Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 62006CJ0380

Sentenza della Corte (Prima Sezione) dell'11 dicembre 2008.
Commissione delle Comunità europee contro Regno di Spagna.
Inadempimento di uno Stato - Ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali - Termine - Direttiva 2000/35/CE - Violazione dell’art. 3, nn. 1, 2 e 4.
Causa C-380/06.

Raccolta della Giurisprudenza 2008 I-09245

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2008:702

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

11 dicembre 2008 ( *1 )

«Inadempimento di uno Stato — Ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali — Termine — Direttiva 2000/35/CE — Violazione dell’art. 3, nn. 1, 2 e 4»

Nella causa C-380/06,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 15 settembre 2006,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. B. Schima e dalla sig.ra S. Pardo Quintillán, in qualità di agenti,

ricorrente,

contro

Regno di Spagna, rappresentato dal sig. F. Díez Moreno, in qualità di agente,

convenuto,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič, A. Tizzano (relatore), A. Borg Barthet e J.-J. Kasel, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 13 febbraio 2008,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 luglio 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, autorizzando un termine di 90 giorni per il pagamento di determinati prodotti alimentari e di largo consumo, e differendo l’entrata in vigore di talune disposizioni legislative al 1o luglio 2006, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 3, nn. 1, 2 e 4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 giugno 2000, 2000/35/CE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (GU L 200, pag. 35).

Contesto normativo

La normativa comunitaria

2

L’art. 3 della direttiva 2000/35, intitolato «Interessi in caso di ritardo di pagamento», recita:

«1.   Gli Stati membri assicurano quanto segue:

a)

gli interessi di cui alla lettera b) cominciano a decorrere dal giorno successivo alla data di scadenza o alla fine del periodo di pagamento stabiliti nel contratto;

b)

se la data o il periodo di pagamento non sono stabiliti nel contratto, gli interessi cominciano a decorrere automaticamente, senza che sia necessario un sollecito:

i)

trascorsi 30 giorni dal ricevimento della fattura da parte del debitore o di una richiesta equivalente di pagamento, o

ii)

se non vi è certezza sulla data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento, trascorsi 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, o

iii)

se la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi, trascorsi 30 giorni dal ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, o

iv)

se la legge o il contratto prevedono una procedura di accettazione o di verifica, diretta ad accertare la conformità delle merci o dei servizi al contratto, e se il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento anteriormente o alla stessa data dell’accettazione o della verifica, trascorsi 30 giorni, da quest’ultima data;

(…)

2.   Per talune categorie di contratti che saranno definite dal legislatore nazionale, gli Stati membri possono elevare fino a 60 giorni il periodo alla cui scadenza sono dovuti gli interessi, qualora essi rendano inderogabile per le parti del contratto tale termine o stabiliscano un tasso d’interesse inderogabile, sensibilmente superiore al tasso legale.

3.   Gli Stati membri dispongono che un accordo sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardo di pagamento che non sia conforme alle disposizioni di cui ai paragrafi 1, lettere da b) a d), e 2 non possa essere fatto valere e non dia diritto a un risarcimento del danno, se, considerate tutte le circostanze del caso, ivi compresa la corretta prassi commerciale e la natura del prodotto, risulti gravemente iniquo nei confronti del creditore. Per determinare se un accordo è gravemente iniquo per il creditore, si terrà conto inter alia se il debitore ha qualche motivo oggettivo per ignorare le disposizioni dei paragrafi 1, lettere da b) a d), e 2. Ove si accerti che tale accordo è gravemente iniquo, si applicano i termini legali, a meno che il giudice nazionale non riporti il contratto ad equità.

4.   Gli Stati membri assicurano che, nell’interesse dei creditori e dei concorrenti, esistano mezzi efficaci ed idonei per impedire il continuo ricorso a condizioni gravemente inique nel senso di cui al paragrafo 3.

(…)».

3

L’art. 6 di detta direttiva, intitolato «Recepimento», dispone quanto segue:

«1.   Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva anteriormente all’8 agosto 2002. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

(…)

2.   Gli Stati membri possono lasciare in vigore od emanare norme che siano più favorevoli al creditore di quelle necessarie per conformarsi alla presente direttiva.

(…)’.

La normativa nazionale

4

La legge 29 dicembre 2004, n. 3/2004, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (BOE n. 314, del 30 dicembre 2004, pag. 42334), è diretta a trasporre nell’ordinamento giuridico spagnolo la direttiva 2000/35.

5

La legge 15 gennaio 1996, n. 7/1996, sul commercio al dettaglio (BOE n. 15, del 17 gennaio 1996, pag. 1243), contiene, al suo art. 17, norme che regolano i pagamenti dei fornitori.

6

Ai sensi della prima disposizione addizionale della legge n. 3/2004 intitolata «Regime dei pagamenti nel commercio al dettaglio», per i pagamenti ai fornitori nel commercio al dettaglio, le disposizioni dell’art. 17 della legge n. 7/1996 si applicano a titolo principale e la legge n. 3/2004 trova applicazione solo in via suppletiva.

7

L’art. 17 della legge n. 7/1996, come modificato dalla seconda disposizione finale, n. 1, della legge n. 3/2004, dispone quanto segue:

«1.   In mancanza di un accordo espresso, si intende che i rivenditori devono pagare il prezzo delle merci entro 30 giorni dalla data della consegna.

(…)

3.   Il pagamento di prodotti alimentari freschi e deperibili non può in alcun caso essere differito per più di 30 giorni. Il pagamento di altri prodotti alimentari e prodotti di largo consumo non può essere differito per un periodo superiore a 60 giorni, se non con un accordo espresso che preveda un indennizzo economico per il fornitore equivalente al periodo ulteriore. Il pagamento non può in alcun caso essere differito per più di 90 giorni.

(…)

5.   In ogni caso, gli interessi di mora cominciano a decorrere automaticamente dal giorno successivo alla data fissata per il pagamento o, in mancanza di un accordo, dalla data in cui il pagamento dovrebbe essere effettuato ai sensi delle disposizioni di cui al paragrafo 1 (…)».

8

La seconda disposizione transitoria della legge n. 7/1996, introdotta dalla seconda disposizione finale, n. 2, della legge n. 3/2004, ha il seguente tenore letterale:

«Il termine fissato per i prodotti freschi e deperibili resta il termine di 30 giorni già previsto. La limitazione ad un massimo di 60 giorni prevista all’art. 17, n. 3, della presente legge si applica a partire dal 1o luglio 2006. Fino ad allora, il pagamento di prodotti alimentari non freschi o deperibili e di prodotti di largo consumo non può essere differito per più di 90 giorni dalla consegna delle merci».

Il procedimento precontenzioso

9

Dando seguito ad una denuncia, la Commissione, con lettera 13 luglio 2005, ha ingiunto al Regno di Spagna di fornirle, entro un termine di due mesi, le sue osservazioni sulla compatibilità della legge n. 3/2004 con l’art. 3, nn. 1, 2, 4 e 5, della direttiva 2000/35.

10

Non avendo ricevuto alcuna risposta dal Regno di Spagna, la Commissione, il 19 dicembre 2005, ha inviato a tale Stato membro un parere motivato nel quale faceva valere, segnatamente, quanto segue:

il termine di 90 giorni per il pagamento di determinati prodotti alimentari e di largo consumo autorizzato dall’art. 17, n. 3, della legge n. 7/1996, come modificato dalla seconda disposizione finale, n. 1, della legge n. 3/2004, è contrario alle disposizioni dell’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 2000/35, e

la seconda disposizione transitoria della legge n. 7/1996, introdotta dalla seconda disposizione finale, n. 2, della legge n. 3/2004, in quanto differisce fino al 1o luglio 2006 l’applicazione del termine massimo di 60 giorni, è incompatibile con l’art. 3, nn. 1, 2 e 4, di tale direttiva, il cui termine per la trasposizione è scaduto l’8 agosto 2002 senza che fosse stata ammessa alcuna possibilità di deroga al riguardo.

11

Non soddisfatta delle risposte fornite dal Regno di Spagna, la Commissione ha investito la Corte del ricorso per inadempimento in esame.

Sul ricorso

Sul primo addebito

Argomenti delle parti

12

La Commissione sostiene che l’art. 17, n. 3, della legge n. 7/1996, come modificato dalla seconda disposizione finale, n. 1, della legge n. 3/2004, viola l’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 2000/35, in quanto prevede che il termine massimo di pagamento del prezzo dei prodotti alimentari e di largo consumo diversi dai prodotti alimentari freschi o deperibili può giungere fino a 90 giorni, alla sola condizione che sia previsto a favore del fornitore «un indennizzo economico (…) equivalente al periodo ulteriore».

13

Infatti, tale disposizione consentirebbe di prorogare il termine massimo di pagamento di 60 giorni, previsto all’art. 3, n. 2, della direttiva 2000/35, senza tuttavia stabilire, contrariamente a quanto richiesto da detta disposizione «un tasso d’interesse inderogabile, sensibilmente superiore al tasso legale». A tal riguardo, l’indennizzo economico equivalente al periodo ulteriore previsto dalla disposizione nazionale controversa non potrebbe essere paragonato all’applicazione di un siffatto tasso d’interesse, in quanto la formulazione impiegata dal legislatore spagnolo manca di precisione.

14

Il Regno di Spagna rammenta, in primo luogo, che la direttiva 2000/35 è diretta ad introdurre misure favorevoli al creditore per limitare i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, pur rispettando la libertà contrattuale delle parti.

15

Orbene, le disposizioni controverse, vietando in modo assoluto la previsione contrattuale di un termine superiore a 90 giorni, metterebbero in pratica un regime più restrittivo e maggiormente favorevole al creditore rispetto a quello disposto dalla direttiva 2000/35, il cui l’art. 3, n. 2, consente di stipulare un termine più lungo di quello di 60 giorni, senza tuttavia fissare limiti massimi a tale possibilità. Per tale motivo, la normativa nazionale di cui trattasi sarebbe altresì compatibile con l’art. 6, n. 2, di tale direttiva, che consente agli Stati membri di lasciare in vigore o emanare norme più favorevoli al creditore di quelle necessarie per conformarsi a detta direttiva.

16

Lo Stato membro convenuto precisa poi che, poiché il termine di 90 giorni può essere applicato solo nel caso sia stabilito un indennizzo economico equivalente al periodo ulteriore, sarebbe rispettata l’esigenza prevista all’art. 3, n. 2, della direttiva 2000/35, relativa al pagamento di interessi di mora ad un tasso sensibilmente superiore al tasso legale.

Giudizio della Corte

17

In via preliminare occorre rammentare che, come risulta dall’art. 3, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/35, le parti sono, in linea di principio, libere di stabilire nel loro contratto la data o il periodo di pagamento.

18

Di conseguenza, è solo in mancanza di una clausola contrattuale in materia che deve trovare applicazione il termine legale di 30 giorni menzionato all’art. 3, n. 1, lett. b), di tale direttiva.

19

L’art. 3, n. 2, della direttiva 2000/35 consente poi agli Stati membri di prolungare il detto termine di 30 giorni, ma subordina tale possibilità ad una duplice condizione. In primo luogo, detta possibilità dev’essere limitata a talune categorie di contratti. In secondo luogo, per quanto riguarda la durata del termine derogatorio, quest’ultimo può essere prorogato fino ad un massimo di 60 giorni, se viene vietato alle parti di derogarvi contrattualmente, ovvero a condizione che sia applicabile un tasso d’interesse inderogabile, sensibilmente superiore al tasso legale.

20

Pertanto, è alla luce del contenuto e dell’economia generale delle disposizioni della direttiva 2000/35 ricordate ai punti precedenti che devono essere esaminate le contestazioni fatte valere dalla Commissione in merito alle disposizioni nazionali controverse.

21

Orbene, occorre rilevare che, da un lato, l’art. 17, n. 3, della legge n. 7/1996, come modificato dalla seconda disposizione finale, n. 1, della legge n. 3/2004, autorizza, per i prodotti alimentari che non sono né freschi né deperibili e per i prodotti di largo consumo, la possibilità di prolungare fino a 60 giorni il termine di pagamento di 30 giorni applicabile, conformemente all’art. 17, n. 1, in mancanza di accordo espresso tra le parti. Dall’altro, la seconda frase del n. 3 di detto art. 17, sulla quale vertono le contestazioni della Commissione, ammette una possibilità di proroga ulteriore di detto termine di 30 giorni fino a 90 giorni in presenza di un accordo espresso tra le parti che preveda, per il fornitore, un indennizzo economico equivalente al periodo ulteriore.

22

È giocoforza constatare, quindi, che, secondo lo stesso tenore letterale della disposizione controversa, la possibilità di proroga del termine di pagamento al di là di 60 giorni è subordinata alla stipula, al riguardo, di un «accordo espresso» tra le parti.

23

Di conseguenza, non può essere accolta la contestazione della Commissione diretta a dimostrare che la disposizione nazionale di cui trattasi viola l’art. 3, n. 2, della direttiva 2000/35, in quanto consente di estendere, per taluni prodotti, il termine di pagamento da 60 a 90 giorni senza rispettare le condizioni fissate in tale disposizione.

24

Infatti, come ricordato ai punti 18 e 19 della presente sentenza, l’art. 3, n. 2, della direttiva 2000/35 disciplina esclusivamente la possibilità riconosciuta agli Stati membri di fissare, in taluni casi limitati, un termine legale superiore a quello di 30 giorni applicabile in mancanza di una clausola contrattuale relativa alla data o al periodo di pagamento. In altri termini, solo le ipotesi di silenzio delle parti in materia rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 3, n. 2, di tale direttiva.

25

L’art. 17, n. 3, della legge n. 7/1996, come modificato dalla seconda disposizione finale, n. 1, della legge n. 3/2004, invece, esige precisamente, affinché il termine di pagamento possa essere prorogato fino ad un massimo di 90 giorni, la stipula di un «accordo espresso» in tal senso. L’applicazione di un termine siffatto, contrattualmente stipulato tra le parti, non può quindi essere considerata subordinata, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, alle condizioni fissate all’art. 3, n. 2, della direttiva 2000/35.

26

Emerge dalle considerazioni precedenti che il primo addebito è infondato e deve quindi essere respinto.

Sul secondo addebito

Argomenti delle parti

27

La Commissione sostiene che la seconda disposizione transitoria della legge n. 7/1996, introdotta dalla seconda disposizione finale, n. 2, della legge n. 3/2004, differisce indebitamente al 1o luglio 2006 l’applicazione del termine di pagamento massimo di 60 giorni previsto all’art. 3, n. 2, della direttiva 2000/35.

28

Infatti, l’art. 6, n. 1, di tale direttiva fisserebbe la scadenza del termine per la sua trasposizione all’8 agosto 2002, senza considerare alcuna possibilità di deroga a tale disposizione o di proroga di detto termine.

29

Il rinvio previsto dalla normativa spagnola sarebbe in contrasto anche con l’art. 3, n. 4, della direttiva 2000/35, ai sensi del quale gli Stati membri assicurano che, nell’interesse dei creditori e dei concorrenti, esistano mezzi efficaci ed idonei per impedire il continuo ricorso a condizioni gravemente inique.

30

A tali contestazioni il Regno di Spagna risponde essenzialmente che il regime transitorio previsto dalla seconda disposizione transitoria della legge n. 7/1996, introdotta dalla seconda disposizione finale, n. 2, della legge n. 3/2004, è diretto soltanto a determinare il momento in cui entrano in vigore le disposizioni della legge n. 7/1996, relativa al commercio al dettaglio e recante un regime ancor più restrittivo rispetto a quello previsto dalla direttiva 2000/35. Di conseguenza, detta disposizione non avrebbe l’effetto di ritardare l’applicazione delle disposizioni della legge n. 3/2004, che traspone tale direttiva e la cui compatibilità con il diritto comunitario non è messa in discussione.

Giudizio della Corte

31

A tal riguardo, è sufficiente constatare che la disposizione nazionale di cui trattasi riguarda esclusivamente l’applicazione del termine di 60 giorni menzionato all’art. 17, n. 3, della legge n. 7/1996, come modificato dalla seconda disposizione finale, n. 1, della legge n. 3/2004.

32

Orbene, per i motivi esposti ai punti 22-25 della presente sentenza, detto art. 17, n. 3, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 3 della direttiva 2000/35, di cui non può, quindi, costituire una misura di trasposizione.

33

Ne consegue che la proroga dell’applicazione della disposizione nazionale controversa non è tale da viziare il rispetto, da parte del Regno di Spagna, degli obblighi ad esso incombenti ai sensi di detto art. 3.

34

Pertanto, anche il secondo addebito dev’essere dichiarato infondato.

35

Poiché nessuno dei due addebiti fatti valere dalla Commissione è fondato, il ricorso dev’essere respinto nel suo insieme.

Sulle spese

36

A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Regno di Spagna ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

Il ricorso è respinto.

 

2)

La Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: lo spagnolo.

Top