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Document 62009CJ0089

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 16 dicembre 2010.
Commissione europea contro Repubblica francese.
Inadempimento di uno Stato - Libertà di stabilimento - Art. 43 CE - Sanità pubblica - Gestione dei laboratori di analisi biomediche - Normativa nazionale che limita la partecipazione dei soci non biologi al 25% del capitale sociale - Divieto di partecipazione nel capitale di più di due società che gestiscono in comune uno o più laboratori di analisi biomediche - Obiettivo di garantire l’autonomia professionale dei biologi - Obiettivo di mantenere un’offerta differenziata nel settore della biologia medica - Coerenza - Proporzionalità.
Causa C-89/09.

Raccolta della Giurisprudenza 2010 I-12941

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2010:772

Causa C‑89/09

Commissione europea

contro

Repubblica francese

«Inadempimento di uno Stato — Libertà di stabilimento — Art. 43 CE — Sanità pubblica — Gestione dei laboratori di analisi biomediche — Normativa nazionale che limita la partecipazione dei soci non biologi al 25% del capitale sociale — Divieto di partecipazione nel capitale di più di due società che gestiscono in comune uno o più laboratori di analisi biomediche — Obiettivo di garantire l’autonomia professionale dei biologi — Obiettivo di mantenere un’offerta differenziata nel settore della biologia medica — Coerenza — Proporzionalità»

Massime della sentenza

1.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Restrizioni — Restrizioni relative alla partecipazione nel capitale delle società

(Artt. 43 CE e 46 CE)

2.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Restrizioni — Restrizioni relative alla partecipazione nel capitale delle società

(Art. 43 CE)

1.        Le disposizioni nazionali che vietano ad un non biologo di detenere più del 25% delle quote sociali e quindi dei diritti di voto di una società a responsabilità limitata esercente una professione liberale (Selarl) che gestisce laboratori di analisi biomediche, limitano la possibilità per le persone fisiche o giuridiche che non hanno la qualifica di biologo, stabilite in altri Stati membri, di partecipare al capitale sociale di detta società. Inoltre, tali disposizioni scoraggiano, o impediscono, lo stabilimento nello Stato membro in questione, in forma di Selarl, di operatori economici stabiliti in altri Stati membri in cui gestiscono laboratori che non soddisfano i criteri di ripartizione del capitale previsti da dette disposizioni. Queste ultime hanno così l’effetto di ostacolare e di scoraggiare l’esercizio da parte di detti operatori delle loro attività sul territorio di detto Stato membro attraverso un centro di attività stabile, nonché di pregiudicare l’accesso di questi ultimi al mercato delle analisi biomediche.

Tuttavia, la tutela della sanità pubblica figura tra i motivi di interesse pubblico che possono giustificare restrizioni alle libertà di circolazione garantite dal Trattato, quali la libertà di stabilimento. In tale contesto, l’obiettivo di mantenere servizi medici di qualità può rientrare in una delle deroghe previste dall’art. 46 CE, se contribuisce alla realizzazione di un livello elevato di tutela della salute.

Tenuto conto della facoltà riconosciuta agli Stati membri di decidere il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica, questi ultimi possono esigere che le analisi biomediche siano eseguite da biologi che godono di un’effettiva indipendenza professionale. Essi possono altresì adottare misure idonee ad eliminare o ridurre il rischio che tale indipendenza sia compromessa, dal momento che ciò potrebbe pregiudicare la sanità pubblica e la qualità dei servizi medici. Uno Stato membro può anche ritenere, nell’ambito del suo margine di valutazione discrezionale, che la detenzione di più del 25% delle quote sociali e dei diritti di voto di una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche da parte di non biologi possa rappresentare un rischio per la sanità pubblica, in particolare, per la qualità dei servizi medici.

Non essendo accertato che una misura meno restrittiva della libertà garantita dall'art. 43 CE, diversa dal divieto per un non biologo di detenere più del 25% delle quote sociali e dei diritti di voto di una tale società, permetterebbe di assicurare, in modo altrettanto efficace, il livello di tutela della sanità pubblica desiderato, siffatte disposizioni nazionali sono idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vanno oltre quanto necessario per conseguirlo.

Peraltro, siffatte disposizioni appaiono anche proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito, poiché, pur assicurando che i biologi conservino la loro indipendenza nell’esercizio del loro potere decisionale, esse consentono una certa apertura delle Selarl che gestiscono laboratori di analisi biomediche ai capitali esterni nel limite del 25% del loro capitale sociale.

(v. punti 46, 47, 52, 53, 66, 68, 79, 87-89)

2.        Una disposizione nazionale che vieta ai biologi di detenere una partecipazione in più di due società costituite per la gestione in comune di uno o più laboratori di analisi biomediche, ha l’effetto di ostacolare e di scoraggiare l’esercizio della loro libertà di stabilimento e costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE.

(v. punti 98-100)







SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

16 dicembre 2010 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Libertà di stabilimento – Art. 43 CE – Sanità pubblica – Gestione dei laboratori di analisi biomediche – Normativa nazionale che limita la partecipazione dei soci non biologi al 25% del capitale sociale – Divieto di partecipazione nel capitale di più di due società che gestiscono in comune uno o più laboratori di analisi biomediche – Obiettivo di garantire l’autonomia professionale dei biologi – Obiettivo di mantenere un’offerta differenziata nel settore della biologia medica – Coerenza – Proporzionalità»

Nella causa C‑89/09,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 2 marzo 2009,

Commissione europea, rappresentata dai sigg. G. Rozet e E. Traversa, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica francese, rappresentata dai sigg. G. de Bergues e B. Messmer, in qualità di agenti,

convenuta,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. A. Arabadjiev, A. Rosas (relatore), A. Ó Caoimh e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig. N. Nanchev, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 25 marzo 2010,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 2 giugno 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica francese, avendo limitato al massimo ad un quarto delle quote sociali, e quindi dei diritti di voto, di una società a responsabilità limitata esercente una professione liberale (Selarl) che gestisce laboratori di analisi biomediche, la partecipazione che può essere detenuta da non biologi e avendo vietato la partecipazione al capitale di più di due società costituite per gestire in comune uno o più laboratori di analisi biomediche, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 43 CE.

 Contesto normativo nazionale

2        L’art. 5 della legge 31 dicembre 1990, n. 90-1258, relativa all’esercizio, sotto forma di società, delle professioni liberali sottoposte ad uno statuto legislativo, regolamentare o il cui titolo costituisce comunque oggetto di protezione e alle società di partecipazioni finanziarie di professioni liberali (JORF del 5 gennaio 1991, pag. 216) prevede quanto segue:

«Più della metà del capitale sociale e dei diritti di voto deve essere detenuta, direttamente o attraverso la società menzionata al seguente punto 4°, da professionisti che esercitino la propria attività all’interno della società.

Con riserva dell’applicazione delle disposizioni dell’art. 6 la restante porzione può essere detenuta da:

1° persone fisiche o giuridiche che esercitino la professione o le professioni che costituiscono l’oggetto della società,

2° per un periodo di dieci anni, da persone fisiche che, avendo cessato qualsiasi attività professionale, hanno esercitato tale professione o tali professioni all’interno della società;

3° gli aventi diritto delle persone fisiche precedentemente menzionate per un periodo di cinque anni dopo il decesso delle medesime;

4° una società costituita alle condizioni previste dall’art. 220 quater A del codice generale delle imposte, se i membri di tale società esercitano la loro professione all’interno della società costituita per l’esercizio di una professione liberale;

5° persone che esercitano una qualsiasi professione liberale nel settore sanitario, una qualsiasi professione liberale in ambito giuridico o giudiziario, oppure una qualsiasi delle altre professioni liberali, di cui all’art. 1, paragrafo 1), il cui esercizio costituisca l’oggetto sociale.

Il numero di società costituite per l’esercizio della medesima professione nelle quali una stessa persona fisica o giuridica, tra quelle menzionate supra ai punti 1° e 5°, è autorizzata a detenere partecipazioni sociali, può essere limitato per una professione mediante decreto emesso previo parere del Consiglio di Stato.

Nel caso in cui una delle condizioni di cui al presente articolo dovesse non essere più soddisfatta, la società dispone del termine di un anno per adeguarsi alle disposizioni della presente legge. In caso contrario, qualunque interessato può presentare una domanda giudiziale di scioglimento della società. Il Tribunale può concedere alla società un termine massimo di sei mesi per regolarizzare la situazione. Lo scioglimento non può essere pronunciato se, al giorno della pronuncia di merito, la regolarizzazione è avvenuta.

Qualora alla scadenza del termine di cinque anni previsto supra al punto 3° supra gli aventi diritto degli associati o ex associati non abbiano ceduto le quote o azioni che detengono, la società può, nonostante la loro opposizione, decidere di ridurre il suo capitale dell’importo corrispondente al valore nominale delle loro quote o azioni e di riacquistarle ad un prezzo fissato alle condizioni previste dall’art. 1843-4 del codice civile».

3        Successivamente alla scadenza del termine impartito nel parere motivato, tale articolo è stato modificato dalla legge 4 agosto 2008, n. 2008-776, di modernizzazione dell’economia (JORF del 5 agosto 2008, pag. 12471).

4        L’art. 10 del decreto 17 giugno 1992, n. 92/545, relativo alle società costituite per l’esercizio della professione liberale di direttore e di direttore aggiunto di laboratori di analisi biomediche (JORF del 21 giugno 1992, pag. 8106) così recita:

«Una stessa persona fisica o giuridica compresa tra quelle menzionate all’art. 5, secondo comma, punti 1° e 5°, della summenzionata legge 31 dicembre 1990 può detenere partecipazioni in non più di due società costituite per gestire in comune uno o più laboratori di analisi biomediche assoggettati alle disposizioni dell’art. L.753 del codice della sanità pubblica».

5        L’art. 11 di tale decreto prevede quanto segue:

«La quota di un quarto al massimo del capitale di una società costituita per l’esercizio della professione liberale di direttore e di direttore aggiunto di laboratori di analisi biomediche può essere detenuta da una o più persone che non soddisfano le condizioni di cui all’art. 5, primo comma o secondo comma, punti 1° e 5°, della summenzionata legge 31 dicembre 1990.

Tuttavia, quando la società costituita per l’esercizio di una professione liberale è costituita in forma di società in accomandita per azioni, la quota di capitale che può essere detenuta da persone diverse da quelle elencate nell’art. 5 della citata legge 31 dicembre 1990 può essere superiore a quella fissata al comma precedente, pur non potendo tuttavia arrivare alla metà di detto capitale».

 La procedura precontenziosa

6        In seguito ad un denuncia, la Commissione, il 4 aprile 2006, inviava alla Repubblica francese una lettera di diffida, ritenendo che talune disposizioni della normativa francese relativa ai laboratori di analisi biomediche non fossero compatibili con il principio della libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE, in quanto limitano la possibilità per i non biologi di detenere il capitale di una Selarl che gestisce laboratori e circoscrivono il numero di società costituite per gestire in comune uno o più laboratori in cui una stessa persona fisica o giuridica può detenere una partecipazione.

7        Poiché la Repubblica francese non aveva risposto a tale lettera, la Commissione il 15 dicembre 2006 inviava a tale Stato membro un parere motivato con cui lo invitava ad adottare tutti i provvedimenti necessari per conformarsi a tale parere motivato entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione.

8        Nella sua risposta in data 14 febbraio 2007 la Repubblica francese riteneva che la normativa menzionata in tale parere motivato fosse giustificata dall’obiettivo di tutela della sanità pubblica nonché necessaria e proporzionata rispetto ad esso.

9        Con lettera 11 aprile 2008, lo Stato membro interessato annunciava che la sua posizione era mutata e comunicava che intendeva sopprimere tutte le restrizioni applicabili alla detenzione del capitale dei laboratori interessati, ad eccezione di quelle risultanti da incompatibilità di esercizio rigorosamente definite. L’adozione della legge che realizzava la riforma, a detta di tale Stato, era prevista entro la fine del 2008 o l’inizio dell’anno seguente, con immediata attuazione.

10      In mancanza di informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori in materia, la Commissione si rivolgeva alla Repubblica francese con lettera 20 novembre 2008, chiedendole informazioni a tale proposito.

11      Con lettera in data 27 dicembre 2008, tale Stato membro informava la Commissione del deposito presso l’Assemblée nationale, il 22 ottobre 2008, di un progetto di legge che autorizzava il governo ad adottare con decreto legislativo («ordonnance») le disposizioni legislative in vista in una riforma generale della biologia medica. Detto governo indicava che tale progetto doveva essere esaminato dall’Assemblée nationale nel corso del mese di febbraio 2009, risultando così la previsione di adozione definitiva di tale testo rinviata al maggio successivo.

12      Poiché la Repubblica francese non ha fornito alla Commissione un calendario di adozione del decreto legislativo di cui trattasi e neppure un progetto di legge che consentisse a tale istituzione di disporre di elementi concreti quanto alle misure previste per rimediare alle censure contestatele, quest’ultima ha deciso di proporre il presente ricorso.

 Procedimento dinanzi alla Corte

13      Con ordinanza del presidente della Corte 14 settembre 2009 è stato ammesso l’intervento del Regno di Danimarca a sostegno delle conclusioni della Repubblica francese.

14      Poiché il Regno di Danimarca ha informato la Corte che rinunciava al suo intervento, il presidente della Corte, con ordinanza in data 9 novembre 2009, ha disposto la cancellazione di tale Stato membro come parte interveniente nella controversia.

15      Con lettera 5 febbraio 2010, in applicazione dell’art. 54 bis del regolamento di procedura della Corte, è stato chiesto alla Repubblica francese di prendere posizione, nel corso dell’udienza, sull’argomento presentato dalla Commissione nella memoria di replica, secondo cui le autorità francesi ammettono strutture che consentono di avere accesso a capitali esterni oltre il limite del 25% autorizzato dalla normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche, quando viene operata una dissociazione tra diritti finanziari e diritti di voto relativi alle decisioni sul funzionamento e sull’organizzazione dei laboratori di analisi biomediche.

16      Con lettera del 18 marzo 2010 la Repubblica francese ha inviato alla Corte la nota che aveva indirizzato alla Commissione in data 9 marzo 2010, con la quale aveva trasmesso a quest’ultima il testo del decreto legislativo 13 gennaio 2010, n. 2010-49, relativo alla biologia medica (JORF del 15 gennaio 2010, pag. 819), al cui progetto essa aveva fatto riferimento durante la fase precontenziosa, nonché nella sua memoria di controreplica.

 Sul ricorso

17      Nell’ambito del presente ricorso la Commissione deduce, in sostanza, due censure. Essa sostiene che la normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche viola l’art. 43 CE, in quanto prevede, in primo luogo, che un non biologo non possa detenere più di un quarto delle quote sociali, e quindi dei diritti di voto, di una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche e, in secondo luogo, che una persona fisica o giuridica non possa detenere una partecipazione in più di due società costituite per gestire in comune uno o più laboratori di analisi biomediche.

18      Occorre precisare che la normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche ha subito una serie di modifiche in seguito all’adozione del decreto legislativo n. 2010-49. Dal momento che l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e i mutamenti intervenuti in seguito non possono essere presi in considerazione (v., in particolare, sentenze 19 maggio 2009, causa C‑531/06, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4103, punto 98, e 25 marzo 2010, causa C‑392/08, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑2537, punto 26), nella presente sentenza non si tiene conto di tali modifiche.

 Sulla prima censura

 Argomenti delle parti

19      La Commissione sostiene che il divieto per un non biologo di detenere più del 25% delle quote sociali, e quindi dei diritti di voto, di una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche, che risulterebbe dall’applicazione combinata degli artt. 5 della legge n. 90-1258 e 11, primo comma, del decreto n. 92-545 (in prosieguo: le «disposizioni oggetto della prima censura»), costituisce una restrizione non giustificata alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE. Essa avrebbe l’effetto di limitare le possibilità di partenariati in particolare con persone giuridiche con sede in altri Stati membri nonché la libertà di stabilimento in Francia di laboratori con sede in altri Stati membri e non rispondenti ai requisiti definiti dalle disposizioni oggetto della prima censura.

20      È certamente vero che la tutela della sanità pubblica costituirebbe una ragione idonea a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento. Tuttavia, occorrerebbe anche che esse siano atte a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al suo conseguimento, il che non si verificherebbe nel caso del divieto in esame.

21       A sostegno della sua tesi la Commissione richiama la sentenza 21 aprile 2005, causa C‑140/03, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑3177), relativa ai negozi di ottica. In tale sentenza la Corte avrebbe considerato che le misure previste dalla normativa ellenica oggetto di tale causa, che non permettevano ad un ottico di gestire più di un negozio di ottica e limitavano al massimo al 50% del capitale la partecipazione sociale eventualmente acquisibile da parte di persone fisiche o giuridiche diverse dall’ottico gestore, erano contrarie agli artt. 43 CE e 48 CE. Orbene, vi sarebbe un evidente parallelismo tra, da un lato, la normativa all’origine di tale sentenza e, dall’altro, le disposizioni che costituiscono oggetto della prima censura nel caso di specie.

22      A parere della Commissione, appare giustificato esigere, per ragioni di sanità pubblica, che, nell’ambito della sfera giuridica dei rapporti con i pazienti, le analisi biomediche siano realizzate da personale competente che dispone di un’adeguata formazione professionale. Al contrario, nell’ambito dei rapporti giuridici che riguardano la proprietà o il diritto di gestire laboratori di biologia medica, l’esigenza di tali qualifiche non sembrerebbe proporzionata.

23      La Commissione sostiene nella sua memoria di replica che la soluzione accolta dalla Corte nelle sentenze relative alle limitazioni in materia di proprietà del capitale delle farmacie (sentenze Commissione/Italia, cit., e 19 maggio 2009, cause riunite C‑171/07 e C‑172/07, Apothekerkammer des Saarlandes e a., Racc. pag. I‑4171), pronunciate dalla Corte successivamente al deposito del ricorso e del controricorso nella presente causa, non può essere trasposta ai laboratori di analisi biomediche. In tali sentenze, la Corte avrebbe adottato un’impostazione diversa da quella della citata sentenza Commissione/Grecia. Infatti, essa avrebbe giudicato che la libertà di stabilimento non osta a normative, come quella italiana e tedesca, che riservano la proprietà e l’esercizio di una farmacia ai soli farmacisti. Tale valutazione sarebbe motivata dal carattere molto particolare dei medicinali.

24      Orbene, le attività di biologia medica sarebbero effettuate solo sulla base di una prescrizione medica, il che rappresenta una migliore garanzia tanto in termini di tutela della sanità pubblica quanto di controllo dei costi per il sistema sanitario. Infatti, tale inquadramento attraverso la prescrizione medica sarebbe valido sia per quanto riguarda la natura dei test da realizzare sia per quanto riguarda la quantità dei medesimi.

25      La Commissione sostiene poi che il settore della biologia medica è caratterizzato dalla necessità di rilevanti finanziamenti, il che lo distingue in particolare dal settore dei laboratori farmaceutici, e che l’obiettivo di tutela della sanità pubblica perseguito dalle disposizioni oggetto della prima censura non risulta conseguito in quanto esse avrebbero impedito di attuare i raggruppamenti idonei a realizzare gli investimenti necessari alla prestazione di un servizio di qualità. Tali disposizioni non avrebbero permesso neppure la costituzione di strutture di dimensioni sufficienti per realizzare economie di scala, che avrebbero potuto avere effetti positivi sul costo delle analisi e, di conseguenza, sulla loro presa a carico.

26      D’altra parte, misure meno restrittive della libertà di stabilimento consentirebbero altresì di mantenere l’indipendenza dei biologi nell’esercizio del loro potere decisionale che le disposizioni oggetto della prima censura intendono assicurare.

27      La Commissione sostiene altresì che la normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche manca di coerenza. Mentre il dispositivo attuato dalle disposizioni oggetto della prima censura sarebbe fondato sul ruolo svolto dal direttore di laboratorio nella sua duplice veste di gestore e di biologo, non sarebbe richiesta l’effettiva presenza di un biologo nei locali durante le ore di apertura del laboratorio. La Commissione afferma altresì che le autorità francesi ammettono strutture che consentono di accedere a capitali esterni oltre il limite del 25%, quando viene operata una dissociazione tra diritti finanziari e diritti di voto relativi alle decisioni sul funzionamento e sull’organizzazione del laboratorio di analisi biomediche di cui trattasi.

28      Benché, nel corso del procedimento precontenzioso, la Repubblica francese abbia comunicato alla Commissione la sua intenzione di mettere fine alle restrizioni in materia di detenzione del capitale da parte di non biologi, tale Stato membro afferma, nel controricorso, che il divieto per un non biologo di detenere più di un quarto delle quote sociali e quindi dei diritti di voto di una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche è compatibile con l’art. 43 CE.

29      Nell’evocare il ruolo centrale e determinante che la biologia medica occupa nel sistema sanitario, tale Stato membro evidenzia le tre fasi che compongono l’esame di biologia medica, cioè la fase pre-analitica durante la quale il personale medico incontra il paziente e procede ai prelievi, la fase analitica, che è una fase puramente tecnica che consiste nell’effettuare le analisi e, infine, la fase post-analitica nella quale i risultati degli esami vengono convalidati prendendo in considerazione la cartella clinica del paziente. Orbene, l’organizzazione attuata in Francia, a differenza di quella esistente in altri Stati membri in cui il biologo sarebbe limitato ad un ruolo essenzialmente tecnico, comporterebbe che queste tre fasi siano unite e inscindibili, il che sarebbe il risultato della scelta delle autorità francesi di conferire un ruolo medico importante al biologo. I biologi, che sarebbero farmacisti nel 75% dei casi, o medici che hanno completato la loro formazione iniziale con una formazione specialistica in biologia medica, sarebbero altresì presenti nella fase pre-analitica durante la quale incontrerebbero il paziente. Parimenti, nella fase post-analitica, convaliderebbero i risultati, li comunicherebbero al paziente, potrebbero partecipare con il medico di quest’ultimo alla scelta della terapia e, in caso di bisogno, procedere ad indagini complementari in funzione dei risultati ottenuti.

30      La Repubblica francese ricorda altresì che, in forza dell’art. 152, n. 5, CE, l’azione dell’Unione nel settore della sanità pubblica rispetta appieno le competenze degli Stati membri in materia di organizzazione e fornitura di servizi sanitari e assistenza medica.

31      Anche supponendo che le disposizioni oggetto della prima censura costituiscano un ostacolo alla libertà di stabilimento, tale ostacolo sarebbe comunque giustificato da un motivo imperativo di interesse generale, costituito dall’obiettivo di tutela della sanità pubblica. Infatti, tali disposizioni si applicherebbero senza discriminazioni in base alla nazionalità e sarebbero dirette a mantenere l’indipendenza dei biologi evitando che le decisioni adottate da questi ultimi siano guidate da considerazioni di ordine economico e non da considerazioni di sanità pubblica. Tali disposizioni consentirebbero di conseguire l’obiettivo perseguito poiché la persona che detiene la maggioranza del capitale di un laboratorio influisce inevitabilmente sulle decisioni che i biologi possono adottare nei confronti dei pazienti. Le stesse disposizioni sarebbero anche proporzionate con riferimento a tale obiettivo. Infatti, se il biologo, dipendente di un laboratorio, fosse tenuto ad applicare le istruzioni provenienti da un datore di lavoro non biologo, non si potrebbe escludere che fosse indotto a privilegiare l’interesse economico di tale laboratorio rispetto alle considerazioni legate alla sanità pubblica.

32      La Repubblica francese ritiene che il ragionamento seguito dalla Corte nella citata sentenza Commissione/Grecia, per quanto riguarda l’attività degli ottici, non sia trasponibile ai laboratori di analisi biomediche. A differenza dei negozi di ottica, tali laboratori contribuirebbero a atti e a decisioni di carattere medico idonei a comportare rischi per la salute dei pazienti.

33      Secondo tale Stato membro, alla luce delle caratteristiche specifiche della biologia medica, nonché dell’organizzazione di tale attività in Francia, occorre piuttosto applicare, nel caso di specie, i principi enunciati dalla Corte nelle citate sentenze Commissione/Italia e Apothekerkammer des Saarlandes e a., vertenti sul settore farmaceutico.

34      Secondo tali sentenze, uno Stato membro potrebbe considerare, nell’ambito del margine di valutazione discrezionale che gli è riconosciuto per quanto riguarda il livello a cui intende assicurare la tutela della sanità pubblica e il modo in cui tale livello deve essere conseguito, che, a differenza della gestione di una farmacia da parte di un farmacista, quella assicurata da un non farmacista può rappresentare un rischio per la sanità pubblica, poiché la ricerca di profitti nell’ambito di tale attività non presenta elementi di temperamento. Orbene, i biologi contribuirebbero ad atti e decisioni di carattere medico potenzialmente idonei a comportare rischi per la sanità pubblica, proprio come nel caso di consegna di medicinali da parte di farmacisti.

35      La Repubblica francese ritiene altresì che la Commissione non provi in qual modo l’apertura del capitale delle Selarl che gestiscono laboratori di analisi biomediche comporterebbe necessariamente un raggruppamento di essi, il che non potrebbe avvenire sulla scorta delle disposizioni oggetto della prima censura. Inoltre, la struttura dei laboratori e eventuali economie di scala non potrebbero influire sulla presa a carico del costo delle analisi, in particolare a causa del fatto che l’importo di tale presa a carico dipenderebbe dal prezzo fissato dallo Stato per ogni esame di biologia medica, prezzo che sarebbe identico per tutti i laboratori a prescindere dal costo effettivo generato dall’esame effettuato.

36      D’altronde, le disposizioni oggetto della prima censura sarebbero proporzionate dal momento che gli investitori che non hanno la qualifica di biologo potrebbero comunque detenere fino al 25% del capitale di una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche. Infatti, all’interno di tale società, le decisioni più importanti sarebbero adottate con un voto a maggioranza dei soci, rappresentante almeno i tre quarti delle quote sociali. Pertanto, tale partecipazione fino al 25% consentirebbe di raggiungere un equilibrio tra il rispetto della libertà di stabilimento e l’obiettivo consistente nel salvaguardare l’indipendenza dei biologi.

37      Inoltre, le misure meno restrittive della libertà di stabilimento a cui si riferisce la Commissione non sarebbero sufficienti ad assicurare il livello di tutela della sanità pubblica perseguito.

38      Infine, per quanto riguarda la coerenza della normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche, la Repubblica francese ritiene in particolare che l’obbligo di esercizio personale delle funzioni a cui è assoggettato il biologo in forza dell’art. L. 6221-9 del codice della sanità pubblica esige la presenza effettiva del medesimo nel laboratorio.

39      Per quanto riguarda l’affermazione, formulata dalla Commissione nella sua memoria di replica, secondo cui le autorità nazionali ammettono strutture che consentano di avere accesso a capitali esterni oltre il limite del 25%, quando viene operata una dissociazione tra diritti finanziari e diritti di voto relativi alle decisioni sul funzionamento e l’organizzazione del laboratorio, tale Stato membro ha spiegato in udienza che tale affermazione riguarda in realtà situazioni in cui le autorità francesi equiparano persone giuridiche che gestiscono laboratori di analisi biomediche in altri Stati membri a biologi che siano persone giuridiche di diritto francese, consentendo loro in tal modo di detenere la maggioranza del capitale delle Selarl che gestiscono laboratori in Francia.

 Giudizio della Corte

–       Osservazioni preliminari

40      Occorre anzitutto ricordare che, come risulta sia dalla giurisprudenza della Corte sia dall’art. 152, n. 5, CE, il diritto dell’Unione non restringe la competenza degli Stati membri ad impostare i loro sistemi di previdenza sociale e ad adottare, in particolare, norme destinate all’organizzazione e alla fornitura di servizi sanitari e di cure mediche.

41      Tuttavia, nell’esercizio di tale competenza, gli Stati membri sono tenuti a rispettare il diritto dell’Unione, in particolare le disposizioni di diritto primario relative alle libertà di circolazione, ivi compresa la libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE. Tali disposizioni comportano il divieto per gli Stati membri di introdurre o di mantenere ingiustificate restrizioni all’esercizio di tali libertà nell’ambito delle cure sanitarie (v., in tal senso, sentenze 10 marzo 2009, causa C‑169/07, Hartlauer, Racc. pag. I‑1721, punto 29; Commissione/Italia, cit., punto 35; Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit., punto 18, nonché 1° giugno 2010, cause riunite C‑570/07 e C‑571/07, Blanco Pérez e Chao Gómez, Racc. pag. I‑4629, punto 43).

42      Ciò posto, nel valutare il rispetto di tale obbligo è necessario tener conto del fatto che la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato CE e che spetta agli Stati membri stabilire il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poiché detto livello può variare da uno Stato membro all’altro, si deve riconoscere agli Stati membri un margine discrezionale (v., in tal senso, sentenze 11 settembre 2008, causa C‑141/07, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑6935, punto 51, e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit., punto 19, nonché Blanco Pérez e Chao Gómez, cit., punto 44).

43      Occorre quindi stabilire se il divieto per un non biologo di detenere più del 25% delle quote sociali e quindi dei diritti di volto di una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE e, eventualmente, esaminare se tale restrizione possa essere giustificata.

–       Sull’esistenza di una restrizione alla libertà di stabilimento

44      Secondo una giurisprudenza costante, l’art. 43 CE osta ad ogni provvedimento nazionale che, pur se applicabile senza discriminazioni in base alla nazionalità, possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato (v., in particolare, sentenze 14 ottobre 2004, causa C‑299/02, Commissione/Paesi-Bassi, Racc. pag. I‑9761, punto 15, nonché sentenze Commissione/Grecia, cit., punto 27, e Commissione/Italia, cit., punto 43).

45      In tale contesto, occorre ricordare che la nozione di «restrizione» ai sensi dell’art. 43 CE ricomprende le misure adottate da uno Stato membro che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per le imprese di altri Stati membri, ostacolando in tal modo il commercio all’interno dell’Unione (v., in tal senso, sentenze 5 ottobre 2004, causa C‑442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I‑8961, punto 12, e 28 aprile 2009, causa C‑518/06, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑3491, punto 64).

46      Da un lato, occorre constatare che le disposizioni oggetto della prima censura, vietando ad un non biologo di detenere più del 25% delle quote sociali e quindi dei diritti di voto di una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche, limitano la possibilità per le persone fisiche o giuridiche che non hanno la qualifica di biologo, stabilite in altri Stati membri, di partecipare al capitale sociale di detta società.

47      D’altro lato, tali disposizioni scoraggiano o addirittura impediscono lo stabilimento in Francia, in forma di Selarl, di operatori economici stabiliti in altri Stati membri in cui gestiscono laboratori che non soddisfano i criteri di ripartizione del capitale previsti da dette disposizioni. Queste ultime hanno così l’effetto di ostacolare e di scoraggiare l’esercizio da parte di detti operatori delle loro attività sul territorio francese attraverso un centro di attività stabile, nonché di pregiudicare l’accesso di questi ultimi al mercato delle analisi biomediche.

48      Infatti, le società che gestiscono laboratori di analisi biomediche stabilite in altri Stati membri e il cui capitale è detenuto da non biologi oltre il limite del 25% potrebbero vedersi costrette, per stabilirsi in Francia sotto forma di Selarl, ad adattare, all’interno di queste società, il loro modo abituale di ripartizione del capitale sociale.

49      Di conseguenza, occorre constatare che le disposizioni oggetto della prima censura costituiscono una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE.

–       Sulla giustificazione della restrizione alla libertà di stabilimento

50      Secondo una giurisprudenza costante, le restrizioni alla libertà di stabilimento, che siano applicabili senza discriminazioni basate sulla nazionalità, possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento dello stesso (v. citate sentenze Hartlauer, punto 44; Apothekerkammer des Saarlandes e a., punto 25, nonché Blanco Pérez e Chao Gómez, punto 61).

51      Anzitutto occorre constatare che le disposizioni oggetto della prima censura si applicano senza discriminazioni in base alla nazionalità.

52      In primo luogo, come ha dichiarato la Corte, la tutela della sanità pubblica figura tra i motivi di interesse pubblico che possono giustificare restrizioni alle libertà di circolazione garantite dal Trattato quali la libertà di stabilimento (v., in particolare, in tal senso, sentenze Hartlauer, cit., punto 46, nonché 19 maggio 2009, Commissione/Italia, cit., punto 51).

53      In tale contesto, discende dalla giurisprudenza che l’obiettivo di mantenere servizi medici di qualità può rientrare in una delle deroghe previste dall’art. 46 CE se contribuisce alla realizzazione di un livello elevato di tutela della salute (v., in tal senso, sentenza 13 maggio 2003, causa C‑385/99, Müller-Fauré e Van Riet, Racc. pag. I‑4509, punto 67, nonché 11 marzo 2004, causa C‑496/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑2351, punto 66).

54      Inoltre, è necessario in secondo luogo che le disposizioni oggetto della prima censura siano idonee a garantire il conseguimento di tale obiettivo.

55      Al riguardo occorre ricordare che, qualora sussistano incertezze circa l’esistenza o l’entità dei rischi per la salute delle persone, è necessario che lo Stato membro possa adottare misure di tutela senza dover aspettare che la concretezza di tali rischi sia pienamente dimostrata. Inoltre lo Stato membro può adottare misure che riducano, per quanto possibile, il rischio per la sanità pubblica (v., in tal senso, sentenze 5 giugno 2007, causa C‑170/04, Rosengren e a., Racc. pag. I‑4071, punto 49; 19 maggio 2009, Commissione/Italia, cit., punto 54, nonché Blanco Pérez e Chao Gómez, cit., punto 74).

56      Risulta dal fascicolo che il settore della biologia medica ha un carattere particolare e che occupa, come rileva la Repubblica francese, un posto di primo piano nel sistema sanitario. Inoltre, è pacifico che in tale Stato membro sia stato conferito un ruolo medico al biologo nel corso delle fasi pre-analitica e post-analitica.

57      Come ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 83 e 84 delle sue conclusioni, così come la consegna ad un cliente di un medicinale errato da parte di un farmacista può causare gravi conseguenze, allo stesso modo una prestazione di analisi biomediche eseguita in modo inappropriato, ovvero in ritardo o in maniera sbagliata, può causare, in particolare, errori di diagnosi e terapia. Inoltre, come un consumo eccessivo o scorretto di medicinali, l’esecuzione in modo errato o inappropriato di analisi biomediche, sul piano quantitativo o qualitativo, può generare costi inutili per il sistema assicurativo sociale e, quindi, per lo Stato.

58      Pertanto, risulta che l’esecuzione di analisi biomediche in modo errato o inappropriato presenta un rischio per la sanità pubblica paragonabile al rischio risultante dalla consegna di medicinali in modo errato, esaminato dalla Corte nelle sentenze 19 maggio 2009, Commissione/Italia, cit., e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit. Per contro, detto rischio non risulta paragonabile a quello determinato dalla consegna errata o inappropriata di prodotti ottici, oggetto della citata sentenza Commissione/Grecia. Tale consegna può certamente avere conseguenze negative per il paziente, ma la Commissione non ha comunque dimostrato che essa raggiunga un grado di gravità equivalente a quello dell’esecuzione in modo erroneo o inappropriato di analisi biomediche.

59      Tali affermazioni non possono essere rimesse in questione dall’argomento della Commissione secondo cui le analisi biomediche sarebbero effettuate solo sulla base di una prescrizione medica, il che le distinguerebbe dai medicinali e offrirebbe una garanzia più elevata in materia sia di tutela della sanità pubblica sia di controllo dei costi per il sistema sanitario.

60      Infatti, da un lato, la Repubblica francese ha sottolineato in udienza, senza che ciò fosse contestato dalla Commissione, che, analogamente alle analisi biomediche, la gran parte dei medicinali è venduta in farmacia su prescrizione medica. D’altra parte, nelle sentenze 19 maggio 2009, Commissione/Italia, cit. (punto 90) e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit. (punto 60), la Corte ha considerato che i medicinali prescritti o utilizzati per scopi terapeutici possono rivelarsi assai nocivi per la salute se sono assunti senza necessità o in modo scorretto. Così, l’eventuale esistenza di una prescrizione non appare idonea a scartare il rischio per la sanità pubblica derivante dalla consegna di medicinali avvenuta in modo scorretto o inappropriato.

61      Ciò accade anche nel caso di analisi biomediche. Dai chiarimenti forniti dalla Repubblica francese risulta che, anche se esse costituiscono oggetto di una prescrizione medica, il ruolo del biologo è importante per garantire che l’analisi richiesta sia eseguita ed interpretata in modo corretto e che, di conseguenza, sulla base dei risultati di detta analisi, siano effettuate dal medico autore della prescrizione scelte terapeutiche adeguate. A tale riguardo, occorre d’altronde rilevare che, in forza dell’art. L. 6211-1 del codice della sanità pubblica, nella versione in vigore alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, le analisi biomediche erano effettuate, nei laboratori, sotto la responsabilità dei direttori e direttori aggiunti di laboratorio, che sono biologi che controllano quindi l’attività dei laboratori. L’importanza del ruolo dei biologi è ancora aumentata, da un lato, dalla possibilità per il paziente, menzionata dalla Repubblica francese, di recarsi in un laboratorio, senza essere munito di prescrizione, per far eseguire talune analisi biomediche e, dall’altro, dall’ampio dialogo che esiste in Francia tra il medico che prescrive e il biologo, il quale può, in caso di bisogno, procedere ad esami che completano la prescrizione medica.

62      Per quanto riguarda gli argomenti della Commissione, secondo cui, da un lato, il settore della biologia medica è caratterizzato anche, rispetto al settore delle farmacie, da bisogni di finanziamento ingenti e, dall’altro, l’obiettivo perseguito dalle disposizioni oggetto della prima censura non è stato conseguito, poiché esse non hanno permesso che si realizzassero i raggruppamenti che consentono la realizzazione degli investimenti necessari ad assicurare la qualità delle prestazioni fornite, nonché eventuali economie di scala che possono influire sui costi e sulla presa a carico delle analisi biomediche, tali argomenti non appaiono veramente provati dagli elementi forniti dalla Commissione e si fondano su mere supposizioni.

63      Al riguardo, la Repubblica francese ha spiegato che l’importo delle analisi biomediche preso a carico dipende essenzialmente dalla tariffa a cui lo Stato decide di retribuire ogni prestazione di analisi, tariffa che è identica per tutti i laboratori a prescindere dal costo effettivo della prestazione. Orbene, la Commissione non ha provato che esisterebbe un rapporto tra tale retribuzione e le regole relative alla detenzione del capitale delle società che gestiscono laboratori di analisi biomediche.

64      Pertanto, risulta che la Commissione non ha sufficientemente provato che l’apertura del capitale di tali società ai capitali esterni determinerebbe, per quanto riguarda il finanziamento dei laboratori di analisi biomediche, gli effetti positivi da essa sostenuti.

65      Di conseguenza, alla luce, da un lato, delle somiglianze esistenti, dal punto di vista dei rischi per la sanità pubblica, tra il settore delle farmacie e quello delle analisi biomediche e, dall’altro, del fatto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, questi due settori non possono essere realmente distinti l’uno dall’altro, né per quanto riguarda i rilievi effettuati in materia di prescrizioni mediche né quanto alle necessità di finanziamento, i principi enunciati nelle sentenze 19 maggio 2009, Commissione/Italia, cit., e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit., relativi alle limitazioni alla detenzione del capitale delle farmacie, risultano in tutto e per tutto trasponibili alla presente causa.

66      Al riguardo, e tenuto conto della facoltà riconosciuta agli Stati membri di decidere il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica, si deve ammettere che questi ultimi possano esigere che le analisi biomediche siano eseguite da biologi che godono di un’effettiva indipendenza professionale. Essi possono altresì adottare misure idonee ad eliminare o ridurre il rischio che tale indipendenza sia compromessa, dal momento che ciò potrebbe pregiudicare la sanità pubblica e la qualità dei servizi medici (v., in tal senso, sentenze 19 maggio 2009, Commissione/Italia, cit., punto 59, e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit., punto 35).

67      I non biologi non hanno, per definizione, una formazione, un’esperienza e una responsabilità equivalenti a quelle dei biologi. Pertanto si deve constatare che essi non forniscono le stesse garanzie fornite da questi ultimi (v., in tal senso, sentenze 19 maggio 2009, Commissione/Italia, cit., punto 62, e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit., punto 38).

68      Di conseguenza, uno Stato membro può ritenere, nell’ambito del margine di valutazione discrezionale menzionato al punto 42 della presente sentenza, che la detenzione di più del 25% delle quote sociali e dei diritti di voto di una tale società da parte di non biologi possa rappresentare un rischio per la sanità pubblica, in particolare, per la qualità dei servizi medici. A tale riguardo, è necessario constatare che, secondo i chiarimenti forniti dalla Repubblica francese e non contestati dalla Commissione, le decisioni più importanti adottate in una Selarl richiedono il voto della maggioranza dei soci, rappresentante almeno i tre quarti delle quote sociali. Ne consegue che, in caso di detenzione di più del 25% delle quote sociali e dei diritti di voto da parte di non biologi, questi ultimi potrebbero avere un’influenza certa su tali decisioni.

69      La Commissione sostiene inoltre che le disposizioni oggetto della prima censura non permettono di conseguire l’obiettivo di tutela della sanità pubblica a causa di talune incoerenze che esistono nel modo in cui tale obiettivo è perseguito. Essa rileva in particolare che la presenza effettiva di un biologo nei locali del laboratorio durante le ore di apertura non è imposta dalla normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche e che le autorità francesi ammettono strutture che consentono di avere accesso a capitali esterni oltre il limite del 25%, quando viene operata una dissociazione tra i diritti finanziari e i diritti di voto relativi alle decisioni riguardanti il funzionamento e l’organizzazione del laboratorio.

70      Al riguardo, risulta dalla giurisprudenza della Corte che una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo addotto solo se risponde realmente all’intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico (v. sentenze 6 marzo 2007, cause riunite C‑338/04, C‑359/04 e C‑360/04, Placanica e a., Racc. pag. I‑1891, punti 53 e 58; Hartlauer, cit., punto 55, nonché 19 maggio 2009, Commissione/Italia, cit., punto 66).

71      Nella fattispecie, benché la normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche effettivamente non prevedesse, alla data di scadenza del termine fissato nel parere motivato, un obbligo di presenza costante di un biologo nei locali durante le ore di apertura del laboratorio, cionondimeno essa conteneva talune disposizioni, menzionate dalla Repubblica francese, che imponevano di fatto che l’esercizio di un controllo effettivo dell’attività dei laboratori fosse esercitatato dai direttori e dai direttori aggiunti dei laboratori, che sono biologi che assumono la responsabilità di tale attività.

72      Infatti, come è stato rilevato al punto 61 della presente sentenza, in forza dell’art L. 6211-1 del codice della sanità pubblica, le analisi biomediche potevano essere effettuate solo in laboratori di analisi biomediche, sotto la responsabilità del loro direttore e direttore aggiunto. Inoltre, questi ultimi dovevano, conformemente all’art. dell’art L. 6211-9 di tale codice, esercitare le loro funzioni personalmente ed effettivamente.

73      Se si tengono presenti tali obblighi, la normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche non può essere considerata come non corrispondente all’obiettivo invocato di tutela coerente e sistematica della sanità pubblica, per il solo motivo che non prevede un obbligo di presenza costante di un biologo nei locali durante le ore di apertura del laboratorio.

74      Quanto all’argomento esposto dalla Commissione nella sua memoria di replica, secondo cui esistono situazioni in cui la limitazione al 25% del capitale che può essere detenuto da non biologi è di fatto elusa attraverso taluni meccanismi di dissociazione tra l’importo della partecipazione finanziaria e i diritti di voto, neppure esso può portare a ritenere che la normativa in questione manchi di coerenza.

75      Infatti, dai chiarimenti forniti nel corso dell’udienza dalla Repubblica francese risulta che si tratta in realtà di situazioni in cui le autorità francesi equiparano persone giuridiche che gestiscono laboratori di analisi biomediche in altri Stati membri a biologi aventi la qualità di persone giuridiche di diritto francese, consentendo loro in tal modo di detenere la maggioranza del capitale di una Selarl che gestisce laboratori in Francia. Da tali spiegazioni emerge altresì che, se è vero che almeno il 75% del capitale di una tale Selarl deve essere detenuto da biologi, questi ultimi possono essere sia persone fisiche sia persone giuridiche equiparate a tali professionisti. Poiché la normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche ammette che l’attività di biologo sia eserciatata anche da una società, le autorità francesi, autorizzando le persone giuridiche che gestiscono laboratori di analisi biomediche in altri Stati membri a detenere più del 25% delle quote sociali e dei diritti di voto di una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche, si limitano a concedere a tali persone giuridiche gli stessi diritti riconosciuti ai biologi aventi la qualità di persone giuridiche di diritto francese. Come ha chiarito la Repubblica francese, tale Stato membro si limita a rispettare il diritto dell’Unione.

76      La circostanza che il capitale delle persone giuridiche che gestiscono laboratori di analisi biomediche in altri Stati membri in cui non esistono limitazioni applicabili alla partecipazione al capitale da parte di non biologi possa essere detenuto in maggioranza, o addirittura esclusivamente, da non biologi, come nel caso di investitori finanziari, non è sufficiente a far concludere nel senso di una mancanza di coerenza della normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche. Infatti, tali persone giuridiche esercitano validamente l’attività di biologo in detti Stati membri e possono in tal modo essere equiparate a biologi aventi la qualità di persone giuridiche di diritto francese.

77      La Repubblica francese ha anche argomentato all’udienza che, sebbene la normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche consenta, in certi casi, per società diverse dalle Selarl, una dissociazione tra la partecipazione al capitale e i diritti di voto, tale possibilità è prevista solo per consentire a biologi che non esercitano in laboratori di analisi biomediche gestiti da tali società di detenere la maggioranza del loro capitale. Di conseguenza, in tal caso si tratta di una regola specifica ad altri tipi di società che possono gestire laboratori di analisi biomediche, che riguarda i rapporti tra i biologi che lavorano in tali laboratori e quelli che non vi lavorano e che non rimette in discussione la limitazione al 25% della partecipazione al capitale da parte di non biologi.

78      Infine, occorre rilevare che, in risposta ad un quesito postole in udienza, la Repubblica francese ha precisato che l’unico tipo di società che può gestire laboratori di analisi biomediche in cui è consentita una partecipazione al capitale superiore al 25% da parte di non biologi è la società in accomandita per azioni. Infatti, i non biologi possono detenere fino al 49% del capitale in tale società. Tale circostanza, non rilevata dalla Commissione, non risulta di per sé idonea a provare una mancanza di coerenza della normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche. Infatti, essa può spiegarsi con la differenza che esiste tra le modalità di funzionamento delle Selarl e quelle delle società in accomandita per azioni. Lo Stato membro interessato ha in effetti sottolineato, senza che la Commissione lo contestasse, che le modalità di funzionamento molto specifiche di quest’ultimo tipo di società permettono in ogni caso ai biologi di mantenere la titolarità delle decisioni importanti per tali società.

79      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre dichiarare che le disposizioni oggetto della prima censura sono idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo di tutela della sanità pubblica invocato.

80      Infine, occorre in terzo luogo esaminare se la restrizione della libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE non vada oltre quanto necessario per conseguire tale obiettivo, vale a dire se non esistano misure meno restrittive di tale libertà che permetterebbero di conseguirlo in modo altrettanto efficace.

81      Al riguardo, la Commissione sostiene che detto obiettivo potrebbe essere conseguito con misure meno restrittive quali l’obbligo che le analisi biomediche siano realizzate da personale competente che dispone delle qualifiche necessarie e a cui si applica il principio deontologico di indipendenza dei professionisti della salute. Essa invoca altresì le incompatibilità di esercizio destinate ad evitare i conflitti di interesse, l’inquadramento tecnico e qualitativo, nonché il controllo dell’esecuzione delle analisi biomediche esercitato dai medici e dai farmacisti ispettori della sanità pubblica, previsti dalla normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche. Inoltre, essa fa riferimento alla possibilità di prevedere l’attuazione di meccanismi di dissociazione tra i diritti finanziari e i diritti di voto.

82      Tuttavia, tenuto conto del margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri, ricordato al punto 42 della presente sentenza, uno Stato membro può ritenere sussistente il rischio che le disposizioni dirette a garantire l’indipendenza professionale dei biologi non vengano osservate nella pratica, tenuto conto che l’interesse di un non biologo alla realizzazione di utili non sarebbe temperato allo stesso modo di quello dei biologi indipendenti e che la subordinazione dei biologi, quali dipendenti stipendiati, ad una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche detenuta in maggioranza da non biologi potrebbe rendere loro difficile opporsi alle istruzioni fornite da non biologi (v., in tal senso, sentenze 19 maggio 2009, Commissione/Italia, cit., punto 84, e Apothekerkammer des Saarlandes e a., cit., punto 54). Come sostiene la Repubblica francese, non può escludersi in particolare che detti non biologi siano tentati di rinunciare a taluni esami meno redditizi sul piano economico o più complessi da realizzare o di ridurre l’attività di consulenza nei confronti dei pazienti nella fase pre-analitica e post-analitica, la cui esistenza caratterizza l’organizzazione della biologia medica in Francia.

83      La Commissione non ha provato che si possano escludere con altrettanta efficacia i rischi per l’indipendenza della professione di biologo, attraverso norme di incompatibilità di esercizio come il divieto, previsto dalla normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche per prevenire i conflitti d’interesse, di detenere una partecipazione nel capitale delle Selarl che gestiscono laboratori di analisi biomediche, riguardante categorie specifiche di persone fisiche e giuridiche, in particolare quelle che esercitano un’altra professione sanitaria o un’attività di fornitore di materiale di analisi biomediche. Infatti, come ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 178 e 179 delle sue conclusioni, si tratta in quel caso di divieti appropriati rispetto a situazioni in cui si tratti di evitare semplicemente che un interesse diverso possa orientare in maniera anomala l’attività di una Selarl che gestisce laboratori di analisi biomediche. Al contrario, tali divieti non risultano sufficienti allorché occorra garantire la reale indipendenza delle decisioni adottate dai biologi, e ciò in ogni caso, anche in mancanza di un conflitto di interessi già formalmente identificato come tale dalla normativa relativa ai laboratori di analisi biomediche.

84      Per quanto riguarda l’inquadramento tecnico e qualitativo nonché il controllo dell’esecuzione delle analisi biomediche attuato dai medici e farmacisti ispettori del settore della sanità pubblica, sebbene costituiscano meccanismi volti ad assicurare che l’attività di analisi biomediche sia svolta da soggetti in possesso di un’adeguata formazione e capacità tecnica, nonché di un’esperienza di livello qualitativamente congruo, la Commissione non ha provato neppure in questo caso che essi siano da soli idonei a garantire l’indipendenza dei biologi nell’esercizio del loro potere decisionale.

85      Quanto alla possibilità, anch’essa invocata dalla Commissione come misura meno restrittiva, di prevedere l’attuazione di meccanismi di dissociazione tra i diritti finaziari e i diritti di voto che consentono di garantire che le decisioni relative alle regole di funzionamento e di organizzazione dei laboratori di analisi biomediche siano adottate da biologi, la Repubblica francese ha sottolineato, in udienza, che occorreva non sottovalutare la pressione che i terzi detentori della maggioranza del capitale potrebbero esercitare sui biologi che esercitano la loro attività nei laboratori.

86      Orbene, in considerazione del margine discrezionale lasciato agli Stati membri, come ricordato al punto 42 della presente sentenza, non appare inaccettabile che uno Stato membro consideri che l’indipendenza nell’esercizio del loro potere decisionale dei biologi che detengano la maggioranza dei diritti di voto, senza tuttavia detenere la maggioranza del capitale di una società che gestisce laboratori di analisi biomediche, non è garantita in modo sufficientemente efficace. Come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 220 delle conclusioni, si può infatti ritenere che le decisioni connesse a investimenti o a disinvestimenti finanziari adottate dai soci di minoranza, che detengano al massimo il 25% dei diritti di voto, influiscano, ancorché indirettamente, sulle decisioni degli organi societari.

87      Pertanto, non è accertato che misure meno restrittive permetterebbero di assicurare, in modo altrettanto efficace, il livello di tutela della sanità pubblica desiderato.

88      Inoltre, risulta dal fascicolo presentato alla Corte che la scelta operata dalla Repubblica francese di limitare al 25% le quote sociali e i diritti di voto che possono essere detenuti da non biologi all’interno delle Selarl che gestiscono laboratori di analisi biomediche deriva in particolare dal fatto che le decisioni più importanti adottate all’interno di tali società richiedono un voto a maggioranza dei soci che rappresenti almeno i tre quarti delle quote sociali. Una detenzione del capitale e dei diritti di voto da parte di non biologi è quindi possibile esclusivamente nei limiti in cui questi ultimi non possano influire sulle dette decisioni. Di conseguenza, le disposizioni oggetto della prima censura appaiono anche proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito, poiché, pur assicurando che i biologi conservino la loro indipendenza nell’esercizio del loro potere decisionale, esse consentono una certa apertura delle Selarl che gestiscono laboratori di analisi biomediche ai capitali esterni nel limite del 25% del loro capitale sociale.

89      Pertanto, le disposizioni oggetto della prima censura non vanno oltre quanto necessario per conseguire l’obiettivo da esse perseguito. Occorre quindi ammettere che le restrizioni che derivano da tali disposizioni possono essere giustificate da tale obiettivo.

90      Alla luce di tutto quanto precede, il primo motivo del ricorso della Commissione deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo motivo

 Argomenti delle parti

91      La Commissione sostiene che il divieto di partecipare al capitale di più di due società costituite per la gestione in comune di uno o più laboratori di analisi biomediche, risultante dall’art. 10 del decreto n. 92-545 (in prosieguo: la «disposizione oggetto della seconda censura»), costituisce una restrizione non giustificata alla libertà di stabilimento.

92      Mentre la Commissione aveva affermato che detto divieto riguardava tanto i biologi quanto i non biologi, la Repubblica francese ha precisato in udienza che tale divieto riguardava in realtà solo i biologi, poiché i non biologi potevano, per parte loro, acquisire partecipazioni in un numero indefinito di società costituite per gestire in comune uno o più laboratori di analisi biomediche, nel limite del 25% delle quote sociali e dei diritti di voto di ciascuna di esse per quanto riguarda le Selarl.

93      Nel suo controricorso, tale Stato membro non contesta detta censura, in quanto la disposizione a cui essa si riferisce non gli appare giustificata dalla tutela della sanità pubblica.

94      Nella sua memoria di controreplica, il medesimo Stato membro ha precisato che non intendeva ammettere che un divieto come quello previsto dalla disposizione oggetto della seconda censura non possa, in alcuna circostanza, essere giustificato rispetto all’obiettivo di tutela della sanità pubblica, in quanto uno Stato membro ha il diritto di ritenere che debba essere assicurata un’offerta differenziata in materia di biologia medica.

95      La Repubblica francese ha altresì comunicato, in tale memoria, che intendeva modificare tale disposizione che le appariva, da un lato, inadeguata e, dall’altro, sproporzionata.

96      Pertanto, detto Stato membro non ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto fondato sulla seconda censura. Inoltre, ha confermato all’udienza che non contestava tale censura, precisando che detta disposizione non era più applicabile in seguito all’intervento del decreto legislativo n. 2010-49.

 Giudizio della Corte

97      In via preliminare, sebbene la censura inizialmente formulata dalla Commissione sembri fare riferimento ad un divieto di carattere generale, risulta tuttavia, tenuto conto della formulazione letterale dell’art. 10 del decreto n. 92-545, come dei chiarimenti forniti in udienza dalla Repubblica francese e sostanzialmente non contestati dalla Commissione, che il divieto previsto dalla disposizione oggetto della seconda censura riguarda solo i biologi.

98      D’altra parte, è pacifico nel caso di specie che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, il divieto per un biologo di partecipare al capitale di più di due società costituite per la gestione in comune di uno o più laboratori di analisi biomediche, come formulato all’art. 10 del decreto n. 92-545, continuava ad essere applicabile.

99      Orbene, limitando il numero delle società costituite per la gestione in comune di uno o più laboratori di analisi biomediche in cui i biologi possono detenere una partecipazione, tale divieto ha l’effetto di ostacolare e di scoraggiare l’esercizio da parte di questi ultimi della loro libertà di stabilimento.

100    Pertanto, occorre constatare che la disposizione oggetto della seconda censura costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE.

101    Nel caso di specie, la Repubblica francese non ha fatto valere che la disposizione oggetto della seconda censura sarebbe giustificata dall’obiettivo di tutela della sanità pubblica. Infatti, secondo tale Stato detta disposizione risulta essere inadeguata e sproporzionata con riferimento a tale obiettivo.

102    Pertanto, la seconda censura invocata dalla Commissione deve essere considerata fondata.

103    Di conseguenza, occorre dichiarare che, vietando ai biologi di detenere una partecipazione in più di due società costituite per la gestione in comune di uno o più laboratori di analisi biomediche, la Repubblica francese è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 43 CE.

104    Il ricorso deve essere respinto quanto al resto.

 Sulle spese

105    Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’art. 69, n. 3, dello stesso regolamento, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese, in particolare se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi.

106    Nella specie, la Commissione ha chiesto la condanna alle spese della Repubblica francese, mentre quest’ultima ha chiesto di condannare ciascuna delle parti a sopportare le proprie spese.

107    Pertanto, poiché il ricorso della Commissione è solo parzialmente accolto, occorre condannare ciascuna delle parti a sopportare le proprie spese.

Per questi motivi la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1)      La Repubblica francese, avendo vietato ai biologi di detenere una partecipazione in più di due società costituite per la gestione in comune di uno o più laboratori di analisi biomediche, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 43 CE.

2)      Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)      La Repubblica francese e la Commissione europea sopportano le proprie spese.

Firme


* Lingua processuale: il francese.

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