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Document 62007TJ0042

Sentenza del Tribunale (Prima Sezione) del 13 luglio 2011.
The Dow Chemical Company e altri contro Commissione europea.
Concorrenza - Intese - Mercato della gomma butadiene e della gomma stirene e butadiene del tipo emulsione - Decisione che accerta una violazione dell'art. 81 CE - Imputabilità del comportamento illecito - Ammende - Gravità e durata dell'infrazione - Circostanze aggravanti .
Causa T-42/07.

Raccolta della Giurisprudenza 2011 II-04531

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2011:357

Causa T‑42/07

The Dow Chemical Company e altri

contro

Commissione europea

«Concorrenza — Intese — Mercato della gomma butadiene e della gomma stirene e butadiene del tipo emulsione — Decisione che accerta un’infrazione all’art. 81 CE — Imputabilità del comportamento illecito — Ammende — Gravità e durata dell’infrazione — Circostanze aggravanti»

Massime della sentenza

1.      Concorrenza — Regole comunitarie — Infrazioni — Imputazione — Società controllante e sue controllate — Unità economica — Criteri di valutazione

(Artt. 81 CE e 82 CE)

2.      Concorrenza — Regole comunitarie — Infrazioni — Imputazione — Società controllante e sue controllate — Unità economica — Margine di discrezionalità della Commissione

(Artt. 81 CE e 82 CE)

3.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Onere della prova dell’infrazione e della sua durata incombente alla Commissione — Portata dell’onere della prova

(Art. 81, n. 1, CE)

4.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Misura della capacità effettiva di causare un pregiudizio sul mercato interessato

(Artt. 81 CE e 82 CE; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, commi 1‑4 e 6)

5.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Valutazione alla luce della natura dell’infrazione — Infrazioni molto gravi

(Art. 81 CE; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

6.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Contenuto necessario — Rispetto dei diritti della difesa

(Artt. 81 CE e 82 CE)

7.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Ripartizione delle imprese di cui trattasi in diverse categorie — Fatturato preso in considerazione

(Art. 81, n. 1 CE; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

8.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Carattere dissuasivo dell’ammenda

(Art. 81 CE; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

9.      Procedura — Spese — Spese ripetibili — Nozione

(Regolamento di procedura del Tribunale, art. 91)

1.      Nel caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della propria controllata che abbia infranto le norme comunitarie in materia di concorrenza, da un lato, tale società controllante può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della controllata e, dall’altro, esiste una presunzione relativa secondo cui detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata. In circostanze del genere, è sufficiente che la Commissione provi che l’intero capitale di una controllata è detenuto dalla controllante per poter presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale di tale controllata. La Commissione potrà poi ritenere la società controllante solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla propria controllata, a meno che tale società controllante, cui incombe l’onere di rovesciare detta presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova, idonei a dimostrare che la propria controllata si comporta in maniera autonoma sul mercato.

Spetta pertanto alla società controllante rovesciare tale presunzione dimostrando che la sua controllata determina la propria politica commerciale in modo autonomo e che pertanto non costituisce con la medesima società un’entità economica unica e, dunque, una sola impresa ai sensi dell’art. 81 CE. Più in particolare, spetta alla società controllante sottoporre ogni elemento relativo ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti con le proprie controllate che essa considera idoneo a dimostrare che la controllante e le controllate non costituiscono un’entità economica unica. Nella sua valutazione, infatti, il Tribunale deve tener conto di tutti gli elementi sottopostigli, il cui carattere e la cui importanza possono variare a seconda delle caratteristiche proprie di ciascun caso di specie.

(v. punti 56, 58-59)

2.      L’imputazione alla controllante di un’infrazione alle regole di concorrenza è una facoltà il cui esercizio è rimesso alla discrezionalità della Commissione. Il solo fatto che la Commissione abbia valutato, nell’ambito della sua precedente prassi decisionale, che le circostanze di una causa non giustificavano l’imputazione del comportamento della controllata alla sua controllante non vuol dire che essa sia obbligata a effettuare la medesima valutazione in occasione dell’adozione di una successiva decisione.

(v. punto 75)

3.      Sotto il profilo dell’onere della prova relativa a una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, spetta alla Commissione l’onere di provare non soltanto l’esistenza dell’intesa, ma altresì la sua durata. Per calcolare la durata di un’infrazione avente ad oggetto una restrizione della concorrenza, si deve determinare il periodo durante il quale tale accordo è esistito, cioè il periodo tra la data della sua stipulazione e quella in cui l’accordo è venuto meno. In mancanza di elementi di prova tali da dimostrare direttamente la durata dell’infrazione, la Commissione deve fondarsi quantomeno su elementi di prova riferentisi a fatti sufficientemente ravvicinati nel tempo, in modo tale che si possa ragionevolmente ammettere che l’infrazione sia durata ininterrottamente entro due date precise.

Ciò non si verifica quando la Commissione non indica alcun elemento concreto che permetta di desumere l’esistenza di una concordanza di volontà tra l’impresa interessata e le altre partecipanti all’intesa durante il periodo indicato e quando non risulta dai documenti presentati agli atti che vi sia stata alcuna manifestazione di volontà di una delle partecipanti all’intesa nei confronti dell’impresa interessata volta ad uno scopo anticoncorrenziale.

Il semplice fatto che il dipendente di una società che ha partecipato a un’intesa sia distaccato presso un’altra società non può comportare, per ciò stesso, che quest’ultima diventi automaticamente parte dell’intesa. In effetti, non si può escludere che, in tali circostanze, il dipendente in questione decida di non coinvolgere nelle pratiche anticoncorrenziali la società presso cui è distaccato, o che detta società prenda le misure necessarie per evitare tale tipo di pratiche. Spetta in tal caso alla Commissione provare che, durante il periodo indicato, la società, grazie alle informazioni ottenute da parte di detto impiegato nell’ambito delle funzioni da lui precedentemente svolte, abbia attuato gli accordi conclusi in seno all’intesa e non abbia, quindi, agito in modo autonomo sul mercato.

(v. punti 88-89, 91-93, 95)

4.      Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, pargrafo 5, del Trattato CECA distinguono tra infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi (punto 1 A, primo e secondo comma, degli orientamenti). Peraltro, la distinzione operata tra le imprese consiste nel determinare, conformemente al punto 1 A, terzo, quarto e sesto comma, degli orientamenti, il contributo individuale di ogni singola impresa, in termini di capacità economica effettiva, al successo dell’intesa ai fini della sua classificazione nella categoria appropriata.

Il singolo contributo di ogni impresa, in termini di capacità economica effettiva, al successo dell’intesa va distinto dall’impatto concreto dell’infrazione di cui al punto 1 A, primo comma, degli orientamenti. In tale ultimo caso, si tiene conto dell’impatto concreto dell’infrazione, se misurabile, per classificarla come poco grave, grave o molto grave. Il singolo contributo di ogni impresa è preso in considerazione, invece, allo scopo di ponderare gli importi determinati in funzione della gravità dell’infrazione.

Pertanto, anche in assenza di impatto concreto misurabile dell’infrazione, la Commissione può decidere di differenziare le imprese interessate, conformemente al punto 1 A, terzo, quarto e sesto comma, degli orientamenti, una volta qualificata l’infrazione come poco grave, grave o molto grave.

(v. punti 122-124)

5.      Risulta dalla descrizione delle infrazioni molto gravi contenuta negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA che le intese o le pratiche concordate volte segnatamente, come nella fattispecie, alla fissazione di obiettivi di prezzo o alla ripartizione di quote di mercato possono essere qualificate come infrazioni «molti gravi» sulla sola base della loro natura, senza che la Commissione sia tenuta a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato. Parimenti, le intese orizzontali in materia di prezzi fanno parte delle infrazioni più gravi del diritto della concorrenza e possono quindi essere qualificate, di per sé, come molto gravi.

(v. punto 126)

6.      Il diritto a essere sentiti, nell’ambito di un procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione, è un principio che richiede in particolare che la comunicazione degli addebiti inviata dalla Commissione a un’impresa alla quale essa intende infliggere una sanzione per violazione delle regole di concorrenza contenga gli elementi essenziali della contestazione mossa contro tale impresa, quali i fatti addebitati, la qualificazione data a questi ultimi e gli elementi di prova sui quali si fonda la Commissione, affinché l’impresa in questione sia in grado di far valere utilmente i propri argomenti nell’ambito del procedimento amministrativo attivato a suo carico. Per quanto riguarda, più in particolare, il calcolo delle ammende, la Commissione adempie il suo obbligo di rispettare il diritto delle imprese di essere sentite quando dichiara espressamente, nella comunicazione degli addebiti, che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle imprese interessate e indica i principali elementi di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione ed il fatto di averla commessa intenzionalmente o per negligenza. Così operando, essa fornisce le indicazioni necessarie per difendersi non solo contro l’addebito dell’infrazione, ma anche contro l’irrogazione di ammende.

(v. punto 128)

7.      Qualora la Commissione suddivida le imprese interessate in categorie ai fini della fissazione dell’importo delle ammende per infrazione all’art. 81, n. 1, CE, la determinazione dei valori limite per ogni singola categoria così individuata deve essere coerente ed obiettivamente giustificata. Inoltre, tra gli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione possono, a seconda dei casi, figurare il volume e il valore delle merci oggetto dell’infrazione nonché la dimensione e la potenza economica dell’impresa e, quindi, l’influenza che quest’ultima può esercitare sul mercato. Da un lato, ne consegue che la Commissione può, nel commisurare l’ammenda, tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, anche se approssimativa e imperfetta, delle sue dimensioni e della sua potenza economica, quanto della parte di tale fatturato corrispondente alla vendita delle merci coinvolte nell’infrazione e che può quindi fornire un’indicazione dell’entità della medesima. Dall’altro, ne risulta che non si deve attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto ad altri criteri di valutazione, per cui la determinazione dell’ammenda adeguata non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo.

Quando si deve far riferimento al fatturato delle imprese coinvolte in una stessa infrazione per determinare i rapporti tra le ammende da infliggere, occorre delimitare il periodo da considerare in modo tale che i volumi ottenuti siano il più possibile paragonabili tra di loro. Ne consegue che una determinata impresa non può pretendere che la Commissione si fondi, per quanto la riguarda, su un periodo diverso rispetto a quello di cui tiene conto in generale, a meno che non dimostri che il fatturato da essa realizzato nel corso di detto ultimo periodo, per le sue peculiarità specifiche, non è rappresentativo delle sue dimensioni reali e della sua forza economica, né dell’entità dell’infrazione da essa commessa.

(v. punti 131, 133)

8.      Il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese che, intenzionalmente o per negligenza, trasgrediscono l’art. 81 CE costituisce uno dei mezzi di cui dispone la Commissione per potere svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario, compito che comprende il dovere di perseguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese. Ne consegue che, per valutare la gravità di un’infrazione onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo, soprattutto per i tipi di trasgressioni particolarmente nocivi per il conseguimento degli scopi della Comunità.

Occorre quindi che l’importo dell’ammenda venga modulato al fine di tenere conto dell’impatto voluto sull’impresa cui l’ammenda stessa viene inflitta, affinché questa non venga resa trascurabile o, al contrario, eccessiva, in considerazione, segnatamente, della capacità finanziaria dell’impresa in questione, conformemente agli obblighi derivanti, da un lato, dalla necessità di assicurare l’effettività dell’ammenda e, dall’altro, dal rispetto del principio di proporzionalità. Un’impresa di grandi dimensioni, dotata di considerevoli risorse finanziarie rispetto a quelle degli altri membri di un’intesa, è in grado di svincolare più facilmente i fondi necessari al pagamento della sua ammenda, il che giustifica, in vista di un effetto dissuasivo sufficiente della stessa, che si infligga, in particolare mediante applicazione di un fattore moltiplicatore, un’ammenda proporzionalmente più elevata rispetto a quella che sanziona la stessa infrazione commessa da un’impresa che non dispone di pari risorse. In particolare, la presa in considerazione del fatturato globale di ciascuna impresa che faccia parte di un’intesa è pertinente al fine di determinare l’importo dell’ammenda.

Lo scopo dissuasivo che la Commissione legittimamente persegue fissando l’importo di un’ammenda è volto a garantire l’osservanza da parte delle imprese delle regole di concorrenza stabilite dal Trattato per lo svolgimento delle loro attività all’interno della Comunità o dello Spazio economico europeo. Ne consegue che il fattore dissuasivo, che può essere incluso nel calcolo dell’ammenda, è valutato tenendo conto di molteplici elementi, e non solo della situazione particolare dell’impresa interessata. Tale principio si applica segnatamente allorquando la Commissione ha determinato un moltiplicatore di dissuasione applicato all’ammenda inflitta a un’impresa.

(v. punti 148-151)

9.      Le spese che le imprese interessate hanno sostenuto per costituire una garanzia bancaria per coprire l’importo dell’ammenda loro inflitta non sono spese indispensabili sostenute dalle parti per la causa e, pertanto, non rientrano tra le spese ripetibili ai sensi dell’art. 91 del regolamento di procedura.

(v. punto 172)







SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione)

13 luglio 2011 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato della gomma butadiene e della gomma stirene e butadiene del tipo emulsione – Decisione che accerta un’infrazione all’art. 81 CE – Imputabilità del comportamento illecito – Ammende – Gravità e durata dell’infrazione – Circostanze aggravanti»

Nella causa T‑42/07,

The Dow Chemical Company, con sede in Midland, Michigan (Stati Uniti),

Dow Deutschland Inc., con sede in Schwalbach (Germania),

Dow Deutschland Anlagengesellschaft mbH, con sede in Schwalbach,

Dow Europe GmbH, con sede in Horgen (Svizzera),

rappresentate inizialmente dagli avv.ti D. Schroeder, P. Matthey e T. Graf, successivamente dagli avv.ti Schroeder e Graf,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente dai sigg. M. Kellerbauer, V. Bottka e dalla sig.ra J. Samnadda, successivamente dai sigg. Kellerbauer, Bottka e V. Di Bucci, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda diretta a ottenere l’annullamento, per quanto riguarda The Dow Chemical Company, della decisione della Commissione 29 novembre 2006, C (2006) 5700 def., relativa a un procedimento ai sensi dell’art. 81 [CE] e dell’art. 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/F/38.638 – Gomma butadiene e gomma stirene e butadiene del tipo emulsione), o l’annullamento, per quanto riguarda la Dow Deutschland Inc., dell’art. 1 di detta decisione o la riduzione, per quanto riguarda l’insieme delle ricorrenti, dell’ammenda loro inflitta,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione),

composto dal sig. F. Dehousse (relatore), facente funzione di presidente, dalla sig.ra I. Wiszniewska‑Białecka e dal sig. N. Wahl, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Pocheć, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 ottobre 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Con decisione 29 novembre 2006, C (2006) 5700 def. (Caso COMP/F/38.638 – Gomma butadiene e gomma stirene e butadiene del tipo emulsione; in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione delle Comunità europee ha constatato che varie imprese avevano violato l’art. 81, n. 1, CE e l’art. 53 dell’Accordo sullo spazio economico europeo (SEE) partecipando a un’intesa sul mercato dei prodotti soprammenzionati.

2        Le imprese destinatarie della decisione impugnata sono:

–        la Bayer AG, con sede in Leverkusen (Germania);

–        The Dow Chemical Company, con sede in Midland, Michigan (Stati Uniti) (in prosieguo: la «Dow Chemical»);

–        la Dow Deutschland Inc., con sede in Schwalbach (Germania);

–        la Dow Deutschland Anlagengesellschaft mbH (già Dow Deutschland GmbH & Co. OHG), con sede in Schwalbach;

–        la Dow Europe, con sede in Horgen (Svizzera);

–        l’ENI SpA, con sede in Roma;

–        la Polimeri Europa SpA, con sede in Brindisi (in prosieguo: la «Polimeri»);

–        la Shell Petroleum NV, con sede in L’Aia (Paesi Bassi);

–        la Shell Nederland BV, con sede in L’Aia;

–        la Shell Nederland Chemie BV, con sede in Rotterdam (Paesi Bassi);

–        l’Unipetrol a.s., con sede in Praga (Repubblica ceca);

–        la Kaučuk a.s., con sede in Kralupy nad Vltavou (Repubblica ceca);

–        la Trade‑Stomil sp. z o.o., con sede in Łódź (Polonia) (in prosieguo: la «Stomil»).

3        La Dow Deutschland, la Dow Deutschland Anlagengesellschaft e la Dow Europe sono interamente controllate, direttamente o indirettamente, dalla Dow Chemical (punti 16‑21 della decisione impugnata).

4        L’attività dell’ENI relativa ai prodotti di cui trattasi è stata svolta inizialmente dall’EniChem Elastomeri Srl, controllata indirettamente dall’ENI tramite la sua controllata EniChem SpA (in prosieguo: l’«EniChem SpA»). Il 1° novembre 1997, l’EniChem Elastomeri è stata assorbita dall’EniChem SpA. L’ENI controllava il 99,97% dell’EniChem SpA. Il 1° gennaio 2002, l’EniChem SpA ha trasferito la sua attività chimica strategica (compresa l’attività concernente la gomma butadiene e la gomma stirene e butadiene del tipo emulsione) alla Polimeri, propria controllata al 100%. L’ENI controlla direttamente e integralmente la Polimeri dal 21 ottobre 2002. A decorrere dal 1° maggio 2003, l’EniChem SpA ha cambiato la sua denominazione in Syndial SpA (punti 26‑32 della decisione impugnata). La Commissione utilizza, nella decisione impugnata, la denominazione «EniChem» per fare riferimento a qualsiasi società appartenente all’ENI (in prosieguo: l’«EniChem») (punto 36 della decisione impugnata).

5        La Shell Nederland Chemie è una controllata della Shell Nederland, che è a sua volta interamente controllata dalla Shell Petroleum (in prosieguo, congiuntamente: la «Shell») (punti 38‑40 della decisione impugnata).

6        La Kaučuk è stata creata nel 1997 a seguito della fusione tra la Kaučuk Group a.s. e la Chemopetrol Group a.s. Il 21 luglio 1997, l’Unipetrol ha acquisito tutti i beni, i diritti e gli obblighi delle imprese interessate dalla fusione. L’Unipetrol detiene il 100% delle azioni della Kaučuk (punti 45 e 46 della decisione impugnata). Peraltro, secondo la decisione impugnata, la Tavorex s.r.o. (in prosieguo: la «Tavorex»), avente sede nella Repubblica ceca, ha rappresentato la Kaučuk (e il suo predecessore, la Kaučuk Group) nel commercio con l’estero tra il 1991 e il 28 febbraio 2003. Sempre secondo la decisione impugnata, la Tavorex ha rappresentato la Kaučuk, dal 1996, nelle riunioni dell’Associazione europea della gomma sintetica (punto 49 della decisione impugnata).

7        Secondo la decisione impugnata, la Stomil ha rappresentato il produttore polacco Chemical Company Dwory S.A. (in prosieguo: la «Dwory») nelle attività di esportazione per circa trent’anni, almeno fino al 2001. Sempre secondo la decisione impugnata, la Stomil ha rappresentato la Dwory, tra il 1997 e il 2000, nelle riunioni dell’Associazione europea della gomma sintetica (punto 51 della decisione impugnata).

8        Il periodo per il quale è stata constatata l’infrazione va dal 20 maggio 1996 al 28 novembre 2002 (per la Bayer, l’ENI e la Polimeri), dal 20 maggio 1996 al 31 maggio 1999 (per la Shell Petroleum, la Shell Nederland e la Shell Nederland Chemie), dal 1° luglio 1996 al 28 novembre 2002 (per la Dow Chemical), dal 1° luglio 1996 al 27 novembre 2001 (per la Dow Deutschland), dal 16 novembre 1999 al 28 novembre 2002 (per l’Unipetrol e la Kaučuk), dal 16 novembre 1999 al 22 febbraio 2000 (per la Stomil), dal 22 febbraio 2001 al 28 febbraio 2002 (per la Dow Deutschland Anlagengesellschaft) e dal 26 novembre 2001 al 28 novembre 2002 (per la Dow Europe) (punti 476‑485 e art. 1 del dispositivo della decisione impugnata).

9        La gomma butadiene (in prosieguo: la «BR») e la gomma stirene butadiene del tipo emulsione (in prosieguo: l’«ESBR») sono gomme sintetiche utilizzate essenzialmente per la produzione di pneumatici. Questi due prodotti sono sostituibili tra loro nonché con altre gomme sintetiche e con la gomma naturale (punti 3‑6 della decisione impugnata).

10      Oltre ai destinatari della decisione impugnata, altri produttori asiatici e dell’Europa orientale hanno venduto quantitativi limitati di BR e ESBR nel territorio del SEE. Inoltre, un volume considerevole di BR viene prodotto direttamente dai principali produttori di pneumatici (punto 54 della decisione impugnata).

11      Il 20 dicembre 2002, la Bayer ha contattato i servizi della Commissione e ha espresso la propria intenzione di cooperare a titolo della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU 2002, C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), in relazione alla BR e all’ESBR. Per quanto riguarda l’ESBR, la Bayer ha fornito una dichiarazione orale con cui ha descritto le attività dell’intesa. Tale dichiarazione è stata registrata su cassetta (punto 67 della decisione impugnata).

12      Il 14 gennaio 2003, la Bayer ha fornito una dichiarazione orale con cui ha descritto le attività dell’intesa relativa alla BR. Tale dichiarazione orale è stata registrata su cassetta. La Bayer ha del pari fornito verbali delle riunioni del comitato BR dell’Associazione europea della gomma sintetica (punto 68 della decisione impugnata).

13      Il 5 febbraio 2003, la Commissione ha notificato alla Bayer la propria decisione di concederle un’immunità condizionale dall’ammenda (punto 69 della decisione impugnata).

14      Il 27 marzo 2003, la Commissione ha effettuato un accertamento, ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), presso i locali della Dow Deutschland & Co. (punto 70 della decisione impugnata).

15      Tra il settembre 2003 e il luglio 2006 la Commissione ha inviato alle imprese interessate dalla decisione impugnata varie richieste di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17 e dell’art. 18 del regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1) (punto 71 della decisione impugnata).

16      Il 16 ottobre 2003, la Dow Deutschland e la Dow Deutschland & Co. si sono incontrate con i servizi della Commissione e hanno manifestato l’intenzione di cooperare a titolo della comunicazione sulla cooperazione. In occasione di tale incontro è stata fornita una presentazione orale delle attività dell’intesa relative alla BR e all’ESBR. Tale presentazione orale è stata registrata. È stato inoltre costituito un fascicolo contenente i documenti inerenti all’intesa (punto 72 della decisione impugnata).

17      Il 4 marzo 2005, la Dow Deutschland è stata informata che la Commissione intendeva concederle una riduzione dell’ammenda compresa tra il 30% e il 50% (punto 73 della decisione impugnata).

18      Il 7 giugno 2005, la Commissione ha avviato il procedimento e ha inviato una prima comunicazione degli addebiti alle imprese destinatarie della decisione impugnata – ad eccezione dell’Unipetrol – nonché alla Dwory. La prima comunicazione degli addebiti è stata adottata anche nei confronti della Tavorex, ma non le è stata notificata in quanto detta società era in liquidazione dall’ottobre del 2004. Il procedimento nei suoi confronti è stato quindi archiviato (punti 49 e 74 della decisione impugnata).

19      Le imprese di cui trattasi hanno depositato osservazioni scritte relative a tale prima comunicazione degli addebiti (punto 75 della decisione impugnata). Esse hanno inoltre avuto accesso al fascicolo, sotto forma di CD‑ROM, nonché alle dichiarazioni orali e ai documenti ad esse relativi presso i locali della Commissione (punto 76 della decisione impugnata).

20      Il 3 novembre 2005, la Manufacture Française des Pneumatiques Michelin (in prosieguo: la «Michelin») ha chiesto di intervenire. Essa ha fornito osservazioni scritte il 13 gennaio 2006 (punto 78 della decisione impugnata).

21      Il 6 aprile 2006, la Commissione ha adottato una seconda comunicazione degli addebiti indirizzata alle imprese destinatarie della decisione impugnata. Le imprese di cui trattasi hanno depositato osservazioni scritte a tale riguardo (punto 84 della decisione impugnata).

22      Il 12 maggio 2006, la Michelin ha presentato una denuncia ai sensi dell’art. 5 del regolamento (CE) della Commissione 7 aprile 2004, n. 773, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli artt. 81 [CE] e 82 [CE] (GU L 123, pag. 18) (punto 85 della decisione impugnata).

23      Il 22 giugno 2006, le imprese destinatarie della decisione impugnata, ad eccezione della Stomil, nonché la Michelin, hanno partecipato all’audizione dinanzi alla Commissione (punto 86 della decisione impugnata).

24      In mancanza di sufficienti elementi di prova della partecipazione della Dwory all’intesa, la Commissione ha deciso di archiviare il procedimento nei suoi confronti (punto 88 della decisione impugnata). La Commissione ha inoltre deciso di archiviare il procedimento nei confronti della Syndial (punto 89 della decisione impugnata).

25      Peraltro, mentre inizialmente erano stati utilizzati due numeri di caso diversi (uno per la BR e l’altro per l’ESBR) (COMP/E‑1/38.637 e COMP/E‑1/38.638), la Commissione ha utilizzato, dopo la prima comunicazione degli addebiti, un unico numero (COMP/F/38.638) (punti 90 e 91 della decisione impugnata).

26      Il procedimento amministrativo si è concluso con l’adozione della decisione impugnata, da parte della Commissione, il 29 novembre 2006.

27      Ai sensi dell’art. 1 del dispositivo della decisione impugnata, le seguenti imprese hanno violato l’art. 81 CE e l’art. 53 SEE, commettendo, nei periodi indicati, un’infrazione unica e continuata consistente nel concordare obiettivi di prezzo, nella ripartizione dei clienti mediante accordi di non aggressione e nello scambio di informazioni riservate concernenti prezzi, concorrenti e clienti nei settori della BR e dell’ESBR:

a)      la Bayer, dal 20 maggio 1996 al 28 novembre 2002;

b)      la Dow Chemical, dal 1° luglio 1996 al 28 novembre 2002; la Dow Deutschland, dal 1° luglio 1996 al 27 novembre 2001; la Dow Deutschland Anlagengesellschaft, dal 22 febbraio 2001 al 28 febbraio 2002; la Dow Europe, dal 26 novembre 2001 al 28 novembre 2002;

c)      l’ENI, dal 20 maggio 1996 al 28 novembre 2002; la Polimeri, dal 20 maggio 1996 al 28 novembre 2002;

d)      la Shell Petroleum, dal 20 maggio 1996 al 31 maggio 1999; la Shell Nederland, dal 20 maggio 1996 al 31 maggio 1999; la Shell Nederland Chemie, dal 20 maggio 1996 al 31 maggio 1999;

e)      l’Unipetrol, dal 16 novembre 1999 al 28 novembre 2002; la Kaučuk, dal 16 novembre 1999 al 28 novembre 2002;

f)      la Stomil, dal 16 novembre 1999 al 22 febbraio 2000.

28      Sulla base degli accertamenti di fatto e delle valutazioni giuridiche operate nella decisione impugnata, la Commissione ha irrogato alle imprese di cui trattasi varie ammende il cui importo è stato calcolato conformemente al metodo illustrato negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») nonché nella comunicazione sulla cooperazione.

29      L’art. 2 del dispositivo della decisione impugnata infligge le seguenti ammende:

a)      alla Bayer: EUR 0;

b)      alla Dow Chemical: EUR 64,575 milioni, di cui:

i)      EUR 60,27 milioni in solido con la Dow Deutschland;

ii)      EUR 47,355 milioni in solido con la Dow Deutschland Anlagengesellschaft e la Dow Europe;

c)      all’ENI e alla Polimeri, in solido: EUR 272,25 milioni;

d)      alla Shell Petroleum, alla Shell Nederland e alla Shell Nederland Chemie, in solido: EUR 160,875 milioni;

e)      all’Unipetrol e alla Kaučuk, in solido: EUR 17,55 milioni;

f)      alla Stomil: EUR 3,8 milioni.

30      L’art. 3 del dispositivo della decisione impugnata ordina alle imprese elencate all’art. 1 di porre immediatamente fine, qualora non vi abbiano ancora provveduto, alle infrazioni descritte nel medesimo articolo e di astenersi dal ripetere qualsiasi atto o comportamento di cui all’art. 1 nonché qualsiasi atto o comportamento che abbia oggetto o effetto equivalente.

 Procedimento e conclusioni delle parti

31      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 febbraio 2007, la Dow Chemical, la Dow Deutschland, la Dow Deutschland Anlagengesellschaft e la Dow Europe (in prosieguo, congiuntamente, la «Dow») hanno proposto il presente ricorso.

32      Con decisione del presidente del Tribunale in data 2 aprile 2009, il sig. N. Wahl è stato designato per completare la Sezione, in seguito ad impedimento di uno dei suoi membri.

33      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento.

34      Le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza che ha avuto luogo il 13 ottobre 2009.

35      La Dow Chemical chiede che il Tribunale voglia annullare la decisione impugnata nella parte che la riguarda.

36      La Dow Deutschland chiede che il Tribunale voglia annullare l’art. 1 della decisione impugnata nella parte in cui accerta la violazione, da parte della Dow Deutschland, degli artt. 81 CE e 53 SEE a partire dal 1° luglio 1996.

37      Tutte le ricorrenti (e la Dow Chemical in via subordinata) chiedono che il Tribunale voglia ridurre significativamente l’importo dell’ammenda loro inflitta.

38      Tutte le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        ordinare alla Commissione di pagare le spese legali delle ricorrenti e le altre spese correlate alla presente causa, nonché quelle derivanti dalla garanzia bancaria prestata dalle ricorrenti per coprire l’importo dell’ammenda loro inflitta con la decisione impugnata in pendenza di giudizio dinanzi al Tribunale;

–        adottare qualsiasi altro provvedimento che riterrà adeguato.

39      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

40      La Dow fa valere tre motivi a sostegno delle sue conclusioni. Con il primo motivo, censura il fatto che la Commissione ha imputato l’infrazione alla Dow Chemical. Con il secondo motivo, la Dow afferma che la Commissione ha commesso un errore nella determinazione della durata della partecipazione della Dow Deutschland alla violazione. Con il terzo motivo, la Dow lamenta che la Commissione ha commesso diversi errori nel calcolo dell’importo delle ammende ad essa inflitte.

A –  Sulle domande dirette all’annullamento parziale della decisione impugnata

1.     Sul primo motivo, relativo all’imputazione illegittima dell’infrazione alla Dow Chemical

41      Il primo motivo della Dow si articola in tre parti. Nell’ambito della prima parte, la Dow ritiene che la Commissione abbia applicato un criterio errato di valutazione della responsabilità di una società controllante. Nell’ambito della seconda parte, la Dow ritiene che la Dow Chemical abbia, in ogni caso, confutato la presunzione esistente nei suoi confronti. Nell’ambito della terza parte, la Dow sostiene che la Commissione ha commesso un errore, avendo omesso di esercitare il suo potere discrezionale per valutare se adottare la decisione impugnata nei confronti della Dow Chemical e avendo omesso di motivare la decisione di ritenere la controllante responsabile nel caso di specie.

a)     Sulla prima parte, relativa all’applicazione di un criterio errato di imputazione dell’infrazione alla controllante

42      In occasione dell’udienza, la Dow, tenuto conto della decisione della Corte 10 settembre 2009, causa C‑97/08 P, Akzo Nobel e a./Commissione (Racc. pag. I‑8237), ha ritirato la prima parte del suo primo motivo, circostanza di cui si è preso atto.

43      Pertanto, non occorre pronunciarsi sulla prima parte del primo motivo dedotto dalla Dow.

b)     Sulla seconda parte, relativa alla confutazione da parte della Dow Chemical della presunzione gravante su di essa

 Argomenti delle parti

44      La Dow sostiene che, se sussiste una presunzione secondo cui una società che detiene il 100% della controllata esercita su di essa un’influenza determinante, la Dow Chemical nel caso di specie ha confutato detta presunzione. La Dow sottolinea, al riguardo, che una controllante può superare la presunzione che grava su di essa dimostrando di non aver esercitato un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata. Essa non sarebbe tenuta a provare che non era più nella posizione di esercitare un’influenza dominante su detta società. Il criterio applicabile sarebbe quello di determinare se la controllata «si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante» con riguardo alla sua «linea di condotta sul mercato» (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, Racc. pag. I‑9925). L’espressione «in sostanza» comprenderebbe il fatto di verificare se la controllata rispetti le regole della concorrenza o se le violi al fine di ottenere prezzi più elevati rispetto a quelli che avrebbe potuto conseguire sul mercato in condizioni normali. La Commissione avrebbe adottato questo approccio in due cause citate dalla Dow. La Dow osserva a tale riguardo che una responsabilità per la violazione della normativa in materia di intese sarebbe ravvisabile soltanto in caso di condotta intenzionale o negligente (art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003). La controllante, pertanto, potrebbe essere considerata responsabile di un’infrazione dell’art. 81 CE soltanto nel caso in cui essa abbia agito, quanto meno, in modo negligente con riguardo alla violazione compiuta dalla sua controllata.

45      Nel caso di specie, la Commissione affermerebbe erroneamente e senza alcuna prova che i legami gerarchici tra la Dow Chemical e le sue controllate coprivano le attività dell’intesa e che la Dow Chemical era informata di dette attività.

46      La Commissione, in primo luogo, non avrebbe tenuto conto del fatto che, come precisato nelle risposte della Dow alla comunicazione degli addebiti, la Dow Deutschland, la Dow Deutschland Anlagengesellschaft e la Dow Europe avrebbero agito in modo autonomo. A tale riguardo, la Dow sottolinea che solo alcuni dipendenti delle tre società, poco numerosi e di livello relativamente basso all’interno dell’organigramma, avrebbero preso parte all’infrazione. L’unico dipendente di alto livello che avrebbe potuto essere a conoscenza delle attività dell’intesa era l’allora direttore commerciale della Dow Deutschland per il settore elastomeri sintetici. Questi ha però sempre negato di essere stato a conoscenza dell’infrazione in esame e non vi sono elementi che dimostrino il contrario. Con riguardo alla situazione dei dipendenti di cui trattasi in questa causa, la Dow osserva peraltro che l’intesa e la sua scarna organizzazione sarebbero state già ben strutturate quando la Dow Deutschland è stata coinvolta. La partecipazione della Dow Deutschland non sarebbe da ricondurre alla decisione di attivare determinati meccanismi o di mettere in funzione strutture specifiche.

47      Quando la Dow Deutschland è entrata sul mercato in esame, divenendo, in data 1° luglio 1996, distributore della Buna Sow Leuna Olefinverbund GmbH (in prosieguo: la «BSL»), la Dow Chemical non avrebbe potuto essere automaticamente informata di eventuali condotte anticoncorrenziali. Il settore in questione avrebbe rappresentato un’attività nuova per la Dow, che non l’avrebbe integrata all’interno di una delle sue strutture organizzative preesistenti. La Dow ricorda, a questo riguardo, in particolare, che la BSL era una società controllata al 100% dalla Bundesanstalt für vereinigungsbedingte Sonderaufgaben (BvS), fino al 1° settembre 1999, momento in cui la Dow ha acquisito una partecipazione dell’80% nel suo capitale e ne ha conseguito il controllo congiunto. Non era peraltro neppure certo che la BSL avrebbe continuato a produrre la BR e l’ESBR. La Dow, inoltre, sarebbe divenuta a pieno titolo produttrice di BR e di ESBR solo con l’acquisizione dell’attività aziendale «gomma sintetica» della Shell, il 1° giugno 1999.

48      Il fatto che la Dow Chemical non sia stata informata delle discussioni sui prezzi sarebbe in linea con la struttura organizzativa del gruppo. La direzione dell’attività «elastomeri sintetici» si sarebbe trovata in seno alla Dow Deutschland e alla Dow Deutschland & Co. (divenuta, come ricordato al punto 2 supra, la Dow Deutschland Anlagengesellschaft). Detto settore non sarebbe stato integrato in nessuna delle strutture organizzative esistenti e avrebbe continuato a rappresentare un’attività indipendente. L’allora direttore commerciale della Dow Deutschland sarebbe stato posto sotto la responsabilità di dipendenti della Dow Chemical, i quali, privi di esperienza in materia di gomma sintetica, si sarebbero astenuti dall’interferire nelle sue decisioni commerciali. Ne consegue che i legami industriali ed economici tra la Dow Chemical e le sue controllate nel settore in esame non sarebbero stati così stretti come la Commissione afferma al punto 357 della decisione impugnata. Il fatto che l’allora direttore commerciale della Dow Deutschland dipendesse dalla Dow Chemical non significherebbe affatto che quest’ultima abbia effettivamente avuto conoscenza dell’intesa o che si sia resa negligente nel non scoprirne l’esistenza.

49      La Dow Chemical non sarebbe stata nelle condizioni di porre fine alla partecipazione delle altre società del gruppo alla violazione, non essendone a conoscenza. In ciò si dovrebbe ravvisare una differenza essenziale del caso di specie rispetto a quello che ha portato alla sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑354/94, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (Racc. pag. II‑2111). Tutti i dipendenti della Dow con responsabilità commerciali avrebbero anzi ricevuto una regolare formazione in materia di diritto della concorrenza. Tutti i dipendenti in questione, inoltre, sarebbero stati tenuti a rispettare il codice di condotta commerciale della Dow Chemical, che nel 1999 conteneva, in particolare, regole specifiche relative al «rispetto del diritto della concorrenza», citate dalla Dow. Se tali dipendenti si fossero rivolti a un legale della Dow, quest’ultima avrebbe adottato tutte le misure necessarie per porre immediatamente fine alle pratiche illegali.

50      La Commissione affermerebbe, in secondo luogo, l’esistenza di «rapporti di dipendenza» tra la Dow Chemical e le sue controllate e sosterrebbe che tali relazioni «(…) si riferivano a tutti gli aspetti essenziali delle attività legate alla BR e all’ESBR», che «[l]’intesa controversa era certamente un fattore essenziale della politica commerciale adottata dalle filiali della Dow nel settore della BR/ESBR e [che] non è ammissibile che fosse [loro] possibile discutere delle loro attività senza menzionarne l’esistenza» (punto 357 della decisione impugnata). La Commissione non fornirebbe comunque alcuna prova al riguardo.

51      Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione al punto 357 della decisione impugnata, la Dow non si sarebbe limitata genericamente a negare gli addebiti, ma avrebbe dichiarato che, malgrado un’approfondita inchiesta interna, nulla induceva a ritenere che qualcuno all’interno della Dow Chemical fosse informato delle discussioni sui prezzi. Secondo la Dow, il fatto che esista una struttura gerarchica che coinvolge tutti gli aspetti essenziali di un’attività non significa che detta struttura sia utilizzata per rendere note pratiche di intese anticoncorrenziali al livello superiore. Se la semplice esistenza di rapporti gerarchici fosse sufficiente per rendere la controllante responsabile del comportamento delle sue controllate, non sarebbe possibile dimostrare l’autonomia di comportamento delle controllate. Una controllata può agire in modo autonomo, anche se alcuni dei suoi dipendenti rispondono a persone appartenenti all’organigramma di altre società del gruppo. La Dow osserva, inoltre, che la presente fattispecie diverge da quella che ha dato luogo alla sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑314/01, Avebe/Commissione (Racc. pag. II‑3085). In quel caso i dirigenti dell’impresa comune (la controllata) avrebbero svolto contemporaneamente funzioni direzionali all’interno delle controllanti. I rappresentanti delle controllanti sarebbero stati o direttamente coinvolti nell’infrazione o necessariamente a conoscenza della stessa. La controllata, inoltre, sarebbe stata creata ricorrendo a una particolare forma giuridica.

52      La Dow propone, in terzo luogo, di sentire come testimoni diverse persone che erano (o avrebbero potuto essere) in grado di riferire informazioni relative alle attività dell’intesa a un dipendente della Dow Chemical e di chiedere loro se ciò sia avvenuto. La Dow chiede altresì di sentire come testimoni le persone che la Commissione cita espressamente nella nota a piè di pagina n. 218 della decisione, o indirettamente, con riferimento alla lettera della Dow in data 26 luglio 2004, in quanto facenti parte delle strutture gerarchiche interessate.

53      La Commissione conclude per il rigetto della seconda parte del primo motivo. Essa ritiene, in sostanza, che gli elementi dedotti dalla Dow non siano sufficienti per rovesciare la presunzione che esiste nella fattispecie.

 Giudizio del Tribunale

54      La Commissione osserva, nella decisione impugnata, che una controllante può essere considerata responsabile del comportamento illecito di una controllata qualora quest’ultima non determini autonomamente il proprio comportamento sul mercato. La Commissione fa riferimento, al riguardo, in particolare, alla nozione d’impresa nel diritto della concorrenza (punti 333 e 334 della decisione impugnata). La Commissione afferma peraltro di poter presumere che una controllata al 100% segua in generale le istruzioni che le sono impartite dalla società controllante senza dover verificare se quest’ultima abbia effettivamente esercitato tale potere. Incomberebbe alla società controllante o alla controllata confutare tale presunzione fornendo prove sufficienti del fatto che la controllata ha stabilito in modo autonomo il suo comportamento sul mercato invece di seguire le istruzioni ricevute dalla società controllante, cosicché esse non rientrerebbero nella nozione di impresa (punto 335 della decisione impugnata).

55      La Commissione ritiene poi che la Dow Deutschland Anlagengesellschaft, la Dow Deutschland e la Dow Europe siano responsabili di aver partecipato direttamente all’infrazione. Essa precisa che, nel periodo in cui si è verificata l’infrazione, dette società erano detenute direttamente o indirettamente al 100% dalla Dow Chemical. Si poteva pertanto presumere, secondo la Commissione, che la controllante avesse esercitato un’influenza determinante sul comportamento delle sue controllate. Questa presunzione sarebbe stata corroborata, nel caso di specie, da numerosi elementi. La Commissione ne ha concluso che la decisione impugnata doveva essere indirizzata alla Dow Deutschland Anlagengesellschaft, alla Dow Deutschland, alla Dow Europe e alla Dow Chemical, le quali dovevano essere ritenute responsabili in solido dell’infrazione (punti 340‑364 della decisione impugnata).

56      Occorre ricordare a tale riguardo che, quando una società controllante detiene il 100% del capitale della propria controllata che abbia infranto le norme comunitarie in materia di concorrenza, da un lato, tale società controllante può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della controllata e, dall’altro, esiste una presunzione relativa secondo cui detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata. Alla luce di tali considerazioni, è sufficiente che la Commissione provi che l’intero capitale di una controllata è detenuto dalla controllante per poter presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale di tale controllata. La Commissione potrà poi ritenere la società controllante solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla propria controllata, a meno che tale società controllante, cui incombe l’onere di confutare detta presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova, idonei a dimostrare che la propria controllata si comporta in maniera autonoma sul mercato (v. sentenza Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 42 supra, punti 60 e 61 nonché la giurisprudenza ivi citata).

57      Avendo ritirato la prima parte del suo primo motivo, la Dow non contesta che la Commissione poteva presumere che la Dow Chemical, in forza della detenzione diretta o indiretta della totalità del capitale delle sue controllate, esercitasse un’influenza determinante sul loro comportamento.

58      Spettava quindi alla Dow Chemical rovesciare tale presunzione dimostrando che dette controllate determinavano la loro politica commerciale in modo autonomo e che pertanto non costituivano con la medesima società un’entità economica unica e, dunque, una sola impresa ai sensi dell’art. 81 CE.

59      Più in particolare, incombeva alla Dow Chemical sottoporre ogni elemento relativo ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti con le proprie controllate che essa considerava idoneo a dimostrare che la controllante e le controllate non costituivano un’entità economica unica. Nella sua valutazione, infatti, il Tribunale deve tener conto di tutti gli elementi sottopostigli dalle parti, il cui carattere e la cui importanza possono variare a seconda delle caratteristiche proprie di ciascun caso di specie (sentenza del Tribunale 12 dicembre 2007, causa T‑112/05, Akzo Nobel e a./Commissione, Racc. pag. II‑5049, punto 65).

60      In primo luogo, con i suoi argomenti la Dow sostiene che, non essendo coinvolta nell’infrazione, né a conoscenza della stessa, non può esserne ritenuta responsabile. In occasione dell’udienza, la Dow ha tuttavia osservato come, alla luce della sentenza 10 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione, citata al punto 42 supra, non era nelle condizioni di confutare la presunzione gravante su di essa a tal riguardo, in quanto, in base a detta sentenza, l’influenza determinante esercitata dalla controllante non deve necessariamente riguardare la politica commerciale della controllata e, a fortiori, l’infrazione. La Dow riconosce così che gli argomenti da essa dedotti non sono idonei a contrastare la legittimità della decisione impugnata su tale punto. All’udienza la Dow ha dichiarato, quindi, che ritirava gli argomenti indicati nella seconda parte del primo motivo inerente a detto aspetto.

61      In secondo luogo, ad abundantiam, la Commissione menziona nella decisione impugnata elementi aggiuntivi che consentono di ritenere che la Dow Chemical abbia esercitato un’influenza determinante sul comportamento delle sue controllate. La Commissione osserva, in particolare, che i dipendenti che hanno preso parte alla violazione rispondevano al direttore commerciale (gomma sintetica) della Dow Deutschland, il quale, a sua volta, rispondeva ai responsabili del settore della Dow Chemical, che, da ultimo, riferivano al presidente‑direttore generale (punti 344‑352 della decisione impugnata). La Dow non contesta tali circostanze di fatto, ma ritiene che detti elementi non comprovino che la Dow Chemical fosse effettivamente a conoscenza dell’intesa o che si sia resa negligente per non averne scoperto l’esistenza. Orbene, per le ragioni esposte al punto che precede, questi argomenti non sono idonei a confutare la presunzione che grava sulla Dow Chemical, come riconosciuto dalla stessa Dow in occasione dell’udienza.

62      La Dow ha tuttavia osservato in udienza che la Commissione aveva dichiarato erroneamente, al punto 357 della decisione impugnata, che la Dow Chemical era informata delle attività dell’intesa. A detta della Dow, se l’affermazione della Commissione fosse corretta, la Dow Chemical sarebbe stata coinvolta direttamente nell’intesa. Orbene, questa affermazione andrebbe però ben oltre la responsabilità della controllante quale soggetto che detiene il 100% del capitale della sua controllata. La Commissione non avrebbe fornito in proposito alcun elemento di prova. Alla luce della sentenza della Corte 3 settembre 2009, cause riunite C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, Papierfabrik August Koehler/Commissione (Racc. pag. I‑7191) e considerato che la presente controversia sarebbe equiparabile a quella che ha condotto alla sentenza citata, la Dow conclude sostenendo l’illegittimità della decisione impugnata a tal riguardo.

63      Senza che sia necessario pronunciarsi sulla ricevibilità degli argomenti invocati dalla Dow in occasione dell’udienza, è sufficiente osservare che essi si basano sul presupposto che, in considerazione degli elementi indicati al punto 357 della decisione impugnata, la Commissione avrebbe ritenuto la Dow Chemical responsabile anche di una sua partecipazione diretta all’infrazione e che, pertanto, la situazione qui in esame sarebbe equiparabile a quella che ha condotto alla sentenza Papierfabrik August Koehler/Commissione, citata al punto 62 supra. Orbene, dai punti 340‑343 della decisione impugnata emerge chiaramente che la Dow Chemical è stata ritenuta responsabile soltanto in considerazione del controllo diretto o indiretto da essa esercitato sulle società che hanno preso parte direttamente all’infrazione, vale a dire la Dow Deutschland Anlagengesellschaft, la Dow Deutschland e la Dow Europe. La premessa posta dalla Dow è pertanto errata.

64      Da questi elementi risulta quindi che le argomentazioni addotte dalla Dow non sono idonee a rimettere in discussione il fatto che la Dow Chemical e le sue controllate potevano essere considerate un’unica entità economica. In tale contesto, il Tribunale ritiene che non sia necessario adottare le misure di organizzazione del procedimento richieste dalla Dow.

65      Alla luce di tali elementi, la seconda parte del primo motivo dedotto dalla Dow deve essere respinta in quanto infondata.

c)     Sulla terza parte, relativa ad un errore nell’esercizio del potere discrezionale della Commissione e al difetto di motivazione

 Argomenti delle parti

66      La Dow sottolinea che, in ogni caso, la Commissione sostiene che, «[n]el caso delle società capogruppo, nell’adottare una decisione nei loro confronti, [essa] applica un principio generale, confermato da una giurisprudenza costante (…) e dal quale non vede alcun motivo impellente di discostarsi» (punto 362 della decisione impugnata).

67      Ciò nondimeno, la giurisprudenza del Tribunale e della Corte, cui farebbero riferimento i punti 333‑336 della decisione impugnata, non confermerebbe l’esistenza di alcuna politica generale della Commissione consistente nell’adottare una decisione nei confronti della società capogruppo. Detta giurisprudenza indicherebbe unicamente che, in presenza di una presunzione relativa in base alla quale la controllante ha effettivamente esercitato un’influenza determinante sulla sua controllata detenuta al 100%, e qualora detta controllante non riesca a confutare tale presunzione, la Commissione potrebbe allora (senza che ci sia un obbligo in tal senso) considerare la controllante responsabile del comportamento di detta controllata.

68      La Dow osserva, inoltre, richiamando alcune specifiche decisioni della Commissione, come quest’ultima, in altri casi, non abbia ritenuto la controllante responsabile, malgrado detenesse il 100% del capitale sociale della controllata, e ciò senza indicare le ragioni per cui non aveva inflitto l’ammenda alla controllante.

69      Alla luce di detti elementi, la Dow sostiene che la Commissione dovrebbe di volta in volta esercitare il proprio potere discrezionale. Orbene, nel caso di specie, la Commissione avrebbe immotivatamente omesso di farlo, come emergerebbe, in particolare, dal punto 362 della decisione impugnata. La Dow aggiunge che c’è differenza tra una politica generale intesa ad agire contro le violazioni del diritto dell’Unione in materia di concorrenza e a sanzionare le imprese che si rendono responsabili di infrazioni, e una politica generale consistente nel ritenere sempre responsabile la controllante.

70      La Dow ricorda di aver sostenuto, durante il procedimento amministrativo, che avrebbe subìto un danno ingiusto se la Commissione avesse identificato la Dow Chemical come destinataria della decisione che intendeva adottare, dato che ciò avrebbe portato verosimilmente a un’azione di responsabilità civile ingiustificata negli Stati Uniti. La Dow osserva al riguardo che, qualche giorno dopo l’annuncio dell’adozione della decisione impugnata, la Dow Chemical è stata citata a comparire dinanzi a numerosi tribunali degli Stati Uniti nell’ambito di azioni collettive. La Dow Chemical avrebbe inoltre evidenziato come l’adozione della decisione impugnata nei suoi confronti non fosse conforme alla politica della Commissione in materia di cooperazione, dato che le imprese sarebbero meno propense a cooperare se detta cooperazione le esponesse ad azioni di risarcimento danni intentate da terzi. La Commissione avrebbe riconosciuto espressamente detto aspetto al punto 6 della comunicazione dell’8 dicembre 2006, relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU C 298, pag 17).

71      La Dow conclude che la Commissione ha tenuto conto in modo insufficiente di tali argomenti, limitandosi ad affermare che avevano «carattere eminentemente politico». La Commissione avrebbe invece dovuto tenerne conto quale contrappeso di eventuali argomenti favorevoli a una notifica della decisione impugnata alla Dow Chemical. Orbene, essa non l’avrebbe fatto.

72      In ogni caso la decisione impugnata presenterebbe un vizio di motivazione, in quanto la Commissione non vi indicherebbe i motivi in forza dei quali essa ha da ultimo deciso, nel caso in esame, di adottarla nei confronti della controllante. La Commissione non sarebbe affatto tenuta a spiegare perché non considera una controllante responsabile delle azioni di una delle sue controllate, dato che una simile decisione non arrecherebbe danni ad alcuno. Sarebbe invece necessario che la Commissione valutasse i diversi argomenti in causa ed esponesse le ragioni della sua decisione quando infligge un’ammenda a una controllante in ragione delle infrazioni commesse da una delle sue controllate.

73      La Commissione conclude per il rigetto della terza parte del primo motivo. Essa ritiene, in sostanza, che, laddove siano soddisfatte le condizioni per imputare il comportamento delle controllate alla controllante, essa non sia tenuta a spiegare la scelta dei destinatari della sua decisione.

 Giudizio del Tribunale

74      Occorre ricordare che, per le ragioni esposte nell’ambito della seconda parte del primo motivo, la Commissione può imputare alla società controllante la responsabilità di un’infrazione commessa da una controllata, allorché detta controllata non determina in modo autonomo il suo comportamento sul mercato. Nel caso di specie emerge dalle considerazioni svolte in precedenza che la Commissione non ha commesso alcun errore al riguardo. Il fatto che la Dow Chemical sia la società capogruppo non vale a modificare detta conclusione, dato che non è stato contestato che essa controlla, anche se indirettamente, l’intero capitale delle società che hanno preso parte direttamente all’infrazione, vale a dire la Dow Deutschland Anlagengesellschaft, la Dow Deutschland e la Dow Europe (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, causa T‑203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II‑4071, punto 290). Occorre peraltro sottolineare che la Dow Chemical controlla direttamente l’intero capitale della Dow Europe, nei confronti della quale la Commissione ha accertato la responsabilità di aver partecipato direttamente all’infrazione, circostanza che non è stata contestata nell’ambito del presente procedimento.

75      Quanto all’asserita difformità tra la decisione impugnata e la prassi decisionale della Commissione, e in ragione del fatto che la Dow invoca una violazione del principio della parità di trattamento, è d’uopo anzitutto ricordare che, per i motivi indicati supra al punto 56, il comportamento di una controllata che viola le regole di concorrenza può essere imputato alla controllante. Occorre poi rilevare che l’imputazione dell’infrazione alla controllante è una facoltà il cui esercizio è rimesso alla discrezionalità della Commissione (v., in tal senso, sentenze della Corte 24 settembre 2009, cause riunite C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Erste Bank der österreichischen Sparkassen/Commissione, Racc. pag. I‑8681, punto 82, e del Tribunale 14 dicembre 2006, cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punto 331). Ciò premesso, occorre considerare che il solo fatto che la Commissione abbia valutato, nell’ambito della sua precedente prassi decisionale, che le circostanze di una causa non giustificavano l’imputazione del comportamento della controllata alla sua controllante non vuol dire che essa sia obbligata a effettuare la medesima valutazione in occasione dell’adozione di una successiva decisione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, detta «PVC II», Racc. pag. II‑931, punto 990). Ad abundantiam, occorre ricordare che un’impresa che ha violato l’art. 81, n. 1, CE non può sottrarsi a qualsiasi sanzione per il motivo che nessuna ammenda è stata inflitta ad un altro operatore economico, se il procedimento dinanzi al Tribunale non riguarda la situazione di quest’ultimo (v. sentenza PVC II, cit., punto 1237 e la giurisprudenza ivi citata).

76      Quanto al fatto che la Dow Chemical avrebbe subìto un danno ingiusto, essendo destinataria della decisione, ciò non pregiudicherebbe la legittimità di detta decisione, poiché, per le ragioni esposte in precedenza, la Commissione era in diritto di imputare la responsabilità dell’infrazione in esame alla Dow Chemical.

77      Con riferimento all’asserito difetto di motivazione, occorre ricordare infine che la motivazione di una decisione individuale deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui essa promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. L’obbligo di motivazione dev’essere valutato in funzione delle circostanze del caso. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento della questione se essa soddisfi i requisiti di cui all’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del tenore dell’atto di cui trattasi, ma anche del contesto in cui tale atto è stato adottato (sentenza della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63).

78      I requisiti della formalità sostanziale costituita da detto obbligo di motivazione risultano soddisfatti allorché la Commissione indica, nella sua decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione (sentenze della Corte 16 novembre 2000, causa C‑291/98 P, Sarrió/Commissione, Racc. pag. I‑9991, punto 73, e 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 463).

79      È sufficiente qui constatare come la Commissione abbia chiaramente indicato, ai punti 333‑338 e 340‑364 della decisione impugnata, gli elementi di valutazione che le hanno permesso di accertare la responsabilità della Dow Chemical nel caso di specie. La Dow contesta peraltro questi elementi nell’ambito del presente ricorso. Non si può riconoscere pertanto il difetto di motivazione contestato dalla Dow.

80      Alla luce di tali elementi, la terza parte del primo motivo dedotto dalla Dow deve essere rigettata in quanto infondata e, di conseguenza, il primo motivo deve essere respinto nel suo complesso.

2.     Sul secondo motivo, relativo alla errata determinazione della durata della partecipazione della Dow Deutschland all’infrazione

a)     Argomenti delle parti

 Argomenti della Dow

81      Nella decisione impugnata, la Commissione avrebbe individuato, come momento iniziale della partecipazione di un’impresa all’infrazione, la data in cui un dipendente di detta impresa ha partecipato per la prima volta a una riunione del sottocomitato dell’Associazione europea della gomma sintetica. La data di inizio della partecipazione della Dow Deutschland Anlagengesellschaft all’infrazione sarebbe stata pertanto fissata al 22 febbraio 2001 e quella della Dow Europe al 26 novembre 2001 (punto 450 della decisione impugnata).

82      Orbene, benché la BSL abbia messo a disposizione della Dow Deutschland uno dei suoi dipendenti fin dal 1° luglio 1996 (punto 100 della decisione impugnata), questi avrebbe partecipato alla sua prima riunione per conto della Dow Deutschland solo il 2 e 3 settembre 1996 (punto 167 de la decisione impugnata). Nulla, nella decisione impugnata, indicherebbe che questo dipendente abbia avuto rapporti con i rappresentanti delle altre partecipanti all’intesa tra il 1° luglio 1996 e la riunione del 2 e 3 settembre 1996. Il metodo adottato dalla Commissione equivarrebbe a considerare la Dow come retroattivamente responsabile della partecipazione di detto dipendente alla riunione del 20 e 21 maggio 1996. La Commissione discriminerebbe, quindi, la Dow Deutschland rispetto agli altri destinatari della decisione impugnata. Dato che l’(eventuale) infrazione della Dow Chemical sarebbe circoscritta a quella delle sue controllate, lo stesso varrebbe per la Dow Chemical nel suo insieme.

83      Inoltre, il fatto che la Commissione non avrebbe spiegato nella decisione impugnata le ragioni dell’applicazione alla Dow Deutschland di un metodo diverso integrerebbe un difetto di motivazione.

 Argomenti della Commissione

84      A detta della Commissione, il secondo motivo della Dow si fonda su un presupposto errato, ovvero sull’asserita scelta, in termini generali, come data iniziale della partecipazione all’infrazione, della data di partecipazione a uno dei sottocomitati dell’Associazione europea della gomma sintetica. Orbene, la Commissione avrebbe invece proceduto come di norma, ovvero riferendosi alla data in cui un dipendente dell’impresa partecipa per la prima volta alle attività dell’intesa (punto 444 della decisione impugnata).

85      Nella decisione impugnata la Commissione avrebbe correttamente ritenuto che la partecipazione della Dow Deutschland (e, quindi, della Dow Chemical) sia iniziata il giorno in cui un dipendente della BSL, che già partecipava alle attività dell’intesa, è stato distaccato presso di essa. Secondo la Commissione, la Dow Deutschland deve pertanto essere considerata responsabile della partecipazione del proprio dipendente a partire da quella data. La Dow non avrebbe contestato le prove che attestano che il dipendente distaccato presso la Dow Deutschland già partecipava alle attività dell’intesa. Allo stesso modo, detto dipendente avrebbe continuato a partecipare a tali attività dopo il suo distaccamento presso la Dow Deutschland (punti 166, 167 e 169‑182 della decisione impugnata).

86      La Dow non contesterebbe neppure che l’intesa sia rimasta in vigore nel periodo compreso tra il 1° luglio 1996 e la successiva riunione dell’Associazione europea della gomma sintetica. La Commissione sostiene, in particolare, che la partecipazione alle attività correnti dell’intesa non è stata interrotta durante il periodo nel quale non si sono tenute riunioni dell’intesa né è stata prevista l’attuazione di alcuna decisione dell’intesa. Per porre fine alla partecipazione ad un’intesa continuata, il partecipante dovrebbe dimostrare che si è chiaramente distanziato dall’intesa, in modo tale da non lasciare alcun dubbio alle vecchie società compartecipanti circa la sua uscita dall’intesa (sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 232; 10 marzo 1992, causa T‑12/89, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑907, punto 98, e 11 dicembre 2003, causa T‑56/99, Marlines/Commissione, Racc. pag. II‑5225, punto 56).

87      Con riferimento al difetto di motivazione sollevato dalla Dow, la Commissione rinvia al punto 444 della decisione impugnata nonché al punto 19 della stessa per quanto riguarda le relative circostanze di fatto.

b)     Giudizio del Tribunale

88      Si deve ricordare che, sotto il profilo dell’onere della prova relativa a una violazione dell’art. 81, n. 1, CE, spetta alla Commissione fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi di prova idonei a dimostrare l’esistenza dei fatti che integrano l’infrazione (sentenze della Corte 17 dicembre 1998, causa C‑185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione, Racc. pag. I‑8417, punto 58, e 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 86). L’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve andare a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione con cui si constata un’infrazione. Il giudice, pertanto, non può concludere che la Commissione abbia dimostrato sufficientemente l’esistenza dell’infrazione di cui è causa se nutre ancora dubbi al riguardo (sentenza del Tribunale 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 215).

89      Dalla giurisprudenza emerge peraltro che la Commissione ha l’onere di provare non soltanto l’esistenza dell’intesa, ma altresì la sua durata (sentenze del Tribunale 7 luglio 1994, causa T‑43/92, Dunlop Slazenger/Commissione, Racc. pag. II‑441, punto 79; 13 dicembre 2001, causa T‑48/98, Acerinox/Commissione, Racc. pag. II‑3859, punto 55, e 29 novembre 2005, causa T‑62/02, Union Pigments/Commissione, Racc. pag. II‑5057, punto 36). Per calcolare la durata di un’infrazione avente ad oggetto una restrizione della concorrenza, si deve determinare il periodo durante il quale tale accordo è esistito, cioè il periodo tra la data della sua stipulazione e quella in cui l’accordo è venuto meno (sentenze del Tribunale 27 luglio 2005, cause riunite da T‑49/02 a T‑51/02, Brasserie nazionale e a./Commissione, Racc. pag. II‑3033, punto 185, e 5 dicembre 2006, causa T‑303/02, Westfalen Gassen Nederland/Commissione, Racc. pag. II‑4567, punto 138). In mancanza di elementi di prova tali da dimostrare direttamente la durata dell’infrazione, la Commissione deve fondarsi quantomeno su elementi di prova riferentisi a fatti sufficientemente ravvicinati nel tempo, in modo tale che si possa ragionevolmente ammettere che l’infrazione sia durata ininterrottamente entro due date precise (sentenze del Tribunale Dunlop Slazenger/Commissione, cit., punto 79, e 16 novembre 2006, causa T‑120/04, Peróxidos Orgánicos/Commissione, Racc. pag. II‑4441, punto 51).

90      Nel caso di specie, la Commissione ritiene che la Dow Deutschland abbia partecipato all’infrazione a partire dal 1° luglio 1996 (art. 1 del dispositivo della sentenza impugnata). Più precisamente, la Commissione osserva che il sig. N. è stato messo a disposizione della Dow Deutschland dalla BSL fin dal 1° luglio 1996, prima di diventare dipendente della Dow il 1° ottobre 1997 (punto 100 della decisione impugnata). La Commissione osserva altresì che la BSL ha partecipato alla sua prima riunione dell’intesa nel maggio 1996, ma che la Dow può essere ritenuta responsabile del comportamento della BSL solo a partire dall’entrata in vigore dell’accordo commerciale tra la BSL e la Dow, vale a dire il 1° luglio 1996. La Commissione evidenzia, da ultimo, che, dopo l’entrata in vigore dell’accordo commerciale tra la BSL e la Dow, la Dow ha «continuato» a partecipare all’intesa. La Commissione osserva, a tale riguardo, che, durante la riunione dell’intesa del 2 e 3 settembre 1996, il sig. N. ha rappresentato contemporaneamente la BSL e la Dow. La Commissione conclude che la Dow ha partecipato all’intesa, al più tardi, a partire dal 1° luglio 1996 (punto 444 della decisione impugnata).

91      Occorre osservare che, al di là della messa a disposizione del sig. N. da parte della BSL, la Commissione non menziona alcun elemento che consenta di ritenere che la Dow Deutschland abbia partecipato all’infrazione tra il 1° luglio e il 2 settembre 1996. In particolare, la Commissione non indica alcun elemento concreto che permetta di desumere l’esistenza di una concordanza di volontà tra la Dow Deutschland e le altre partecipanti all’intesa tra il 1° luglio e il 2 settembre 1996.

92      Dai documenti presentati agli atti non risulta peraltro che sia stata concretizzata alcuna manifestazione di volontà di una delle partecipanti all’intesa nei confronti della Dow Deutschland, volta ad uno scopo anticoncorrenziale.

93      Orbene, il semplice fatto che il dipendente di una società che ha partecipato a un’intesa sia messo a disposizione di un’altra società non può comportare, per ciò stesso, che quest’ultima diventi automaticamente parte dell’intesa. In effetti, non si può escludere che, in tali circostanze, il dipendente in questione decida di non coinvolgere nelle pratiche anticoncorrenziali la società presso cui è distaccato, o che detta società prenda le misure necessarie per evitare tale tipo di pratiche.

94      L’affermazione della Commissione, secondo cui la Dow avrebbe «continuato» a partecipare all’intesa dopo il 1° luglio 1996, è peraltro inesatta dal momento che è pacifico che la Dow, in ogni caso, non ha mai partecipato all’intesa prima di tale data.

95      La Commissione non ha provato, inoltre, che, nel periodo compreso tra il 1° luglio e il 2 settembre 1996, la Dow Deutschland, grazie alle informazioni ottenute dal sig. N. nell’ambito delle funzioni da lui precedentemente svolte, abbia attuato gli accordi conclusi in seno all’intesa e non abbia, quindi, agito in modo autonomo sul mercato. A questo riguardo occorre osservare che, anche se la giurisprudenza ha talvolta riconosciuto che il possesso di informazioni dei concorrenti poteva far ritenere che l’impresa in questione non stesse attuando una politica autonoma sul mercato, nemmeno durante un suo presunto ritiro dall’intesa, si trattava di casi in cui tale impresa aveva precedentemente preso parte all’intesa (v., in particolare, sentenza Union Pigments/Commissione, cit. al punto 89 supra, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).

96      Ne consegue che la Commissione, per quanto riguarda la Dow Deutschland, non ha sufficientemente dimostrato l’esistenza dei fatti costitutivi di un’infrazione per il periodo compreso tra il 1° luglio e il 2 settembre 1996. La Dow non contesta, invece, la partecipazione della Dow Deutschland all’infrazione a partire dal 2 settembre 1996.

97      Gli altri argomenti dedotti dalla Commissione non sono tali da rimettere in discussione tale conclusione.

98      I punti 166, 167 e 169‑182 della decisione impugnata, richiamati dalla Commissione nelle sue memorie, indicano che il sig. N. ha partecipato, quale rappresentante della Dow Deutschland e della BSL, alle riunioni dell’intesa a partire dal 2 e 3 settembre 1996. Questi punti non dimostrano che il sig. N. abbia partecipato alle attività dell’intesa per conto della Dow Deutschland tra il 1° luglio e il 2 settembre 1996.

99      Per quanto riguarda la giurisprudenza invocata dalla Commissione, secondo cui la partecipazione alle attività correnti dell’intesa non si interrompe durante il periodo in cui non si prevedono riunioni né l’attuazione di alcuna decisione dell’intesa, essa trova applicazione quando l’impresa di cui trattasi abbia precedentemente partecipato all’attività dell’intesa, ma questo non è il caso della Dow Deutschland prima della riunione del 2 e 3 settembre 1996. Non si può pertanto contestare alla Dow Deutschland di non aver preso le distanze da un’intesa cui non aveva ancora partecipato.

100    Alla luce di quanto precede, è necessario accogliere il secondo motivo e, conformemente alle conclusioni della Dow Deutschland al riguardo, annullare l’art. 1 della sentenza impugnata nella parte in cui si afferma la sua partecipazione all’infrazione controversa a partire dal 1° luglio 1996 invece che dal 2 settembre 1996.

3.     Sul terzo motivo, relativo all’errata determinazione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti

101    Il terzo motivo della Dow è suddiviso in nove parti. Nell’ambito della prima parte, la Dow ritiene che la Commissione sia incorsa in errori nel determinare la gravità dell’infrazione. Le parti dalla seconda alla sesta si riferiscono all’applicazione di trattamenti differenziati agli importi di base delle ammende. La settima e l’ottava parte ineriscono all’applicazione di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente. Nell’ambito del nono motivo, la Dow sostiene che la Commissione ha commesso un errore nel determinare la durata dell’infrazione.

a)     Sulla prima parte, relativa all’errata determinazione della gravità dell’infrazione

 Argomenti delle parti

102    La Dow non contesta la conclusione della Commissione secondo cui l’infrazione può essere qualificata come molto grave ai sensi degli orientamenti. Tuttavia, il principio di non discriminazione obbligherebbe la Commissione a valutare nel dettaglio la natura dell’infrazione allorché stabilisce l’importo di partenza dell’ammenda nell’ambito della categoria delle infrazioni molto gravi.

103    Nel caso di specie la Commissione avrebbe omesso di tener conto del fatto che l’infrazione non era il risultato di un accordo attentamente preparato e studiato. Le partecipanti all’intesa si sarebbero semplicemente incontrate in modo del tutto informale, fino a quattro volte l’anno, a margine delle riunioni di sottocomitati dell’Associazione europea della gomma sintetica (punti 94 e 95 della decisione impugnata). Nel caso di specie non sarebbe ravvisabile nessuno degli elementi – quali i meccanismi di controllo o di rappresaglia sistematica – spesso riscontrabili nelle intese molto strutturate. La stessa Commissione avrebbe ritenuto che non vi fosse stato alcun accordo sistematico sui prezzi (punti 270 e 272 della decisione impugnata). Tali elementi, che non sono stati presi in considerazione dalla Commissione al punto 461 della decisione impugnata, deporrebbero a favore di una determinazione dell’importo base dell’ammenda inferiore rispetto a quello stabilito dalla Commissione. La Dow osserva che il Tribunale, nella sentenza Groupe Danone/Commissione, citata al punto 88 supra (punto 393), ha sostenuto che, in forza degli orientamenti, nel valutare la gravità dell’infrazione occorre tener conto dell’assenza di meccanismi di attuazione.

104    La Dow aggiunge che, in forza del punto 1 A, terzo trattino, degli orientamenti, la Commissione potrebbe, nell’ambito delle infrazioni molto gravi, trattare le imprese in modo diverso a seconda della natura dell’infrazione da esse commesse. La Commissione dovrebbe pertanto tener conto delle caratteristiche particolari del caso di specie.

105    La Commissione conclude per il rigetto della prima parte del terzo motivo. Essa sottolinea, in particolare, che l’importo di partenza dell’ammenda è stato stabilito in funzione delle dimensioni del mercato dei prodotti e della natura dell’infrazione.

 Giudizio del Tribunale

106    La gravità delle infrazioni deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo s’inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenze della Corte Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. al punto 78 supra, punto 465, e 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 241).

107    Tra i fattori che possono entrare nella valutazione della gravità dell’infrazione figurano il comportamento di ciascuna impresa, la parte svolta da ciascuna di esse nel porre in essere le pratiche concordate, il vantaggio che esse hanno potuto trarre da tali pratiche, le loro dimensioni e il valore delle merci in questione, nonché la minaccia che infrazioni di questo tipo costituiscono per gli scopi della Comunità (v. sentenza della Corte 25 gennaio 2007, causa C‑407/04 P, Dalmine/Commissione, Racc. pag. I‑829, punto 130 e la giurisprudenza ivi citata).

108    Peraltro, gli orientamenti enunciano, in particolare, che, per valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante. Le infrazioni sono pertanto classificate in tre categorie, in modo tale da distinguere tra infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi (punto 1 A, primo e secondo comma, degli orientamenti).

109    Nella specie la Commissione, nella decisione impugnata, ritiene innanzitutto che le imprese partecipanti abbiano concluso accordi vertenti su obiettivi di prezzo nonché accordi di ripartizione del mercato e si siano scambiate informazioni commerciali riservate. Secondo la Commissione, tali pratiche sono, per loro natura, infrazioni molto gravi (punto 461 e art. 1 del dispositivo della decisione impugnata). La Commissione afferma poi che non è possibile misurare l’impatto effettivo dell’intesa sul mercato SEE. La Commissione aggiunge inoltre che, anche se l’impatto effettivo dell’intesa non è misurabile, gli accordi in questione sono stati attuati dalle imprese partecipanti e la loro attuazione ha pertanto avuto un impatto sul mercato. La Commissione conclude precisando che essa non terrà conto dell’impatto sul mercato ai fini della determinazione dell’importo delle ammende (punto 462 della decisione impugnata). Infine, la Commissione rileva che l’infrazione copre tutto il territorio SEE (punto 463 della decisione impugnata). Per tali motivi, la Commissione ritiene che l’infrazione di cui trattasi possa essere qualificata come molto grave (punto 464 della decisione impugnata).

110    Peraltro, la Commissione effettua un trattamento differenziato tra le imprese interessate sulla base del loro fatturato globale relativo alla BR e all’ESBR per il 2001, ultimo anno completo dell’infrazione, tranne che per la Shell (1998) e la Stomil (1999). La Commissione classifica le imprese di cui trattasi in cinque categorie e colloca la Dow nella seconda (EUR 41 milioni di importo di partenza dell’ammenda) (punti 465‑473 della decisione impugnata).

111    La Dow non contesta la conclusione cui perviene la Commissione, secondo cui l’infrazione può essere qualificata come molto grave ai sensi degli orientamenti, ma contesta invece l’importo di partenza dell’ammenda, considerando, in particolare, che l’intesa in questione sarebbe stata caratterizzata da un modesto livello di formalismo.

112    A questo riguardo occorre innanzitutto ricordare che, a titolo del punto 1 A degli orientamenti, l’importo dell’ammenda da infliggere per un’infrazione molto grave è superiore a EUR 20 milioni e occorre altresì rilevare che l’importo di partenza fissato per la Dow deriva da un certo numero di elementi tra cui, in particolare, il volume delle vendite della BR e dell’ESBR conseguito da tale società nell’ambito territoriale del SEE nel 2001 (vale a dire, EUR 126,93 milioni – punto 469 della decisione impugnata).

113    In secondo luogo, è d’uopo constatare che, nell’ambito del suo ricorso, la Dow non rimette in discussione l’oggetto illecito dell’intesa, come ripreso nella decisione impugnata, in particolare all’art. 1 del dispositivo, vale a dire la fissazione di obiettivi di prezzo, la ripartizione del mercato e lo scambio di informazioni commerciali riservate. Ne consegue che, tenuto conto della molteplicità e della simultaneità degli obiettivi perseguiti dall’intesa, e quand’anche essa si caratterizzasse per un modesto grado di formalismo, essa tuttavia presenterebbe un elevato livello di elaborazione (v., in tal senso, sentenza Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 149). In particolare, con riguardo all’argomento relativo alla mancanza di meccanismi di coercizione atti a garantire il rispetto e l’attuazione pratica dell’accordo e presumendo che l’affermazione della Dow al riguardo sia corretta e possa essere tenuta in considerazione, occorre ricordare che la Dow non contesta la conclusione della Commissione secondo cui l’infrazione in oggetto può essere qualificata come molto grave ai sensi degli orientamenti. Al riguardo preme rilevare che le imprese di cui trattasi hanno concordato di fissare obiettivi di prezzo, ripartire i clienti mediante accordi di non aggressione e scambiare informazioni riservate concernenti prezzi, concorrenti e clienti. L’intesa in esame copriva inoltre l’intero ambito territoriale del SEE. Occorre poi rilevare che l’importo dell’ammenda inflittale non supera il tetto del 10% del suo fatturato complessivo realizzato nell’esercizio sociale precedente, previsto dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, limite che mira ad evitare che l’impresa sanzionata si trovi nell’impossibilità di corrispondere l’ammenda in questione (v., in tal senso, sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80-103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 119). Si deve inoltre ricordare che la gravità dell’infrazione deve essere valutata globalmente tenendo conto di tutti gli elementi specifici di ogni singolo caso. Nella fattispecie, tenuto conto degli elementi indicati dalla Commissione nella decisione impugnata, il Tribunale ritiene che la circostanza dedotta dalla Dow, anche se corretta, non pregiudichi l’entità dell’importo di partenza dell’ammenda stabilito dalla Commissione.

114    Alla luce di tali elementi, la prima parte del terzo motivo dedotto dalla Dow deve essere respinta in quanto infondata.

b)     Sulle parti dalla seconda alla sesta, relative all’errata applicazione di un trattamento differenziato agli importi di base delle ammende

 Argomenti delle parti

115    Nel quadro delle seconda parte del terzo motivo, la Dow osserva che la Commissione applica un trattamento differenziato agli importi di base delle ammende, al fine di «tener conto dello specifico peso di ciascuna impresa e, quindi, dell’impatto effettivo del suo comportamento illecito sulla concorrenza» (punto 466 della decisione impugnata). La Commissione sosterrebbe tuttavia, al punto 462 della decisione impugnata, che «non è possibile misurare l’impatto effettivo sul mercato del SEE del complesso di accordi che integrano l’infrazione». Le affermazioni della Commissione sarebbero quindi contraddittorie. Se l’impatto di un’infrazione non è misurabile, come nel caso di specie, non vi sarebbe motivo di basare le singole ammende su un’asserita «capacità» di arrecare pregiudizio, come sostenuto dalla Commissione nelle sue memorie. A tale riguardo il punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti dovrebbe essere letto congiuntamente al sesto comma dello stesso punto. La Dow aggiunge che, nelle cause sfociate nelle sentenze del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑230/00, Daesang e Sewon Europe/Commissione (Racc. pag. II‑2733), e 27 settembre 2006, causa T‑329/01, Archer Daniels Midland/Commissione (Racc. pag. II‑3255), richiamate dalla Commissione nelle sue memorie, era stato accertato l’impatto sul mercato.

116    Nell’ambito della terza parte del terzo motivo, la Dow osserva che, in forza del punto 1 A degli orientamenti, la Commissione è tenuta a valutare l’«impatto concreto» (se misurabile) dell’infrazione sul mercato. Quest’obbligo sarebbe stato confermato dal Tribunale nelle sentenze 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione (Racc. pag. II‑2597), e 5 aprile 2006, causa T‑279/02, Degussa/Commissione (Racc. pag. II‑897). Nel caso di specie, la Commissione non avrebbe misurato l’impatto reale dell’infrazione sul mercato (punto 462 della decisione impugnata). Tuttavia, essa concluderebbe nello stesso punto che l’infrazione «ha avuto effettivamente un effetto sul mercato, anche se il suo effetto concreto è difficilmente misurabile». Le sentenze del Tribunale 18 luglio 2005, causa T‑241/01, Scandinavian Airlines System/Commissione (Racc. pag. II‑2917), e Groupe Danone/Commissione, citata al punto 88 supra, richiamate nella decisione impugnata, indicherebbero che la Commissione può determinare l’effetto reale di un’infrazione semplicemente stimando la probabilità di un effetto o provando che l’infrazione è stata compiuta. Nel caso di specie, la Commissione non valuterebbe la probabilità di un effetto, né proverebbe l’attuazione di un accordo anticoncorrenziale (benché abbia tentato di dimostrare il compimento dell’infrazione nell’ambito della prima comunicazione degli addebiti). L’affermazione della Commissione secondo cui «gli accordi anticoncorrenziali sono stati attuati dai produttori europei», contenuta nel punto 462 della decisione impugnata, non sarebbe suffragata da alcun elemento di prova. I punti 148‑203 della decisione impugnata, cui la Commissione rinvia nelle sue memorie, non dimostrerebbero in alcun modo l’intervenuta attuazione, ma soltanto tentativi infruttuosi, di cui uno con un’impresa nei confronti della quale la procedura è stata chiusa (Dwory).

117    Nel quadro della quarta parte del terzo motivo, la Dow ritiene che il suo diritto a essere sentita sia stato violato e sottolinea, a questo riguardo, come la prima comunicazione degli addebiti della Commissione contenesse «elementi di prova economici» relativi agli effetti delle attività del cartello. Tuttavia, la Commissione avrebbe ritirato tale comunicazione dopo che alcune delle imprese interessate, fra cui la Dow, avevano contestato il valore probatorio dei suddetti elementi. La seconda comunicazione degli addebiti, su cui si fonda la decisione impugnata, non conterrebbe alcun elemento di prova al riguardo. Essa non conterrebbe neppure elementi che indichino che l’attuazione degli accordi anticoncorrenziali abbia avuto un impatto sul mercato. I paragrafi della seconda comunicazione degli addebiti cui la Commissione fa riferimento nelle sue memorie non sarebbero pertinenti a tal proposito. Ne consegue che la Dow non avrebbe avuto occasione di far conoscere il proprio punto di vista con riguardo agli eventuali effetti dell’intesa sul mercato. La Commissione avrebbe comunque presunto, riservando un trattamento differenziato ai destinatari della decisione impugnata, che l’intesa avesse avuto un impatto sul mercato.

118    In considerazione degli argomenti sviluppati nell’ambito della seconda, terza e quarta parte del terzo motivo, la Dow sostiene che la Commissione non avrebbe potuto determinare importi di base diversi per le ammende inflitte alle imprese interessate. La Commissione avrebbe dovuto invece stabilire, nel caso di specie, un importo di base uniforme. Dato che l’importo di base dell’ammenda per la Stomil è stato fissato in EUR 5,5 milioni e che questo importo è considerato conforme alla gravità obiettiva dell’intesa, non vi sarebbe alcuna ragione di fissare per la Dow un importo di base superiore.

119    Nell’ambito della quinta parte del terzo motivo, formulata in via subordinata, la Dow sostiene che, qualora si ritenga che la Commissione potesse applicare un trattamento differenziato ai destinatari della decisione impugnata per tener conto del reale impatto sulla concorrenza, essa erroneamente ha fatto riferimento al volume d’affari realizzato dalla Dow con le vendite di BR e di ESBR nel 2001. Così facendo, la Commissione non considererebbe che il fatturato della Dow è aumentato in modo significativo solo a partire dal mese di giugno 1999 con l’acquisizione dell’attività aziendale «gomma sintetica» della Shell. Per circa la metà del periodo di durata dell’infrazione, la posizione della Dow sul mercato sarebbe stata nettamente più debole. La Dow sottolinea che, al punto 479 della decisione impugnata, la Commissione ha tenuto conto, ai fini del calcolo della maggiorazione legata alla durata di detta infrazione, del fatto che la Dow non era titolare delle attività relative alla BR e all’ESBR della Shell nel corso dei primi anni dell’infrazione, ma si tratterebbe di una questione distinta. La Dow aggiunge che, al momento dell’acquisizione delle attività della Shell, non era informata dell’infrazione e che, quindi, non dovrebbe essere tenuta ad assumersi una responsabilità maggiore. D’altra parte, nella sentenza Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, citata al punto 44 supra, la Corte avrebbe stabilito che la responsabilità delle infrazioni commesse da una società prima di un’acquisizione non può essere imputata alla società acquirente per il solo fatto che quest’ultima, all’epoca, partecipava essa stessa all’intesa. La Dow ne conclude che la Commissione avrebbe dovuto tener conto dell’evoluzione delle vendite anche nel calcolare l’importo di base dell’ammenda, basandosi sulle vendite realizzate dalla Dow nel 1998 e nel 2001, e calcolando poi la media. La Dow osserva a questo riguardo che le vendite realizzate nel 1998 erano nettamente inferiori rispetto a quelle della Shell. Basandosi sulle vendite realizzate dalla Dow nel 2001 per l’intero periodo dell’infrazione, la Commissione le avrebbe inflitto un trattamento discriminatorio rispetto alla Shell. Prendendo in considerazione il fatturato del 1998 e applicando il metodo di calcolo da essa indicato, la Dow conclude che l’importo di base dell’ammenda andrebbe stabilito, nel suo caso, in EUR 32,4 milioni.

120    Nell’ambito della sesta parte del terzo motivo, la Dow sostiene che, qualora si dovesse ammettere che la Commissione poteva applicare un trattamento differenziato ai destinatari della decisione impugnata al fine di tener conto dell’impatto reale sulla concorrenza, si dovrebbe tuttavia riconoscere che la Commissione ha attribuito un peso eccessivo a tale elemento. Come riconosciuto dalla stessa Commissione al punto 461 della decisione impugnata, il fattore più importante per determinare la base di un’ammenda è la gravità oggettiva (o la natura) dell’infrazione. Nel caso di specie la Commissione avrebbe stabilito un importo di base dell’ammenda per la Dow sei volte maggiore rispetto a quello della Stomil, sulla base del solo asserito diverso impatto reale della partecipazione della Dow all’infrazione. Questo aspetto metterebbe completamente in ombra la gravità dell’infrazione quale fattore rilevante ai fini del calcolo dell’ammenda, mentre, a meno che una delle partecipanti abbia svolto un ruolo particolare, l’effetto reale dovrebbe essere lo stesso per tutte le imprese. La Dow aggiunge che la sesta parte del suo terzo motivo non riguarda l’applicazione di fattori moltiplicatori a finalità deterrente, come lascerebbe intendere la Commissione nelle sue memorie.

121    La Commissione conclude chiedendo il rigetto delle parti dalla seconda alla sesta del terzo motivo. Essa ritiene, riassumendo, di non aver commesso alcun errore nell’applicare un trattamento differenziato agli importi di base delle ammende.

 Giudizio del Tribunale

–       Sulle parti dalla seconda alla quarta del terzo motivo

122    Gli orientamenti distinguono tra infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi (punto 1 A, primo e secondo comma, degli orientamenti). Peraltro, la distinzione operata tra imprese consiste nel determinare, conformemente al punto 1 A, terzo, quarto e sesto comma, degli orientamenti, il contributo individuale di ogni singola impresa, in termini di capacità economica effettiva, al successo dell’intesa ai fini della sua classificazione nella categoria appropriata (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 giugno 2005, cause riunite T‑71/03, T‑74/03, T‑87/03 e T‑91/03, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑10, punto 225; v., altresì, sentenza del Tribunale 18 giugno 2008, causa T‑410/03, Hoechst/Commissione, Racc. pag. II‑881, punto 360).

123    Orbene, il singolo contributo di ogni impresa, in termini di capacità economica effettiva, al successo dell’intesa va distinto dall’impatto concreto dell’infrazione di cui al punto 1 A, primo comma, degli orientamenti. In tale ultimo caso, si tiene conto dell’impatto concreto dell’infrazione, se misurabile, per classificarla come poco grave, grave o molto grave. Il singolo contributo di ogni impresa è preso in considerazione, invece, allo scopo di ponderare gli importi determinati in funzione della gravità dell’infrazione.

124    Pertanto, anche in assenza di impatto concreto misurabile dell’infrazione, la Commissione può decidere di differenziare le imprese interessate, conformemente al punto 1 A, terzo, quarto e sesto comma, degli orientamenti, una volta qualificata l’infrazione come poco grave, grave o molto grave.

125    Ne consegue che gli argomenti dedotti dalla Dow nelle parti seconda, terza e quarta del terzo motivo non sono idonei a pregiudicare la classificazione operata dalla Commissione nella categoria indicata, vale a dire quale infrazione molto grave.

126    In ogni caso, come indicato al punto 113 supra, la Dow non rimette in discussione, nel suo ricorso, l’oggetto illecito dell’intesa, quale descritto nella decisione impugnata, in particolare all’art. 1 del dispositivo. In proposito, risulta dalla descrizione delle infrazioni molto gravi contenuta negli orientamenti che le intese o le pratiche concordate volte segnatamente, come nella fattispecie, alla fissazione di obiettivi di prezzo o alla ripartizione di quote di mercato possono essere qualificate come infrazioni «molti gravi» sulla sola base della loro natura, senza che la Commissione sia tenuta a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato (v., in tal senso, sentenza della Corte 3 settembre 2009, causa C‑534/07 P, Prym e Prym Consumer/Commissione, Racc. pag. I‑7415, punto 75; v. anche sentenze Brasserie nationale e a./Commissione, cit. al punto 89 supra, punto 178, e Hoechst/Commissione, cit. al punto 122 supra, punto 345). Parimenti, secondo una costante giurisprudenza, le intese orizzontali in materia di prezzi fanno parte delle infrazioni più gravi del diritto dell’Unione in materia di concorrenza e possono quindi essere qualificate, di per sé, come molto gravi (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punto 103, e Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 147).

127    La Commissione non ha pertanto compiuto alcun errore valutando le pratiche controverse, per la loro stessa natura, come pratiche molto gravi, senza tener conto dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato. Occorre osservare al riguardo, contrariamente a quanto sostiene essenzialmente la Dow, che la Commissione ha chiaramente indicato, al punto 462 della decisione impugnata, che non avrebbe tenuto in considerazione il concreto impatto dell’infrazione sul mercato ai fini di determinare l’entità delle ammende.

128    Per quanto riguarda l’argomento secondo cui sarebbe stato violato il diritto della Dow a essere sentita, occorre ricordare che tale principio impone, in particolare, che la comunicazione degli addebiti inviata dalla Commissione a un’impresa alla quale essa intende infliggere una sanzione per violazione delle regole di concorrenza contenga gli elementi essenziali della contestazione mossa contro tale impresa, quali i fatti addebitati, la qualificazione data a questi ultimi e gli elementi di prova sui quali si fonda la Commissione, affinché l’impresa in questione sia in grado di far valere utilmente i propri argomenti nell’ambito del procedimento amministrativo attivato a suo carico (v. sentenza della Corte 2 ottobre 2003, causa C‑176/99 P, Arbed/Commissione, Racc. pag. I‑10687, punto 20 e la giurisprudenza ivi citata). Per quanto riguarda, più in particolare, il calcolo delle ammende, la Commissione adempie il suo obbligo di rispettare il diritto delle imprese di essere sentite quando dichiara espressamente, nella comunicazione degli addebiti, che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle imprese interessate e indica i principali elementi di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione ed il fatto di averla commessa «intenzionalmente o per negligenza». Così operando, essa fornisce le indicazioni necessarie per difendersi non solo contro l’addebito dell’infrazione, ma anche contro l’irrogazione di ammende (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. al punto 106 supra, punto 428; v. sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 199 e la giurisprudenza ivi citata, e Tokai Carbon e a./Commissione, cit. al punto 122 supra, punto 139). Nel caso di specie, è sufficiente constatare che la Commissione non ha tenuto conto dell’impatto dell’intesa sul mercato ai fini di determinare la gravità dell’infrazione (punto 462 della decisione impugnata). Così stando le cose, non può essersi verificata alcuna violazione del diritto della Dow a essere sentita.

129    Gli argomenti sviluppati dalla Dow nell’ambito della seconda, terza e quarta parte del terzo motivo sono pertanto, in ogni caso, destituiti di fondamento.

130    Alla luce di tali elementi, la seconda, terza e quarta parte del terzo motivo dedotto dalla Dow devono essere respinte in quanto infondate.

–       Sulla quinta parte del terzo motivo, invocata in via subordinata

131    La differenziazione effettuata tra le imprese consiste nel determinare, conformemente al punto 1 A, terzo, quarto e sesto comma, degli orientamenti, il contributo individuale di ogni singola impresa, in termini di capacità economica effettiva, al successo dell’intesa ai fini della sua classificazione nella categoria appropriata (v., in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, cit. al punto 122 supra, punto 225; v., altresì, sentenza Hoechst/Commissione, cit. al punto 122 supra, punto 360). Più in particolare, il punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti permette di tener conto del «peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione». In questo contesto, la Commissione, nel suddividere per categorie le imprese, deve rispettare il principio della parità di trattamento, in forza del quale è vietato trattare situazioni identiche in modo diverso o situazioni diverse in modo uguale, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenze del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 406; 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 219, e Degussa/Commissione, cit. al punto 116 supra, punto 324). Secondo la giurisprudenza, inoltre, l’entità dell’ammenda deve essere almeno proporzionata alla luce degli elementi presi in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione (sentenze Tate & Lyle e a./Commissione, cit. al punto 126 supra, punto 106; 29 aprile 2004, Tokai Carbon e a./Commissione, cit. al punto 219 supra, e Degussa/Commissione, cit. al punto 116 supra, punto 324). Di conseguenza, qualora la Commissione suddivida le imprese interessate in categorie ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, la determinazione dei valori limite per ogni singola categoria così individuata deve essere coerente ed obiettivamente giustificata (sentenze CMA CGM e a./Commissione, cit., punto 416, e Degussa/Commissione, cit. supra al punto 116, punto 325). È costante giurisprudenza, infine, che tra gli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione possono, a seconda dei casi, figurare il volume e il valore delle merci oggetto dell’infrazione nonché la dimensione e la potenza economica dell’impresa e, quindi, l’influenza che quest’ultima può esercitare sul mercato. Ne consegue, da un lato, che la Commissione può, nel commisurare l’ammenda, tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, anche se approssimativa e imperfetta, delle sue dimensioni e della sua potenza economica, quanto della parte di tale fatturato corrispondente alla vendita delle merci coinvolte nell’infrazione e che può quindi fornire un’indicazione dell’entità della medesima. Ne consegue, dall’altro, che non si deve attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto ad altri criteri di valutazione e, quindi, che la determinazione dell’ammenda adeguata non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo (v. sentenza del Tribunale 30 settembre 2009, causa T‑175/05, Akzo Nobel e a./Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 139 e la giurisprudenza ivi citata).

132    La Dow contesta, nello specifico, l’utilizzo del suo fatturato nel 2001 relativo alla BR e all’ESBR. Essa sostiene, in sostanza, che tale fatturato non sarebbe indicativo dato che il suo volume d’affari sui mercati interessati sarebbe aumentato significativamente a seguito dell’acquisizione, nel 1999, delle attività della Shell su tali mercati.

133    A questo riguardo è d’uopo osservare che, quando si deve far riferimento al fatturato delle imprese coinvolte in una stessa infrazione per determinare i rapporti tra le ammende da infliggere, occorre delimitare il periodo da considerare in modo tale che i volumi ottenuti siano il più possibile paragonabili tra di loro. Ne consegue che una determinata impresa non può pretendere che la Commissione si fondi, per quanto la riguarda, su un periodo diverso rispetto a quello di cui tiene conto in generale, a meno che non dimostri che il fatturato da essa realizzato nel corso di detto ultimo periodo, per le sue peculiarità specifiche, non è rappresentativo delle sue dimensioni reali e della sua forza economica, né dell’entità dell’infrazione da essa commessa (sentenza 30 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 131 supra, punto 142).

134    Orbene, la Dow non deduce alcun elemento circostanziato, ad eccezione di un certo incremento del suo fatturato fra il 1999 e il 2001, per dimostrare che il fatturato del 2001 relativo alla BR e all’ESBR non sarebbe un’indicazione attendibile delle sue dimensioni reali e della sua forza economica, né dell’entità dell’infrazione da lei commessa.

135    Ad abundantiam, occorre osservare che il reale effetto sul fatturato della Dow dell’acquisizione delle attività della Shell relative alla BR e all’ESBR è, alla luce degli elementi prodotti davanti al Tribunale, incerto. In particolare, dalla tabella 3 ripresa al punto 65 della decisione impugnata emerge che il fatturato della Dow relativo alla BR e all’ESBR è aumentato di EUR 32 milioni tra il 1998 e il 2000, mentre il fatturato della Shell era di EUR 86 milioni nel 1999. Contemporaneamente, il fatturato relativo alla BR e all’ESBR della Bayer, che non ha acquisito attività di altre società, è aumentato di quasi EUR 20 milioni. Il fatturato della Dow relativo alla BR e all’ESBR è altresì aumentato di oltre EUR 23 milioni nel 2000 e 2001, ossia dopo che si è perfezionata l’acquisizione delle attività della Shell.

136    Peraltro, l’incremento del fatturato della Dow dopo l’acquisizione, nel 1999, delle attività relative alla BR e all’ESBR della Shell, non ha comportato modifiche nella sua posizione nel rapporto con gli altri concorrenti. In effetti, nel 2000 e nel 2001, la Dow è rimasta in terza posizione, in termini di fatturato, dietro all’EniChem e alla Bayer. Allo stesso risultato si giungerebbe utilizzando il metodo di calcolo raccomandato dalla Dow in occasione dell’udienza, vale a dire la media tra i fatturati del 1998 e del 2001. In effetti, in questo caso la Dow continuerebbe a trovarsi dietro all’EniChem e alla Bayer e davanti alla Shell.

137    Si deve altresì osservare che la Commissione ha nondimeno preso in considerazione la peculiare situazione invocata dalla Dow con riguardo alla maggiorazione applicata per tener conto della durata dell’infrazione. Più in particolare, la Commissione ha rilevato, al punto 479 della decisione impugnata, che la Dow Chemical deve essere ritenuta responsabile dell’infrazione per il periodo compreso tra il 1° luglio 1996 e il 28 novembre 2002, ossia per un periodo di sei anni e quattro mesi. Orbene, tale durata dell’infrazione dovrebbe portare ad una maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda del 60%. Tuttavia, per tener conto del fatto che la Dow non era la titolare delle attività relative alla BR e all’ESBR della Shell nei primi tre anni dell’infrazione e del fatto che la Shell era anch’essa responsabile dell’infrazione per quel periodo, la Commissione ha deciso, allo stesso punto della decisione impugnata, di maggiorare l’importo di partenza dell’ammenda della Dow Chemical soltanto del 50%. Nella stessa ottica, per quanto riguarda la Dow Deutschland, la Commissione ha ridotto la maggiorazione applicabile per tener conto della durata dell’infrazione, dal 50% al 40% (punto 480 della decisione impugnata). La Dow non ha addotto alcun elemento che consenta di ritenere che la Commissione abbia commesso un errore manifesto scegliendo tale metodo.

138    Alla luce di tali elementi, la quinta parte del terzo motivo dedotto dalla Dow deve essere respinta in quanto infondata.

–       Sulla sesta parte del terzo motivo

139    Benché le argomentazioni svolte dalla Dow risultino poco chiare, si può dedurre dalle sue memorie che essa ritiene, sostanzialmente, che la Commissione abbia attribuito troppa importanza al «peso specifico» delle imprese partecipanti all’intesa, rispetto alla «gravità» dell’infrazione. Di conseguenza, il diverso trattamento applicato dalla Commissione alle imprese considerate, a parità di gravità dell’infrazione, non sarebbe giustificato.

140    Occorre rilevare che la Dow eccepisce, di fatto, una violazione del principio della parità di trattamento. Orbene, essa non contesta che esistano differenze, talvolta anche considerevoli, tra le imprese interessate quanto ai fatturati relativi alla BR e all’ESBR per gli anni considerati dalla Commissione. Dal punto 1 A, sesto comma, degli orientamenti si evince peraltro che la Commissione può ponderare l’importo dell’ammenda per tener conto del peso specifico del comportamento illecito di ciascuna impresa.

141    Fissando l’importo di partenza dell’ammenda ad un livello più elevato per le imprese con una quota di mercato relativamente più importante delle altre sul mercato in questione, la Commissione ha quindi tenuto conto dell’influenza effettiva che l’impresa esercitava su tale mercato. In effetti, tale elemento è l’espressione del livello di responsabilità più elevato delle imprese con una quota di mercato relativamente più importante delle altre sul mercato in questione per i danni causati alla concorrenza e, in definitiva, ai consumatori attraverso la conclusione di un’intesa segreta (sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punto 230).

142    Alla luce di tali elementi, la sesta parte del terzo motivo dedotto dalla Dow deve essere respinta in quanto infondata.

c)     Sulla settima e sull’ottava parte, relative all’illegittima applicazione di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente

 Argomenti delle parti

143    Nell’ambito della settima parte del terzo motivo, la Dow sostiene che, dato che la decisione impugnata non avrebbe dovuto essere adottata nei confronti della Dow Chemical (primo motivo), la Commissione non avrebbe dovuto prendere in considerazione il fatturato di detta società per determinare il fattore moltiplicatore a finalità deterrente, ma unicamente quello delle controllate della Dow Chemical che hanno partecipato direttamente all’infrazione. La Dow ne conclude che la Commissione avrebbe dovuto applicarle un fattore moltiplicatore vicino ad uno. Le ammende inflitte alle tre società del gruppo dovrebbero pertanto essere proporzionalmente ridotte.

144    Nell’ambito dell’ottava parte del terzo motivo, la Dow osserva che, quand’anche si ammetta di poter tener conto del fatturato della Dow Chemical, il fattore moltiplicatore dell’1,75 scelto dalla Commissione sarebbe comunque eccessivo. Confrontato con il fattore moltiplicatore applicato alla EniChem (2) e alla Shell (3), il fattore moltiplicatore applicato alla Dow dovrebbe essere più basso, in considerazione del fatturato nettamente superiore delle due succitate società. In particolare, la Dow evidenzia che la Commissione ha applicato alla Shell un fattore moltiplicatore che presenta una differenza, rispetto a quello applicato ad essa, cinque volte maggiore rispetto alla differenza tra il fattore moltiplicatore applicato alla Dow e quello applicato alla Bayer. Eppure, la differenza tra il fatturato della Shell e quello della Dow sarebbe oltre 20 volte superiore rispetto a quella tra il fatturato della Dow e quello della Bayer. Peraltro, richiamando le sentenze 29 aprile 2004, Tokai Carbon e a./Commissione, citata al punto 131 supra, e Degussa/Commissione, citata al punto 116 supra, la Dow sostiene che il principio di proporzionalità non è stato osservato, poiché vi sarebbe solo una differenza dello 0,25 tra il fattore moltiplicatore applicato nel suo caso e quello stabilito per la EniChem, il cui fatturato è circa il doppio di quello della Dow Chemical. In confronto, il fattore moltiplicatore della Dow sarebbe di 0,25 punti più elevato rispetto a quello della Bayer, mentre il fatturato della Dow Chemical non sarebbe pari al doppio di quello della Bayer. Il fattore moltiplicatore della Dow avrebbe pertanto dovuto essere più vicino a quello della Bayer, vale a dire più vicino a 1,5. Anche in questo caso, le ammende inflitte alla Dow dovrebbero essere proporzionalmente ridotte.

145    La Commissione conclude per il rigetto della settima e dell’ottava parte del terzo motivo. Essa sostiene di non aver commesso alcun errore nell’applicazione di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente.

 Giudizio del Tribunale

146    La settima parte del terzo motivo dedotto dalla Dow si basa sulle argomentazioni sviluppate nell’ambito del primo motivo. Dato che il primo motivo deve essere rigettato in quanto infondato, la settima parte del terzo motivo dedotto dalla Dow dev’essere anch’essa rigettata, di conseguenza, in quanto infondata.

147    Con riguardo all’ottava parte del terzo motivo sollevato dalla Dow, si deve rammentare che gli orientamenti prevedono che, a parte la natura propria dell’infrazione, il suo concreto impatto sul mercato e l’estensione geografica di quest’ultimo, è necessario prendere in considerazione l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente deterrente (punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti).

148    Il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese che, intenzionalmente o per negligenza, trasgrediscono l’art. 81 CE costituisce uno dei mezzi di cui dispone la Commissione per potere svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario, compito che comprende il dovere di perseguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese. Ne consegue che, per valutare la gravità di un’infrazione, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo, soprattutto per i tipi di trasgressioni particolarmente nocivi per il conseguimento degli scopi della Comunità (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. al punto 113 supra, punti 105 e 106; sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑31/99, ABB Asea Brown Boveri/Commissione, Racc. pag. II‑1881, punto 166, e Groupe Danone/Commissione, cit. al punto 88 supra, punto 169).

149    Occorre quindi che l’importo dell’ammenda venga modulato al fine di tenere conto dell’impatto voluto sull’impresa cui l’ammenda stessa viene inflitta, affinché questa non venga resa trascurabile o, al contrario, eccessiva, in considerazione, segnatamente, della capacità finanziaria dell’impresa in questione, conformemente agli obblighi derivanti, da un lato, dalla necessità di assicurare l’effettività dell’ammenda e, dall’altro, dal rispetto del principio di proporzionalità. Un’impresa di grandi dimensioni, dotata di considerevoli risorse finanziarie rispetto a quelle degli altri membri di un’intesa, è in grado di svincolare più facilmente i fondi necessari al pagamento della sua ammenda, il che giustifica, in vista di un effetto dissuasivo sufficiente della stessa, che si infligga, in particolare mediante applicazione di un fattore moltiplicatore, un’ammenda proporzionalmente più elevata rispetto a quella che sanziona la stessa infrazione commessa da un’impresa che non dispone di pari risorse (v., in tal senso, sentenza 29 aprile 2004, Tokai Carbon e a./Commissione, cit. al punto 131 supra, punti 241 e 243; v., altresì, sentenze del Tribunale ABB Asea Brown Boveri/Commissione, cit. al punto 148 supra, punto 170, e 15 marzo 2006, causa T‑15/02, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑497, punto 235).

150    Occorre aggiungere che la Corte ha sottolineato, in particolare, la pertinenza della presa in considerazione del fatturato globale di ciascuna impresa che faccia parte di un’intesa al fine di determinare l’importo dell’ammenda (v., in tal senso, sentenze della Corte Sarrió/Commissione, cit. al punto 78 supra, punti 85 e 86, e 14 luglio 2005, causa C‑57/02 P, Acerinox/Commissione, Racc. pag. I‑6689, punti 74 e 75; v., altresì, sentenza della Corte 29 giugno 2006, causa C‑289/04 P, Showa Denko/Commissione, Racc. pag. I‑5859, punto 17).

151    Infine, occorre sottolineare che lo scopo dissuasivo che la Commissione legittimamente persegue fissando l’importo di un’ammenda è volto a garantire l’osservanza da parte delle imprese delle regole di concorrenza stabilite dal Trattato per lo svolgimento delle loro attività all’interno della Comunità o del SEE. Ne consegue che il fattore dissuasivo, che può essere incluso nel calcolo dell’ammenda, è valutato tenendo conto di molteplici elementi, e non solo della situazione particolare dell’impresa interessata. Tale principio si applica segnatamente allorquando la Commissione ha determinato il «moltiplicatore di dissuasione» applicato all’ammenda inflitta a un’impresa (v., in tal senso, sentenza Showa Denko/Commissione, cit. al punto 150 supra, punti 23 e 24).

152    Nella fattispecie la Commissione ha ritenuto che, nella categoria delle infrazioni molto gravi, la scala delle sanzioni consentisse di fissare le ammende a un livello tale da garantire un sufficiente effetto dissuasivo, tenuto conto delle dimensioni di ciascuna impresa. Basandosi sui fatturati mondiali delle imprese interessate, realizzati nel corso del 2005, la Commissione ha rilevato che esistevano notevoli differenze di dimensioni tra la Kaučuk (EUR 2,718 miliardi di fatturato) e la Stomil (EUR 38 milioni di fatturato), da una parte, e le altre imprese interessate, dall’altra, in particolare la Bayer (EUR 27,383 miliardi di fatturato), ovvero la prima delle grandi imprese interessate dalla decisione impugnata. Su tale base e viste le circostanze della fattispecie, la Commissione ha ritenuto che non dovesse essere imposto alcun fattore moltiplicatore a finalità deterrente alla Kaučuk e alla Stomil e, quanto alla Bayer, che un fattore moltiplicatore di 1,5 fosse adeguato. Infine, sempre su tale base e tenuto conto delle circostanze della fattispecie, la Commissione ha imposto fattori moltiplicatori di 1,75 alla Dow (EUR 37,221 miliardi di fatturato), di 2 alla EniChem (EUR 73,738 miliardi di fatturato) e di 3 alla Shell (EUR 246,549 miliardi di fatturato) (punto 474 della decisione impugnata).

153    Con riguardo alla parte in cui la Dow, attraverso i suoi argomenti, eccepisce una violazione del principio della parità di trattamento, occorre osservare che si evince dalla decisione impugnata che i fattori moltiplicatori a finalità deterrente applicati dalla Commissione sono stati determinati in funzione delle dimensioni relative delle imprese partecipanti. Orbene, la Dow non contesta i fatturati menzionati dalla Commissione nella decisione impugnata. In particolare, la Dow non contesta il fatto che era, nel 2005, un’impresa di maggiori dimensioni rispetto alla Bayer e di dimensioni inferiori rispetto all’EniChem. Appare pertanto coerente e oggettivamente giustificato che il fattore moltiplicatore a finalità deterrente considerato per il calcolo delle ammende inflitte alla Dow sia superiore rispetto a quello applicato per il calcolo delle ammende inflitte alla Bayer ed inferiore a quello impiegato per il calcolo delle ammende inflitte alla EniChem.

154    Peraltro, occorre sottolineare che i fatturati mondiali del 2005 erano pari a EUR 27,383 miliardi per la Bayer e a EUR 37,221 miliardi per la Dow (ovvero il 35,93% in più rispetto a quello della Bayer). Tanto premesso, la circostanza che il fattore moltiplicatore relativo alle ammende della Dow sia stato aumentato del 16,66% rispetto a quello impiegato per calcolare l’importo dell’ammenda della Bayer (1,75 rispetto a 1,5) non può costituire una violazione del principio della parità di trattamento. Al contrario, la Commissione avrebbe potuto, su queste basi, applicare un fattore moltiplicatore ancora più elevato nei confronti della Dow. Per il resto e nella parte in cui la Dow, attraverso i suoi argomenti, invita il Tribunale a verificare la legittimità degli importi delle ammende stabilite per le imprese di grandi dimensioni che la Dow prende a confronto, in particolare riferendosi al fattore moltiplicatore applicato all’Enichem, si evince dalla decisione impugnata che il fattore moltiplicatore applicato alla Dow è stato calcolato sulla base del fattore applicato alla Bayer e non sulla base di quelli applicati all’Enichem o alla Shell. Gli argomenti della Dow sono quindi inconferenti al riguardo. Va inoltre sottolineato che, nel determinare l’importo di ciascuna ammenda, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità e non è obbligata ad applicare una precisa formula matematica (v. sentenza del Tribunale 4 luglio 2006, causa T‑304/02, Hoek Loos/Commissione, Racc. pag. II‑1887, punto 68 e la giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie, pertanto, la Commissione non ha commesso alcun errore manifesto di valutazione nel considerare la differenza di capacità economica delle imprese partecipanti nella determinazione dei diversi fattori moltiplicatori che ha applicato (v., in tal senso, sentenza 30 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione, cit. al punto 131 supra, punto 155).

155    Infine, per quanto riguarda la parte in cui la Dow, attraverso i suoi argomenti, contesta una violazione del principio di proporzionalità, si deve osservare che essa non deduce alcun elemento circostanziato che permetta di considerare che il fattore moltiplicatore applicato nei suoi confronti sia sproporzionato rispetto alla gravità dell’infrazione e all’obiettivo perseguito di assicurare un effetto deterrente alle ammende.

156    Alla luce di tali elementi, l’ottava parte del terzo motivo dedotto dalla Dow deve essere respinta in quanto infondata.

d)     Sulla nona parte, relativa ad un errore nella maggiorazione legata alla durata dell’infrazione

 Argomenti delle parti

157    Nell’ambito della nona parte del terzo motivo, la Dow ricorda che la Commissione ha tenuto conto, ai fini del calcolo della maggiorazione legata alla durata dell’infrazione, del fatto che essa non era titolare delle attività della Shell relative alla BR e all’ESBR nel corso dei primi anni dell’infrazione. La Commissione applicherebbe così una maggiorazione per un’infrazione di lunga durata del 50% invece che del 60% alla Dow Chemical e del 40% invece che del 50% alla Dow Deutschland (punti 479 e 480 della decisione impugnata).

158    La Dow ritiene però che la Commissione avrebbe dovuto applicare percentuali ancora più contenute. Partendo dal presupposto che ogni anno d’infrazione giustificava una maggiorazione del 10% e tenendo conto che l’attività nel settore «gomma sintetica» della Dow era più che raddoppiata con l’acquisizione delle attività della Shell dopo circa tre anni, la Commissione avrebbe dovuto applicare una riduzione del 5% all’anno per ciascuno dei tre anni in questione, vale a dire una riduzione complessiva del 15%. Considerando che la Commissione in condizioni normali avrebbe maggiorato del 60% l’ammenda a carico della Dow Chemical e del 50% quella a carico della Dow Deutschland, la maggiorazione corretta per l’infrazione di lunga durata sarebbe pari al 45% per la Dow Chemical e al 35% per la Dow Deutschland. Le ammende che la Dow Chemical e la Dow Deutschland sono state condannate a pagare dovrebbero essere proporzionalmente ridotte.

159    Con riguardo a quanto affermato dalla Commissione nelle sue memorie dinanzi al Tribunale, ovvero che avrebbe provveduto a confrontare i fatturati della Dow Chemical relativi all’anno 1998 e all’anno 2000, la Dow ritiene che detto confronto non abbia tenuto conto della contrazione subita dal fatturato della Dow nel settore «gomma sintetica» durante il 1999 e il 2000. Di conseguenza, l’incremento del fatturato nel 2000, derivante dall’acquisizione dell’attività «gomma sintetica» della Shell, sarebbe stato superiore alla differenza del 30% tra i fatturati raggiunti rispettivamente nel 1998 e nel 2000. La Dow avrebbe infatti più che raddoppiato il suo fatturato relativo ai prodotti in esame acquisendo l’attività «gomma sintetica» della Shell. La Dow richiama, in particolare, i fatturati realizzati dalla Dow e dalla Shell, per i prodotti in esame, nell’anno 1998. Ne consegue che la Commissione, invece di maggiorare l’ammenda del 7% per ciascuno dei primi tre anni dell’infrazione, come indicato nelle sue memorie, avrebbe dovuto maggiorare l’ammenda al massimo del 5% per ciascuno di tali anni.

160    La Commissione conclude per il rigetto della nona parte del terzo motivo. Essa sostiene, in particolare, che il metodo applicato per tener conto delle modifiche all’interno della struttura della Dow è logico e coerente.

 Giudizio del Tribunale

161    A termini dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la durata dell’infrazione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione per determinare l’importo dell’ammenda da infliggere alle imprese colpevoli di infrazioni delle norme sulla concorrenza.

162    Per quanto riguarda l’elemento relativo alla durata dell’infrazione, gli orientamenti distinguono tra le infrazioni di breve durata (in generale per periodi inferiori a un anno), per le quali l’importo di partenza applicato in considerazione della gravità non dovrebbe essere maggiorato, le infrazioni di media durata (in generale per periodi da uno a cinque anni), per le quali il detto importo può essere maggiorato del 50%, e le infrazioni di lunga durata (in generale per periodi superiori a cinque anni), per le quali l’importo in questione può essere maggiorato del 10% per ciascun anno (punto 1 B, primo comma, primo‑terzo trattino, degli orientamenti).

163    Nel caso di specie, come ricordato al punto 137 supra, la Commissione ha preso in considerazione, nell’ambito della maggiorazione applicata per tener conto della durata dell’infrazione, la situazione particolare legata all’acquisizione, nel 1999, da parte della Dow delle attività relative alla BR e all’ESBR della Shell. La Dow non contesta il metodo scelto dalla Commissione per tener conto di detta situazione specifica. Gli argomenti dedotti dalla Dow sono intesi essenzialmente a dimostrare che detta situazione particolare avrebbe dovuto comportare una maggiorazione più contenuta per tener conto della durata dell’infrazione. Orbene, anche supponendo che gli argomenti della Dow possano effettivamente avere un peso nell’ambito del calcolo effettuato dalla Commissione, essi si basano su presupposti di fatto incerti, se non errati, oppure non sono sostenuti da elementi di prova. La Dow sostiene, in particolare, che la sua attività nel settore «gomma sintetica», dopo circa tre anni, si è più che raddoppiata grazie all’acquisizione dell’attività della Shell. Oltre al fatto che tale affermazione non si basa su alcun elemento circostanziato, occorre osservare che il fatturato della Dow per la BR e l’ESBR, come indicato nella decisione impugnata, non è raddoppiato tra il 1998 e il 2001. Inoltre, l’affermazione della Dow secondo cui il suo fatturato relativo all’attività «gomma sintetica» avrebbe subito una contrazione negli anni 1999 e 2000 non è sostenuta da alcun elemento di prova.

164    Così stando le cose, gli argomenti della Dow non sono tali da rimettere in discussione, al riguardo, la legittimità della decisione impugnata.

165    Da tali elementi risulta che la nona parte del terzo motivo dedotto dalla Dow deve essere rigettata in quanto infondata e, di conseguenza, il terzo motivo deve essere respinto nel suo complesso.

166    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve accogliere il secondo motivo e, di conseguenza, annullare l’art. 1 della decisione impugnata, nella parte in cui constata la partecipazione della Dow Deutschland Inc. all’infrazione di cui trattasi dal 1° luglio 1996 invece che dal 2 settembre 1996, nonché respingere, quanto al resto, il ricorso volto all’annullamento parziale della decisione impugnata.

B –  Sulle conclusioni dirette alla riforma dell’importo dell’ammenda

167    Nella parte in cui i motivi dedotti dalla Dow si pongono a sostegno delle relative conclusioni dirette a ottenere la riforma dell’importo dell’ammenda, si deve osservare che, con riguardo al secondo motivo, che merita di essere accolto, non c’è ragione di procedere alla riforma dell’importo dell’ammenda controversa, dato che, come riconosciuto dalla Dow in udienza, l’errore commesso dalla Commissione non può incidere in alcun modo sulla maggiorazione applicata per tener conto della durata dell’infrazione.

168    Per quanto riguarda gli altri motivi invocati dalla Dow, è sufficiente constatare che, come emerge dalle considerazioni che precedono, essi non sono fondati e, di conseguenza, non possono portare ad una riduzione dell’ammenda.

169    Occorre rigettare, di conseguenza, i capi delle conclusioni diretti ad ottenere la riforma dell’importo dell’ammenda.

 Sulle spese

170    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In applicazione del n. 3, primo comma, della medesima disposizione, il Tribunale può ripartire le spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi.

171    Poiché nella parte essenziale il ricorso è stato respinto, il Tribunale opera una giusta valutazione delle circostanze della causa decidendo che le ricorrenti sopporteranno le proprie spese e nove decimi delle spese della Commissione e che la Commissione sopporterà un decimo delle proprie spese.

172    Con riguardo al capo delle conclusioni delle ricorrenti diretto a chiedere la condanna della Commissione al pagamento delle spese che esse hanno sostenuto per costituire una garanzia bancaria per coprire l’importo dell’ammenda loro inflitta, occorre osservare che non si tratta di spese indispensabili sostenute dalle parti per la causa e che, pertanto, esse non rientrano tra le spese ripetibili ai sensi dell’art. 91 del regolamento di procedura. La domanda formulata dalle ricorrenti a tale riguardo è quindi irricevibile.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’art. 1, lett. b), della decisione della Commissione 29 novembre 2006, C (2006) 5700 def., relativa a un procedimento ai sensi dell’art. 81 [CE] e dell’art. 53 dell’Accordo SEE (Caso COMP/F/38.638 – Gomma butadiene e gomma stirene e butadiene del tipo emulsione), è annullato nella parte in cui constata la partecipazione della Dow Deutschland Inc. all’infrazione di cui trattasi dal 1° luglio 1996 al 27 novembre 2001 invece che dal 2 settembre 1996 al 27 novembre 2001.

2)      Il ricorso è respinto per il resto.

3)      The Dow Chemical Company, la Dow Deutschland, la Dow Deutschland Anlagengesellschaft mbH e la Dow Europe GmbH sono condannate a sostenere le proprie spese nonché i nove decimi delle spese sostenute dalla Commissione europea.

4)      La Commissione è condannata a sostenere un decimo delle proprie spese.

Dehousse

Wiszniewska-Białecka

Wahl

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 luglio 2011.

Firme

Indice


Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

A – Sulle domande dirette all’annullamento parziale della decisione impugnata

1. Sul primo motivo, relativo all’imputazione illegittima dell’infrazione alla Dow Chemical

a) Sulla prima parte, relativa all’applicazione di un criterio errato di imputazione dell’infrazione alla controllante

b) Sulla seconda parte, relativa alla confutazione da parte della Dow Chemical della presunzione gravante su di essa

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

c) Sulla terza parte, relativa ad un errore nell’esercizio del potere discrezionale della Commissione e al difetto di motivazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

2. Sul secondo motivo, relativo alla errata determinazione della durata della partecipazione della Dow Deutschland all’infrazione

a) Argomenti delle parti

Argomenti della Dow

Argomenti della Commissione

b) Giudizio del Tribunale

3. Sul terzo motivo, relativo all’errata determinazione dell’importo delle ammende inflitte alle ricorrenti

a) Sulla prima parte, relativa all’errata determinazione della gravità dell’infrazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

b) Sulle parti dalla seconda alla sesta, relative all’errata applicazione di un trattamento differenziato agli importi di base delle ammende

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

– Sulle parti dalla seconda alla quarta del terzo motivo

– Sulla quinta parte del terzo motivo, invocata in via subordinata

– Sulla sesta parte del terzo motivo

c) Sulla settima e sull’ottava parte, relative all’illegittima applicazione di un fattore moltiplicatore a finalità deterrente

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

d) Sulla nona parte, relativa ad un errore nella maggiorazione legata alla durata dell’infrazione

Argomenti delle parti

Giudizio del Tribunale

B – Sulle conclusioni dirette alla riforma dell’importo dell’ammenda

Sulle spese


* Lingua processuale: l’inglese.

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