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Document 62007CC0200

    Conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro del 26 giugno 2008.
    Alfonso Luigi Marra contro Eduardo De Gregorio (C-200/07) e Antonio Clemente (C-201/07).
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Corte suprema di cassazione - Italia.
    Rinvio pregiudiziale - Parlamento europeo - Volantino contenente affermazioni ingiuriose formulate da un suo membro - Domanda di risarcimento del danno morale - Immunità dei membri del Parlamento europeo.
    Cause riunite C-200/07 e C-201/07.

    Raccolta della Giurisprudenza 2008 I-07929

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2008:369

    CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

    M. POIARES MADURO

    presentate il 26 giugno 2008 ( 1 )

    Cause riunite C-200/07 e C-201/07

    Alfonso Luigi Marra

    contro

    Eduardo De Gregorio e Antonio Clemente

    «Rinvio pregiudiziale — Parlamento europeo — Volantino contenente affermazioni ingiuriose formulate da un suo membro — Domanda di risarcimento del danno morale — Immunità dei membri del Parlamento europeo»

    1. 

    Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte suprema di cassazione chiede alla Corte di giustizia la corretta interpretazione delle disposizioni del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee e del regolamento interno del Parlamento europeo in relazione all’immunità di cui godono i membri del Parlamento europeo.

    2. 

    Le due cause che hanno dato origine a questa domanda di pronuncia pregiudiziale sono azioni di risarcimento danni per diffamazione proposte nei confronti di un membro italiano del Parlamento europeo. Il giudice nazionale lo ha considerato responsabile e lo ha condannato a risarcire i danni alle parti attrici. Si chiede alla Corte, in primo luogo, se un giudice nazionale dinanzi al quale pende una causa civile contro un membro del Parlamento europeo sia tenuto a richiedere al Parlamento europeo di revocare la sua immunità qualora il parlamentare europeo non abbia egli stesso chiesto al Parlamento di difendere tale immunità e, in secondo luogo, se, in assenza della comunicazione da parte del Parlamento europeo di voler difendere l’immunità del parlamentare interessato, il giudice nazionale stesso sia competente a decidere se la condotta del MPE sia coperta da immunità.

    I — Fatti

    3.

    Il convenuto nelle cause principali, sig. Alfonso Luigi Marra, è stato membro del Parlamento europeo dal 1994 al 1999. In questo periodo, egli metteva in circolazione una serie di volantini che criticavano il sistema giudiziario italiano e singoli giudici. Il sig. Antonio Clemente e il sig. Eduardo De Gregorio, nominati nei volantini, agivano in giudizio contro il sig. Marra per diffamazione. Avendo il Tribunale accolto la loro domanda e condannato il sig. Marra al risarcimento dei danni, quest’ultimo presentava appello presso la Corte d’appello di Napoli. Con sentenze 23 gennaio e 6 marzo 2002 (nella causa relativa al sig. Clemente) e 22 febbraio 2002 (nella causa relativa al sig. De Gregorio) la Corte d’appello di Napoli confermava le sentenze di primo grado, dichiarando che le affermazioni in questione non erano coperte dal Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee. Il sig. Marra impugnava la sentenza dinanzi alla Corte suprema di cassazione, facendo valere, tra l’altro, che la Corte d’appello di Napoli aveva applicato in modo errato l’art. 6 del regolamento interno del Parlamento europeo, il quale specifica la procedura da seguire per quanto riguarda le richieste di revoca dell’immunità di un suo membro.

    4.

    Nel frattempo, il 16 febbraio 2001, il sig. Marra aveva scritto al Presidente del Parlamento europeo chiedendo che il Parlamento intervenisse ai sensi dell’art. 6 per difendere la sua immunità. La sua richiesta veniva trasmessa alla commissione giuridica e del mercato interno con lettera del Presidente dell’11 aprile 2001. Nel corso della riunione del 23 gennaio 2002, la commissione decideva di intervenire a favore del sig. Marra e, il 30 maggio 2002, formulava una raccomandazione in tal senso nella Relazione sull’immunità dei deputati al Parlamento europeo eletti in Italia e le prassi delle autorità italiane in materia ( 2 ). L’11 giugno 2002 il Parlamento europeo adottava una risoluzione sull’immunità dei deputati al Parlamento europeo eletti in Italia e le prassi delle autorità italiane in materia ( 3 ), che concludeva quanto segue:

    «1.

    [Il Parlamento] decide che i casi degli onorevoli (…) e Alfonso Marra configurano “prima facie” un caso di insindacabilità e che i giudici competenti devono essere invitati a trasmettere al Parlamento la documentazione necessaria a stabilire se i casi in questione rientrino nell’ipotesi di insindacabilità prevista dall’articolo 9 del Protocollo per le opinioni o i voti espressi dai membri in questione nell’esercizio delle loro funzioni; decide inoltre che i giudici competenti devono essere invitati a sospendere il procedimento in attesa di una decisione definitiva del Parlamento;

    2.

    Incarica il suo Presidente di trasmettere la presente decisione e la relazione della sua commissione al Rappresentante permanente italiano affinché la comunichi all’autorità competente della Repubblica italiana».

    II — Le questioni pregiudiziali

    5.

    Con ordinanza 20 febbraio 2007 la Corte suprema di cassazione ha sottoposto alla Corte di giustizia due questioni relative alle disposizioni in materia di immunità dei membri del Parlamento europeo:

    «1.

    Se nell’ipotesi di inerzia del parlamentare europeo, che non si avvalga della facoltà attribuitagli dall’art. 6, [n. 3], del Regolamento del Parlamento di richiedere direttamente al Presidente la difesa dei privilegi e delle immunità, il giudice avanti al quale pende la causa civile sia comunque tenuto a richiedere al Presidente la revoca dell’immunità, ai fini della prosecuzione del procedimento e della adozione della decisione;

    ovvero

    2.

    se in assenza della comunicazione da parte del Parlamento europeo di voler difendere le immunità e i privilegi del parlamentare, il giudice avanti al quale pende la causa civile possa decidere sull’esistenza o meno della prerogativa, avuto riguardo alle condizioni concrete del caso di specie».

    6.

    Considerato il modo in cui le questioni sono formulate, sembra che il giudice nazionale parta dal presupposto che il sig. Marra non abbia richiesto al Presidente del Parlamento europeo di difendere la sua immunità e che il Parlamento non abbia comunicato la propria intenzione in tal senso. Tuttavia, non vi è dubbio che il sig. Marra ha presentato siffatta richiesta e che il Parlamento ha affermato che le sue dichiarazioni possono essere coperte da immunità, ha richiesto che i giudici nazionali competenti fossero invitati a trasmettere la documentazione rilevante e ha incaricato il suo Presidente di trasmettere la sua decisione alla Rappresentanza permanente italiana ( 4 ). In sede di udienza, il rappresentante del Parlamento ha confermato che la risoluzione è stata trasmessa non direttamente al giudice nazionale, bensì alla Rappresentanza permanente italiana. Nell’ordinanza di rinvio viene menzionata la relazione della commissione giuridica e del mercato interno del 30 maggio 2002, ma non la vera e propria risoluzione del Parlamento europeo dell’11 giugno 2002, che ha adottato le raccomandazioni formulate nella relazione. Alla richiesta di chiarimenti in udienza, per quanto concerne i punti dell’ordinanza in cui è menzionata la relazione del 30 maggio 2002 il rappresentante del governo italiano ha spiegato che il giudice nazionale ha formulato le sue questioni in questo modo poiché ha considerato la relazione alla stregua della posizione provvisoria, e non definitiva, del Parlamento. Ad ogni modo, il Parlamento ha adottato una posizione definitiva nella sua risoluzione dell’11 giugno 2002 che, come ci ha riferito il rappresentante del Parlamento, è stata trasmessa alla Rappresentanza permanente italiana.

    7.

    In ogni caso, dato che sia il sig. Marra sia il Parlamento europeo si sono attivati, credo che le due questioni vadano riformulate nei seguenti termini:

    «Se il giudice dinanzi al quale pende una causa civile contro un membro del Parlamento europeo sia tenuto a richiedere l’opinione del Parlamento sulla questione se la condotta ascrittagli sia tutelata dall’immunità parlamentare, o se il giudice stesso possa decidere in merito all’esistenza, o meno, di tale prerogativa».

    III — L’immunità parlamentare nel diritto comunitario

    Principi

    8.

    Le disposizioni rilevanti sono gli artt. 9 e 10 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee. L’art. 9 così recita:

    «I membri del Parlamento europeo non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni o dei voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni».

    9.

    L’art. 10 stabilisce quanto segue:

    «Per la durata delle sessioni del Parlamento europeo, i membri di esso beneficiano:

    a.

    sul territorio nazionale, delle immunità riconosciute ai membri del Parlamento del loro paese,

    b.

    sul territorio di ogni altro Stato membro, dell’esenzione da ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario.

    L’immunità li copre anche quando essi si recano al luogo di riunione del Parlamento europeo o ne ritornano.

    L’immunità non può essere invocata nel caso di flagrante delitto e non può inoltre pregiudicare il diritto del Parlamento europeo di togliere l’immunità ad uno dei suoi membri».

    10.

    Il primo punto da rilevare è che questi due articoli non si escludono reciprocamente. Essi si applicano in modo cumulativo e devono essere letti congiuntamente. Pertanto, lo stesso comportamento può ricadere nell’ambito di tutti due gli articoli e può beneficiare della tutela conferita da entrambi.

    11.

    In secondo luogo, nell’interpretare tali disposizioni è importante tenere a mente il loro scopo ed il loro oggetto. Come giustamente fatto valere dal Parlamento e dalla Commissione, l’immunità parlamentare è un meccanismo istituzionale diretto a garantire l’indipendenza del Parlamento europeo e dei suoi membri e ad agevolare il suo funzionamento di organo collegiale che svolge una funzione essenziale nel contesto di una società libera e democratica. Allo stesso tempo occorre però riconoscere che anche determinati soggetti, ossia i membri di tale Parlamento, sono a loro volta beneficiari di questo meccanismo. Per la sua stessa natura, l’immunità parlamentare conferisce a taluni soggetti, in ragione della loro funzione istituzionale, che è strumentale al ruolo democratico del Parlamento, una prerogativa che non è concessa ad altri cittadini che non svolgono tale funzione. L’idea di fondo è che, in qualità di membri della comunità politica, abbiamo convenuto che, nell’ambito della democrazia rappresentativa, corrisponde all’interesse di ciascun membro della comunità che coloro che sono stati eletti per rappresentarci godano di questa prerogativa per poter svolgere la loro funzione in modo adeguato ed efficace. Di conseguenza, non dovrebbe esservi alcun dubbio sul fatto che lo scopo dell’immunità parlamentare è di tutelare sia il Parlamento in quanto istituzione sia i suoi membri in quanto individui.

    12.

    La duplice natura dell’immunità parlamentare è riconoscibile nella formulazione e nella struttura degli artt. 9 e 10 del Protocollo. L’art. 10 definisce le circostanze in presenza delle quali un membro può godere dell’immunità per la durata delle sessioni del Parlamento sul territorio nazionale del suo Stato membro o di un altro Stato membro, o quando si reca al luogo di riunione del Parlamento europeo o ne ritorna. Tale articolo stabilisce poi che l’immunità può essere revocata dal Parlamento e non può affatto essere invocata nel caso in cui il membro sia colto in flagranza. In questo contesto la preoccupazione del legislatore comunitario è quella di tutelare i membri del Parlamento europeo nei confronti di provvedimenti che potrebbero interferire con la loro capacità di partecipare alle sessioni del Parlamento e di svolgere i loro doveri parlamentari. Tuttavia, il Parlamento può sempre revocare questa prerogativa qualora ritenga che il comportamento del membro non sia collegato al suo ruolo di membro del Parlamento e, pertanto, non possa valersi dell’immunità parlamentare. Ad esempio, se un membro è accusato di truffa o di omicidio, in linea di principio il Parlamento deve revocare la sua immunità nonostante la condanna renda impossibile l’adempimento dei suoi doveri parlamentari, e ciò poiché tali azioni sono completamente slegate dalla natura della funzione di parlamentare europeo, a meno che, naturalmente, non vi siano motivi per ritenere che l’accusa sia priva di fondamento e volta ad interferire nelle funzioni politiche del parlamentare europeo e ad impedirgli di esercitare i suoi doveri parlamentari. Per contro, l’art. 9, che si applica alle opinioni o ai voti espressi dai membri del Parlamento nell’esercizio delle loro funzioni, è precipuamente diretto a tutelare l’integrità del discorso politico e, pertanto, l’integrità del Parlamento europeo e delle sue attività in quanto tali. L’adozione di provvedimenti contro un membro che si riferiscono ad un’opinione o ad un voto che egli ha espresso nell’esercizio delle sue funzioni di parlamentare europeo lederebbe il Parlamento stesso come istituzione, in quanto pregiudicherebbe la sua funzione di sede par excellence di dibattito aperto e di discussione democratica. Ovviamente, l’art. 9, come l’art. 10, conferisce l’immunità anche ai singoli membri, nel senso che viene loro risparmiato di comparire in giudizio, ma tale meccanismo è motivato dalla considerazione che consentire procedimenti giudiziari relativi ad opinioni o voti colpirebbe il nucleo della democrazia rappresentativa e deliberativa.

    13.

    Questa differenza di registro è evidenziata dalla circostanza che il Parlamento europeo può revocare l’immunità ai sensi dell’art. 10, ma non a norma dell’art. 9. Il primo ha una portata più ampia rispetto al secondo, in quanto comprende non solo opinioni e voti, ma anche altri comportamenti; tuttavia, la tutela che esso offre è condizionata, poiché l’immunità può essere revocata dal Parlamento. D’altro lato, l’art. 9 riguarda un ambito più ristretto — protegge solo le opinioni e i voti espressi nell’esercizio delle funzioni di membro del Parlamento — ma offre una tutela assoluta: una volta che un’opinione o un voto sia ritenuto riconducibile alle funzioni parlamentari di un membro, la prerogativa non può essere revocata in nessun modo. In questo senso, si potrebbe dire che l’art. 9 costituisce il fulcro della prerogativa parlamentare, in quanto quest’ultima non può essere revocata e può essere fatta valere dai membri del Parlamento anche in relazione a procedimenti che sono stati avviati dopo che il loro mandato è terminato, mentre l’art. 10 conferisce una tutela aggiuntiva (perché il suo ambito di applicazione è più esteso rispetto a quello dell’art. 9) che però può essere revocata dal Parlamento, e contempla unicamente procedimenti promossi nel corso del mandato parlamentare.

    La causa concernente il sig. Marra

    14.

    Il sig. Marra è un cittadino italiano che desidera godere in Italia dell’immunità per avvenimenti verificatisi mentre era membro del Parlamento europeo. Egli ha messo in circolazione i volantini in oggetto tra il 1996 e il 1997 e il sig. De Gregorio ha proposto la sua azione per diffamazione l’8 giugno 1998 ( 5 ). Dato che i procedimenti sono stati iniziati quando era ancora parlamentare europeo, egli aveva diritto, in primo luogo, alla protezione offerta dall’art. 10 del protocollo. Ai sensi dell’art. 10, primo comma, lett. a), egli deve beneficiare delle stesse prerogative riconosciute ai membri del Parlamento italiano.

    15.

    L’art. 68, primo comma, della Costituzione italiana tutela le dichiarazioni rese dai membri del Parlamento italiano nei seguenti termini: «[i] membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Emerge chiaramente dall’ordinanza di rinvio che un giudice italiano dinanzi al quale sia promosso un procedimento civile o penale contro un membro del Parlamento italiano non è tenuto a chiedere la preventiva autorizzazione di tale Parlamento prima di avviare il procedimento contro tale suo membro, o a chiedere la sua opinione sull’applicabilità dell’immunità prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione italiana. Quest’ultimo garantisce ai parlamentari italiani la tutela delle opinioni e dei voti in termini identici a quelli dell’art. 9 del Protocollo e, come ha osservato il Parlamento europeo nella sua risoluzione 11 giugno 2002, entrambe le disposizioni offrono lo stesso tipo di prerogativa assoluta ( 6 ). È compito del giudice stesso valutare se questa prerogativa si applichi ad una determinata fattispecie e agire di conseguenza. Tuttavia, sembra che, ove il Parlamento italiano decida espressamente che il caso rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, ed è pertanto coperto dall’insindacabilità assoluta, il giudice deve adeguarsi e sospendere tutti i procedimenti a carico del parlamentare in questione, oppure impugnare questa decisione dinanzi alla Corte costituzionale.

    16.

    La previa autorizzazione del Parlamento italiano è invece necessaria se un giudice intende applicare ad un parlamentare una delle misure elencate nell’art. 68, secondo e terzo comma: tali misure comprendono la perquisizione personale, l’arresto o altra privazione della libertà, l’intercettazione di comunicazioni e il sequestro della corrispondenza. Queste disposizioni offrono ai parlamentari italiani una forma di prerogativa condizionata: in linea di massima, essi sono tutelati nei confronti delle suddette misure a meno che il Parlamento decida di autorizzare queste ultime su istanza dell’autorità giudiziaria.

    17.

    Quindi, se il sig. Marra rischiasse di subire un arresto o un’altra misura privativa della libertà personale come conseguenza delle azioni per diffamazione presentate nei suoi confronti, il giudice sarebbe tenuto a chiedere al Parlamento europeo di revocare la sua immunità ex art. 10, terzo comma, del Protocollo e ad astenersi da qualsiasi azione prima della decisione del Parlamento sulla sua istanza. Tuttavia, il sig. Marra non è mai stato soggetto a tale rischio: gli attori della causa principale hanno promosso un procedimento civile nei suoi confronti ed egli è stato condannato al risarcimento dei danni. I giudici italiani non erano tenuti a richiedere la revoca dell’immunità prima di riconoscere il diritto al risarcimento e l’art. 10, terzo comma, del Protocollo non è applicabile in un caso di questo genere.

    18.

    Il sig. Marra sostiene che le sue affermazioni erano tutelate dalla prerogativa dell’insindacabilità di cui all’art. 9 del Protocollo, che, in sostanza, garantisce ai membri del Parlamento europeo, quanto alle loro opinioni, la medesima tutela che l’art. 68, primo comma, della Costituzione italiana garantisce ai membri del Parlamento italiano ( 7 ). Qual è la procedura che i giudici nazionali devono seguire di fronte ad un’allegazione di questo genere? Questo è il punto centrale sul quale il giudice del rinvio chiede lumi alla Corte di giustizia. Ai sensi della corrispondente disposizione della Costituzione italiana sull’insindacabilità (art. 68, primo comma), i giudici possono formarsi una propria opinione in merito all’esistenza o meno della prerogativa in un particolare caso senza chiedere l’opinione del Parlamento qualora quest’ultimo non si sia pronunciato. Possono fare lo stesso quando interpretano l’art. 9 del Protocollo? Oppure è necessario richiedere al Parlamento europeo una decisione su questo punto?

    19.

    Nella prima questione, la Corte suprema di cassazione si riferisce alla richiesta di «revoca dell’immunità». Come spiegato sopra, tale possibilità non esiste in relazione alla prerogativa dell’insindacabilità di cui all’art. 9 del protocollo. Ciò che si intende domandare, in sostanza, è se il giudice nazionale debba chiedere al Parlamento europeo un’opinione o una raccomandazione quanto all’eventualità che i fatti di una particolare controversia determinino il sorgere di un caso di insindacabilità quando il Parlamento europeo non si è pronunciato in merito.

    20.

    Il punto di partenza per risolvere tale questione deve essere il dettato dell’art. 9. Questa disposizione conferisce una prerogativa sostanziale — l’immunità assoluta da qualsiasi forma di procedimento — ma non comporta l’obbligo processuale in capo ai giudici nazionali di consultare il Parlamento europeo in merito all’esistenza della prerogativa in un particolare caso. Se il legislatore comunitario avesse inteso limitare i poteri dei giudici nazionali in questa materia, lo avrebbe fatto esplicitamente. In mancanza di una siffatta disposizione, l’art. 9 del Protocollo non può essere interpretato nel senso che i giudici nazionali debbano richiedere l’opinione del Parlamento europeo in merito all’esistenza della prerogativa.

    21.

    Una conclusione analoga si deduce dall’art. 6, n. 3, del regolamento interno del Parlamento europeo, che recita quanto segue: «[o]gni richiesta diretta al Presidente da un deputato o da un ex deputato in difesa dei privilegi e delle immunità è comunicata al Parlamento riunito in seduta plenaria e deferita alla commissione competente» (il corsivo è mio). In questo contesto è chiaro che l’iniziativa spetta al deputato o all’ex deputato interessato. Spetta a quest’ultimo portare il proprio caso all’attenzione del Presidente e richiedere al Parlamento di intervenire in difesa della sua immunità. Non vi è alcun elemento nell’art. 6, n. 3, né in alcun’altra disposizione del regolamento interno che possa suffragare la tesi secondo cui spetta ai giudici nazionali avviare tale procedimento d’ufficio. Inoltre, un obbligo del genere in capo ai giudici nazionali non avrebbe potuto essere inserito nel regolamento interno. Mentre il Protocollo sui privilegi e sulle immunità costituisce parte del diritto comunitario primario, il regolamento è un documento meramente interno adottato dal Parlamento europeo per disciplinare il suo funzionamento: esso non produce effetti giuridici negli ordinamenti degli Stati membri e non può imporre obblighi ai giudici nazionali.

    22.

    Pertanto, ritengo che, se il Parlamento europeo non ha indicato che un caso specifico è coperto dall’immunità, in seguito ad istanza di un membro o ex membro, il giudice nazionale non sia obbligato ad avviare d’ufficio il procedimento e a chiedere l’opinione del Parlamento in merito all’esistenza dell’immunità.

    23.

    Partiamo ora dall’ipotesi opposta e supponiamo che il Parlamento si sia effettivamente pronunciato. In questo caso, il membro o ex membro che intende beneficiare dell’immunità ha richiesto al Presidente di difendere la sua prerogativa ai sensi dell’art. 6, n. 3, del regolamento interno e il Parlamento ha deciso che tale caso è coperto dall’immunità. Questa decisione è vincolante per il giudice nazionale?

    24.

    In linea di principio ritengo che non lo sia. Il fondamento giuridico del procedimento mediante il quale il Parlamento difende le prerogative dei suoi membri ed esprime il suo parere sull’applicabilità dell’immunità al caso specifico è il regolamento interno. Come detto sopra, si tratta di una disciplina interna per l’organizzazione del funzionamento interno del Parlamento, che non può essere fonte di obblighi per le autorità nazionali. Ciò emerge chiaramente dall’art. 7, n. 6, che così dispone: «[n]ei casi concernenti la difesa dei privilegi o delle immunità (…) [il Parlamento] formula una proposta per invitare l’autorità interessata a trarre le debite conclusioni». Qui è lo stesso Parlamento che sostiene, a ragione, che l’esito del procedimento di difesa della prerogativa consiste in un invito alle autorità nazionali a trarre le debite conclusioni su come procedere in uno specifico caso.

    25.

    Tuttavia, la posizione del Parlamento sull’insindacabilità, benché priva di efficacia vincolante, deve essere presa seriamente in considerazione dal giudice nazionale, che le deve riconoscere una considerevole forza persuasiva. Si tratta di un obbligo che deriva dal principio di leale cooperazione sancito dall’art. 10 CE e ribadito, per quanto riguarda il Protocollo sui privilegi e sulle immunità, dal suo art. 19 ( 8 ). Se il giudice nazionale non concorda con il Parlamento, deve illustrarne i motivi. In effetti, un eventuale disaccordo di questo genere sarebbe un indizio del fatto che si tratta di un caso idoneo a comportare un rinvio alla Corte di giustizia, alla quale il giudice nazionale può chiedere lumi in merito alla corretta interpretazione delle disposizioni rilevanti.

    26.

    Nei paragrafi precedenti ho spiegato che, quando il Parlamento europeo si sia pronunciato in merito all’esistenza, o meno, della prerogativa assoluta dell’insindacabilità ai sensi dell’art. 9 in un caso particolare, i giudici nazionali «in linea di principio» non sono vincolati all’opinione del Parlamento e, qualora non concordino con la stessa, «possono» (ma non sono obbligati a) rinviare la causa alla Corte di giustizia. Tuttavia, un obbligo di questo genere potrebbe sorgere come risultato del combinato disposto delle norme rilevanti del diritto nazionale e dell’art. 10, primo comma, lett. a).

    27.

    Abbiamo visto che l’art. 10, primo comma, lett. a), stabilisce che un membro del Parlamento europeo gode, nel proprio Stato di appartenenza, esattamente delle stesse prerogative dei membri del Parlamento nazionale. Si tratta di una condizione di stretta equivalenza. Supponiamo ora che in un determinato Stato membro viga una disposizione nazionale in forza della quale, quando il Parlamento nazionale si è pronunciato nel senso che le dichiarazioni di un membro sono coperte dalla prerogativa, i giudici nazionali devono o conformarsi all’opinione del Parlamento o rinviare la causa ad un giudice di grado superiore, come una corte costituzionale o una corte suprema. Un membro del Parlamento europeo di quello Stato ha diritto ad un trattamento identico. Ciò significa che, ove il Parlamento europeo si sia espresso sul caso, i giudici nazionali devono o conformarsi alla sua opinione o rinviare la causa alla Corte di giustizia. Il fondamento di tale obbligo riposa sull’art. 10, primo comma, lett. a), del Protocollo, che richiede una stretta equivalenza tra le prerogative attribuite ai membri del Parlamento nazionale e quelle conferite ai membri del Parlamento europeo nel loro Stato di appartenenza ( 9 ). Pertanto, un giudice nazionale dinanzi al quale penda un procedimento a carico di un membro del Parlamento europeo deve, in primo luogo, domandarsi quali sarebbero i suoi obblighi ai sensi del diritto nazionale se la persona interessata non fosse un membro del Parlamento europeo bensì del Parlamento nazionale. Qualora risulti che, in quel caso, sarebbe possibile risolvere la questione in modo contrario all’opinione del Parlamento nazionale, egli potrebbe agire allo stesso modo per quanto riguarda l’opinione del Parlamento europeo, ma dovrebbe seriamente valutare l’opportunità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Qualora risulti invece che, in quel caso, egli sarebbe tenuto a seguire l’opinione del Parlamento nazionale o a rinviare la causa ad un giudice di grado superiore, dovrebbe allora o conformarsi all’opinione del Parlamento europeo, o effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. In questo modo, i membri del Parlamento europeo godranno esattamente della stessa immunità riconosciuta ai membri del Parlamento nazionale. Ovviamente compete al giudice nazionale interpretare il diritto interno ed accertare che cosa esso richieda.

    28.

    Per ricapitolare: dal Protocollo sui privilegi e sulle immunità non emerge alcun elemento che, nei casi in cui il membro interessato non abbia chiesto al Parlamento di difendere la sua prerogativa, possa essere interpretato nel senso che i giudici nazionali sono tenuti ad avviare d’ufficio il procedimento e a chiedere al Parlamento europeo un parere o una raccomandazione in merito all’esistenza o meno della prerogativa in un determinato caso. Qualora un membro abbia chiesto al Parlamento di difendere la sua prerogativa e tale istituzione abbia espresso la sua opinione, quest’ultima, in linea di principio, non è vincolante per il giudice nazionale, ma deve essere presa seriamente in considerazione. Ove il giudice nazionale giunga ad una conclusione diversa da quella del Parlamento europeo, può essere opportuno un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Tuttavia, ove risulti che, ai sensi del diritto nazionale, in una situazione analoga concernente un membro del Parlamento nazionale, i giudici nazionali sarebbero tenuti a seguire l’opinione del Parlamento nazionale o a rinviare la causa ad un giudice di grado superiore, essi hanno allora lo stesso obbligo per quanto riguarda l’opinione del Parlamento europeo, e dovrebbero conformarvisi oppure rinviare la causa alla Corte di giustizia.

    29.

    In base alle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale come segue:

    Il giudice nazionale dinanzi al quale sia pendente una causa civile nei confronti di un membro del Parlamento europeo non è tenuto a richiedere l’opinione del Parlamento per sapere se l’immunità parlamentare ricomprenda la condotta di cui trattasi, se il membro interessato non ha egli stesso avviato il procedimento di cui all’art. 6, n. 3, del regolamento interno del Parlamento europeo, relativo alle richieste, presentate al Parlamento dai suoi membri, affinché esso ne difenda le prerogative. Qualora il membro interessato abbia avviato il procedimento e il Parlamento abbia espresso la sua opinione in merito all’immunità, tale opinione non è vincolante per il giudice nazionale, ma deve essere presa seriamente in considerazione. Ove il giudice nazionale pervenga ad una conclusione diversa da quella del Parlamento, può essere opportuno un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Tuttavia, ove risulti che, in una situazione analoga concernente un membro del Parlamento nazionale, i giudici nazionali sarebbero tenuti a seguire l’opinione del Parlamento nazionale o a rinviare la causa ad un giudice di grado superiore, essi hanno allora lo stesso obbligo per quanto riguarda le opinioni del Parlamento europeo, e dovrebbero conformarvisi oppure rinviare la causa alla Corte di giustizia. Quest’ultima valutazione spetta al giudice nazionale.

    IV — La portata dell’art. 9 del Protocollo: «nell’esercizio delle loro funzioni»

    30.

    Sebbene il giudice del rinvio non abbia chiesto alla Corte di giustizia lumi in merito alla portata dell’art. 9 del Protocollo, una parte considerevole dell’ordinanza di rinvio riguarda proprio la seguente questione: quali espressioni di opinione vanno considerate rientranti nell’ambito delle funzioni di un parlamentare e, quindi, coperte dalla prerogativa assoluta dell’insindacabilità prevista da tale articolo? Ribadisco che tale argomento potrebbe costituire materia per un rinvio pregiudiziale, in particolar modo se i giudici nazionali non concordano con il Parlamento europeo quanto all’applicabilità, o meno, della prerogativa in un determinato caso. Nella causa in esame la Corte suprema di cassazione sarà poi chiamata a decidere se i giudici di merito abbiano applicato correttamente l’art. 9, pertanto è non solo ragionevole, ma anche auspicabile, che la Corte di giustizia offra almeno qualche orientamento in materia ( 10 ).

    31.

    È vero che, quando al cittadino che si ritenga danneggiato da una dichiarazione rilasciata da un membro del Parlamento sia negata la possibilità di chiedere ristoro in giudizio, poiché tale membro si avvale della prerogativa parlamentare, il suo diritto di ottenere giustizia è pregiudicato. Per evitare che si creino due classi di cittadini — da una parte i membri del Parlamento, che non possono essere convenuti in giudizio per le dichiarazioni che rilasciano, e dall’altra i normali cittadini, la cui libertà di parola può essere limitata in forza del diritto civile e penale — praticamente tutti gli ordinamenti giuridici circoscrivono la facoltà di avvalersi della prerogativa alle situazioni in cui il membro sta svolgendo le sue funzioni parlamentari. L’immunità parlamentare non è un’arma che i membri del Parlamento possano utilizzare per risolvere controversie personali, bensì un meccanismo istituzionale a sostegno del funzionamento democratico della comunità politica. In quanto tale, essa non costituisce, in linea di principio, una restrizione sproporzionata del diritto di agire in giudizio ( 11 ).

    32.

    Quando è chiamato ad esaminare se un’opinione espressa da un membro del Parlamento rientri nella nozione di svolgimento delle funzioni parlamentari, il giudice deve muovere dal principio che giustifica l’immunità parlamentare, ossia la libertà dei membri di discutere su materie di interesse pubblico senza essere obbligati a modellare le loro opinioni in modo da renderle accettabili o inoffensive per chi le ascolta, senza temere, in caso contrario, di essere citati in giudizio ( 12 ). Ciò significa, inevitabilmente, che in certi casi qualcuno potrà considerare le opinioni espresse da un parlamentare europeo eccessive, irritanti o offensive. Ciò nonostante, in uno Stato liberale e democratico, l’importanza di un dialogo disinibito su temi pubblici è tale che, in linea di principio, anche le opinioni offensive o estreme non devono essere messe a tacere. Questo vale in modo particolare per i membri del Parlamento, i quali, per la stessa natura delle loro funzioni, svolgono un ruolo centrale nel sistema del governo rappresentativo.

    33.

    Le origini della prerogativa parlamentare della libertà di espressione risalgono al periodo in cui in Inghilterra regnavano le dinastie dei Tudor e degli Stuart. La prerogativa si sviluppò progressivamente come reazione del Parlamento ai tentativi della corona di intervenire nel dibattito parlamentare e di limitare il diritto del Parlamento di avviare proprie iniziative ( 13 ). Essa trovò espressione legislativa nell’art. 9 del Bill of Rights: «che la libertà di parola e di dibattito o procedura in Parlamento non siano poste sotto accusa o contestate in alcuna corte né in alcuna sede fuori dal Parlamento». La prerogativa nacque come meccanismo istituzionale limitato nello spazio poiché, a quel tempo, la dialettica politica era concentrata nel Parlamento. Il potere del Parlamento e quello della monarchia erano antagonisti. La monarchia considerava l’attività parlamentare una minaccia al suo status: di qui il tentativo di interferire con quanto accadeva all’interno del Parlamento e la reazione di quest’ultimo, che determinò l’istituzione della prerogativa.

    34.

    Al giorno d’oggi, tuttavia, il foro in cui si svolge il dibattito politico sulle questioni di rilevanza pubblica è considerevolmente più ampio. Nella nostra epoca esiste un’arena pubblica assai più vasta — comprendente mezzi di comunicazione stampati ed elettronici, nonché Internet — all’interno della quale i singoli interagiscono e partecipano al dibattito pubblico. Il ruolo di vettori e di istigatori del dibattito politico svolto dai membri del Parlamento in questa vasta arena pubblica riveste la stessa importanza del loro ruolo all’interno degli stretti confini del Parlamento. L’aspettativa che essi si impegnino in un dialogo con la società civile e presentino le loro idee non solo nella tribuna del Parlamento, ma anche nelle sedi messe a loro disposizione dalla società civile, costituisce un tratto fondamentale della moderna democrazia. In verità, oserei dire che una parte alquanto significativa del dibattito politico contemporaneo si svolge fuori dal Parlamento. Ignoreremmo questa realtà se dovessimo ritenere che la prerogativa parlamentare tuteli unicamente le dichiarazioni rilasciate all’interno del Parlamento stesso.

    35.

    Pertanto, il criterio di cui avvalersi per individuare quali siano le dichiarazioni effettuate nello svolgimento delle funzioni di membro del Parlamento non può essere di tipo spaziale. Sarebbe limitativo ritenere che unicamente le dichiarazioni effettuate nel corso dei procedimenti parlamentari all’interno del Parlamento europeo godano della tutela di cui all’art. 9 del Protocollo. Per i membri del Parlamento europeo, poter partecipare a dibattiti in Parlamento senza temere procedimenti giudiziari è importante tanto quanto poter partecipare a dibattiti pubblici su una scena più ampia senza il detto timore. In altre parole, nella valutazione dell’applicabilità dell’art. 9 del Protocollo ciò che conta è la natura di quello che i parlamentari dicono e non il luogo in cui si esprimono ( 14 ).

    36.

    A mio parere questa tesi è in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’importanza del dibattito politico. È un principio consolidato che tale dibattito gode del massimo livello di protezione ai sensi dell’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e che i provvedimenti nazionali che incidono sull’espressione delle opinioni politiche sono attentamente vagliati dalla Corte di Strasburgo ( 15 ). Quest’ultima ha esteso questa intensa tutela del discorso politico ad altre materie di interesse generale ( 16 ). La logica sottesa a questo orientamento risiede nella necessità di garantire l’esistenza di uno spazio sicuro dove possa svolgersi il dibattito pubblico. All’interno di tale spazio possono essere tutelati persino discorsi offensivi o oltraggiosi, i quali molto spesso possiedono «una capacità unica di focalizzare l’attenzione, di smontare i preconcetti e di colpire il pubblico presentandogli aspetti della vita insoliti» ( 17 ). È proprio questo il genere di dibattito pubblico che l’art. 9 del Protocollo era diretto a tutelare e a promuovere, in particolar modo con riferimento alle opinioni espresse dai membri del Parlamento europeo.

    37.

    La regola secondo cui l’art. 9 deve essere interpretato estensivamente e deve conferire un’ampia tutela ai membri del Parlamento europeo è assoggettata a due specificazioni: in primo luogo, l’opinione oggetto di un determinato caso deve riguardare una materia di autentico interesse pubblico. Una dichiarazione su un tema di interesse generale sarà coperta dalla prerogativa assoluta dell’insindacabilità garantita dall’art. 9 a prescindere dal fatto che sia stata rilasciata all’interno o all’esterno della sede del Parlamento europeo, mentre la stessa prerogativa non può essere concessa ai membri del Parlamento europeo nell’ambito di cause o controversie con altri soggetti che li riguardino personalmente ma siano prive di significato per il pubblico in generale. Analogo orientamento è stato seguito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per quanto riguarda il livello di protezione di cui godono i diversi tipi di discorso. Una dichiarazione che non contribuisce a un dibattito di interesse generale, pur rientrando nell’ambito di tutela della libertà d’espressione, non beneficerà dello stesso elevato livello di tutela di cui godono i discorsi politici e i discorsi su altre materie di importanza generale ( 18 ). Intendo essere chiaro su questo punto: la circostanza che una dichiarazione contribuisca o meno al dibattito pubblico non deve essere accertata sulla scorta dello stile, dell’accuratezza o della correttezza della dichiarazione, bensì alla luce della natura della materia in oggetto. Anche una dichiarazione potenzialmente offensiva o inesatta può essere tutelata se è collegata all’espressione di un particolare orientamento nel contesto della discussione di un tema di pubblico interesse. Non spetta al giudice sostituire le proprie opinioni a quelle del pubblico nella valutazione della correttezza e dell’esattezza delle dichiarazioni politiche.

    38.

    In secondo luogo, occorre tracciare una distinzione tra l’attribuzione di fatti a determinati soggetti e le opinioni o i giudizi di valore ( 19 ). Come ha dichiarato la Corte europea dei diritti dell’uomo, «mentre l’esistenza di fatti può essere dimostrata, la veridicità dei giudizi di valore non è suscettibile di prova. Il requisito relativo alla prova della veridicità di un giudizio di valore è impossibile da soddisfare e viola la libertà di opinione stessa, che è un elemento fondamentale del diritto garantito dall’art. 10» ( 20 ). Quando un membro del Parlamento esprime un giudizio di valore su una questione di interesse generale, a prescindere da quanto tale giudizio possa essere considerato irritante o offensivo da alcune persone, in linea di principio egli deve godere della prerogativa assoluta dell’insindacabilità. Tuttavia, l’art. 9 del Protocollo, che fa espressamente riferimento alle «opinioni», non include dichiarazioni rilasciate da membri del Parlamento europeo che contengano l’attribuzione di fatti ad altri soggetti. Ad esempio, dire che qualcuno è incompetente e dovrebbe dimettersi dalla sua funzione rappresenta una forma di critica che, seppur offensiva per la persona che ne è oggetto, costituisce l’espressione di un’opinione e rientra nell’ambito dell’art. 9 del Protocollo. Allo stesso modo, dichiarazioni non rivolte a soggetti specifici, ma che riguardano istituzioni, devono godere di ampia tutela. Senza voler entrare nel merito dei fatti della causa in esame, mi sembra che sussista una differenza rilevante tra dichiarazioni riguardanti singoli giudici e dichiarazioni concernenti il sistema giudiziario in generale. Quest’ultimo costituisce un aspetto importante della vita pubblica, la cui discussione è sicuramente rilevante nel dibattito politico. Al contrario, dire che qualcuno, sia esso un giudice o altra persona, si è appropriato di denaro pubblico o è corrotto, è un’affermazione di fatto, e alla persona oggetto di tale dichiarazione deve essere consentito ricorrere alle vie giudiziarie per tutelare la sua reputazione, mentre l’autore delle dichiarazioni deve essere chiamato a dimostrarne la veridicità, a prescindere dal fatto che sia un membro del Parlamento.

    39.

    Questa distinzione tra una dichiarazione che contiene una critica generale e l’attribuzione di fatti ad un soggetto è stata al centro della sentenza della Corte di Strasburgo nella causa Patrono, Cascini e Stefanelli c. Italia  ( 21 ), cui fa riferimento la Corte suprema di cassazione nell’ordinanza di rinvio. La causa riguardava talune dichiarazioni rilasciate da due parlamentari nei confronti di una serie di giudici in merito alla loro condotta professionale mentre lavoravano all’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia. La Corte di Strasburgo ha sottolineato che i parlamentari convenuti non avevano espresso opinioni politiche generali sul rapporto tra la magistratura e il potere esecutivo, ma avevano attribuito ai giudici ricorrenti specifici atti censurabili, lasciando intendere che essi fossero penalmente perseguibili ( 22 ). È vero che la Corte ha anche fatto riferimento alla circostanza che le dichiarazioni erano state rilasciate in una conferenza stampa e non in una sessione legislativa, ma questo profilo costituisce una considerazione secondaria. La Corte europea dei diritti dell’uomo non ha mai statuito che una dichiarazione non è tutelata dalla prerogativa parlamentare unicamente perché è stata rilasciata fuori dalle sedi parlamentari.

    40.

    Per concludere, l’art. 9 del Protocollo, che garantisce ai membri del Parlamento europeo la prerogativa assoluta dell’insindacabilità con riguardo alle opinioni espresse nello svolgimento delle loro funzioni, deve essere interpretato estensivamente. Esso include dichiarazioni di opinioni e giudizi di valore su materie di interesse pubblico e/o di rilevanza politica, a prescindere dalla circostanza che siano rilasciate all’interno o all’esterno del Parlamento europeo. Sono incluse le dichiarazioni che possono irritare o offendere il pubblico in generale o singoli che ne siano i destinatari diretti o indiretti. Tale prerogativa, tuttavia, non può essere invocata con riferimento ad allegazioni di fatti relativi ad un singolo, né nel contesto di questioni private avulse da temi di rilevanza pubblica o riconducibili al dibattito politico.

    V — Conclusione

    41.

    Per i motivi innanzi esposti, ritengo che la Corte debba risolvere la questione sottopostale dalla Corte suprema di cassazione come segue:

    Il giudice nazionale dinanzi al quale sia pendente un processo civile nei confronti di un membro del Parlamento europeo non è tenuto a richiedere l’opinione del Parlamento per sapere se l’immunità parlamentare ricomprenda la condotta di cui trattasi, se il membro interessato non ha egli stesso avviato il procedimento di cui all’art. 6, n. 3, del regolamento interno del Parlamento europeo, relativo alle richieste inoltrate al Parlamento dai suoi membri affinché esso ne difenda le prerogative. Qualora il membro interessato abbia avviato il procedimento e il Parlamento abbia espresso la sua opinione in merito all’immunità, tale opinione non è vincolante per il giudice nazionale, ma deve essere presa seriamente in considerazione. Ove il giudice nazionale pervenga ad una conclusione diversa da quella del Parlamento, può essere opportuno un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Tuttavia, ove risulti che, in una situazione analoga concernente un membro del Parlamento nazionale, i giudici nazionali sarebbero tenuti a seguire l’opinione del Parlamento nazionale o a rinviare la causa ad un giudice di grado superiore, essi hanno allora lo stesso obbligo per quanto riguarda le opinioni del Parlamento europeo, e dovrebbero conformarvisi oppure rinviare la causa alla Corte di giustizia. Quest’ultima valutazione spetta al giudice nazionale.


    ( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

    ( 2 ) [2001/2099(REG)], A5-0213/2002, relatore: Sir Neil MacCormick.

    ( 3 ) [2001/2099(REG)], P5_TA (2002)0291.

    ( 4 ) Una possibile spiegazione potrebbe essere che, quando il tribunale ha trattato le cause contro il sig. Marra, il Parlamento europeo ancora non aveva emanato la propria risoluzione, di modo che la Corte suprema di cassazione, nel riesaminare le decisioni dei giudici di merito, si è concentrata sulla questione della loro correttezza nel caso di inerzia da parte del sig. Marra o del Parlamento europeo. Ad ogni modo, credo che le risposte che darò nelle pagine seguenti forniranno un adeguato orientamento per l’interpretazione delle disposizioni del Protocollo qui rilevanti, così da consentire al giudice nazionale di decidere la causa, anche se i fatti si fossero svolti come descritto nell’ordinanza di rinvio.

    ( 5 ) L’ordinanza di rinvio nella causa relativa al sig. Clemente non indica la data in cui egli ha proposto la sua azione contro il sig. Marra.

    ( 6 ) Risoluzione [2001/2099(REG)], P5_TA (2002)0291, punto C.

    ( 7 ) Pertanto, il rapporto di equivalenza richiesto dall’art. 10, primo comma, lett. a), del Protocollo è, in questo caso, tra l’insindacabilità di cui godono i membri del Parlamento italiano ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione e quella di cui usufruiscono i membri del Parlamento europeo ex art. 9 del protocollo.

    ( 8 ) «Ai fini dell’applicazione del presente Protocollo, le istituzioni delle Comunità agiranno d’intesa con le autorità responsabili degli Stati membri interessati».

    ( 9 ) Naturalmente, l’opinione del Parlamento europeo sarà rilevante solo se decide che un parlamentare europeo ancora in carica gode dell’immunità a norma dell’art. 10, primo comma, lett. a). Se il Parlamento dovesse revocare l'immunità ai sensi dell’art. 10, il giudice nazionale potrebbe ancora riconoscere tale prerogativa se ritenesse che una particolare dichiarazione fosse coperta dall’insindacabilità derivante dall'art. 9, che il Parlamento stesso non può revocare. L’apparente complessità che emerge dall'applicazione cumulativa degli artt. 9 e 10 risulta dal fatto che la loro interpretazione dipende da due diverse istituzioni (il Parlamento europeo e i giudici) e che una decisione sull'immunità in un caso specifico può dipendere da decisioni di entrambe tali istituzioni.

    ( 10 ) Si potrebbe obiettare che la Corte suprema di cassazione, se desiderasse informazioni sull’interpretazione sostanziale dell'art. 9 del protocollo, potrebbe effettuare un secondo rinvio pregiudiziale nella causa in esame. Tuttavia, considerazioni di economia processuale, la necessità di una rapida soluzione della controversia e l’auspicabile risparmio del tempo e delle risorse della Corte depongono a favore di una discussione dell’argomento in questa sede. Ovviamente, anche ove la Corte proceda in tal senso, nulla impedisce al giudice nazionale di effettuare un ulteriore rinvio pregiudiziale, se lo considera necessario.

    ( 11 ) Si veda la discussione in Corte eur. D. U., sentenza Cordova c. Italia (n. 1), n. 40877/98, §§ 58-61, Recueil des arrêts et décisions 2003-I.

    ( 12 ) Come rilevato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in Corte eur. D. U., sentenza A. c. Regno Unito, n. 35373/97, § 75, Recueil des arrêts et décisions 2002-X «[la] finalità dell'immunità concessa ai [membri del Parlamento] (…) è di consentire loro di partecipare costruttivamente ai dibattiti parlamentari e di rappresentare i loro elettori su questioni di interesse pubblico formulando liberamente le proprie opinioni e le proprie osservazioni senza rischio di essere citati in giudizio in tribunale o dinanzi ad un’altra autorità» [N. d. T: traduzione libera].

    ( 13 ) D. Limon e W.R. McKay, Erskine May's Treatise on The Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, Butterworths, 1997, pag. 69 e segg.; R. Blackburn. e A. Kennon, Griffith and Ryle on Parliament Functions, Practice and Procedures, Sweet and Maxwell, 2003, pag. 126.

    ( 14 ) Il Parlamento europeo e la Commissione hanno fatto valere che un criterio spaziale è inadeguato e che anche le dichiarazioni fatte fuori dal Parlamento devono essere coperte dalla tutela offerta dall’art. 9 del Protocollo se sono collegate alle attività del membro del Parlamento in quanto tale.

    ( 15 ) V. Corte eur. D. U., sentenze Lingens c. Austria dell’8 luglio 1986, serie A, n. 103; Barfod c. Danimarca del 22 febbraio 1989, serie A, n. 149: Castells c. Spagna del 23 aprile 1992, serie A n. 236; Schwabe c. Austria del 28 agosto 1992, serie A, n. 242-B; Oberschlik c. Austria del 23 maggio 1991, serie A, n. 204; Lehideux e Isorni c. Francia del 23 settembre 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998-VII. Si veda anche I. Loveland, Political Libels: A Comparative Study, Hart Publishing, 2000, pag. 107 e segg.

    ( 16 ) V. Corte eur. D. U., sentenza Thorgeirson c. Islanda del 25 giugno 1992, serie A, n. 239, § 64: «non vi è alcuna giustificazione nella giurisprudenza per distinguere (…) tra il dibattito politico ed il dibattito su altre materie di interesse generale» [N.d.T: traduzione libera].

    ( 17 ) R. Post, Constitutional Domains: Democracy, Community, Management, Harvard University Press, 1995, pag. 139.

    ( 18 ) Ad esempio, nella sentenza Corte eur. D. U. 1, von Hannover c. Germania (2005) 40,, la Corte di Strasburgo ha dichiarato che la pubblicazione di fotografie della principessa Carolina di Monaco impegnata in varie attività quotidiane, come cenare o fare spese, godeva di una tutela limitata, ai sensi dell'art. 10 della Convenzione, rispetto alle pubblicazioni di natura politica.

    ( 19 ) Non è sempre facile distinguere tra un giudizio di valore e una dichiarazione relativa ad un fatto. A tal fine, i giudici e la dottrina hanno adottato diversi metodi. Rimane tuttavia la miglior distinzione possibile. Si veda R. Post, cit. alla nota 17, pag. 153 e segg.

    ( 20 ) V. Corte eur. D. U., sentenza Feldek c. Slovacchia, n. 29032/95, § 75, Recueil des arrêts et décisions 2001-VIII. [N.d.T: traduzione libera].

    ( 21 ) V. Corte eur. D. U., sentenza 20 aprile 2006, n. 10180/04.

    ( 22 ) Ibidem, § 62: «[i convenuti] non hanno espresso opinioni politiche relative al rapporto tra la magistratura e il potere esecutivo, o in merito al progetto di legge sulle commissioni rogatorie, bensì, piuttosto, ascritto precisi comportamenti censurabili ai ricorrenti. In un caso del genere non è possibile giustificare il diniego di accesso alla giustizia per il solo motivo che la controversia potrebbe avere natura politica o potrebbe essere collegata all'attività politica» [N.d.T: traduzione libera].

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