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Document 62005TJ0446

Sentenza del Tribunale (Quinta Sezione) del 28 aprile 2010.
Amann & Söhne GmbH & Co. KG e Cousin Filterie SAS contro Commissione europea.
Concorrenza – Intese – Mercato europeo del filo industriale – Decisione che accerta una violazione dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE – Nozione di infrazione unica – Definizione del mercato – Ammende – Massimale dell’ammenda – Gravità e durata dell’infrazione – Circostanze attenuanti – Cooperazione – Proporzionalità – Parità di trattamento – Diritti della difesa – Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende.
Causa T-446/05.

Raccolta della Giurisprudenza 2010 II-01255

ECLI identifier: ECLI:EU:T:2010:165

Causa T‑446/05

Amann & Söhne GmbH & Co. KG et Cousin Filterie SAS

contro

Commissione europea

«Concorrenza — Intese — Mercato europeo del filo industriale — Decisione che accerta una violazione dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE — Nozione di infrazione unica — Definizione del mercato — Ammende — Massimale dell’ammenda — Gravità e durata dell’infrazione — Circostanze attenuanti — Cooperazione — Proporzionalità — Parità di trattamento — Diritti della difesa — Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende»

Massime della sentenza

1.      Concorrenza — Intese — Divieto — Infrazioni — Accordi e pratiche concordate idonei ad essere considerati costitutivi di un’infrazione unica — Nozione

(Art. 81, n. 1, CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 2)

2.      Ricorso di annullamento — Decisione della Commissione adottata sul fondamento degli artt. 81 CE o 82 CE — Valutazione economica complessa — Sindacato giurisdizionale — Limiti

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 2)

3.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale — Competenza del giudice comunitario a conoscere della legittimità e del merito

(Artt. 81 CE, 82 CE, 229 CE e 253 CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, artt. 23, nn. 2 e 3, e 31)

4.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Potere discrezionale conferito alla Commissione dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 — Violazione del principio di legalità delle pene — Insussistenza

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 2)

5.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Pluralità di infrazioni

(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

6.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

7.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Misura della capacità effettiva di causare un pregiudizio sul mercato interessato

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)

8.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Ripartizione delle imprese interessate in categorie aventi un elemento specifico identico

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

9.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Necessità di prendere in considerazione il fatturato delle imprese interessate e di garantire che le ammende siano proporzionate al fatturato — Insussistenza

(Regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 3; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

10.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Ripartizione delle imprese interessate in categorie aventi un elemento specifico identico

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, sesto comma)

11.    Concorrenza — Ammende — Decisione con cui vengono inflitte ammende — Obbligo di motivazione — Portata

(Art. 253 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)

12.    Concorrenza — Intese — Partecipazione a riunioni tra imprese con oggetto anticoncorrenziale — Circostanza che, in assenza di una dissociazione rispetto alle decisioni adottate, consente di presumere la partecipazione alla conseguente intesa

(Art. 81, n. 1, CE)

13.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Durata dell’infrazione — Infrazioni di media e di lunga durata — Maggiorazione del 10% dell’importo di partenza per ogni anno

(Regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 3; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 B)

14.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Circostanze attenuanti

(Regolamenti del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2, e n. 1/2003, art. 23, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, terzo trattino)

15.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Fatturato da prendere in considerazione per il calcolo dell’ammenda

(Comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A)

16.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Presa in considerazione degli effetti dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)

17.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Decisione della Commissione con cui viene constatata un’infrazione — Elementi di prova ammissibili

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 27, n. 1)

18.    Concorrenza — Procedimento amministrativo — Richiesta di informazioni — Diritti della difesa

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 11, n. 5)

19.    Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Cooperazione dell’impresa nel corso del procedimento amministrativo

(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 11, nn. 4 e 5)

1.      La nozione di infrazione unica riguarda la situazione in cui più imprese abbiano preso parte ad un’infrazione costituita da un comportamento continuato avente un unico obiettivo economico volto a falsare la concorrenza, oppure da infrazioni singole collegate l’una all’altra da un’identità di oggetto (stessa finalità dell’insieme degli elementi) e di soggetti (identità delle imprese interessate, consapevoli di partecipare all’oggetto comune). Una violazione dell’art. 81, n. 1, CE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o, ancora, da un comportamento continuato. Tale interpretazione non può essere contestata sulla base del fatto che uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero anche costituire di per sé stessi e presi isolatamente una violazione della detta disposizione. Ove le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto, consistente nel distorcere il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme. Inoltre, la nozione di infrazione unica può riferirsi alla qualificazione giuridica di un comportamento anticoncorrenziale consistente in accordi, in pratiche concordate e in decisioni di associazioni di imprese.

La nozione di obiettivo unico non può essere determinata riferendosi in generale alla distorsione della concorrenza nel mercato interessato dall’infrazione, dal momento che l’incidenza sulla concorrenza costituisce, come oggetto o effetto, un elemento intrinseco a qualunque comportamento rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE. Una siffatta definizione della nozione di obiettivo unico rischierebbe di privare la nozione di infrazione unica e continuata di una parte del suo significato, in quanto avrebbe per conseguenza che vari comportamenti concernenti un settore economico, vietati dall’art. 81, n. 1, CE, dovrebbero essere sistematicamente qualificati come elementi costitutivi di un’infrazione unica. Pertanto, ai fini della qualificazione di comportamenti diversi come infrazione unica e continuata occorre verificare se essi presentino un nesso di complementarietà nel senso che ciascuno di essi è destinato a far fronte ad una o più conseguenze del gioco normale della concorrenza e se essi contribuiscano, interagendo reciprocamente, alla realizzazione di tutti gli effetti anticoncorrenziali voluti dai rispettivi autori nell’ambito di un piano complessivo diretto ad ottenere un unico obiettivo. A tale riguardo, occorre tenere conto di tutte le circostanze che possono provare o mettere in dubbio tale nesso, quali il periodo di applicazione, il contenuto e, correlativamente, l’obiettivo dei diversi comportamenti in questione. È quindi per ragioni obiettive che la Commissione può avviare procedimenti distinti, accertare varie infrazioni distinte e infliggere varie ammende distinte.

La qualificazione di talune condotte illecite come condotte costitutive di un’unica e medesima infrazione oppure di una pluralità di infrazioni incide, in linea di principio, sulla sanzione che può essere inflitta. Infatti, la constatazione di una pluralità di infrazioni può comportare l’applicazione di diverse ammende distinte, ciascuna nei limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE.

(v. punti 89-94, 133-134)

2.      Per quanto riguarda la validità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, alla luce del principio di legalità delle pene, quale riconosciuto dal giudice comunitario in conformità alle indicazioni fornite dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, la Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato, in primo luogo, per accertare l’esistenza di infrazioni alle regole di concorrenza, in secondo luogo, per accertare se i vari atti illeciti costituiscano un’infrazione unica e continuata oppure una pluralità di infrazioni autonome e, in terzo luogo, per fissare l’importo delle ammende per tali infrazioni.

In primo luogo, le infrazioni alle regole di concorrenza per le quali la Commissione può infliggere ammende, in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, sono esclusivamente le infrazioni alle disposizioni degli artt. 81 CE ovvero 82 CE. La questione relativa all’esistenza o meno dei presupposti di applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE è assoggettata, in linea di principio, ad un controllo completo da parte del giudice comunitario. Inoltre, se è vero che, nel caso in cui tale accertamento implichi valutazioni economiche o tecniche complesse, la giurisprudenza riconosce alla Commissione un certo potere discrezionale, quest’ultimo, comunque, non è illimitato. Infatti, l’esistenza di un siffatto potere discrezionale non comporta che, nell’ambito di un ricorso di annullamento, il Tribunale debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di tale natura. In particolare, il giudice comunitario è tenuto non solo a verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se essi siano di natura tale da corroborare le conclusioni che se ne traggono.

(v. punti 130-131)

3.      La Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato per la fissazione delle ammende per violazione delle regole di concorrenza. Se il criterio oggettivo del tetto massimo dell’ammenda e i criteri soggettivi della gravità e della durata dell’infrazione lasciano alla Commissione un ampio potere discrezionale, si tratta nondimeno di criteri che consentono a tale istituzione di adottare sanzioni tenendo conto del grado di illegittimità del comportamento di cui trattasi. Si deve pertanto ritenere che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e l’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, pur lasciando alla Commissione un certo potere discrezionale, definiscano i criteri e i limiti ad essa imposti nell’esercizio del suo potere in materia di ammende. Inoltre, per stabilire ammende ai sensi delle disposizioni suddette, la Commissione deve rispettare i principi generali del diritto, in particolare i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, quali elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e del Tribunale.

Ai sensi dell’art. 229 CE e dell’art. 31 del regolamento n. 1/2003, la Corte e il Tribunale hanno una competenza giurisdizionale anche di merito sui ricorsi proposti avverso le decisioni con le quali la Commissione fissa ammende e possono, quindi, non solo annullare le decisioni adottate da quest’ultima, ma anche cancellare, ridurre o aumentare l’ammenda inflitta. Pertanto, la prassi amministrativa della Commissione è soggetta al pieno controllo del giudice comunitario.

Ai sensi dell’art. 253 CE, nella decisione che infligge un’ammenda la Commissione è tenuta a fornire una motivazione, in particolare quanto al livello dell’ammenda inflitta e al metodo scelto al riguardo, e ciò malgrado il fatto che il contesto della decisione sia generalmente noto. Questa motivazione deve rivelare, in modo chiaro e inequivocabile, il ragionamento della Commissione in modo da consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato al fine di valutare l’opportunità di adire il giudice comunitario e, eventualmente, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo controllo.

(v. punti 140, 142-144, 148)

4.      La qualificazione di talune condotte illecite come condotte costitutive di un’unica e medesima infrazione oppure di una pluralità di infrazioni influisce, in linea di principio, sulla sanzione che può essere inflitta, dal momento che la constatazione di una pluralità di infrazioni può comportare l’applicazione di diverse ammende distinte, ciascuna nei limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, i quali stabiliscono che, per ciascuna impresa e associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del suo fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente. Ne deriva che la Commissione non incorre in alcuna violazione del principio nulla poena sine lege allorché infligge due ammende i cui importi addizionati superino la soglia del 10% del fatturato.

(v. punti 150-151)

5.      Lo scopo dissuasivo che la Commissione legittimamente persegue fissando l’importo di un’ammenda è volto a garantire l’osservanza, da parte delle imprese, delle regole di concorrenza stabilite dal Trattato per lo svolgimento delle loro attività all’interno della Comunità europea o dello Spazio economico europeo. Nell’ipotesi di una pluralità di infrazioni, la Commissione può giustamente ritenere che un siffatto scopo non possa essere raggiunto mediante la semplice imposizione di una sanzione per una delle infrazioni.

(v. punto 160)

6.      Il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni comunitarie non vadano oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Nel contesto del calcolo delle ammende, la gravità delle infrazioni deve essere determinata in funzione di numerosi fattori ed è necessario non attribuire ad alcuno di tali elementi un’importanza sproporzionata rispetto agli altri elementi di valutazione. Il principio di proporzionalità implica in tale contesto che la Commissione deve fissare l’ammenda in modo proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione e che essa deve applicare al riguardo tali elementi in maniera coerente e obiettivamente giustificata.

Nel valutare la gravità di un’infrazione la Commissione deve tener conto di un gran numero di fattori, il cui carattere e la cui importanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa. Fra tali elementi che testimoniano la gravità di un’infrazione non si può escludere che possano figurare, a seconda dei casi, le dimensioni del mercato del prodotto interessato. Di conseguenza, se le dimensioni del mercato possono costituire un elemento da prendere in considerazione per accertare la gravità dell’infrazione, la loro importanza varia in funzione delle circostanze particolari dell’infrazione in questione.

Restrizioni orizzontali del tipo «cartello di prezzi» ai sensi degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA sono «molto gravi» per natura. In tale contesto, la modesta dimensione dei mercati in questione riveste un’importanza minore rispetto all’insieme degli altri elementi che attestano la gravità dell’infrazione.

(v. punti 171, 175-176, 178)

7.      Nell’ambito dell’analisi della capacità economica effettiva delle società colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza, che viene svolta al fine di fissare l’importo di un’ammenda per infrazione alle regole comunitarie di concorrenza e che implica una valutazione della reale importanza di tali imprese sul mercato interessato, vale a dire del loro influsso su quest’ultimo, il fatturato complessivo fornisce solo una visione incompleta dello stato dei fatti. Non si può escludere, infatti, che un’impresa potente avente una moltitudine di attività differenti sia presente soltanto in modo accessorio su uno specifico mercato di prodotti. Allo stesso modo, non si può escludere che un’impresa con una posizione importante su un mercato geografico extracomunitario disponga soltanto di una debole posizione sul mercato comunitario o su quello dello Spazio economico europeo. In tali ipotesi, il semplice fatto che l’impresa in questione realizzi un fatturato complessivo importante non significa necessariamente che essa eserciti un influsso determinante sul mercato di cui trattasi. Tale è il motivo per cui, se è vero che i fatturati di un’impresa realizzati sui mercati rilevanti non possono essere determinanti per concludere che essa fa parte di un gruppo economico potente, detti fatturati sono però rilevanti al fine di determinare l’influsso che l’impresa in questione ha potuto esercitare sul mercato.

Dunque, la parte del fatturato corrispondente alle merci oggetto dell’infrazione può fornire una giusta indicazione dell’entità dell’infrazione sul mercato rilevante. Infatti, tale fatturato può fornire una giusta indicazione della responsabilità di ciascuna impresa sui detti mercati, dal momento che esso costituisce un elemento obiettivo tale da fornire il giusto metro della nocività della pratica medesima per il normale gioco della concorrenza e rappresenta dunque un valido indicatore della capacità di ciascuna impresa interessata ad arrecare un danno.

(v. punti 187-188)

8.      Per quanto riguarda la determinazione dell’importo delle ammende inflitte ai diversi partecipanti ad un’intesa, il metodo consistente nel suddividere i membri dell’intesa stessa in varie categorie, il quale comporta una determinazione a forfait dell’importo di partenza stabilito per le imprese appartenenti ad una stessa categoria, non può essere censurato, anche se porta ad ignorare le differenze di dimensioni tra imprese appartenenti ad uno stesso gruppo, a condizione però che siano rispettati i principi di proporzionalità e di parità di trattamento. Non è compito del Tribunale pronunciarsi sull’opportunità di un siffatto sistema, anche nell’ipotesi in cui esso dovesse svantaggiare le imprese di dimensioni inferiori. Il Tribunale, nell’ambito del suo controllo di legittimità sull’esercizio del potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia, deve infatti limitarsi a controllare che la suddivisione dei membri dell’intesa in categorie sia coerente e oggettivamente giustificata, senza sostituire subito la sua valutazione a quella della Commissione.

(v. punto 196)

9.      L’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, non impone che, qualora vengano inflitte ammende a più imprese implicate in una medesima infrazione, l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa di dimensioni piccole o medie non sia superiore, in termini di percentuale del fatturato, a quello delle ammende inflitte alle imprese più grandi. Infatti, risulta dalla disposizione suddetta che, tanto per le imprese di dimensioni piccole o medie quanto per le imprese di dimensioni superiori, per determinare l’importo dell’ammenda occorre prendere in considerazione la gravità e la durata dell’infrazione. Qualora la Commissione infligga alle imprese implicate in una medesima infrazione ammende giustificate, per ciascuna di esse, in rapporto alla gravità e alla durata dell’infrazione, non può addebitarsi alla detta istituzione il fatto che, per talune di queste imprese, l’importo dell’ammenda sia superiore, in proporzione al fatturato, a quello di altre imprese. La Commissione, quindi, non è tenuta a ridurre le ammende qualora le imprese coinvolte siano piccole e medie imprese. La dimensione dell’impresa, infatti, viene già presa in considerazione attraverso il tetto massimo fissato dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 nonché in virtù delle disposizioni degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA. A parte tali considerazioni relative alle dimensioni, non vi è alcuna ragione di trattare le piccole e medie imprese diversamente dalle altre imprese. Il fatto che le imprese coinvolte siano piccole e medie imprese non le esonera dal loro dovere di rispettare le regole di concorrenza.

(v. punti 199-200)

10.    Nell’ambito degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA, i quali prevedono, al punto 1 A, sesto comma, che una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione possa, in particolare, giustificare una diversificazione al fine della valutazione della gravità dell’infrazione, non viola il principio della parità di trattamento una decisione della Commissione che inquadri in uno stesso gruppo varie imprese, una delle quali avente un fatturato complessivo nettamente, se non addirittura «notevolmente», inferiore a quello delle altre imprese, sulla base dei loro fatturati sul mercato interessato e delle loro quote di mercato molto simili, e che applichi loro un identico importo di partenza specifico.

(v. punti 202, 205)

11.    Nella determinazione dell’importo dell’ammenda in caso di infrazione alle regole di concorrenza, le essenziali esigenze di forma cui risponde l’obbligo di motivazione risultano rispettate qualora la Commissione indichi, nella sua decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione. Tali esigenze non impongono alla Commissione di indicare nella sua decisione i dati in forma numerica relativi al metodo di calcolo delle ammende, fermo restando comunque che la Commissione non può, avvalendosi esclusivamente e meccanicamente di formule aritmetiche, rinunciare a far uso del proprio potere discrezionale. Per quanto riguarda una decisione che infligge ammende a svariate imprese, la portata dell’obbligo di motivazione dev’essere valutata, in particolare, alla luce del fatto che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.

(v. punto 226)

12.    Il fatto che un’impresa non abbia partecipato ad una riunione multilaterale ed abbia cessato di comunicare informazioni agli altri partecipanti all’intesa non è sufficiente a dimostrare che essa abbia cessato di parteciparvi, qualora non abbia pubblicamente preso le distanze dal contenuto dell’intesa stessa.

(v. punti 240-241, 244)

13.    Conformemente all’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza previste dagli artt. 81 CE e 82 CE, la durata dell’infrazione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione per determinare l’importo dell’ammenda da infliggere alle imprese responsabili di violazioni delle regole di concorrenza.

Se le disposizioni del punto 1 B degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA non prevedono maggiorazioni per le infrazioni di breve durata, di durata in genere inferiore ad un anno, una maggiorazione è praticata per le infrazioni di durata media, aventi in generale una durata da uno a cinque anni, maggiorazione che può, ad esempio, raggiungere il 50% dell’importo di partenza dell’ammenda. Quanto alle infrazioni di lunga durata, aventi in generale una durata superiore a cinque anni, è previsto soltanto che l’importo possa essere maggiorato del 10% per ciascun anno. Tali maggiorazioni non sono automatiche, dato che i suddetti orientamenti lasciano alla Commissione un margine discrezionale.

(v. punti 237, 247, 249)

14.    Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA non elencano in modo imperativo le circostanze attenuanti che la Commissione sarebbe tenuta a prendere in considerazione in vista di una riduzione dell’importo di base dell’ammenda. Di conseguenza, la Commissione conserva un certo potere discrezionale per valutare in maniera globale l’entità di un’eventuale riduzione dell’importo delle ammende a titolo delle circostanze attenuanti. Quindi, la Commissione non può affatto essere obbligata ad accordare, nell’ambito del suo potere discrezionale, una riduzione dell’ammenda per la cessazione di un’infrazione manifesta, indipendentemente dal fatto che tale cessazione abbia avuto luogo prima o dopo i suoi interventi.

L’aver posto fine alle infrazioni alle regole di concorrenza sin dai primi interventi della Commissione, come previsto dal terzo trattino del punto 3 degli orientamenti, può logicamente costituire una circostanza attenuante solo se esistono motivi per supporre che le imprese di cui trattasi siano state indotte a porre fine ai loro comportamenti anticoncorrenziali dagli interventi in questione. Infatti, tale disposizione mira a indurre le imprese a cessare immediatamente i loro comportamenti anticoncorrenziali quando la Commissione avvia un’indagine nei loro confronti. Una riduzione dell’importo dell’ammenda a tale titolo non può essere applicata nel caso in cui una decisione definitiva di porre fine all’infrazione sia già stata adottata da tali imprese anteriormente ai primi interventi della Commissione ovvero nel caso in cui l’infrazione sia già terminata prima di tale data. Quest’ultima ipotesi viene sufficientemente presa in considerazione nell’ambito del calcolo della durata del periodo di infrazione assunto a carico.

(v. punti 259-260)

15.    Gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 65, n. 5, del Trattato CECA prevedono, riguardo agli elementi soggettivi da tener presente per la fissazione dell’importo di partenza delle ammende, la necessità di prendere in considerazione l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e di fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo. Secondo gli stessi orientamenti, ove siano coinvolte più imprese, come nel caso dei cartelli, può essere opportuno ponderare l’importo di partenza generale, in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione, ed adattare conseguentemente l’importo di partenza generale secondo le caratteristiche specifiche di ciascuna impresa.

Gli orientamenti non ostano a che il fatturato complessivo o il fatturato realizzato dalle imprese sul mercato in questione siano presi in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto comunitario e qualora le circostanze lo richiedano.

Pertanto, una suddivisione delle imprese in due categorie, sulla base del loro fatturato, è una maniera ragionevole di prendere in considerazione la loro importanza relativa sul mercato al fine di stabilire l’importo di partenza dell’ammenda, purché ciò non porti ad una rappresentazione grossolanamente alterata del mercato in questione.

(v. punti 273-275, 280)

16.    In materia di concorrenza, l’onere della prova dell’esistenza di effetti di un’infrazione sul mercato interessato, che incombe alla Commissione quando ne tiene conto nell’ambito del calcolo dell’ammenda in rapporto alla gravità dell’infrazione, è meno pesante di quello su essa gravante quando deve dimostrare l’esistenza in quanto tale di un’infrazione nel caso di un’intesa. In effetti, per tener conto dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato è sufficiente che la Commissione fornisca «valide ragioni per tenerne conto».

(v. punto 301)

17.    I diritti della difesa risultano violati a motivo di una discordanza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione finale soltanto nel caso in cui un addebito figurante in quest’ultima non sia stato esposto in modo sufficiente per consentire ai destinatari di difendersi.

Se alcuni documenti non sono stati menzionati nella comunicazione degli addebiti, l’impresa interessata può giustamente ritenere che essi non rivestano alcuna importanza ai fini della decisione della controversia. Omettendo di informare un’impresa che taluni documenti verranno usati per la decisione, la Commissione impedisce all’interessata di manifestare tempestivamente il proprio punto di vista sul valore probante dei documenti in causa. Ne consegue che tali documenti non possono essere considerati validi mezzi di prova per quanto la riguarda.

Un documento utilizzato dalla Commissione a sostegno di un addebito nella decisione finale, malgrado che tale documento fosse stato utilizzato nella comunicazione degli addebiti per dimostrare un diverso addebito, può essere fatto valere nella decisione avverso l’impresa interessata solo se quest’ultima abbia potuto verosimilmente dedurre dalla comunicazione degli addebiti e dal contenuto del documento le conclusioni che la Commissione intendeva ricavarne.

(v. punti 313-315)

18.    Un diritto al silenzio assoluto non può essere riconosciuto in capo ad un’impresa destinataria di un provvedimento di richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. Infatti, il riconoscimento di un tale diritto andrebbe oltre quanto necessario per preservare i diritti della difesa delle imprese e costituirebbe un ostacolo ingiustificato allo svolgimento, da parte della Commissione, del compito di vigilanza sul rispetto delle regole di concorrenza nel mercato comune. Un diritto al silenzio può essere riconosciuto all’impresa interessata soltanto nei limiti in cui essa sarebbe obbligata a fornire risposte attraverso le quali sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza dell’infrazione che dev’essere provata dalla Commissione.

Per preservare l’effetto utile dell’art. 11 del regolamento n. 17, la Commissione può quindi obbligare le imprese a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui esse siano a conoscenza ed a comunicarle, se del caso, i relativi documenti di cui siano in possesso, anche se essi possono servire ad accertare l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale. Tale potere di indagine della Commissione non contrasta né con l’art. 6, nn. 1 e 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo né con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Ad ogni modo, il fatto di essere obbligati a rispondere ai quesiti riguardanti meri aspetti di fatto posti dalla Commissione e a soddisfare le richieste della stessa riguardo alla presentazione di documenti preesistenti non è idoneo a costituire una violazione del principio fondamentale del rispetto dei diritti della difesa o di quello del diritto ad un processo equo, che offrono, nel settore del diritto della concorrenza, una protezione equivalente a quella garantita dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Infatti, nulla impedisce al destinatario di una richiesta di informazioni di dimostrare in un momento successivo, nell’ambito del procedimento amministrativo o nel corso di un procedimento dinanzi al giudice comunitario, che i fatti esposti nelle risposte o i documenti comunicati hanno un significato diverso da quello considerato dalla Commissione.

Infine, quando, in una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, la Commissione, oltre a porre quesiti riguardanti meri aspetti di fatto e a sollecitare la produzione di documenti preesistenti, chiede a un’impresa di descrivere l’oggetto e lo svolgimento di diverse riunioni alle quali essa avrebbe partecipato, nonché i risultati o le conclusioni di tali riunioni, allorché è chiaro che la Commissione sospetta che la finalità delle dette riunioni fosse quella di restringere la concorrenza, una simile richiesta è idonea a obbligare l’impresa destinataria a riconoscere la sua partecipazione a un’infrazione alle regole comunitarie di concorrenza, cosicché detta impresa non è tenuta a rispondere a domande di tal genere. In una simile ipotesi, il fatto che un’impresa fornisca nondimeno informazioni su tali punti deve essere considerato come una collaborazione spontanea dell’impresa stessa che può giustificare una riduzione di ammenda in applicazione della comunicazione sulla cooperazione. In questa stessa ipotesi, le imprese non possono asserire che il loro diritto a non autoincolparsi sia stato violato per il fatto che esse hanno risposto spontaneamente a una richiesta siffatta.

(v. punti 326-329)

19.    Nell’ambito di un procedimento amministrativo avviato per un’intesa vietata, la collaborazione dell’impresa coinvolta all’inchiesta non dà diritto ad alcuna riduzione di ammenda se tale collaborazione non ha oltrepassato quanto tale impresa era tenuta a fare in forza dell’art. 11, nn. 4 e 5, del regolamento n. 17. Viceversa, nel caso in cui l’impresa fornisca, nel rispondere a una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11, informazioni ben più dettagliate di quelle che la Commissione può pretendere in forza dello stesso articolo, l’impresa può beneficiare di una riduzione dell’ammenda.

(v. punto 340)







SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

28 aprile 2010 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato europeo del filo industriale – Decisione che accerta una violazione dell’art. 81 CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE – Nozione di infrazione unica – Definizione del mercato – Ammende – Massimale dell’ammenda – Gravità e durata dell’infrazione – Circostanze attenuanti – Cooperazione – Proporzionalità – Parità di trattamento – Diritti della difesa – Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende»

Nella causa T‑446/05,

Amann & Söhne GmbH & Co. KG, con sede in Bönnigheim (Germania),

Cousin Filterie SAS, con sede in Wervicq-Sud (Francia),

rappresentate dagli avv.ti A. Röhling, M. Dietrich e C. Horstkotte,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata dal sig. F. Castillo de la Torre e dalla sig.ra K. Mojzesowicz, in qualità di agenti, assistiti dall’ avv. G. Eickstädt,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione della Commissione 14 settembre 2005, C (2005) 3452, relativa ad un procedimento a norma dell’art. 81 [CE] e dell’art. 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/38.337 PO/Filo), come modificata dalla decisione della Commissione 13 ottobre 2005, C (2005) 3765, e, in subordine, la domanda di riduzione dell’ammenda inflitta alle ricorrenti da detta decisione,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto dai sigg. M. Vilaras, presidente, M. Prek (relatore) e V. M. Ciucă, giudici,

cancelliere: sig.ra T. Weiler, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 dicembre 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

A –  Oggetto della controversia

1        Con decisione 14 settembre 2005, C (2005) 3452, relativa ad un procedimento a norma dell’art. 81 [CE] e dell’art. 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/38.337 PO/Filo; in prosieguo: la «decisione impugnata»), come modificata dalla decisione della Commissione 13 ottobre 2005, C (2005) 3765, e di cui è stata pubblicata una sintesi nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 26 gennaio 2008 (GU C 21, pag. 10), la Commissione delle Comunità europee ha constatato che le ricorrenti, Amann & Söhne GmbH & Co. KG (in prosieguo: l’«Amann») e Cousin Filterie SAS (in prosieguo: la «Cousin»), avevano partecipato ad una serie di accordi e di pratiche concordate sul mercato del filo per i clienti dell’industria automobilistica (in prosieguo: il «filo destinato all’industria automobilistica») nello Spazio economico europeo (SEE), per il periodo compreso tra il maggio/giugno 1998 e il 15 maggio 2000, e che l’Amann aveva partecipato altresì ad una serie di accordi e di pratiche concordate sul filo industriale ad esclusione del settore automobilistico (in prosieguo: il «filo industriale»), nel Benelux, in Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia (in prosieguo: i «paesi nordici») per il periodo compreso tra il gennaio 1990 e il settembre 2001.

2        La Commissione ha inflitto, da un lato, all’Amann e alla Cousin, in solido, un’ammenda di importo pari a EUR 4,888 milioni per la loro partecipazione al cartello concernente il filo destinato all’industria automobilistica nel SEE e, dall’altro, all’Amann un’ammenda di importo pari a EUR 13,09 milioni per la sua partecipazione al cartello concernente il filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici.

B –  Procedimento amministrativo

3        Il 7 e l’8 novembre 2001 la Commissione ha svolto accertamenti nei locali di diversi produttori di filo, ai sensi dell’art. 14, n. 3, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU n. 13, pag. 204). Tali accertamenti venivano disposti a seguito di informazioni fornite nell’agosto 2000 da The English Needle & Tackle Co. Ltd. (decisione impugnata, punto 78).

4        Il 26 novembre 2001 la Coats Viyella plc (in prosieguo: la «Coats») ha depositato una domanda di trattamento favorevole ai sensi della comunicazione della Commissione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»), cui erano allegati taluni documenti prodotti al fine di dimostrare l’esistenza delle seguenti intese: in primo luogo, un’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE, in secondo luogo, un’intesa sul mercato del filo destinato all’industria nel Regno Unito e, in terzo luogo, un’intesa sul mercato del filo per clienti industriali nel Benelux e nei paesi nordici (decisione impugnata, punto 82).

5        Sulla base dei documenti acquisiti in occasione delle ispezioni e di quelli trasmessi dalla Coats, nei mesi di marzo e agosto 2003 la Commissione ha inviato richieste scritte di informazioni alle imprese interessate ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17 (decisione impugnata, punto 83).

6        Il 18 marzo 2004 la Commissione ha adottato una comunicazione degli addebiti che ha indirizzato a varie imprese in ragione della loro partecipazione ad una o più intese indicate al precedente punto 4, tra cui quella sul mercato del filo per clienti industriali nel Benelux e nei paesi nordici.

7        Tutte le imprese destinatarie della comunicazione degli addebiti hanno presentato osservazioni scritte (decisione impugnata, punto 90).

8        Un’audizione si è svolta il 19 ed il 20 luglio 2004 (decisione impugnata, punto 92).

9        Il 24 settembre 2004 le parti hanno avuto accesso alla versione non riservata delle risposte alla comunicazione degli addebiti e alle osservazioni delle parti in occasione dell’audizione ed è stato impartito loro un termine per trasmettere ulteriori osservazioni (decisione impugnata, punto 93).

10      Il 14 settembre 2005 la Commissione ha adottato la decisione impugnata.

C –  Decisione impugnata

1.     Mercati rilevanti

a)     Mercati dei prodotti

11      Nella decisione impugnata la Commissione indica che il settore dei filati può essere suddiviso in due segmenti, vale a dire, da un lato, quello del filo utilizzato dall’industria per cucire o ricamare diversi tipi di articoli di abbigliamento o di altro genere tra cui articoli in pelle, rivestimenti tessili per automobili e materassi e, dall’altro, il filo per uso domestico utilizzato dai singoli per eseguire lavori di cucito o di riparazione e per attività ricreative (decisione impugnata, punto 9).

12      Per quanto attiene al segmento del filo destinato all’industria, dalla decisione impugnata si evince che esso può essere diviso in tre categorie in funzione dell’uso che ne viene fatto: il filo da cucito destinato alla confezione utilizzato per diversi tipi di abbigliamento, il filo da ricamo utilizzato per le macchine da ricamo industriali informatizzate per la decorazione di abbigliamento, scarpe sportive e prodotti tessili per la casa, e il filo speciale utilizzato in diversi settori tra cui quello calzaturiero, della pelletteria o automobilistico (decisione impugnata, punto 11).

13      Si evince altresì che anche il settore del filo destinato all’industria può articolarsi in varie categorie in funzione del tipo di fibra e della struttura del filo (decisione impugnata, punto 12).

14      Nella decisione impugnata la Commissione afferma che il filo destinato all’industria può essere considerato, dal punto di vista dell’offerta, come costituente un mercato di prodotti unico dal momento che non vi è una stretta corrispondenza tra l’utilizzo finale e il tipo di fibra e/o la struttura del filo. La Commissione precisa che, secondo la Coats, taluni clienti del settore della confezione utilizzano fili speciali e che altri clienti del settore del ricamo utilizzano filo da confezione. Essa aggiunge che la Coats ha sottolineato che i processi produttivi del filo destinato alla confezione, del filo da ricamo e dei diversi tipi di fili speciali potevano essere comuni o facilmente intercambiabili (decisione impugnata, punto 13).

15      Tuttavia, nella decisione impugnata la Commissione distingue, da un lato, il filo destinato all’industria automobilistica e, dall’altro, quello destinato al resto dell’industria. Infatti la Commissione ritiene che, benché i processi produttivi di questi due tipi di filo siano simili o facilmente intercambiabili, la domanda dell’industria automobilistica provenga da clienti importanti che richiedono caratteristiche tecniche di un livello più elevato per alcuni prodotti di cui fanno uso – ad esempio, il filo utilizzato per le cinture di sicurezza – e che hanno interesse a che i prodotti impiegati nelle loro industrie siano uniformi nei vari paesi (decisione impugnata, punto 14).

16      Nella presente causa, i mercati dei prodotti interessati dalle infrazioni contestate alle ricorrenti sono quello del filo destinato all’industria automobilistica e, per quanto riguarda l’infrazione contestata all’Amann, quello del filo industriale.

b)     Mercati geografici

17      Nella decisione impugnata la Commissione osserva che, in considerazione delle caratteristiche tecniche di livello più elevato menzionate precedentemente, che richiedono un’uniformità nel SEE, il mercato del filo destinato all’industria automobilistica deve essere differenziato dal mercato del filo industriale. Essa considera altresì il mercato del filo destinato all’industria automobilistica come un mercato a livello SEE. Infatti, la Commissione constata che soltanto alcuni fornitori possono proporre un’offerta standard di tali prodotti nell’intero territorio del SEE. Ciò si spiegherebbe con il fatto che gli acquirenti hanno bisogno di fili uniformi per facilitare la loro produzione nei differenti paesi, che tali fili devono essere conformi a norme specifiche di qualità (ad esempio il filo utilizzato per la confezione delle cinture di sicurezza) e che, per ragioni relative alla qualità dei prodotti e alla responsabilità, è fondamentale la tracciabilità della produzione di tali fili (decisione impugnata, punti 21 e 22).

18      Per quanto riguarda il filo industriale, invece, la Commissione osserva che, secondo le informazioni fornite dalle parti, il mercato geografico di cui trattasi è a dimensione regionale. Essa aggiunge che la regione può comprendere, a seconda dei casi, vari paesi del SEE, ad esempio i paesi del Benelux o i paesi nordici, ovvero soltanto un paese, ad esempio il Regno Unito (decisione impugnata, punto 17).

19      Dalla decisione impugnata emerge che il mercato geografico interessato dall’infrazione relativa al filo industriale contestata all’Amann è quello dei paesi del Benelux e dei paesi nordici, mentre quello interessato dall’infrazione relativa al filo destinato all’industria automobilistica contestata alle ricorrenti si estende al SEE.

2.     Dimensioni e struttura dei mercati rilevanti

20      Nella decisione impugnata la Commissione precisa che il volume delle vendite del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici si aggirava attorno a EUR 50 milioni nel 2000 e a EUR 40 milioni nel 2004 e che quello del filo destinato all’industria automobilistica era di circa EUR 20 milioni nel 1999 (decisione impugnata, punti 28 e 35).

21      Emerge anche che, alla fine degli anni ’90, i fornitori principali di filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici erano in particolare l’Amann, la Barbour Threads Ltd (in prosieguo: la «Barbour») prima della sua acquisizione da parte della Coats, la Belgian Sewing Thread NV (in prosieguo: la «BST»), la Coats, la Gütermann AG e la Zwicky & Co. AG (in prosieguo: la «Zwicky») e che quelli del filo destinato all’industria automobilistica erano in particolare le ricorrenti, la Coats, la Oxley Threads Ltd (in prosieguo: la «Oxley»), la Gütermann e la Zwicky.

3.     Descrizione delle infrazioni

22      Nella decisione impugnata la Commissione afferma che i comportamenti contestati alle ricorrenti relativi all’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE si sono svolti dal maggio/giugno 1998 al maggio 2000.

23      Le parti che hanno aderito all’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE avrebbero avuto come obiettivo primario il mantenimento dei prezzi ad un livello elevato (decisione impugnata, punto 214).

24      A tal fine sarebbero state organizzate cinque riunioni durante le quali le partecipanti avrebbero dapprima stabilito due tipi di prezzo indicativi per prodotti di base venduti al settore automobilistico europeo, uno applicato ai clienti esistenti e l’altro ai nuovi clienti. In seguito, sarebbero state scambiate informazioni sui prezzi applicati ai singoli clienti e sui prezzi indicativi minimi. Infine, le partecipanti si sarebbero accordate al fine di evitare di farsi concorrenza sul prezzo a vantaggio del fornitore abituale (decisione impugnata, punto 215).

25      Per quanto attiene ai comportamenti relativi all’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici, la Commissione indica che essi si sono verificati negli anni che vanno dal 1990 al 2001.

26      Secondo la Commissione, per quanto attiene all’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici, le imprese interessate si sarebbero incontrate almeno una volta all’anno e tali riunioni si sarebbero articolate in due sessioni, una dedicata al mercato dei paesi del Benelux, l’altra a quello dei paesi nordici, dal momento che il loro obiettivo principale sarebbe stato il mantenimento dei prezzi a un livello elevato su entrambi i mercati.

27      Le partecipanti avrebbero scambiato listini dei prezzi e informazioni sulle riduzioni, l’applicazione di aumenti dei prezzi di listino, la diminuzione delle riduzioni e l’aumento dei prezzi speciali applicabili ad alcuni clienti. Avrebbero concluso inoltre accordi sui futuri listini dei prezzi, il tasso massimo di riduzione, le diminuzioni di riduzioni e l’aumento dei prezzi speciali applicabili ad alcuni clienti nonché accordi volti a evitare di farsi concorrenza sul prezzo a vantaggio del fornitore abituale e a spartirsi i clienti (decisione impugnata, punti 99-125).

4.     Dispositivo della decisione impugnata

28      All’art. 1, n. 3, della decisione impugnata, la Commissione ha constatato che sei imprese, tra cui le ricorrenti, avevano violato l’art. 81, n. 1, CE e l’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE partecipando ad una serie di accordi e di pratiche concordate sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE per il periodo compreso, per quanto riguarda le ricorrenti, tra il maggio/giugno 1998 e il maggio 2000. Analogamente, all’art. 1, n. 1, della decisione impugnata, la Commissione ha constatato che otto imprese, tra cui l’Amann, avevano violato l’art. 81, n. 1, CE e l’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE partecipando ad una serie di accordi e pratiche concordate sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici, per il periodo compreso, per quanto riguarda l’Amann, tra il gennaio 1990 e il settembre 2001.

29      Ai sensi dell’art. 2, primo comma, della decisione impugnata, sono state inflitte le ammende di seguito riportate:

a)      per l’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE:

–        alle ricorrenti, in solido: EUR 4,888 milioni;

–        Coats: EUR 0,65 milioni;

–        Oxley: EUR 1,271 milioni;

–        Barbour and Hicking Pentecost plc, in solido: EUR 0,715 milioni;

b)      in particolare, per l’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici:

–        Coats: EUR 15,05 milioni;

–        Amann: EUR 13,09 milioni;

–        BST: EUR 0,979 milioni;

–        Gütermann: EUR 4,021 milioni;

–        Zwicky: EUR 0,174 milioni.

 Procedimento e conclusioni delle parti

30      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 dicembre 2005, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

31      Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata, il giudice relatore è stato assegnato alla Quinta Sezione, cui è stata pertanto assegnata la presente causa.

32      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte che le riguarda;

–        in subordine, ridurre in misura adeguata l’importo dell’ammenda;

–        condannare la Commissione alle spese.

33      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

34      In primo luogo, le ricorrenti deducono un motivo, diretto all’annullamento della decisione impugnata e relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, primo periodo, del regolamento del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1).

35      In secondo luogo, le ricorrenti deducono una serie di motivi diretti alla revoca dell’ammenda. Da un lato, esse addebitano alla Commissione di aver inflitto loro un’ammenda il cui importo supera il 10% del loro fatturato. Dall’altro, le ricorrenti deducono sette motivi relativi, rispettivamente, alla violazione dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità nell’irrogazione dell’ammenda, all’erronea fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda inflitta per l’intesa riguardante il filo industriale, a un calcolo erroneo della durata dell’infrazione sul mercato del filo industriale, alla mancata considerazione di alcune circostanze attenuanti riguardanti l’infrazione sul mercato del filo industriale, all’erroneo calcolo dell’importo di partenza e dell’importo di base dell’ammenda inflitta per l’infrazione sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica, alla mancata considerazione della non esecuzione dell’intesa relativa al filo destinato all’industria automobilistica e alla violazione del diritto al contraddittorio e dei diritti della difesa.

A –  Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti e diretto all’annullamento della decisione impugnata, relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, primo periodo, del regolamento n. 1/2003

1.     Argomenti delle parti

36      Le ricorrenti sostengono che le infrazioni contestate costituiscono un’infrazione unica ai sensi dell’art. 7, n. 1, primo periodo, del regolamento n. 1/2003 sulla base del rilievo che i mercati del filo destinati all’industria automobilistica e quello del filo industriale non costituiscono mercati di prodotti o geografici differenti, che esiste un elemento soggettivo comune tra tali intese e che i criteri utilizzati dalla Commissione per accertare l’assenza di un’infrazione unica non sono validi.

37      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’esistenza di un mercato di prodotti unico, le ricorrenti negano di aver esplicitamente confermato che il filo destinato all’abbigliamento e quello destinato all’industria automobilistica appartenevano a due mercati distinti. Infatti, la risposta dell’Amann alla domanda di informazioni, qualificando come mondiale il mercato del filo destinato all’industria automobilistica, non comporterebbe affatto un riconoscimento dell’asserita autonomia del suddetto mercato. Inoltre, se l’Amann ha fornito le stime per sei diversi segmenti del filo, essa non sarebbe stata in grado di farlo per il segmento del filo destinato al settore automobilistico.

38      Secondo le ricorrenti, neanche le dichiarazioni di altri operatori quali la Coats e la Gütermann consentirebbero di constatare l’esistenza di una differenza tra il mercato del filo destinato all’industria automobilistica e quello del filo industriale.

39      Il punto di vista delle ricorrenti in merito al carattere unico del mercato troverebbe conferma nella presentazione dei prodotti fatta da tutte le imprese. Tale sarebbe in particolare il caso della segmentazione operata dalla Gütermann, dall’Amann e dalla Coats. Da essa risulterebbe che è possibile l’utilizzo di uno stesso filo in diversi settori.

40      Neppure l’esistenza di norme di specificazione più rigide richieste dai clienti importanti del settore automobilistico servirebbe a giustificare la differenza tra il filo industriale e quello destinato all’industria automobilistica. Infatti, in via generale, i fili sarebbero prodotti conformemente alle esigenze dell’industria automobilistica e forniti con la stessa qualità ai clienti importanti di altri settori industriali. Del resto, neanche da un punto di vista economico sarebbe sostenibile la produzione di due tipi di fili di diversa qualità. Pertanto, le caratteristiche tecniche del filo destinato all’industria automobilistica sarebbero essenzialmente identiche a quelle del filo industriale. Essi sarebbero dunque intercambiabili, essendo peraltro commercializzati in funzione non dei clienti, ma dei prodotti.

41      In secondo luogo, le ricorrenti addebitano alla Commissione di non aver valutato se i vari comportamenti contestati avessero in comune lo stesso elemento soggettivo e se, quindi, costituissero un’unica infrazione. La stessa Commissione avrebbe constatato che le infrazioni erano tutte dirette a falsare la normale evoluzione dei prezzi sul mercato in questione.

42      Il fatto che si tratti di accordi sui prezzi e che le risoluzioni adottate per le regioni interessate siano praticamente identiche accredita la tesi dell’unicità delle infrazioni accertate. Le ricorrenti aggiungono che nella maggior parte degli Stati membri l’elemento soggettivo sarebbe il criterio determinante per accertare un’infrazione unica.

43      Esse sostengono parimenti che, considerate le medie dimensioni della maggior parte delle imprese in questione, i loro dirigenti e soci dovevano essere necessariamente a conoscenza delle varie infrazioni. Per quanto le riguarda, esse precisano che l’elemento soggettivo deriva, inoltre, dall’assenza di ripartizione delle competenze interne nel settore della commercializzazione del filo industriale e del filo destinato all’industria automobilistica.

44      Inoltre, esse osservano in sostanza l’incoerenza del modus procedendi della Commissione, la quale è partita dal presupposto dell’esistenza di un’infrazione unica per le infrazioni successive compiute nell’ambito di ciascuna intesa, ma non ha fatto altrettanto per le intese tra loro. A tal riguardo, i punti 266-270 della decisione impugnata presenterebbero varie contraddizioni che tenderebbero a dimostrare l’insostenibilità della tesi della Commissione in merito all’esistenza di infrazioni diverse.

45      In terzo luogo, le ricorrenti contestano i criteri applicati dalla Commissione per determinare la sussistenza o l’assenza di un’infrazione unica.

46      In primo luogo, esse affermano che tali criteri non sono validi. A tal riguardo esse sostengono, da un lato, che la stessa Commissione è indecisa nell’utilizzazione dei criteri per determinare l’esistenza di un’infrazione unica, perché essa giustifica l’esistenza di due diverse infrazioni riferendosi a partecipanti diversi, a un diverso modo di funzionamento e all’assenza di coordinamento generale, e si basa successivamente sulla differenza a livello dei mercati interessati pur dichiarando, successivamente, che gli accordi riguardanti il Benelux e i paesi nordici devono essere esaminati congiuntamente dal momento che essi sono collegati da organizzazione, modalità di funzionamento e partecipanti identici. Le ricorrenti constatano, quindi, che il criterio del coordinamento globale non svolge più alcun ruolo per quanto riguarda il riconoscimento di un’infrazione unica nel Benelux e nei paesi nordici.

47      Dall’altro lato, esse ritengono che, nel caso di prodotti connessi, il criterio di delimitazione del mercato di prodotti non sia pertinente. Infatti, l’utilizzazione di tale criterio, esclusi i casi in cui sia evidente che i prodotti non appartengono allo stesso mercato, equivarrebbe ad attribuire alla Commissione un potere discrezionale quasi incontrollabile nell’ambito della sanzione di infrazioni al diritto della concorrenza. Anche il criterio relativo alla mancanza di identità dei partecipanti non sarebbe pertinente. Le ricorrenti sottolineano, infatti, che è irrilevante sapere da chi si fanno rappresentare le imprese partecipanti dal momento che la partecipazione è imputabile all’impresa interessata.

48      In secondo luogo, l’Amann e la Cousin sostengono che l’applicazione di tali criteri avrebbe dovuto in ogni caso indurre la Commissione a constatare l’esistenza di un’infrazione unica.

49      Da un lato, esse fanno valere che la Commissione non potrebbe validamente giustificare l’esistenza di infrazioni distinte fondandosi sull’assenza di coordinamento tra le intese, dal momento che essa stessa sottolinea, riprendendo a tal riguardo le dichiarazioni della Coats, che essendo i mercati di prodotti piuttosto delimitati per paese, non era necessario procedere a un coordinamento tra le regioni interessate. Allo stesso modo, non sarebbe pertinente il tentativo della Commissione di effettuare una distinzione tra il coordinamento dei mercati geografici e quello dei mercati di prodotti distinti, dal momento che nel caso dei mercati geografici differenti non avrebbe alcun senso un coordinamento tra mercati di prodotti distinti. Per tale motivo, le ricorrenti sostengono che sia necessario valutare i comportamenti in questione riconoscendo che le riunioni dedicate alle differenti regioni si inserivano in un piano generale approvato dalle loro rispettive direzioni e confermato dai documenti da cui emergerebbero i frequenti contatti tra i rappresentanti della Coats e dell’Amann vertenti su questioni di «strategia superiore» in Europa. Siffatti documenti testimonierebbero l’esistenza di un elemento soggettivo comune. A tal riguardo, le ricorrenti addebitano alla Commissione di non aver esaminato se un siffatto contatto sia esistito anche tra la Coats e le altre concorrenti.

50      Dall’altro lato, non vi sarebbe una differenza sostanziale per quanto riguarda i partecipanti agli accordi e la loro organizzazione. A tal proposito, le ricorrenti affermano che, secondo la giurisprudenza, un’infrazione unica nel senso giuridico del termine non può essere esclusa per il semplice fatto che ciascuna impresa partecipi all’infrazione secondo forme ad essa peculiari, dal momento che un’impresa può aver partecipato a un’intesa unica senza aver partecipato a tutti gli elementi costitutivi della stessa.

51      Alla luce di tali considerazioni, le ricorrenti osservano che soltanto tre imprese hanno partecipato ad un unico accordo, mentre tutte le altre erano coinvolte in almeno due accordi, il che rappresenta un collegamento a livello dei partecipanti che depone a favore dell’esistenza di un’infrazione unica. Inoltre, un confronto tra le riunioni riguardanti l’intesa sul mercato del filo industriale e quelle relative all’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica non corroborerebbe affatto la tesi dell’esistenza di infrazioni distinte. In entrambi i casi le riunioni si sarebbero svolte in maniera irregolare.

52      La Commissione contesta tali argomenti.

2.     Giudizio del Tribunale

a)     Sulla distinzione dei mercati di prodotti e geografici

53      Dalla decisione impugnata emerge che la Commissione ha ritenuto che, in ragione della sua specificità, il mercato del filo destinato all’industria automobilistica dovesse essere distinto da quello del filo industriale tanto dal punto di vista dei prodotti quanto dal punto di vista geografico (v. punti 12-16 e 18-20 supra).

54      Occorre osservare, in limine, che la definizione del mercato di cui trattasi, implicando valutazioni economiche complesse da parte della Commissione, può essere soggetta solo ad un controllo limitato da parte del giudice comunitario (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 30 marzo 2000, causa T‑65/96, Kish Glass/Commissione, Racc. pag. II‑1885, punto 64, e 6 giugno 2002, causa T‑342/99, Airtours/Commissione, Racc. pag. II‑2585, punto 26). Tuttavia, quest’ultimo non può astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di natura economica. Al riguardo, detto giudice è tenuto a verificare se la valutazione della Commissione si basi su elementi di prova esatti, attendibili e coerenti che costituiscono l’insieme dei dati rilevanti da prendere in considerazione per valutare una situazione complessa e che siano di natura tale da corroborare le conclusioni che se ne traggono (v. sentenza 17 settembre 2007, causa T‑201/04, Microsoft/Commissione, Racc. pag. II‑3601, punto 482).

55      Occorre ricordare, inoltre, che il mercato da prendere in considerazione comprende tutti i prodotti che, in ragione delle loro caratteristiche, sono particolarmente idonei a soddisfare esigenze costanti e non sono facilmente intercambiabili con altri prodotti (sentenza della Corte 9 novembre 1983, causa 322/81, Nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461, punto 37). La Corte ha dichiarato, in particolare, che la nozione di mercato dei prodotti implica che vi possa essere concorrenza effettiva tra i prodotti che ne fanno parte, il che presuppone un adeguato grado di intercambiabilità tra tutti i prodotti che fanno parte dello stesso mercato (sentenza della Corte 13 febbraio 1979, causa 85/76, Hoffmann-La Roche/Commissione, Racc. pag. 461, punto 28).

56      Per quanto attiene all’intercambiabilità, la stessa si valuta in funzione di una serie di indizi quali le caratteristiche proprie dei prodotti, le condizioni di concorrenza e la struttura della domanda e dell’offerta sul mercato (sentenza Nederlandsche Banden-Industrie-Michelin/Commissione, cit. supra al punto 55, punto 37).

57      Se è vero che, dal punto di vista economico, la sostituibilità sul versante della domanda costituisce il criterio di valutazione più immediato ed efficace nei confronti dei fornitori di un determinato prodotto (sentenza del Tribunale 4 luglio 2006, causa T‑177/04, easyJet/Commissione, Racc. pag. II‑1931, punto 99), la sostituibilità sul versante dell’offerta può essere parimenti presa in considerazione ai fini della definizione del mercato rilevante nell’ambito delle operazioni in cui tale sostituibilità abbia effetti equivalenti, in termini di efficacia e immediatezza, a quelli della sostituibilità sul versante della domanda. Il criterio della sostituibilità sul versante dell’offerta implica, quindi, che i produttori, mediante un semplice adattamento della produzione, possano presentarsi su tale mercato con una capacità sufficiente per costituire un contrappeso serio ai produttori già presenti sul mercato (sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑191/98, da T‑212/98 a T‑214/98, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑3275, punto 829).

58      In merito ai prodotti stessi, si deve osservare che questi ultimi possono costituire un mercato distinto quando sono contraddistinti da particolari caratteristiche produttive che li rendono idonei a tale destinazione ovvero quando sono caratterizzati per il loro impiego (sentenza della Corte 21 febbraio 1973, causa 6/72, Europemballage e Continental Can/Commissione, Racc. pag. 215, punto 33).

59      Deve essere infine ricordato che la Commissione ha adottato una comunicazione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario della concorrenza (GU 1997, C 372, pag. 5; in prosieguo: la «comunicazione sulla definizione del mercato») nella quale essa ha precisato i criteri da valutare per definire un mercato di prodotti pertinente e per delimitare il mercato geografico rilevante. Il mercato di prodotti rilevante è definito come quello che «comprende tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati». Quanto al mercato geografico, esso è definito come quello che «comprende l’area nella quale le imprese in causa forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta dalle zone geografiche contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse». Il mercato rilevante nell’ambito del quale va valutato un determinato problema di concorrenza risulta quindi dalla combinazione del mercato del prodotto e del mercato geografico.

60      Alla luce di tali considerazioni, occorre esaminare la fondatezza delle conclusioni della Commissione, formulate ai punti 14 e 22 della decisione impugnata, in merito all’esistenza di due mercati di prodotti e geografici distinti, vale a dire quello del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE, da un lato, e quello del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici, dall’altro. A tal fine, la Commissione ha valutato la sostituibilità dei prodotti, da un lato, sul versante della domanda e, dall’altro, sul versante dell’offerta.

61      Anzitutto, per quanto riguarda la sostituibilità sul versante della domanda, la decisione impugnata contiene una serie di elementi diretti a dimostrare che essa non sussiste.

62      In primo luogo, dai punti 14 e 22 della decisione impugnata si ricava che la domanda dell’industria automobilistica proviene da clienti importanti e che gli stessi sono molto meno numerosi rispetto alle altre imprese che sono clienti sul mercato del filo industriale. Detta constatazione non è stata messa in discussione dalle ricorrenti. Nel corso dell’audizione queste ultime hanno confermato che i clienti del settore automobilistico erano i più forti in ragione delle considerevoli quantità da essi acquistate.

63      In secondo luogo, dai citati punti della decisione impugnata emerge che i clienti del settore automobilistico acquistano filo per i loro stabilimenti di produzione siti in diversi paesi e che, pertanto, essi chiedono un prodotto uniforme in ciascuno di tali paesi. Tale esigenza di uniformità, peraltro non contestata dalle ricorrenti, si spiega perfettamente da un punto di vista economico. Infatti, è ragionevole ammettere che l’adattamento dei macchinari per la produzione al tipo di filo utilizzato generi costi. Le industrie del settore automobilistico cercano dunque di attenuare tali costi acquistando in grande quantità un determinato tipo di filo e adattando ad esso, soltanto una volta, i loro macchinari per la produzione installati nei diversi paesi.

64      In terzo luogo, dai punti 14 e 22 della decisione impugnata risulta che i fili destinati all’industria automobilistica devono osservare norme peculiari di questo settore particolarmente rigide e che la loro tracciabilità è un elemento fondamentale per ragioni legate alla qualità dei prodotti e alla responsabilità per i prodotti. Tale constatazione è stata confermata dalle ricorrenti tanto nel ricorso quanto in udienza.

65      Infatti, esse hanno ammesso che, in via generale, sono i clienti a decidere il filo necessario alla loro produzione e a scegliere quindi il prodotto che corrisponde ai loro bisogni di utilizzatori. Per quanto attiene, in particolare, ai clienti del settore automobilistico, le ricorrenti hanno riconosciuto che questi ultimi richiedono che il filo acquistato rispetti, come minimo, la norma ISO 9002. In udienza esse hanno anche precisato che per l’industria automobilistica esistono caratteristiche particolari – dette «TS950» – e che esse tengono conto di tali elementi ai fini della produzione.

66      Peraltro, le ricorrenti hanno descritto il processo di certificazione dei fili ad opera dei clienti del settore automobilistico. Innanzitutto, le ricorrenti realizzano un tipo di filo conforme, come minimo, alla norma ISO 9002. Successivamente, tale filo è testato dal produttore automobilistico che desidera avvalersene per la sua produzione e, infine, è certificato da quest’ultimo, se il test dà esito positivo.

67      Alla luce di tali considerazioni, si deve ammettere che il particolare filo scelto dall’industria automobilistica non può essere sostituito da altri fili industriali. A tal riguardo, il fatto che tale tipo di filo sia venduto a clienti diversi da quelli dell’industria automobilistica è irrilevante. Infatti, a differenza degli altri eventuali acquirenti di tale prodotto, le imprese del settore automobilistico compreranno soltanto il filo che possiede determinate qualità intrinseche e che è stato certificato dalle dette imprese in ragione di tali particolari qualità. Pertanto, le ricorrenti non possono ragionevolmente sostenere che vi sia sostituibilità dal punto di vista della domanda.

68      Anche le dichiarazioni della Coats in risposta alla richiesta di informazioni della Commissione tendono a confermare l’assenza di sostituibilità dal punto di vista della domanda. La Coats, infatti, ha sottolineato che taluni clienti del settore della confezione utilizzavano il filo da ricamo così come taluni clienti del settore del ricamo utilizzavano il fino destinato alla confezione. Per contro, per i clienti del settore automobilistico non è stata evocata l’esistenza di una siffatta sostituibilità sul versante della domanda.

69      In secondo luogo, se è vero che la Commissione ha ritenuto che, dal punto di vista dell’offerta, il filo industriale potesse essere considerato come costituente un mercato di un unico prodotto in ragione della mancanza di una stretta corrispondenza tra l’utilizzo finale e il tipo di fibra e/o di struttura del filo e della somiglianza o intercambiabilità dei processi produttivi di detto filo, essa ha tuttavia concluso che ciò non valeva per il filo destinato all’industria automobilistica.

70      Per giungere a tale conclusione, la Commissione si è fondata sulle peculiarità del filo destinato all’industria automobilistica, sulla necessità di assicurare un’offerta standardizzata e sulla capacità di poter evadere gli ordini dei clienti importanti di tale settore. Essa si è parimenti avvalsa della circostanza che il mercato geografico del filo destinato all’industria automobilistica si estende su tutto il territorio del SEE, a differenza di quello del filo industriale, che ha carattere esclusivamente regionale. Alla luce di tali elementi, essa ha ritenuto che soltanto alcune imprese potessero soddisfare tale tipo di domanda (v. punto 22 della decisione impugnata).

71      Innanzitutto, ai sensi del n. 20 della comunicazione sulla definizione del mercato, perché si abbia sostituibilità sul versante dell’offerta, i fornitori devono essere in grado di modificare il loro processo produttivo in modo da fabbricare i prodotti in causa e immetterli sul mercato in breve tempo, senza dover sostenere significativi costi aggiuntivi o affrontare rischi eccessivi in risposta a piccole variazioni permanenti dei prezzi relativi. Successivamente, al n. 21 della comunicazione sulla definizione del mercato, la Commissione sottolinea che una siffatta sostituibilità si riscontra, in genere, quando le imprese vendono una gamma di varietà o di qualità di uno stesso prodotto e che, anche se per un dato consumatore finale o gruppo di consumatori finali le diverse varietà non sono sostituibili, esse saranno raggruppate in un unico mercato del prodotto. Il filo industriale corrisponde, prima facie, al tipo di prodotto indicato al n. 21 della comunicazione sulla definizione del mercato.

72      Infine, ai nn. 22 e 23 della comunicazione sulla definizione del mercato, la Commissione conferma, attraverso esempi concreti, che i fornitori interessati devono essere in grado di offrire e vendere le diverse varietà nell’immediato e senza dover sostenere incrementi significativi dei costi e che non devono esserci particolari difficoltà di distribuzione.

73      È alla luce di tali considerazioni che occorre stabilire se la Commissione abbia valutato correttamente il criterio della sostituibilità dal punto di vista dell’offerta.

74      In primo luogo, come osservato al precedente punto 63 e segg., i produttori di filo destinato all’industria automobilistica devono adattare i loro macchinari per la produzione affinché il filo prodotto risponda a norme particolari.

75      In secondo luogo, non convince il ragionamento delle ricorrenti relativo ai bassi costi di produzione del filo destinato all’industria automobilistica. Infatti, è vero che le ricorrenti fanno valere che non soltanto i fili sarebbero prodotti, in via generale, in conformità ai requisiti dell’industria automobilistica e forniti con tali caratteristiche qualitative ai clienti di altri settori industriali, ma anche che i costi dell’adattamento della catena di produzione risulterebbero molto più elevati se fosse necessario fabbricare un prodotto soltanto per il settore automobilistico per poi modificare la catena di produzione e adattarla alla fabbricazione di prodotti destinati ad altri settori industriali.

76      Resta il fatto che, se, per motivi di razionalizzazione della produzione, una società già presente sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica produce essenzialmente fili conformi alla norma di rango superiore indipendentemente dalla destinazione del prodotto, essa opererà in tal modo soltanto perché è presente sul mercato automobilistico, in ragione dei costi elevati connessi alla produzione conforme alle norme specifiche relative ai fili destinati all’industria automobilistica. Detto altrimenti, una società la cui attività principale abbia ad oggetto il filo destinato alla confezione ovvero il filo da ricamo non avrà alcun interesse a produrre un filo speciale destinato al settore automobilistico soltanto perché essa potrebbe potenzialmente vendere tale filo ad eventuali clienti del settore automobilistico.

77      Quindi, l’affermazione delle ricorrenti secondo cui i costi di produzione del filo destinato all’industria automobilistica sono talmente poco elevati che la produzione avviene sempre secondo una norma di specificazione più elevata non è dimostrata per quanto riguarda i produttori di filo industriale.

78      In terzo luogo, la netta differenza tra i due mercati sul piano geografico non è stata messa in discussione dalle ricorrenti nel corso del procedimento amministrativo. In risposta alla richiesta di informazioni della Commissione, l’Amann ha anche qualificato come mondiale il mercato del filo destinato all’industria automobilistica. Anche la Coats ha evidenziato che le caratteristiche particolari di quest’ultimo mercato lo limitano ai fornitori «regionali» e «globali», dove questi termini sono da intendersi, nel contesto della risposta, come «esteso all’intero territorio del SEE» e «mondiale».

79      Pertanto, la sostituibilità dal punto di vista dell’offerta presupporrebbe che la maggior parte dei produttori di filo disponga dei mezzi per produrre in grande quantità filo specifico e uniforme per ciascun cliente del settore dell’industria automobilistica e per distribuirlo in tempi brevi in tutto il SEE. Alla luce delle considerazioni che precedono, un siffatto ragionamento non è affatto sostenibile.

80      Pertanto, la Commissione non ha commesso errori manifesti di valutazione nel ritenere che, dal punto di vista dell’offerta, esistessero due mercati di prodotti e geografici distinti.

81      A tal riguardo, occorre precisare che la Commissione ha correttamente valutato e interpretato le risposte delle ricorrenti e delle altre imprese interessate sulla base delle quali è giunta alla conclusione che esistano due mercati di prodotti distinti.

82      Innanzitutto, la Commissione ha chiesto alle ricorrenti se il filo da cucito per abbigliamento a uso industriale, il filo da ricamo a uso industriale, il filo speciale a uso industriale e il filo da uso domestico costituissero differenti mercati di prodotti del settore del filo. La Commissione ha anche presentato una tabella diretta a determinare i mercati geografici rilevanti per ciascuna delle categorie di filo precedentemente citate, pur prevedendo una rubrica specifica «Filo per automobile». Essa ha precisato che quest’ultima categoria era inclusa nel filo speciale a uso industriale, ma ha sottolineato di voler conoscere il parere dell’Amann e della Cousin sul mercato geografico rilevante di tale tipo di filo.

83      In risposta alla richiesta di informazioni summenzionata, l’Amann ha osservato che la ripartizione dettagliata effettuata dalla Commissione era corretta sulla base del rilievo che «esistono requisiti dei prodotti ed esigenze specifiche dei clienti che nel settore dell’industria dell’abbigliamento, in particolare, si distinguono nettamente da quelli degli altri due settori a livello della varietà delle tinte, ecc.». Anche la Cousin, da parte sua, ha espresso il suo pieno assenso alla segmentazione presentata dalla Commissione. Essa ha tuttavia evidenziato la grande difficoltà nella valutazione dei mercati, soprattutto relativamente ai fili speciali, data la grandissima diversità di utilizzazioni interessate, sottolineando di aver enumerato oltre 80 mestieri.

84      È vero, quindi, che le ricorrenti hanno ammesso esplicitamente che il mercato del filo speciale costituiva un mercato di prodotti distinto, ma, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione nelle sue memorie, esse non hanno esplicitamente ammesso che il mercato del filo destinato all’industria automobilistica incluso nel mercato del filo speciale fosse, a sua volta, un mercato di prodotti distinto.

85      Anche la Gütermann ha confermato la suddivisione proposta dalla Commissione, ma non si è esplicitamente pronunciata sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica. Quanto alla Coats, alla questione relativa ai mercati distinti a seconda dei prodotti ha risposto di non credere che le differenze tra i prodotti fossero sufficienti per constatare l’esistenza di tre mercati distinti, pur riconoscendo le particolari caratteristiche del mercato del filo destinato all’industria automobilistica, come già esposto al precedente punto 78. Soltanto la Oxley ha direttamente confermato e giustificato il carattere distinto del mercato del filo destinato all’industria automobilistica.

86      Benché l’interpretazione di tali elementi, relativamente all’esistenza di un mercato distinto del filo destinato all’industria automobilistica, non sembri affatto così scontata come la Commissione tende ad affermare, ciò nondimeno le sue deduzioni non sono viziate da alcun errore manifesto di valutazione né da un qualsiasi snaturamento dei fatti.

87      Le sue deduzioni trovano conferma in altri indizi, quali i siti Internet delle imprese che presentano in generale una voce separata per il filo destinato all’industria automobilistica. Del pari, tali imprese sono tutte titolari di marchi di fili creati appositamente per tale settore.

88      Da quanto precede risulta che la Commissione non ha commesso errori manifesti di valutazione nel ritenere che, nel caso di specie, il mercato del filo destinato all’industria automobilistica e il mercato del filo industriale fossero differenti.

b)     Sull’asserita esistenza di un «piano d’insieme»

89      Occorre ricordare, innanzitutto, che la nozione di infrazione unica riguarda la situazione in cui più imprese abbiano preso parte ad un’infrazione costituita da un comportamento continuato avente un unico obiettivo economico volto a falsare la concorrenza, oppure da infrazioni singole collegate l’una all’altra da un’identità di oggetto (stessa finalità dell’insieme degli elementi) e di soggetti (identità delle imprese interessate consapevoli di partecipare all’oggetto comune) (sentenza del Tribunale 8 luglio 2008, causa T‑53/03, BPB/Commissione, Racc. pag. II‑1333, punto 257).

90      In seguito, si deve osservare che una violazione dell’art. 81, n. 1, CE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti o, ancora, da un comportamento continuato. Tale interpretazione non può essere contestata sulla base del fatto che uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero anche costituire di per sé stessi e presi isolatamente una violazione della detta disposizione. Ove le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa del loro identico oggetto, consistente nel distorcere il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (sentenza della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 258).

91      Inoltre, secondo costante giurisprudenza, la nozione di infrazione unica può riferirsi alla qualificazione giuridica di un comportamento anticoncorrenziale consistente in accordi, in pratiche concordate e in decisioni di associazioni di imprese (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. II‑931, punti 696-698; 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punto 186, e 12 dicembre 2007, cause riunite T‑101/05 e T‑111/05, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑4949, punto 159).

92      Occorre altresì precisare che la nozione di obiettivo unico non può essere determinata riferendosi in generale alla distorsione della concorrenza nel mercato interessato dall’infrazione, dal momento che l’incidenza sulla concorrenza costituisce, come oggetto o effetto, un elemento intrinseco a qualunque comportamento rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 81, n. 1, CE. Una siffatta definizione della nozione di obiettivo unico rischierebbe di privare la nozione di infrazione unica e continuata di una parte del suo significato, in quanto avrebbe per conseguenza che vari comportamenti concernenti un settore economico, vietati dall’art. 81, n. 1, CE, dovrebbero essere sistematicamente qualificati come elementi costitutivi di un’infrazione unica. Pertanto, ai fini della qualificazione di comportamenti diversi come infrazione unica e continuata occorre verificare se essi presentino un nesso di complementarietà nel senso che ciascuno di essi è destinato a far fronte ad una o più conseguenze del gioco normale della concorrenza e se essi contribuiscano, interagendo reciprocamente, alla realizzazione di tutti gli effetti anticoncorrenziali voluti dai rispettivi autori nell’ambito di un piano complessivo diretto ad ottenere un unico obiettivo. A tale riguardo, occorre tenere conto di tutte le circostanze che possono provare o mettere in dubbio tale nesso quali il periodo di applicazione, il contenuto (incluso il metodo utilizzato) e, correlativamente, l’obiettivo dei diversi comportamenti in questione (v., in tal senso, sentenza BASF/Commissione, cit. supra al punto 91, punti 179-181).

93      È quindi per ragioni obiettive che la Commissione può avviare procedimenti distinti, accertare varie infrazioni distinte e infliggere varie ammende distinte (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 15 giugno 2005, cause riunite T‑71/03, T‑74/03, T‑87/03 e T‑91/03, Tokai Carbon e a./Commissione; in prosieguo: la «sentenza Tokai II», punto 124).

94      Infine, va altresì osservato che la qualificazione di talune condotte illecite come condotte costitutive di un’unica e medesima infrazione o come una pluralità di infrazioni incide, in linea di principio, sulla sanzione che può essere inflitta. Infatti, la constatazione di una pluralità di infrazioni può comportare l’applicazione di diverse ammende distinte, ciascuna nei limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 (sentenza BASF/Commissione, cit. supra al punto 91, punto 158).

95      È alla luce di tali considerazioni che deve essere valutata l’esistenza di un «piano d’insieme».

96      Occorre subito osservare che le ricorrenti sostengono principalmente che, nel caso di specie, l’elemento soggettivo comune risiede nel fatto che le infrazioni erano tutte dirette a falsare la normale evoluzione dei prezzi. Orbene, un siffatto obiettivo di alterazione dei prezzi è inerente a qualsiasi cartello di prezzi e non è sufficiente, di per sé, a dimostrare l’esistenza di un elemento soggettivo comune. A tal riguardo, e contrariamente alle affermazioni delle ricorrenti, la Commissione non è affatto partita dal presupposto dell’esistenza di un nesso tra le infrazioni nella decisione impugnata. Infatti, al punto 269 della stessa, essa si è limitata a menzionare l’oggetto anticoncorrenziale unico e la finalità economica unica consistente in un’alterazione dell’evoluzione normale dei prezzi che è inerente a tale tipo di cartello, pur ribadendo il fatto che tale obiettivo e tale finalità sono perseguiti in ognuna delle tre differenti infrazioni.

97      In seguito, per confutare l’esistenza di un’infrazione unica, oltre alla circostanza che il mercato del filo destinato all’industria automobilistica e quello del filo industriale sono distinti, come osservato, peraltro, ai precedenti punti 53-88, la Commissione si è fondata essenzialmente sulla mancanza di identità della maggior parte dei membri coinvolti nelle intese e sulla mancanza di coordinamento globale degli stessi. Le ricorrenti non hanno potuto mettere in discussione tali criteri e, quindi, non hanno dimostrato l’esistenza di un «legame stretto» tra i differenti comportamenti anticoncorrenziali.

98      Per quanto attiene, in primo luogo, al criterio relativo all’assenza di identità dei partecipanti, ai punti 96 e 216 della decisione impugnata, la Commissione ha elencato le partecipanti all’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica e a quella sul mercato del filo industriale. Al punto 265, lett. a), della decisione impugnata, essa ha successivamente ritenuto che la maggior parte delle imprese avesse partecipato a una sola intesa perché esse non esercitavano alcuna attività sui mercati oggetto dell’altra intesa.

99      Occorre constatare che, delle dieci imprese che hanno partecipato all’una e/o all’altra di tali intese, soltanto tre sono state implicate in entrambe le intese. Infatti, l’Ackermann Nähgarne GmbH & Co, la Bieze Stork BV, la BST, la Cousin, la Gütermann, la Zwicky e la Oxley sono state interessate soltanto da un’intesa. Soltanto la Coats, la Barbour (fino alla sua acquisizione da parte della Coats) e l’Amann hanno partecipato ad entrambe le intese. La semplice partecipazione delle suddette tre imprese alle due intese, in sé, non può costituire un indizio dell’esistenza di una strategia comune (v., in tal senso, sentenza Tokai II, cit. supra al punto 93, punto 120). Inoltre, occorre sottolineare che, eccezion fatta per la Barbour, i rappresentanti delle imprese presenti alle riunioni organizzate nell’ambito dell’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica e di quella sul mercato del filo industriale non erano gli stessi durante il periodo in cui tali due intese si sono accavallate (1998-2000).

100    Pertanto, la constatazione effettuata dalla Commissione al punto 265, lett. a), della decisione impugnata non è viziata da alcun errore manifesto di valutazione.

101    In secondo luogo, neanche il contenuto delle intese potrebbe servire a giustificare l’esistenza di un piano complessivo. A questo proposito, infatti, dalla decisione impugnata emerge che i rispettivi contenuti dell’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica e di quella sul mercato del filo industriale sono nettamente distinti.

102    Per quanto attiene all’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica, i punti 215, 220, 223, 224, 226, 228-230, 233-236 e 238 della decisione impugnata evidenziano, da un lato, che le informazioni scambiate tra i partecipanti all’intesa vertevano sui prezzi per singoli clienti e, dall’altro, che gli accordi conclusi consistevano nella fissazione di obiettivi di prezzi minimi per i prodotti di base venduti a clienti del settore automobilistico, di due tipi di obiettivi di prezzo rispettivamente per i clienti esistenti e per i nuovi clienti, e di obiettivi di prezzi minimi per alcuni clienti indicati negli scambi di informazioni. I partecipanti hanno parimenti convenuto di evitare di farsi concorrenza sul prezzo a vantaggio del fornitore abituale.

103    Per quanto riguarda l’intesa sul mercato del filo industriale, dai punti 99-153 della decisione impugnata emerge, da un lato, che le informazioni scambiate riguardavano i listini dei prezzi e delle riduzioni, l’applicazione di aumenti dei prezzi di listino, la diminuzione delle riduzioni e l’aumento dei prezzi speciali applicabili ad alcuni clienti e, dall’altro, che le parti hanno concluso accordi sui futuri listini dei prezzi, sul tasso massimo di riduzione, sulle diminuzioni di riduzioni e sull’aumento dei prezzi speciali applicabili ad alcuni clienti e hanno convenuto di non farsi concorrenza a vantaggio del fornitore abituale.

104    I punti della decisione impugnata precedentemente citati confermano l’esistenza di una netta differenza tra le due intese relativamente al loro contenuto. La presenza di una qualsivoglia similarità tra tali due intese, quali gli accordi diretti a evitare di farsi concorrenza sul prezzo a vantaggio del fornitore, non basterebbe da sola a mettere in discussione tale rilievo.

105    In terzo luogo, le modalità di funzionamento di ciascuna delle due intese sono state considerevolmente differenti. Infatti, come osservato dalla Commissione al punto 218 della decisione impugnata, l’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica è stata organizzata in maniera alquanto flessibile, mediante piccole riunioni irregolari completate da frequenti contatti bilaterali. Dai punti 96-99 e 149-153 della decisione impugnata si ricava che, da parte sua, l’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici si è concretizzata mediante lo svolgimento di riunioni almeno una volta all’anno e che le stesse erano suddivise in due parti, vale a dire una sessione riservata al mercato dei paesi nordici e una sessione relativa al mercato del Benelux. Emerge altresì che intervenivano periodicamente contatti bilaterali.

106    Alla luce di tali elementi, la Commissione non è incorsa in un manifesto errore di valutazione nel constatare, ai punti 265-267 della decisione impugnata, che l’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica e quella sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici dovevano essere distinte l’una dall’altra e che esse costituivano quindi due infrazioni differenziate.

107    A tale proposito è importante rilevare che, diversamente dall’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica, l’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e quella sul mercato del filo industriale nei paesi nordici sono state considerate come un’unica infrazione sulla base del rilievo che i prodotti erano identici, che i partecipanti all’intesa erano gli stessi, che il contenuto e la modalità di funzionamento dell’intesa erano simili, che le riunioni si tenevano lo stesso giorno e che le imprese partecipanti erano rappresentate dalle stesse persone.

108    Peraltro, sono irrilevanti, da un lato, l’argomento relativo all’assenza di ripartizione delle competenze, tra le ricorrenti, nel settore della commercializzazione del filo industriale e del filo destinato all’industria automobilistica e, dall’altro, quello fondato sul fatto che dirigenti e soci delle imprese partecipanti dovevano essere necessariamente a conoscenza delle varie intese. Tali argomenti non costituiscono alcuna prova dell’esistenza di un elemento soggettivo comune.

109    Deve essere parimenti respinto l’argomento delle ricorrenti relativo all’esistenza di un coordinamento globale connesso ai frequenti contatti tra un rappresentante della Coats e l’amministratore dell’Amann. Dal fascicolo emerge che lo stesso non contiene alcuna dichiarazione che possa interpretarsi come indizio di un coordinamento globale. In udienza, le ricorrenti hanno ammesso di non poter presentare al Tribunale documenti precisi attestanti una volontà di coordinamento globale tra l’Amann e la Coats.

110    Infine, le ricorrenti affermano erroneamente che il criterio di delimitazione del mercato dei prodotti non potrebbe costituire un valido criterio di valutazione per concludere nel senso dell’esistenza di due infrazioni distinte, in quanto esso conferirebbe alla Commissione un potere discrezionale incontrollabile nel caso di prodotti apparentati. Infatti, da un lato, detto potere discrezionale della Commissione non è illimitato, dal momento che la Commissione rimane soggetta al controllo del Tribunale, come indicato al precedente punto 54. Dall’altro, nel caso di specie, il criterio relativo ai mercati di prodotti è stato solo uno dei vari criteri utilizzati per constatare l’esistenza di due infrazioni distinte.

111    Alla luce delle considerazioni che precedono, il motivo relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, primo periodo, del regolamento n. 1/2003 deve essere respinto in quanto infondato.

B –  Sui motivi diretti ad ottenere la riduzione dell’ammenda

1.     Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti, relativo all’inosservanza del limite superiore della sanzione, previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003

a)     Argomenti delle parti

112    Il motivo dedotto dalle ricorrenti si fonda su tre censure.

113    Nell’ambito di una prima censura, le ricorrenti fanno valere che in realtà le due infrazioni costituiscono un’unica infrazione e che, pertanto, ad esse può essere inflitta una sola ammenda, il cui importo non può superare la soglia del 10% del fatturato complessivo. Orbene, l’importo totale risultante da tale addizione supererebbe tale soglia comportando la violazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

114    A tal proposito esse affermano che è stato violato il principio del diritto costituzionale dell’Unione «nulla poena sine lege». In sostanza, esse censurano il fatto che la Commissione possa, attraverso la ripartizione dei mercati nei quali sono state accertate infrazioni parallele, attribuirsi un margine di manovra illimitato per fissare ammende che superino la soglia del 10% del fatturato complessivo. Orbene, esse ritengono che dal principio di legalità scaturisca non soltanto il divieto per il giudice di comminare le pene in assenza di un fondamento giuridico, ma altresì l’obbligo per il legislatore di redigere norme penali in maniera chiara e precisa. La necessità di chiarezza si imporrebbe, quindi, non solo con riferimento agli elementi costitutivi di una norma, ma anche con riferimento alle conseguenze giuridiche di quest’ultima. Siffatti requisiti varrebbero parimenti per quanto riguarda le disposizioni precedentemente richiamate che prevedono le ammende per infrazioni alle regole di concorrenza.

115    Invitate a fornire chiarimenti in udienza in merito alla loro argomentazione, le ricorrenti hanno precisato che la stessa doveva intendersi nel senso che essa metterebbe in discussione la stessa legittimità della norma e, pertanto, che esse sollevavano un’eccezione di illegittimità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

116    Peraltro, esse contestano l’argomento della Commissione relativo al suo obbligo di rispettare il principio «ne bis in idem», dal momento che tale principio non offre alcuna garanzia in merito all’esattezza del riconoscimento di una o più infrazioni. In sostanza, esse sostengono che il problema si colloca a monte, vale a dire al momento della stessa determinazione dell’esistenza di una o più infrazioni.

117    Con la loro seconda censura le ricorrenti fanno valere che la Commissione può imporre un’unica ammenda per diverse infrazioni nel caso in cui queste ultime si siano concretate nello stesso tipo di comportamenti su vari mercati e a parteciparvi siano, in larga misura, le stesse imprese. Tali due condizioni sarebbero soddisfatte nel caso di specie.

118    Le ricorrenti osservano che la Commissione si è discostata dalla propria prassi antecedente senza la minima motivazione. Infatti, esse ritengono che, nell’ipotesi in cui la Commissione rinunci al potere riconosciutole di infliggere un’unica ammenda per diverse infrazioni, essa sarebbe tenuta, conformemente ai principi generali del diritto amministrativo europeo, a motivare il mancato esercizio di tale potere. Nella fattispecie, dunque, la Commissione avrebbe violato l’art. 253 CE.

119    In seguito esse effettuano un confronto tra la decisione impugnata e la decisione della Commissione 21 novembre 2001 relativa a un procedimento a norma dell’art. 81 [CE] e dell’art. 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E-1/37.512 – Vitamine) (GU 2003, L 6, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Vitamine»). In essa, infatti, la Commissione avrebbe riunito le ammende inflitte per le diverse infrazioni in un’unica ammenda complessiva e, pertanto, avrebbe ritenuto necessario rispettare la soglia del 10% del fatturato complessivo. Orbene, come nella decisione Vitamine, le intese della presente controversia avrebbero in comune lo stesso contesto oggettivo e «spazio-temporale».

120    Con la loro terza censura le ricorrenti fanno valere che l’effetto dissuasivo voluto dalla Commissione sarebbe già stato conseguito al momento dell’applicazione dell’ammenda per l’infrazione commessa sul mercato del filo industriale. Pertanto, la Commissione avrebbe dovuto tenerne conto nel fissare l’importo dell’ammenda che sanziona l’intesa relativa al filo destinato all’industria automobilistica.

121    La Commissione contesta tali argomenti.

b)     Giudizio del Tribunale

122    Il presente motivo dedotto dalle ricorrenti si fonda, in sostanza, su tre censure relative, la prima, alla violazione del principio «nulla poena sine lege», la seconda, all’obbligo di infliggere un’ammenda unica per più infrazioni e, la terza, all’inosservanza delle finalità giuridiche della sanzione.

 Sulla censura relativa alla violazione del principio «nulla poena sine lege» e all’eccezione di illegittimità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003

123    In primo luogo, si deve esaminare l’eccezione di illegittimità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23 del regolamento n. 1/2003 sollevata dalle ricorrenti a tre livelli. In primo luogo, esse sostengono, in sostanza, che la nozione stessa di infrazione di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 sarebbe priva di chiarezza. In secondo luogo, esse fanno valere che neppure la nozione di infrazione unica e continuata sarebbe definita in maniera chiara e che la Commissione potrebbe quindi condizionare arbitrariamente la fissazione dell’importo dell’ammenda mediante una divisione dei mercati sui quali sono state accertate le infrazioni parallele. In terzo luogo, esse affermano che anche le sanzioni previste dal medesimo articolo sono poco chiare.

124    In limine occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il principio di legalità delle pene è un corollario del principio della certezza del diritto, il quale costituisce un principio generale del diritto comunitario ed esige, in particolare, che ogni disciplina comunitaria, in particolare quando impone o permette di imporre sanzioni, sia chiara e precisa affinché le persone interessate possano conoscere con certezza i loro diritti ed obblighi e possano regolarsi di conseguenza (v., in tal senso, sentenze della Corte 9 luglio 1981, causa 169/80, Gondrand e Garancini, Racc. pag. 1931, punto 17; 13 febbraio 1996, causa C‑143/93, Van Es Douane Agenten, Racc. pag. I‑431, punto 27, e sentenza del Tribunale 5 aprile 2006, causa T‑279/02, Degussa/Commissione, Racc. pag. II‑897, punto 66).

125    Tale principio, che appartiene alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e che è stato sancito da diversi trattati internazionali, in particolare dall’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»), si impone sia alle norme di carattere penale che agli strumenti amministrativi specifici che impongono o permettono di imporre sanzioni amministrative (v., in tal senso, sentenza della Corte 18 novembre 1987, causa 137/85, Maizena e a., Racc. pag. 4587, punto 15). Esso si applica non soltanto alle norme che stabiliscono gli elementi costitutivi di un’infrazione, ma altresì a quelle che definiscono le conseguenze derivanti da una violazione delle prime (v., in tal senso, sentenza della Corte 12 dicembre 1996, cause riunite C‑74/95 e C‑129/95, X, Racc. pag. I‑6609, punto 25, e sentenza Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 67).

126    Al riguardo, si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 7, n. 1, della CEDU:

«Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».

127    Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte eur. D.U.»), da tale disposizione risulta che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono. Tale condizione è soddisfatta quando il singolo può conoscere, sulla base del testo della disposizione rilevante e, se necessario, mediante l’aiuto della sua interpretazione da parte dei giudici, quali atti o omissioni fanno sorgere la sua responsabilità penale (v. Corte eur. D.U., sentenza Coëme e a. c. Belgio del 22 giugno 2000, Recueil des arrêts et décisions, 2000‑VII, § 145) (sentenza Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 69).

128    Dalla giurisprudenza della Corte eur. D.U. risulta che, per soddisfare i requisiti dell’art. 7, n. 1, della CEDU, non si esige che i termini delle norme in forza delle quali tali sanzioni sono inflitte siano precisi al punto da rendere prevedibili con assoluta certezza le possibili conseguenze di una loro infrazione (sentenza Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 71).

129    Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte eur. D.U., l’esistenza di termini vaghi nella disposizione non comporta necessariamente una violazione dell’art. 7 della CEDU e il fatto che una legge attribuisca un potere discrezionale non è di per sé in contraddizione con l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un siffatto potere siano definite con chiarezza sufficiente, alla luce del fine legittimo in gioco, per fornire al singolo adeguata tutela contro l’arbitrio (v. sentenza Corte eur. D.U., Margareta e Roger Andersson c. Svezia del 25 febbraio 1992, serie A n. 226, § 75). Al riguardo, oltre allo stesso testo normativo, la Corte eur. D.U. tiene conto della questione se le nozioni indeterminate utilizzate siano state precisate da una giurisprudenza costante e pubblicata (v. Corte eur. D.U., sentenza G. c. Francia del 27 settembre 1995, serie A n° 325-B, § 25) (sentenza Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 72).

130    Con riferimento alla legittimità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 rispetto al principio di legalità delle pene, quale riconosciuto dal giudice comunitario in conformità alle indicazioni fornite dalla CEDU e alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, si deve ritenere che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato, in primo luogo, per accertare l’esistenza di infrazioni alle regole di concorrenza, in secondo luogo, per accertare se i vari atti illeciti costituiscano un’infrazione unica e continuata ovvero varie infrazioni autonome e, in terzo luogo, per fissare l’importo delle ammende per tali infrazioni.

131    In primo luogo, le infrazioni alle regole di concorrenza per cui la Commissione può infliggere ammende, in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, sono esclusivamente le infrazioni alle disposizioni degli artt. 81 CE ovvero 82 CE. Orbene, erroneamente le ricorrenti ritengono che la Commissione disporrebbe di un potere discrezionale illimitato al momento dell’accertamento di tale infrazione. Per un verso, si deve ricordare che, in linea di principio, la questione relativa all’esistenza o meno dei presupposti di cui agli artt. 81 CE e 82 CE è assoggettata ad un controllo completo da parte del giudice comunitario (v., in tal senso e per analogia, sentenza della Corte 28 maggio 1998, causa C‑7/95 P, Deere/Commissione, Racc. pag. I‑3111, punto 34 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza del Tribunale 8 luglio 2008, causa T‑99/04, AC-Treuhand/Commissione, Racc. pag. II‑1501, punto 144). Per altro verso, se è vero che, nel caso in cui tale accertamento implichi valutazioni economiche o tecniche complesse, la giurisprudenza riconosce alla Commissione un certo potere discrezionale, quest’ultimo, comunque, non è illimitato. Infatti, l’esistenza di un siffatto potere discrezionale non comporta che il Tribunale debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di tale natura. In particolare, il giudice comunitario è tenuto non solo a verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se essi siano di natura tale da corroborare le conclusioni che se ne traggono (v., in tal senso, sentenza Microsoft/Commissione, cit. supra al punto 54, punto 88 e giurisprudenza ivi citata).

132    Del resto, le ricorrenti non affermano che la definizione di uno dei tipi di infrazione di cui all’art. 81 CE, consistente in «accordi tra imprese (…) che abbiano per oggetto e per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel (…) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione (…)», non abbia consentito loro di sapere che le intese sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici e quella sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE fossero costitutive di infrazioni ai sensi del detto art. 81 CE e implicassero quindi la loro responsabilità.

133    In secondo luogo, relativamente all’asserita assenza di criteri che consentono di stabilire se esista un’infrazione unica e continuata ovvero varie infrazioni autonome, è giocoforza constatare che detti criteri non appaiono in quanto tali nell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 né nell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 né nell’art. 81 CE. Tuttavia, la nozione di infrazione unica e continuata è stata utilizzata e precisata da una giurisprudenza costante e pubblicata. Criteri quali l’identità di oggetto (stessa finalità dell’insieme degli elementi) e l’identità di soggetti (identità delle imprese interessate consapevoli di partecipare all’oggetto comune), diretti a stabilire se le infrazioni commesse si siano inserite in un «piano d’insieme» e costituiscano quindi un’infrazione unica, sono stati elaborati nel corso degli anni nell’ambito della giurisprudenza come quella citata al precedente punto 89.

134    È quindi per ragioni obiettive che la Commissione può avviare procedimenti distinti, accertare varie infrazioni distinte e infliggere varie ammende distinte (v., in tal senso, sentenza Tokai II, cit. supra al punto 93, punto 124).

135    A tal riguardo, l’analisi del motivo diretto all’annullamento della decisione impugnata (precedente punto 53 e segg.) mostra chiaramente che i criteri applicati dalla Commissione per constatare l’esistenza di due infrazioni distinte sono criteri costanti formulati dalla giurisprudenza.

136    Benché alcuni criteri lascino alla Commissione un ampio potere discrezionale, il sindacato di tale potere discrezionale esercitato dal giudice comunitario ha permesso tuttavia, in particolare, secondo giurisprudenza costante e pubblicata, di precisare alcune nozioni. È il caso, segnatamente, della definizione del mercato di prodotti e del mercato geografico, che è stata applicata nel caso di specie dalla Commissione e per la quale quest’ultima ha dovuto procedere a valutazioni economiche complesse. Come osservato nell’ambito dell’analisi del primo motivo (precedente punto 53 e segg.), la Commissione ha dovuto attenersi, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ai criteri fissati dalla giurisprudenza quali la sostituibilità dal punto di vista dell’offerta e quella dal punto di vista della domanda.

137    Inoltre, in un’ottica di trasparenza e ai fini di una maggiore certezza del diritto per le imprese interessate, la Commissione ha pubblicato la comunicazione sulla definizione del mercato in cui indica i criteri applicati al fine di definire il mercato in questione per ogni caso di specie. Al riguardo, adottando siffatte norme di comportamento e annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in poi applicate alle fattispecie cui si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, a pena di essere eventualmente sanzionata a titolo di violazione di principi giuridici generali quali la parità di trattamento e la tutela del legittimo affidamento. Inoltre, la comunicazione sulla definizione del mercato, pur non costituendo il fondamento normativo della decisione impugnata, stabilisce in modo generale e astratto i criteri che la Commissione si è imposta per stabilire l’esistenza di uno o più mercati, ai fini dell’accertamento dell’esistenza di una o più infrazioni, e garantisce, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese (v., in tal senso, sentenza della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punti 211 e 213). Ne consegue che la comunicazione sulla definizione del mercato ha contribuito a precisare i limiti dell’esercizio del potere discrezionale della Commissione, già risultanti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

138    A tal riguardo, dai nn. 4 e 5 della comunicazione sulla definizione del mercato emerge che «la Commissione intende accrescere la trasparenza della sua politica e dei suoi processi decisionali in materia di politica di concorrenza» e che «[l]a maggiore trasparenza consentirà inoltre alle imprese ed ai loro consulenti di prevedere più agevolmente se esiste la possibilità che la Commissione esprima delle obiezioni sotto il profilo della concorrenza in un determinato caso. Le imprese potrebbero quindi tenerne conto ai fini delle proprie decisioni interne, per esempio quando contemplano l’eventualità (…) di concludere determinati accordi».

139    Quindi, alla luce dei diversi elementi sopra rilevati, un operatore avveduto, avvalendosi se necessario dell’assistenza legale, può prevedere con sufficiente precisione il metodo che la Commissione applicherà al fine di accertare, per determinati comportamenti di un’impresa, l’esistenza di un’infrazione unica e continuata ovvero di varie infrazioni autonome.

140    In terzo luogo, con riferimento all’asserzione relativa alla mancanza di chiarezza delle sanzioni previste dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato per la fissazione delle ammende per violazione delle regole di concorrenza (v., per analogia, sentenza Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 74).

141    Infatti, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 limitano il potere discrezionale della Commissione. Da un lato, tali disposizioni prevedono un criterio oggettivo in base al quale, per ogni impresa o associazione di imprese, l’ammenda inflitta non può eccedere il 10% del fatturato. Pertanto, l’ammenda che può essere inflitta ha un tetto massimo determinabile e assoluto, calcolato in rapporto a ciascuna impresa, per ciascuna ipotesi di infrazione, cosicché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta a una determinata impresa è quantificabile anticipatamente. Dall’altro, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e l’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, che completa l’art. 23, n. 2, dello stesso regolamento, impone alla Commissione di fissare le ammende in ogni singolo caso «[tenendo] conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata» (v., per analogia, sentenza Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 75).

142    Se è vero che il criterio oggettivo del tetto massimo dell’ammenda e i criteri soggettivi della gravità e della durata dell’infrazione lasciano alla Commissione un ampio potere discrezionale, si tratta nondimeno di criteri che consentono alla Commissione di adottare sanzioni tenendo conto del grado di illegittimità del comportamento di cui trattasi. Si deve pertanto ritenere, a questo punto, che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e l’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003, pur lasciando alla Commissione un ampio potere discrezionale, definiscano i criteri e i limiti ad essa imposti nell’esercizio del suo potere in materia di ammende (v., per analogia, sentenza Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 76).

143    Si deve inoltre osservare che, per stabilire ammende ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione deve rispettare i principi generali del diritto, in particolare i principi della parità di trattamento e di proporzionalità, quali elaborati dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale (v., per analogia, sentenze del Tribunale Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 77, e 8 ottobre 2008, causa T‑69/04, Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, Racc. pag. II‑2567, punto 41).

144    Occorre altresì aggiungere che, ai sensi dell’art. 229 CE e dell’art. 31 del regolamento n. 1/2003, la Corte e il Tribunale hanno una competenza giurisdizionale anche di merito sui ricorsi proposti avverso le decisioni con le quali la Commissione fissa ammende e possono, quindi, non solo annullare le decisioni adottate dalla Commissione, ma anche eliminare, ridurre o aumentare l’ammenda inflitta. Pertanto, la prassi amministrativa della Commissione è soggetta al pieno controllo del giudice comunitario (v., per analogia, sentenza Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, cit supra al punto 143, punto 41). Tale sindacato è esercitato dal giudice comunitario nel rispetto dei criteri indicati dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003 ed ha in particolare permesso, secondo una giurisprudenza costante e pubblicata, di precisare le nozioni indeterminate che poteva contenere l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, nozioni riprodotte nell’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso e per analogia, sentenza Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 79).

145    Peraltro, in base ai criteri stabiliti nell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e, da ultimo, nell’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003 e precisati nella giurisprudenza della Corte e del Tribunale, la Commissione ha sviluppato una prassi amministrativa nota e accessibile. Benché la prassi decisionale della Commissione non funga, di per sé, da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza (v. sentenza del Tribunale 18 luglio 2005, causa T‑241/01, Scandinavian Airlines System/Commissione, Racc. pag. II‑2917, punto 87 e giurisprudenza ivi citata), tuttavia, in forza del principio della parità di trattamento, la Commissione non può trattare situazioni analoghe in maniera differenziata o situazioni diverse nella stessa maniera, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza della Corte 13 dicembre 1984, causa 106/83, Sermide, Racc. pag. 4209, punto 28, e sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 309).

146    Inoltre, si deve tener conto del fatto che, in un’ottica di trasparenza e ai fini di una maggiore certezza del diritto per le imprese interessate, la Commissione ha pubblicato gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5 del Trattato [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti», nei quali indica il metodo di calcolo che essa si è prefissata per ogni caso di specie. Le considerazioni espresse al precedente punto 137 relative alla comunicazione sulla definizione del mercato valgono anche per gli orientamenti. Infatti, adottando siffatte norme di comportamento e annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in poi applicate alle fattispecie cui si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, a pena di essere eventualmente sanzionata a titolo di violazione di principi giuridici generali quali la parità di trattamento e la tutela del legittimo affidamento. Inoltre, gli orientamenti, pur non costituendo il fondamento normativo della decisione impugnata, stabiliscono, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’ammontare delle ammende inflitte dalla decisione impugnata e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 137, punti 211 e 213). Ne consegue che l’adozione degli orientamenti da parte della Commissione, rientrando nel contesto normativo imposto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e, da ultimo, dall’art. 23, nn. 2 e 3, del regolamento n. 1/2003, ha contribuito a precisare i limiti dell’esercizio del potere discrezionale già risultante da tali disposizioni (v., in tal senso e per analogia, sentenza Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 82).

147    Alla luce dei diversi elementi sopra rilevati, quindi, un operatore avveduto, avvalendosi se necessario dell’assistenza legale, può prevedere con sufficiente precisione il metodo e l’ordine di grandezza delle ammende nelle quali può incorrere per un dato comportamento. Il fatto che tale operatore non sia in grado di conoscere con precisione, in anticipo, il livello delle ammende che la Commissione deciderà di infliggere nel singolo caso di specie non può costituire una violazione del principio di legalità delle pene, tenuto conto del fatto che, in base alla gravità delle infrazioni che la Commissione è chiamata a sanzionare, gli obiettivi di repressione e di dissuasione giustificano l’intento di evitare che le imprese siano in grado di valutare i vantaggi che esse trarrebbero dalla loro partecipazione ad un’infrazione tenendo conto, in anticipo, dell’importo dell’ammenda che verrebbe loro inflitta a causa di tale comportamento illecito (sentenze Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 83, e Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, cit. supra al punto 143, punto 45).

148    A tale riguardo, anche se le imprese non sono in grado di conoscere in anticipo con precisione il livello delle ammende che la Commissione deciderà di infliggere nel singolo caso di specie, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 253 CE, nella decisione di infliggere un’ammenda la Commissione è tenuta a fornire una motivazione, in particolare quanto al livello dell’ammenda inflitta e al metodo scelto al riguardo, e ciò malgrado il fatto che il contesto della decisione sia generalmente noto. Questa motivazione deve rivelare, in modo chiaro e inequivocabile, il ragionamento della Commissione in modo da consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato al fine di valutare l’opportunità di adire il giudice comunitario e, eventualmente, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo controllo (sentenze Degussa/Commissione, cit. supra al punto 124, punto 84, e Schunk e Schunk Kohlenstoff-Technik/Commissione, cit. supra al punto 143, punto 46).

149    Per quanto attiene, in secondo luogo, all’argomento fondato sull’esistenza di un’unica infrazione e al conseguente superamento della soglia del 10% del fatturato, occorre ricordare, da un lato, che dall’esame del motivo diretto all’annullamento della decisione impugnata emerge che la Commissione ha giustamente concluso nel senso dell’esistenza di due infrazioni distinte. Orbene, come è stato ricordato al precedente punto 94, l’accertamento di una pluralità di infrazioni può comportare l’applicazione di varie ammende distinte, ciascuna nei limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003. Pertanto, la Commissione poteva a priori infliggere un’ammenda per ogni singola infrazione e non era obbligata, prima facie, a infliggere un’unica ammenda complessiva.

150    Dall’altro lato, si deve determinare se l’importo totale delle ammende inflitte a un’impresa autrice di diverse infrazioni possa superare la soglia del 10%. A tale proposito, si deve ricordare che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e l’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 dispongono che, per ciascuna impresa e associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del suo fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente. Tali disposizioni non si riferiscono alla somma delle diverse ammende inflitte a una società. Se le ricorrenti hanno effettivamente commesso infrazioni distinte, è irrilevante il fatto che le infrazioni vengano accertate con più decisioni o con un’unica decisione, dal momento che l’unica questione rilevante è se si tratti effettivamente di infrazioni distinte. Quindi, la qualificazione di talune condotte illecite come condotte costitutive di un’unica e medesima infrazione o come una pluralità di infrazioni incide, in linea di principio, sulla sanzione che può essere inflitta, dal momento che la constatazione di una pluralità di infrazioni può comportare l’applicazione di diverse ammende distinte, ciascuna nei limiti stabiliti dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso e per analogia, sentenze Tokai II, cit. supra al punto 93, punto 118, e BASF/Commissione, cit. supra al punto 91, punto 158).

151    Ne deriva che, infliggendo due ammende i cui importi addizionati superino la soglia del 10% del fatturato delle ricorrenti, la Commissione non ha commesso alcuna violazione del principio «nulla poena sine lege».

152    Dalle considerazioni che precedono risulta che le censure relative alla violazione del principio «nulla poena sine lege» e all’eccezione di illegittimità sollevata con riferimento all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 devono essere respinte.

 Sulla censura relativa all’obbligo di infliggere un’ammenda unica per diverse infrazioni

153    Deve essere respinto l’argomento dedotto in subordine dalle ricorrenti secondo cui, anche in presenza di due infrazioni distinte, avrebbe dovuto essere imposta un’unica ammenda complessiva.

154    E’ vero che dalla giurisprudenza si ricava che la Commissione può imporre un’unica ammenda per diverse infrazioni (sentenze del Tribunale 6 ottobre 1994, causa T‑83/91, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. II‑755, punto 236; 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 4761, e 30 settembre 2003, causa T‑203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II‑4071, punto 265).

155    Tuttavia, si tratta di una facoltà che la Commissione ha utilizzato in alcune circostanze, segnatamente quando le infrazioni rientravano in un piano strategico comune coerente (v., in tal senso, sentenze Cimenteries CBR e a./Commissione, cit. supra al punto 154, punti 4761-4764, e Tetra Pak/Commissione, cit. supra al punto 154, punto 236), quando vi era un’unità di infrazioni (v., in tal senso, sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80-103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 127) ovvero quando le infrazioni accertate nella decisione della Commissione si concretavano nello stesso tipo di comportamenti su vari mercati, in particolare nella determinazione di prezzi e quote e nello scambio di informazioni e quando a tali infrazioni avevano partecipato quasi sempre le stesse imprese (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑144/89, Cockerill Sambre/Commissione, Racc. pag. II‑947, punto 92). L’esame del primo motivo ha dimostrato che siffatte circostanze non ricorrevano nel caso di specie.

156    Da tale giurisprudenza non può neppure dedursi l’esistenza di una prassi precedente della Commissione secondo la quale quest’ultima si sarebbe imposta di avvalersi automaticamente della possibilità di infliggere un’ammenda unica nel caso di una pluralità di infrazioni, né che sarebbe stata tenuta a motivare la ragione per cui essa non vi avrebbe fatto ricorso. Detta giurisprudenza tende piuttosto a mostrare che la prassi consistente nell’infliggere un’ammenda unica rappresenta un’eccezione, poiché essa viene seguita solo in determinate circostanze.

157    A tale proposito, neppure le decisioni della Commissione invocate dalle ricorrenti sono idonee a far emergere una prassi del genere. Infatti, tanto nella decisione della Commissione 10 ottobre 2001 relativa ad un procedimento a norma dell’art. 81 [CE] (Caso COMP/36.264 – Mercedes-Benz) (GU 2002, L 257, pag. 1), in particolare al punto 253, quanto nella decisione Vitamine, citata al precedente punto 119 (punti 711 e 775), le varie infrazioni constatate hanno dato luogo ad ammende con importi diversi, i quali sono stati poi sommati al fine di stabilire l’importo totale dell’ammenda. La Commissione ha pertanto proceduto a infliggere diverse ammende che sono state successivamente sommate. In ogni caso, la stessa prassi decisionale anteriore della Commissione non funge da contesto giuridico di riferimento per le ammende in materia di concorrenza, poiché quest’ultimo è definito esclusivamente dal regolamento n. 17, dal regolamento n. 1/2003 e dagli orientamenti (v., in tal senso e per analogia, sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 234, e Michelin/Commissione, cit. supra al punto 154, punto 254).

158    Pertanto, deve essere respinto l’argomento relativo a un’asserita prassi anteriore della Commissione consistente, da un lato, nell’infliggere un’unica ammenda globale in caso di infrazioni distinte e, dall’altro, nell’applicare la soglia del 10% del fatturato complessivo dell’impresa interessata all’importo finale dell’ammenda, quale risulta dalla somma delle differenti ammende inflitte per ciascuna specifica infrazione commessa dall’impresa in questione.

 Sulla censura relativa all’inosservanza delle finalità giuridiche della sanzione

159    Le ricorrenti sostengono erroneamente che, nell’infliggere l’ammenda per l’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE, la Commissione avrebbe dovuto considerare l’effetto dissuasivo ottenuto con la condanna a un’ammenda per l’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici.

160    Infatti, lo scopo dissuasivo che la Commissione legittimamente persegue fissando l’importo di un’ammenda è volto a garantire l’osservanza, da parte delle imprese, delle regole di concorrenza stabilite dal Trattato per lo svolgimento delle loro attività all’interno dell’Unione europea o del SEE (sentenza del Tribunale 29 novembre 2005, causa T‑64/02, Heubach/Commissione, Racc. pag. II‑5137, punto 181). Nell’ipotesi di una pluralità di infrazioni, la Commissione può giustamente ritenere che un siffatto scopo non possa essere raggiunto mediante la semplice imposizione di una sanzione per una delle infrazioni.

161    Pertanto, tale censura deve essere respinta.

162    Alla luce delle considerazioni che precedono, il motivo relativo all’inosservanza del limite superiore della sanzione, di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e all’art. 23 del regolamento n. 1/2003, deve essere respinto in quanto infondato.

2.     Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti, relativo alla violazione dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità in sede di applicazione dell’ammenda

a)     Argomenti delle parti

163    Le ricorrenti fanno valere numerose censure a sostegno del loro motivo relativo al carattere sproporzionato dell’ammenda e alla violazione del principio della parità di trattamento in sede di applicazione dell’ammenda stessa.

164    In primo luogo, per quanto attiene alla violazione del principio di proporzionalità, le ricorrenti affermano, in primo luogo, che nel determinare le ammende la Commissione non avrebbe tenuto conto della notevole differenza di dimensioni tra le imprese interessate, sebbene gli orientamenti la obbligassero a ciò. Erroneamente la Commissione avrebbe fatto riferimento esclusivamente al fatturato realizzato dalle imprese sul mercato interessato dall’infrazione. Quindi, l’ammenda inflitta alle ricorrenti rappresenterebbe il 13,7% del fatturato mondiale del gruppo, mentre quella inflitta alla Coats costituirebbe soltanto il 2,3% del suo fatturato mondiale. Rispetto a concorrenti importanti come la Coats, l’Amann ritiene di essere soltanto una media impresa.

165    In secondo luogo, il principio di proporzionalità sarebbe stato violato in quanto il principio di parità della sanzione di cui al punto 1 A, settimo comma, degli orientamenti sarebbe stato a sua volta violato. La Commissione non avrebbe considerato la capacità economica o contributiva delle imprese, che si misurerebbe con riferimento ai loro fatturati complessivi.

166    In terzo luogo, il «sistema di forfetizzazione» istituito dagli orientamenti sarebbe anormalmente sfavorevole per le piccole e medie imprese, circostanza che sarebbe confermata dal membro della Commissione competente per le questioni di concorrenza nonché dalla Commissione stessa.

167    In quarto luogo, l’ammenda che è stata loro inflitta sarebbe del tutto sproporzionata rispetto alla dimensione del mercato. La Commissione avrebbe quindi violato i principi del carattere appropriato della pena e quello della proporzionalità. Le ricorrenti ricordano, infatti, che le decisioni che comminano un’ammenda perseguono obiettivi tanto repressivi quanto preventivi e che le pene non possono quindi eccedere quanto necessario per garantire la «risocializzazione» dell’autore. Ne conseguirebbe che, quanto più il fatturato interessato dall’infrazione è ridotto rispetto al fatturato complessivo di un’impresa, tanto più la sanzione deve essere lontana dal limite del 10%.

168    Inoltre, le ricorrenti deducono, cifre alla mano, una violazione del principio della parità di trattamento tra loro e la Coats, in relazione tanto all’importo di base dell’ammenda quanto all’importo finale della stessa. La Commissione, infatti, non avrebbe affatto tenuto conto delle modeste dimensioni dell’Amann da un punto di vista assoluto e, per quanto riguarda il filo industriale, da un punto di vista relativo, e avrebbe quindi commesso un errore di diritto inserendola nello stesso gruppo della Coats. Inoltre, la stessa Commissione si sarebbe fondata sul presupposto che la Coats aveva una posizione economica preponderante, ma non avrebbe indicato nella decisione impugnata il modo in cui ne ha tenuto conto.

169    La Commissione sarebbe obbligata a tenere conto delle dimensioni delle altre imprese coinvolte, dal momento che le dimensioni e la potenza economica delle imprese costituiscono elementi di valutazione di pari valore che dovrebbero, unitamente ad altri criteri, essere presi in considerazione nell’ambito della fissazione dell’importo dell’ammenda.

170    La Commissione contesta tale motivo.

b)     Giudizio del Tribunale

 Sulla violazione del principio di proporzionalità

171    Va rilevato che il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni comunitarie non vadano oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Nel contesto del calcolo delle ammende, la gravità delle infrazioni deve essere determinata in funzione di numerosi fattori ed è necessario non attribuire ad alcuno di tali elementi un’importanza sproporzionata rispetto agli altri elementi di valutazione. Il principio di proporzionalità implica in tale contesto che la Commissione deve fissare l’ammenda in modo proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione e che essa deve applicare al riguardo tali elementi in maniera coerente e obiettivamente giustificata (sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punti 226-228).

–       Quanto all’argomento relativo alla mancata considerazione delle dimensioni del mercato

172    Le ricorrenti addebitano erroneamente alla Commissione di aver fissato ammende sproporzionate rispetto alle dimensioni dei mercati interessati.

173    Infatti, si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, la Commissione può infliggere alle imprese ammende il cui importo non superi il 10% del fatturato realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente per ciascuna impresa che abbia partecipato all’infrazione. Per determinare l’importo dell’ammenda entro tale limite, tale disposizione prescrive, al suo n. 3, che si tenga conto della gravità e della durata dell’infrazione. Inoltre, conformemente agli orientamenti, la Commissione fissa l’importo di partenza in funzione della gravità dell’infrazione tenendo conto della natura stessa dell’infrazione, del suo impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e dell’estensione del mercato geografico.

174    Quindi, né il regolamento n. 1/2003 né gli orientamenti prevedono che l’importo delle ammende debba essere stabilito direttamente in relazione alle dimensioni del mercato rilevante, essendo tale fattore soltanto uno dei diversi elementi da considerare. Tale contesto normativo, di per sé, non impone quindi alla Commissione di tener conto delle dimensioni limitate del mercato dei prodotti (v., per analogia, sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑322/01, Roquette Frères/Commissione, Racc. pag. II‑3137, punto 148).

175    Tuttavia, secondo la giurisprudenza, nel valutare la gravità di un’infrazione la Commissione deve tener conto di un gran numero di fattori, il cui carattere e la cui importanza variano a seconda del tipo di infrazione e delle circostanze particolari della stessa (sentenza Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 155, punto 120). Fra tali elementi che testimoniano la gravità di un’infrazione non si può escludere che possano figurare, a seconda dei casi, le dimensioni del mercato del prodotto interessato.

176    Di conseguenza, se le dimensioni del mercato possono costituire un elemento da prendere in considerazione per accertare la gravità dell’infrazione, la loro importanza varia in funzione del tipo di infrazione e delle circostanze particolari dell’infrazione in questione.

177    Nel caso di specie, l’infrazione sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica è consistita essenzialmente nella fissazione di obiettivi di prezzo per i prodotti di base venduti ai clienti dell’industria automobilistica europea, nello scambio di informazioni sui prezzi applicabili a taluni clienti, nell’accordo sulla fissazione di obiettivi di prezzi minimi per tali clienti e nell’accordo diretto a evitare di farsi concorrenza sul prezzo a vantaggio del fornitore abituale (decisione impugnata, punti 215 e 420). Quanto all’infrazione sul mercato del filo industriale, essa si è esplicata essenzialmente nello scambio di informazioni sensibili sui listini di prezzo e/o sui prezzi imposti ai singoli clienti, nell’intesa sugli aumenti dei prezzi e/o obiettivi di prezzo, nell’evitare di farsi concorrenza sul prezzo a vantaggio del fornitore abituale e nello spartirsi i clienti (decisione impugnata, punti 99-125 e 345).

178    Siffatte pratiche costituiscono restrizioni orizzontali del tipo «cartello di prezzi» ai sensi degli orientamenti e sono quindi «molto gravi» per natura. A tal riguardo, si deve osservare che le ricorrenti non contestano il carattere molto grave dell’infrazione commessa per un periodo di due anni sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE, da un lato, né la natura molto grave di quella commessa per più di dieci anni sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici, dall’altro. In tale contesto, la modesta dimensione dei mercati in questione, ammesso che risulti accertata, riveste un’importanza minore rispetto all’insieme degli altri elementi che attestano la gravità dell’infrazione.

179    In ogni caso, si deve tener conto del fatto che la Commissione ha ritenuto che le infrazioni dovessero essere considerate molto gravi ai sensi degli orientamenti, i quali, per siffatti casi, dispongono che la Commissione possa «prevedere» un importo di partenza che superi EUR 20 milioni. Tuttavia, per quanto attiene all’infrazione sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica, la Commissione ha stabilito un importo di partenza, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, di EUR 5 milioni per le ricorrenti e di EUR 1,3 milioni per le altre imprese (decisione impugnata, punti 432-435). Del pari, relativamente all’infrazione sul mercato del filo industriale, la Commissione ha stabilito un importo di partenza pari a EUR 14 milioni per le imprese appartenenti alla prima categoria (tra cui l’Amann), a EUR 5,2 milioni per quella rientrante nella seconda categoria, a EUR 2,2 milioni per quelle comprese nella terza categoria e a EUR 0,1 milioni per quella compresa nella quarta categoria (decisione impugnata, punto 358).

180    Ne deriva che gli importi di partenza, utilizzati come base per il calcolo delle ammende inflitte alle ricorrenti, corrispondevano a un importo nettamente inferiore a quello che, sulla base degli orientamenti, la Commissione avrebbe potuto «prevedere» per infrazioni molto gravi.

181    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve respingere l’argomento delle ricorrenti relativo al carattere sproporzionato delle ammende inflitte alle ricorrenti, tenuto conto delle dimensioni del mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE, da una parte, e di quelle del mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici, dall’altra.

–       Quanto all’argomento relativo all’esclusiva considerazione del fatturato sui mercati interessati dalle infrazioni

182    Erroneamente le ricorrenti fanno valere una violazione del principio di proporzionalità per l’asserita ragione che la Commissione si sarebbe fondata esclusivamente sul fatturato delle imprese sui mercati interessati per i prodotti in questione al fine di determinare l’importo di partenza delle ammende e che essa non avrebbe tenuto conto delle differenti dimensioni delle imprese interessate.

183    In primo luogo, quanto alla censura mossa alla Commissione di essersi fondata sul fatturato delle imprese interessate sui mercati rilevanti, si deve osservare che, per la determinazione dell’importo di partenza delle ammende, fissato in funzione della gravità dell’infrazione, la Commissione ha ritenuto necessario procedere a un trattamento differenziato delle imprese coinvolte nei cartelli al fine di tener conto dell’effettiva capacità economica delle colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza nonché al fine di fissare l’ammenda ad un livello tale da garantire un sufficiente effetto dissuasivo. Essa ha aggiunto che era necessario tener conto del peso specifico di ciascuna impresa e quindi dell’effettivo impatto sulla concorrenza del comportamento illecito di ciascuna. Ai fini della valutazione di tali elementi, la Commissione ha scelto di basarsi sul fatturato realizzato da ogni impresa sui mercati in questione per i prodotti interessati dalle intese.

184    Di conseguenza, come osservato al precedente punto 179, la Commissione ha suddiviso le imprese interessate in due categorie per quanto attiene all’infrazione sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica. Le ricorrenti, tenuto conto del loro fatturato pari a EUR 8,55 milioni, sono state inserite nella prima categoria. La Oxley, la Coats e la Barbour, tenuto conto del loro fatturato compreso tra EUR 1 e 3 milioni, sono state inserite nella seconda categoria. Per quanto attiene all’infrazione sul mercato del filo industriale, la Commissione ha suddiviso le imprese in quattro categorie. L’Amann e la Coats, tenuto conto del loro fatturato compreso tra EUR 14 e 18 milioni, sono state inserite nella prima categoria. La BST, tenuto conto del suo fatturato compreso tra EUR 5 e 8 milioni, è stata inserita nella seconda categoria. La Gütermann, la Barbour e la Bieze Stork, tenuto conto del loro fatturato compreso tra EUR 2 e 4 milioni, sono state inserite nella terza categoria e la Zwicky, tenuto conto del suo fatturato compreso tra EUR 0 e 1 milione, è stata inserita nella quarta categoria.

185    Alla luce delle suesposte considerazioni, la Commissione ha stabilito un importo di partenza, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, pari a EUR 5 milioni per le ricorrenti relativamente alla prima infrazione (decisione impugnata, punti 432-435) e a EUR 14 milioni per l’Amann relativamente alla seconda infrazione (decisione impugnata, punti 356-358).

186    Occorre osservare, anzitutto, che gli orientamenti non prevedono che l’importo delle ammende sia calcolato in funzione del fatturato complessivo o del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato in questione. Tuttavia, e a condizione che la scelta effettuata dalla Commissione non sia viziata da un errore manifesto di valutazione, gli orientamenti non ostano a che tali fatturati siano presi in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto comunitario e qualora le circostanze lo richiedano (sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181; in prosieguo la «sentenza Tokai I», punto 195). Il fatturato, quindi, può essere preso in considerazione in sede di esame degli elementi di valutazione, che sono la capacità economica effettiva degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e la determinazione dell’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantire un carattere sufficientemente dissuasivo. La Commissione può parimenti prenderlo in considerazione quando valuta il peso specifico e dunque l’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nelle dimensioni delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione (sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑220/00, Cheil Jedang/Commissione, Racc. pag. II‑2473, punto 82).

187    Relativamente alla scelta che la Commissione può effettuare tra l’uno e/o l’altro fatturato, risulta dalla giurisprudenza che, nell’ambito dell’analisi della capacità economica effettiva delle società colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza svolta al fine di fissare l’importo di un’ammenda per infrazione alle regole comunitarie di concorrenza, che implica una valutazione della reale importanza di tali imprese sul mercato interessato, vale a dire del loro influsso su quest’ultimo, il fatturato complessivo fornisce solo una visione incompleta dello stato dei fatti. Non si può escludere, infatti, che un’impresa potente avente una moltitudine di attività differenti sia presente soltanto in modo accessorio su uno specifico mercato di prodotti. Allo stesso modo, non si può escludere che un’impresa con una posizione importante su un mercato geografico extracomunitario disponga soltanto di una debole posizione sul mercato comunitario o su quello del SEE. In tali ipotesi, il semplice fatto che l’impresa in questione realizzi un fatturato complessivo importante non significa necessariamente che essa eserciti un influsso determinante sul mercato di cui trattasi. Tale è il motivo per cui, se è vero che i fatturati di un’impresa realizzati sui mercati rilevanti non possono essere determinanti per concludere che essa fa parte di un gruppo economico potente, detti fatturati sono però rilevanti al fine di determinare l’influsso che l’impresa in questione ha potuto esercitare sul mercato (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 29 novembre 2005, causa T‑52/02, SNCZ/Commissione, Racc. pag. II‑5005, punto 65, e causa T‑62/02, Union Pigments/Commissione, Racc. pag. II‑5057, punto 152).

188    In tal senso, risulta da una giurisprudenza costante che la parte del fatturato corrispondente alle merci oggetto dell’infrazione può fornire una giusta indicazione dell’entità dell’infrazione sul mercato rilevante (sentenze Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 186, punto 91, e 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 196). Infatti, tale fatturato può fornire una giusta indicazione della responsabilità di ciascuna impresa sui detti mercati, dal momento che esso costituisce un elemento obiettivo tale da fornire il giusto metro della nocività della pratica medesima rispetto al normale gioco della concorrenza e rappresenta dunque un valido indicatore della capacità di ciascuna impresa interessata ad arrecare un danno.

189    Alla luce di tali considerazioni, la Commissione non ha violato il principio di proporzionalità privilegiando, al momento della fissazione degli importi di base stabiliti nell’ambito del calcolo delle ammende inflitte alle ricorrenti, i fatturati realizzati sui mercati interessati e per i prodotti di riferimento.

190    In secondo luogo, alla luce di tali considerazioni, non è neppure pertinente la censura rivolta alla Commissione di non aver preso in considerazione, nel fissare l’importo delle ammende, le dimensioni delle imprese interessate determinate dal loro fatturato complessivo.

191    Infatti, si deve ricordare che gli orientamenti prevedono la necessità di prendere in considerazione la capacità economica effettiva degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e di fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantire un carattere sufficientemente dissuasivo (punto 1 A, quarto comma). Gli stessi orientamenti aggiungono che, nei casi che riguardano molte imprese, come i cartelli, può essere opportuno ponderare l’importo di partenza generale in modo da tener conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nelle dimensioni delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazioni, e in modo da adattare conseguentemente tale importo secondo le caratteristiche specifiche di ciascuna impresa (punto 1 A, sesto comma) (sentenza Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 186, punto 81).

192    Inoltre, come osservato al precedente punto 186, gli orientamenti non prevedono che l’importo delle ammende sia calcolato in funzione del fatturato complessivo realizzato dalle imprese interessate, ma non ostano neppure a che un siffatto fatturato sia preso in considerazione ai fini di tale calcolo, nel rispetto delle condizioni di cui allo stesso punto della presente sentenza.

193    Nel caso di specie, come osservato ai precedenti punti 183-189, la scelta della Commissione di fare riferimento al fatturato sui mercati in questione per stabilire la capacità di ciascuna impresa interessata di arrecare un danno era coerente e obiettivamente giustificata. In tal modo la Commissione perseguiva parimenti uno scopo dissuasivo, rendendo nota la propria intenzione di penalizzare in maniera più severa le imprese che avevano partecipato ad un cartello su un mercato su cui esse avevano un peso rilevante.

194    Ne deriva che deve essere parimenti respinto l’argomento relativo al carattere sproporzionato dell’ammenda rispetto ai rispettivi fatturati complessivi delle ricorrenti. Queste ultime, infatti, non possono validamente concludere che sussista una sproporzione nell’importo finale dell’ammenda inflitta, dal momento che l’importo di partenza delle loro ammende è giustificato alla luce dei criteri adottati dalla Commissione per la valutazione dell’importanza di ciascuna delle imprese sul mercato rilevante (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 304, e 5 dicembre 2006, causa T‑303/02, Westfalen Gassen Nederland/Commissione, Racc. pag. II‑4567, punto 185).

–       Sul «sistema di forfetizzazione» previsto dagli orientamenti

195    Le censure mosse dalle ricorrenti nei confronti del «sistema di forfettizzazione» previsto dagli orientamenti non sono pertinenti.

196    Infatti, secondo costante giurisprudenza, per quanto riguarda la determinazione dell’importo delle ammende inflitte ai diversi partecipanti ad un’intesa, il metodo consistente nella ripartizione dei membri dell’intesa stessa in diverse categorie, che comporta una determinazione a forfait dell’importo di partenza stabilito per le imprese appartenenti ad una stessa categoria, ancorché conduca ad ignorare le differenze di dimensioni tra imprese appartenenti ad uno stesso gruppo, non può essere censurato purché siano rispettati i principi di proporzionalità e della parità di trattamento (sentenze del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 385; 15 marzo 2006, causa T‑26/02, Daiichi Pharmaceutical/Commissione, Racc. pag. II‑713, punti 83-85, e 15 marzo 2006, causa T‑15/02, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑497, punto 150). Purché siano rispettati tali principi, non è compito del Tribunale pronunciarsi sull’opportunità di un siffatto sistema, anche nell’ipotesi in cui esso dovesse svantaggiare le imprese di dimensioni inferiori. Il Tribunale, nell’ambito del suo controllo di legittimità sull’esercizio del potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia, deve infatti limitarsi a controllare che la ripartizione dei membri dell’intesa in categorie sia coerente e oggettivamente giustificata, senza sostituire subito la sua valutazione a quella della Commissione (sentenza 15 marzo 2006, BASF/Commissione, cit., punto 157).

–       Sulla mancata considerazione dello status di «media impresa» delle ricorrenti

197    L’argomento secondo il quale la Commissione avrebbe dovuto considerare il fatto che le ricorrenti erano medie imprese è irrilevante.

198    Infatti, si deve ricordare che la Commissione, non essendo tenuta ad effettuare il calcolo dell’ammenda a partire dagli importi stabiliti sulla base del fatturato delle imprese interessate, non è nemmeno tenuta ad assicurare, nel caso in cui siano inflitte ammende a varie imprese coinvolte in una stessa infrazione, che gli importi finali delle ammende a cui è giunto il suo calcolo per le imprese interessate rendano conto di ogni differenza tra le stesse imprese in ordine al loro fatturato complessivo o al loro fatturato realizzato sul mercato del prodotto rilevante (sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑21/99, Dansk Rørindustri/Commissione, Racc. pag. II‑1681, punto 202).

199    A tal riguardo occorre precisare che l’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003 non impone neppure che, qualora vengano inflitte ammende a più imprese implicate in una medesima infrazione, l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa di dimensioni piccole o medie non sia superiore, in termini di percentuale del fatturato, a quello delle ammende inflitte alle imprese più grandi. Infatti, risulta dalla disposizione suddetta che, tanto per le imprese di dimensioni piccole o medie quanto per le imprese di dimensioni superiori, per determinare l’importo dell’ammenda occorre prendere in considerazione la gravità e la durata dell’infrazione. Qualora la Commissione infligga alle imprese implicate in una medesima infrazione ammende giustificate, per ciascuna di esse, in rapporto alla gravità e alla durata dell’infrazione, non può addebitarsi alla detta istituzione il fatto che, per talune di queste imprese, l’importo dell’ammenda sia superiore, in proporzione al fatturato, a quello di altre imprese (v., per analogia, sentenze 20 marzo 2002, Dansk Rørindustri/Commissione, cit. supra al punto 198, punto 203, e Westfalen Gassen Nederland/Commissione, cit. supra al punto 194, punto 174).

200    La Commissione, quindi, non è tenuta a ridurre le ammende qualora le imprese coinvolte siano piccole e medie imprese. La dimensione dell’impresa, infatti, viene già presa in considerazione attraverso il tetto massimo fissato dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003 nonché in virtù delle disposizioni degli orientamenti. A parte tali considerazioni relative alle dimensioni, non vi è alcuna ragione di trattare le piccole e medie imprese diversamente dalle altre imprese. Il fatto che le imprese coinvolte siano piccole e medie imprese non le esonera dal loro dovere di rispettare le regole di concorrenza (v., per analogia, sentenza SNCZ/Commissione, cit. supra al punto 187, punto 84).

201    Alla luce di tutti questi motivi, deve essere parimenti respinto l’argomento relativo all’asserita violazione del principio di parità della sanzione.

 Sulla violazione del principio della parità di trattamento

202    Relativamente all’asserita violazione del principio della parità di trattamento, si deve osservare che la ripartizione per categorie deve rispettare il principio secondo cui è vietato trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. In quest’ottica gli orientamenti prevedono, al punto 1 A, sesto comma, che una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione possa, in particolare, giustificare una diversificazione al fine della valutazione della gravità dell’infrazione.

203    La suddivisione in gruppi potrebbe costituire violazione del principio della parità di trattamento o perché, tra i vari gruppi, vengono trattate in maniera diversa imprese che si trovano in una situazione analoga o perché, in seno ad ogni singolo gruppo, vengono trattate in modo identico imprese che si trovano in situazioni diverse. Nel caso di specie, le ricorrenti denunciano la sussistenza di entrambe le ipotesi: la prima nell’ambito dell’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica, la seconda nell’ambito dell’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici. Occorre quindi esaminare se tali differenze di trattamento tra le imprese sussistano e se siano eventualmente obiettivamente giustificate (v., in tal senso, sentenza CMA CGM e a./Commissione, cit. supra al punto 196, punti 407 e 408).

204    È pacifico che esiste una differenza significativa di dimensioni tra le ricorrenti e la Coats. Dal momento che ad esse è stato applicato, per quanto riguarda l’intesa sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica nel SEE, un importo di partenza diverso in ragione del loro inserimento in due categorie differenti e, per quanto riguarda l’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici, un importo di partenza identico in ragione del loro inserimento nel medesimo gruppo, si deve valutare se la differenza di trattamento possa essere oggettivamente giustificata dalla preminenza attribuita all’importanza rispettiva delle imprese sul mercato in questione (derivante dal fatturato realizzato sul mercato rilevante per il prodotto interessato) rispetto alle dimensioni delle imprese (determinate dal fatturato complessivo).

205    A tale riguardo, il Tribunale ha già avuto modo di dichiarare che era stato coerente e obiettivamente giustificato inquadrare in uno stesso gruppo varie imprese, una delle quali aveva un fatturato complessivo nettamente, se non addirittura «notevolmente», inferiore a quello delle altre imprese, sulla base dei loro fatturati sul mercato interessato e delle loro quote di mercato molto simili, e applicare loro un importo di partenza specifico identico. In quelle circostanze, si è ritenuto che la Commissione non avesse affatto violato il principio della parità di trattamento (v., in tal senso, sentenze Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 186, punti 104-115, e Union Pigments/Commissione, cit. supra al punto 187, punti 155-158).

206    Occorre trarre la medesima conclusione nel caso di specie. Infatti, come precedentemente osservato, per quanto attiene al mercato del filo destinato all’industria automobilistica, le ricorrenti e la Coats sono state inquadrate rispettivamente nella prima e nella seconda categoria sulla base del rilievo che il fatturato realizzato dalle ricorrenti su tale mercato era all’incirca cinque volte maggiore di quello della Coats. Del pari, per quanto attiene al mercato del filo industriale, l’Amann e la Coats sono state inquadrate nella stessa categoria perché i loro fatturati realizzati su tale mercato erano molto simili. È quindi coerente e obiettivamente giustificato aver raggruppato dette imprese su tale base.

207    Ne deriva che la Commissione non ha commesso alcuna violazione del principio della parità di trattamento.

208    Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere respinto il motivo relativo alla violazione dei principi di proporzionalità e della parità di trattamento.

3.     Sul motivo, dedotto dall’Amann, relativo all’erronea fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda inflitta per l’intesa relativa al filo industriale

a)     Argomenti delle parti

209    L’Amann sostiene che la Commissione ha violato gli orientamenti inquadrandola nella stessa categoria della Coats.

210    Infatti, anzitutto, la Commissione avrebbe differenziato le imprese fondandosi esclusivamente sui fatturati realizzati nel 2000 con i prodotti oggetto dell’intesa sul mercato del filo industriale. Orbene, essa avrebbe trascurato il fatto che la Coats aveva acquisito l’insieme delle quote della Barbour a partire dal 1999 e che, pertanto, al suo fatturato si sarebbe dovuto sommare quello della Barbour in sede di differenziazione.

211    Inoltre, dal momento che la Commissione si è limitata a indicare le forcelle di fatturato per tali due imprese (EUR 2-4 milioni per l’una, EUR 14-18 milioni per l’altra), l’Amann non ha ritenuto di essere in grado di determinare l’esatto importo di tali fatturati. Orbene, secondo l’Amann, la Commissione avrebbe dovuto fissare con estrema cura l’importo di partenza dell’ammenda dal momento che, nel complesso, il sistema del calcolo forfettario delle ammende previsto dagli orientamenti non tiene conto delle differenze di dimensioni tra le imprese. L’Amann osserva che il metodo utilizzato per inquadrare le imprese nei diversi gruppi deve essere corretto, coerente e non discriminatorio. La Commissione non avrebbe osservato tali obblighi derivanti dal principio della parità di trattamento. L’Amann ritiene inoltre che, disponendo soltanto delle forbici di fatturati, essa non è in grado di sapere se la Commissione abbia proceduto in modo corretto, coerente e non discriminatorio alla determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda. A tale proposito, essa invoca altresì una violazione dell’art. 253 CE.

212    Infine, la Commissione avrebbe attribuito al fatturato proveniente dalla vendita dei prodotti oggetto dell’infrazione un’importanza sproporzionata rispetto agli altri criteri di valutazione.

213    La Commissione conclude che tale motivo è infondato.

b)     Giudizio del Tribunale

214    In primo luogo, si deve prendere in esame la censura dell’Amann secondo la quale la Commissione non avrebbe proceduto in modo corretto, coerente e non discriminatorio all’inquadramento delle imprese nei diversi gruppi e alla determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda.

215    Occorre respingere anzitutto l’argomento dell’Amann secondo il quale, in sede di differenziazione degli importi di base, la Commissione non avrebbe tenuto conto del fatturato della Barbour, le cui quote erano state acquisite integralmente dalla Coats dal settembre 1999.

216    Infatti, nella sua risposta dell’11 aprile 2005 alla richiesta di informazioni della Commissione, la Coats ha chiarito che, dal settembre 1999, la Barbour non si è occupata della gestione operativa dell’impresa né ha realizzato alcun fatturato. Quindi, il fatturato di EUR 14-18 milioni dell’anno 2000 realizzato dalla Coats sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici comprende al contempo l’attività commerciale della Coats e l’attività della Barbour acquisita dalla Coats nel settembre 1999 e, pertanto, non può essere messo in discussione.

217    Si deve poi ricordare che la Commissione ha reputato necessario procedere ad un trattamento differenziato delle imprese coinvolte nel cartello al fine di tener conto dell’effettiva capacità economica dei colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza nonché di fissare l’ammenda ad un livello che ne garantisca un’adeguata efficacia dissuasiva. Essa ha aggiunto che era necessario tener conto del peso specifico della condotta illecita di ciascuna impresa e quindi del suo effettivo impatto sulla concorrenza (decisione impugnata, punti 354 e 355). Ai fini della valutazione di tali elementi, la Commissione ha scelto di basarsi sul fatturato realizzato da ogni impresa sul mercato del filo industriale relativo all’ultimo anno dell’infrazione, vale a dire il 2000, come risultante dalla tabella contenuta nel punto 356 della decisione impugnata.

218    Di conseguenza, come già esposto al precedente punto 184, essa ha suddiviso le imprese in quattro categorie, ha inquadrato l’Amann e la Coats nella prima categoria e ha stabilito un importo di partenza di EUR 14 milioni per tali due imprese.

219    Al riguardo, nell’ambito del suo controllo di legittimità dell’esercizio del potere discrezionale della Commissione, il Tribunale deve limitarsi a controllare che tale ripartizione sia coerente e obiettivamente giustificata (v. sentenza BASF/Commissione, cit. supra al punto 196, punto 157 e giurisprudenza ivi citata).

220    Occorre al riguardo considerare che una ripartizione delle imprese in quattro categorie è una maniera ragionevole di prendere in considerazione la loro importanza relativa sul mercato al fine di stabilire l’importo di partenza, purché non porti ad una rappresentazione grossolanamente alterata dei mercati in questione. Nella fattispecie il metodo della Commissione, consistente nello stabilire le categorie in funzione dei fatturati realizzati sul mercato in questione per il prodotto interessato, rispettivamente pari a EUR 14-18 milioni, EUR 5-8 milioni, EUR 2-4 milioni e EUR 0-1 milione, non può, a priori, essere considerato privo di coerenza interna.

221    Le censure mosse dall’Amann al metodo utilizzato per la determinazione delle categorie e la fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda per ciascuna di esse sono tanto più infondate in considerazione del fatto che, per quanto attiene alla categoria di inquadramento dell’Amann, l’importo di EUR 14 milioni scelto come importo di partenza per il calcolo dell’ammenda era il meno elevato di tale categoria.

222    A tale riguardo, deve essere respinto l’argomento dell’Amann secondo cui essa non avrebbe dovuto trovarsi nella stessa categoria della Coats per l’asserita ragione che i loro rispettivi fatturati sul mercato del filo industriale presenterebbero una differenza di almeno due milioni di euro e che imprese che presentavano la stessa differenza erano state inquadrate in categorie differenti. Infatti, va osservato che, nella sentenza 14 luglio 2005, causa C‑57/02 P, Acerinox/Commissione (Racc. pag. I‑6689, punti 74-80), alla quale fa giustamente riferimento la Commissione, la Corte ha ammesso nella stessa categoria imprese la cui differenza tra le quote di mercato era più grande di quella esistente nel caso di specie.

223    Infine, sulla base delle considerazioni svolte ai precedenti punti 182-194, si deve respingere l’argomento dell’Amann relativo al fatto che la Commissione avrebbe attribuito un’importanza sproporzionata al fatturato proveniente dalla vendita dei prodotti oggetto dell’infrazione rispetto agli altri criteri di valutazione.

224    Pertanto, la Commissione ha proceduto in maniera corretta, coerente e non discriminatoria all’inquadramento delle imprese nei differenti gruppi e alla determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda.

225    In secondo luogo, l’Amann deduce erroneamente la violazione dell’obbligo di motivazione sulla base del rilievo che essa aveva a disposizione soltanto forbici di fatturati e non poteva pertanto conoscere in che modo la Commissione avesse determinato gli importi di partenza in funzione di detti fatturati.

226    Infatti, da un lato, dalla giurisprudenza risulta che, nella determinazione dell’importo dell’ammenda in caso di infrazione alle regole di concorrenza, le essenziali esigenze di forma cui risponde l’obbligo di motivazione risultano rispettate qualora la Commissione indichi, nella sua decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione (sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑191/98, da T‑212/98 a T‑214/98, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑3275, punto 1521). Tali esigenze non impongono alla Commissione di indicare nella sua decisione i dati in forma numerica relativi al metodo di calcolo delle ammende, fermo restando comunque che la Commissione non può, avvalendosi esclusivamente e meccanicamente di formule aritmetiche, rinunciare a far uso del proprio potere discrezionale. Per quanto riguarda una decisione che infligge ammende a svariate imprese, la portata dell’obbligo di motivazione dev’essere valutata, in particolare, alla luce del fatto che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (sentenza della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punti 464 e 465).

227    Nel caso di specie, si ricava dalle considerazioni sin qui esposte che le condizioni imposte dalla giurisprudenza sono state rispettate, poiché la Commissione aveva affermato di aver valutato la gravità dell’infrazione applicando i criteri degli orientamenti e di aver poi inquadrato le imprese in funzione della loro importanza sul mercato determinata dal loro fatturato realizzato sullo stesso mercato e stabilendo un importo di partenza che tiene conto dell’estensione del mercato geografico in questione.

228    Dall’altro lato, la Commissione ha adempiuto il suo obbligo di motivazione indicando forbici di fatturati sufficientemente strette da permettere all’Amann di determinare in che modo la Commissione avesse fissato gli importi di partenza, pur nel rispetto dei segreti commerciali.

229    Pertanto, alla Commissione non può essere contestata alcuna violazione dell’obbligo di motivazione.

230    Di conseguenza, il motivo relativo all’erronea fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda inflitta per l’intesa relativa al filo industriale deve essere respinto in quanto infondato.

4.     Sul motivo, dedotto dall’Amann, relativo al calcolo erroneo della durata dell’infrazione sul mercato del filo industriale

a)     Argomenti delle parti

231    Secondo l’Amann, il calcolo della durata dell’infrazione è erroneo.

232    In primo luogo, la durata dell’infrazione che essa avrebbe commesso sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici sarebbe stata di undici anni, e non di undici anni e nove mesi. La sua ultima partecipazione all’infrazione risalirebbe alla riunione del 16 gennaio 2001 e non a quella del 18 settembre 2001, come confermerebbe il punto 147 della decisione impugnata. Quindi, l’importo di partenza dell’ammenda avrebbe dovuto subire un aumento massimo del 110% e non del 115%.

233    Inoltre l’Amann sottolinea che, anche qualora la si dovesse ritenere coinvolta negli accordi in questione dopo il 16 gennaio 2001, sulla base dei contatti bilaterali ritenuti sussistenti dalla Commissione, ciò varrebbe solo fino al maggio 2001. L’infrazione sarebbe durata quindi per un periodo massimo di undici anni e quattro mesi.

234    In secondo luogo, invocando a tale riguardo varie decisioni della Commissione, l’Amann sostiene che non si sarebbe dovuto tenere conto del primo anno dell’infrazione nella maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda.

235    In terzo luogo, la Commissione avrebbe dovuto utilizzare il suo potere discrezionale per aumentare, in applicazione del punto 1 B, secondo comma, degli orientamenti, l’importo di partenza applicando ad esso una percentuale molto inferiore al 10% per ogni anno di infrazione, dal momento che, a priori, i prezzi del filo destinato all’industria tessile non sarebbero idonei, o lo sarebbero molto poco, ad arrecare un pregiudizio durevole ai consumatori, dal momento che la quota rappresentata dal costo del filo rappresenterebbe soltanto lo 0,15% dei costi dei prodotti finali.

236    La Commissione contesta la totalità delle censure e, pertanto, chiede che il motivo venga respinto in quanto infondato.

b)     Giudizio del Tribunale

237    Conformemente all’art. 23, n. 3, del regolamento n. 1/2003, la durata dell’infrazione costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione per determinare l’importo dell’ammenda da infliggere alle imprese responsabili di violazioni delle regole di concorrenza.

238    Per quanto riguarda il fattore relativo alla durata dell’infrazione, gli orientamenti distinguono tra le infrazioni di breve durata (in generale per periodi inferiori a un anno), per le quali l’importo di base applicato in considerazione della gravità non dovrebbe essere maggiorato, le infrazioni di media durata (in generale per periodi da uno a cinque anni), per le quali il detto importo può essere maggiorato del 50%, e le infrazioni di lunga durata (in generale per periodi superiori a cinque anni), per le quali l’importo in questione può essere maggiorato del 10% per ciascun anno (punto 1 B, primo comma, primo-terzo trattino).

239    Dal punto 359 della decisione impugnata si ricava che l’Amann ha partecipato all’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici dal gennaio 1990 al settembre 2001, vale a dire per un periodo di infrazione di 11 anni e 9 mesi. Tale periodo corrisponde a un’infrazione di lunga durata. L’importo di partenza della sua ammenda è stato di conseguenza maggiorato del 115% in considerazione della durata dell’infrazione (punto 360 della decisione impugnata).

240    In primo luogo, il fatto che l’Amann non abbia partecipato alla riunione multilaterale del 18 settembre 2001 non basta a dimostrare che essa abbia rinunciato a partecipare all’infrazione dopo il 16 gennaio 2001, data dell’ultima riunione multilaterale a cui essa era presente.

241    Si potrebbe concludere per la cessazione definitiva della partecipazione all’intesa solo se essa avesse pubblicamente preso le distanze dal contenuto dell’intesa nel corso della riunione del 16 gennaio 2001, cosa che essa non ha fatto (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑141/89, Tréfileurope/Commissione, Racc. pag. II‑791, punto 85, e BPB de Eendracht/Commissione, cit. supra al punto 145, punto 203).

242    Inoltre, come menzionato al punto 99 della decisione impugnata, l’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici era organizzata al contempo mediante riunioni multilaterali e bilaterali. Orbene, l’Amann ha effettivamente avuto contatti bilaterali regolari dopo il 16 gennaio 2001. Dal punto 151 della decisione impugnata si ricava, infatti, che l’Amann e la Coats si sono inviate messaggi di posta elettronica al fine di scambiarsi informazioni sui prezzi, circostanza che l’Amann non mette peraltro in discussione.

243    Il fatto che gli ultimi messaggi di posta elettronica siano datati maggio 2001 non permette di ritenere che l’Amann abbia posto fine alla sua partecipazione all’infrazione a partire dal giugno 2001.

244    A tale riguardo si deve osservare che, come ricordato al precedente punto 27, l’intesa si è esplicata nello scambio di informazioni sui prezzi, sulle riduzioni e sui prezzi speciali e in accordi sui futuri listini dei prezzi, sulle riduzioni e sui prezzi speciali nonché in accordi volti a evitare di farsi concorrenza sul prezzo a vantaggio del fornitore abituale e di spartirsi i clienti. Il semplice fatto, ammesso che sia dimostrato, che l’Amann abbia cessato, a seguito di tali messaggi del maggio 2001, di comunicare informazioni agli altri partecipanti all’intesa non dimostra che essa abbia cessato di parteciparvi (v., in tal senso, sentenza 27 settembre 2006, causa T‑329/01, Archer Daniels Midland/Commissione, Racc. pag. II‑3255, punto 252).

245    Ne deriva che la Commissione non ha commesso alcun errore di calcolo applicando una maggiorazione del 5% all’importo di partenza dell’ammenda inflitta all’Amann per la sua partecipazione all’infrazione posteriormente alla riunione multilaterale del 16 gennaio 2001.

246    In secondo luogo, la modalità di calcolo consistente nel non prendere in considerazione il primo anno di infrazione al momento della maggiorazione dell’ammenda in funzione della durata dell’infrazione non possiede le caratteristiche di una prassi costante della Commissione. Nelle più recenti decisioni della Commissione, infatti, detta modalità di calcolo ha smesso di trovare applicazione. Va inoltre constatato, al pari della Commissione, che le decisioni dedotte dall’Amann a sostegno della propria argomentazione riguardano infrazioni di durata media (fino a cinque anni) e quindi non sono affatto rivelatrici di un’asserita prassi decisionale costante della Commissione in caso di infrazioni di lunga durata. Inoltre, nel fissare l’importo delle ammende, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale e non è vincolata dalle proprie precedenti valutazioni (v., in tal senso, sentenza Michelin/Commissione, cit. supra al punto 154, punto 292).

247    Inoltre, dalla sentenza Cheil Jedang/Commissione (cit. supra al punto 186, punto 133), invocata dall’Amann, emerge al contrario che dalle disposizioni del punto 1 B degli orientamenti non risulta affatto che il primo anno di infrazione non debba essere calcolato. Infatti, è disposto unicamente che non si applichino maggiorazioni per le infrazioni di breve durata, in genere inferiori ad un anno. È praticata invece una maggiorazione per le infrazioni più durature, la quale, ad esempio, può raggiungere il 50% qualora la durata dell’infrazione sia compresa tra uno e cinque anni. Il Tribunale ha aggiunto che quest’ultima disposizione non prevede una maggiorazione automatica del 10% annuo per le infrazioni di durata media, ma lascia, a tal riguardo, un margine discrezionale alla Commissione. Del resto, lo stesso vale per il punto 1 B, terzo trattino, degli orientamenti, concernente le infrazioni di lunga durata, il quale prevede soltanto che la maggiorazione possa essere pari al 10% annuo (sentenza Cheil Jedang/Commissione, cit., punti 133 e 134). Nella sentenza Cheil Jedang/Commissione, già citata, la ragione che aveva indotto il Tribunale a concludere che non doveva essere applicato un aumento del 10% è connessa soltanto alle peculiarità del caso di specie, vale a dire che, nella sua decisione, la Commissione aveva applicato, senza alcuna giustificazione, un quantum del 40% nei confronti di talune imprese per un’infrazione protrattasi per cinque anni, mentre aveva adottato una maggiorazione del 30% nei confronti della ricorrente per un’infrazione durata due anni e dieci mesi.

248    In terzo luogo, l’Amann fa valere erroneamente che la Commissione non si sarebbe avvalsa del suo potere discrezionale applicando automaticamente il tasso massimo di maggiorazione del 10% per anno d’infrazione e, quindi, non tenendo conto del fatto che, a priori, i prezzi del filo industriale non sono idonei, o lo sono molto poco, ad arrecare un pregiudizio durevole nei confronti del consumatore.

249    Si deve ricordare che, benché il punto 1 B, primo comma, terzo trattino, degli orientamenti non stabilisca una maggiorazione automatica del 10% annuo per le infrazioni di durata media, esso riconosce al riguardo un potere discrezionale alla Commissione (sentenze del Tribunale 18 giugno 2008, causa T‑410/03, Hoechst/Commissione, Racc. pag. II‑881, punto 396, e BPB/Commissione, cit. supra al punto 89, punto 362).

250    Nel caso di specie, si ricava dal precedente punto 239 che, all’atto dell’aumento dell’importo delle ammende stabilito in funzione della durata dell’infrazione, la Commissione ha rispettato le regole che si era imposta negli orientamenti. Alla luce degli elementi del caso di specie, si deve ritenere che la Commissione abbia correttamente esercitato il potere discrezionale conferitole maggiorando l’ammenda del 10% per ogni anno nel quale si è protratta l’infrazione.

251    Emerge altresì da una costante giurisprudenza che un aumento dell’importo dell’ammenda in funzione della durata non è limitato all’ipotesi in cui sussista un nesso diretto tra la durata e un danno maggiore apportato agli obiettivi comunitari sanciti dalle regole di concorrenza (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punto 106, e Michelin/Commissione, cit. supra al punto 154, punto 278).

252    Nel caso di specie, emerge dai punti 347-351 della decisione impugnata che la Commissione ha esaminato gli effetti pregiudizievoli concreti dell’intesa sul mercato interessato. Essa ha concluso che era difficile misurarli con precisione, ma che l’impatto degli accordi collusori era senza dubbio reale.

253    Alla luce della giurisprudenza e tenendo conto degli elementi del caso di specie, si deve ritenere che la Commissione non sia incorsa in un manifesto errore di valutazione maggiorando l’ammenda del 10% per ogni anno di infrazione.

254    Di conseguenza, il motivo relativo al calcolo erroneo della durata dell’infrazione sul mercato del filo industriale deve essere respinto.

5.     Sul motivo, dedotto dall’Amann, relativo alla mancata considerazione di alcune circostanze attenuanti riguardanti l’infrazione sul mercato del filo industriale

a)     Argomenti delle parti

255    L’Amann invoca il beneficio di una circostanza attenuante in applicazione del punto 3, settimo trattino, degli orientamenti, fondata sulla sua decisione unilaterale di rinunciare all’infrazione di propria iniziativa e precedentemente ai primi interventi della Commissione. Essa sostiene, infatti, di non aver più partecipato ad alcuna riunione dopo quella del 16 gennaio 2001 e di aver posto fine a ogni contatto bilaterale a partire dal mese di marzo 2001. A tal riguardo, essa sottolinea che, non essendosi avvalsa del punto 3, terzo trattino, degli orientamenti, la giurisprudenza secondo la quale sono gli interventi della Commissione a dover indurre le imprese di cui trattasi a porre fine ai loro comportamenti anticoncorrenziali non osta al riconoscimento di una circostanza attenuante. In questo modo, l’Amann ritiene di essersi esposta al rischio di sanzioni da parte dei suoi concorrenti, in particolare della Coats. Lungi dall’essere teorico, tale rischio di ritorsioni sarebbe del resto dimostrato dai messaggi di posta elettronica scambiati con il rappresentante della Coats, come sarebbe stato confermato dalla BST nel corso dell’udienza del 19 e 20 luglio 2004. La Commissione si sarebbe peraltro astenuta dall’esame di tali dichiarazioni, violando in questo modo l’obbligo di chiarimento dei fatti ad essa imposto.

256    Peraltro, facendo valere che la cessazione dell’infrazione sarebbe stata già presa in considerazione al momento della valutazione della durata, la Commissione non considererebbe il fatto che la durata oggettiva di un’infrazione deve essere tenuta distinta dall’aspetto soggettivo della fine della stessa. La considerazione di un comportamento quale circostanza attenuante non dovrebbe essere esclusa per la ragione che lo stesso ha effetti positivi per l’impresa sotto il profilo della durata dell’infrazione.

257    La Commissione contesta tali argomenti.

b)     Giudizio del Tribunale

258    Va ricordato, anzitutto, che gli orientamenti prevedono, al punto 3, la riduzione dell’importo di base per «circostanze attenuanti» quali il ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione, la non applicazione di fatto degli accordi collusori, l’aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione e altre circostanze non espressamente menzionate.

259    Occorre parimenti constatare che tale testo non elenca in modo imperativo le circostanze attenuanti che la Commissione sarebbe tenuta a prendere in considerazione. Di conseguenza, la Commissione conserva un certo potere discrezionale per valutare in maniera globale l’entità di un’eventuale riduzione dell’importo delle ammende a titolo di circostanze attenuanti (sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑50/00, Dalmine/Commissione, Racc. pag. II‑2395, punto 326). Quindi, la Commissione non può affatto essere obbligata ad accordare, nell’ambito del suo potere discrezionale, una riduzione dell’ammenda per la cessazione di un’infrazione manifesta, indipendentemente se tale cessazione abbia avuto luogo prima o dopo i suoi interventi (sentenza Tokai II, cit. supra al punto 93, punto 292).

260    Si deve inoltre sottolineare che, secondo una costante giurisprudenza, l’aver posto fine alle infrazioni alle regole di concorrenza dai primi interventi della Commissione, come previsto dal terzo trattino del punto 3 degli orientamenti, può logicamente costituire una circostanza attenuante solo se esistono motivi per supporre che le imprese di cui trattasi siano state indotte a porre fine ai loro comportamenti anticoncorrenziali dagli interventi in questione. Infatti, appare chiaro che tale disposizione mira a indurre le imprese a cessare immediatamente i loro comportamenti anticoncorrenziali quando la Commissione avvia un’indagine nei loro confronti. Una riduzione di ammenda a tale titolo non può essere applicata nel caso in cui una decisione definitiva di porre fine all’infrazione sia già stata adottata da tali imprese anteriormente ai primi interventi della Commissione ovvero nel caso in cui l’infrazione sia già terminata prima di tale data. Quest’ultima ipotesi viene sufficientemente presa in considerazione nell’ambito del calcolo della durata del periodo di infrazione assunto a carico (v., in tal senso, sentenza della Corte 25 gennaio 2007, causa C‑407/04 P, Dalmine/Commissione, Racc. pag. I‑829, punto 158; sentenze del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑44/00, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑2223, punti 280 e 281, e 12 dicembre 2006, BASF/Commissione, cit. supra al punto 91, punto 128).

261    Peraltro, va osservato che l’Amann fonda il suo diritto a beneficiare di circostanze attenuanti sul fatto di avere deciso unilateralmente, subito dopo la riunione del 16 gennaio 2001, di non partecipare più ad altre riunioni e di porre fine a ogni contatto bilaterale. Orbene, come constatato supra al punto 240 e segg., dopo tale riunione multilaterale l’Amann ha continuato a partecipare a riunioni bilaterali.

262    Per gli stessi motivi, deve essere parimenti respinto l’argomento dell’Amann secondo cui la Coats avrebbe svolto il ruolo di capofila nell’intesa e avrebbe formulato minacce nei suoi confronti a seguito della decisione di non partecipare più all’infrazione. A tal riguardo, l’argomento della ricorrente relativo alla violazione dell’obbligo di chiarimento dei fatti imposto alla Commissione è inconferente. Infatti, come risulta dal precedente punto 261, è inesatto il presupposto di partenza della ricorrente secondo cui essa avrebbe posto fine alla partecipazione all’infrazione dopo la riunione del 16 gennaio 2001. Essa non può pertanto validamente affermare che la cessazione dell’infrazione dopo tale riunione abbia comportato la sua esposizione a ritorsioni da parte della Coats e, pertanto, non può invocare una qualsivoglia violazione dell’obbligo di chiarimento dei fatti a tal riguardo.

263    Infine, anche supponendo che l’Amann abbia posto fine prima all’infrazione, dalla giurisprudenza citata risulta che la Commissione conserva un certo potere discrezionale per valutare in maniera globale l’importanza di un’eventuale riduzione dell’importo delle ammende a titolo di circostanze attenuanti e non può affatto essere obbligata ad accordare una siffatta riduzione dell’ammenda per la cessazione di un’infrazione manifesta prima dei suoi interventi.

264    Pertanto il presente motivo deve essere respinto.

6.     Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti, relativo all’erroneo calcolo dell’importo di partenza e dell’importo di base dell’ammenda inflitta per l’infrazione sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica

a)     Argomenti delle parti

265    In primo luogo, le ricorrenti denunciano una fissazione arbitraria dell’importo di partenza dell’ammenda inflitta per l’infrazione sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica. Infatti, la decisione impugnata non consentirebbe di conoscere i criteri con cui la Commissione ha calcolato detto importo né su quale base essa ha stabilito le categorie. Infatti, gli importi di partenza (EUR 5 milioni per le ricorrenti e EUR 1,3 milioni per le altre imprese coinvolte) non corrisponderebbero precisamente ai differenti fatturati realizzati con il prodotto oggetto dell’intesa.

266    La Commissione non avrebbe poi spiegato il motivo per il quale, diversamente rispetto alla Coats e alla Barbour, essa considerava le ricorrenti come un’unità di imprese. A tal proposito, le asserzioni della Commissione circa l’esercizio di una forte influenza dell’Amann sulla Cousin prima dell’acquisizione della maggioranza delle quote di quest’ultima non sarebbero convincenti. Secondo le ricorrenti, la posizione della Coats e della Barbour avrebbe dovuto essere valutata allo stesso modo di quella delle ricorrenti. Le informazioni fornite dalla Oxley nella risposta alla comunicazione degli addebiti sarebbero altresì dirette a dimostrare che la Commissione avrebbe sottovalutato l’importanza della «Coats/Barbour». Orbene, le ricorrenti sostengono che non è escluso che, se la Commissione avesse correttamente inquadrato tali imprese, essa avrebbe ottenuto un altro importo di partenza. Alla luce di tali osservazioni, la decisione impugnata non sarebbe motivata.

267    La risposta della Commissione confermerebbe il suo errore di logica, poiché la partecipazione della Barbour è stata presa in considerazione solo fino all’acquisizione da parte della Coats nel settembre 1999 e, in seguito a detta acquisizione, essa ha considerato soltanto il fatturato della Coats, mentre avrebbe dovuto imputare alla Coats anche il fatturato realizzato dalla Barbour nel 1999. L’importo di tale fatturato sarebbe stato pari a circa EUR 6 milioni. Pertanto, le ricorrenti criticano il fatto che l’importo di partenza che è stato loro applicato fosse pari a EUR 5 milioni (la somma dei loro fatturati ammontava a EUR 8,55 milioni), mentre l’importo di partenza applicato alla Coats era di soli EUR 1,3 milioni (il suo fatturato si aggirava intorno a EUR 6 milioni). Esse denunciano altresì il fatto che l’inquadramento effettuato dalla Commissione abbia portato a prendere in considerazione i loro fatturati complessivi per l’intero periodo, mentre quello della Barbour non è stato più considerato nell’ambito della fissazione dell’importo dell’ammenda, a partire dalla sua acquisizione da parte della Coats.

268    In secondo luogo, il calcolo dell’importo di base in funzione della durata dell’infrazione, dal maggio/giugno 1998 al 15 maggio 2000, vale a dire un anno e undici mesi, e il conseguente aumento dell’importo di partenza dell’ammenda del 15% sarebbero erronei.

269    Secondo le ricorrenti, mancano le prove dello svolgimento di una riunione nel maggio/giugno 1998 e di una loro partecipazione ad essa. Esse osservano che l’unica prova sulla quale la Commissione si fonda è rappresentata dalla risposta della Coats alla richiesta di informazioni. Orbene, tale risposta della Coats poggerebbe solo su una nota di un ex collaboratore. Lo svolgimento di tale riunione sarebbe quindi sostenuto soltanto sulla base di «voci» e l’autenticità della nota farebbe sorgere dubbi che la Commissione avrebbe dovuto sciogliere effettuando verifiche. Secondo le ricorrenti, la prima riunione è avvenuta soltanto nel giugno 1999. La Oxley non sarebbe stata in grado di fornire alcuna indicazione in merito a tale riunione e la Coats non sarebbe stata in grado di fornire spiegazioni precise relative alla sua partecipazione. Tenuto conto delle incertezze esistenti in merito a tale riunione, le ricorrenti contestano inoltre alla Commissione di non aver affatto tentato di far luce sul luogo in cui si sarebbe svolta tale riunione. Esse ritengono dunque che il calcolo dell’importo di base dell’ammenda si sarebbe dovuto fare soltanto a partire dal 15 aprile 1999.

270    La Commissione contesta tale motivo.

b)     Giudizio del Tribunale

271    In primo luogo, si deve esaminare l’argomento relativo alla fissazione arbitraria dell’importo di partenza dell’ammenda.

272    A tal proposito, si deve rilevare che gli orientamenti prevedono, in primo luogo, la valutazione della gravità dell’infrazione in quanto tale, sulla base della quale può essere fissato un «importo di partenza generale». La gravità dell’infrazione è quindi determinata sulla scorta di elementi oggettivi quali la natura dell’infrazione, il suo impatto concreto sul mercato se lo stesso è misurabile e l’estensione del mercato geografico rilevante. In secondo luogo, la gravità dell’infrazione è analizzata sulla base di vari elementi soggettivi. Sono prese in considerazione, quindi, le caratteristiche dell’impresa interessata, in particolare le sue dimensioni e la sua posizione sul mercato rilevante, il che può comportare la ponderazione dell’importo di partenza, la classificazione delle imprese in categorie e la fissazione di un «importo di partenza specifico». Ai fini della determinazione dell’importo di base si tiene conto, in terzo luogo, della durata dell’infrazione così come, in quarto luogo, delle circostanze aggravanti e attenuanti che consentono di valutare in particolare la gravità relativa della partecipazione all’infrazione di ciascuna impresa interessata.

273    Per quanto riguarda, più in dettaglio, gli elementi soggettivi valutati nella fissazione dell’importo di partenza, gli orientamenti prevedono la necessità di prendere in considerazione l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori, e di fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo (punto 1 A, quarto comma).

274    Secondo gli stessi orientamenti, nei casi che coinvolgono più imprese, tipo i cartelli, può essere opportuno ponderare l’importo di partenza generale, in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione, ed adattare conseguentemente l’importo di partenza generale secondo le caratteristiche specifiche di ciascuna impresa (punto 1 A, sesto comma) (sentenza Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 186, punto 81).

275    Occorre rilevare che gli orientamenti non prevedono che l’importo delle ammende sia calcolato in funzione del fatturato complessivo o del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato in questione. Tuttavia, essi non ostano neppure a che tali fatturati siano presi in considerazione per la determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto dell’Unione e qualora le circostanze lo richiedano. Il fatturato può essere preso in considerazione al momento della valutazione dei diversi elementi elencati precedentemente ai punti 269 e 270 (sentenze Cheil Jedang/Commissione, cit. supra al punto 186, punto 82, e Tokai I, cit. supra al punto 186, punto 195).

276    Nel caso di specie, si ricava dai punti 418 e segg. della decisione impugnata che la Commissione ha osservato le disposizioni degli orientamenti. Essa ha infatti considerato la natura dell’infrazione, il suo impatto concreto sul mercato nonché l’estensione del mercato geografico rilevante. Alla luce di tali elementi, essa ha definito l’infrazione come molto grave pur precisando, al punto 428 della decisione impugnata, che nel fissare l’importo dell’ammenda essa avrebbe tenuto conto delle piccole dimensioni del mercato interessato.

277    Successivamente, come nell’ambito dell’intesa sul mercato del filo industriale nel Benelux e nei paesi nordici, essa ha reputato necessario procedere ad un trattamento differenziato delle imprese coinvolte nel cartello del filo destinato all’industria automobilistica al fine di tener conto dell’effettiva capacità economica dei colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza nonché di fissare l’ammenda ad un livello che ne garantisca una sufficiente efficacia deterrente. Essa ha aggiunto che era necessario tener conto del peso specifico del comportamento illecito di ogni impresa e quindi dell’effettivo impatto sulla concorrenza. Ai fini della valutazione di tali elementi, la Commissione ha scelto di basarsi sul fatturato realizzato sul mercato rilevante per il prodotto interessato dall’intesa (decisione impugnata, punti 430-432).

278    Di conseguenza, essa ha suddiviso le imprese in due categorie. L’Amann e la Cousin, tenuto conto della somma del fatturato pari a EUR 8,55 milioni, sono state inquadrate nella prima categoria. La Coats, l’Oxley e la Barbour, tenuto conto del loro fatturato stimato tra EUR 1 e 3 milioni, sono state inquadrate nella seconda categoria. La Commissione ha considerato un importo di partenza, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, di EUR 5 milioni per l’Amann e la Cousin e di EUR 1,3 milioni per la Coats, l’Oxley e la Barbour (decisione impugnata, punti 432-435).

279    Come sottolineato ai precedenti punti 216-221, il Tribunale, nell’ambito del suo controllo di legittimità dell’esercizio del potere discrezionale della Commissione, deve limitarsi a controllare che tale ripartizione sia coerente e obiettivamente giustificata (v. sentenza BASF/Commissione, cit. supra al punto 196, punto 157 e giurisprudenza ivi citata).

280    A tale proposito, si deve considerare che una ripartizione delle imprese in due categorie è una maniera ragionevole di prendere in considerazione la loro importanza relativa sul mercato al fine di stabilire l’importo di partenza, purché non porti ad una rappresentazione grossolanamente alterata del mercato in questione. Nel caso di specie, il metodo della Commissione consistente nello stabilire categorie in funzione dei fatturati realizzati sul mercato in questione per il prodotto interessato non può, a priori, essere considerato privo di coerenza interna.

281    In ordine alla determinazione in quanto tale dell’importo di partenza, si deve considerare che la scelta dell’importo di EUR 5 milioni per le imprese rientranti nella prima categoria non può essere definita arbitraria e non oltrepassa i limiti dell’ampio potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia. Tale cifra, infatti, è stata determinata sulla base delle categorie che, a loro volta, sono state validamente stabilite, come constatato ai precedenti punti 277 e 278. Inoltre, la cifra di EUR 5 milioni scelta come importo di partenza è inferiore al fatturato della ricorrente assunto come riferimento per la prima categoria.

282    Alla luce di tali considerazioni, le ricorrenti affermano erroneamente che la Commissione ha stabilito le due categorie e ha calcolato l’importo di partenza dell’ammenda in modo arbitrario.

283    È inoltre irrilevante la censura mossa alla Commissione di non aver considerato la Coats e la Barbour come un’«unità di imprese» e di non avere, pertanto, addizionato i loro fatturati. Infatti, dalla decisione impugnata (punti 40 e 67) si ricava che la Coats ha acquisito la Barbour soltanto nel settembre 1999. Quest’ultima costituiva quindi un’impresa avente autonoma personalità giuridica e, in quanto tale, poteva essere considerata personalmente responsabile dell’infrazione commessa per il periodo compreso tra maggio/giugno 1998 e settembre 1999. Quanto alla Coats, dalla decisione impugnata emerge che essa ha partecipato all’infrazione dall’8 giugno 1999 al 15 maggio 2000 e, pertanto, che essa poteva essere considerata personalmente responsabile dei suoi comportamenti configuranti infrazione.

284    Quindi, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, non occorreva sommare i fatturati della Coats e della Barbour e inquadrare queste ultime nella prima categoria.

285    Va osservato, tuttavia, che la Commissione ha tenuto conto del fatturato della Coats relativo al solo anno 1999. Orbene, sarebbe corretto aggiungere a tale fatturato la quota di quello della Barbour per i mesi da ottobre a dicembre 1999, vale a dire i 3/12 del fatturato annuale della Barbour. Il fatturato della Coats, quindi, avrebbe dovuto subire un aumento compreso tra EUR 250 000 e 750 000. Tuttavia, tale errore di calcolo non mette affatto in discussione l’inquadramento delle ricorrenti nella prima categoria, né l’importo di partenza che era stato loro applicato. Infatti, le ricorrenti non smentiscono la constatazione effettuata dalla Commissione ai punti 323 e 433 della decisione impugnata, secondo la quale esse dovevano essere considerate come un’«unità di imprese» e, in quanto tali, la Commissione ha sommato, giustamente, i loro rispettivi fatturati.

286    Deve infine essere respinto l’argomento relativo a una violazione dell’art. 253 CE sulla base del rilievo che, da un lato, la Commissione non avrebbe spiegato il motivo per il quale, diversamente rispetto alla Coats e alla Barbour, essa considerava le ricorrenti come un’«unità di imprese» e, dall’altro, la determinazione e il calcolo dell’importo di partenza sarebbero incomprensibili.

287    Infatti, da un lato, la Commissione ha indicato chiaramente ai punti 323 e 433 della decisione impugnata le ragioni per le quali le ricorrenti dovevano essere considerate come un’«unità di imprese». Dall’altro, come osservato al precedente punto 226, l’obbligo di motivazione non impone alla Commissione di indicare nella sua decisione i dati relativi alla modalità di calcolo delle ammende, fermo restando comunque che la Commissione non può, avvalendosi esclusivamente e meccanicamente di formule aritmetiche, rinunciare ad esercitare il proprio potere discrezionale.

288    Nella fattispecie, come si ricava dai precedenti punti 276-278, la Commissione ha perfettamente adempiuto il suo obbligo di motivazione indicando, ai punti 418 e segg. della decisione impugnata, gli elementi di valutazione che le hanno permesso di misurare la gravità dell’infrazione.

289    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento relativo ad un’erronea fissazione dell’importo di base dell’ammenda, in ragione di un’erronea determinazione della durata dell’infrazione, dagli atti del fascicolo si ricava che la prima riunione relativa al mercato del filo destinato all’industria automobilistica non si è svolta nel giugno 1999 come sostenuto dalle ricorrenti, bensì nel maggio/giugno 1998.

290    Nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, l’Amann menziona espressamente l’esistenza di tale riunione e afferma che essa ha permesso ai partecipanti di stabilire un primo contatto tra di loro, di scambiarsi informazioni su alcuni prezzi e di manifestare la loro intenzione di fissare i prezzi per un periodo che non sarebbe stato superiore a sei mesi.

291    Si deve pertanto ritenere che tale argomento sia privo di fondamento in fatto.

292    Inoltre, l’addebito mosso alla Commissione di non aver potuto determinare con certezza se la riunione si fosse tenuta in maggio o in giugno è irrilevante dal momento che il calcolo della durata dell’infrazione è stato effettuato a partire dal mese di giugno, il quale rappresenta un punto di partenza più favorevole alle ricorrenti.

293    Alla luce di tali considerazioni, il motivo relativo al calcolo erroneo dell’importo di partenza e dell’importo di base dell’ammenda deve essere respinto.

7.     Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti, relativo all’asserita omessa considerazione della mancata attuazione dell’intesa riguardante il filo destinato all’industria automobilistica

a)     Argomenti delle parti

294    Le ricorrenti sostengono che le constatazioni della Commissione relative all’impatto dell’infrazione sul mercato sono erronee. Infatti, la decisione impugnata non avrebbe accertato l’effettiva attuazione degli accordi conclusi nell’ambito dell’intesa riguardante il filo destinato all’industria automobilistica. I documenti sui quali la Commissione fonda le proprie affermazioni relative all’effettiva attuazione dell’intesa sarebbero invocati solamente come prove dell’esistenza di riunioni tra i partecipanti. La stessa Commissione ammetterebbe, al punto 427 della decisione impugnata, di aver incontrato difficoltà nell’accertamento dell’attuazione dell’intesa.

295    In particolare, la Commissione affermerebbe erroneamente che la Cousin avrebbe imposto aumenti di prezzo al suo cliente, la Johnson Controls. Le ricorrenti hanno sottolineato che tale aumento corrispondeva alla loro politica individuale dei prezzi e non era connessa agli accordi. A tal riguardo, alle ricorrenti non è stato accordato il diritto ad essere sentite su tale punto, dedotto per la prima volta nella decisione impugnata, e ritengono pertanto che esso non possa essere utilizzato quale prova dell’attuazione dell’intesa.

296    Le ricorrenti invocano l’obbligo che incombe alla Commissione di tener conto, in sede di valutazione della gravità dell’infrazione, di tutti gli elementi che possono essere determinanti ai fini dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato. A tal riguardo, la Commissione avrebbe ritenuto sussistente una circostanza attenuante che mitigava la pena anche in controversie nelle quali gli accordi sarebbero stati attuati soltanto in parte. Essendo ancora più rilevante, nel caso di specie, la mancata attuazione, le ricorrenti ritengono che la Commissione avrebbe dovuto prenderla in considerazione conformemente alla sua prassi decisionale e, pertanto, avrebbe dovuto accordare loro il beneficio di una circostanza attenuante in forza del punto 3, secondo trattino, degli orientamenti, ovvero avrebbe dovuto tenerne conto nell’ambito della determinazione della gravità dell’infrazione.

297    La Commissione contesta tale motivo.

b)     Giudizio del Tribunale

298    In limine, si deve osservare che dal punto 233 della decisione impugnata emerge che, nel corso della riunione del 9 luglio 1999, la Cousin ha affermato che essa avrebbe tentato di aumentare i prezzi applicati al suo cliente, la Johnson Controls. Dalle osservazioni della Barbour risulta altresì che un rappresentante della Cousin ha telefonato a un rappresentante della Barbour per confermargli che l’aumento era stato realizzato. Infine, occorre constatare che la Cousin conferma di aver aumentato i suoi prezzi, ma sostiene che tale aumento non è affatto scaturito da un accordo.

299    In primo luogo, le ricorrenti affermano erroneamente che il riferimento all’aumento dei prezzi applicati alla Johnson Controls non è stato mai richiamato nella comunicazione degli addebiti e che, pertanto, esse non hanno avuto l’occasione di replicare allo stesso. Un siffatto argomento risulta privo di fondamento in fatto dal momento che la Commissione vi aveva fatto esplicito riferimento ai punti 192 e 201 della comunicazione degli addebiti.

300    In secondo luogo, la Commissione ha giustamente constatato un’attuazione dell’accordo fondandosi sul citato aumento dei prezzi nei confronti della Jonhson Controls. Infatti, le dichiarazioni della Cousin durante la riunione del 9 luglio 1999 relative alla sua intenzione di aumentare i prezzi nei confronti della Johnson Controls, la conversazione telefonica tra quest’ultima e la Barbour che annuncia la concretizzazione di tale intenzione e la conferma da parte della Cousin di tale aumento nell’ambito del procedimento amministrativo costituiscono, a tal riguardo, una sufficiente serie di indizi. Spetterebbe dunque alle ricorrenti dimostrare che l’aumento dei prezzi non rappresentava affatto l’applicazione di un accordo, ciò che esse hanno omesso di fare limitandosi a invocare la loro «politica individuale in materia di prezzi».

301    In terzo luogo, relativamente agli effetti dell’infrazione, al punto 427 della decisione impugnata la Commissione ha osservato che gli accordi collusivi erano stati attuati e avevano avuto un impatto sul mercato di riferimento nonché per il prodotto interessato «anche se è difficile misurare con precisione tale impatto». Si deve ricordare che, in materia di concorrenza, l’onere della prova dell’esistenza di effetti di un’infrazione sul mercato, che incombe alla Commissione quando ne tiene conto nell’ambito del calcolo dell’ammenda in rapporto alla gravità dell’infrazione, è meno pesante di quello su essa gravante quando deve dimostrare l’esistenza in quanto tale di un’infrazione nel caso di un’intesa. In effetti, per tener conto dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato è sufficiente che la Commissione fornisca «valide ragioni per tenerne conto» (sentenza Jungbunzlauer/Commissione, cit. supra al punto 171, punto 161). L’aumento dei prezzi nei confronti della Johnson Controls rappresenta quindi, di per sé, un’ottima ragione per tener conto dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato.

302    In quarto luogo, dalle considerazioni sin qui esposte risulta che le ricorrenti non possono affatto rivendicare il beneficio della circostanza attenuante vertente sulla non applicazione effettiva degli accordi.

303    Ne consegue che il motivo deve essere respinto.

8.     Sul motivo relativo alla violazione del diritto ad essere sentiti e dei diritti della difesa

a)     Argomenti delle parti

304    Due censure sono dedotte a sostegno di tale motivo. La prima censura è relativa alla violazione del diritto ad essere sentiti, la seconda censura è relativa alla violazione dei diritti della difesa.

305    In primo luogo, l’Amann ritiene che il suo diritto ad esser sentita, sancito dall’art. 27, n. 1, del regolamento n. 1/2003, sia stato violato. Infatti, la Commissione avrebbe fondato sui documenti citati al punto 116 della decisione impugnata una parte importante della sua decisione riguardante talune riduzioni. Orbene, in tale contesto, nella comunicazione degli addebiti tali documenti e le conclusioni tratte dalla Commissione non sarebbero stati portati a conoscenza dell’Amann. Tali documenti non potrebbero dunque essere utilizzati come prove di una violazione dell’art. 81 CE e dell’art. 53 SEE. L’Amann afferma, infatti, che la semplice presenza di tali documenti nel fascicolo della Commissione e la possibilità di consultarli nell’ambito dell’accesso al fascicolo non possono essere sufficienti a garantire il rispetto del diritto ad essere sentiti.

306    La Commissione avrebbe parimenti violato il suo diritto ad essere sentita basandosi su addebiti in merito ai quali essa non avrebbe avuto l’occasione di presentare le sue osservazioni. Infatti, la decisione impugnata farebbe riferimento a una discussione vertente sulla diminuzione delle riduzioni in Svezia, il 19 settembre 2000, per fondare l’addebito di uno scambio di informazioni sulle riduzioni e di un accordo per diminuirle. Orbene, la comunicazione degli addebiti non conterrebbe alcuna indicazione in merito ad accordi siffatti riguardanti la Svezia, ma evocherebbe piuttosto accordi simili per la Finlandia. L’Amann constata che la stessa Commissione ha ammesso, al punto 116 della decisione impugnata, di aver menzionato per errore la Finlandia anziché la Svezia nella comunicazione degli addebiti. Essa ritiene quindi di non essere stata sentita su tale punto. La Commissione affermerebbe erroneamente che l’Amann avrebbe potuto dedurre dal documento citato nella comunicazione degli addebiti che si trattava di un addebito riguardante la Svezia. Il documento in questione, vale a dire un messaggio di posta elettronica del 10 ottobre 2000, infatti, sarebbe stato menzionato in un contesto diverso da quello degli accordi riguardanti le riduzioni. Inoltre, il contenuto del documento non avrebbe affatto consentito di constatare l’esistenza di un accordo concreto riguardante le riduzioni. L’Amann fa valere che, secondo la giurisprudenza, ciò che più importa non sono i documenti in quanto tali, ma le conclusioni che la Commissione intende trarne. Tale giurisprudenza troverebbe applicazione nella fattispecie nonostante la decisione impugnata abbia menzionato l’esistenza del succitato messaggio di posta elettronica, dal momento che tale riferimento sarebbe stato fatto in un altro contesto.

307    Inoltre, la Commissione cadrebbe in contraddizione laddove sostiene che essa intendeva in realtà fare riferimento alla Svezia e non alla Finlandia, pur adducendo del resto l’esistenza di accordi nei due paesi.

308    In secondo luogo, secondo le ricorrenti, la Commissione ha violato i loro diritti della difesa nel richiedere da loro risposte a questioni relative a contatti intrattenuti con concorrenti contenute nelle richieste di informazioni del 6 e 24 marzo 2003, senza precisare che esse venivano interrogate nella veste di «accusate». Esse fanno valere che, secondo la giurisprudenza, non si potrebbe pretendere dalle ricorrenti che esse forniscano dettagli sui temi discussi e sulle decisioni adottate nel contesto dei contatti intrattenuti con i concorrenti e, a fortiori, non si potrebbero chiedere alle imprese, oltre a una descrizione pura e semplice dei fatti e alla produzione di documenti esistenti, informazioni riguardanti l’oggetto, lo svolgimento e i risultati di contatti con i concorrenti qualora la Commissione sospetti manifestamente che tali incontri abbiano lo scopo di limitare la concorrenza. Orbene, le ricorrenti ritengono che ciò sia avvenuto nel caso di specie, fondandosi a tal riguardo sul punto 4.1 delle citate richieste di informazioni.

309    Dal momento che le ricorrenti hanno risposto in modo circostanziato a tutti i quesiti della Commissione, nonostante l’esistenza di un diritto di rifiuto, esse invocano il beneficio di una riduzione superiore a quella del 15% applicata alle loro ammende, in applicazione del punto D 2 della comunicazione sulla cooperazione. Esse ritengono quindi di aver oltrepassato il limite di ciò che la Commissione poteva esigere.

310    Esse ritengono altresì insufficiente la citata riduzione del 15%, rispetto a quella del 50% concessa alla Coats. Infatti, secondo loro, la Commissione avrebbe dovuto tenere conto del fatto che, in sede di verifica, essa aveva già trovato documenti importanti che le permettevano di constatare senza difficoltà l’esistenza di un’infrazione nei settori interessati. Inoltre, la Coats avrebbe avuto una posizione di favore rispetto a quella dei suoi concorrenti poiché essa era già informata dell’imminenza di un procedimento di modo che era scontata la presentazione di un’istanza di trattamento favorevole. Per di più, la Coats avrebbe svolto il ruolo di capofila, come confermerebbero varie imprese coinvolte. Alla luce di tali elementi, le ricorrenti ritengono che esse avrebbero dovuto beneficiare dello stesso trattamento riservato alla Coats.

311    La Commissione contesta tale motivo.

b)     Giudizio del Tribunale

 Sull’asserita violazione del diritto ad essere sentiti

312    Secondo una giurisprudenza consolidata, la comunicazione degli addebiti deve contenere una descrizione degli addebiti redatta in termini sufficientemente chiari, anche se sommari, da consentire agli interessati di prendere effettivamente atto dei comportamenti che la Commissione imputa a loro carico e di provvedere utilmente alla propria difesa prima che la Commissione adotti una decisione definitiva. Tale esigenza è rispettata quando la decisione non pone a carico degli interessati infrazioni diverse da quelle contemplate nella comunicazione degli addebiti e prende in considerazione soltanto i fatti sui quali gli interessati hanno avuto modo di manifestare il proprio punto di vista (sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑352/94, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. II‑1989, punto 63; CMA CGM e a./Commissione, cit. supra al punto 196, punto 109, e Tokai II, cit. supra al punto 93, punto 138).

313    Quindi, i diritti della difesa sono violati dall’esistenza di una discordanza tra la comunicazione degli addebiti e la decisione finale unicamente a condizione che un addebito figurante in quest’ultima non sia stato esposto nella comunicazione degli addebiti in modo sufficiente per consentire ai destinatari di difendersi (sentenza del Tribunale 8 luglio 2004, causa T‑48/00, Corus UK/Commissione, Racc. pag. II‑2325, punto 100).

314    Parimenti, deriva dalla giurisprudenza che ciò che più importa non sono i documenti in quanto tali, ma le conclusioni che la Commissione ne abbia tratto. E’ importante inoltre che, se i documenti non sono stati menzionati nella comunicazione degli addebiti, l’impresa interessata abbia potuto a giusto titolo ritenere che essi non rivestissero alcuna importanza ai fini della decisione della controversia. Omettendo di informare un’impresa che taluni documenti verranno usati per la decisione, la Commissione impedisce all’interessata di manifestare tempestivamente il proprio punto di vista sul valore probante dei documenti in causa. Ne consegue che tali documenti non possono essere considerati validi mezzi di prova per quanto la riguarda (v., in tal senso, sentenze della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG-Telefunken/Commissione, Racc. pag. 3151, punto 27, e 3 luglio 1991, causa C‑62/86, AKZO/Commissione, Racc. pag. I‑3359, punto 21; sentenza del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑11/89, Shell/Commissione, Racc. pag. II‑757, punto 55).

315    Tuttavia, un documento utilizzato dalla Commissione a sostegno di un addebito nella decisione finale, malgrado che tale documento fosse stato utilizzato nella comunicazione degli addebiti per dimostrare un diverso addebito, può essere fatto valere nella decisione avverso l’impresa interessata solo se quest’ultima abbia potuto verosimilmente dedurre dalla comunicazione degli addebiti e dal contenuto del documento le conclusioni che la Commissione intendeva ricavarne (v., in tal senso, sentenza Shell/Commissione, cit. supra al punto 314, punto 62).

316    La censura sollevata dall’Amann deve essere esaminata alla luce della giurisprudenza appena esposta.

317    Occorre ricordare che, al punto 116 della decisione impugnata, la Commissione ha ammesso di avere erroneamente menzionato, ai punti 104 e 126 della comunicazione degli addebiti, che nella riunione del 19 settembre 2000 a Budapest (Ungheria) era stata decisa una diminuzione delle riduzioni in Finlandia. Essa ha rettificato tale errore nello stesso punto 116 sottolineando che il paese interessato dalla diminuzione delle riduzioni era, in realtà, la Svezia.

318    Occorre constatare, anzitutto, che il titolo che precede i punti 125 e 126 della comunicazione degli addebiti, rubricato «Riunione all’hotel Mercure di Budapest del 19 settembre 2000», rinvia alla nota n. 244, la quale fa riferimento al messaggio di posta elettronica del 10 ottobre 2000 contenente gli elementi discussi nel corso di tale riunione, tra cui la diminuzione delle riduzioni in Svezia.

319    È giocoforza osservare inoltre che l’Amann ha avuto conoscenza di tale documento, come attesta la sua risposta alla comunicazione degli addebiti. Quest’ultima riferisce, infatti, che tale documento contiene un messaggio di posta elettronica di J. L. (Coats) a F. S. (Coats) del 10 ottobre 2000 contenente un verbale molto dettagliato del contenuto della riunione di Budapest.

320    Da tale messaggio emerge chiaramente che l’unico paese interessato dalla diminuzione delle riduzioni era la Svezia e che nessun altro elemento relativo alla Finlandia poteva creare confusione circa l’esistenza di un eventuale accordo su una siffatta riduzione in quest’ultimo paese.

321    Inoltre, e contrariamente a quanto sostiene l’Amann, tale messaggio non è stato prodotto in un contesto diverso, poiché esso elenca gli accordi conclusi nel corso della riunione del 19 settembre 2000, a cui l’Amann non nega, del resto, di aver partecipato.

322    Pertanto, conformemente alla citata giurisprudenza, si deve ritenere che l’Amann abbia potuto ragionevolmente desumere, a partire dalla comunicazione degli addebiti e dal contenuto del documento, le conclusioni che la Commissione intendeva trarre e, pertanto, abbia potuto rettificare l’errore relativo all’unico paese interessato dalla diminuzione delle riduzioni.

323    A tal riguardo, è irrilevante l’argomentazione dell’Amann secondo cui la frase contenuta nel messaggio «Svezia: (…) occorre aumentare i prezzi speciali del 3,5% al 1° aprile 2001 o diminuire le riduzioni» non gli avrebbe consentito di sapere che la Commissione intendeva fondarsi su detta frase per dimostrare l’esistenza di un accordo sulla diminuzione delle riduzioni in Svezia. Infatti, dalle suesposte considerazioni deriva che l’Amann avrebbe dovuto aspettarsi che la Commissione si basasse su tale elemento.

324    Pertanto, si deve concludere che il diritto dell’Amann ad essere sentita non è stato violato.

 Sull’asserita violazione dei diritti della difesa, in particolare del principio del divieto di autoincriminazione

325    Si ricava dalla giurisprudenza relativa alla portata dei poteri della Commissione in materia di procedimenti di indagine preliminare e di procedimenti amministrativi che la Commissione può obbligare un’impresa, eventualmente mediante una decisione, a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui quest’ultima possa essere a conoscenza, ma non può imporre a tale impresa l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali quest’ultima sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza della trasgressione, che deve essere provata dalla Commissione (sentenze della Corte 18 ottobre 1989, causa 374/87, Orkem/Commissione, Racc. pag. 3283, punti 34 e 35; Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 90, punti 61 e 65, e Dalmine/Commissione, cit. supra al punto 260, punto 34).

326    Pertanto, non può essere riconosciuto il diritto al silenzio assoluto a un’impresa destinataria di una decisione di richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. Infatti, il riconoscimento di un tale diritto andrebbe oltre quanto necessario per preservare i diritti della difesa delle imprese e costituirebbe un ostacolo ingiustificato allo svolgimento, da parte della Commissione, del compito di vigilanza sul rispetto delle regole di concorrenza nel mercato comune. Un diritto al silenzio può essere riconosciuto all’impresa interessata soltanto nei limiti in cui essa sarebbe obbligata a fornire risposte attraverso le quali sarebbe indotta ad ammettere l’esistenza dell’infrazione che dev’essere provata dalla Commissione (sentenza Tokai I, cit. supra al punto 186, punto 402).

327    Per preservare l’effetto utile dell’art. 11 del regolamento n. 17, la Commissione può quindi obbligare le imprese a fornirle tutte le informazioni necessarie per quanto attiene ai fatti di cui queste ultime siano a conoscenza ed a comunicarle, se del caso, i relativi documenti di cui siano in possesso, anche se essi possono servire ad accertare l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale. Tale potere di indagine della Commissione non contrasta né con l’art. 6, nn. 1 e 2, della CEDU né con la giurisprudenza della Corte eur. D.U. (sentenza Tokai I, cit. supra al punto 186, punti 403 e 404).

328    Ad ogni modo, il fatto di essere obbligati a rispondere ai quesiti riguardanti meri aspetti di fatto posti dalla Commissione e a soddisfare le richieste della stessa di produzione di documenti preesistenti non è idoneo a costituire una violazione del principio fondamentale del rispetto dei diritti della difesa o di quello del diritto ad un processo equo, che offrono, nel settore del diritto della concorrenza, una protezione equivalente a quella garantita dall’art. 6 della CEDU. Infatti, nulla impedisce al destinatario di una richiesta di informazioni di dimostrare, in un momento successivo nell’ambito del procedimento amministrativo o nel corso di un procedimento dinanzi al giudice comunitario, che i fatti esposti nelle risposte o i documenti comunicati hanno un significato diverso da quello considerato dalla Commissione (sentenza Tokai I, cit. supra al punto 186, punto 406).

329    Infine, quando la Commissione, in una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17, oltre a porre quesiti riguardanti meri aspetti di fatto e a sollecitare la produzione di documenti preesistenti, chiede a un’impresa di descrivere l’oggetto e lo svolgimento di diverse riunioni alle quali essa avrebbe partecipato, nonché i risultati o le conclusioni di tali riunioni, laddove è chiaro che la Commissione sospetta che la finalità delle dette riunioni fosse quella di restringere la concorrenza, una siffatta domanda è idonea a obbligare l’impresa destinataria a riconoscere la sua partecipazione a un’infrazione alle regole comunitarie di concorrenza, cosicché detta impresa non è tenuta a rispondere a domande di tal genere. In una simile ipotesi, il fatto che un’impresa fornisca nondimeno informazioni su tali punti deve essere considerato come una collaborazione spontanea dell’impresa che può giustificare una riduzione di ammenda in applicazione della comunicazione sulla cooperazione (sentenza del Tribunale 6 dicembre 2005, causa T‑48/02, Brouwerij Haacht/Commissione, Racc. pag. II‑5259, punto 107). Risulta parimenti dalla giurisprudenza che, in questa stessa ipotesi, le imprese non possono asserire che il loro diritto a non autoincolparsi sia stato violato per il fatto che esse hanno risposto spontaneamente a richieste siffatte (sentenza del Tribunale Dalmine/Commissione, cit. supra al punto 259, punto 46).

330    Alla luce di tale giurisprudenza, occorre stabilire se la Commissione abbia violato il diritto delle ricorrenti a non autoincolparsi.

331    In primo luogo, va sottolineato che la Commissione ha sollecitato l’invio di informazioni mediante richieste di informazioni (lettere del 6 e 24 marzo 2003) e non attraverso decisioni.

332    Per quanto attiene allo stesso contenuto delle informazioni richieste, si ricava dal punto 4 delle succitate richieste che la Commissione attendeva, in particolare, indicazioni sulle riunioni con i concorrenti, la data, il luogo e l’elenco dei partecipanti, l’oggetto e lo svolgimento di tali riunioni nonché informazioni sui contatti bilaterali. Le ricorrenti non erano affatto obbligate a rispondere alle questioni qualora dalle loro risposte fosse risultata un’ammissione della loro partecipazione all’infrazione presunta. Tuttavia, esse hanno spontaneamente risposto a siffatte richieste e, pertanto, non possono pretendere che, così facendo, il loro diritto a non autoincolparsi sia stato violato.

333    In secondo luogo, per quanto riguarda l’addebito mosso dalle ricorrenti alla Commissione di non averle informate delle presunzioni a loro carico, occorre ricordare, in limine, la necessità di un nesso fra le informazioni chieste dalla Commissione, a norma dell’art. 11 del regolamento n. 17, e la violazione oggetto di esame, menzionata nella domanda. Infatti, l’art. 11, n. 1, del regolamento n. 17 autorizza la Commissione a raccogliere, in particolare presso le imprese, «tutte le informazioni necessarie», ai fini dell’applicazione da parte di detta istituzione dei principi enunciati negli artt. 81 CE e 82 CE. Inoltre, il n. 3, dell’art. 11 del regolamento n. 17 prevede che nella domanda di informazioni la Commissione indichi, in particolare, «le basi giuridiche e lo scopo della domanda». Risulta quindi dal combinato disposto dei nn. 1 e 3 dell’art. 11 del regolamento n. 17, nonché dagli obblighi relativi al rispetto dei diritti della difesa delle imprese considerate, che il criterio di necessità, enunciato dall’art. 11 del regolamento n. 17, deve essere valutato in funzione della finalità dell’inchiesta, quale è obbligatoriamente precisata nella stessa domanda di informazioni. Infatti, come statuito dalla Corte in merito a una disposizione analoga a quella dell’art. 11 del regolamento n. 17, nella sentenza 21 settembre 1989, cause riunite 46/87 e 227/88, Hoechst/Commissione (Racc. pag. 2859, punto 29), relativa ai poteri di accertamento attribuiti alla Commissione dall’art. 14 del regolamento n. 17, l’obbligo imposto alla Commissione di indicare l’oggetto e lo scopo dell’accertamento costituisce un’esigenza fondamentale al fine non solo di evidenziare il carattere motivato dell’azione prevista all’interno delle imprese interessate, ma anche di consentire ad esse di comprendere la portata del loro dovere di collaborazione pur facendo salvi al contempo i loro diritti di difesa. Ne consegue che la Commissione può chiedere soltanto la comunicazione di informazioni le quali consentano di accertare le presunzioni di violazione che giustificano lo svolgimento dell’inchiesta e sono indicate nella domanda di informazioni (sentenze del Tribunale 12 dicembre 1991, causa T‑39/90, SEP/Commissione, Racc. pag. II‑1497, punto 25, e 8 marzo 1995, causa T‑34/93, Société Générale/Commissione, Racc. pag. II‑545, punti 40, 62 e 63).

334    Deriva da tale giurisprudenza che, nella richiesta di informazioni, la Commissione non è tenuta ad imputare esplicitamente le presunte infrazioni alle imprese interessate e che, pertanto, in tale fase, essa non è tenuta ad informare l’impresa della sua chiamata in causa. Infatti, purché la Commissione indichi chiaramente le basi giuridiche e lo scopo della sua richiesta, si deve ritenere che i diritti della difesa dell’impresa interessata siano stati garantiti.

335    Nel caso di specie, la Commissione ha perfettamente adempiuto i suoi obblighi indicando chiaramente, nelle richieste di informazioni succitate, l’oggetto e lo scopo della domanda.

336    A tal riguardo, e in terzo luogo, anche la censura mossa alla Commissione di non aver comunicato loro le informazioni già in suo possesso è irrilevante. Infatti, nell’ambito di un procedimento amministrativo in materia di concorrenza, sono proprio l’invio della comunicazione degli addebiti, da un lato, e l’accesso al fascicolo, che consente al destinatario della detta comunicazione di avere cognizione degli elementi probatori contenuti nel fascicolo della Commissione, dall’altro, a garantire i diritti della difesa e il diritto ad un equo processo dell’impresa in questione. È infatti con la comunicazione degli addebiti che l’impresa interessata viene informata di tutti gli elementi essenziali sui quali si fonda la Commissione in tale fase del procedimento. Di conseguenza, solo dopo l’invio di detta comunicazione l’impresa interessata può far valere pienamente i diritti della difesa. Laddove tali diritti fossero estesi al periodo che precede l’invio della comunicazione degli addebiti, l’efficacia dell’indagine della Commissione risulterebbe compromessa, in quanto l’impresa sarebbe in grado, già dalla prima fase dell’inchiesta della Commissione, di identificare le informazioni note a quest’ultima e, pertanto, quelle che possono esserle ancora nascoste (sentenza della Corte Dalmine/Commissione, cit. supra al punto 260, punti 58-60).

337    In quarto luogo, le ricorrenti rivendicano erroneamente il beneficio a una riduzione supplementare dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione per aver risposto alla richiesta di informazioni fornendo ragguagli in misura asseritamente superiore rispetto a quanto poteva pretendersi in virtù dell’art. 11 del regolamento n. 17.

338    In ragione della cooperazione fornita dalle ricorrenti nel corso dell’indagine relativa alle due intese, le ammende inflitte sono state entrambe ridotte del 15% in applicazione del punto D 2, primo e secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione. La Commissione ha infatti constatato che le ricorrenti avevano trasmesso informazioni e documenti che hanno contribuito a provare materialmente l’esistenza dell’infrazione e, in particolare, hanno ammesso di aver partecipato a riunioni con le loro concorrenti, al fine di scambiare, discutere, se non mantenere i prezzi. Del resto, esse non hanno contestato in modo sostanziale i fatti materiali sui quali la Commissione ha fondato le sue accuse (punti 390-397 e 460-463 della decisione impugnata).

339    Da un lato, occorre ricordare che una riduzione dell’ammenda a titolo di cooperazione durante il procedimento amministrativo è giustificata solo se il comportamento dell’impresa di cui trattasi ha consentito alla Commissione di accertare l’esistenza di un’infrazione con meno difficoltà e, se del caso, di porvi fine (sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 156, e 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, Racc. pag. II‑3757, punto 270).

340    Dall’altro, la collaborazione di un’impresa all’inchiesta non dà diritto ad alcuna riduzione di ammenda quando tale collaborazione non ha oltrepassato quanto tale impresa era tenuta a fare in forza dell’art. 11, nn. 4 e 5, del regolamento n. 17 (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑12/89, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑907, punti 341 e 342). Viceversa, nel caso in cui, nel rispondere a una richiesta di informazioni ai sensi dell’art. 11, un’impresa fornisca informazioni ben più dettagliate di quelle che la Commissione può pretendere in forza dello stesso articolo, l’impresa in parola può beneficiare di una riduzione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑308/94, Cascades/Commissione, Racc. pag. II‑925, punto 262).

341    Resta nondimeno il fatto che è il contenuto delle informazioni comunicate alla Commissione che deve consentire di stabilire se le ricorrenti abbiano effettivamente trasmesso informazioni che andavano oltre ciò che la Commissione aveva diritto di pretendere.

342    Orbene, le ricorrenti non hanno dimostrato in che modo le informazioni trasmesse, con riferimento al loro contenuto, andassero oltre ciò che la Commissione poteva pretendere.

343    Inoltre, si deve constatare che le ricorrenti non hanno ammesso tutti gli elementi che la Commissione ha posto alla base della decisione impugnata. Infatti, si deve osservare, in particolare, che la Cousin ha affermato di aver proseguito le sue offerte di prodotti senza mai tener conto delle discussioni e che l’Amann ha contestato la durata dell’infrazione.

344    Pertanto, la riduzione del 15% dell’ammenda accordata alle ricorrenti risulta essere giustificata alla luce delle circostanze del caso di specie. Di conseguenza, l’argomento relativo all’insufficienza della riduzione del 15%, confrontata con quella del 50% concessa alla Coats, deve parimenti essere respinto.

345    Tale motivo deve dunque essere respinto.

346    Dalle considerazioni che precedono risulta che il ricorso proposto dalle ricorrenti deve essere respinto.

 Sulle spese

347    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      L’Amann & Söhne GmbH & Co. KG e la Cousin Filterie SAS sono condannate alle spese.

Vilaras

Prek

Ciucă

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 28 aprile 2010.

Firme

Indice


Fatti

A –  Oggetto della controversia

B –  Procedimento amministrativo

C –  Decisione impugnata

1.  Mercati rilevanti

a)  Mercati dei prodotti

b)  Mercati geografici

2.  Dimensioni e struttura dei mercati rilevanti

3.  Descrizione delle infrazioni

4.  Dispositivo della decisione impugnata

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

A –  Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti e diretto all’annullamento della decisione impugnata, relativo alla violazione dell’art. 7, n. 1, primo periodo, del regolamento n. 1/2003

1.  Argomenti delle parti

2.  Giudizio del Tribunale

a)  Sulla distinzione dei mercati di prodotti e geografici

b)  Sull’asserita esistenza di un «piano d’insieme»

B –  Sui motivi diretti ad ottenere la riduzione dell’ammenda

1.  Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti, relativo all’inosservanza del limite superiore della sanzione, previsto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dall’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

Sulla censura relativa alla violazione del principio «nulla poena sine lege» e all’eccezione di illegittimità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003

Sulla censura relativa all’obbligo di infliggere un’ammenda unica per diverse infrazioni

Sulla censura relativa all’inosservanza delle finalità giuridiche della sanzione

2.  Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti, relativo alla violazione dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità in sede di applicazione dell’ammenda

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

Sulla violazione del principio di proporzionalità

–  Quanto all’argomento relativo alla mancata considerazione delle dimensioni del mercato

–  Quanto all’argomento relativo all’esclusiva considerazione del fatturato sui mercati interessati dalle infrazioni

–  Sul «sistema di forfetizzazione» previsto dagli orientamenti

–  Sulla mancata considerazione dello status di «media impresa» delle ricorrenti

Sulla violazione del principio della parità di trattamento

3.  Sul motivo, dedotto dall’Amann, relativo all’erronea fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda inflitta per l’intesa relativa al filo industriale

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

4.  Sul motivo, dedotto dall’Amann, relativo al calcolo erroneo della durata dell’infrazione sul mercato del filo industriale

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

5.  Sul motivo, dedotto dall’Amann, relativo alla mancata considerazione di alcune circostanze attenuanti riguardanti l’infrazione sul mercato del filo industriale

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

6.  Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti, relativo all’erroneo calcolo dell’importo di partenza e dell’importo di base dell’ammenda inflitta per l’infrazione sul mercato del filo destinato all’industria automobilistica

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

7.  Sul motivo, dedotto dalle ricorrenti, relativo all’asserita omessa considerazione della mancata attuazione dell’intesa riguardante il filo destinato all’industria automobilistica

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

8.  Sul motivo relativo alla violazione del diritto ad essere sentiti e dei diritti della difesa

a)  Argomenti delle parti

b)  Giudizio del Tribunale

Sull’asserita violazione del diritto ad essere sentiti

Sull’asserita violazione dei diritti della difesa, in particolare del principio del divieto di autoincriminazione

Sulle spese


* Lingua processuale: il tedesco.

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