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Document 62007CJ0487

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 18 giugno 2009.
L'Oréal SA, Lancôme parfums et beauté & Cie SNC e Laboratoire Garnier & Cie contro Bellure NV, Malaika Investments Ltd e Starion International Ltd.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) - Regno Unito.
Direttiva 89/104/CEE - Marchi - Art. 5, nn. 1 e 2 - Uso in una pubblicità comparativa - Diritto di inibitoria di detto uso - Vantaggio indebitamente tratto dalla notorietà - Pregiudizio arrecato alle funzioni del marchio - Direttiva 84/450/CEE - Pubblicità comparativa - Art. 3 bis, n. 1, lett. g) e h) - Condizioni di pubblicità comparativa lecita - Vantaggio indebitamente tratto dalla notorietà connessa ad un marchio - Presentazione di un bene come imitazione o riproduzione.
Causa C-487/07.

Raccolta della Giurisprudenza 2009 I-05185

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2009:378

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

18 giugno 2009 ( *1 )

«Direttiva 89/104/CEE — Marchi — Art. 5, nn. 1 e 2 — Uso in una pubblicità comparativa — Diritto di inibitoria di detto uso — Vantaggio indebitamente tratto dalla notorietà — Pregiudizio arrecato alle funzioni del marchio — Direttiva 84/450/CEE — Pubblicità comparativa — Art. 3 bis, n. 1, lett. g) e h) — Condizioni di pubblicità comparativa lecita — Vantaggio indebitamente tratto dalla notorietà connessa ad un marchio — Presentazione di un bene come imitazione o riproduzione»

Nel procedimento C-487/07,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito), con decisione 22 ottobre 2007, pervenuta in cancelleria il 5 novembre 2007, nella causa

L’Oréal SA,

Lancôme parfums et beauté & Cie SNC,

Laboratoire Garnier & Cie

contro

Bellure NV,

Malaika Investments Ltd, operante con il nome commerciale «Honeypot cosmetic & Perfumery Sales»,

Starion International Ltd,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič (relatore), A. Tizzano, A. Borg Barthet e E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig.ra R. Şereş, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 5 novembre 2008,

considerate le osservazioni presentate:

per la L’Oréal SA, la Lancôme parfums et beauté & Cie SNC nonché per la Laboratoire Garnier & Cie, dai sigg. H. Carr e D. Anderson, QC, e dalla sig.ra J. Reid, barrister, su mandato della Baker & McKenzie LLP;

per la Malaika Investments Ltd e la Starion International Ltd, dal sig. R. Wyand, QC, nonché dai sigg. H. Porter e T. Moody-Stuart, solicitors;

per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra T. Harris e successivamente dal sig. L. Seeboruth, in qualità di agenti, assistiti dal sig. S. Malynciz, barrister;

per il governo francese, dal sig. G. de Bergues nonché dalle sig.re A.-L. During e B. Beaupère-Manokha, in qualità di agenti;

per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra C. Wissels, in qualità di agente;

per il governo polacco, dalle sig.re A. Rutkowska e K. Rokicka, in qualità di agenti;

per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes e dalla sig.ra I. Vieira da Silva, in qualità di agenti;

per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. W. Wils e H. Krämer, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 febbraio 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art. 5, nn. 1 e 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), nonché dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparativa (GU L 250, pag. 17), come modificata dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE (GU L 290, pag. 18; in prosieguo: la «direttiva 84/450»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un ricorso proposto dalla L’Oréal SA, dalla Lancôme parfums et beauté & Cie SNC e dai Laboratoires Garnier & Cie (in prosieguo, congiuntamente: la «L’Oréal e a.») nei confronti della Bellure NV (in prosieguo: la «Bellure»), della Malaika Investments Ltd, operante con il nome commerciale «Honeypot cosmetics & Perfumery Sales» (in prosieguo: la «Malaika»), e della Starion International Ltd (in prosieguo: la «Starion»), ricorso diretto alla condanna di queste ultime per contraffazione di marchi.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3

La direttiva 89/104 è stata sostituita dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008. Ciò nondimeno, tenuto conto della data cui risalgono i fatti, alla controversia principale resta applicabile la direttiva 89/104.

4

Il decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104 è così formulato:

«considerando che la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a garantire la funzione d’origine del marchio di impresa, è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; che la tutela è accordata anche in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi; che è indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione; che il rischio di confusione, la cui valutazione dipende da numerosi fattori, e segnatamente dalla notorietà del marchio di impresa sul mercato, dall’associazione che può essere fatta tra il marchio di impresa e il segno usato o registrato, dal grado di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi designati, costituisce la condizione specifica della tutela; che le norme procedurali nazionali che non sono pregiudicate dalla presente direttiva disciplinano i mezzi grazie a cui può essere constatato il rischio di confusione, e in particolare l’onere della prova».

5

L’art. 5 della direttiva 89/104, intitolato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», dispone quanto segue:

«1.   Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)

un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)

un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2.   Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3.   Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

(…)

b)

di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

(…)

d)

di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(…)».

6

L’art. 6 della citata direttiva, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», al n. 1 stabilisce che:

«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

(…)

b)

di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;

(…)».

7

Le disposizioni relative alla pubblicità comparativa sono state introdotte nella direttiva 84/450, nella sua versione originaria, dalla direttiva 97/55.

8

Il secondo, settimo, nono, undicesimo, tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e diciannovesimo ‘considerando’ della direttiva 97/55 sono così formulati:

«(2)

considerando che col completamento del mercato interno la varietà dell’offerta è destinata ad aumentare sempre più; che, poiché i consumatori possono e devono ricavare il massimo vantaggio dal mercato interno, e la pubblicità costituisce uno strumento molto importante per aprire sbocchi reali in tutta l’Unione europea per qualsiasi bene o servizio, le disposizioni essenziali che disciplinano la forma e il contenuto della pubblicità comparativa devono essere uniformi e le condizioni per l’utilizzazione della pubblicità comparativa in tutti gli Stati membri devono essere armonizzate; che, a queste condizioni, ciò contribuirà a mettere oggettivamente in evidenza i pregi dei vari prodotti comparabili; che la pubblicità comparativa può anche stimolare la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell’interesse dei consumatori;

(…)

(7)

considerando che si devono stabilire le condizioni della pubblicità comparativa lecita, per quanto riguarda il confronto, per determinare quali prassi in materia di pubblicità comparativa possono comportare una distorsione della concorrenza, svantaggiare i concorrenti e avere un’incidenza negativa sulla scelta dei consumatori; che tali condizioni di pubblicità lecita devono includere criteri di confronto obiettivo delle caratteristiche di beni e servizi;

(…)

(9)

considerando che, per evitare che la pubblicità comparativa sia utilizzata in modo sleale e negativo per la concorrenza, è opportuno permettere soltanto i confronti tra beni e servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;

(…)

(11)

considerando che le condizioni della pubblicità comparativa devono essere cumulative e soddisfatte nella loro interezza; (…)

(…)

(13)

considerando che l’articolo 5 della (…) direttiva 89/104 (…) conferisce al titolare di un marchio di impresa registrato un diritto esclusivo, che comporta in particolare il diritto di vietare ai terzi di usare nel commercio un segno identico o simile per prodotti o servizi identici o, se del caso, anche per altri prodotti;

(14)

considerando, tuttavia, che per poter svolgere una pubblicità comparativa efficace, può essere indispensabile identificare i prodotti o i servizi di un concorrente, facendo riferimento ad un marchio di cui quest’ultimo è titolare, oppure alla sua denominazione commerciale;

(15)

considerando che una simile utilizzazione del marchio, della denominazione commerciale o di altri segni distintivi appartenenti ad altri, se avviene nel rispetto delle condizioni stabilite dalla presente direttiva, non viola il diritto esclusivo del titolare del marchio, essendo lo scopo unicamente quello di effettuare distinzioni tra di loro e quindi di metterne obiettivamente in rilievo le differenze;

(…)

(19)

considerando che un confronto che presenti beni o servizi come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio depositato non soddisfa le condizioni che deve rispettare la pubblicità comparativa lecita».

9

Ai sensi del suo art. 1 la direttiva 84/450 ha segnatamente lo scopo di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa.

10

L’art. 2, punto 1, della citata direttiva definisce come pubblicità «qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e gli obblighi». Secondo il punto 2 bis del medesimo articolo con pubblicità comparativa si intende «qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente».

11

A termini dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva in parola:

«Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è ritenuta lecita qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: che essa

a)

non sia ingannevole ai sensi dell’articolo 2, punto 2, dell’articolo 3 e dell’articolo 7, paragrafo 1;

(…)

d)

non ingeneri confusione sul mercato fra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;

e)

non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazione commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;

(…)

g)

non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o a altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;

h)

non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati».

La normativa nazionale

12

Le disposizioni della direttiva 89/104 sono state trasposte nell’ordinamento giuridico nazionale dalla legge del 1994 sui marchi (Trade Marks Act 1994). La trasposizione dell’art. 5, nn. 1, lett. a), e 2, della direttiva 89/104 è stata operata all’art. 10, nn. 1 e 3, della legge in questione.

13

Le disposizioni dell’art. 3 bis della direttiva 84/450 sono state trasposte nel diritto nazionale dai regolamenti del 2000 sul controllo della pubblicità ingannevole [Control of Misleading Advertisements (Amendment) Regulations 2000 (SI 2000/914)], che hanno introdotto un nuovo art. 4 A nei regolamenti del 1988 sul controllo della pubblicità ingannevole [Control of Misleading Advertisements (Amendment) Regulations 1988 (SI 1988/915)].

Causa principale e questioni pregiudiziali

14

La L’Oréal SA e a. fanno parte del gruppo L’Oréal, che produce e commercializza profumi di lusso. Nel Regno Unito esse sono titolari dei seguenti marchi notori, registrati per profumi e altre fragranze:

i marchi relativi al profumo Trésor:

il marchio denominativo Trésor (in prosieguo: il «marchio denominativo Trésor»),

il marchio denominativo e figurativo costituito dalla rappresentazione di un flacone di profumo Trésor, visto di fronte e di lato, flacone sul quale compare in particolare il termine «Trésor» (in prosieguo: il «marchio flacone di Trésor»),

il marchio denominativo e figurativo costituito dalla rappresentazione della scatola in cui il citato flacone, visto di fronte, è commercializzato e sulla quale compare in particolare il termine «Trésor» (in prosieguo: il «marchio scatola di Trésor»);

i marchi relativi al profumo Miracle:

il marchio denominativo Miracle (in prosieguo: il «marchio denominativo Miracle»),

il marchio denominativo e figurativo costituito dalla rappresentazione del flacone di profumo Miracle, visto di fronte, flacone sul quale compare in particolare il termine «Miracle» (in prosieguo: il «marchio flacone di Miracle»),

il marchio denominativo e figurativo costituito dalla rappresentazione della scatola in cui il flacone di profumo Miracle è commercializzato, vista di fronte, e sulla quale compare in particolare il termine «Miracle» (in prosieguo: il «marchio scatola di Miracle»);

il marchio denominativo Anaïs-Anaïs;

i marchi relativi al profumo Noa:

il marchio denominativo Noa Noa, nonché

i marchi denominativi e figurativi costituiti dal termine «Noa» scritto in una forma stilizzata.

15

La Malaika e la Starion commercializzano nel Regno Unito imitazioni di profumi di lusso della gamma «Creation Lamis». La Starion commercializza anche imitazioni di profumi di lusso delle gamme «Dorall» e «Stitch».

16

Le gamme «Creation Lamis» e «Dorall» sono prodotte dalla Bellure.

17

La gamma «Creation Lamis» comprende in particolare il profumo La Valeur, un’imitazione del profumo Trésor, il cui flacone e scatola mostrano una generale somiglianza con quelli di quest’ultimo. In detta gamma rientra altresì il profumo Pink Wonder, che è un’imitazione del profumo Miracle, e il cui flacone e scatola mostrano una generale somiglianza con quelli di quest’ultimo.

18

In entrambi i casi è pacifico che la somiglianza non è tale da indurre in errore i rivenditori o il pubblico.

19

La gamma «Dorall» comprende in particolare il profumo Coffret d’Or, un’imitazione del profumo Trésor, il cui flacone e scatola mostrano una leggera somiglianza con quelli di quest’ultimo.

20

Le scatole dei profumi della gamma «Stitch», di aspetto grossolano, non presentano somiglianza alcuna con i flaconi e le scatole dei profumi commercializzati dalla L’Oréal e a.

21

Nell’ambito della commercializzazione dei profumi delle gamme «Creation Lamis», «Dorall» e «Stitch», la Malaika e la Starion utilizzano elenchi comparativi, trasmessi ai loro rivenditori, in cui è indicato il marchio denominativo del profumo di lusso di cui il profumo commercializzato è l’imitazione (in prosieguo: gli «elenchi comparativi»).

22

La L’Oréal e a. hanno intentato dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division [Tribunale d’Inghilterra e del Galles], un’azione per contraffazione di marchi contro la Bellure, la Malaika e la Starion.

23

La L’Oréal e a. hanno fatto valere, da un lato, che l’utilizzo degli elenchi comparativi costituiva una violazione dei diritti scaturenti dai propri marchi denominativi Trésor, Miracle, Anaïs-Anaïs e Noa, così come dai propri marchi denominativi e figurativi Noa, violazione contraria all’art. 10, n. 1, della legge del 1994 sui marchi.

24

Per altro verso, le società ricorrenti hanno sostenuto che l’imitazione dei flaconi e delle scatole dei loro prodotti e la vendita di profumi in siffatto confezionamento configuravano una violazione dei diritti scaturenti dai loro marchi denominativi Trésor e Miracle e dai loro marchi denominativi e figurativi flacone di Trésor, scatola di Trésor, flacone di Miracle e scatola di Miracle, contraria all’art. 10, n. 3, della legge del 1994 sui marchi.

25

Con decisione 4 ottobre 2006 la High Court ha accolto il ricorso in quanto basato sull’art. 10, n. 1, della legge del 1994 sui marchi, mentre laddove basato sull’art. 10, n. 3, della medesima legge, tale ricorso è stato accolto solo relativamente ai marchi scatola di Trésor e flacone di Miracle.

26

Sia la Malaika e la Starion che la L’Oréal e a. hanno presentato un ricorso avverso detta sentenza dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) [Corte d’appello civile d’Inghilterra e del Galles)].

27

Per quanto riguarda l’utilizzo degli elenchi comparativi che riportano i marchi denominativi di cui sono titolari la L’Oréal e a., elenchi ritenuti da queste ultime società come costituenti pubblicità comparative ai sensi della direttiva 84/450, il giudice del rinvio si chiede se l’uso del marchio di un concorrente, nell’ambito di siffatti elenchi, possa essere vietato in applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104.

28

In caso di soluzione in senso affermativo, il giudice di cui trattasi si chiede se un tale uso possa essere comunque consentito in forza dell’art. 6, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104. Considerando, in proposito, che l’uso del marchio di un concorrente in una pubblicità comparativa soddisfa i requisiti posti dall’art. 6 della direttiva 89/104 qualora detta pubblicità rispetti l’art. 3 bis della direttiva 84/450, il giudice a quo ritiene necessaria, al fine di poter dirimere la causa principale, l’interpretazione di tale ultima disposizione.

29

Per quanto concerne l’uso di scatole e di flaconi simili a quelli dei profumi di lusso commercializzati dalla L’Oréal e a., il giudice del rinvio s’interroga sulla nozione di «vantaggio indebito» ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104.

30

In tale contesto la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Qualora un operatore commerciale, in una pubblicità relativa ai propri prodotti o servizi, usi un marchio registrato di cui è titolare un concorrente allo scopo di comparare le caratteristiche (e, in particolare, l’odore) di prodotti o servizi da lui commercializzati con le caratteristiche (e, in particolare, con l’odore) dei prodotti commercializzati dal concorrente sotto tale marchio, in modo tale da non creare confusione o compromettere in altro modo la funzione essenziale del marchio come indicazione di origine, se tale uso rientri nell’ambito dell’art. 5, n. 1, lett. a) o b), della direttiva 89/104.

2)

Qualora un operatore commerciale, nell’esercizio di un’attività economica, utilizzi (segnatamente in un elenco comparativo) un marchio notorio registrato allo scopo di indicare una caratteristica del suo stesso prodotto (in particolare il suo odore) secondo modalità che:

a)

non causano alcun tipo di rischio di confusione, e

b)

non incidono sulla vendita dei prodotti contrassegnati dal marchio notorio registrato, e

c)

non compromettono la funzione essenziale del marchio registrato come garanzia di origine e non arrecano pregiudizio alla notorietà di quel marchio con l’annacquamento della sua immagine o la diluizione o in qualsiasi altro modo, e

d)

svolgono un ruolo significativo nella promozione del prodotto dell’operatore commerciale,

se tale uso rientri nell’ambito dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104.

3)

Nell’ambito dell’art. 3 bis, lett. g), della [direttiva 84/450], quale sia il significato di “tragga indebitamente vantaggio” e, in particolare, se, qualora un operatore commerciale in un elenco comparativo compari il proprio prodotto con un prodotto contrassegnato dal marchio notorio, tale soggetto tragga in tal modo indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa a tale marchio.

4)

Nell’ambito dell’art. 3 bis, lett. h), della citata direttiva, quale sia il significato di “rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione” e, in particolare, se tale espressione ricomprenda l’ipotesi in cui, senza che venga in alcun modo creata confusione o inganno, una parte in modo del tutto veritiero affermi che il suo prodotto ha una caratteristica essenziale (l’odore) identica a quella di un prodotto che gode di notorietà, tutelato da un marchio commerciale.

5)

Qualora un operatore commerciale utilizzi un segno simile al marchio registrato che gode di notorietà, e tra tale segno e il marchio non sussista una somiglianza tale da dare adito a confusione, in modo che:

a)

la funzione essenziale del marchio registrato consistente nel fornire una garanzia di origine non sia pregiudicata o posta a repentaglio,

b)

non vi sia annacquamento o smussamento del marchio registrato o della sua notorietà o alcun rischio di una di tali ipotesi,

c)

le vendite del titolare del marchio non siano pregiudicate, e

d)

il titolare del marchio non sia privato di alcun compenso a fronte della promozione, del mantenimento o del rafforzamento del suo marchio d’impresa,

e)

ma l’operatore commerciale ricavi un vantaggio commerciale dall’uso del suo segno a motivo della sua somiglianza con il marchio registrato,

se tale utilizzo equivalga a trarre “indebitamente vantaggio” dalla notorietà del marchio registrato ai sensi dell’art. 5, n. 2, della direttiva [89/104]».

Sulle questioni pregiudiziali

31

Come precisato dal giudice del rinvio, le prime quattro questioni, vertenti sull’interpretazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 e dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, sono relative all’uso da parte delle convenute nella causa principale dei marchi denominativi di cui sono titolari la L’Oréal e a. in elenchi comparativi, mentre la quinta questione, concernente l’interpretazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, riguarda l’utilizzo di scatole e di flaconi simili a quelli dei profumi di lusso commercializzati dalla L’Oréal e a. e protetti da marchi denominativi e figurativi. Tuttavia, dal momento che quest’ultima disposizione è parimenti applicabile all’uso dei marchi in parola negli elenchi comparativi di cui trattasi, occorre risolvere innanzitutto la quinta questione.

Sulla quinta questione

32

Con la quinta questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 debba essere interpretato nel senso che si può ritenere che un terzo che usa un segno simile ad un marchio notorio tragga indebitamente vantaggio dal marchio, ai sensi della citata disposizione, qualora detto uso gli procuri un vantaggio ai fini della commercializzazione dei suoi prodotti o servizi, senza tuttavia creare, per il pubblico, un rischio di confusione o arrecare o rischiare di arrecare un pregiudizio al marchio o al titolare dello stesso.

33

In via preliminare occorre ricordare che il contesto fattuale e normativo è definito dal giudice a quo, di modo che non spetta alla Corte rimettere in discussione valutazioni relative alla natura dei fatti (v., in tal senso, sentenze 13 novembre 2003, causa C-153/02, Neri, Racc. pag. I-13555, punti 34 e 35, e 17 luglio 2008, causa C-347/06, ASM Brescia, ella Raccolta, punto 28). Di conseguenza, benché, come avanzato dal governo del Regno Unito e da quello francese, potrebbe parere, di primo acchito, poco probabile che l’uso, da parte di un terzo, di un segno simile ad un marchio per commercializzare prodotti che imitano quelli per i quali detto marchio è stato registrato, avvantaggi la commercializzazione dei prodotti del terzo pur senza, al tempo stesso, nuocere all’immagine o alla commercializzazione dei prodotti coperti dal marchio in parola, la Corte è vincolata da siffatta ipotesi proposta dal giudice del rinvio.

34

L’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 introduce, a favore dei marchi notori, una protezione più ampia rispetto a quella prevista dal n. 1 del medesimo art. 5. La condizione specifica della tutela è costituita da un uso immotivato di un segno identico o simile ad un marchio registrato che trae o trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio in questione oppure arreca o arrecherebbe loro pregiudizio (v., in tal senso, sentenze 22 giugno 2000, causa C-425/98, Marca Mode, Racc. pag. I-4861, punto 36; 23 ottobre 2003, causa C-408/01, Adidas-Salomon e Adidas Benelux, Racc. pag. I-12537, punto 27, e 10 aprile 2008, causa C-102/07, adidas e adidas Benelux, Racc. pag. I-2439, punto 40, nonché, relativamente all’art. 4, n. 4, lett. a), della direttiva 89/104, sentenza 27 novembre 2008, causa C-252/07, Intel Corporation, Racc. pag. I-8823, punto 26).

35

Del resto, la Corte ha precisato che l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 è parimenti da applicare nei confronti dei prodotti e servizi identici o simili a quelli per i quali il marchio è registrato (v., in tal senso, sentenze 9 gennaio 2003, causa C-292/00, Davidoff, Racc. pag. I-389, punto 30; Adidas-Salomon e Adidas Benelux, cit., punti 18-22, nonché adidas e adidas Benelux, cit., punto 37).

36

I pregiudizi di cui all’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, allorché si verificano, sono la conseguenza di un certo grado di somiglianza tra il marchio e il segno, a causa del quale il pubblico interessato mette in relazione il segno e il marchio, vale a dire stabilisce un nesso tra gli stessi, pur non confondendoli. Non è dunque richiesto che il grado di somiglianza tra il marchio notorio e il segno utilizzato dal terzo sia tale da generare, nel pubblico interessato, un rischio di confusione. È sufficiente che il grado di somiglianza tra il marchio notorio e il segno abbia come effetto che il pubblico interessato stabilisca un nesso tra il segno e il marchio (v. sentenze Adidas-Salomon e Adidas Benelux, cit., punti 29 e 31, e adidas e adidas Benelux, cit., punto 41).

37

L’esistenza di un siffatto nesso nella mente del pubblico è una condizione necessaria, ma, di per sé, non sufficiente al fine di poter concludere che si realizza uno dei pregiudizi contro i quali l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 assicura la tutela a favore dei marchi notori (v., in tal senso, sentenza Intel Corporation, cit., punti 31 e 32).

38

Dette violazioni sono, anzitutto, il pregiudizio al carattere distintivo del marchio anteriore, poi il pregiudizio alla notorietà di tale marchio e infine il vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà dello stesso (v., in tal senso, sentenza Intel Corporation, cit., punto 27).

39

Per quanto riguarda il pregiudizio arrecato al carattere distintivo del marchio, detto anche «diluizione», «corrosione» o «offuscamento», esso si manifesta quando risulta indebolita l’idoneità di tale marchio ad identificare i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, per il fatto che l’uso del segno identico o simile fa disperdere l’identità del marchio e della corrispondente presa nella mente del pubblico. Ciò si verifica, in particolare, quando il marchio non è più in grado di suscitare un’associazione immediata con i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato (v., in tal senso, sentenza Intel Corporation, cit., punto 29).

40

Relativamente al pregiudizio arrecato alla notorietà del marchio, detto anche «annacquamento» o «degradazione», tale pregiudizio si verifica quando i prodotti o i servizi per i quali il segno identico o simile è usato dal terzo possono essere percepiti dal pubblico in modo tale che il potere di attrazione del marchio ne risulti compromesso. Il rischio di un tale pregiudizio può scaturire, in particolare, dalla circostanza che i prodotti o servizi offerti dal terzo possiedano una caratteristica o una qualità tali da esercitare un’influenza negativa sull’immagine del marchio.

41

Quanto alla nozione di «vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio», detto anche «parassitismo» e «free-riding», tale nozione non si ricollega al pregiudizio subito dal marchio, quanto piuttosto al vantaggio tratto dal terzo dall’uso del segno identico o simile. Essa comprende, in particolare, il caso in cui, grazie ad un trasferimento dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal segno identico o simile, sussiste un palese sfruttamento parassitario nel tentativo di infilarsi nella scia del marchio notorio.

42

È sufficiente che ricorra anche uno solo di questi tre tipi di violazione perché vada applicato l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 (v., in tal senso, sentenza Intel Corporation, cit., punto 28).

43

Ne discende che il vantaggio tratto da un terzo dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio può rivelarsi indebito, anche quando l’uso del segno identico o simile non arreca pregiudizio né al carattere distintivo né alla notorietà del marchio o, più in generale, al titolare di quest’ultimo.

44

Al fine di determinare se l’uso del segno tragga indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, occorre effettuare una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi rilevanti del caso di specie, fra i quali compaiono, in particolare, l’intensità della notorietà e il grado del carattere distintivo del marchio, il grado di somiglianza fra i marchi in conflitto, nonché la natura e il grado di prossimità dei prodotti o dei servizi interessati. Relativamente all’intensità della notorietà e del grado di carattere distintivo del marchio, la Corte ha già dichiarato che più il carattere distintivo e la notorietà del marchio di cui si tratta sono rilevanti, più facilmente sarà ammessa l’esistenza di una violazione. Dalla giurisprudenza risulta inoltre che più l’evocazione del marchio ad opera del segno è immediata e forte, più aumenta il rischio che l’uso attuale o futuro del segno tragga un vantaggio indebito dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o rechi loro pregiudizio (v., in tal senso, sentenza Intel Corporation, cit., punti 67-69).

45

Si deve peraltro osservare che, nell’ambito di una siffatta valutazione complessiva, può parimenti essere presa in considerazione, eventualmente, l’esistenza di un rischio di diluizione o annacquamento del marchio.

46

Nella fattispecie in esame è pacifico che la Malaika e la Starion utilizzano scatole e flaconi simili ai marchi notori registrati dalla L’Oréal e a. per commercializzare profumi che sono imitazioni «di scarsa qualità» dei profumi di lusso per i quali detti marchi sono registrati e usati.

47

A tale riguardo il giudice del rinvio ha constatato un nesso fra, da un lato, taluni tipi di confezionamento utilizzati dalla Malaika e dalla Starion e, dall’altro, taluni marchi relativi a scatole e a flaconi di cui sono titolari la L’Oréal e a. Inoltre, dall’ordinanza di rinvio emerge che tale nesso attribuisce un vantaggio commerciale alle convenute della causa principale. Dall’ordinanza in parola risulta anche che la somiglianza fra detti marchi e i prodotti commercializzati dalla Malaika e dalla Starion è stata scientemente cercata, al fine di realizzare un’associazione nella mente del pubblico fra i profumi di lusso e le rispettive imitazioni, con lo scopo di agevolare la commercializzazione di queste ultime.

48

Nell’ambito della valutazione di ordine generale cui il giudice del rinvio dovrà procedere per stabilire se, nel contesto in esame, sia possibile constatare l’esistenza di un vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, sarà necessario tenere conto, in particolare, del fatto che l’utilizzo di scatole e di flaconi simili a quelli dei profumi imitati è diretto a sfruttare, a scopi pubblicitari, il carattere distintivo e la notorietà dei marchi con cui detti profumi sono commercializzati.

49

In proposito occorre precisare che, quando un terzo tenta, con l’uso di un segno simile ad un marchio notorio, di porsi nel solco tracciato da quest’ultimo, al fine di beneficiare del suo potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio, così come di sfruttare, senza qualsivoglia corrispettivo economico e senza dover operare sforzi propri a tale scopo, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per creare e mantenere l’immagine di detto marchio, si deve considerare il vantaggio derivante da siffatto uso come indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio in parola.

50

Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la quinta questione dichiarando che l’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104 dev’essere interpretato nel senso che l’esistenza di un vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, ai sensi di tale disposizione, non presuppone né l’esistenza di un rischio di confusione, né quella di un rischio di pregiudizio arrecato al carattere distintivo o alla notorietà del marchio o, più in generale, al titolare di quest’ultimo. Il vantaggio risultante dall’uso da parte di un terzo di un segno simile ad un marchio notorio è tratto indebitamente da detto terzo dai citati carattere distintivo o notorietà del marchio quando egli, con siffatto uso, tenta di porsi nel solco tracciato dal marchio notorio al fine di approfittare del potere attrattivo, della reputazione e del prestigio di quest’ultimo, e di sfruttare, senza alcun corrispettivo economico, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per creare e mantenere l’immagine del marchio in parola.

Sulla prima e seconda questione

51

Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede se l’art. 5, n. 1, lett. a) o b), della direttiva 89/104 debba essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio registrato è legittimato ad esigere che sia vietato l’uso da parte di un terzo, in una pubblicità comparativa, di un segno identico a detto marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui quest’ultimo è stato registrato, allorché siffatto uso non è tale da compromettere la funzione essenziale del marchio come indicazione di origine di prodotti o servizi. Con la seconda questione, che va esaminata congiuntamente con la prima, il giudice a quo chiede, sostanzialmente, se il titolare di un marchio notorio possa opporsi ad un siffatto uso, a titolo del n. 1, lett. a), dell’articolo in parola, qualora detto uso non sia tale da arrecare pregiudizio al marchio o ad una delle sue funzioni, ma svolga comunque un ruolo significativo nella promozione dei prodotti o servizi del terzo.

52

In via preliminare giova ricordare che elenchi comparativi, come quelli in discussione nella causa principale, sono idonei ad essere qualificati come pubblicità comparativa. Costituisce, infatti, pubblicità ai sensi dell’art. 2, punto 1, della direttiva 84/450, qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi. A termini di detto art. 2, punto 2 bis, una pubblicità del genere va qualificata come comparativa se identifica, in modo esplicito o implicito, un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente. Alla luce di siffatte definizioni particolarmente ampie, la pubblicità comparativa può assumere le forme più svariate [v., in tal senso, sentenze 25 ottobre 2001, causa C-112/99, Toshiba Europe, Racc. pag. I-7945, punti 28 e 31; 8 aprile 2003, causa C-44/01, Pippig Augenoptik, Racc. pag. I-3095, punto 35; 19 aprile 2007, causa C-381/05, De Landtsheer Emmanuel, Racc. pag. I-3115, punto 16, e 12 giugno 2008, causa C-533/06, O2 Holdings e O2 (UK), Racc. pag. I-4231, punto 42].

53

Del resto la Corte ha già dichiarato che l’uso da parte dell’operatore pubblicitario in una pubblicità comparativa di un segno identico o simile al marchio di un concorrente per identificare i prodotti o servizi offerti da quest’ultimo deve essere considerato come un uso per i prodotti o servizi propri dell’operatore pubblicitario, ai sensi dell’art. 5, nn. 1 e 2, della direttiva 89/104. Un uso di questo tipo può quindi essere eventualmente vietato in base alle summenzionate disposizioni [v. sentenza O2 Holdings e O2 (UK), cit., punti 36 e 37].

54

La Corte ha tuttavia puntualizzato che il titolare di un marchio registrato non è legittimato a vietare l’uso, da parte di un terzo, di un segno identico o simile al suo marchio in una pubblicità comparativa rispetto alla quale ricorrono tutte le condizioni di liceità enunciate all’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 [v. sentenza O2 Holdings e O2 (UK), cit., punti 45 e 51].

55

Occorre altresì rilevare che è pacifico che la Malaika e la Starion, negli elenchi comparativi di profumi, abbiano usato i marchi denominativi Trésor, Miracle, Anaïs-Anaïs e Noa così come registrati dalla L’Oréal e a., e non segni solamente simili ai marchi citati. Tale uso, peraltro, è stato fatto per prodotti identici a quelli per cui i marchi in parola sono stati registrati, vale a dire per profumi.

56

Un uso del genere rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, e non in quello del menzionato art. 5, n. 1, lett. b).

57

Ai sensi dell’art. 5, n. 1, prima frase, della direttiva 89/104, il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Ex art. 5, n. 1, lett. a), della medesima direttiva, tale diritto esclusivo legittima il titolare a vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato.

58

La Corte ha già avuto occasione di constatare che il diritto esclusivo di cui all’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 è stato concesso al fine di consentire al titolare del marchio d’impresa di tutelare i propri interessi specifici quale titolare di quest’ultimo, ossia garantire che il marchio possa adempiere le sue proprie funzioni. L’esercizio di tale diritto deve essere pertanto riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio (sentenze 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I-10273, punto 51; 16 novembre 2004, causa C-245/02, Anheuser-Busch, Racc. pag. I-10989, punto 59, e 25 gennaio 2007, causa C-48/05, Adam Opel, Racc. pag. I-1017, punto 21). Fra dette funzioni è da annoverare non solo la funzione essenziale del marchio consistente nel garantire al consumatore l’identità di origine del prodotto o del servizio, ma anche le altre funzioni del marchio, segnatamente quella di garantire la qualità del prodotto o del servizio di cui si tratti, o quelle di comunicazione, investimento o pubblicità.

59

La tutela attribuita ex art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 è quindi più ampia di quella prevista dal medesimo art. 5, n. 1, lett. b), per la cui applicazione occorre l’esistenza di un rischio di confusione e, di conseguenza, la possibilità di un pregiudizio alla funzione essenziale del marchio [v., in tal senso, sentenze citate Davidoff, punto 28, nonché O2 Holdings e O2 (UK), punto 57]. Infatti, ai sensi del decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104 la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato è assoluta in caso di identità tra il marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi, mentre, in caso di somiglianza tra il marchio di impresa e il segno così come tra i prodotti o servizi, il rischio di confusione costituisce la condizione specifica della tutela.

60

Dalla giurisprudenza citata al punto 58 della presente sentenza risulta che il titolare del marchio, sulla base dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104, può opporsi all’uso di un segno identico al marchio solamente quando siffatto uso sia idoneo a compromettere una delle funzioni del marchio in questione (v., altresì, sentenze citate Arsenal Football Club, punto 54, e Adam Opel, punto 22).

61

La Corte si è già pronunciata nel senso che taluni usi a fini puramente descrittivi sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104 poiché non ledono alcuno degli interessi che la disposizione in parola è diretta a proteggere, e pertanto non rientrano nella nozione di uso ai sensi di detta disposizione (v., in tal senso, sentenza 14 maggio 2002, causa C-2/00, Hölterhoff, Racc. pag. I-4187, punto 16).

62

A tale riguardo va nondimeno precisato che la situazione descritta nella causa principale è fondamentalmente diversa da quella all’origine della citata sentenza Hölterhoff in quanto l’uso dei marchi denominativi di cui sono titolari la L’Oréal e a. negli elenchi comparativi diffusi dalla Malaika e dalla Starion non persegue fini puramente descrittivi, bensì uno scopo pubblicitario.

63

Spetta al giudice del rinvio valutare se, in una situazione come quella in oggetto nella causa principale, l’uso fatto dei marchi di cui sono titolari la L’Oréal e a. sia tale da compromettere una delle funzioni dei marchi di cui trattasi, segnatamente con riferimento alle funzioni di comunicazione, investimento o pubblicità degli stessi.

64

Peraltro, quando il giudice a quo abbia constatato che detti marchi godono di notorietà, il loro uso negli elenchi comparativi può essere parimenti vietato in forza dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, la cui applicabilità non presuppone necessariamente, come dichiarato al punto 50 della presente sentenza, l’esistenza di un rischio di pregiudizio per il marchio o per il suo titolare, nella misura in cui il terzo tragga indebitamente vantaggio dall’uso di detto marchio.

65

Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima e la seconda questione dichiarando che l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio registrato è legittimato a esigere che sia vietato l’uso da parte di un terzo, in una pubblicità comparativa rispetto alla quale non ricorrono tutte le condizioni di liceità enunciate all’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, di un segno identico a detto marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui il marchio in parola è stato registrato, anche quando siffatto uso non sia idoneo a compromettere la funzione essenziale del marchio, consistente nell’indicare l’origine dei prodotti o servizi, purché tale uso arrechi pregiudizio o possa arrecare pregiudizio ad una delle altre funzioni del marchio.

Sulla terza e quarta questione

66

Con la terza e la quarta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 debba essere interpretato nel senso che, qualora un operatore commerciale indichi, tramite un elenco comparativo e senza che venga in alcun modo creata confusione o inganno, che il suo prodotto ha una caratteristica essenziale simile a quella di un prodotto commercializzato con un marchio notorio, del quale il prodotto dell’operatore commerciale costituisce un’imitazione, detto operatore commerciale trae indebitamente vantaggio dalla notorietà di tale marchio, ai sensi del medesimo art. 3 bis, n. 1, lett. g), o rappresenta «un bene o servizio come imitazione o contraffazione» ai sensi dello stesso art. 3 bis, n. 1, lett. h).

67

L’art. 3 bis della direttiva 84/450 riporta, al n. 1, lett. a)-h), condizioni cumulative che una pubblicità comparativa deve soddisfare per poter essere considerata lecita.

68

Tali condizioni mirano a una ponderazione dei vari interessi che l’autorizzazione della pubblicità comparativa può concernere. Da una lettura in combinato disposto del secondo, settimo e nono ‘considerando’ della direttiva 97/55 emerge quindi che detto art. 3 bis è diretto a stimolare la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell’interesse dei consumatori, consentendo ai concorrenti di mettere in evidenza in modo obiettivo i vantaggi dei vari prodotti paragonabili, vietando al tempo stesso prassi che possano comportare una distorsione della concorrenza, svantaggiare i concorrenti e avere un’incidenza negativa sulla scelta dei consumatori.

69

Da ciò deriva che le condizioni enunciate al citato art. 3 bis, n. 1, devono interpretarsi nel senso più favorevole, così da consentire le pubblicità che mettono a confronto oggettivamente le caratteristiche di prodotti o servizi (v., in tal senso, sentenza De Landtsheer Emmanuel, cit., punto 35 e giurisprudenza ivi citata), assicurando d’altro canto che la pubblicità comparativa non sia utilizzata in modo sleale e negativo per la concorrenza o in modo da arrecare pregiudizio agli interessi dei consumatori.

70

Per quanto concerne, più concretamente, l’uso del marchio di un concorrente in una pubblicità comparativa, l’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 assoggetta un uso del genere segnatamente a quattro condizioni specifiche, enunciate, rispettivamente, al medesimo art. 3 bis, n. 1, lett. d), e), g) e h). È infatti necessario che l’uso del marchio in parola non ingeneri confusione, non causi discredito o denigrazione del marchio, non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa a quest’ultimo né rappresenti un bene o servizio come imitazione o riproduzione di beni o servizi protetti dal marchio.

71

Come risulta dal tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo ‘considerando’ della direttiva 97/55, dette condizioni mirano a conciliare, da un lato, l’interesse del titolare del marchio ad usufruire di una tutela del suo diritto esclusivo e, dall’altro, l’interesse dei concorrenti di tale titolare nonché quello dei consumatori a fruire di una pubblicità comparativa efficace, che metta obiettivamente in rilievo le differenze esistenti fra i prodotti o i servizi proposti.

72

Ne discende che l’uso del marchio di un concorrente in una pubblicità comparativa è ammesso dal diritto comunitario ove il confronto si traduca nel mettere obiettivamente in rilievo delle differenze in modo tale da non avere ad oggetto o per effetto di provocare situazioni di concorrenza sleale, come quelle descritte in particolare all’art. 3 bis, n. 1, lett. d), e), g) e h), della direttiva 84/450 (v., in tal senso, sentenza Pippig Augenoptik, cit., punto 49).

73

Per quanto concerne, in primo luogo, l’art. 3 bis, n. 1, lett. h), della direttiva 84/450, ai sensi del quale la pubblicità comparativa non deve rappresentare un bene o un servizio come imitazione o riproduzione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati, occorre constatare che dalla formulazione della menzionata disposizione, nonché dal diciannovesimo ‘considerando’ della direttiva 97/55, emerge chiaramente che detta condizione vale non solamente rispetto ai prodotti contraffatti, bensì anche rispetto a qualsivoglia imitazione e riproduzione.

74

Inoltre, da un’interpretazione sistematica dell’art. 3 bis, n. 1, lett. h), della direttiva 84/450 risulta che quest’ultimo non presuppone né l’esistenza del carattere ingannevole della pubblicità comparativa, né quella di un rischio di confusione. La mancanza di tale carattere e di tale rischio costituiscono dunque condizioni indipendenti di liceità della pubblicità comparativa, enunciate a detto art. 3 bis, n. 1, lett. a) e d).

75

L’oggetto specifico della condizione posta dall’art. 3 bis, n. 1, lett. h), della direttiva 84/450 consiste nel vietare all’operatore pubblicitario di far figurare, nella pubblicità comparativa, il fatto che il prodotto o il servizio da lui commercializzato costituisce un’imitazione o una riproduzione del prodotto o del servizio del marchio. A tale riguardo, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 84 delle sue conclusioni, sono vietati non solamente i messaggi pubblicitari che richiamano esplicitamente l’idea dell’imitazione o della riproduzione, ma parimenti quelli che, tenuto conto della presentazione globale e del contesto economico in cui sono inseriti, sono idonei a trasmettere implicitamente siffatta idea al pubblico destinatario.

76

È pacifico che gli elenchi comparativi in discussione nella causa principale hanno come scopo e come effetto di indicare al pubblico interessato il profumo originale di cui si ritiene che i profumi commercializzati dalla Malaika e dalla Starion costituiscono un’imitazione. Gli elenchi in parola dimostrano pertanto che i menzionati profumi sono imitazioni dei profumi commercializzati con taluni marchi di cui sono titolari la L’Oréal e a. e, pertanto, rappresentano i prodotti commercializzati dall’operatore pubblicitario come imitazioni di prodotti che recano un marchio protetto, ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. h), della direttiva 84/450. Come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 88 delle sue conclusioni, non è pertinente a tale riguardo la questione se il messaggio pubblicitario segnali che si tratta di un’imitazione del prodotto coperto da un marchio protetto nel suo insieme o solamente dell’imitazione di una caratteristica essenziale dello stesso, quale, nel caso di specie, l’odore dei prodotti in causa.

77

In secondo luogo, relativamente all’art. 3 bis, n. 1, lett. g), della direttiva 84/450, ai sensi del quale la pubblicità comparativa non deve trarre indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa ad un marchio, occorre rilevare che la nozione di «vantaggio indebitamente tratto» da tale notorietà, presente sia nella suddetta disposizione sia all’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, deve, alla luce del tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo ‘considerando’ della direttiva 97/55, in via di principio, essere interpretata nel medesimo senso [v., per analogia, sentenza O2 Holdings e O2 (UK), cit., punto 49].

78

Dal momento che, al punto 76 della presente sentenza, è stato constatato che gli elenchi comparativi utilizzati dalle convenute della causa principale rappresentano i profumi da loro commercializzati come un’imitazione o una riproduzione di prodotti recanti un marchio protetto ex art. 3 bis, n. 1, lett. h), della direttiva 84/450, la terza questione deve essere intesa nel senso che è diretta ad accertare se, in tali condizioni, il vantaggio derivante dall’uso degli elenchi in parola sia indebitamente tratto dalla notorietà connessa a detto marchio protetto, conformemente al citato art. 3 bis, n. 1, lett. g).

79

In proposito va osservato che quando una pubblicità comparativa che rappresenta i prodotti dell’operatore pubblicitario come un’imitazione di un prodotto recante un marchio risulta, in base alla direttiva 84/450, contraria ad una concorrenza leale e, quindi, illecita, il vantaggio realizzato dall’operatore pubblicitario grazie ad una pubblicità del genere è frutto di una concorrenza sleale e, di conseguenza, deve essere considerato indebitamente tratto dalla notorietà connessa a detto marchio.

80

Occorre pertanto risolvere la terza e la quarta questione dichiarando che l’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 deve essere interpretato nel senso che un operatore pubblicitario, il quale menziona in modo esplicito o implicito, in una pubblicità comparativa, che il prodotto da lui commercializzato costituisce un’imitazione di un prodotto protetto da un marchio notorio, rappresenta «un bene o servizio come imitazione o contraffazione» ai sensi del medesimo art. 3 bis, n. 1, lett. h). Il vantaggio realizzato dall’operatore pubblicitario grazie ad una siffatta pubblicità comparativa illecita deve essere considerato «indebitamente tratto» dalla notorietà connessa a detto marchio, conformemente al suddetto art. 3 bis, n. 1, lett. g).

Sulle spese

81

Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

1)

L’art. 5, n. 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, dev’essere interpretato nel senso che l’esistenza di un vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, ai sensi di tale disposizione, non presuppone né l’esistenza di un rischio di confusione, né quella di un rischio di pregiudizio arrecato al carattere distintivo o alla notorietà del marchio o, più in generale, al titolare di quest’ultimo. Il vantaggio risultante dall’uso da parte di un terzo di un segno simile ad un marchio notorio è tratto indebitamente da detto terzo dal carattere distintivo o dalla notorietà quando egli, con siffatto uso, tenta di porsi nel solco tracciato dal marchio notorio al fine di beneficiare del potere attrattivo, della reputazione e del prestigio di quest’ultimo, e di sfruttare, senza alcun corrispettivo economico, lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per creare e mantenere l’immagine del marchio in parola.

 

2)

L’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 deve essere interpretato nel senso che il titolare di un marchio registrato è legittimato a esigere che sia vietato l’uso da parte di un terzo, in una pubblicità comparativa rispetto alla quale non ricorrono tutte le condizioni di liceità enunciate all’art. 3 bis, n. 1, della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, [relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri] in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparativa, come modificata dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE, di un segno identico a detto marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui il marchio in parola è stato registrato, anche quando siffatto uso non sia idoneo a compromettere la funzione essenziale del marchio, consistente nell’indicare l’origine dei prodotti o servizi, purché tale uso arrechi pregiudizio o possa arrecare pregiudizio ad una delle altre funzioni del marchio.

 

3)

L’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, come modificata dalla direttiva 97/55, deve essere interpretato nel senso che un operatore pubblicitario il quale menziona in modo esplicito o implicito, in una pubblicità comparativa, che il prodotto da lui commercializzato costituisce un’imitazione di un prodotto protetto da un marchio notorio, rappresenta «un bene o un servizio come imitazione o contraffazione», ai sensi del medesimo art. 3 bis, n. 1, lett. h). Il vantaggio realizzato dall’operatore pubblicitario grazie ad una siffatta pubblicità comparativa illecita deve essere considerato «indebitamente tratto» dalla notorietà connessa a tale marchio, conformemente al suddetto art. 3 bis, n. 1, lett. g).

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

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