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Document 62009CC0281

Conclusioni dell'avvocato generale Bot del 7 aprile 2011.
Commissione europea contro Regno di Spagna.
Inadempimento di uno Stato - Direttiva 89/552/CEE - Attività televisive - Spot pubblicitari - Tempo di trasmissione.
Causa C-281/09.

Raccolta della Giurisprudenza 2011 -00000

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2011:216

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 7 aprile 2011 (1)

Causa C‑281/09

Commissione europea

contro

Regno di Spagna

«Radiodiffusione televisiva – Spot pubblicitari – Tempi di trasmissione»






1.        La direttiva «Televisione senza frontiere», nella versione applicabile alla presente causa (2), stabilisce i limiti di durata della trasmissione di annunci pubblicitari, che variano a seconda che tali annunci costituiscano spot pubblicitari oppure altre forme di pubblicità.

2.        La direttiva prevede, infatti, che i tempi di trasmissione degli spot pubblicitari e degli spot di televendita non devono superare i dodici minuti per ora di orologio. Per le altre forme di pubblicità essa stabilisce, invece, solo un limite quotidiano, prevedendo che i loro tempi di trasmissione, sommati a quelli degli spot pubblicitari, non devono superare il 15% dei tempi di trasmissione quotidiani.

3.        Con il presente ricorso per inadempimento la Commissione europea contesta al Regno di Spagna di avere applicato erroneamente tali disposizioni. Essa contesta a detto Stato di avere consentito che nuove forme di pubblicità televisive, denominate filmati pubblicitari, telepromozioni, annunci pubblicitari di sponsorizzazione e microspazi pubblicitari, vengano trasmessi per un tempo superiore al limite di dodici minuti per ora di orologio, pur costituendo, secondo tale istituzione, «spot pubblicitari» ai sensi della direttiva.

4.        Il Regno di Spagna contesta tale tesi e sostiene che le quattro forme di pubblicità controverse non rientrano nella nozione di spot pubblicitari, bensì in quella di altre forme di pubblicità.

5.        La direttiva non contiene alcuna definizione di queste due nozioni.

6.        Nelle presenti conclusioni proporrò alla Corte di dichiarare che le due nozioni in questione devono ricevere una definizione uniforme e autonoma nella Comunità europea e che, alla luce del sistema e delle finalità della direttiva, tali definizioni devono permettere di garantire l’effetto utile della limitazione della pubblicità nelle ore di maggiore ascolto stabilita attraverso il limite orario.

7.        Esporrò, inoltre, i motivi per cui, a mio parere, la nozione di altre forme di pubblicità deve essere interpretata non come forme particolari di pubblicità che, per ragioni tecniche, richiedano tempi di trasmissione più lunghi, come sostiene la Commissione, bensì sulla base delle forme di pubblicità previste nella direttiva, sicché detta nozione deve includere solo gli annunci di sponsorizzazione.

8.        Sosterrò che, in ogni caso, l’interpretazione di tale nozione adottata dal Regno di Spagna per le quattro forme di pubblicità controverse priva di effetto utile il limite orario previsto dalla direttiva.

9.        Proporrò quindi alla Corte di dichiarare fondato il presente ricorso per inadempimento.

I –    Ambito normativo

A –    La direttiva

10.      La direttiva mira a coordinare le normative degli Stati membri nel settore televisivo, al fine di garantire la libera circolazione delle trasmissioni televisive nella Comunità (3).

11.      A tale fine essa prevede, per quanto riguarda la pubblicità televisiva, norme minime e criteri volti a garantire la tutela dei consumatori (4). Tali norme sono dirette, in particolare, a conciliare la libertà di fare pubblicità televisiva, che costituisce una fonte di entrate essenziale per le emittenti televisive commerciali, ed un adeguato livello di tutela delle opere audiovisive e dei telespettatori contro una diffusione eccessiva di pubblicità (5).

12.      La direttiva definisce anzitutto alcune delle nozioni menzionate nelle sue disposizioni normative, quali la pubblicità televisiva, la sponsorizzazione e la televendita.

13.      Così, la pubblicità televisiva è definita all’art. 1, lett. c), della direttiva, come «ogni forma di messaggio televisivo trasmesso a pagamento o dietro altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, da un’impresa pubblica o privata nell’ambito di un’attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro compenso, di beni o di servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni».

14.      La «sponsorizzazione», secondo l’art. 1, lett. e), della direttiva, designa «ogni contributo di un’impresa pubblica o privata, non impegnata in attività televisive o di produzione audiovisive, al finanziamento di programmi televisivi, allo scopo di promuovere il suo nome, il suo marchio, la sua immagine, le sue attività o i suoi prodotti».

15.      La nozione di «televendita», ai sensi dell’art. 1, lett. f), della direttiva, corrisponde alle «offerte dirette trasmesse al pubblico allo scopo di fornire, dietro pagamento, beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni».

16.      In virtù dell’art. 10, n. 1, della direttiva, la pubblicità e la televendita devono essere chiaramente riconoscibili come tali ed essere nettamente distinte dal resto della programmazione con mezzi ottici e/o acustici. Esse non devono utilizzare tecniche subliminali. Gli spot pubblicitari e di televendita isolati devono costituire eccezioni.

17.      L’art. 17, n. 1, lett. c), della direttiva afferma che i programmi televisivi sponsorizzati non devono stimolare all’acquisto o al noleggio di prodotti o servizi dello sponsor o di un terzo, in particolare facendo riferimenti specifici di carattere promozionale a detti prodotti o servizi.

18.      L’art. 18 della direttiva, che si trova al centro della presente causa, stabilisce la durata massima della trasmissione di pubblicità.

19.      La formulazione di tale articolo si è evoluta nelle diverse versioni della direttiva «Televisione senza frontiere».

20.      Nella versione iniziale della direttiva 89/552, tale articolo era redatto nei seguenti termini:

«1.      Il tempo di trasmissione dedicato alla pubblicità non deve superare il 15% del tempo di trasmissione quotidiano. Tuttavia questa percentuale può essere portata al 20% se comprende forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente al pubblico ai fini della vendita, dell’acquisto o del noleggio di prodotti, oppure della fornitura di servizi, purché l’insieme degli spot pubblicitari non superi il 15%.

2.      Il tempo di trasmissione dedicato agli spot pubblicitari entro un determinato periodo di un’ora non deve superare il 20%.

3.      Fatto salvo il paragrafo 1, le forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente al pubblico ai fini della vendita, dell’acquisto o del noleggio di prodotti, oppure della fornitura di servizi, non devono superare un’ora al giorno».

21.      Nella versione applicabile alla presente causa, risultante, lo ricordo, dalle modifiche introdotte dalla direttiva 97/36, l’art. 18 così recita:

«1.      La proporzione di tempo di trasmissione destinata agli spot di televendita, spot pubblicitari e altre forme di pubblicità, ad eccezione delle finestre di televendita di cui all’articolo 18 bis, non deve superare il 20% del tempo di trasmissione quotidiano. Il tempo di trasmissione per spot pubblicitari non deve superare il 15% del tempo di trasmissione quotidiano.

2.      La proporzione di spot pubblicitari e di spot di televendita in una determinata ora d’orologio non deve superare il 20%.

3.      Ai fini del presente articolo, non sono inclusi nella nozione di “pubblicità”:

–        gli annunci dell’emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati;

–        gli annunci di servizio pubblico e gli appelli a scopo di beneficenza trasmessi gratuitamente».

22.      La direttiva 97/36 ha inoltre aggiunto l’art. 18 bis, che dispone quanto segue:

«1.      Le finestre di programmazione destinate alla televendita trasmesse da un canale non esclusivamente dedicato a quest’ultima devono avere una durata minima ininterrotta di quindici minuti.

2.      Il numero massimo di finestre di programmazione giornaliere è otto. La loro durata complessiva non può superare le tre ore al giorno. Esse devono essere nettamente individuate come finestre di televendita attraverso dispositivi ottici e acustici».

23.      Gli artt. 18 e 18 bis della direttiva sono stati modificati dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2007/65/CE (6), che non è applicabile nella presente causa. Nella loro nuova versione, tali articoli così recitano:

«Articolo 18

1.      La proporzione di spot televisivi pubblicitari e di spot di televendita in una determinata ora d’orologio non deve superare il 20%.

2.      Il disposto del paragrafo 1 non si applica agli annunci dell’emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, agli annunci di sponsorizzazione e agli inserimenti di prodotti.

Articolo 18 bis

Le finestre di televendita sono chiaramente identificate come tali con mezzi ottici e acustici e hanno una durata minima ininterrotta di quindici minuti».

24.      Infine, occorre citare l’art. 3, n. 2, della direttiva, secondo cui «[g]li Stati membri assicurano, con i mezzi appropriati, nell’ambito della loro legislazione, che le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione rispettino effettivamente le disposizioni della presente direttiva».

II – Fatti, procedimento e conclusioni delle parti

25.      La Commissione ha chiesto alla società di consulenza indipendente Audimetrie, specializzata nella ricerca e nell’analisi di dati relativi al mercato della pubblicità televisiva, di realizzare uno studio sulla programmazione dei principali canali spagnoli in un periodo di riferimento compreso tra il 1° maggio e il 30 giugno 2005.

26.      Alla luce dei risultati di tale studio e a seguito di uno scambio di corrispondenza con le autorità spagnole, la Commissione inviava a dette autorità una lettera di diffida in data 11 luglio 2007 e, successivamente, un parere motivato in data 8 maggio 2008.

27.      Essa ha proposto il presente ricorso con atto introduttivo del 17 luglio 2009, con cui chiede che la Corte voglia:

–        dichiarare che, consentendo violazioni flagranti, reiterate e gravi delle disposizioni di cui all’art. 18, n. 2, della direttiva, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in base all’art. 3, n. 2, della direttiva medesima, in combinato disposto con l’art. 10 CE, e

–        condannare il Regno di Spagna alle spese.

28.      Il Regno di Spagna nonché il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, intervenuto a sostegno dello Stato membro convenuto, chiedono il rigetto del ricorso.

29.      Il Regno di Spagna chiede, inoltre, la condanna della Commissione alle spese.

III – Argomenti delle parti

A –    Argomenti della Commissione

30.      La Commissione fa riferimento, nel suo ricorso per inadempimento, a quattro forme di pubblicità trasmesse sui canali televisivi spagnoli, vale a dire i filmati pubblicitari, le telepromozioni, gli annunci pubblicitari di sponsorizzazione e i microspazi pubblicitari.

31.      Essa sostiene che ciascuna di tali forme costituisce uno spot pubblicitario, alla luce delle definizioni delle nozioni di «spot pubblicitari» e di «altre forme di pubblicità» fornite dalla Corte nella sentenza 12 dicembre 1996, RTI e a. (7), riguardante l’art. 18 della direttiva 89/552.

32.      La Commissione ricorda che la nozione di «spot pubblicitari» è stata definita come «forme di promozione dalla durata solitamente assai breve e di forte impatto suggestivo, che sono presentate generalmente a gruppi secondo intervalli variabili all’interno di un programma o tra un programma e l’altro e vengono realizzate dalle stesse imprese fornitrici dei prodotti o dei servizi o da loro agenti pubblicitari, piuttosto che dalle stesse emittenti» (8).

33.      Essa ricorda, inoltre, che la Corte ha dichiarato che «la facoltà concessa dall’art. 18, n. 1, seconda frase, di elevare il tetto di affollamento pubblicitario giornaliero al 20% del tempo di trasmissione quotidiano può altresì riguardare forme di pubblicità che, pur non costituendo “offerte fatte al pubblico”, richiedano, come queste ultime e in considerazione delle loro modalità di presentazione, una durata più lunga rispetto agli spot pubblicitari» (9).

34.      La Commissione fa valere che, alla luce di tali definizioni, qualsiasi forma di pubblicità trasmessa tra un programma e l’altro o durante le interruzioni e le cui modalità di presentazione non richiedano un tempo di trasmissione nettamente superiore deve essere considerata uno spot pubblicitario ed è, quindi, soggetta al limite orario di cui all’art. 18, n. 2, della direttiva. Secondo l’istituzione, una determinata forma di pubblicità può, dunque, essere considerata un’«altra forma di pubblicità» ai sensi dell’art. 18, n. 1, della direttiva solo se le sue modalità di presentazione richiedono una durata più lunga per ineludibili esigenze tecniche.

35.      La Commissione sostiene che, in base a tali rilievi, le quattro forme di pubblicità controverse devono essere considerate spot pubblicitari, e ciò per i seguenti motivi.

36.      Per quanto riguarda i filmati pubblicitari, essi vengono definiti come annunci pubblicitari di durata superiore agli spot, generalmente argomentativi, informativi o descrittivi. Essi costituiscono, parimenti, una produzione di stock suscettibile di replica, sebbene, in ragione delle sue specifiche caratteristiche di durata e di argomentazione, essa non venga, generalmente, replicata (10).

37.      La Commissione fa presente che, visti gli esempi menzionati nello studio della società Audimetrie, tali filmati pubblicitari, al pari degli spot pubblicitari, vengono trasmessi tra un programma e l’altro o durante le interruzioni e con frequenza identica a quella degli spot.

38.      Per quanto riguarda gli annunci di telepromozione, la Commissione indica che, certamente, secondo la citata sentenza RTI e a., la telepromozione, vale a dire «una forma di pubblicità televisiva basata sull’interruzione scenica durante i programmi con partecipazione del pubblico (in particolare giochi) con spazi dedicati alla presentazione di uno o più prodotti o servizi, nei quali i presentatori del programma lasciano momentaneamente la loro funzione nell’ambito dei giochi in corso, per trasformarsi in “promotori” di beni o servizi che sono oggetto della presentazione pubblicitaria» (11), non è stata considerata uno spot pubblicitario.

39.      La Commissione precisa, tuttavia, che il suo ricorso riguarda spot di telepromozione, vale a dire annunci trasmessi tra un programma e l’altro, autonomi rispetto a questi ultimi, di breve durata e che possono essere replicati.

40.      Per quanto concerne gli spot pubblicitari di sponsorizzazione, il ricorso della Commissione si fonda sulla loro definizione contenuta nei criteri interpretativi della legge spagnola, secondo cui si tratta di un tipo particolare di spot, l’«euroclaqueta», in cui l’annuncio della sponsorizzazione di un programma e la pubblicità dello sponsor vengono effettuati simultaneamente.

41.      La Commissione ricorda che, secondo l’art. 17 della direttiva, la classificazione come sponsorizzazione è subordinata alla condizione che l’annuncio non stimoli all’acquisto dei prodotti o dei servizi dello sponsor.

42.      Infine, per quanto riguarda i microspazi pubblicitari, la Commissione si basa del pari sulla loro definizione contenuta nei criteri interpretativi della legge spagnola, secondo cui «i microspazi contenenti annunci pubblicitari sono considerati “un’altra forma di pubblicità” quando la loro durata sia superiore a 60 secondi ed essi non consistano in un semplice raggruppamento di spot legati da una generica trama comune».

43.      La Commissione sostiene che le modalità di presentazione di tali microspazi, a differenza di quelle delle vere e proprie telepromozioni, non richiedono una durata superiore a quella degli spot convenzionali.

44.      Di conseguenza, secondo l’istituzione, l’inadempimento del Regno di Spagna sussiste, poiché dalla relazione della società Audimetrie e dalla normativa di detto Stato membro risulta che queste quattro forme di pubblicità vengono trasmesse sui canali televisivi spagnoli fino a 17 minuti all’ora, ossia il 50% in più del limite massimo di 12 minuti per ora di orologio previsto dalla direttiva.

B –    Argomenti del Regno di Spagna

45.      Il Regno di Spagna sottolinea che la direttiva non definisce le nozioni di «spot pubblicitari» e di «altre forme di pubblicità». Secondo tale Stato membro, queste due nozioni devono essere distinte in base ai seguenti criteri:

–        la forma o la presentazione dell’annuncio pubblicitario: la sua apparenza estetica o visiva, la combinazione di elementi audiovisivi con altri esclusivamente grafici (crawls, sovraimpressioni) o sonori (voci fuori campo), l’utilizzo di attori e di una scenografia appartenente a determinati programmi;

–        la durata: superiore nel caso dei filmati pubblicitari o dei microannunci;

–        la loro collocazione nei palinsesti: vicino ad altri programmi o meno, e

–        il contenuto dell’annuncio: in funzione del grado di incitamento all’acquisto o alla vendita, che può essere molto elevato (come per gli spot) o meno, in ragione della prevalenza dell’aspetto descrittivo (filmati pubblicitari), o perché l’annuncio è limitato alla presentazione visiva del prodotto o del servizio oggetto della pubblicità (la semplice maschera dello sponsor istituzionale).

46.      Il Regno di Spagna sostiene, inoltre, che la determinazione della nozione di spot pubblicitari deve essere effettuata sulla base del principio elaborato nella sentenza 28 ottobre 1999, ARD (12), secondo cui, «allorché una disposizione della direttiva 89/552 impone una restrizione alla diffusione e alla distribuzione di servizi televisivi, senza che il legislatore comunitario abbia redatto quest’ultima disposizione in termini chiari e non equivoci, essa deve essere interpretata in maniera restrittiva» (13).

47.      Secondo tale Stato membro, occorrerebbe inoltre prendere in considerazione l’obiettivo della direttiva consistente nel ricercare un equilibrio tra, da un lato, le esigenze di finanziamento degli operatori televisivi, il loro diritto alla libertà d’impresa e il rispetto della loro indipendenza editoriale e, dall’altro, la protezione degli interessi dei consumatori, in quanto telespettatori, contro una pubblicità eccessiva.

48.      Sarebbe questo il motivo per cui detto Stato ha previsto, nella propria legislazione, un limite orario di 12 minuti per gli spot pubblicitari nonché per gli spot di televendita e un limite di 17 minuti per le altre forme di pubblicità.

49.      Il Regno di Spagna sostiene che le quattro forme di pubblicità controverse non rientrano nella nozione di spot pubblicitari in considerazione della loro durata standard, della loro minore aggressività commerciale, alla luce del loro grado di suggestione nei confronti del consumatore, e, infine, del grado di perturbazione da essi arrecato al godimento dei programmi.

50.      Detto Stato membro precisa che nessuna di tali forme di pubblicità viene trasmessa con la stessa frequenza degli spot pubblicitari classici, e ciò in ragione delle particolarità di ciascuna di esse, vale a dire in considerazione della loro lunga durata (ad eccezione degli annunci sponsorizzati, non sarebbe immaginabile trasmettere le altre forme di pubblicità più di una volta nello stesso blocco pubblicitario), del loro collegamento specifico con un determinato programma (è il caso degli annunci sponsorizzati e di alcuni annunci di telepromozione), o della loro natura di programma informativo (microannuncio).

51.      Il Regno di Spagna fa valere che le quattro forme di pubblicità controverse sono caratterizzate dalla loro diffusione particolare o eccezionale, circostanza che, associata ad un’altra, come quella del formato della trasmissione a seconda dell’operatore televisivo di cui trattasi, o della produzione da parte di ciascun canale televisivo in determinati spazi, rende possibile distinguerle dagli spot pubblicitari.

C –    Argomenti del Regno Unito

52.      Il Regno Unito sostiene che l’interpretazione proposta dalla Commissione non è conforme alla direttiva, in quanto non rispetterebbe le differenze fondamentali stabilite dalla direttiva tra gli spot pubblicitari e le altre forme di pubblicità, in particolare la sponsorizzazione e gli annunci dell’emittente relativi ai propri programmi, di cui all’art. 18, n. 3, della direttiva.

53.      Secondo tale Stato membro, la circostanza che un annuncio pubblicitario di sponsorizzazione promuova taluni prodotti o servizi dello sponsor non significa che esso costituisca uno spot pubblicitario.

54.      Inoltre, l’approccio della Commissione, secondo cui gli annunci dell’emittente dovrebbero rientrare nella nozione di spot pubblicitari per il semplice fatto che costituirebbero una promozione dei suoi servizi, priverebbe di ogni effetto utile l’esclusione di cui all’art. 18, n. 3, della direttiva.

IV – Analisi

55.      Condivido la posizione della Commissione secondo cui le quattro forme di pubblicità controverse devono essere qualificate come spot pubblicitari ai sensi della direttiva. Tuttavia, pur giungendo alla stessa conclusione dell’istituzione ricorrente, non concordo con la sua definizione della nozione di altre forme di pubblicità. La mia posizione si basa sui seguenti motivi.

56.      La presente controversia verte sulla questione se le quattro forme di pubblicità controverse debbano essere qualificate come spot pubblicitari, come sostenuto dalla Commissione, oppure rientrino nella categoria delle altre forme di pubblicità, come asserito dal Regno di Spagna. Dalla soluzione di tale controversia dipende la questione se la trasmissione delle quattro forme di pubblicità di cui è causa sia soggetta al limite orario di dodici minuti per ora di orologio o solamente al limite del 15% del tempo di trasmissione quotidiano.

57.      La posta in gioco di tale controversia si rivela quindi con tutta evidenza. Si tratta del diritto delle emittenti televisive di trasmettere tali forme nuove di pubblicità nelle ore di maggiore ascolto per un tempo superiore ai dodici minuti previsti dall’art. 18, n. 2, della direttiva per la trasmissione degli spot pubblicitari e degli spot di televendita.

58.      Per risolvere tale controversia occorre interrogarsi sul contenuto delle nozioni di «spot pubblicitari» e di «altre forme di pubblicità» di cui all’art. 18, nn. 1 e 2, della direttiva.

59.      Non è agevole definire queste due nozioni. Come sottolineato dalle parti, tali nozioni non sono definite nella direttiva, la quale non rinvia neppure, a tale proposito, alle normative degli Stati membri.

60.      È vero che, come fatto valere dalla Commissione, nella relazione di accompagnamento alla sua proposta di direttiva (14) si afferma che la «disposizione relativa alle “altre forme di pubblicità” rispetto agli spot pubblicitari è voluta per conferire al provvedimento l’elasticità necessaria per tener conto dello sviluppo di nuove forme di pubblicità quali le telepromozioni o le “Dauerwerbesendungen”, che si distinguono per il fatto che la loro durata è più lunga e per il fatto che generalmente sono integrate nello svolgimento dello stesso programma» (15).

61.      Tuttavia, quest’ultima proposta è stata modificata dalla Commissione a seguito degli emendamenti introdotti dal Parlamento europeo, che intendeva sopprimere la possibilità di prevedere un tempo di trasmissione supplementare per le altre forme di pubblicità (16).

62.      Nella sua proposta modificata di direttiva (17) la Commissione espone semplicemente che la sua nuova versione dell’art. 18 include modifiche derivanti in parte dagli emendamenti del Parlamento, ma che essa ha ritenuto non auspicabile né possibile escludere forme di pubblicità diverse dagli spot pubblicitari (18).

63.      In base a tali considerazioni, mi sembra quindi difficile ammettere che i lavori preparatori della direttiva consentano di attribuire con certezza un significato preciso alla nozione di «altre forme di pubblicità» voluta dal legislatore comunitario all’art. 18, n. 1, della direttiva stessa.

64.      Conformemente alla giurisprudenza, il senso e la portata delle nozioni di spot pubblicitari e di altre forme di pubblicità devono quindi essere determinati alla luce del contesto delle disposizioni in cui dette nozioni sono previste e degli scopi perseguiti attraverso tali disposizioni, affinché le nozioni medesime siano oggetto di un’interpretazione autonoma e uniforme nell’Unione (19).

65.      Secondo il Regno di Spagna, in assenza di una definizione precisa nella direttiva, le suddette nozioni dovrebbero essere interpretate in senso favorevole alla trasmissione della pubblicità.

66.      È certamente vero che, come ricordato da tale Stato membro, nella menzionata sentenza ARD è stato stabilito che le disposizioni della direttiva che impongono una restrizione alla diffusione della pubblicità televisiva, se non sono redatte in termini chiari e non equivoci, devono essere interpretate in maniera restrittiva (20).

67.      Inoltre, la tesi della Commissione, secondo cui la nozione di «altre forme di pubblicità» di cui alla direttiva sarebbe stata definita nella citata sentenza RTI e a., può apparire contestabile.

68.      Infatti, in detta sentenza, la Corte si è pronunciata sulla locuzione «forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente al pubblico», di cui all’art. 18, n. 1, della direttiva 89/552. La formulazione di tale locuzione, in particolare l’impiego della parola «come», dimostra che il legislatore comunitario faceva espressamente riferimento alle forme di pubblicità che presentavano le stesse caratteristiche delle offerte di televendita. Orbene, nella direttiva, la nozione di altre forme di pubblicità non è più collegata alle offerte di televendita, per le quali la direttiva 97/36 ha previsto regole più precise, intese a prendere in considerazione lo sviluppo e l’importanza di tale attività (21).

69.      Inoltre, alla luce dell’obiettivo, sotteso all’art. 18, n. 2, della direttiva, di proteggere i consumatori contro una diffusione eccessiva della pubblicità nelle ore di massimo ascolto, sul quale tornerò più avanti, sembra difficile ammettere che il criterio che giustifica la deroga a tale limite orario consista nella durata degli annunci pubblicitari. Siffatta interpretazione equivarrebbe ad incoraggiare gli operatori economici ad inventare nuove forme di pubblicità che richiedano tecnicamente tempi di trasmissione più lunghi e a ridurre, in tal modo, l’effetto utile del suddetto limite orario.

70.      Poiché la direttiva è volta a fissare limiti, in tutti gli Stati membri, ai tempi di trasmissione di qualsiasi forma di pubblicità corrispondente alla definizione contenuta nell’art. 1, lett. c), della medesima direttiva, sono incline a ritenere che il contenuto della nozione di «altre forme di pubblicità» di cui all’art. 18, n. 1, della direttiva debba essere cercato nelle sue disposizioni.

71.      Alla luce di queste ultime, rilevo che le altre forme di pubblicità che possono essere tenute distinte dagli spot pubblicitari e che vengono menzionate nella direttiva sono gli annunci di sponsorizzazione. Tali annunci costituiscono effettivamente una forma di pubblicità, dato che, ai sensi dell’art. 1, lett. e), della direttiva, sono intesi a promuovere il nome, il marchio, l’immagine, le attività o i prodotti dello sponsor.

72.      La direttiva 2007/65, a mio avviso, corrobora quest’analisi, dato che l’art. 18, n. 2, della direttiva 89/552, come modificato dalla direttiva 2007/65, esclude dal limite orario, oltre agli annunci dell’emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, gli annunci di sponsorizzazione e gli inserimenti di prodotti.

73.      Sono quindi incline a ritenere che la nozione di «altre forme di pubblicità» di cui all’art. 18, n. 1, della direttiva designi gli annunci di sponsorizzazione, più che forme di pubblicità che, in ragione di ineludibili esigenze tecniche, richiedono tempi di trasmissione più lunghi, come sostenuto dalla Commissione.

74.      Tuttavia, la scelta tra l’una e l’altra di tali definizioni non è determinante nell’ambito dell’esame del presente ricorso. L’argomento della Commissione, a prescindere dalla scelta tra queste due definizioni, è, a mio avviso, fondato laddove essa sostiene che l’interpretazione data alla nozione di «altre forme di pubblicità» di cui all’art. 18, n. 1, della direttiva non deve condurre a privare di effetto utile il limite orario previsto all’art. 18, n. 2, della direttiva stessa.

75.      Infatti, sebbene le nozioni che limitano la libertà di trasmettere annunci pubblicitari debbano essere interpretate in maniera restrittiva, come statuito dalla Corte nella citata sentenza ARD, si deve tenere conto anche della finalità della direttiva, che mira a conciliare l’esercizio di tale libertà con l’imperativo di tutela dei telespettatori contro una diffusione eccessiva di pubblicità.

76.      Come giustamente ricordato dalla Commissione, la tutela della categoria di consumatori rappresentata dai telespettatori contro la pubblicità eccessiva costituisce un aspetto essenziale degli obiettivi della direttiva (22).

77.      Il limite orario di dodici minuti per ora di orologio indicato all’art. 18 della direttiva rappresenta l’equilibrio voluto dal legislatore comunitario tra l’esigenza delle emittenti televisive di finanziarsi con la pubblicità e la tutela dei telespettatori contro una pubblicità eccessiva. In altre parole, il legislatore comunitario ha ritenuto che la possibilità di trasmettere annunci pubblicitari per un massimo di dodici minuti per ora di orologio fosse sufficiente per consentire alle emittenti televisive di soddisfare le loro esigenze di finanziamento.

78.      L’effetto utile di tale disposizione presuppone, conseguentemente, che le forme di pubblicità che possono essere trasmesse per un tempo superiore ai suddetti dodici minuti corrispondano esattamente a quelle volute dal legislatore comunitario. Tale esigenza si impone anche allo scopo di assicurare la parità di trattamento fra tutte le emittenti, a prescindere dallo Stato membro nel quale sono stabilite.

79.      Tale interpretazione risulta avvalorata, se del caso, dalle disposizioni della direttiva 2007/65, in cui il legislatore comunitario ha deciso di sopprimere il limite quotidiano e di mantenere soltanto quello orario, in quanto solo quest’ultimo è idoneo a limitare la trasmissione della pubblicità nelle ore di maggiore ascolto e, pertanto, a far rispettare il suddetto equilibrio (23).

80.      Orbene, come chiaramente dimostrato dalla Commissione nel presente ricorso, la tesi del Regno di Spagna appare palesemente in contrasto con tale finalità. Secondo detto Stato membro, infatti, la nozione di spot pubblicitari dovrebbe essere definita alla luce di un complesso di criteri ed essere esclusa ogni volta che la forma di pubblicità in questione presenti una qualche differenza, secondo l’uno o l’altro di tali criteri, rispetto alla definizione della nozione di «spot pubblicitari» enunciata nella citata sentenza RTI e a.

81.      Tale tesi equivale a lasciare alle autorità competenti di ciascuno Stato membro il potere di definire caso per caso la nozione di spot pubblicitari e, pertanto, a privare il limite orario di cui all’art. 18, n. 2, della direttiva di gran parte del suo effetto utile.

82.      Ritengo, quindi, che il presente ricorso per inadempimento sia fondato, anche per quanto riguarda gli spot pubblicitari di sponsorizzazione denominati «euroclaquetas».

83.      Infatti, secondo la definizione di tale forma di pubblicità nei criteri interpretativi della legge spagnola, si tratta di un tipo particolare di spot in cui l’annuncio della sponsorizzazione di un programma e la pubblicità dello sponsor vengono effettuati simultaneamente.

84.      Ammettere, come il Regno di Spagna, che tale forma di pubblicità rientri nella nozione di altre forme di pubblicità e possa, quindi, essere trasmessa prescindendo dal limite orario di dodici minuti equivale a consentire di eludere il suddetto limite alle emittenti televisive e agli operatori economici che cercano di promuovere i propri prodotti o servizi.

85.      Infatti, per aggirare il limite in questione, è sufficiente che essi accompagnino l’annuncio pubblicitario che stimola all’acquisto di loro prodotti o servizi con un annuncio di sponsorizzazione. La Commissione, a mio parere, può quindi legittimamente sostenere che, ai sensi dell’art. 17 della direttiva, gli annunci di sponsorizzazione che possono essere trasmessi prescindendo dal limite orario sono unicamente quelli che non stimolano all’acquisto di specifici prodotti o servizi dello sponsor.

86.      Qualora la Corte dovesse condividere la mia posizione, il Regno di Spagna, dovrà essere condannato alle spese del presente procedimento ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura della Corte. Il Regno Unito dovrà sopportare le proprie spese a norma dell’art. 69, n. 4, primo comma, del medesimo regolamento.

V –    Conclusione

87.      In base alle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di:

–        dichiarare fondato il presente ricorso per inadempimento secondo cui il Regno di Spagna, consentendo violazioni flagranti, reiterate e gravi delle disposizioni di cui all’art. 18, n. 2, della direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio di attività di diffusione televisiva, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 giugno 1997, 97/36/CE, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in base all’art. 3, n. 2, della direttiva 89/552, come modificata, in combinato disposto con l’art. 10 CE;

–        condannare il Regno di Spagna alle spese nonché condannare il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a sopportare le proprie spese.


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (GU L 298, pag. 23), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 giugno 1997, 97/36/CE (GU L 202, pag. 60; in prosieguo: la «direttiva»).


3 – ‘Considerando’ quinto-undicesimo della direttiva.


4 – Ventisettesimo ‘considerando’ della direttiva.


5 – Idem. V. anche punto 3 della comunicazione interpretativa della Commissione relativa a taluni aspetti delle disposizioni della direttiva «Televisione senza frontiere», riguardanti la pubblicità televisiva (GU 2004, C 102, pag. 2).


6 – Direttiva del Consiglio 11 dicembre 2007, 2007/65/CE, che modifica la direttiva del Consiglio 89/552/CEE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (GU L 332, pag. 27).


7 – Cause riunite C‑320/94, C‑328/94, C‑329/94 e da C‑337/94 a C‑339/94 (Racc. pag. I‑6471).


8 – Punto 31.


9 – Punti 32 e 34.


10 – V. punto 6 dei criteri interpretativi delle trasmissioni pubblicitarie applicati dalla sottodirezione generale per i contenuti della società dell’informazione nell’ambito dei suoi servizi di ispezione e controllo (criterios interpretativos de emisiones publicitarias aplicados por la subdirección general de contenidos de la S.I. en sus servicios de inspección y control), del 17 dicembre 2001 (in prosieguo: i «criteri interpretativi della legge spagnola»).


11 – Punto 25 della Comunicazione interpretativa della Commissione citata alla nota 5.


12 – Causa C‑6/98 (Racc. pag. I‑7599).


13 – Punto 30.


14 – Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modificazione della direttiva 89/552 [COM(95) 86 def.].


15 – Punto 2.4.4.


16 – Risoluzione legislativa recante il parere del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive (GU 1996, C 65, pag. 96). Il Parlamento proponeva di redigere l’art. 18 nel modo seguente:


«1. Il tempo di trasmissione dedicato alla pubblicità non deve superare il 15% del tempo di trasmissione quotidiano.


Il volume complessivo di pubblicità e televendita (a esclusione degli spazi di televendita con una durata minima di 15 minuti) non deve superare il 20% del tempo di trasmissione quotidiano. Ciò non si applica ai servizi esclusivamente dedicati alla televendita.


2. Il tempo di trasmissione complessivo dedicato a ogni forma di pubblicità, ivi compresi gli annunci di televendita, all’interno di un determinato periodo di un’ora d’orologio non deve superare il 20%. Il tempo dedicato ad annunci pubblicitari inseriti durante la trasmissione di un film non deve superare il 15% della durata prevista del film stesso».


17 – Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 89/552 [COM(96) 200 def.].


18 – V. relazione, punto 2.2., pag. 7.


19 – V., a proposito delle nozioni di «pubblicità televisiva» e di «televendita» di cui all’art. 1 della direttiva, sentenza 18 ottobre 2007, causa C‑195/06, Österreichischer Rundfunk (Racc. pag. I‑8817, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).


20 – Punti 29 e 30. Si trattava della questione se, ai fini del calcolo del periodo di 45 minuti previsto all’art. 11, n. 3, della direttiva per stabilire il numero di interruzioni pubblicitarie autorizzate durante la trasmissione dei film, la durata della pubblicità dovesse o meno essere inclusa in tale periodo.


21 – V. trentaseiesimo e trentasettesimo ‘considerando’ della direttiva 97/36.


22 – Sentenza Österreichischer Rundfunk, cit. (punto 27 e giurisprudenza ivi citata).


23 – Cinquantanovesimo ‘considerando’ della direttiva 2007/65.

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