della ricorrente con Dell e Lenovo. |
1542 |
Per quanto riguarda, in secondo luogo, la natura segreta dell’accordo di esclusiva concluso con MSH, è stato dimostrato più dettagliatamente ai punti da 1490 a 1492 supra che una clausola di non esclusiva è stata inserita negli accordi di esclusiva, cosicché gli accordi di contribuzione prevedevano il contrario di quanto realmente pattuito. |
1543 |
Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’impiego di clausole non scritte anticoncorrenziali nei confronti di HP, la ricorrente si limita a far valere che HP non era contrattualmente vincolata da obblighi di esclusiva o da altre condizioni non scritte. Orbene, le condizioni non scritte degli accordi HPA non dovevano essere giuridicamente vincolanti per essere idonei ad indurre HP a rispettarle (v. punto 106 supra). Poiché la decisione impugnata ha giustamente constatato che gli sconti accordati in forza degli accordi HPA erano assoggettati a molteplici condizioni anticoncorrenziali non scritte (v. punti da 666 a 873 supra), il carattere non scritto delle clausole costituisce parimenti un indizio che testimonia il modo in cui la ricorrente ha tentato di dissimulare le sue pratiche anticoncorrenziali. |
1544 |
Per quanto riguarda, in quarto luogo, l’utilizzazione di eufemismi da parte della ricorrente, occorre rilevare, in un primo momento, che la Commissione ha concluso, al considerando 661 della decisione impugnata, che la ricorrente ha impiegato l’acronimo «VOC», il quale significa «fornitore privilegiato» (vendor of choice), in una serie di documenti, come eufemismo per descrivere che MSH era vincolato alla medesima tramite una condizione di esclusiva. La Commissione precisa, al considerando 662 della decisione impugnata, che esisteva parimenti un documento intitolato «Carta di riferimento per la creazione del materiale di vendita e marketing» (Sales and Marketing Creation Reference Card), elaborato dal servizio giuridico della ricorrente. In tale documento, sotto il titolo «Linguaggio delicato», l’espressione «fornitore privilegiato» è stata suggerita come segue per sostituire parole implicanti un comportamento potenzialmente inadeguato per i rapporti di esclusiva: «Evitare OGNI linguaggio militaresco, aggressivo DAPPERTUTTO (comprese le e‑mail interne, appunti…) ad esempio erigere barriere…escludere dalla concorrenza…Guerra…Battaglia…Vincolo...Leva…dominare…Dall’alto in basso …Schiacciamento…spazzare via la concorrenza…essere un assassino …raggruppare…non fare alcun progresso nella tecnologia. Utilizzare invece: essere in testa…definire le specificazioni…aumentare il segmento di mercato…essere il fornitore privilegiato…basarsi su…apportare valore». |
1545 |
In un secondo tempo, il considerando 1743 della decisione impugnata menziona una serie di e‑mail del 30 aprile 2004. Secondo detta decisione, un dirigente di Intel Germania faceva riferimento a tentativi fatti da Intel per «impedire con successo una maggiore implementazione di Opteron presso i nostri principali clienti». Un dirigente di Intel Francia ha risposto a tale e‑mail come segue: «La prego di essere prudente nell’uso di espressioni come “impedire con successo una maggiore implementazione di Opteron”, le quali potrebbero essere erroneamente interpretate come formule anticoncorrenziali. – Penso che intenda parlare di “vincere con IA rispetto a Opteron”. – Qualora si accorga che altre persone utilizzano espressioni simili, ricordi loro le indagini in corso dell’UE_FTC, le ispezioni a sorpresa, ecc.». La decisione impugnata precisa che tale comunicazione è anteriore alle ispezioni condotte dalla Commissione. |
1546 |
La ricorrente riconosce di non mai aver negato il fatto che l’espressione «fornitore privilegiato» potrebbe trasmettere l’idea che un cliente si rifornisca in maniera esclusiva o predominante presso la stessa. Orbene, a suo avviso, nessuna parte della «carta di riferimento per la creazione del materiale di vendita e marketing» viene a suffragare l’interpretazione della Commissione che implica una qualche forma di impegno vincolante. Si tratterebbe di un documento meramente inteso a sensibilizzare i propri addetti alle vendite affinché evitino ogni linguaggio che possa essere interpretato in maniera erronea dalle autorità garanti della concorrenza. Per quanto riguarda la e‑mail del 30 aprile 2004, la ricorrente sottolinea che essa si limitava parimenti a mettere in guardia a fronte dell’impiego di formule che «potrebbero essere erroneamente interpretate come formule anticoncorrenziali», il che rappresenterebbe uno sforzo legittimo. |
1547 |
Tuttavia, occorre operare una distinzione fra una situazione nella quale un’impresa fa attenzione a che il suo comportamento legittimo non venga frainteso da un’autorità garante della concorrenza e una situazione nella quale un’impresa veglia affinché le sue pratiche concorrenziali non vengano scoperte. È vero che per un’impresa è legittimo, in linea di principio, mettere in guardia i propri dipendenti nei confronti dell’impiego di formule atte ad essere erroneamente interpretate da un’autorità garante della concorrenza. Ciò non toglie che tale circostanza costituisce un indizio del fatto che un’impresa ha dissimulato il carattere anticoncorrenziale delle sue pratiche allorché la loro esistenza è stata dimostrata tramite altri elementi di prova. |
1548 |
Infine, la ricorrente deduce che la Commissione ha formulato affermazioni specifiche in materia di dissimulazione solo nei confronti di MSH, di HP e di Lenovo. A tal riguardo, occorre rammentare che i considerando 1742 e 1743 della decisione impugnata riguardano la prova della strategia complessiva e che gli elementi di prova illustrati al punto 1539 supra sono ivi menzionati quali indizi. Occorre rilevare che tali elementi di prova dimostrano in maniera sufficiente che la ricorrente si è adoperata per dissimulare il carattere anticoncorrenziale del proprio comportamento, almeno per quanto riguarda i suoi rapporti con Dell, HP, Lenovo e MSH. Per dimostrare che la ricorrente ha attuato una strategia complessiva intesa a precludere ad AMD il mercato, la Commissione non era tenuta a provare, nella decisione impugnata, uno sforzo di dissimulazione in relazione a ciascuna pratica attuata, bensì poteva limitarsi ad enumerare gli elementi di prova concernenti queste quattro imprese. |
1549 |
Inoltre, gli elementi di prova menzionati quali indizi nella decisione impugnata ai considerando 1742 e 1743 sono confermati dalla constatazione generale effettuata al considerando 167 di detta decisione, secondo la quale tutte le pratiche di Intel presentavano una caratteristica comune, nel senso che numerosi accordi fra Intel e i suoi clienti, talvolta per importi pari a centinaia di milioni ovvero di miliardi di USD, erano avvenuti sulla base di accordi transattivi o contenevano importanti clausole non scritte. La critica di essere ricorsi a clausole anticoncorrenziali non scritte non è dunque unicamente diretta contro il comportamento della ricorrente nei confronti di Dell, di HP, di Lenovo e di MSH, bensì si estende al comportamento della ricorrente nei confronti di tutti i costruttori OEM e di MSH. |
1550 |
È vero che la ricorrente sostiene che, nell’ambito del mercato dei CPU, il quale è caratterizzato dall’introduzione rapida di nuovi prodotti e di riduzioni significative dei prezzi per i prodotti esistenti, gli accordi informali sono una conseguenza del ritmo del settore e delle domande dei costruttori OEM stessi. Tuttavia, è giocoforza constatare che, benché le imprese siano legittimate a concludere in maniera informale accordi conformi alle regole di concorrenza, il ricorso a condizioni anticoncorrenziali informali può costituire un indizio del tentativo di dissimularle. Nella specie, un siffatto indizio non discende unicamente dal carattere informale degli accordi conclusi fra la ricorrente e i costruttori OEM o MSH di per sé, ma, perlomeno per quanto concerne HP e Lenovo, dall’impiego di clausole non scritte anticoncorrenziali al di fuori dei contratti scritti ovvero, per quanto riguarda MSH, dall’utilizzazione di clausole scritte che indicavano il contrario di quanto effettivamente pattuito. |
1551 |
Sulla base delle considerazioni illustrate ai punti da 1540 a 1550 supra, si può concludere nel senso che la Commissione ha sufficientemente dimostrato che la ricorrente ha tentato di dissimulare la natura anticoncorrenziale delle sue pratiche. Di conseguenza, non è necessario pronunciarsi anche sulla ricevibilità o sulla fondatezza degli altri argomenti della Commissione concernenti la questione se esistano altri elementi che rafforzano i summenzionati elementi di prova o dimostrino in maniera più concreta che la ricorrente ha parimenti svelato le sue pratiche anticoncorrenziali concernenti Acer e NEC. |
1552 |
Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, è dunque giocoforza constatare che la Commissione ha sufficientemente dimostrato che la ricorrente ha attuato una strategia complessiva a lungo termine intesa a bloccare l’accesso di AMD ai canali di vendita più importanti sotto il profilo strategico. |
III – Sulle conclusioni intese all’annullamento o alla riduzione dell’ammenda
1553 |
Ai sensi dell’articolo 2 del dispositivo della decisione impugnata, alla ricorrente è stata inflitta un’ammenda pari a EUR 1,06 miliardi. |
1554 |
In applicazione del paragrafo 19 degli orientamenti del 2006, la Commissione ha stabilito che l’importo di base dell’ammenda sarebbe legato ad una proporzione del valore delle vendite, determinata in funzione del livello di gravità dell’infrazione, moltiplicata per il numero di anni dell’infrazione (v. considerando 1778 della decisione impugnata). |
1555 |
La Commissione ha fissato a EUR 3 876 827 021 il valore delle vendite da prendere in considerazione, il che rappresenta il valore delle vendite di CPU x86 fatturate da Intel ad imprese stabilite nel mercato del SEE nel corso dell’ultimo anno dell’infrazione (v. considerando da 1773 a 1777 della decisione impugnata). |
1556 |
Per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, la Commissione ha segnatamente preso in considerazione la natura dell’infrazione, la quota di mercato delle parti di cui trattasi e l’estensione geografica dell’infrazione. La Commissione ha parimenti preso in considerazione il fatto che Intel ha commesso un’infrazione unica; che l’intensità di tale infrazione unica è stata diversa nel corso degli anni e che la maggior parte degli abusi individuali in questione si sono concentrati nel corso del periodo che va dal 2002 al 2005; che gli abusi sono stati diversi quanto alla loro rispettiva probabile incidenza anticoncorrenziale, e che Intel ha adottato misure intese a dissimulare le pratiche accertate nella decisione impugnata. Di conseguenza, la Commissione ha fissato tale proporzione al 5% (v. considerando da 1779 a 1786 della suddetta decisione). |
1557 |
Per quanto concerne la durata dell’infrazione, la Commissione ha constatato che l’abuso era iniziato nell’ottobre 2002 ed era continuato almeno fino al dicembre 2007. Esso sarebbe pertanto durato cinque anni e tre mesi, il che comporterebbe, in conformità del paragrafo 24 degli orientamenti del 2006, un fattore di moltiplicazione di 5,5 al fine di tenere conto di tale durata (v. considerando 1787 e 1788 della decisione impugnata). |
1558 |
Alla luce di quanto precede, la Commissione ha ritenuto che l’importo di base dell’ammenda da infliggere a Intel dovesse ammontare a EUR 1 060 000 000 (v. considerando 1789 della decisione impugnata). Essa non ha accolto circostanze attenuanti o aggravanti (v. considerando da 1790 a 1801 di suddetta decisione). |
1559 |
La ricorrente, sostenuta dall’ACT, fa valere che, alla luce della competenza giurisdizionale estesa al merito del Tribunale, in conformità dell’articolo 261 TFUE e dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, l’ammenda deve essere annullata o ridotta sostanzialmente per i seguenti motivi. In primo luogo, la Commissione non avrebbe applicato correttamente i suoi orientamenti del 2006 e avrebbe tenuto conto di considerazioni totalmente irrilevanti. In secondo luogo, la ricorrente non avrebbe violato l’articolo 82 CE intenzionalmente o per negligenza. In terzo luogo, il livello dell’ammenda sarebbe manifestamente sproporzionato. |
A – Sull’applicazione asseritamente erronea degli orientamenti del 2006 e sull’asserita considerazione di riflessioni totalmente irrilevanti
1560 |
La ricorrente fa valere che il calcolo dell’importo di base è inficiato da una serie di errori. In primo luogo, la Commissione non avrebbe valutato correttamente i prodotti o i servizi ai quali si riferiva l’infrazione fra il gennaio e il settembre 2006. Inoltre, la Commissione avrebbe gonfiato l’importo dell’ammenda utilizzando l’importo delle vendite di Intel in tutti gli Stati membri del SEE nel dicembre 2007, mentre dodici Stati membri hanno aderito al SEE nel corso del periodo dell’infrazione. In secondo luogo, la Commissione avrebbe a torto considerato la dissimulazione un fattore ai fini della determinazione della gravità dell’infrazione. In terzo luogo, la Commissione si sarebbe servita in maniera erronea della sua conclusione concernente l’esistenza di un’infrazione unica quale fattore aggravante per tutto il periodo preso in considerazione. In quarto luogo, la decisione impugnata sarebbe erronea nella parte in cui la Commissione avrebbe applicato a ciascuna infrazione un fattore moltiplicatore di 5,5 per la durata. In quinto luogo, la Commissione avrebbe applicato retroattivamente i propri orientamenti. |
1561 |
In via preliminare, è giocoforza constatare che, ai considerando 1747 e 1748 della decisione impugnata, la Commissione ha giustamente dedotto l’esistenza di un’infrazione unica e continuata all’articolo 82 CE, la quale si estendeva dall’ottobre 2002 al dicembre 2007 e mirava a precludere il mercato ai concorrenti, dalla prova dell’esistenza di una strategia complessiva intesa a bloccare l’accesso di AMD ai canali di vendita più importanti sotto il profilo strategico (v. punti da 1523 a 1552 supra). |
1562 |
Infatti, si evince dalla giurisprudenza che la nozione di infrazione unica e continuata fa riferimento ad un insieme di azioni che fanno parte di un piano d’insieme, a causa del loro identico oggetto di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. Per la qualificazione di illeciti diversi come infrazione unica e continuata, occorre verificare se presentino un nesso di complementarità nel senso che ciascuno di essi è destinato a far fronte ad una o a più conseguenze del gioco normale della concorrenza, e se essi contribuiscano, interagendo reciprocamente, alla realizzazione degli obiettivi previsti nell’ambito di tale piano complessivo. A tale riguardo, occorre tenere conto di tutte le circostanze che possono dimostrare o mettere in dubbio tale nesso, come il periodo di applicazione, il contenuto (compresi i metodi utilizzati) e, correlativamente, l’obiettivo dei diversi comportamenti in questione (sentenza AstraZeneca, cit. al punto 64 supra, punto 892). |
1563 |
Occorre osservare che le constatazioni della decisione impugnata relative all’esistenza di una strategia complessiva soddisfano tali requisiti. Di conseguenza, la Commissione poteva dedurre da tali constatazioni che la ricorrente aveva commesso un’infrazione unica e continuata. A tal riguardo, occorre ricordare, segnatamente, la coerenza temporale delle infrazioni di cui alla decisione impugnata, nonché la loro comparabilità e la loro complementarità. Le pratiche individuali addebitate alla ricorrente perseguivano un obiettivo identico, in quanto miravano tutte a precludere a AMD il mercato mondiale dei CPU x86. A tal riguardo, esse erano complementari, in quanto esse sono state applicate a due livelli diversi della catena di approvvigionamento e le restrizioni allo scoperto costituivano operazioni tattiche intese a bloccare l’accesso di AMD a prodotti o canali di distribuzione specifici ben individuati, mentre gli sconti e i pagamenti di esclusiva costituivano strumenti più strategici intesi a bloccare l’accesso di AMD a segmenti interi della domanda dei costruttori OEM. Inoltre, occorre ricordare, in particolare, che la coerenza fra le pratiche individuali non è interrotta dal fatto che le infrazioni concernenti Lenovo e MSH rivestivano un’importanza minore rispetto alle infrazioni che interessavano Dell e HP (v. punti da 1525 a 1537 supra). |
1564 |
Secondo la giurisprudenza, la Commissione aveva pertanto la facoltà di imporre un’ammenda unica. A tal riguardo essa non era tenuta a specificare, nella motivazione della decisione impugnata, il modo in cui aveva preso in considerazione ciascuno degli elementi illeciti addebitati per fissare l’ammenda (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 6 ottobre 1994, Tetra Pak/Commissione, T-83/91, Racc. pag. II-755, punto 236, e Michelin II, cit. al punto 75 supra, punto 265). |
1565 |
È alla luce delle considerazioni che precedono che occorre verificare gli argomenti della ricorrente relativi all’asserita applicazione erronea degli orientamenti del 2006. |
1. Sull’argomento relativo ad una valutazione erronea dei prodotti ai quali l’infrazione si riferisce fra il gennaio e il settembre 2006, nonché al fatto che la Commissione avrebbe ignorato che dodici Stati membri hanno fatto parte del SEE solo per una parte del periodo dell’infrazione
1566 |
Da un lato, la ricorrente sostiene che l’ammenda è illegittima, in quanto la cifra del 5% annua sarebbe stata applicata ad un volume d’affari eccessivamente elevato fra il gennaio e il settembre 2006. La Commissione non avrebbe definito il mercato di prodotto né il mercato geografico pertinente concernente le affermazioni relative a MSH. Poiché l’abuso dedotto con riferimento a MSH sarebbe l’unica infrazione idonea ad essere collegata al territorio del SEE almeno dal gennaio 2006 al settembre 2006, la Commissione, applicando la cifra d’affari relativa all’insieme del mercato dei CPU x86 all’interno del SEE nell’ambito di un’affermazione priva di alcun rapporto con tale mercato, avrebbe commesso un errore. La Commissione, non prendendo in considerazione, nel calcolo dell’importo dell’ammenda, la portata geografica limitata dell’infrazione dedotta nel corso di tale periodo, sarebbe incorsa in un manifesto errore di valutazione. MSH non sarebbe stata operante in numerosi Stati membri all’interno del SEE e la portata dei mercati al dettaglio sarebbe in generale limitata all’ambito nazionale. |
1567 |
Dall’altro lato, la ricorrente addebita alla Commissione di aver gonfiato l’importo dell’ammenda allorché ha concluso, al considerando 1784 della decisione impugnata, che «la totalità del SEE era interessata dal comportamento illegittimo» e ha utilizzato l’importo delle vendite di Intel in tutti gli Stati membri del SEE nel dicembre 2007, vale a dire quando il periodo dell’infrazione è terminato. Tuttavia, dodici Stati membri avrebbero aderito al SEE nel corso del periodo dell’infrazione e non sarebbero stati assoggettati in precedenza all’autorità della Commissione. Se la decisione avesse inflitto un’ammenda separata per ciascuna infrazione, essa avrebbe dovuto escludere il valore delle vendite di Intel in tali Stati oppure applicare un moltiplicatore inferiore. |
1568 |
Tali argomenti non persuadono. |
1569 |
Da un lato, ai sensi del paragrafo 13 degli orientamenti del 2006, al fine di determinare l’importo di base delle ammende da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzati dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno del SEE. Tale formulazione si riferisce alle vendite realizzate sul mercato rilevante (sentenza del Tribunale del 16 giugno 2011, Putters International/Commissione, T-211/08, Racc. pag. II-3729, punto 59). Ai sensi del medesimo paragrafo, la Commissione prenderà, di norma, come riferimento le vendite realizzate dall’impresa nell’ultimo anno intero in cui questa ha partecipato all’infrazione. |
1570 |
Dall’altro lato, risulta dal paragrafo 22 degli orientamenti del 2006 che l’estensione geografica dell’infrazione è uno degli elementi che possono essere presi in considerazione al fine di determinare la gravità dell’infrazione e dunque di decidere se la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione debba situarsi sui valori minimi o massimi della forcella del 30% prevista al paragrafo 21 degli orientamenti del 2006. |
1571 |
Pertanto, se è vero che sia il paragrafo 13 sia il paragrafo 21 degli orientamenti del 2006 fanno riferimento all’estensione geografica di un’infrazione, è tuttavia giocoforza constatare che, nella specie, la Commissione, astenendosi dal prendere in considerazione sia l’estensione geografica del mercato nel quale operava MSH sia il fatto che dodici Stati membri hanno fatto parte del SEE soltanto per una parte del periodo dell’infrazione, come verrà illustrato nel prosieguo, non è incorsa in una violazione né del paragrafo 13 degli orientamenti del 2006 né del paragrafo 21 dei suddetti orientamenti. |
a) Sull’esistenza di una violazione del paragrafo 13 degli orientamenti del 2006
1572 |
Discende dai considerando da 792 a 836 della decisione impugnata che la Commissione ha concluso nel senso che il mercato rilevante era il mercato mondiale dei CPU x86. Secondo il considerando 1773 di detta decisione, l’importo di EUR 3 876 827 021, sul quale la Commissione si è basata quale valore delle vendite da prendere in considerazione, rappresenta il valore delle vendite di CPU x86 fatturati da Intel ad imprese stabilite nel SEE nel corso dell’ultimo anno dell’infrazione. Tale valore non tiene conto né dell’estensione geografica asseritamente più ridotta del mercato nel quale operava MSH né del fatto che dodici Stati membri hanno fatto parte del SEE solo durante una parte del periodo dell’infrazione. |
1573 |
Tuttavia, è giocoforza constatare che la Commissione, astenendosi dal prendere in considerazione sia l’estensione geografica del mercato sul quale operava MSH sia l’allargamento dell’Unione nel corso del periodo dell’infrazione, non ha applicato in modo errato il paragrafo 13 degli orientamenti del 2006. |
1574 |
A tal riguardo occorre rammentare che, nella specie, la Commissione aveva la facoltà di imporre un’ammenda unica, e che essa non era tenuta a specificare il modo in cui aveva preso in considerazione ciascuno degli elementi illeciti addebitati per fissare l’ammenda (v. punto 1564 supra). |
1575 |
Da un lato, occorre rilevare che, in conformità del paragrafo 13 degli orientamenti del 2006, l’anno di norma rilevante per determinare il valore delle vendite è l’ultimo anno intero della partecipazione all’infrazione, ossia, nella specie, il 2007. La ricorrente non afferma che la Commissione avrebbe dovuto discostarsi da tale norma e scegliere un altro anno come anno di riferimento. Orbene, in relazione a tutto il 2007, la Commissione ha dimostrato l’esistenza di un abuso non solo per quanto concerne MSH, bensì anche per quanto concerne Lenovo. Per quanto riguarda il comportamento della ricorrente nei confronti di quest’ultima impresa nel 2007, la ricorrente non mette in discussione il fatto che il mercato rilevante fosse il mercato mondiale dei CPU x86. Poiché almeno una delle pratiche abusive commesse dalla ricorrente nel 2007 riguardava pertanto il mercato mondiale dei CPU x86, la Commissione non ha applicato i suoi orientamenti in maniera errata in quanto essa ha fissato il valore delle vendite limitandosi a fare riferimento al mercato dei CPU x86 e non al mercato asseritamente più limitato di distribuzione dei computer ai consumatori, nel quale operava MSH. |
1576 |
In ogni caso, occorre rammentare che la Commissione non era tenuta a definire un mercato di prodotto proprio o un mercato geografico proprio per quanto riguarda MSH, e che le pratiche della ricorrente nei confronti di MSH avevano la capacità di restringere la concorrenza nel mercato mondiale dei CPU x86 (v. punto 1533 supra). Poiché la Commissione non era tenuta a definire un mercato geografico proprio per quanto riguarda MSH, la stessa non era neanche tenuta a tenere conto della portata geografica limitata di un tale mercato ipotetico al momento della fissazione del valore delle vendite, in conformità del paragrafo 13 degli orientamenti del 2006. |
1577 |
Dall’altro lato, è giocoforza constatare che i dodici Stati membri che hanno aderito al SEE nel corso del periodo dell’infrazione hanno fatto parte del SEE per tutto il 2007. Poiché, ai sensi del paragrafo 13 degli orientamenti del 2006, l’anno rilevante ai fini della determinazione del valore delle vendite è, nella specie, il 2007, la Commissione non era tenuta a prendere in considerazione, in sede di fissazione dell’importo del valore delle vendite, il fatto che questi Stati membri hanno fatto parte del SEE solo per una parte del periodo dell’infrazione. |
b) Sull’esistenza di una violazione del paragrafo 21 degli orientamenti del 2006
1578 |
Occorre rilevare che, per quanto attiene alla gravità dell’infrazione, la Commissione ha constatato, al considerando 1784 della decisione impugnata, che la strategia della ricorrente intesa ad escludere AMD aveva portata mondiale. Nell’ambito della valutazione della gravità dell’infrazione, tale circostanza implicherebbe che tutto il SEE sia stato interessato dall’infrazione. |
1579 |
È giocoforza constatare che la Commissione, astenendosi in tal modo dal prendere in considerazione l’estensione geografica del mercato nel quale operava MSH, non ha applicato in modo errato il paragrafo 21 dei suoi orientamenti del 2006. |
1580 |
Infatti, occorre rilevare che il mero fatto che, per una parte del 2006, la decisione impugnata si limiti a rilevare una sola pratica illegittima nei confronti di MSH non può rimettere in discussione la conclusione secondo la quale la strategia della ricorrente intesa a escludere AMD aveva un’estensione geografica mondiale. Infatti, occorre rammentare che la Commissione non era tenuta a definire un mercato di prodotto proprio o un mercato geografico proprio per quanto riguarda MSH, e che le pratiche della ricorrente nei confronti di MSH avevano la capacità di restringere la concorrenza nel mercato mondiale dei CPU x86 (v. punto 1533 supra). Inoltre, poiché le pratiche della ricorrente nei confronti di MSH si inserivano in una strategia complessiva coerente, esse non possono essere considerate isolatamente. L’estensione geografica di tale strategia era mondiale. Di conseguenza, nella decisione impugnata la Commissione ha concluso, giustamente, che tutto il territorio del SEE è stato interessato dall’infrazione. |
1581 |
Del resto, è giocoforza constatare che la Commissione non era neanche tenuta a prendere in considerazione il fatto che dodici Stati membri hanno fatto parte del SEE solo nel corso di una parte del periodo dell’infrazione allorché, nel valutare la gravità, essa ha ritenuto che la portata mondiale della strategia intesa ad escludere AMD implicasse che tutto il SEE fosse stato interessato dall’infrazione. |
1582 |
Infatti, occorre sottolineare che la Commissione si è limitata a constatare che tutto il SEE era stato interessato dall’infrazione. In tal senso, essa ha fatto riferimento in maniera dinamica agli Stati che hanno rispettivamente fatto parte del SEE in un determinato momento nel corso del periodo dell’infrazione. La Commissione non era tenuta a ripartire l’estensione geografica presa in considerazione in sede di valutazione della gravità di un’infrazione unica e continuata in funzione dei diversi Stati che avevano aderito al SEE in un determinato momento nel corso del periodo dell’infrazione. Infatti, la Commissione non era tenuta a specificare il modo in cui aveva preso in considerazione ciascuno degli elementi illeciti addebitati per fissare l’ammenda (v. punto 1564 supra). |
2. Sulla presa in considerazione della dissimulazione delle infrazioni
1583 |
Occorre rilevare che, al fine di valutare la gravità dell’infrazione, la Commissione, al considerando 1785 della decisione impugnata, ha tenuto conto del fatto che la ricorrente ha adottato misure al fine di dissimulare le pratiche oggetto della presente decisione. |
1584 |
La ricorrente sostiene che la Commissione ha a torto preso in considerazione l’asserita dissimulazione dell’infrazione, in quanto essa non sarebbe riuscita a provarla. Inoltre, le affermazioni della Commissione concernenti tale dissimulazione riguarderebbero unicamente MSH, HP e Lenovo e non dovrebbero, pertanto, essere applicate globalmente a tutte le infrazioni. |
1585 |
Tali argomenti non possono essere accolti. |
1586 |
In via preliminare, è giocoforza constatare che il carattere segreto di un’infrazione alle regole di concorrenza dell’Unione è una circostanza che può accentuarne la gravità (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 14 dicembre 2006, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, da T-259/02 a T-264/02 e T-271/02, Racc. pag. II-5169, punto 252, e Imperial Chemical Industries/Commissione, cit. al punto 139 supra, punto 446). Nella specie, la Commissione ha tenuto conto dei tentativi di Intel di dissimulare il suo comportamento, fra numerosi altri elementi, al fine di valutare la gravità dell’infrazione. |
1587 |
Occorre rammentare che gli elementi di prova presi in considerazione nella decisione impugnata dimostrano sufficientemente che la ricorrente si è sforzata di dissimulare il carattere anticoncorrenziale del suo comportamento, perlomeno per quanto riguarda i suoi rapporti con Dell, HP, Lenovo e MSH (v. punti da 1540 a 1551 supra). Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, per prendere in considerazione la dissimulazione come uno degli elementi che determinano la gravità dell’infrazione unica era sufficiente che la Commissione formulasse affermazioni specifiche in materia di dissimulazione soltanto nei confronti di queste quattro imprese. Infatti, la Commissione non era tenuta a specificare il modo in cui essa ha preso in considerazione ciascuno degli elementi illeciti addebitati per fissare l’ammenda (v. punto 1564 supra). |
3. Sul carattere aggravante della constatazione di un’infrazione unica
1588 |
Occorre rilevare che, al considerando 1747 della decisione impugnata, nell’ambito delle constatazioni concernenti l’esistenza di una strategia complessiva, la Commissione ha concluso che, considerate nel loro insieme, le pratiche individuali della ricorrente potevano o erano atte a produrre un impatto ancora più considerevole sul mercato. Al considerando 1785 della suddetta decisione, nell’ambito degli accertamenti relativi alla gravità dell’infrazione, la Commissione ha rilevato che essa aveva tenuto conto del fatto che Intel aveva commesso un’infrazione unica, che l’intensità di tale infrazione unica era stata diversa nel corso degli anni, che la maggior parte degli abusi individuali in questione si concentravano nel periodo dal 2002 al 2005 e che gli abusi differivano quanto alla loro rispettiva probabile incidenza anticoncorrenziale. |
1589 |
La ricorrente deduce che la Commissione ha «probabilmente» utilizzato la constatazione di un’infrazione unica quale fattore aggravante in sede di determinazione della gravità. L’applicazione di un’infrazione unica quale fattore che aumenta la gravità dell’infrazione sarebbe erronea in quanto, in relazione a taluni periodi, non si potrebbe dimostrare che un «tale fattore» ha potuto aumentare la gravità dell’asserito comportamento. In relazione ad una parte del 2006, quando le sole pratiche in relazione al SEE avrebbero riguardato MSH, non esisterebbe alcun fondamento idoneo ad attribuire una gravità maggiore al suo comportamento in ragione di un’infrazione unica. |
1590 |
Tali argomenti vanno disattesi. |
1591 |
Occorre rammentare che, nella specie, la Commissione aveva la facoltà di imporre un’ammenda unica, e che non era tenuta a specificare il modo in cui aveva preso in considerazione ciascuno degli elementi illeciti addebitati per fissare l’ammenda (v. punto 1564 supra). Inoltre, l’argomento della ricorrente poggia sulla premessa erronea secondo la quale la Commissione avrebbe aumentato la gravità del comportamento illecito da prendere in considerazione a causa dell’esistenza di un’infrazione unica. Questo però non accade. La Commissione ha ritenuto che l’intensità dell’infrazione unica sia stata diversa nel corso degli anni, che la maggior parte degli abusi individuali in questione si concentrassero nel periodo dal 2002 al 2005 e che gli abusi differissero quanto alla loro rispettiva probabile incidenza anticoncorrenziale. Tali constatazioni tengono sufficientemente conto della circostanza secondo la quale, per una parte del 2006, l’infrazione concernente MSH era la sola infrazione in relazione al SEE rilevata nella decisione impugnata. |
4. Sull’applicazione di un fattore moltiplicatore di 5,5 per la durata dell’infrazione
1592 |
Occorre rilevare che, per quanto attiene alla durata dell’infrazione, la Commissione ha rilevato, ai considerando 1787 e 1788 della decisione impugnata, che l’abuso è iniziato nell’ottobre 2002 ed è continuato almeno fino al dicembre 2007. Esso sarebbe pertanto durato cinque anni e tre mesi, il che comporterebbe, in conformità del paragrafo 24 degli orientamenti del 2006, un fattore di moltiplicazione di 5,5 al fine di tenere conto di tale durata. |
1593 |
Secondo la ricorrente, la decisione impugnata è errata nella parte in cui la Commissione ha applicato un fattore moltiplicatore di 5,5 per la durata a ciascuna infrazione. Tale approccio sarebbe stato effettuato a suo svantaggio, in quanto ciascuna delle infrazioni in relazione ai costruttori OEM avrebbe avuto una durata significativamente più breve rispetto al periodo dell’infrazione totale. |
1594 |
Questo argomento non può persuadere. |
1595 |
Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Commissione non ha applicato un fattore moltiplicatore di 5,5 a ciascuna delle infrazioni individuali, bensì all’infrazione unica. Poiché la Commissione ha giustamente concluso nel senso dell’esistenza di un’infrazione unica che va dall’ottobre 2002 al dicembre 2007 (v. punti da 1561 a 1563 supra), tale approccio non può essere criticato. |
5. Sull’applicazione retroattiva degli orientamenti del 2006
1596 |
La ricorrente sostiene che la Commissione, applicando retroattivamente gli orientamenti del 2006, è incorsa in una violazione del divieto di retroattività e del principio della tutela del legittimo affidamento. La sostituzione di taluni orientamenti con altri dovrebbe essere distinta dalla prima introduzione degli orientamenti. La prima introduzione degli orientamenti avrebbe generato per la prima volta un legittimo affidamento fino ad allora inesistente, il quale impedirebbe l’applicazione retroattiva dei nuovi orientamenti. |
1597 |
Tale argomento non può essere accolto. |
1598 |
Infatti, si evince dalla giurisprudenza che né il principio della certezza del diritto né il principio di legalità dei reati e delle pene, sancito all’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, ostano a che la Commissione decida di adottare e applicare nuovi orientamenti per il calcolo delle ammende anche dopo che è stata commessa un’infrazione. L’interesse ad un’applicazione efficace delle regole di concorrenza giustifica che, nei limiti previsti dall’articolo 23 del regolamento n. 1/2003, un’impresa debba tenere conto della possibilità di una modifica della politica generale di concorrenza della Commissione in materia di ammende per quanto concerne sia il metodo di calcolo sia il livello delle ammende (sentenza del Tribunale del 2 febbraio 2012, Denki Kagaku Kogyo e Denka Chemicals/Commissione, T‑83/08, non pubblicata nella Raccolta, punti da 98 a 127). Tale constatazione vale parimenti per quanto riguarda l’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali. La Commissione aveva pertanto, a maggior ragione, la facoltà di applicare i suoi orientamenti del 2006 ad un’infrazione unica terminata solo successivamente alla loro adozione. |
B – Sull’asserita assenza di violazione dell’articolo 82 CE intenzionalmente o per negligenza
1599 |
La ricorrente sostiene di non aver agito per negligenza. A sostegno di tale affermazione, essa deduce, in sostanza, che gli sconti condizionati non sono sempre illegittimi, e che le restrizioni allo scoperto costituiscono una nuova categoria di abusi. Essa avrebbe dimostrato che la Commissione non ha accertato l’esistenza di una strategia di esclusione di AMD. La Commissione, ritenendo che essa aveva adottato misure intese a dissimulare il proprio comportamento, sarebbe incorsa in un errore. Essa non avrebbe potuto prevedere i risultati ai quali la Commissione è pervenuta nell’ambito dell’applicazione del test AEC. Infatti, tali risultati si baserebbero su dati interni provenienti da diversi costruttori OEM, informazioni delle quali Intel non sarebbe mai stata a conoscenza e alle quali essa non avrebbe avuto accesso. |
1600 |
Tali argomenti non possono essere accolti. |
1601 |
Secondo una giurisprudenza costante, il presupposto secondo il quale l’infrazione è stata commessa intenzionalmente o per negligenza è soddisfatto allorché l’impresa interessata non può ignorare la natura anticoncorrenziale della propria condotta, indipendentemente dal fatto che essa avesse o meno consapevolezza di trasgredire le norme di concorrenza del Trattato (sentenze del Tribunale Tetra Pak/Commissione, cit. al punto 1564 supra, punto 238, e del 10 aprile 2008, Deutsche Telekom/Commissione, T-271/03, Racc. pag. II-477, punto 295). Un’impresa è consapevole della natura anticoncorrenziale del proprio comportamento quando conosceva gli elementi di fatto sostanziali che giustificano sia la constatazione di una posizione dominante sul mercato interessato, sia la qualificazione da parte della Commissione come sfruttamento abusivo di tale posizione (v., in tal senso, sentenza Michelin I, cit. al punto 74 supra, punto 107, e sentenza Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, cit. al punto 1586 supra, punti 207 e 210; v., parimenti, conclusioni presentate dall’avvocato generale Mazák in relazione alla sentenza della Corte Deutsche Telekom, cit. al punto 98 supra, Racc. pag. I‑9567, paragrafo 39). |
1602 |
Per quanto riguarda, in primo luogo, l’argomento secondo il quale gli sconti condizionati non sempre sono illegittimi, e secondo il quale le restrizioni allo scoperto costituiscono una nuova categoria di abusi, è sufficiente constatare che un’argomentazione del genere mira unicamente a dimostrare il fatto che la ricorrente ignorava il carattere illegittimo del comportamento contestato nella decisione controversa con riferimento all’articolo 82 CE. Essa deve pertanto essere respinta in forza della giurisprudenza citata al punto precedente (v., per analogia, sentenza della Corte Deutsche Telekom, cit. al punto 98 supra, punto 127). In ogni caso, la ricorrente non poteva ignorare il carattere anticoncorrenziale del suo comportamento. Gli organi giurisdizionali dell’Unione hanno condannato più volte l’attuazione, da parte di un’impresa in posizione dominante, di pratiche consistenti nel concedere incentivi finanziari che dipendono da condizioni di esclusiva. A tal riguardo, è sufficiente rinviare alla sentenza Hoffmann‑La Roche, citata al punto 71 supra, e alla sentenza della Corte BPB Industries e British Gypsum, citata al punto 89 supra. Per quanto riguarda le restrizioni allo scoperto, è stato rilevato, ai punti 219 e 220 supra, che la qualificazione come abusive di tali pratiche non può essere considerata nuova e che, in ogni caso, il fatto che un comportamento che presenta le stesse caratteristiche non sia stato ancora esaminato in decisioni precedenti non esonera l’impresa dalla sua responsabilità. |
1603 |
In secondo luogo, occorre ricordare che gli elementi di prova presi in considerazione nella decisione impugnata dimostrano in maniera sufficiente che la ricorrente ha attuato una strategia complessiva a lungo termine intesa a bloccare l’accesso di AMD ai canali di vendita più importanti sotto il profilo strategico, e che essa si è adoperata per dissimulare il carattere anticoncorrenziale del suo comportamento, almeno per quanto riguarda i suoi rapporti con Dell, HP, Lenovo e MSH (v. punti da 1523 a 1552 supra). Di conseguenza, è consentito concludere nel senso che la ricorrente ha commesso l’infrazione rilevata perlomeno per negligenza. |
1604 |
In terzo luogo, occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale essa non poteva prevedere i risultati ai quali è pervenuta la Commissione nell’ambito dell’applicazione del test AEC. Occorre ricordare che, nella decisione impugnata, la Commissione si è basata, in via principale, sui criteri elaborati dalla giurisprudenza nella sentenza Hoffmann‑La Roche, citata al punto 71 supra, al fine di dimostrare l’illegittimità degli sconti di esclusiva (v. punti 69, 72 e 73 supra). Per contro, solo ad abundantiam essa ha fondato la sua decisione impugnata sul test AEC (v. punti 173 e 175 supra). Occorre rammentare che l’applicazione di un test AEC non è necessaria al fine di dimostrare l’illegittimità delle pratiche della ricorrente, e che un test del genere non può neanche costituire un rifugio affidabile per l’impresa in posizione dominante al fine di escludere qualsiasi infrazione (v. punti da 140 a 166 supra). Anche ammesso che la ricorrente non abbia potuto prevedere i risultati ai quali la Commissione è pervenuta applicando tale test, questa circostanza non rimetterebbe in discussione il fatto che la ricorrente non poteva ignorare gli elementi di fatto sostanziali che giustificavano la constatazione, da parte della Commissione, di un abuso della sua posizione dominante secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza nella sentenza Hoffmann‑La Roche, citata al punto 71 supra. |
C – Sul carattere asseritamente sproporzionato dell’ammenda
1605 |
La ricorrente fa valere, in sostanza, tre argomenti a sostegno della sua constatazione secondo la quale il livello dell’ammenda era sproporzionato. L’ammenda non sarebbe stata inflitta da un’autorità indipendente. Essa sarebbe sproporzionata rispetto ad ammende inflitte in altre decisioni. L’imposizione dell’ammenda più pesante mai imposta sarebbe sproporzionata alla luce dell’assenza di effetti concreti dell’infrazione sul mercato. |
1606 |
Tutti questi argomenti devono essere respinti. |
1. Sull’argomento relativo all’assenza di indipendenza della Commissione
1607 |
Secondo la ricorrente, la Commissione non è un organo giurisdizionale indipendente e imparziale quale definito dalla CEDU. Essa fa valere che l’ammenda, poiché riveste carattere penale, ai sensi dell’articolo 6 della CEDU, è stata inflitta in maniera illegittima e in violazione dei suoi diritti a che ogni accusa penale formulata nei suoi confronti sia decisa da un tribunale indipendente. |
1608 |
Tale argomento non può essere accolto. |
1609 |
Il diritto di accesso ad un tribunale indipendente e imparziale, sul quale si fonda la ricorrente, fa parte delle garanzie sancite dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. Nel diritto dell’Unione, la tutela sancita da tale disposizione è assicurata dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali. Occorre pertanto riferirsi unicamente a quest’ultima disposizione (v., in tal senso, sentenza della Corte dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C-386/10 P, Racc. pag. I-13085, punto 51). L’articolo 52, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali precisa che, laddove essa contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata di tali diritti sono uguali a quelli loro conferiti da detta Convenzione. Secondo la spiegazione di tale disposizione, la quale deve essere presa in considerazione dal giudice dell’Unione in conformità dell’articolo 52, paragrafo 7, della Carta dei diritti fondamentali, il significato e la portata dei diritti garantiti sono determinati non solo dal testo della CEDU, ma anche, in particolare, dalla giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo (v., in tal senso, sentenza della Corte del 22 dicembre 2010, DEB, C-279/09, Racc. pag. I-13849, punto 35). |
1610 |
Si evince dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU non esclude che, in un procedimento di natura amministrativa, una «pena» venga imposta dapprima da un’autorità amministrativa. Esso suppone tuttavia che la decisione di un’autorità amministrativa che non soddisfa essa stessa le condizioni dell’articolo 6, paragrafo 1 della CEDU subisca il controllo successivo di un organo giurisdizionale dotato di una competenza estesa al merito. Tra le caratteristiche di un organo giurisdizionale dotato di una competenza anche di merito figura il potere di riformare in ogni punto, in fatto come in diritto, la decisione presa, resa dall’organo inferiore. Esso deve avere in particolare competenza per occuparsi di tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti per la controversia di cui si trova investito (v. Corte europea dei diriti dell’uomo, sentenza A. Menarini Diagnostics c. Italie del 27 settembre 2011, n. 43509/08, § 59). |
1611 |
Da tale giurisprudenza può essere desunto che la concentrazione dei poteri di istruzione, accusa e decisione in capo alla Commissione nel quadro delle procedure d’infrazione alle regole di concorrenza previste dal regolamento n. 1/2003 non si pone di per sé in contrasto con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, a condizione, tuttavia, che le imprese che vi sono assoggettate dispongano di un diritto di ricorso contro la decisione della Commissione dinanzi ad un organo che risponda alle esigenze di tale articolo (conclusioni presentate dall’avvocato generale Mengozzi in relazione alla sentenza della Corte del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C-521/09 P, Racc. pagg. I-8947, pag. I‑8954, paragrafo 31). |
1612 |
A tal riguardo, si evince dalla giurisprudenza che il controllo di legittimità di cui all’articolo 263 TFUE, completato dalla competenza estesa al merito per quanto riguarda l’importo dell’ammenda, prevista all’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, conformemente all’articolo 261 TFUE, soddisfa i requisiti del principio della tutela giurisdizionale effettiva di cui all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali. Infatti, il controllo previsto dai Trattati implica che il giudice dell’Unione eserciti un controllo tanto in diritto quanto in fatto e che esso disponga del potere di valutare le prove, di annullare la decisione impugnata e di modificare l’importo delle ammende (v., in tal senso, sentenza Chalkor/Commissione, cit. al punto 1609 supra, punto 67). |
2. Sul carattere sproporzionato dell’ammenda rispetto ad altre ammende
1613 |
La ricorrente sostiene che l’ammenda imposta è sproporzionata rispetto a quella inflitta in altre cause recenti, compresa la causa sfociata nella sentenza del Tribunale del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T-201/04, Racc. pag. II-3601). |
1614 |
Si evince da una giurisprudenza costante che la precedente prassi decisionale della Commissione non funge da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza e che decisioni relative ad altri casi hanno un carattere indicativo per quanto attiene all’eventuale esistenza di una violazione del principio della parità di trattamento, essendo poco verosimile un’identità delle circostanze proprie di tali casi, come i mercati, i prodotti, le imprese e i periodi di riferimento (sentenze della Corte del 21 settembre 2006, JCB Service/Commissione, C-167/04 P, Racc. pag. I-8935, punti 201 e 205, e del 7 giugno 2007, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, C-76/06 P, Racc. pag. I-4405, punto 60; sentenza del Tribunale del 16 giugno 2011, Caffaro/Commissione, T-192/06, Racc. pag. II-3063, punto 46). |
1615 |
Tuttavia, il rispetto del principio della parità di trattamento, che osta a che situazioni analoghe siano trattate in modo diverso e a che situazioni diverse siano trattate in modo analogo, a meno che tale trattamento non sia oggettivamente giustificato, si impone alla Commissione quando essa infligge un’ammenda ad un’impresa per infrazione alle regole della concorrenza come a qualsiasi istituzione in tutte le sue attività. Nondimeno, le decisioni precedenti della Commissione in materia d’ammenda possono essere pertinenti, con riguardo al rispetto del principio della parità di trattamento, soltanto se si è dimostrato che le circostanze delle cause relative a queste altre decisioni, quali i mercati, i prodotti, i paesi, le imprese e i periodi considerati, sono analoghe a quelle della fattispecie (sentenza del Tribunale del 29 giugno 2012, E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, T‑360/09, punti 261 e 262 nonché giurisprudenza ivi citata). |
1616 |
Orbene, nella specie, la ricorrente non dimostra che le circostanze delle cause relative alle decisioni anteriori da essa invocate sono paragonabili a quelle di specie. Di conseguenza, alla luce della giurisprudenza menzionata al punto 1615 supra, le suddette decisioni non sono rilevanti con riferimento al rispetto del principio della parità di trattamento. |
1617 |
Infatti, per quanto riguarda, in primo luogo, la causa sfociata nella sentenza Microsoft/Commissione, citata al punto 1613 supra, la ricorrente si limita a sottolineare la differenza fra tale causa e quella di specie, facendo valere che, in detta causa, le pratiche in questione avevano generato numerosi effetti negativi quantificabili sui concorrenti, diversamente che nella specie. La ricorrente non deduce tuttavia alcun argomento inteso a dimostrare che le circostanze della causa sfociata nella sentenza Microsoft/Commissione siano comparabili a quelle del caso di specie. Occorre osservare che tale causa riguardava, segnatamente, mercati e pratiche abusive diverse da quelle di cui alla presente causa. |
1618 |
In secondo luogo, la ricorrente invoca la decisione della Commissione del 12 novembre 2008, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/39125 – Vetro destinato al settore auto), una sintesi della quale è pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 25 luglio 2009 (GU C 173, pag. 13), a sostegno del suo argomento secondo il quale l’ammenda che le è stata imposta è di gran lunga superiore all’ammenda più elevata mai inflitta ad un recidivo in una causa in materia di intese. Tuttavia, la ricorrente non dimostra che le circostanze della causa sfociata nella suddetta decisione, la quale riguardava un’intesa e non un abuso di posizione dominante, siano paragonabili a quelle del caso di specie. |
1619 |
In terzo luogo, quanto al paragone fra l’ammenda inflitta nella presente causa e quelle imposte nelle cause sfociate nelle sentenze Hoffmann-La Roche, citata al punto 71 supra, Michelin I, citata al punto 74 supra, Michelin II, citata al punto 75 supra, e del Tribunale British Airways, citata al punto 186 supra, è giocoforza constatare che la ricorrente non dimostra neanche che le circostanze delle suddette cause sono comparabili a quelli della presente causa. A tal riguardo, da un lato, occorre rammentare che le cause Michelin I, citata al punto 74 supra, Michelin II, citata al punto 75 supra, e del Tribunale British Airways, citata al punto 186 supra, non riguardavano sconti di esclusiva, bensì sconti facenti parte della terza categoria (v. punto 78 supra), e che la presente causa riguarda parimenti restrizioni allo scoperto. Dall’altro, occorre sottolineare che, ammesso che i tipi di abuso di cui alla presente causa siano simili ovvero identici a quelli di cui alle cause sfociate nelle sentenze Hoffmann‑La Roche, citata al punto 71 supra, Michelin I, citata al punto 74 supra, Michelin II, citata al punto 75 supra, e del Tribunale British Airways, citata al punto 186 supra, tale circostanza non può tuttavia bastare a rendere la presente causa e quelle invocate dalla ricorrente comparabili ai sensi della giurisprudenza menzionata al punto 1615 supra, avuto riguardo alle differenze esistenti fra tali cause per quanto concerne, segnatamente, le imprese, i mercati e i prodotti di cui trattasi, e tenuto conto dell’arco di tempo intercorso fra tali cause, nonché dell’evoluzione della politica della Commissione in materia di ammende. |
3. Sulla necessità di dimostrare gli effetti concreti dell’infrazione
1620 |
Occorre rammentare che, al fine di determinare la gravità dell’infrazione, la Commissione ha segnatamente tenuto conto della natura dell’infrazione, della quota di mercato delle imprese interessate e dell’estensione geografica dell’infrazione. Per quanto attiene più in particolare alla natura dell’infrazione, la Commissione ha rilevato, al considerando 1780 della decisione impugnata, che il mercato dei CPU x86 rivestiva una considerevole importanza economica. Secondo la suddetta decisione, tale mercato ha generato profitti superiori a USD 30 miliardi nel 2007. Ciò significherebbe che ogni comportamento anticoncorrenziale su tale mercato ha avuto un impatto considerevole. |
1621 |
La ricorrente sostiene che il livello dell’ammenda dipende dall’asserito «impatto considerevole» sul mercato, ma che non è stata effettuata alcuna analisi degli effetti reali delle pratiche dette abusive su AMD o sul mercato. Essa ricorda che la sua ammenda di EUR 1,06 miliardi è l’ammenda più pesante mai imposta ad una sola impresa a causa di un’infrazione alle regole di concorrenza. Sarebbe pertanto stato necessario, in sede di determinazione di tale ammenda, prendere in considerazione gli effetti reali dell’infrazione e il nesso causale fra tali effetti e il pregiudizio per i consumatori o i concorrenti, a prescindere dalla questione se gli effetti reali siano rilevanti ai fini dell’accertamento dell’esistenza di un abuso. La ricorrente fa valere che gli elementi di prova dimostrano che, durante il periodo interessato, il mercato dei CPU era caratterizzato da una concorrenza intensa fra AMD e Intel, dalla quale era conseguito un abbassamento costante dei prezzi e un miglioramento della qualità dei prodotti, a grandissimo beneficio dei consumatori. Inoltre, AMD avrebbe moltiplicato le sue quote di mercato. Infine, la decisione dei costruttori OEM di acquistare prodotti della ricorrente sarebbe stata basata, se non in tutto, almeno in parte su ragioni economiche diverse dalla fidelizzazione causata dagli sconti condizionati. |
1622 |
Ai termini dell’articolo 23, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003, per determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata. Si evince dalla giurisprudenza che la gravità delle infrazioni al diritto della concorrenza deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le particolari circostanze del procedimento, il suo contesto e la portata dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione. Di conseguenza, contrariamente a quanto fatto valere dalla ricorrente, l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato non costituisce, in linea di principio, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza, un fattore indispensabile, ma solo uno fra più fattori pertinenti per valutare la gravità dell’infrazione e fissare l’importo dell’ammenda (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, Racc. pag.. I‑7415; in prosieguo: la «sentenza Prym», punti 54 e 55). Inoltre, si evince dalla giurisprudenza che elementi relativi all’oggetto di un comportamento possono di fatto avere un effetto più rilevante, ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, di quelli relativi ai suoi effetti (sentenza AstraZeneca, cit. al punto 64 supra, punto 902). |
1623 |
In forza degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti del 1998»), per valutare la gravità dell’infrazione occorreva prenderne in considerazione, segnatamente, «l’impatto concreto sul mercato, quando [fosse] misurabile» (punto 1 A). A tal riguardo, si evinceva dalla giurisprudenza che, almeno per quanto riguardava le infrazioni che potevano essere qualificate come infrazioni molto gravi sulla sola base della loro natura, l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato costituiva solo un criterio facoltativo idoneo a consentire alla Commissione di aumentare l’importo di partenza dell’ammenda oltre l’importo minimo applicabile di EUR 20 milioni (v., in tal senso, sentenza Prym, cit. al punto 1622 supra, punto 75). È vero che si evinceva parimenti dalla giurisprudenza che, dal momento che la Commissione riteneva opportuno, ai fini del calcolo dell’ammenda, tenere conto del criterio facoltativo rappresentato dall’impatto concreto dell’infrazione sul mercato, essa non poteva limitarsi a presentare una mera presunzione, ma doveva apportare indizi concreti, credibili e sufficienti che consentissero di valutare quale effettiva influenza avesse potuto avere l’infrazione sul gioco della concorrenza nel detto mercato (sentenza Prym, cit. al punto 1622 supra, punto 82). |
1624 |
Tuttavia, nella presente causa, la determinazione dell’importo dell’ammenda non si basa sugli orientamenti del 1998, ma sugli orientamenti del 2006. Occorre rilevare che, contrariamente agli orientamenti del 1998, gli orientamenti del 2006 non prevedono più la considerazione dell’«impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile», in sede di valutazione della gravità di una determinata infrazione. Ai sensi del punto 22 degli orientamenti del 2006, per decidere se la proporzione del valore delle vendite determinata in funzione della gravità dovesse situarsi sui valori minimi o massimi della forcella, la quale può andare fino al 30%, la Commissione terrà conto di un certo numero di fattori, quali la natura dell’infrazione, la quota di mercato aggregata di tutte le imprese interessate, l’estensione geografica dell’infrazione e se sia stata data attuazione o meno alle pratiche illecite. |
1625 |
È dunque vero che, secondo gli orientamenti del 2006, la Commissione non è obbligata, in linea di principio, a prendere in considerazione l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato allorché fissa la proporzione del valore delle vendite determinata in funzione della gravità. Tuttavia, occorre rilevare che gli orientamenti non vietano neanche di prendere in considerazione l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato al fine di aumentare tale proporzione. A tal riguardo, occorre constatare che, se la Commissione ritiene opportuno tenere conto dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato al fine di aumentare tale proporzione, la giurisprudenza menzionata al punto 1623 supra si applica parimenti con riferimento agli orientamenti del 2006, cosicché la Commissione deve apportare indizi concreti, credibili e sufficienti che consentano di valutare l’effettiva influenza che l’infrazione ha potuto avere sul gioco della concorrenza nel detto mercato. Per contro, la Commissione non deve necessariamente tenere conto dell’assenza di un impatto concreto quale fattore attenuante in sede di valutazione della gravità ai sensi del punto 22 degli orientamenti del 2006. È sufficiente che il livello della proporzione del valore delle vendite da prendere in considerazione fissato dalla Commissione sia giustificato da altri elementi idonei ad incidere sulla determinazione della gravità. |
1626 |
È sulla scorta delle considerazioni che precedono che devono essere esaminati gli argomenti della ricorrente. |
1627 |
In primo luogo, occorre respingere l’argomento secondo il quale il livello dell’ammenda dipende, nella specie, dall’asserito «impatto considerevole» sul mercato, mentre non sarebbe stata realizzata alcuna analisi degli effetti reali delle pratiche dette abusive su AMD o sul mercato. Infatti, è giocoforza rilevare che, nella specie, la Commissione non ha preso in considerazione l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato al fine di determinarne la gravità. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, dal fatto che, nella decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che «ogni comportamento anticoncorrenziale sul [mercato dei CPU x86] ha un impatto considerevole» non può dedursi che la Commissione abbia preso in considerazione un siffatto impatto. Occorre rammentare, al riguardo, che la constatazione criticata dalla ricorrente è stata formulata dalla Commissione al fine di descrivere la natura dell’infrazione. Poiché la «natura» di un’infrazione fa riferimento alle sue caratteristiche astratte e generali, la Commissione poteva giustamente rilevare, in tale contesto, che, alla luce dell’importanza dei profitti generati nel mercato dei CPU x86, ogni comportamento anticoncorrenziale su tale mercato ha un impatto considerevole. Così facendo, la Commissione non ha preso in considerazione gli effetti reali sul mercato delle pratiche di cui alla decisione impugnata, bensì la «natura» e dunque la capacità di tali pratiche di avere effetti del genere. |
1628 |
Il fatto che la Commissione non abbia preso in considerazione l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato al fine di determinare l’importo dell’ammenda è parimenti confermato dalle seguenti circostanze. Da un lato, mentre taluni passaggi della decisione impugnata che non si riferiscono alla determinazione dell’importo dell’ammenda contengono conclusioni relative all’impatto concreto del comportamento della ricorrente sulla libertà di scelta dei costruttori OEM e di MSH (v. considerando 1001 e 1678 di tale decisione), nonché sul pregiudizio subìto dai consumatori (v. considerando da 1597 a 1616 di detta decisione), la Commissione si è astenuta dal richiamare tali conclusioni allorché ha determinato la gravità dell’infrazione. Dall’altro, nell’ambito della conclusione sulla gravità, enunciata al considerando 1785 della medesima decisione, la Commissione ha rilevato che gli abusi differivano quanto alla loro rispettiva «probabile incidenza anticoncorrenziale». Il fatto che, nell’ambito della conclusione sulla gravità, la Commissione abbia richiamato la «probabile incidenza anticoncorrenziale» degli abusi individuali dimostra in maniera univoca che essa non ha preso in considerazione l’impatto concreto dell’infrazione sul mercato, bensì unicamente la sua probabile incidenza. |
1629 |
Pertanto, è giocoforza constatare che la Commissione non si è basata sull’impatto concreto dell’infrazione al fine di aumentarne la gravità. |
1630 |
In secondo luogo, nella parte in cui la ricorrente sostiene che la Commissione si è a torto astenuta dal prendere in considerazione l’assenza di effetti reali dell’infrazione e del nesso di causalità fra tali effetti e il pregiudizio per i consumatori o i concorrenti come un fattore attenuante in sede di valutazione della gravità, la sua argomentazione deve parimenti essere respinta. È giocoforza constatare che, al fine di fissare al 5% la proporzione del valore delle vendite determinata in funzione della gravità dell’infrazione, la Commissione non era tenuta a prendere in considerazione l’asserita assenza di un impatto concreto dell’infrazione sul mercato. Infatti, nella specie, gli altri elementi sui quali la Commissione si è basata nella decisione impugnata al fine di determinare la gravità dell’infrazione giustificano la fissazione al 5% della proporzione del valore delle vendite da prendere in considerazione. |
1631 |
A tal riguardo occorre constatare, in via preliminare, che il livello del 5% accolto nella decisione impugnata si situa sui valori minimi della forcella, la quale può andare, secondo il punto 21 degli orientamenti del 2006, fino al 30%. |
1632 |
Per quanto riguarda poi, in primo luogo, la natura dell’infrazione, occorre rilevare che, ai considerando 1780 e 1781 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che, a parte la ricorrente, la quale deteneva l’80% del mercato, l’unico concorrente serio esistente sul mercato era AMD. Essa ha parimenti rammentato che la ricorrente ha attuato una strategia complessiva intesa a precludere il mercato ad AMD. In tal senso, le pratiche abusive della ricorrente avrebbero mirato ad escludere l’unico concorrente serio, o quantomeno a restringere il suo accesso al mercato. Alla luce delle barriere di accesso alla produzione dei CPU x86, sarebbe probabile che, se AMD fosse stata eliminata o emarginata, non vi sarebbero stati nuovi concorrenti credibili sul mercato. |
1633 |
Per quanto riguarda, in secondo luogo, la quota di mercato delle imprese interessate, la Commissione ha rilevato, al considerando 1783 della decisione impugnata, che, durante tutto il periodo dell’infrazione, la ricorrente deteneva non solo una posizione dominante in tutti i segmenti del mercato dei CPU x86, ma la sua quota di mercato era anche molto superiore a quella dei suoi concorrenti. |
1634 |
Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’estensione geografica dell’infrazione, la Commissione ha rilevato, al considerando 1784 della decisione impugnata, di aver dimostrato che la strategia della ricorrente intesa ad escludere AMD aveva una portata mondiale. Nell’ambito della valutazione della gravità dell’infrazione, tale circostanza implicherebbe che la totalità del SEE sia stata interessata dall’infrazione (v. punti da 1578 a 1582 supra). |
1635 |
In quarto luogo, occorre rammentare che, nell’ambito della conclusione sulla gravità dell’infrazione, la Commissione, al considerando 1785 della decisione impugnata, ha rilevato segnatamente che la ricorrente ha commesso un’infrazione unica la cui intensità è stata diversa nel corso degli anni, che gli abusi individuali sono stati differenti con riferimento alla loro rispettiva probabile incidenza anticoncorrenziale e che la ricorrente si è adoperata per dissimulare il carattere anticoncorrenziale del suo comportamento (v. punti da 1583 a 1591 supra). |
1636 |
Tali constatazioni, che né vengono contestate dalla ricorrente né sono state dimostrate in maniera sufficiente dalla Commissione, bastano a giustificare la fissazione della proporzione del valore delle vendite al 5%. |
1637 |
In terzo luogo, per quanto attiene agli argomenti dedotti dalla ricorrente a sostegno dell’assenza di effetti concreti sul mercato e del nesso di causalità, occorre ricordare, ad abundantiam, che né la crescita delle quote di mercato di AMD né l’abbassamento dei prezzi dei CPU x86 nel corso del periodo preso in considerazione dalla decisione impugnata implicano che le pratiche della ricorrente fossero prive di effetti. In assenza di tali pratiche, è consentito ritenere che l’aumento delle quote di mercato del concorrente nonché la diminuzione dei prezzi dei CPU x86 avrebbero potuto essere maggiori (v. punto 186 supra). Analogamente, nella parte in cui la ricorrente invoca ragioni economiche diverse dalla fidelizzazione generata dagli sconti condizionati quali cause delle decisioni dei costruttori OEM di acquistare i suoi prodotti, è giocoforza constatare che tale argomento non è in grado di escludere completamente l’influenza degli sconti e dei pagamenti condizionati in questione sulle decisioni commerciali dei costruttori OEM (v. punto 597 supra). |
4. Conclusione
1638 |
Di conseguenza, occorre respingere tutti gli argomenti della ricorrente intesi a dimostrare che il livello dell’ammenda era sproporzionato. |
D – Sull’esercizio della competenza estesa al merito
1639 |
In udienza, la ricorrente ha evidenziato quattro punti che giustificavano, a suo avviso, una riduzione dell’importo dell’ammenda da parte del Tribunale nell’ambito dell’esercizio della sua competenza estesa al merito. In primo luogo, essa sottolinea la complessità della presente causa e sostiene che le era estremamente difficile rispettare la legge. Nella specie, la Commissione avrebbe seguito l’approccio degli orientamenti articolo 82. Questi ultimi non vieterebbero gli sconti condizionati di per sé, ma esigerebbero l’applicazione di un test AEC. L’assenza di certezza del diritto generata dovrebbe essere presa in considerazione dal Tribunale. In secondo luogo, la ricorrente fa valere che il procedimento amministrativo è durato nove anni, mentre l’articolo 6 della CEDU e l’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali esigerebbero un trattamento rapido delle cause penali. Una parte sostanziale di tale ritardo sarebbe dovuta ai lavori necessari all’applicazione del test AEC. Un ritardo sarebbe un fattore che il Tribunale può sempre prendere in considerazione. In terzo luogo, il Tribunale dovrebbe tenere conto della decisione del Mediatore del 14 luglio 2009 che constatava che la mancata registrazione della riunione fra la Commissione e il sig. D1 costituiva un caso di cattiva amministrazione. In quarto luogo, per quanto riguarda l’abuso concernente Acer, il Tribunale dovrebbe tenere conto del fatto che la durata del ritardo del lancio del computer portatile ha potuto estendersi da due a quattro settimane soltanto. |
1640 |
Tuttavia, nessuno di questi argomenti può comportare una modifica dell’importo dell’ammenda fissato dalla Commissione. |
1641 |
In primo luogo, la ricorrente non può trarre alcun vantaggio da un’asserita incertezza giuridica con riferimento all’illegittimità degli sconti di esclusiva. Infatti, la Commissione e la Corte hanno condannato a più riprese l’attuazione, da parte di un’impresa in posizione dominante, di pratiche consistenti nella concessione degli incentivi finanziari che dipendono dalle condizioni di esclusiva (v. punto 1602 supra). Quanto agli orientamenti articolo 82, si evince dal considerando 916 della decisione impugnata che la Commissione non li ha applicati nella presente causa. È stato illustrato supra che essa non era neanche tenuta a farlo. Inoltre, la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione abbia ingenerato nella stessa un legittimo affidamento per quanto attiene all’applicazione del test AEC (v. punti da 160 a 165 supra). |
1642 |
Per quanto concerne, in secondo luogo, la durata del procedimento amministrativo, l’argomento della ricorrente non può tantomeno essere accolto. |
1643 |
A tal riguardo, occorre sottolineare che l’esercizio della competenza estesa al merito non equivale a un controllo d’ufficio e che il procedimento dinanzi ai giudici dell’Unione è di tipo contraddittorio. Ad eccezione dei motivi di ordine pubblico, che devono essere sollevati d’ufficio dal giudice, come il difetto di motivazione della decisione impugnata, spetta al ricorrente sollevare motivi contro tale decisione e addurre elementi probatori per corroborare tali motivi (sentenza Chalkor/Commissione, cit. al punto 1609 supra, punto 64). |
1644 |
Il motivo invocato dalla ricorrente, attinente unicamente alla lunghezza del procedimento amministrativo, e non alla lunghezza del procedimento dinanzi al Tribunale, deve essere dichiarato irricevibile ai sensi dell’articolo 48, paragrafo 2, del regolamento di procedura. Detto motivo, che non è stato invocato nell’atto introduttivo di ricorso, non può essere ritenuto un’estensione di un motivo precedentemente dedotto, direttamente o implicitamente, nell’atto introduttivo del ricorso e neppure si fonda su elementi di diritto o di fatto emersi nel corso del procedimento. Peraltro, nelle circostanze della presente causa, il motivo vertente sulla durata irragionevole del procedimento dinanzi alla Commissione non va neanche esaminato d’ufficio (v., per analogia, sentenza del Tribunale del 30 aprile 2009, CD‑Contact Data/Commissione, T-18/03, Racc. pag. II-1021, punto 130). |
1645 |
Per quanto riguarda, in terzo luogo, la mancata registrazione della riunione fra la Commissione e il sig. D1, è stato illustrato supra che la Commissione ha corretto la lacuna iniziale del procedimento amministrativo, risultante dal fatto che non era stata redatta e comunicata alla ricorrente una nota succinta, tramite la messa a disposizione della ricorrente della versione non riservata della nota interna (v. punto 622 supra). Ciò considerato, non si deve modificare l’importo dell’ammenda. Ad abundantiam, occorre rilevare che, anche ammesso che l’errore procedurale non sia stato sanato, tale irregolarità non può portare il Tribunale a modificare l’importo dell’ammenda. |
1646 |
In quarto luogo, per quanto riguarda l’abuso concernente Acer, l’argomento della ricorrente secondo il quale la durata del ritardo del lancio del computer portatile di cui trattasi è stato, in realtà, inferiore ai quattro mesi è stato respinto ai punti da 1345 a 1357 supra. |
1647 |
Inoltre, occorre rilevare che, con riguardo alla competenza estesa al merito del Tribunale in materia di ammende a causa di un’infrazione alle regole di concorrenza, niente nelle censure, negli argomenti e negli elementi di diritto e di fatto dedotti dalla ricorrente nell’ambito dell’insieme dei motivi esaminati supra consente di concludere che l’ammenda che le è stata inflitta dalla decisione impugnata presenti un carattere sproporzionato. Al contrario, occorre considerare che tale ammenda è adeguata alle circostanze del caso di specie. Nell’ambito di tale valutazione, occorre segnatamente tenere conto delle circostanze illustrate ai punti da 1631 a 1636 supra nonché del fatto che l’ammenda equivale al 4,15% della cifra d’affari annuale di Intel, il che si situa ben al di sotto del limite del 10% fissato all’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003. |
Sulle spese
[omissis]
Per questi motivi, IL TRIBUNALE (Settima Sezione ampliata) dichiara e statuisce: |
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Dittrich Schwarcz Wiszniewska-Białecka Prek Kancheva Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 giugno 2014. Firme |
( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.
( 1 ) Sono riprodotti unicamente i punti della sentenza dei quali il Tribunale ritiene utile la pubblicazione.
( 2 ) Dati riservati omessi. Al fine di preservarne l’anonimato, i nomi delle persone sono stati sostituiti, nel caso delle persone che lavorano per Intel, Dell, HP, NEC, Lenovo, Acer o MSH, dalla lettera iniziale del nome dell’impresa presso la quale esse lavorano, seguita da una cifra e, nel caso di quelle che lavorano per AMD, dalla lettera maiuscola «C», seguita da una cifra. Inoltre, i nomi di tre professori sono stato sostituiti da P1, P2 e P3.