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Document 62006CC0427

Conclusioni dell'avvocato generale Sharpston del 22 maggio 2008.
Birgit Bartsch contro Bosch und Siemens Hausgeräte (BSH) Altersfürsorge GmbH.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesarbeitsgericht - Germania.
Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - Art. 13 CE - Direttiva 2000/78/CE - Regime pensionistico di azienda privata che esclude il diritto alla pensione di reversibilità a favore del coniuge superstite più giovane di più di quindici anni rispetto all’ex dipendente deceduto - Discriminazione basata sull’età - Collegamento con il diritto comunitario.
Causa C-427/06.

Raccolta della Giurisprudenza 2008 I-07245

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2008:297

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ELEANOR SHARPSTON

presentate il 22 maggio 2008 ( 1 )

Causa C-427/06

Birgit Bartsch

contro

Bosch und Siemens Hausgeräte (BSH) Altersfürsorge GmbH

«Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro — Art. 13 CE — Direttiva 2000/78/CE — Regime pensionistico di azienda privata che esclude il diritto alla pensione di reversibilità a favore del coniuge superstite più giovane di più di quindici anni rispetto all’ex dipendente deceduto — Discriminazione fondata sull’età — Collegamento con il diritto comunitario»

1. 

Il presente rinvio pregiudiziale formulato dal Bundesarbeitsgericht (Tribunale federale del lavoro tedesco) verte su una clausola di un regime pensionistico aziendale in forza della quale il vedovo/la vedova di un dipendente nel settore privato deceduto in servizio è escluso/a dal diritto a percepire la pensione di reversibilità qualora sia più giovane di quindici anni rispetto al dipendente defunto. Il Bundesarbeitsgericht chiede alla Corte se una simile clausola sia contraria al principio generale che vieta la discriminazione in base all’età sancito dalla Corte stessa nella sentenza Mangold ( 2 ) e la invita a fornire chiarimenti ulteriori in merito alle circostanze in cui il suddetto principio trova applicazione.

Il diritto comunitario

Il Trattato sull’Unione europea

2.

Ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea:

«1.   L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri.

2.   L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (…) e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.

(…)».

Il Trattato CE

3.

L’art. 13 CE, introdotto dal Trattato di Amsterdam, dispone quanto segue:

«1.   Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell’ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.

2.   (…)».

La direttiva 2000/78 ( 3 )

4.

Il preambolo della direttiva 2000/78 cita l’art. 6, nn. 1 e 2, del Trattato sull’Unione europea ( 4 ) ed elenca una serie di strumenti internazionali che riconoscono il diritto universale delle persone all’uguaglianza dinanzi alla legge e la tutela contro le discriminazioni ( 5 ). Per quanto riguarda la discriminazione in base all’età, si sottolinea che la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori ( 6 ) mira all’integrazione sociale ed economica degli anziani e che gli orientamenti in materia di occupazione per il 2000, approvati dal Consiglio europeo a Helsinki il 10 e 11 dicembre 1999, rilevano la necessità di aiutare in particolar modo i lavoratori anziani ( 7 ).

5.

Il ‘considerando’ 25 si occupa specificamente della possibilità di giustificare disparità di trattamento sulla base dell’età. Esso dispone testualmente:

«Il divieto di discriminazione basata sull’età costituisce un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la promozione della diversità nell’occupazione. Tuttavia in talune circostanze, delle disparità di trattamento in funzione dell’età possono essere giustificate e richiedono pertanto disposizioni specifiche che possono variare secondo la situazione degli Stati membri. È quindi essenziale distinguere tra le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica dell’occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale, e le discriminazioni che devono essere vietate».

6.

Come indicato nell’art. 1, la direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sui motivi in essa considerati, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di rendere effettivo il principio della parità di trattamento.

7.

L’art. 2, n. 1, dispone: «Ai fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1».

8.

Ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. a), «sussiste discriminazione diretta quando (…) una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga». La lett. b) della medesima disposizione stabilisce che «sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio [inter alia] le persone di una particolare età (…) rispetto ad altre persone, a meno che: i) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari (…)».

9.

Ai sensi dell’art. 3, n. 1, la direttiva «si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene (…) c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, compres[a] (…) la retribuzione».

10.

L’art. 6, n. 1, si occupa delle disparità di trattamento in base all’età:

«Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari».

Alle lettere a)-c) vengono indicati alcuni esempi di simili disparità di trattamento. Tra di essi vi sono, in particolari circostanze, la definizione di condizioni speciali per i giovani e i lavoratori anziani, la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro e la fissazione di un’età massima per l’assunzione.

11.

L’art. 6, n. 2, fatto salvo l’art. 2, n. 2, permette agli Stati membri di prevedere che la fissazione per i regimi professionali di sicurezza sociale di determinate condizioni relative all’età per poter accedere o aver titolo alle prestazioni pensionistiche e l’utilizzazione, nell’ambito di detti regimi, di criteri di età nei calcoli attuariali non costituisca una discriminazione fondata sull’età, purché ciò non dia luogo a discriminazioni fondate sul sesso.

12.

Ai sensi dell’art. 18, gli Stati membri avrebbero dovuto adottare la direttiva 2000/78 entro il 2 dicembre 2003. Essi potevano però disporre di tre anni supplementari per attuare le disposizioni relative alle discriminazioni basate sull’età o sull’handicap. La Germania ha usufruito di tale possibilità e avrebbe quindi avuto tempo fino al 2 dicembre 2006 per trasporre tali disposizioni nel diritto interno.

Le linee direttrici contestate ( 8 )

13.

La convenuta nella causa principale segue il regime previdenziale della Bosch-Siemens Hausgeräte GmbH (in prosieguo: la «BSH») ( 9 ). L’art. 6 delle linee direttrici di tale regime previdenziale (in prosieguo: le «linee direttrici») fissa i presupposti per l’erogazione della pensione di vecchiaia. Ai sensi del n. 4 di detto articolo, la pensione di vecchiaia è corrisposta alla vedova/al vedovo di un lavoratore deceduto durante il suo rapporto d’impiego, al ricorrere di talune condizioni. Le prestazioni però non sono assicurate se «la vedova/il vedovo è più giovane di 15 anni rispetto all’ex lavoratore» (in prosieguo: la «clausola sulla differenza d’età»).

Causa principale e questioni pregiudiziali

14.

La sig.ra Bartsch, ricorrente nella causa principale, nata nel 1965, è vedova del sig. Bartsch, nato nel 1944 e deceduto nel 2004 quando era in servizio presso la BSH. La ricorrente risponde a tutte le condizioni stabilite dall’art. 6, n. 4, delle linee direttrici, per poter fruire della pensione di reversibilità, fatta eccezione per la clausola sulla differenza d’età.

15.

La sig.ra Bartsch reclamava infruttuosamente dalla BSH il versamento di una pensione. Il suo ricorso veniva respinto in primo grado dall’Arbeitsgericht (Tribunale del lavoro) e in grado d’appello dal Landesarbeitsgericht (Tribunale del lavoro regionale).

16.

Nel ricorso presentato al giudice del rinvio, la sig.ra Bartsch sosteneva, in particolare, che la clausola sulla differenza d’età è contraria al principio della parità di trattamento e di conseguenza invalida.

17.

Il giudice del rinvio ritiene che il ricorso della sig.ra Bartsch debba essere respinto in base al diritto interno. In particolare, sebbene sia vero che il diritto del lavoro tedesco riconosce il principio generale della parità di trattamento, ma la clausola sulla differenza d’età è basata su un motivo ragionevole, ossia la limitazione dei rischi inerenti ad un regime pensionistico volontario e la possibilità di rendere maggiormente quantificabile tale rischio ( 10 ). Entrambe queste considerazioni sono strettamente connesse alla clausola sulla differenza d’età.

18.

Il giudice del rinvio chiede peraltro se le restrizioni del principio generale della parità di trattamento sancite dal diritto del lavoro tedesco possano sopravvivere alla luce del principio di non discriminazione in base all’età individuato dalla Corte nella sentenza Mangold.

19.

Non è chiaro al giudice del rinvio, sulla base della sentenza Mangold, se il principio generale che vieta ogni discriminazione fondata sull’età si applichi anche a prescindere dal fatto che le situazioni concrete abbiano attinenza con il diritto comunitario. In caso di risposta negativa, il giudice chiede di chiarire se tale attinenza derivi dall’art. 13 CE o dalla direttiva 2000/78, malgrado il fatto che gli eventi che hanno portato al rinvio pregiudiziale si siano verificati prima dello scadere del termine per il recepimento di tale direttiva ( 11 ).

20.

Come sottolinea il giudice del rinvio, poiché la sentenza Mangold è scaturita da un procedimento fra privati, sembrerebbe che il principio si possa applicare «orizzontalmente» a simili controversie. Il caso Mangold verteva su una normativa nazionale che prevedeva una deroga al divieto di discriminazione fondata sull’età. Il giudice del rinvio si chiede se il principio si applichi orizzontalmente solo con riferimento a tali disposizioni derogatorie.

21.

Se il principio è applicabile, il giudice del rinvio ritiene che esso valga per il lavoratore deceduto e non per i suoi superstiti. A suo avviso, la clausola sulla differenza d’età potrebbe dar luogo ad una discriminazione indiretta fondata sull’età, perché la probabilità che un lavoratore ne venga colpito aumenta di pari passo con la sua età. Se ciò è vero, per il giudice del rinvio le giustificazioni di detta clausola ammissibili per il diritto tedesco potrebbero valere anche per il diritto comunitario.

22.

Infine, tenuto conto della natura dei regimi pensionistici aziendali e del principio della tutela del legittimo affidamento, il giudice del rinvio si chiede entro quali limiti il principio generale che vieta la discriminazione in base all’età possa avere effetto retroattivo.

23.

Il giudice del rinvio pone quindi alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

a)

Se il diritto primario della Comunità europea includa un divieto di discriminazione fondato sull’età la cui osservanza i giudici degli Stati membri devono garantire anche qualora l’eventuale comportamento discriminatorio non abbia attinenza con il diritto comunitario.

b)

In caso di risposta negativa alla questione sub a):

 

se una tale attinenza possa essere conferita dall’art. 13 CE o — anche prima della scadenza del termine previsto per l’attuazione — dalla [direttiva 2000/78/CE].

2)

Se un divieto comunitario di discriminazione fondata sull’età eventualmente derivante dalla risposta alla prima questione si applichi anche ai rapporti tra i datori di lavoro privati, da un lato, e i loro lavoratori, in attività o in pensione, o i loro superstiti, dall’altro.

3)

In caso di risposta affermativa alla seconda questione:

a)

se un tale divieto di discriminazione fondata sull’età si applichi ad un regime pensionistico aziendale, ai sensi del quale un coniuge superstite non ha diritto alla pensione di reversibilità se è più giovane di più di quindici anni rispetto al coniuge defunto;

b)

in caso di risposta affermativa alla terza questione sub a):

 

se il fatto che il datore di lavoro ha interesse a limitare i rischi inerenti al regime pensionistico aziendale possa costituire un motivo di giustificazione di un regime del genere;

c)

in caso di risposta negativa alla terza questione sub b):

 

se l’eventuale divieto di discriminazione fondata sull’età applicabile al regime pensionistico aziendale abbia efficacia retroattiva illimitata o se valga limitatamente per il passato e, in questo caso, secondo quali modalità».

24.

La BSH, la Germania, il Regno Unito e la Commissione hanno presentato osservazioni scritte e, unitamente ai Paesi Bassi, hanno svolto le loro difese orali all’udienza tenutasi il 10 ottobre 2007.

25.

Su richiesta del Regno Unito, il caso è stato assegnato alla Grande sezione.

Questione n. 1

26.

Con la prima questione, alla lett. a), si chiede alla Corte, in sostanza, se il diritto comunitario vieti le discriminazioni fondate sull’età anche nel caso in cui il presunto trattamento discriminatorio non abbia attinenza con il diritto comunitario stesso.

27.

Appare opportuno dare alla suddetta questione una risposta più ampia e articolata in tre fasi. In primo luogo, occorre accertare se esista un principio generale di diritto comunitario che vieta specificamente la discriminazione fondata sull’età. In un secondo luogo, se tale principio esiste, occorre chiedersi se esso sia applicabile anche qualora la situazione da cui trae origine il rinvio non rientri nell’ambito del diritto comunitario [questione n. 1, lett. a)]. Infine, si deve stabilire se la situazione da cui trae origine il rinvio rientri nell’ambito del diritto comunitario [questione n. 1, lett. b)].

La sentenza Mangold e le sue conseguenze

28.

Come emerge chiaramente dall’ordinanza di rinvio, le questioni poste dal giudice nazionale si basano sul presupposto, desunto dalla sentenza Mangold della Corte, che nel diritto comunitario esista un principio generale che vieta la discriminazione fondata sull’età.

29.

Il Regno Unito contesta tale presupposto. A suo dire, né gli strumenti internazionali né le tradizioni costituzionali degli Stati membri offrono un fondamento adeguato per ammettere l’esistenza di tale principio. L’evidente intento, da parte dei redattori dell’art. 13 CE, di lasciare al legislatore comunitario la decisione sulle misure necessarie per combattere, tra l’altro, le discriminazioni fondate sull’età implica che non esiste un simile principio. Anche la BSH pone in dubbio che esistano fonti sufficienti per l’individuazione di un principio generale che vieti le discriminazioni fondate sull’età. Secondo la Germania, se esistesse un simile principio generale, l’emanazione e l’attuazione della direttiva 2000/78 sarebbero superflue. In udienza, i Paesi Bassi si sono pronunciati a sostegno delle osservazioni presentate dalla Germania e dal Regno Unito.

30.

Nella sentenza Mangold, la Corte ha osservato che nella direttiva 2000/78 non è sancito il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro. La direttiva invece stabilisce un quadro generale per la lotta contro le discriminazioni fondate sui motivi in essa indicati, «dal momento che il principio stesso del divieto di siffatte forme di discriminazione, come risulta dai ‘considerando’ 1 e 4 della detta direttiva, trova la sua fonte in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» ( 12 ). La Corte ha poi affermato:

«(75)

Il principio di non discriminazione in ragione dell’età deve pertanto essere considerato un principio generale del diritto comunitario. Quando una normativa nazionale rientra nella sfera di applicazione di quest’ultimo, come è il caso [della disposizione nazionale in oggetto], in quanto misura di attuazione della direttiva 1999/70 [ ( 13 )] (…), la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari alla valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità della detta normativa con tale principio (…).

(76)

Di conseguenza, il rispetto del principio generale della parità di trattamento, in particolare in ragione dell’età, non dipende, come tale, dalla scadenza del termine concesso agli Stati membri per trasporre una direttiva intesa a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sull’età (…).

(77)

Ciò considerato, è compito del giudice nazionale, investito di una controversia che metta in discussione il principio di non discriminazione in ragione dell’età, assicurare, nell’ambito di sua competenza, la tutela giuridica che il diritto comunitario attribuisce ai soggetti dell’ordinamento, garantendone la piena efficacia e disapplicando ogni contraria disposizione di legge nazionale (…).

(78)

(…) È compito del giudice nazionale assicurare la piena efficacia del principio generale di non discriminazione in ragione dell’età disapplicando ogni contraria disposizione di legge nazionale, e ciò perfino qualora il termine di recepimento della [direttiva 2000/78] non sia ancora scaduto».

31.

La sentenza Mangold ha attirato una serie di critiche da parte della dottrina. Il punto focale di dette critiche è che la Corte (autonomamente, senza giustificato motivo e contro il volere del legislatore comunitario) avrebbe esteso la portata della direttiva ( 14 ), ritenendola efficace prima dello scadere del termine per il recepimento e attribuendole un’efficacia orizzontale, facendo un richiamo innovativo ad un principio generale di diritto comunitario ( 15 ). Di conseguenza, secondo numerosi autori, la Corte avrebbe indebolito la funzione dell’effetto diretto ( 16 ). La sentenza è stata inoltre criticata per aver indotto una situazione di notevole incertezza giuridica ( 17 ).

32.

Anche quattro avvocati generali hanno commentato la sentenza Mangold.

33.

Nelle conclusioni relative alla sentenza Chacón Navas ( 18 ), l’avvocato generale Geelhoed ha messo in rilievo le conseguenze potenzialmente ampie, di ordine economico e finanziario, dei diritti alla parità di trattamento basati sui divieti elencati nell’art. 13 CE. A suo avviso, l’interpretazione delle misure basate sull’art. 13 CE non va ampliata facendo leva sulla formula «nell’ambito delle competenze (…) conferite [dal presente Trattato] alla Comunità» contenuta in tale articolo, e ancor meno invocando la politica generale sulla parità. Un simile approccio contrasterebbe con le decisioni adottate dagli Stati membri nell’esercizio dei poteri che essi ancora conservano. Di conseguenza, l’avvocato generale ha auspicato un’interpretazione ed un’applicazione della direttiva più ristrette di quelle adottate dalla Corte nella sentenza Mangold.

34.

Nelle conclusioni da me presentate relativamente alla sentenza Lindorfer ( 19 ), ho sostenuto che il divieto di discriminazione fondata sull’età che la Corte aveva individuato nella sentenza Mangold costituiva un’espressione particolare del principio generale di eguaglianza di fronte alla legge. Conseguentemente, a mio avviso il senso più corretto da attribuire alla sentenza Mangold è quello di ritenere che la discriminazione in base all’età è sempre stata vietata in forza del principio generale di uguaglianza, e che la direttiva 2000/78 ha introdotto un quadro specifico e dettagliato per trattare questo e altri particolari tipi di discriminazione. Tornerò più diffusamente su questa proposta di interpretazione.

35.

L’avvocato generale Mazák ha proposto una critica più ampia della sentenza Mangold nelle conclusioni presentate relativamente alla sentenza Palacios de la Villa ( 20 ). Egli ha sottolineato che gli strumenti internazionali e le tradizioni costituzionali, cui la sentenza Mangold fa riferimento, consacrano il principio della parità di trattamento, ma ha sostenuto che ricavare da tale principio l’esistenza di uno specifico divieto di discriminazione per ragioni di età comportava un’affermazione audace e un significativo mutamento di orientamento. Il principio generale di uguaglianza comporta potenzialmente un divieto di discriminazione in base a qualunque motivo che possa essere considerato inaccettabile. Di conseguenza, i divieti specifici costituiscono espressioni particolari di tale principio generale. Tuttavia, ricavare dal principio generale di uguaglianza l’esistenza di un divieto di discriminazione in base ad uno specifico motivo è cosa piuttosto differente, e tutt’altro che scontata. Inoltre, né l’art. 13 CE né la direttiva 2000/78 riflettono necessariamente un preesistente divieto di ogni forma di discriminazione a cui fanno riferimento. Piuttosto, l’intenzione alla base degli stessi, in entrambi i casi, era quella di consentire al legislatore comunitario e agli Stati membri di adottare le opportune misure a tal fine. In ogni caso, ciò è anche quanto la Corte sembra suggerire nella sentenza Grant ( 21 ), nella quale essa ha concluso che il diritto comunitario, nella sua situazione a quel momento, non comprendeva le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale.

36.

Più di recente, l’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer, nelle conclusioni relative alla sentenza Maruko ( 22 ), ha sostenuto che il «carattere essenziale» del diritto alla non discriminazione fondata sulle tendenze sessuali appartiene ad un ordine diverso da quello che la Corte ha attribuito al principio di non discriminazione fondata sull’età nella sentenza Mangold.

37.

La Corte si è pronunciata in queste quattro cause. Nonostante le osservazioni degli avvocati generali (o forse proprio alla luce delle stesse), in nessuna delle sentenze la Corte ha rivisto — e neppure menzionato — la decisione assunta nella sentenza Mangold riguardo all’esistenza di un principio generale di diritto comunitario che vieta la discriminazione a motivo dell’età.

38.

Nella sentenza Lindorfer, la Corte ha riaperto la fase orale del procedimento convocando una nuova udienza in cui ha invitato le parti a pronunciarsi, tra l’altro, sulla portata del principio che vieta la discriminazione fondata sull’età nel calcolare i valori attuariali nel trasferimento al regime previdenziale comunitario dei diritti acquisiti in base ad un regime pensionistico nazionale. Ciononostante, essa ha deciso il caso soltanto sulla base della discriminazione fondata sul sesso. Sorprende ancor meno il fatto che la Corte abbia omesso qualunque riferimento alla discriminazione in base all’età nelle sentenze Chacón Navas e Maruko, che vertevano, rispettivamente, sulla discriminazione fondata sull’handicap e su quella in ragione delle tendenze sessuali.

39.

La causa Palacios de la Villa riguardava specificamente la discriminazione fondata sull’età. La Corte inizialmente ha dichiarato che la legislazione nazionale in esame (che prevedeva la cessazione ex lege del rapporto di lavoro quando il lavoratore avesse raggiunto l’età pensionistica) determinava una disparità di trattamento basata direttamente sull’età. Essa ha poi stabilito che la direttiva 2000/78, il cui termine di attuazione era già scaduto all’epoca dei fatti, era applicabile agli eventi che avevano dato origine alla controversia dinanzi al giudice nazionale, il che le permetteva di decidere la causa con riferimento a tale direttiva. La Corte ha dichiarato che la misura era oggettivamente e ragionevolmente giustificata da obiettivi legittimi di politica del lavoro e di mercato del lavoro e che costituiva un mezzo appropriato e necessario per il raggiungimento di tale obiettivo. Essa non ha fatto alcun riferimento ad un principio generale che vieta la discriminazione fondata sull’età.

40.

L’approccio seguito nella causa Palacios de la Villa, in cui la Corte ha analizzato, attraverso il prisma della direttiva 2000/78, una normativa nazionale che espressamente prevede un trattamento sfavorevole per ragioni di età, concludendo che tale normativa è ammissibile, è molto diverso dall’approccio adottato nella causa Mangold, in cui la Corte ha affermato che spetta al giudice nazionale disapplicare qualsiasi disposizione di diritto interno contrastante con il principio della discriminazione fondata sull’età.

41.

Nella causa in esame (come nel caso Mangold) all’epoca dei fatti il termine per l’attuazione della direttiva 2000/78 non era scaduto. Pertanto, si pone ancora potenzialmente alla Corte il problema di stabilire se esista uno specifico principio di diritto comunitario che vieta la discriminazione fondata sull’età.

Se nel diritto comunitario esista un principio generale che vieta la discriminazione fondata sull’età

42.

Il principio generale di uguaglianza costituisce uno dei principi fondamentali della Comunità ( 23 ). Le disposizioni sull’uguaglianza di fronte alla legge appartengono alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri ( 24 ). Inoltre, dichiarazioni generali sulla parità di trattamento compaiono in diversi strumenti internazionali ( 25 ). In particolare l’art. 14 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (intitolato «Divieto di discriminazione») dispone: «[i]l godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione» ( 26 ). È quindi plausibile considerare il principio generale di uguaglianza come «il principio stesso [sottostante al] divieto [delle] forme di discriminazione [elencate nell’art. 13 CE]», che trova la sua «fonte»«[nei ‘considerando’ della] direttiva (…), in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» ( 27 ).

43.

Le origini di qualunque esplicito e specifico divieto di discriminazione in base all’età non sono poi così antiche. Come ho sottolineato nelle conclusioni relative alla sentenza Lindorfer, tale divieto, in contesti sia nazionali sia internazionali, è troppo recente e saltuario per rispondere a tale descrizione ( 28 ). Difatti, soltanto nel 1999 la Commissione ha affermato pubblicamente: «Negli Stati membri esistono pochissime disposizioni legislative sulla discriminazione in base all’età» ( 29 ).

44.

Vale la pena soffermarsi sul punto per cercare di capire perché la situazione sia questa. Una formulazione classica del principio di uguaglianza, secondo l’idea aristotelica per cui «i casi simili vanno trattati in modo analogo» ( 30 ), lascia irrisolto il problema cruciale di stabilire quali aspetti sono da considerare rilevanti per la parità di trattamento e quali no ( 31 ). Tutti i gruppi di esseri umani sono simili per alcuni aspetti e diversi per altri. Una massima come quella di Aristotele resta pertanto lettera vuota fintantoché non sia stabilito quali differenze siano rilevanti per gli obiettivi in gioco. Per esempio, chi ritiene ingiusta una legge che vieta l’ingresso nei ristoranti alle persone con i capelli rossi parte dalla premessa secondo cui, ai fini del consumo di cibi in un ristorante, il colore dei capelli è irrilevante. Pertanto, è evidente che il criterio delle somiglianze o delle differenze da considerare rilevanti varia a seconda della visione etica di base di un determinato soggetto o società ( 32 ).

45.

Un breve excursus storico mostra che le affermazioni di uguaglianza, se analizzate nelle loro singole componenti, spesso significano «parità di trattamento, sotto particolari aspetti, per chi rientra in un cerchio magico» e non «parità di trattamento per tutti sotto qualunque aspetto rilevante». Nell’Atene di Pericle i cittadini della polis potevano invocare un diritto alla parità di trattamento riguardo all’accesso alla giustizia o all’avanzamento sociale ( 33 ); il concetto di uguaglianza escludeva però dalla parità di trattamento con i cittadini per questo particolare aspetto i meteci o gli schiavi ( 34 ). Analogamente, l’uguaglianza spartana — un modello alquanto diverso — escludeva gli iloti e gli schiavi ( 35 ). Entrambi (naturalmente) escludevano le donne. In tempi a noi più vicini, è vero che la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America proclamava che «tutti gli uomini sono creati uguali» ( 36 ), ma sono dovuti passare molti anni dalla guerra civile perché una vera e propria parità di trattamento cominciasse ad essere estesa ai discendenti degli schiavi di colore ( 37 ). La discriminazione per motivi religiosi è apparsa del tutto naturale — addirittura su ordine divino — durante lunghe fasi della storia d’Europa e del bacino del Mediterraneo.

46.

In sintesi, le risposte alle domande «chi gode del principio di parità di trattamento?» e «quali aspetti della vita economica, sociale, politica, civile e personale rientrano in tale principio?» non sono immutabili, ma evolvono di pari passo con la società. Di conseguenza, il diritto riflette questo mutamento quando inizia a proclamare espressamente che certe forme di trattamento discriminatorio, che prima non venivano notate o, se notate, erano tollerate, non saranno più ammesse. Tali mutamenti giuridici costituiscono un’estensione — una nuova ed ulteriore espressione — del principio generale di uguaglianza.

47.

La sentenza Marshall I ( 38 ) indica che, sin dagli esordi, il diritto comunitario non ha mai considerato l’età come un ovvio indice di discriminazione. In detta sentenza, la Corte si è occupata dell’età come motivo di cessazione dal rapporto di lavoro, affermando che alcune disposizioni della direttiva 76/207 che garantivano la parità di trattamento tra i sessi nelle condizioni di lavoro potevano avere effetto diretto. Pur non avendo effetti diretti «orizzontali», la direttiva poteva essere invocata dalla sig.ra Marshall «verticalmente», perché il suo datore di lavoro, l’autorità sanitaria convenuta, era un’emanazione dello Stato. La pronuncia, notissima, è diretta a sottolineare che nel 1986 le distinzioni per motivi di età (differenti da quelle in base al sesso) erano considerate ovviamente rilevanti ai fini della cessazione di un rapporto di lavoro, e di conseguenza ammissibili in base al principio generale di uguaglianza nel diritto comunitario. Se così non fosse stato, probabilmente la sig.ra Marshall avrebbe invocato il divieto di discriminazione in base all’età a sostegno del suo argomento principale.

48.

Una volta emersa la possibile (nuova) portata del principio, il passo successivo naturale è quello di definirlo con maggior precisione dettando le norme necessarie per combattere la discriminazione che è stata individuata ( 39 ).

49.

È certamente possibile risolvere alcune situazioni (che implicano forme lampanti, spiacevoli o arbitrarie di discriminazione in ragione dell’età) applicando il principio della parità di trattamento indipendentemente dall’età nella sua forma pura e semplice. Però, se la situazione è più complessa e la linea di confine tra le differenze giustificabili e la discriminazione ingiustificabile è meno evidente di per sé, per combattere efficacemente la discriminazione diventa necessario elaborare definizioni adeguate. L’art. 13 CE fornisce il fondamento giuridico per l’azione legislativa a livello comunitario al fine di «combattere» contro varie forme di disparità di trattamento inaccettabili — tra cui la discriminazione in ragione dell’età. Esso permette quindi al legislatore comunitario sia di definire (tra le altre) la discriminazione fondata sull’età con maggiore precisione, sia di dettare norme volte ad eliminarla.

50.

Per questi motivi, è fondamentalmente errato sostenere che, se fosse già esistito un principio che vieta la discriminazione in ragione dell’età, non vi sarebbe stato bisogno dell’art. 13 CE né della direttiva 2000/78. È proprio perché si è arrivati a riconoscere che il principio generale di uguaglianza comprende anche la parità di trattamento indipendentemente dall’età che una disposizione normativa di autorizzazione come l’art. 13 CE diviene necessaria ed è correttamente utilizzata come fondamento di interventi legislativi di dettaglio.

51.

L’altro lato della medaglia è rappresentato dal fatto che, nel momento in cui l’art. 13 è stato inserito nel Trattato CE, non potevano esistere specifici divieti dettagliati di «discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali». Se vi fossero stati, vi sarebbe stato il rischio che l’art. 13 CE risultasse essere una disposizione superflua ( 40 ). Ancor meno avrebbero potuto sbucare armati di tutto punto, come Atena dalla testa di Zeus, in quel preciso momento.

52.

L’analisi che ho sin qui esposto trova conferma in un esame più approfondito della disposizione di autorizzazione contenuta nell’art. 13 CE.

53.

In primo luogo, l’art. 13 CE «[fa] salve le altre disposizioni del (…) trattato» (e quindi, a maggior ragione, fa salvi i principi generali alla base del diritto comunitario). Il fatto che esso venga posto a fondamento giuridico di provvedimenti specifici per combattere, tra l’altro, la discriminazione fondata sull’età non pregiudica il principio generale di uguaglianza. Anzi, esso permette di sviluppare in maniera più efficace le specificazioni di tale principio generale.

54.

In secondo luogo, l’art. 13 CE autorizza il Consiglio (che delibera all’unanimità), previa consultazione del Parlamento europeo, a «prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate» su diversi motivi particolari. Esso non contiene definizioni di questi tipi di discriminazioni, ma parte dal presupposto che, sfortunatamente, esse esistono e dovrebbero essere contrastate energicamente. Prendendo spunto dall’art. 13 CE, anche la direttiva 2000/78 parte dal presupposto che esistono certe forme di discriminazione. Successivamente, facendo riferimento non a specifici divieti contro queste forme di discriminazione già in vigore, ma (in termini generali) richiamandosi alla necessità di rispettare i diritti fondamentali, essa definisce il significato del principio di parità di trattamento in taluni contesti, come necessario presupposto della garanzia del rispetto del principio.

55.

In terzo luogo, il legislatore comunitario ha proseguito sul presupposto che le direttive adottate in forza dell’art. 13 CE non agevolano semplicemente l’applicazione dei divieti di discriminazione per i motivi elencati nel suddetto articolo del Trattato, ma definiscono anche la portata precisa di tali divieti in taluni contesti ( 41 ). A mio avviso, questo non contraddice l’affermazione secondo cui il principio fondamentale (ossia che la discriminazione per motivi di età dev’essere vietata) è già venuto alla luce. Al contrario, mi sembra che — in quanto questione di realismo giuridico — è possibile combattere in modo efficace soltanto un male che è già stato definito accuratamente e dettagliatamente.

56.

Questo, in sostanza, è il motivo per cui la differenza tra la disparità di trattamento (accettabile) e la discriminazione (inaccettabile) ( 42 ) consiste non nel fatto che le persone vengano trattate in modo diverso, ma nel fatto che la società accetti come giustificabili i criteri la cui applicazione porta a una disparità di trattamento, o al contrario, nel fatto che essi vengano considerati arbitrari ( 43 ). Sarà necessaria una normativa dettagliata per risolvere il problema di qualificare come accettabile o meno l’applicazione di criteri particolari in particolari circostanze e attribuire a tale qualificazione un effetto giuridico vincolante.

57.

Pertanto, condivido quanto dichiarato dalla Corte nella sentenza Mangold, secondo cui le origini del principio — o meglio, del concetto secondo cui oramai non è ammissibile discriminare in base a nessuno dei motivi indicati nell’art. 13 CE — non risiedono né nella direttiva 2000/78 in quanto direttiva di attuazione, né nell’art. 13 CE in quanto tale. Tali origini risalgono ad un’epoca e ad un luogo precedenti ( 44 ).

58.

Nelle conclusioni da me presentate in relazione alla sentenza Lindorfer ( 45 ), ho ventilato l’idea che la discriminazione fondata sull’età è stata sempre preclusa dal principio generale di uguaglianza che costituisce parte del diritto comunitario. A mio avviso, infatti, sin dagli inizi il diritto comunitario ha precluso certe differenziazioni per motivi di età. Supponiamo che, per esempio, nel 1960 uno Stato membro avesse consentito la libera circolazione dei lavoratori provenienti da altri Stati membri, tranne che per quelli di età compresa tra 28 e 29 anni e tra 52 e 53 anni. Una simile (e improbabile) disposizione sarebbe sicuramente rientrata nell’ambito di applicazione del principio generale della parità di trattamento che è sempre stato parte del diritto comunitario. Discriminare tra i lavoratori sulla base di queste due fasce di età sarebbe stato considerato arbitrario e ingiustificabile. Quel che è accaduto negli anni successivi è che nella percezione sociale di forme più sottili di disparità di trattamento sulla base dell’età si è passati da un’accettazione acritica ad una verifica puntuale.

59.

Pertanto, per le ragioni sopra esposte, ritengo che la sentenza Mangold dovrebbe essere interpretata nel senso che sancisce che la discriminazione per motivi di età costituisce una forma specifica di discriminazione vietata dal principio generale della parità di trattamento, consolidato nel diritto comunitario — un principio che in effetti precede di molto tanto l’art. 13 CE quanto la direttiva 2000/78. L’art. 13 CE pertanto assolve la funzione che gli è assegnata riconoscendo in modo esplicito talune specifiche (nuove) forme di discriminazione e attribuendo al legislatore comunitario il potere di agire per combatterle in modi particolari e in particolari contesti.

60.

Questa interpretazione appare inoltre conforme al ruolo e alla struttura della direttiva 2000/78.

61.

Innanzi tutto, tale direttiva si occupa specificamente del problema della lotta contro le discriminazioni anche per motivi di età nell’occupazione e nelle condizioni di lavoro ( 46 ). Evidentemente, la discriminazione in ragione dell’età può manifestarsi in altri ambiti; fino ad ora, però, questi non sono stati oggetto di alcuna direttiva di attuazione basata sull’art. 13 CE.

62.

Inoltre, gli Stati membri hanno incontestabilmente previsto che, una volta scaduto il termine per il recepimento, la parità di trattamento come derivante dalla direttiva avrebbe dovuto essere applicata «orizzontalmente» a «tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico» ( 47 ).

63.

Infine, la direttiva precisa il significato della parità di trattamento relativamente agli ambiti rientranti nel suo campo di applicazione ( 48 ) fornendo inoltre la definizione di discriminazione diretta e indiretta ( 49 ), ma stabilisce chiaramente che la differenziazione sulla base dell’età relativamente all’occupazione e alle condizioni di lavoro non costituisce sempre una discriminazione illegittima. Essa difatti distingue tra «le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica dell’occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale, e le discriminazioni che devono essere vietate» ( 50 ). È significativo, quindi, il fatto che essa detti una serie di norme specifiche per stabilire i parametri entro i quali la disparità di trattamento sulla base (tra l’altro) dell’età sia accettabile (e perché).

64.

A conferma dell’intenzione di un approccio graduale al divieto di discriminazione fondata sull’età vi è inoltre la scelta, da parte del legislatore comunitario, della direttiva come strumento di attuazione ex art. 13 CE. L’attuazione tramite regolamento implica che la norma comunitaria è «obbligatori[a] in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri» ( 51 ). La direttiva, invece, «vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi» ( 52 ). Tale strumento di attuazione, per sua stessa natura, lascia un più ampio margine di flessibilità ai singoli Stati membri.

65.

Nel prosieguo delle conclusioni, pertanto, sosterrò che il principio generale di uguaglianza opera in talune circostanze nel senso di vietare la discriminazione fondata sull’età ma che non esiste, dall’inizio, un principio distinto e specifico di diritto comunitario che ha sempre vietato la discriminazione in ragione dell’età. Mi accingo comunque a spiegare come affronterei le singole questioni sottoposte alla Corte anche qualora dovessi risultare in errore su questo punto.

Se sia applicabile un principio generale di diritto comunitario anche se la situazione che ha dato origine al rinvio non rientra nell’ambito di applicazione del diritto comunitario

66.

La questione può essere affrontata abbastanza rapidamente. Tutte le parti che hanno presentato osservazioni ( 53 ) ritengono che la risposta a tale questione sia negativa. In particolare, la Corte può interpretare un principio generale di diritto comunitario nel contesto di un rinvio pregiudiziale solo se la situazione che ha dato origine al rinvio si colloca nell’ambito del diritto comunitario ( 54 ).

Se la situazione nel procedimento della causa principale si collochi nell’ambito del diritto comunitario

67.

La BSH, la Germania, i Paesi Bassi e il Regno Unito sostengono tutti che né l’art. 13 CE né la direttiva 2000/78 prima della scadenza del termine per la sua attuazione potevano far rientrare nell’ambito del diritto comunitario la situazione che ha dato origine al procedimento nella causa principale. L’art. 13 CE è semplicemente una disposizione che conferisce un potere, priva di effetto diretto. Se fosse in grado di fornire il necessario legame con il diritto comunitario, in effetti, essa vieterebbe direttamente la discriminazione in base all’età, venendo in tal modo in contraddizione con la sua stessa lettera. Per quanto riguarda la direttiva 2000/78, il termine di attuazione, e anche la natura stessa della direttiva, implicano che essa non può creare un nesso diretto con il diritto comunitario prima dello scadere di tale termine. Gli effetti di una direttiva nelle more del periodo di attuazione sono limitati al divieto per gli Stati membri di adottare misure incompatibili ( 55 ). In ogni caso, nel corso di tale periodo la direttiva non estende l’ambito di applicazione del diritto comunitario. Un effetto di questo tipo pregiudicherebbe la decisione del legislatore. Infine, a differenza delle norme nazionali discusse nella sentenza Mangold, la clausola sulla differenza d’età oggetto del presente caso non ha dato attuazione ad una disposizione comunitaria, né è stata adottata durante il periodo per il recepimento della direttiva 2000/78.

68.

La Commissione è di parere opposto. Essa sottolinea che la Corte ha interpretato l’ambito di applicazione del diritto comunitario in modo molto ampio in situazioni relative alla discriminazione basata sulla cittadinanza rispetto alle libertà del Trattato, anche se riconosce che il caso in esame non ha alcun legame con le libertà o con tale forma di discriminazione. Secondo la Commissione, il fatto che l’art. 13 CE sia una disposizione che conferisce un potere non osta al fatto che esso istituisca il necessario nesso con il diritto comunitario. Nella sentenza Saldanha ( 56 ) la Corte ha dichiarato che una disposizione del Trattato che attribuisce poteri ( 57 ) fa rientrare una norma di diritto interno nell’ambito di applicazione del Trattato ( 58 ).

69.

In primo luogo, debbo sottolineare che i principi generali di diritto comunitario, anche se fondamentali per il corretto funzionamento di tale diritto, non operano in astratto ( 59 ). Più in particolare, le misure nazionali possono essere valutate sulla base della loro conformità ai suddetti principi generali solo se si collocano nell’ambito di applicazione del diritto comunitario ( 60 ). Perché questo avvenga, è necessario che la disposizione di diritto nazionale ( 61 ) di cui si tratta possa rientrare, in generale, in una delle tre seguenti categorie: deve trattarsi di una norma che attua il diritto comunitario (indipendentemente dal grado di discrezionalità lasciato agli Stati membri e dal fatto che la misura nazionale vada oltre quanto strettamente necessario per l’attuazione) ( 62 ). Deve contenere un richiamo a deroghe ammesse dal diritto comunitario ( 63 ). Oppure, deve sotto altri aspetti rientrare nell’ambito del diritto comunitario perché alla situazione è applicabile una specifica norma sostanziale di diritto comunitario ( 64 ).

70.

La disposizione nazionale oggetto della sentenza Mangold era una misura di diritto pubblico emanata specificamente dallo Stato membro interessato (la Germania) per dare attuazione ad un obbligo di diritto comunitario (l’attuazione della direttiva 1999/70). Il termine per il recepimento di tale direttiva era scaduto da tempo. Esisteva quindi un quadro di disposizioni rilevanti di diritto comunitario — la direttiva 1999/70 e i provvedimenti per la sua attuazione nel diritto interno — al quale il principio generale della parità di trattamento (compresa la parità di trattamento indipendentemente dall’età) poteva applicarsi.

71.

Considerato secondo questa prospettiva, i punti-chiave della sentenza Mangold della Corte divengono piuttosto facili da intendere. Dopo aver stabilito che il principio generale di uguaglianza include un divieto di discriminazione in ragione dell’età ( 65 ), la Corte innanzi tutto richiama il suo dovere di «fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari alla valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità della detta normativa [nazionale] con tale principio» quando «una normativa nazionale rientra nella sfera di applicazione [del diritto comunitario]» ( 66 ). Le disposizioni nazionali di cui si trattava erano una «misura di attuazione della direttiva 1999/70» ( 67 ). Esse pertanto rientravano nell’ambito di applicazione del diritto comunitario e fornivano anche un possibile appiglio per il principio generale di uguaglianza — che vieta, nel caso di specie, la discriminazione (arbitraria) in ragione dell’età.

72.

Dal momento che i principi generali sono essenziali per l’intero sistema di diritto comunitario, la Corte ha poi affermato che «il rispetto del principio generale della parità di trattamento, in particolare in ragione dell’età, non dipende, come tale, dalla scadenza del termine concesso agli Stati membri per trasporre [la direttiva 2000/78]» ( 68 ). Tale direttiva era semplicemente «intesa a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sull’età» ( 69 ). Nel contesto particolare del caso Mangold, tuttavia, il principio generale poteva essere applicato senza elaborazione ulteriore alle norme nazionali di attuazione della direttiva 1999/70. Spettava pertanto al giudice nazionale applicare il principio fondamentale al caso dinanzi a lui pendente, se necessario disapplicando una disposizione di legge nazionale per garantire una tutela effettiva ( 70 ).

73.

Nel caso in esame, non esistono norme specifiche di diritto comunitario che disciplinino la situazione in cui può scattare l’applicazione del principio generale di uguaglianza. A differenza che nel caso Mangold, non esistono disposizioni legislative nazionali di attuazione di una direttiva il cui termine di recepimento sia già scaduto. Non esistono disposizioni rilevanti del Trattato o di diritto comunitario derivato. Esistono unicamente l’art. 13 CE ( 71 ) (che è una disposizione che conferisce un potere, priva di efficacia diretta) e la direttiva 2000/78 (il cui termine di attuazione, all’epoca dei fatti, era ancora pendente e che, di conseguenza, non va tenuta in considerazione).

74.

Non è quindi possibile far leva sul principio generale di uguaglianza per creare una norma sostanziale di diritto comunitario applicabile o per stabilire in che modo tale norma sostanziale dovrebbe essere applicata.

75.

A mio avviso, pertanto, non esistono norme sostanziali di diritto comunitario che possano fungere da fondamento per l’applicazione del principio generale di uguaglianza alla situazione che ha dato origine al rinvio. È questa la soluzione che suggerisco per la questione n. 1, lett. b).

76.

L’analisi che ho esposto per la suddetta questione sarebbe identica se, a differenza di quanto ho detto in precedenza, esistesse un principio specifico di diritto comunitario che vieta la discriminazione fondata sull’età (anziché un principio generale di parità di trattamento nel quale rientri la parità di trattamento indipendentemente dall’età).

77.

Ritengo che l’analisi sinora prospettata sia sufficiente per rispondere al giudice nazionale. Nel prosieguo delle presenti conclusioni, pertanto, prenderò in esame le questioni nn. 2 e 3 nell’eventualità alternativa (ossia, nel caso in cui la Corte pervenisse ad una diversa conclusione riguardo alla questione n. 1).

Questione n. 2

78.

Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se il divieto di discriminazione fondata sull’età individuato dalla Corte nella sentenza Mangold possa essere applicato orizzontalmente ( 72 ).

Se i principi generali di diritto comunitario possano essere applicati orizzontalmente

79.

È ben noto nel diritto comunitario che i principi generali di diritto possono essere fatti valere verticalmente nei confronti dello Stato. Difatti la Corte ha dichiarato diverse disposizioni nazionali vietate in base al diritto comunitario, per esempio perché incompatibili con il principio generale della parità di trattamento ( 73 ) o con specifiche manifestazioni di tale principio, come il divieto di discriminazione basata sulla nazionalità in contesti diversi ( 74 ), il rispetto dei diritti fondamentali ( 75 ), il principio della tutela del legittimo affidamento ( 76 ) e il principio di proporzionalità ( 77 ).

80.

La questione è se qualsiasi principio generale di diritto comunitario sia o possa essere applicato orizzontalmente.

81.

Nella sentenza Bostock la Corte ha dichiarato che, in una situazione derivante dal regime comunitario delle quote latte, il principio della parità di trattamento non poteva modificare retroattivamente i rapporti delle parti di un contratto di affitto attraverso, tra l’altro, l’efficacia diretta ( 78 ). Nella sentenza Otto, la tutela contro l’ammissione dell’esistenza di una violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza, in quanto parte dei diritti della difesa di un individuo, è stata dichiarata inapplicabile ad un rapporto tra due parti private ( 79 ).

82.

A mio parere queste due sentenze non implicano necessariamente che i principi generali di diritto comunitario non siano mai suscettibili di essere applicati orizzontalmente. Se il principio della parità di trattamento fosse stato applicato nella causa Bostock, si sarebbe accordata un’efficacia retroattiva alla norma di diritto nazionale (violando in tal modo altri principi fondamentali) ( 80 ). Il principio invocato nella causa Otto è diretto a tutelare un individuo da sanzioni amministrative o penali. Allorché un procedimento tra privati non possa dar luogo, neppure indirettamente, a tali conseguenze, la tutela sarebbe priva di scopo ( 81 ).

83.

Nei limiti in cui i principi generali vengono applicati verticalmente, essi consentono ai privati di rivendicare diritti fondamentali nei confronti dello Stato. Tuttavia, limitare l’invocazione di tali diritti a rapporti di tipo verticale rischia di creare la stessa (a volte artificiosa) distinzione tra settore pubblico e privato, come accade nel caso delle direttive ( 82 ).

84.

In alcune occasioni, inoltre, la Corte ha ammesso che il principio generale della parità di trattamento può ricevere applicazione orizzontale se è incluso in una disposizione sostanziale del Trattato. Per esempio, nella sentenza Walrave e Koch essa ha dichiarato che il divieto di discriminazione fondata sulla cittadinanza, contenuto negli attuali artt. 12, 39 e 49 CE, riguardava non solo gli atti dell’autorità pubblica, ma anche le norme degli organismi privati dirette a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato e la prestazione dei servizi, e che il principio di non discriminazione si applicava alla valutazione di tutti i rapporti giuridici situati all’interno del territorio comunitario ( 83 ). La sentenza Walrave e Koch verteva su un’associazione privata che aveva svolto una funzione di regolamentazione e che poteva pertanto essere assimilata ad un’emanazione dello Stato. Nella sentenza Angonese, relativa all’accesso al lavoro in una banca privata, la Corte si è spinta oltre dichiarando che «il divieto della discriminazione in base alla cittadinanza, enunciato [dall’art. 39 CE], si applica anche ai privati» ( 84 ).

85.

Nella sentenza Mangold la Corte ha applicato il principio generale della parità di trattamento (compresa la parità di trattamento indipendentemente dall’età) ad una controversia tra privati, anche se regolata da disposizioni nazionali di diritto pubblico emanate in attuazione di un obbligo di diritto comunitario (la direttiva 1999/70). Mi sembra pertanto che si debba andar cauti nell’escludere la possibilità che un principio generale di diritto comunitario possa, in circostanze adeguate, essere applicato orizzontalmente.

Sulla possibilità di un’applicazione orizzontale nel caso di specie

86.

Ho già spiegato che, a mio avviso, la situazione da cui è scaturito il rinvio non si colloca nell’ambito di applicazione del diritto comunitario ( 85 ).

87.

Di conseguenza, ritengo che il principio generale di uguaglianza, e in particolare la parità di trattamento indipendentemente dall’età come individuato dalla Corte nella sentenza Mangold, non possa essere applicato orizzontalmente. Nel dir questo, ammetto che tale principio possa essere applicato (sia verticalmente che orizzontalmente) nei limiti di uno specifico contesto normativo di diritto comunitario ( 86 ).

88.

Comunque, se manca tale contesto, come nel caso che ci occupa, il principio generale di uguaglianza e in particolare la parità di trattamento indipendentemente dall’età, non trova nulla cui appigliarsi. Pertanto, esso non può ricevere applicazione (né verticale né orizzontale) a meno che e fino a quando il legislatore comunitario non abbia emanato le necessarie misure specifiche in forza dell’art. 13 CE e sia scaduto qualsiasi termine per l’attuazione. Una volta che questo sia avvenuto, il principio generale — come spiegato dall’avvocato generale Mazák ( 87 ) — verrà utilizzato come strumento per interpretare le normative di attuazione anziché essere applicato autonomamente.

89.

In effetti, il modo preciso in cui uno Stato membro decide di fare uso della deroga al divieto di discriminazione fondata sull’età, contenuta nell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78, è naturalmente soggetto al controllo da parte della Corte sulla base del principio generale di uguaglianza, e in particolare della parità di trattamento indipendentemente dall’età. Tale controllo garantisce che le scelte sociali e politiche compiute dagli Stati membri rientrino nell’ambito della deroga e quindi entro i limiti della discrezionalità lasciata allo Stato membro ( 88 ).

90.

Concordo inoltre con il Regno Unito sul fatto che non sia opportuno attendersi che un datore di lavoro privato compia, in assenza di una disciplina, le scelte sociali e politiche sottostanti alla deroga di cui all’art. 6, n. 1. Spetta espressamente allo Stato membro compiere tali scelte e sopportarne la responsabilità.

91.

Aggiungo subito che, una volta che lo Stato membro abbia attuato la direttiva 2000/78, sia le norme emanate dallo Stato membro per via legislativa sia l’applicazione di tali norme da parte del datore di lavoro privato nell’ambito dei suoi accordi privatistici con i propri dipendenti saranno soggetti al controllo da parte dei giudici nazionali ed eventualmente della Corte. L’art. 3, n. 1, della direttiva 2000/78 chiarisce al di là di ogni dubbio che il principio generale di uguaglianza, e in particolare quello della parità di trattamento indipendentemente dall’età, che opera attraverso la direttiva, è applicabile a «tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene (…) c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, compres[a] (…) la retribuzione».

92.

In base a questa analisi, una volta che sia scaduto il termine per l’attuazione della direttiva 2000/78 ( 89 ), il principio generale di uguaglianza, e in particolare quello della parità di trattamento indipendentemente dall’età, può effettivamente operare attraverso la direttiva 2000/78 in modo «orizzontale», senza bisogno di ulteriori elementi che facciano rientrare il rapporto di lavoro nell’ambito di applicazione del diritto comunitario. Le scelte compiute dagli Stati membri in attuazione della direttiva dovranno essere valutate su questa base.

93.

Suggerisco pertanto alla Corte di risolvere, eventualmente, la questione n. 2 proposta dal giudice nazionale nel senso che il principio generale di uguaglianza, e in particolare quello della parità di trattamento indipendentemente dall’età, non si applica tra datori di lavoro privati, da un lato, e i loro lavoratori, in attività o in pensione, o i loro superstiti, dall’altro, per contestare una norma di diritto privato che non sia stata emanata per attuare un obbligo di diritto comunitario oppure al fine di avvalersi di una deroga ammissibile ai sensi del diritto comunitario, laddove non vi sia una norma sostanziale di diritto comunitario che sia altrimenti applicabile.

Questione n. 3

La questione n. 3, lett. a)

94.

Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una disposizione come la clausola sulla differenza di età in un regime pensionistico aziendale rientri nell’ambito di applicazione del principio generale di uguaglianza, e in particolare in quello della parità di trattamento indipendentemente dall’età.

95.

Esistono due possibili approcci all’analisi di tale questione. Anzitutto, occorre valutare quali tipi di discriminazione in ragione dell’età rientrino nell’ambito del principio generale di uguaglianza, e in particolare in quello della parità di trattamento indipendentemente dall’età. Inoltre, occorre stabilire cosa il legislatore comunitario intendesse far rientrare nel principio della parità di trattamento indipendentemente dall’età formulato nella direttiva 2000/78.

Analisi sulla base del principio generale che vieta la discriminazione fondata sull’età

96.

Il primo problema è quello di stabilire se nel principio generale rientri l’età relativa oltre a quella assoluta. La risposta a tale domanda dipende da quello che si intende per «discriminazione sulla base dell’età relativa». L’espressione si può intendere nel senso che in essa rientra solo il trattamento meno favorevole riservato all’individuo A a causa del fatto che egli ha un certo numero di anni in più (o in meno) rispetto all’individuo B o al gruppo di individui C. Più in generale, l’espressione può anche essere intesa nel senso che in essa rientra il trattamento meno favorevole riservato a E ed F (una coppia di individui considerati unitariamente) a causa del fatto che la differenza di età all’interno di detta coppia è superiore o inferiore alla differenza di età all’interno di altra analoga coppia di individui (G e H, I e J, e così via).

97.

A mio avviso, la discriminazione sulla base dell’età relativa abbraccia entrambe le situazioni. In entrambi i casi l’età viene utilizzata come criterio per giustificare un trattamento sfavorevole e non vedo alcun plausibile motivo per distinguere tra l’una e l’altra. La stessa logica mi porta a concludere che non esistono motivi per escludere la discriminazione sulla base dell’età relativa dall’ambito di applicazione del principio generale di uguaglianza, e in particolare del principio della parità di trattamento indipendentemente dall’età. L’età di una persona, anche se espressa in termini relativi anziché assoluti, costituisce comunque la base della decisione che la pregiudica.

98.

Questo approccio risolve inoltre il problema di stabilire se rientri nell’ambito del divieto soltanto la discriminazione derivante dalla clausola sulla differenza di età che colpisce i dipendenti deceduti, oppure se vi rientri anche la discriminazione contro il coniuge superstite (nel nostro caso, la sig.ra Bartsch). La discriminazione (rispetto alle coppie di coniugi con minore differenza di età) deriva dalle loro caratteristiche combinate ed è evidentemente legata all’età. È chiaro che una persona come la sig.ra Bartsch, più giovane di oltre 15 anni rispetto al marito deceduto, riceve un trattamento meno favorevole di quello che avrebbe ottenuto se si fosse trovata in una situazione analoga, (ossia se fosse rimasta vedova) ma la differenza di età rispetto al defunto marito fosse stata inferiore a 15 anni. Un simile trattamento discrimina direttamente tra diverse categorie di vedove di dipendenti per quanto riguarda l’ottenimento o l’esclusione dai diritti previdenziali. Il pregiudizio deriva direttamente dall’applicazione di un criterio legato all’età (una differenza di età di oltre 15 anni) per ottenere il diritto alla pensione. La sig.ra Bartsch è stata pregiudicata perché non ha ottenuto la pensione. L’autonomia personale ( 90 ) del sig. Bartsch è stata pregiudicata dall’impossibilità di prevedere misure adeguate in caso di sua scomparsa a favore della moglie, e dal fatto che sia stata penalizzata la sua libertà di scegliere una sposa più giovane di oltre 15 anni.

99.

Un’applicazione in via analogica della giurisprudenza della Corte in tema di discriminazione diretta in base al sesso porterebbe a concludere che, poiché la discriminazione diretta non può essere obiettivamente giustificata (v. per esempio, la sentenza Dekker) ( 91 ), è vietato qualsiasi trattamento che faccia distinzioni sulla base dell’età. Tuttavia, è evidente che il legislatore comunitario ha stabilito, nella direttiva 2000/78, che alcune categorie di trattamenti simili potrebbero essere obiettivamente giustificati ( 92 ). A mio parere, ciò corrobora l’analisi da me proposta riguardo alla soluzione da dare alla questione n. 2.

Analisi in base alla direttiva 2000/78

100.

L’art. 3, n. 1, applica la direttiva a «tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene (…) c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, compres[a] (…) la retribuzione». Secondo una giurisprudenza consolidata, una pensione di reversibilità rientra nella nozione di «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE in quanto vantaggio che trae origine dal rapporto di lavoro del coniuge defunto ( 93 ).

101.

Il contratto di lavoro ha dato vita ad un rapporto di lavoro tra il sig. Bartsch e la BSH. La pensione di reversibilità costituisce una «retribuzione» ai sensi dell’art. 141 CE e pertanto una «retribuzione» ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva 2000/78. Dopo lo scadere del termine di attuazione di tale direttiva, la validità della clausola sulla differenza di età dovrebbe essere pertanto valutata sulla base della direttiva stessa.

102.

A mio avviso, per quel che riguarda il problema di quali tipi di discriminazione in ragione dell’età siano compresi, sono applicabili sulla base della direttiva gli stessi argomenti fatti valere nell’analisi compiuta sulla base del principio generale. Essi trovano conferma in numerose caratteristiche specifiche della direttiva.

103.

In primo luogo, il ‘considerando’ 25 chiarisce che la discriminazione basata sull’età ai sensi della direttiva è un concetto ampio. Questo corrisponde ai principi generali dell’interpretazione, in base ai quali il concetto di discriminazione contenuto nell’art. 2 dovrebbe essere inteso in modo ampio, mentre le giustificazioni e le deroghe di cui all’art. 2, n. 2, lett. b), punto i), e all’art. 6 dovrebbero essere interpretate restrittivamente. Ritenere che l’art. 2 applicabile solo all’età assoluta («il datore di lavoro riserva ad un cinquantenne un trattamento meno favorevole di quello applicato ad un quarantenne») significherebbe interpretare in maniera restrittiva il principio contenuto in tale articolo. Non è questo il modo in cui la Corte ha interpretato la discriminazione a motivo del sesso ( 94 ) o qualsiasi altra libertà fondamentale del Trattato.

104.

In secondo luogo, come osserva la Commissione, intendere l’art. 2 applicabile solo all’età assoluta renderebbe più facile aggirare il divieto di discriminazione in esso contenuto. Un datore di lavoro astuto potrebbe eludere il divieto riformulando le prassi discriminatorie che già segue in termini di età relativa anziché assoluta.

105.

A mio avviso, pertanto, la direttiva va interpretata nel senso che essa vieta sia la discriminazione basata sull’età assoluta sia quella basata sull’età relativa. Nell’analisi da me compiuta riguardo al principio generale, ho affermato che nella «discriminazione sulla base dell’età relativa» rientrano sia il trattamento discriminatorio contro il lavoratore defunto sia il trattamento discriminatorio contro il superstite ( 95 ). Non posso immaginare che il principio sancito nell’art. 2 della direttiva 2000/78, che mira a «rendere effettivo» il principio della parità di trattamento ( 96 ), debba essere interpretato in modo più restrittivo del principio generale.

106.

Ritengo pertanto che una clausola sulla differenza di età come quella di cui si discute nel procedimento dinanzi al giudice nazionale può costituire una discriminazione diretta ai sensi dell’art. 2, n. 2, lett. a), della direttiva 2000/78 ( 97 ), sia nei confronti del sig. Bartsch, sia nei confronti del coniuge superstite, la sig.ra Bartsch. Va comunque ricordato che all’epoca dei fatti il termine per il recepimento della direttiva nell’ordinamento tedesco non era ancora scaduto.

Questione n. 3, lett. b)

107.

Il giudice del rinvio chiede se, nel caso in cui una disposizione come la clausola sulla differenza d’età dia origine ad una disparità di trattamento, tale discriminazione possa essere giustificata sulla base dell’interesse del datore di lavoro a limitare i rischi assunti con un regime pensionistico volontario (e dalla sua intenzione di rendere maggiormente quantificabili tali rischi) ( 98 ). Mi sembra peraltro che, una volta quantificato, non si possa più parlare di «rischio», bensì di un futuro obbligo per il quale si possono adottare misure. Mi sembra evidente che l’analisi attuariale quantificherà gli obblighi che possono derivare dalle «differenze di età». Procederò pertanto sulla base del fatto che il giudice del rinvio intenda in sostanza sapere se una discriminazione possa essere giustificata dall’interesse del datore di lavoro a porre un limite generale ai costi assunti con un regime pensionistico volontario.

108.

La direttiva 2000/78 fornisce uno schema analitico adeguato per affrontare il problema. Se gli eventi che hanno dato origine al rinvio pregiudiziale in esame si fossero verificati dopo lo scadere del termine per il recepimento di tale direttiva, la clausola sulla differenza d’età in un regime pensionistico integrativo simile a quello realizzato dalla BSH avrebbe potuto essere giustificata?

109.

La direttiva 2000/78 definisce tanto la discriminazione diretta quanto quella indiretta all’art. 2. Sia la lett. a) sia la lett. b) dell’art. 2, n. 2, hanno il medesimo incipit: «sussiste discriminazione (…) quando (…)». La lett. a) definisce la discriminazione diretta senza ventilare l’idea che, in linea di principio, essa sia passibile di giustificazione. La lett. b), invece, dispone che «sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone (…) di una particolare età (…) a meno che (…) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari (…)». In altri termini, se la condizione di cui all’art. 2, n. 2, lett. b), è soddisfatta, non deve ritenersi presente alcuna discriminazione indiretta (in caso contrario, invece, sì). D’acchito, questa formulazione sembrerebbe suggerire, ragionando a contrario, che la discriminazione definita dall’art. 2, n. 2, lett. a) non possa essere obiettivamente giustificata. Vi è peraltro un’evidente sovrapposizione tra i termini dell’art. 2, n. 2, lett. b) e la definizione di una giustificazione (estensiva) sulla base di motivi obiettivi per la discriminazione in ragione dell’età come individuata dall’art. 6.

110.

L’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78 si occupa esclusivamente della giustificazione di un particolare tipo di disparità di trattamento, ossia la discriminazione per motivi di età. Esso si apre con la seguente formula: «Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, gli Stati membri possono prevedere che (…)». Il legislatore qui non fa alcuna distinzione tra l’art. 2, n. 2, lett. a) (discriminazione diretta) e l’art. 2, n. 2, lett. b) (discriminazione indiretta). Gli Stati membri possono anzi stabilire che le disparità di trattamento individuate dall’art. 2, n. 2 «non costituiscano discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima (…) e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari». Alcune specifiche «finalità legittime» vengono individuate esplicitamente («compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale») in un elenco che però, considerato l’uso del termine «compresi», non va ritenuto esaustivo. Fatta questa introduzione, le lett. a), b) e c) individuano (di nuovo in modo non esaustivo) alcuni tipi di disparità di trattamento che sembrano implicare in parte una discriminazione diretta ( 99 ), in parte una discriminazione indiretta ( 100 ) sulla base dell’età. L’art. 6, n. 2, prevede alcuni tipi di disparità di trattamento in ragione dell’età per i regimi aziendali di sicurezza sociale.

111.

Sarebbe giusto dire che la maggior parte degli esempi specifici di disparità di trattamento «accettabili» contenuti nell’art. 6, n. 1, implicano l’uso diretto dell’età come criterio di decisione («lavoratori anziani», «condizioni minime di età», «un’età massima per l’assunzione») ( 101 ). Il criterio decisionale, pertanto, non è «una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri» come definito dall’art. 2, n. 2, lett. b) nell’ambito della definizione di discriminazione indiretta. Esso è spesso, piuttosto, un trattamento discriminatorio sulla base dell’età puro e semplice.

112.

L’unica conclusione logica che si può trarre è che la direttiva 2000/78 permette esplicitamente tipi particolari di disparità di trattamento basate direttamente sull’età, purché siano «oggettivamente e ragionevolmente giustificate (…) da una finalità legittima (…) e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari». Questa interpretazione della lettera di tale disposizione appare corroborata dalla sentenza della Corte Palacios de la Villa ( 102 ), che verteva su una clausola di pensionamento obbligatorio contenuta in un atto legislativo nazionale ( 103 ). Ai sensi del ‘considerando’ 14 della direttiva 2000/78, «[l]a presente direttiva [ ( 104 )] lascia impregiudicate le disposizioni nazionali che stabiliscono l’età pensionabile». La direttiva però non contiene alcuna disposizione sostanziale che escluda le clausole sul pensionamento dalla sua portata. La Corte ha dichiarato che una clausola di questo tipo rientrava nella direttiva e costituiva una discriminazione diretta in ragione dell’età ( 105 ). Tuttavia, essa ha considerato che tale clausola rispondesse ad una finalità che, come previsto dall’art. 6, n. 1, della direttiva, giustificava obiettivamente e ragionevolmente una disparità di trattamento basata sull’età ( 106 ).

113.

La clausola sulla differenza d’età non rientra in nessuno degli esempi particolari di cui all’art. 6, n. 1, lett. a), b) o c). L’interesse del datore di lavoro di porre un limite generale ai costi sostenuti con un regime pensionistico volontario ( 107 ) richiama i fattori sottostanti alla deroga di cui all’art. 6, n. 2. In forza di un principio generale di interpretazione, le deroghe vanno interpretate restrittivamente. Al tempo stesso è evidente che l’art. 6 non contiene alcun elenco esaustivo di deroghe ammissibili.

114.

Se lo Stato membro avesse già dato attuazione alla direttiva 2000/78, avrebbe (presumibilmente) compiuto scelte di natura politica. Se avesse optato per far valere l’art. 6, n. 2, della direttiva per consentire ad un datore di lavoro privato di includere una disposizione come la clausola sulla differenza d’età nel suo regime pensionistico aziendale, la Corte avrebbe dovuto innanzi tutto decidere se l’uso della clausola sulla differenza d’età rientrasse nell’ambito della deroga e poi, in caso positivo, valutare il regime sulla base del principio di proporzionalità.

115.

Da un lato, allo stato attuale del diritto comunitario, gli Stati membri così come, nel caso di specie, le parti sociali a livello nazionale, dispongono di un ampio margine di valutazione discrezionale nella scelta non soltanto di uno scopo determinato fra altri in materia di politica sociale e di occupazione, ma altresì delle misure atte a realizzare detto obiettivo ( 108 ).

116.

Dall’altro lato, la Corte ha costantemente adottato un approccio rigoroso per quel che riguarda i regimi pensionistici che, come quello di cui nel caso in esame, escludono determinate categorie di soggetti, rispetto a quelli che prevedono benefici differenziati. In particolare, essa ha limitato gli effetti non retroattivi della sua sentenza Barber ( 109 ) in modo da renderli inapplicabili al primo tipo di regimi pensionistici ( 110 ). La Corte inoltre è stata cauta nell’accettare motivazioni basate sui calcoli attuariali per giustificare disparità di trattamento ( 111 ).

117.

Secondo il giudice del rinvio la clausola sulla differenza d’età sarebbe compatibile con il diritto interno, essendo basata su «ragioni obiettive», ossia l’interesse del datore di lavoro di porre un limite generale ai costi derivanti da un regime pensionistico volontario ( 112 ). Inoltre, tali considerazioni sarebbero strettamente legate alla clausola sulla differenza d’età. La limitazione dei costi si baserebbe su un criterio demografico: più giovani sono i superstiti rispetto ai dipendenti che beneficiano di una pensione aziendale, più lungo è il periodo medio di tempo per il quale il datore di lavoro dovrà corrispondere una pensione di reversibilità.

118.

Dato l’ampio margine discrezionale di cui godono gli Stati membri nel settore della politica sociale ed occupazionale, sono disposta ad ammettere che la scelta politica compiuta da uno Stato membro diretta a permettere l’inclusione, nei regimi pensionistici privati, di una qualche clausola sulla differenza d’età possa rispondere, in linea di principio, ad una finalità legittima ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 2000/78.

119.

Tuttavia, ritengo che un regime — come quello della BSH — costruito in modo da escludere la vedova di un dipendente come la sig.ra Bartsch ( 113 ) da qualsiasi prestazione previdenziale non supererebbe il vaglio del principio di proporzionalità di cui all’art. 6, n. 1, il quale impone che i mezzi per il conseguimento delle finalità legittime siano «appropriati e necessari».

120.

In primo luogo, come emerge dalla risposta data in udienza dal rappresentante della BSH, nell’ideare il regime pensionistico la società aveva tenuto inizialmente in considerazione solo il problema di come distribuire i fondi (disponibili).

121.

In secondo luogo, non è difficile immaginare modi per contenere i costi dovuti ai regimi pensionistici volontari meno radicali rispetto all’assoluta estromissione degli eredi. Per esempio, potrebbe essere erogata una prestazione di importo ridotto ai superstiti più giovani, eventualmente su base decrescente; oppure, le prestazioni potrebbero essere versate solo una volta che i superstiti abbiano raggiunto una determinata età.

122.

In terzo luogo, nulla nei documenti presentati alla Corte suggerisce l’idea che una pensione di reversibilità possa essere erogata solo se il dipendente decede oltre un dato limite d’età. Per esempio, nel caso in cui un dipendente e sua moglie siano coetanei e il dipendente deceda all’età di 40 anni, la vedova riceverà una pensione. Invece, la vedova di un dipendente deceduto all’età di 56 anni e che sia più giovane di 16 anni rispetto al marito non riceverà nulla. Non esiste però alcuna differenza sostanziale tra le vedove dei due esempi (entrambe quarantenni) relativamente alle loro aspettative di vita e quindi relativamente alla durata del periodo per il quale esse potrebbero ricevere una pensione di reversibilità.

123.

Analizzando la questione n. 3, lett. b) alla luce del principio generale che vieta la discriminazione, applicato in particolare alla discriminazione in ragione dell’età, è difficile capire come simile discriminazione in base all’età possa essere giustificata. In ogni caso, il regime non rispetta il principio di proporzionalità.

124.

Suggerisco pertanto di risolvere tale questione, se necessario, nel senso che una disposizione come la clausola sulla differenza d’età oggetto del presente procedimento non può essere giustificata sulla base del fatto che il datore di lavoro ha interesse a contenere i costi complessivi dovuti ad un regime pensionistico su base volontaria.

La questione n. 3, lett. c)

125.

Il giudice del rinvio chiede se l’eventuale divieto di discriminazione in ragione dell’età abbia un effetto retroattivo illimitato per quel che riguarda la legislazione in tema di regimi pensionistici aziendali e, in caso di soluzione negativa, in che modo esso sia limitato.

126.

Anche se, nell’ordinanza di rinvio, il giudice nazionale si chiede quale sia il momento preciso a partire dal quale il principio che vieta la discriminazione in ragione dell’età si applica e sul modo in cui l’applicazione di tale principio debba conciliarsi con la tutela del legittimo affidamento, è evidente che la questione n. 3, lett. c) è diretta in realtà a chiarire se si possa porre un limite temporale alla sentenza pronunciata nel presente caso ( 114 ). È questo, dunque il fondamento della soluzione che propongo alla questione.

127.

I limiti alla retroattività di una sentenza sono imposti solo in via eccezionale e a due condizioni. In primo luogo, è necessario che esista il rischio di gravi ripercussioni economiche; in secondo luogo, occorre che i singoli e le autorità nazionali siano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa comunitaria in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni comunitarie ( 115 ). Le due condizioni sono cumulative.

128.

Inoltre, una limitazione nel tempo degli effetti di una pronuncia deve essere disposta dalla Corte nella prima pronuncia che statuisce sull’interpretazione richiesta ( 116 ).

129.

Non ritengo che nel caso di specie gli effetti nel tempo della sentenza debbano essere limitati.

130.

In primo luogo, non è stato presentato alla Corte materiale (né nell’ordinanza di rinvio, né da parte della BSH o della Germania ( 117 )) sufficiente a indicare l’esistenza di un rischio di gravi ripercussioni economiche nel caso in cui la Corte non limitasse nel tempo gli effetti della sua pronuncia.

131.

In secondo luogo, nella sentenza Mangold la Corte non ha posto alcun limite temporale alla sua pronuncia. Ed è questa la sentenza che ha individuato il principio che (eventualmente) dovrebbe essere applicato nel caso in esame.

132.

Anche se si ritenesse che questa è la prima volta che la Corte deve valutare l’applicazione di tale principio ad un regime pensionistico aziendale privato, la prima delle due condizioni (cumulative) non apparirebbe comunque soddisfatta.

133.

Pertanto, alla pronuncia nel presente caso non va applicato alcun limite temporale.

Conclusione

134.

Suggerisco pertanto alla Corte di risolvere le questioni sollevate nel seguente modo:

1)

Gli Stati membri non sono tenuti a garantire tutela in base al principio della parità di trattamento (compresa la parità di trattamento indipendentemente dall’età) contenuto nel diritto comunitario nel caso in cui il trattamento che si assume discriminatorio non ricada nell’ambito di applicazione del diritto comunitario.

2)

Non esistono disposizioni sostanziali di diritto comunitario che possano fungere da fondamento per l’applicazione del principio generale della parità di trattamento (compresa la parità di trattamento indipendentemente dall’età) alla situazione che ha dato origine al rinvio pregiudiziale.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese

( 2 ) Sentenza 22 novembre 2005, causa C-144/04 (Racc. pag. I-9981). La premessa secondo cui tale principio costituirebbe diritto consolidato viene negata direttamente dal Regno Unito e in modo più indiretto dalla Germania e dai Paesi Bassi: v. infra, paragrafo 29.

( 3 ) Direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303, pag. 16). Si tratta di una delle due direttive di attuazione adottate ai sensi dell’art. 13 CE; l’altra è la direttiva del Consiglio 29 giugno 2000, 2000/43/CE, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180, pag. 22; in prosieguo: la «direttiva sulla discriminazione in base alla razza»).

( 4 ) ‘Considerando’ 1.

( 5 ) ‘Considerando’ 4, che cita la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata e proclamata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 217 A (III), la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «convenzione europea sui diritti dell’uomo») e la Convenzione n. 111 dell’Organizzazione internazionale del lavoro contro la discriminazione in materia di occupazione e condizioni di lavoro adottata il 25 giugno 1958.

( 6 ) Adottata dal Consiglio europeo di Strasburgo il 9 dicembre 1989.

( 7 ) ‘Considerando’ 6 e 8.

( 8 ) Linee direttrici della Bosch-Siemens Hausgeräte Altersfürsorge GmbH, del 1° gennaio 1984, nella versione del 1° aprile 1992.

( 9 ) Nelle presenti conclusioni utilizzerò l’acronimo «BSH» per riferirmi tanto alla convenuta nel procedimento principale (la Bosch-Siemens Hausgeräte Altersfürsorge GmbH) quanto alla società Bosch-Siemens Hausgeräte GmbH.

( 10 ) Al paragrafo 107 delle presenti conclusioni suggerirò un’interpretazione leggermente diversa della giustificazione proposta dal giudice del rinvio.

( 11 ) Ho riformulato la questione al paragrafo 27 delle presenti conclusioni.

( 12 ) Punto 74. Nel testo inglese della sentenza si fa erroneamente riferimento al terzo ‘considerando’ anziché al primo.

( 13 ) Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43).

( 14 ) V., per esempio, J. Cavallini, «De la suppression des restrictions à la conclusion d’un contrat à durée déterminée lorsque le salarié est un senior», La Semaine Juridique Sociale 2005, pagg. 25-28; O. Dubos, «La Cour de justice, le renvoi préjudiciel, l’invocabilité des directives: de l’apostasie à l’hérésie?», La Semaine juridique 2006, pagg. 1295-1297; O. LeClerc, «Le contrat de travail des seniors à l'épreuve du droit communautaire», Recueil Dalloz 2006, pagg. 557-561; M. Nicolella, «Une application anticipée des directives non transposées?», Gazette du palais 2006, pag. 22; E. Dubout, sulla sentenza «Mangold» in Revue des affaires européennes 2005, pagg. 723-733; A. Masson e C. Micheau, «The Werner Mangold Case: An Example of Legal Militancy», European Public Law 2007, pagg. 587-593; Editorial Comments, Common Market Law Review 2006, pagg. 1-8.

( 15 ) V., per esempio, K. Riesenhuber, «Case Note» in European Review of Contract Law 2007, pag. 62; J. Swift, “Pale, stale, male”, New Law Journal 2007, pagg. 532-534; Editorial Comments, Common Market Law Review, cit. Un giudizio positivo sotto il profilo dei diritti viene espresso da D. Schiek, «The ECJ Decision in Mangold: A Further Twist on Effects of Directives and Constitutional Relevance of Community Equality Legislation», Industrial Law Journal 2006, pagg. 329-341.

( 16 ) V., per esempio, Cavallini, Dubos, Editorial Comments, Common Market Law Review, tutti citati alla nota 14.

( 17 ) V., per esempio, Swift, Cavallini, Nicolella, Dubout, Masson/Micheau, (cit. alle note 14 e 15); D. Martin, «L’arrêt Mangold — Vers une hiérarchie inversée du droit à l’égalité en droit communautaire?», Journal des tribunaux du travail 2006, pagg. 109-116.

( 18 ) Sentenza 11 luglio 2006, causa C-13/05 (Racc. pag. I-6467, paragrafi 46-56 delle conclusioni).

( 19 ) Sentenza 11 settembre 2007, causa C-227/04 P (Racc. pag. I-6767, in particolare paragrafi 52-58 delle conclusioni).

( 20 ) Sentenza 16 ottobre 2007, causa C-411/05 (Racc. pag. I-8531, in particolare paragrafi 87-97 e 132-138 delle conclusioni).

( 21 ) Sentenza 17 febbraio 1998, causa C-249/96 (Racc. pag. I-621).

( 22 ) Conclusioni presentate il 6 settembre 2007 relativamente alla causa C-267/06 (Racc. pag. I-1757, paragrafo 78 e note a piè di pagina).

( 23 ) V. sentenza 3 ottobre 2006, causa C-17/05, Cadman (Racc. pag. I-9583, punto 28). Apparentemente, la stessa frase viene ripetuta, con leggere differenze, in tutta la giurisprudenza della Corte, sin dalla sentenza 19 ottobre 1977, cause riunite 117/76 e 16/77, Ruckdeschel (Racc. pag. 1753, punto 7).

( 24 ) V. la Relazione della Commissione sulle disposizioni giuridiche degli Stati membri per la lotta alla discriminazione [Report on the Member States’ Legal Provisions to Combat Discrimination], disponibile sul sito Internet http://ec.europa.eu/employment_social/labour_law/docs/reportmsdiscrimination_en.pdf.

( 25 ) Vedi supra, nota n. 5.

( 26 ) Come emerge chiaramente dalle parole «riconosciuti nella presente Convenzione», l’art. 14 non costituisce una disposizione autonoma, ma va letta in combinato disposto con altri diritti sostanziali garantiti dalla Convenzione. Tuttavia, il Protocollo 12 contiene un simile divieto autonomo di discriminazione (tra gli Stati membri dell’UE, soltanto Cipro, la Finlandia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Romania e la Spagna hanno ratificato il Protocollo). Faccio rilevare che la discriminazione in base all’età non è specificamente menzionatain nessuno di questi lunghi anche se non esaustivi elenchi.

( 27 ) Tutte le citazioni sono tratte dalla sentenza Mangold, cit. alla nota 2, punto 74. La formula che richiama le «tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» viene utilizzata convenzionalmente come fondamento per l’individuazione di un principio fondamentale del diritto comunitario (come l’art. 6, n. 2, UE, che codifica la precedente giurisprudenza della Corte).

( 28 ) Conclusioni relative alla sentenza Lindorfer, cit. alla nota 19, paragrafo 55, in cui si fa riferimento alla sentenza Mangold, cit. alla nota 2, punto 74.

( 29 ) V. la Relazione della Commissione sulle disposizioni giuridiche degli Stati membri per la lotta alla discriminazione, cit. alla nota 24, pag. 70; v. anche M. Sargeant (ed.), The Law on Age Discrimination in the EU, 2008.

( 30 ) Etica nicomachea, V.3. 1131a10-b15; Politica, III.9.1280 a8-15, III. 12. 1282b18-23.

( 31 ) V. anche S. Gosepath, “Equality” in E.N. Zalta (ed.), The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Fall 2007 Edition), reperibile sul sito Internet http://plato.stanford.edu/archives/fall2007/entries/equality/.

( 32 ) Vedi H.L.A. Hart, The Concept of Law (2nd ed., 1994), pagg. 159-163.

( 33 ) Vedi l’epitaffio di Pericle per gli ateniesi caduti nel primo anno della rovinosa guerra contro Sparta: «Noi abbiamo una forma di governo che non guarda con invidia le costituzioni dei vicini, e non solo non imitiamo altri, ma anzi siamo noi stessi di esempio a qualcuno. Quanto al nome, essa è chiamata democrazia, poiché è amministrata non già per il bene di poche persone, bensì di una cerchia più vasta: di fronte alle leggi, però, tutti, nelle private controversie, godono di uguale trattamento; e secondo la considerazione di cui uno gode, poiché in qualche campo si distingue, non tanto per il suo partito, quanto per il suo merito, viene preferito nelle cariche pubbliche; né, d’altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualche cosa di utile alla città, gli è di impedimento per l’oscura sua posizione sociale» Tucidide, La guerra del Peloponneso, Libro II, XXXV-XLVI, in particolare XXXVII, Mondadori, Milano, 1971).

( 34 ) Gli stranieri residenti, che godevano solo di alcuni dei privilegi derivanti dalla cittadinanza.

( 35 ) Una classe di servi nell’antica Sparta, con uno status intermedio tra gli schiavi comuni e i liberi cittadini spartani.

( 36 ) «Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità» (Dichiarazione di indipendenza, 4 luglio 1776).

( 37 ) La Corte Suprema degli Stati uniti ha giocato un ruolo di primo piano nel processo di affermazione dell’inaccettabilità della discriminazione in base alla razza. V., per esempio, la sentenza Brown v Board of Education of Topeka, 349 U.S. 294 (1954), nella quale la Corte Suprema ha ribaltato la sua precedente pronuncia nella causa Plessy v Ferguson, 163 U.S. 537 (1896), in cui aveva affermato che i servizi «separati ma eguali» [«separate but equal»], tra cui la scuola, «per bianchi e neri» [«for the white and coloured race»] erano conformi alla Costituzione. Soltanto il giudice John Marshall Harlan dissentì con questo secondo caso, dichiarando che «la Costituzione non distingue tra i colori e non conosce né tollera classi tra i cittadini» [«Constitution is color-blind and neither knows nor tolerates classes among its citizens»].

( 38 ) Sentenza 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall/Southampton e South-West Hampshire Area Health Authority (Racc. pag. 723).

( 39 ) Cfr. R. Dworkin, Taking Rights Seriously (1977), pagg. 22-28, il quale definisce la differenza tra norme e principi con riferimento al tipo di indicazione che essi forniscono. Un principio è un asserto che tende in una data direzione senza bisogno di una decisione particolare. Una norma espone le conseguenze che sul piano giuridico derivano automaticamente dalla presenza delle condizioni prescritte. Per contro, le norme non hanno la dimensione del peso che è invece propria dei principi: se due norme entrano in conflitto, una delle due sarà inapplicabile o invalida, mentre due principi in conflitto possono essere ponderati l’uno con l’altro.

( 40 ) Azioni specifiche ulteriori per combattere contro forme particolari di discriminazione già vietate, in base a principi generali del diritto comunitario, avrebbero potuto essere attuate dal Consiglio in forza dell’art. 308 CE (ex art. 235), in combinato disposto con gli obiettivi della Comunità elencati nell’art. 2. Gli Stati membri hanno chiaramente ritenuto necessario un fondamento giuridico distinto nel Trattato per simili azioni e lo hanno puntualmente realizzato nella forma dell’art. 13 CE.

( 41 ) Per una comparazione, v. la direttiva sulla discriminazione in base alla razza, in particolare artt. 2 («Nozione di discriminazione») e 3 («Campo di applicazione»).

( 42 ) Su questa differenza di terminologia, v. M. Bossuyt, L’interdiction de la discrimination dans le droit international des droits de l’homme (1976), pagg. 7-27.

( 43 ) Infatti, per esempio, il principio sottostante al razionamento è quello di applicare criteri specifici per distinguere tra potenziali beneficiari e distribuire così risorse scarse. I criteri considerati giustificabili sono ammessi; altri criteri vengono contrastati come arbitrari o sleali. Ma è l’opinione seguita dalla società in un determinato tempo e in un determinato luogo che stabilisce cosa è giustificabile. V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro relative alla causa C-303/06, Coleman, del 31 gennaio 2008, paragrafo 16, e le mie conclusioni relative alla causa C-353/06, Grunkin e Paul, del 24 aprile 2008, paragrafi 62 e 71; inoltre, riguardo all’elemento dell’arbitrarietà nella discriminazione, v. Bossuyt, cit. alla nota 42, pagg. 37-39 e 97-128.

( 44 ) A mio avviso, il passaggio dall’ideazione alla piena attuazione è spesso più probabilmente frutto di un processo evolutivo che non di un «big bang». Per esempio, sarebbe stato difficile individuare il momento esatto, tra il 1780 e il 1807, in cui, grazie al lavoro di riformatori come Peter Peckard, Thomas Clarkson e William Wilberforce, è apparso il principio che ha trovato specifica espressione in un «Atto per l’abolizione della tratta degli schiavi» (An Act for the Abolition of the Slave Trade, 47 Georgii III, Session 1, cap. XXXVI).

( 45 ) Cit. alla nota 19.

( 46 ) Cfr. il titolo, il preambolo e l’art. 1.

( 47 ) Art. 3, n. 1.

( 48 ) Art. 2, n. 1.

( 49 ) Rispettivamente, art. 2, n. 2, lett. a), e b). La struttura di tali disposizioni si basa sulla consolidata giurisprudenza della Corte in tema di discriminazioni in base al sesso.

( 50 ) ‘Considerando’ n. 25 e disposizioni sostanziali di dettaglio contenute nell’art. 6, n. 1.

( 51 ) Art. 249 CE.

( 52 ) Ibidem. v. l’enfasi posta dalla Corte su tale differenza nella sentenza 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I-3325, punti 22-24), per negare che la direttiva potesse avere un effetto diretto anche orizzontale (respingendo in tal modo le indicazioni suggerite da tre avvocati generali: l’avvocato generale Van Gerven nella sentenza 2 agosto 1993, causa C-271/91, Marshall II (Racc. pag. I-4367); l’avvocato generale Jacobs nella sentenza 3 marzo 1994, causa C-316/93, Vaneetveld (Racc. pag. I-763) e l’avvocato generale Lenz nella stessa sentenza Faccini Dori).

( 53 ) La sig.ra Bartsch non ha presentato osservazioni scritte alla Corte e non è stata rappresentata in udienza.

( 54 ) V., per esempio, sentenza 15 giugno 1978, causa 149/77, Defrenne III (Racc. pag. 1365, punti 27 e 30), e sentenza 29 maggio 1997, causa C-299/95, Kremzow (Racc. pag. I-2629, punto 15). Sul principio generale di uguaglianza e di non discriminazione, v. sentenza 12 dicembre 2002, causa C-442/00, Caballero (Racc. pag. I-11915, punti 30 e 32), e Chacón Navas, cit. alla nota 18, punto 56. V. anche sentenza Mangold, cit. alla nota 2, punto 75.

( 55 ) Nella sentenza 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie (Racc. pag. I-7411), la Corte ha dichiarato che dall’art. 10, n. 2, CE e dall’art. 249, n. 3, CE, risulta che, in pendenza del termine per la trasposizione, gli Stati membri devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva (punto 45; v., per analogia, sentenza 14 settembre 2006, causa C-138/05, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie (Racc. pag. I-8339, punto 42 e paragrafi 60-63 delle conclusioni da me presentate relativamente a detta causa). Inoltre, in pendenza del periodo per la trasposizione, i giudici degli Stati membri devono astenersi per quanto possibile dall’interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di compromettere gravemente la realizzazione del risultato perseguito da questa direttiva. Detto obbligo, tuttavia, è limitato da principi generali, in particolare quello della certezza del diritto e della irretroattività, e non può fungere da base per un’interpretazione contra legem (sentenza 4 luglio 2006, causa C-212/04, Adeneler e a., Racc. pag. I-6057, punti 119-123).

( 56 ) Sentenza 2 ottobre 1997, causa C-122/96 (Racc. pag. I-5325, punto 23).

( 57 ) Art. 54, n. 3, lett. g), del Trattato CE [divenuto ora art. 44, n. 2, lett. g), CE].

( 58 ) La Commissione non solleva lo stesso argomento riguardo alla direttiva 2000/78.

( 59 ) V. anche T. Tridimas, The General Principles of EU Law (2nd ed., 2006), pagg. 36-42; e J. Temple Lang, “The Sphere in which Member States are Obliged to Comply with the General Principles of Law and Community Fundamental Rights Principles”, Legal Issues of European Integration 1991, pagg. 23-35.

( 60 ) V., per esempio, sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel (Racc. pag. 3719, punto 28); e sentenza Kremzow, cit. alla nota 54, punti 15-19.

( 61 ) Per «disposizione di diritto nazionale» intendo una norma di diritto pubblico o (qualora la disposizione rilevante di diritto pubblico si limiti a trasferire il potere normativo ad un organismo semipubblico o privato) una norma sostanzialmente derivante dal diritto pubblico e le cui scelte politico-sociali possano ragionevolmente ritenersi un riflesso degli orientamenti dettati dalle autorità pubbliche dello Stato membro [v. l’accurato esame effettuato dalla Corte nella sentenza 12 luglio 1990, causa C-188/89, Foster, (Racc. pag. I-3313, punto 22) per stabilire quando un organismo possa considerarsi parte «dello Stato» ai fini dell’effetto diretto verticale].

( 62 ) V., per esempio, sentenze 27 settembre 1979, causa 230/78, Eridania (Racc. pag. 2749, punto 31); 18 febbraio 1982, causa 77/81, Zuckerfabrik Franken (Racc. pag. 681, punti 22-28); 25 novembre 1986, cause riunite 201/85 e 202/85, Klensch (Racc. pag. 3477, punti 10 e 11); 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf (Racc. pag. 2609, punti 17-22); e 10 luglio 2003, cause riunite C-20/00 e C-64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood (Racc. pag. I-7411, punti 88-93).

( 63 ) V., per esempio, sentenze 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT (Racc. pag. I-2925, punti 41-45) e 26 giugno 1997, causa C-368/95, Familiapress (Racc. pag. I-3689, punto 24).

( 64 ) V., per esempio, sentenze 25 marzo 2004, causa C-71/02, Karner (Racc. pag. I-3025, punti 48-53) (ostacolo potenziale al commercio intracomunitario); 5 maggio 1981, causa 804/79, Commissione/Regno Unito (Racc. pag. 1045, punti 23-30) (Stati membri che agiscono come fiduciari della Comunità in un settore di esclusiva competenza comunitaria); 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Garage Molenheide e a. (Racc. pag. I-7281, punti 45-48) (misure adottate da uno Stato membro nell’esercizio delle sue competenze in materia di IVA).

( 65 ) Punto 74.

( 66 ) Entrambe citazioni tratte dal punto 75.

( 67 ) Ibidem.

( 68 ) Punto 76.

( 69 ) Ibidem.

( 70 ) Punti 77 e 78. Il principio della tutela effettiva invocato nella causa in oggetto risale alla sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal (Racc. pag. 629), ed ha trovato conferma nella sentenza 19 giugno 1990, causa C-213/89, Factortame (Racc. pag. I-2433).

( 71 ) Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, la situazione nel caso di specie differisce da quella di cui alla sentenza Saldanha, cit. alla nota 56. In detta causa, la Corte ha dichiarato che le norme che, nel settore del diritto societario, contemplano la tutela degli interessi dei soci rientrano nella sfera di applicazione del Trattato e sono quindi soggette al divieto di qualsiasi discriminazione a motivo della cittadinanza. Secondo la Corte, ciò dipende dal fatto che l’art. 44, n. 2, lett. g), CE, «al fine di realizzare la libertà di stabilimento (…) attribuisce al Consiglio e alla Commissione il potere di coordinare, in quanto necessario e per renderle equivalenti, le garanzie richieste negli Stati membri alle società ai sensi dell’art. [48, secondo comma, CE] per tutelare gli interessi tanto dei soci come dei terzi» (punto 23). Questa affermazione va letta nell’ambito dell’intero capitolo del Trattato CE relativo al diritto di stabilimento (Titolo III, capitolo 2) nonché, con riferimento all’epoca in cui è stata pronunciata la sentenza Saldanha (1997), di un ampio quadro normativo di direttive: in generale, vedi V. Edwards, EC Company Law (1999) e, in particolare sulla portata dell’art. 44, n. 2, lett. g), CE, pagg. 5-9. La situazione è evidentemente diversa da quella del caso in esame.

( 72 ) Mi sembra sia inappropriato parlare di «efficacia diretta», tanto orizzontale quanto verticale con riferimento all’impatto di un principio generale di diritto comunitario. L’«efficacia diretta» di un articolo del Trattato o di una disposizione di una direttiva significa che il singolo può riferirsi ad una norma di diritto comunitario chiara, precisa e incondizionata e far leva su di essa per travolgere una disposizione normativa nazionale con essa in contrasto (o per colmare una lacuna). Al contrario, un principio generale di diritto comunitario si applica ad un insieme di disposizioni normative e ne condiziona l’interpretazione. A volte, da ciò può derivare l’inammissibilità di una determinata interpretazione. Il principio generale, però, non può in quanto tale operare come sostituto di una disposizione normativa esistente. A mio parere, pertanto, esso non è «direttamente efficace» anche se indubbiamente è in grado di influire sulla corretta valutazione giuridica, e in alcuni casi ciò è quel che avviene.

( 73 ) V., per esempio, le sentenze Klensch e Wachauf, entrambe cit. alla nota 62 (entrambe relative all’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei latticini); le sentenze citate dall’avvocato generale Tizzano alla nota 27 delle sue conclusioni relative alla sentenza Mangold, cit. alla nota 2; e le conclusioni presentate il 13 dicembre 2007 dall’avvocato generale Kokott relativamente alla causa C-309/06, Marks & Spencer, Racc. pag. I-2283 (rimborso dell’IVA).

( 74 ) V., per esempio, sentenze 13 febbraio 1985, causa 293/83, Gravier (Racc. pag. 593, sull’accesso alla formazione professionale); 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot (Racc. pag. 379, sull’accesso all’insegnamento universitario); 27 settembre 1988, causa 42/87, Commissione/Belgio (Racc. pag. 5445, sulle indennità di insegnamento); 20 ottobre 1993, cause riunite C-92/92 e C-326/92, Phil Collins (Racc. pag. I-5145 sui diritti di proprietà intellettuale); 26 settembre 1996, causa C-43/95, Data Delecta (Racc. pag. I-4661 sui procedimenti giudiziali).

( 75 ) V., per esempio, sentenze 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston (Racc. pag. 1651, sull’effettivo controllo giudiziale nell’ambito delle «condizioni di lavoro» come giustificazione per una disparità di trattamento tra uomini e donne); Wachauf, cit. alla nota 62 (diritto di proprietà nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei latticini); 11 luglio 2002, causa C-60/00, Carpenter (Racc. pag. I-6279 sul diritto al rispetto della vita familiare nell’ambito di una potenziale restrizione alla libera circolazione dei servizi).

( 76 ) V., per esempio, sentenza 11 luglio 2002, causa C-62/00, Marks & Spencer (Racc. pag. I-6325, sul legittimo affidamento nell’ambito di una nuova limitazione nazionale del termine di decadenza per il rimborso di somme pagate in contrasto con il diritto comunitario).

( 77 ) V., per esempio, sentenze 19 giugno 1980, cause riunite 41/79, 121/79 e 796/79, Testa (Racc. pag. I-1979), sulla discrezionalità di uno Stato membro nell’estendere il periodo di godimento dell’indennità di disoccupazione ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento n. 1408/71; e Garage Molenheide, cit. alla nota 64.

( 78 ) Sentenza 24 marzo 1994, causa C-2/92 (Racc. pag. I-955, punto 24). Per un commento sulla sentenza Bostock e in generale sull’applicazione dei principi generali nei confronti dei privati, v. Tridimas, cit. alla nota 59, pagg. 47-50.

( 79 ) Sentenza 10 novembre 1993, causa C-60/92 (Racc. pag. I-5683, punto 16).

( 80 ) V. paragrafo 37 delle conclusioni dell’avvocato generale Gulmann.

( 81 ) V. sentenza Otto, cit. alla nota 79, punto 17.

( 82 ) Alcuni, ma non tutti, gli argomenti pro e contro l’efficacia orizzontale delle direttive possono essere applicati ai principi generali. Per un dibattito su tali argomenti, v. S. Prechal, Directives in EC Law (2nd ed., 2005), pagg. 255-261.

( 83 ) Sentenza 12 dicembre 1974, causa 36/74 (Racc. pag. 1405, punti 17 e 18). V. anche sentenze 11 dicembre 2007, causa C-438/05, Viking (Racc. pag. I-10779, punti 33-38 e 57-66), e 18 dicembre 2007, causa C-341/05, Laval (Racc. pag. I-11767, punti 86-111), in cui la Corte ha dichiarato gli art. 43 e 49 CE applicabili tra sindacati e imprese private. Nella sentenza Viking la Corte non ha fatto esplicito riferimento al divieto di discriminazione sottostante all’art. 43 CE. Tuttavia, nella sentenza Laval, essa ha ricordato la propria giurisprudenza in base alla quale «l’art. 12 CE, che sancisce il principio generale del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, tende ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal diritto comunitario per le quali il Trattato non stabilisce norme specifiche di non discriminazione (…). Per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi, tale principio è stato attuato e realizzato dall’art. 49 CE (…)» (punti 54 e 55).

( 84 ) Sentenza 6 giugno 2000, causa C-281/98 (Racc. pag. I-4139, punto 36).

( 85 ) V. paragrafi 67-75.

( 86 ) V. la discussione illustrata supra, ai paragrafi 69-76. A parere mio, tale era il caso Mangold.

( 87 ) Al paragrafo 136 delle conclusioni relative alla sentenza Palacios de la Villa, cit. alla nota 20.

( 88 ) Gli Stati membri «dispongono incontestabilmente di un ampio margine di valutazione discrezionale nella scelta delle misure atte a realizzare i loro obiettivi in materia di politica sociale e di occupazione»: v. sentenze Mangold, cit. alla nota 2, punto 63, e Palacios de la Villa, cit. alla nota 20, punto 68. Nella sentenza Mangold, la Corte ha concluso che le misure in esame non rispondevano al principio di proporzionalità (punto 65). Nella sentenza Palacios de la Villa, però, essa ha affermato che non appariva irragionevole per le autorità di uno Stato membro reputare che le misure contestate potessero essere appropriate e necessarie (punto 72).

( 89 ) Per la Germania, ciò è avvenuto il 2 dicembre 2006: v. paragrafo 12.

( 90 ) Sull’importanza della scelta per l’autonomia della persona, v. le conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro relative alla sentenza Coleman, cit. alla nota 43, paragrafi 9-11, e le opere citate ivi in nota.

( 91 ) Sentenza 8 novembre 1990, causa C-177/88 (Racc. pag. I-3941, punto 12). V. anche E. Ellis, EU Anti-Discrimination Law (2nd ed., 2005), pagg. 111-113.

( 92 ) V. infra, paragrafi 109-110.

( 93 ) V. sentenze 9 ottobre 2001, causa C-379/99, Menauer (Racc. pag. I-7275, punto 18 e giurisprudenza ivi citata), e 7 gennaio 2004, causa C-117/01, K.B. (Racc. pag. I-541, punto 26).

( 94 ) Infatti, nella discriminazione a motivo del sesso rientrano quelle derivanti dal cambiamento di sesso. V. sentenze 30 aprile 1996, causa C-13/94, P/S. (Racc. pag. I-2143, punti 17-20) e 27 aprile 2006, causa C-423/04, Richards (Racc. pag. I-3585, punto 24). Nella sentenza Grant, cit. alla nota 21, punto 42 (che è però precedente all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam e quindi all’introduzione dell’art. 13 nel Trattato CE), la Corte ha ritenuto di non ampliare le disparità di trattamento basate sull’orientamento sessuale di un individuo.

( 95 ) V. paragrafo 98.

( 96 ) Art. 1 della direttiva 2000/78.

( 97 ) Ai sensi di tale disposizione sussiste discriminazione diretta quando «una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga», sulla base, tra l’altro, dell’età. La discriminazione indiretta viene definita successivamente nell’art. 2, n. 2, lett. b). V. paragrafo 109.

( 98 ) V. supra, paragrafo 17.

( 99 ) Per esempio, la fissazione di un’età massima per l’assunzione in alcuni casi [art. 6, n. 1, lett. c)].

( 100 ) Per esempio, la fissazione di condizioni minime di anzianità di lavoro per l’accesso a taluni vantaggi connessi all’occupazione [art. 6, n. 1, lett. b)]. L’anzianità di lavoro, pur essendo un «criterio apparentemente neutro», può operare indirettamente come criterio basato sull’età.

( 101 ) V. la disamina dei due tipi di giustificazione per la disparità di trattamento in base al sesso, e la loro relazione con la discriminazione diretta e con quella indiretta, effettuata dall’avvocato generale Jacobs nelle conclusioni relative alla sentenza 7 dicembre 2000, causa C-79/99, Schnorbus (Racc. pag. I-10997, paragrafi 34 e 35).

( 102 ) Cit. alla nota 20.

( 103 ) A differenza che nel caso in esame, nella sentenza Palacios de la Villa il termine per l’attuazione era naturalmente già scaduto. V. supra, paragrafo 39.

( 104 ) È singolare l’uso dei tempi nell’articolato di un preambolo (che ha natura esplicativa). V. il punto 10 dell’Accordo interistituzionale del 22 dicembre 1998 sugli orientamenti comuni relativi alla qualità redazionale della legislazione comunitaria (GU 1999, C 73, pag. 1), al quale faccio riferimento nelle conclusioni da me presentate il 10 aprile 2008 relativamente alla causa C-345/06, Heinrich, paragrafi 28, 64 e 65.

( 105 ) Punto 51.

( 106 ) Punto 66.

( 107 ) V. supra, paragrafo 107.

( 108 ) V. sentenza Palacios de la Villa, cit. alla nota 20, punto 68. V. anche il ‘considerando’ 25 della direttiva 2000/78.

( 109 ) Sentenza 17 maggio 1990, causa C-262/88 (Racc. pag. I-1889). La limitazione nel tempo di tale sentenza è stata incorporata nel Protocollo n. 17 sull’art. 141 del trattato che istituisce la Comunità europea (1992).

( 110 ) V., per esempio, sentenze del 28 settembre 1994, causa C-57/93, Vroege (Racc. pag. I-4541, punti 27-28), e causa C-128/93, Fisscher (Racc. pag. I-4583, punti 49-50); 11 dicembre 1997, causa C-246/96, Magorrian e Cunningham (Racc. pag. I-7153, punti 27-29), e 10 febbraio 2000, cause riunite C-270/97 e C-271/97, Sievers e Schrage (Racc. pag. I-929, punti 39-41).

( 111 ) Nella sentenza Lindorfer, cit. alla nota 19, punto 56, la Corte ha dichiarato che la necessità di una sana gestione finanziaria di un regime pensionistico non poteva essere invocata per sostenere la necessità di valori attuariali più elevati per le donne. V. anche le conclusioni presentate relativamente a tale sentenza dall’avvocato generale Jacobs (paragrafi 49-69) e da me (paragrafi 43-50). Nelle sentenze 22 dicembre 1993, causa C-152/91, Neath (Racc. pag. I-6935) e 28 settembre 1994, causa C-200/91, Coloroll (Racc. pag. I-4389), la Corte ha dichiarato che la disparità dei contributi dei datori di lavoro versati nell’ambito di regimi a prestazioni definite, a causa dell’utilizzazione di indici attuariali, non poteva essere valutata sotto il profilo dell’(attuale) art. 141 CE. Nelle conclusioni presentate in relazione anche a queste due sentenze (Racc. 1993, pag. I-4893), l’avvocato generale Van Gerven ha dichiarato che la necessità di preservare l’equilibrio finanziario dei regimi pensionistici aziendali non poteva giustificare l’esistenza di differenze nei contributi dei lavoratori e negli utili basati su indici attuariali. Cfr. anche le sentenze 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI (Racc. pag. I-4695); 21 settembre 1999, causa C-307/97, St Gobain (Racc. pag. I-2651); 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y (Racc. pag. I-10829); 11 marzo 2004, causa C-9/02, Hughes de Lasteyrie du Saillant (Racc. pag. I-2409) e 28 settembre 2006, cause riunite C-282/04 e C-283/04, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-9141, in cui la Corte ha negato che la perdita di introiti fiscali potesse costituire motivo di giustificazione di una discriminazione contraria all’art. 43 CE).

( 112 ) V. supra, paragrafo 107.

( 113 ) Cioè una vedova più giovane di oltre 15 anni rispetto al marito deceduto quando ancora lavorava per la BSH. La clausola sulla differenza d’età non si applica ai dipendenti deceduti mentre erano già in pensione: v. paragrafo 13.

( 114 ) In particolare è stata la Germania ad aver chiesto tale limitazione.

( 115 ) V. sentenze Richards, cit. alla nota 94, punto 42, e 18 gennaio 2007, causa C-313/05, Brzeziński (Racc. pag. I-513, punto 57).

( 116 ) Sentenze Barber, cit. alla nota 109 (punto 41); Vroege, cit. alla nota 110 (punto 31); e 6 marzo 2007, causa C-292/04, Meilicke (Racc. pag. I-1835, punti 36 e 37).

( 117 ) Secondo la Germania, un gran numero di contratti potrebbe essere pregiudicato da tale pronuncia; essa però ammette che non esistono prove statistiche da dedurre a sostegno di tale affermazione.

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