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Document 62005CJ0381

Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 19 aprile 2007.
De Landtsheer Emmanuel SA contro Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne e Veuve Clicquot Ponsardin SA.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour d'appel de Bruxelles - Belgio.
Direttive 84/450/CEE e 97/55/CE - Pubblicità comparativa - Identificazione di un concorrente o dei beni o servizi offerti da un concorrente - Beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi - Riferimento a denominazioni d’origine.
Causa C-381/05.

Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-03115

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2007:230

Causa C-381/05

De Landtsheer Emmanuel SA

contro

Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne

e

Veuve Clicquot Ponsardin SA

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla cour d’appel de Bruxelles)

«Direttive 84/450/CEE e 97/55/CE — Pubblicità comparativa — Identificazione di un concorrente o dei beni o servizi offerti da un concorrente — Beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi — Riferimento a denominazioni d’origine»

Massime della sentenza

1.        Ravvicinamento delle legislazioni — Pubblicità ingannevole e comparativa — Direttiva 84/450

(Direttiva del Consiglio 84/450, art. 2, punto 2 bis)

2.        Ravvicinamento delle legislazioni — Pubblicità ingannevole e comparativa — Direttiva 84/450

[Direttiva del Consiglio 84/450, artt. 2, punto 2 bis, e 3 bis, n. 1, lett. b)]

3.        Ravvicinamento delle legislazioni — Pubblicità ingannevole e comparativa — Direttiva 84/450

(Direttiva del Consiglio 84/450, art. 3 bis, n. 1)

4.        Ravvicinamento delle legislazioni — Pubblicità ingannevole e comparativa — Direttiva 84/450

[Direttiva del Consiglio 84/450, artt. 2, punto 2 bis, e 3 bis, n. 1, lett. f) e g)]

1.        L’art. 2, punto 2 bis, della direttiva 84/450, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, come modificata dalla direttiva 97/55, dev’essere interpretato nel senso che può essere considerato pubblicità comparativa il riferimento, in un messaggio pubblicitario, a un tipo di prodotto e non a un’impresa o a un prodotto determinati, se permette di identificare tale impresa o i prodotti da essa offerti come quelli cui il detto messaggio si riferisce concretamente. La circostanza che più concorrenti dell’operatore pubblicitario oppure beni o servizi che essi offrono possano essere identificati come quelli cui si riferisce concretamente il messaggio pubblicitario è irrilevante ai fini del riconoscimento del carattere comparativo della pubblicità.

(v. punto 24, dispositivo 1)

2.        Per stabilire se tra l’operatore pubblicitario e l’impresa che è identificata nel messaggio pubblicitario sussista un rapporto di concorrenza ai sensi della direttiva 84/450, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, come modificata dalla direttiva 97/55, non si può prescindere dalla considerazione dei beni o servizi offerti da tale impresa.

Infatti, perché esista un simile rapporto tra imprese, i beni che esse offrono devono presentare un certo grado di sostituibilità reciproca.

Per valutare la sussistenza di tale rapporto devono quindi essere considerati lo stato attuale del mercato e delle abitudini di consumo nonché le loro possibilità di evoluzione, la parte del territorio comunitario in cui la pubblicità è diffusa, ma anche, se necessario, gli effetti che sul mercato nazionale interessato può avere l’evoluzione delle abitudini di consumo constatate in altri Stati membri e, infine, le caratteristiche del prodotto che l’operatore pubblicitario intende promuovere e l’immagine che intende imprimergli.

I criteri per accertare la sussistenza di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis, della detta direttiva e quelli per verificare se il confronto soddisfi la condizione enunciata all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della stessa non sono identici. Infatti il detto art. 2, punto 2 bis, presuppone l’esistenza di un rapporto di concorrenza tra imprese mentre l’art. 3 bis, n. 1, lett. b), richiede una valutazione individuale e concreta dei prodotti oggetto specifico del confronto nel messaggio pubblicitario al fine di concludere eventualmente per una loro effettiva sostituibilità.

(v. punti 31-32, 42, 47, 49, dispositivo 2)

3.        Una pubblicità che faccia riferimento a un tipo di prodotto, senza tuttavia identificare un concorrente o i beni offerti da un concorrente, non è illecita ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, come modificata dalla direttiva 97/55. La sua liceità dev’essere valutata sulla base di altre disposizioni di diritto nazionale o, eventualmente, di diritto comunitario, anche se dovesse risultarne un minore grado di tutela dei consumatori o delle imprese concorrenti.

(v. punto 56, dispositivo 3)

4.        L’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva 84/450, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, come modificata dalla direttiva 97/55, dev’essere interpretato nel senso che non ogni raffronto tra prodotti privi di denominazione d’origine e prodotti che ne sono provvisti è illecito.

Infatti, ai sensi del detto n. 1, lett. g), la pubblicità comparativa è lecita se non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti. L’effetto utile della disposizione sarebbe in parte compromesso se fosse vietato comparare prodotti privi di denominazione d’origine con prodotti che invece recano tale denominazione.

(v. punti 65-66, 72, dispositivo 4)







SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

19 aprile 2007 (*)

«Direttive 84/450/CEE e 97/55/CE – Pubblicità comparativa – Identificazione di un concorrente o dei beni o servizi offerti da un concorrente – Beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi – Riferimento a denominazioni d’origine»

Nel procedimento C‑381/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Cour d’appel de Bruxelles (Belgio) con decisione 13 ottobre 2005, pervenuta in cancelleria il 19 ottobre 2005, nella causa

De Landtsheer Emmanuel SA

contro

Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne,

Veuve Clicquot Ponsardin SA,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. J.N. Cunha Rodrigues (relatore), K. Schiemann, M. Ilešič ed E. Levits, giudici,

avvocato generale: sig. P. Mengozzi

cancelliere: sig. M.-A. Gaudissart, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 21 settembre 2006,

considerate le osservazioni presentate:

–        per De Landtsheer Emmanuel SA, dai sigg. J. Stuyck e M. Demeur, avocats;

–        per il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne e la Veuve Clicquot Ponsardin SA, dai sigg. T. van Innis e N. Clarembeaux, avocats;

–        per il governo belga, dalla sig.ra L. Van den Broeck, in qualità di agente;

–        per il governo francese, dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, in qualità di agente;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. J.-P. Keppenne e A. Aresu, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 novembre 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 2, punto 2 bis, e 3 bis, n. 1, lett. b) e f), della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa (GU L 250, pag. 17), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE (GU L 290, pag. 18; in prosieguo: la «direttiva»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una causa che vede opporsi il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (in prosieguo: il «CIVC») e la società francese Veuve Clicquot Ponsardin SA (in prosieguo: la «Veuve Clicquot») alla società belga De Landtsheer Emmanuel SA (in prosieguo: «De Landtsheer») a proposito delle pratiche pubblicitarie utilizzate da quest’ultima nella commercializzazione della birra «Malheur Brut Réserve».

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

3        Ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva, è «pubblicità comparativa» qualsiasi pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente.

4        L’art. 3 bis, n. 1, della direttiva dispone quanto segue:

«Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è ritenuta lecita qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: che essa

a)      non sia ingannevole ai sensi dell’articolo 2, punto 2, dell’articolo 3 e dell’articolo 7, paragrafo 1;

b)      confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;

c)      confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;

(…)

f)      per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;

g)      non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o a altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;

(…)».

5        L’art. 13, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU L 208, pag. 1), così recita:

«Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a)      qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l’uso di tale denominazione consenta di sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta;

b)      qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali “genere”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione” o simili;

c)      qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all’origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti usata sulla confezione o sull’imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati, nonché l’impiego, per la confezione, di recipienti che possono indurre in errore sull’origine;

d)      qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla vera origine dei prodotti.

(…)».

 La normativa nazionale

6        L’art. 23 della legge 14 luglio 1991, sulle pratiche commerciali e sull’informazione e la tutela del consumatore (Moniteur belge del 29 agosto 1991), come modificata dalla legge 25 maggio 1999 (Moniteur belge del 23 giugno 1999; in prosieguo: la «LPCC»), enuncia quanto segue:

«Fatte salve altre disposizioni legislative o regolamentari, è vietata ogni pubblicità:

1º      che con affermazioni, indicazioni o rappresentazioni possa indurre in errore sull’identità, la natura, la composizione, l’origine, la quantità, la disponibilità, il metodo e la data di fabbricazione ovvero sulle caratteristiche di un bene e il suo impatto sull’ambiente. Per caratteristiche s’intendono i pregi di un prodotto, segnatamente le sue proprietà e possibilità d’impiego, i risultati che si possono attendere da tale uso, le condizioni alle quali il prodotto può essere ottenuto, in particolare il prezzo o il modo in cui questo viene calcolato, e le caratteristiche fondamentali delle prove e dei controlli effettuati su di esso e dei servizi connessi;

(…)

6°      che, fatto salvo quanto previsto all’art. 23 bis, causi denigrazione di un venditore ovvero di suoi beni e servizi o della sua attività;

7°      che, fatto salvo quanto previsto all’art. 23 bis, comporti comparazioni ingannevoli, denigranti o che permettono senza necessità l’identificazione di un altro o di altri venditori;

8°      che, fatto salvo quanto previsto all’art. 23 bis, comporti elementi che possono creare confusione con un altro venditore o con i suoi beni, i suoi servizi o la sua attività;

(…)».

7        L’art. 23 bis della LPCC così recita:

«1. Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è ritenuta lecita qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: che essa

1°      non sia ingannevole ai sensi dell’art. 23, nn. 1-5, della presente legge;

(…)

3°      confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;

(…)

6°      per i prodotti recanti denominazione d’origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;

7°      non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;

(…).

2. Qualunque raffronto che faccia riferimento a un’offerta speciale deve indicare in modo chiaro e non equivoco il termine finale dell’offerta oppure, nel caso in cui l’offerta non sia ancora cominciata, la data di inizio del periodo nel corso del quale si applicano il prezzo speciale o altre condizioni particolari o, se del caso, che l’offerta speciale dipende dalla disponibilità dei beni e servizi.

3. È vietata ogni pubblicità comparativa che non rispetti le condizioni fissate ai paragrafi 1 e 2».

 La causa principale e le questioni pregiudiziali

8        De Landtsheer produce e commercializza diversi tipi di birra recanti il marchio «Malheur». Nel corso del 2001 essa lanciava sul mercato con il nome «Malheur Brut Réserve» una birra realizzata con un metodo che s’ispira a quello di elaborazione del vino spumante e alla quale intendeva imprimere il carattere di prodotto eccezionale.

9        Sulla bottiglia, sul dépliant appeso al collo della bottiglia e sull’imballaggio di cartone erano apposte, fra le altre, le diciture «BRUT RÉSERVE» [BRUT RISERVA], «La première bière BRUT au monde» [La prima birra BRUT al mondo], «Bière blonde à la méthode traditionnelle» [Birra bionda secondo il metodo tradizionale] e «Reims-France» [Reims-Francia], nonché un riferimento ai vignaioli di Reims e di Épernay. Nel contesto della presentazione del suo prodotto De Landtsheer utilizzava l’espressione «Champagnebier» per far capire che si trattava di una birra fabbricata col metodo champenois. Detta società vantava, inoltre, l’originalità della nuova birra Malheur evocando le caratteristiche del vino spumante e, soprattutto, quelle dello champagne.

10      In data 8 maggio 2002 il CIVC e la Veuve Clicquot citavano De Landtsheer dinanzi al Tribunal de commerce de Nivelles (Tribunale commerciale di Nivelles) per far cessare, in particolare, l’uso delle predette diciture. Tale utilizzo sarebbe stato non solo ingannevole, ma anche costitutivo di una pubblicità comparativa illecita.

11      Con sentenza 26 luglio 2002 il tribunale adito condannava De Landtsheer, in particolare, ad interrompere qualsiasi uso dell’indicazione «Méthode traditionnelle», della denominazione d’origine «Champagne» e dell’indicazione geografica «Reims-France», nonché ogni riferimento ai vignaioli di Reims e di Épernay e al metodo di fabbricazione dello champagne. Il ricorso del CIVC e della Veuve Clicquot veniva respinto per quanto riguardava l’utilizzo delle diciture «BRUT», «RÉSERVE», «BRUT RÉSERVE» e «La première bière BRUT au monde».

12      Pur dichiarando di rinunciare all’utilizzo della denominazione d’origine «Champagne» nell’espressione «Champagnebier», De Landtsheer ha proposto appello avverso detta sentenza relativamente agli altri elementi della controversia. Il CIVC e la Veuve Clicquot hanno proposto appello incidentale relativamente all’utilizzo dei termini «BRUT», «RÉSERVE», «BRUT RÉSERVE» e «La première bière BRUT au monde».

13      La Cour d’appel de Bruxelles (Corte d’appello di Bruxelles), ritenendo necessaria l’interpretazione della direttiva per decidere sulla controversia dinanzi ad essa pendente, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se integrano una pubblicità comparativa anche i messaggi pubblicitari in cui l’operatore pubblicitario si limita a far riferimento ad un tipo di prodotto, nel senso che in tale ipotesi il messaggio alluderebbe a tutte le imprese che offrono quel tipo di prodotto e che ciascuna di esse potrebbe presumersi identificata.

2)      Se, per stabilire se tra l’operatore pubblicitario e l’impresa cui questo fa riferimento sussista un rapporto di concorrenza, come definito dall’art. [2, punto ]2 bis, della direttiva:

a)      occorra considerare, in particolare sulla base del raffronto tra l’art. [2, punto] 2 bis, e l’art. 3 bis, [n. 1,] lett. b), che è “concorrente” ai sensi di tale disposizione ogni impresa che la pubblicità permetta di identificare, qualunque bene o servizio essa offra.

b)      In caso di risposta negativa, e quindi nell’ipotesi che altre condizioni debbano essere soddisfatte perché si abbia un rapporto di concorrenza, se debba tenersi conto solo dello stato attuale del mercato e delle abitudini di consumo presenti nella Comunità oppure anche delle loro possibili evoluzioni.

c)      Se la verifica debba essere circoscritta alla parte del territorio comunitario in cui la pubblicità è diffusa.

d)      Se il rapporto di concorrenza debba essere riferito ai tipi di prodotto oggetto del confronto e alla maniera in cui essi sono generalmente percepiti o se, per valutare il grado di sostituibilità, si debba tener conto anche delle peculiarità del prodotto che l’operatore intende promuovere con la pubblicità controversa e dell’immagine che intende imprimergli.

e)      Se i criteri per accertare la sussistenza di un rapporto di concorrenza come definito dall’art. 2, punto 2 bis), e i criteri per verificare se il confronto soddisfa la condizione enunciata all’art. 3 bis, [n. 1,] lett. b), siano identici.

3)      Se dal raffronto tra l’art. 2, punto 2 bis), della direttiva (…), da un lato, e l’art. 3 bis della stessa, dall’altro, risulti:

a)      l’illiceità di qualunque pubblicità comparativa che permetta di identificare un tipo di prodotti nell’ipotesi in cui la dicitura non permetta di identificare un concorrente o i beni ch’esso offre; o che

b)      la liceità del confronto dev’essere valutata unicamente con riferimento a disposizioni nazionali diverse da quelle che traspongono la direttiva concernente la pubblicità comparativa, con la possibile conseguenza di una riduzione della tutela del consumatore ovvero delle imprese che offrono il tipo di prodotto posto in relazione con quello offerto dall’operatore pubblicitario.

4)      Ove dovesse concludersi per l’esistenza di una pubblicità comparativa ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), se dall’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva debba dedursi l’illiceità di ogni confronto che rapporti prodotti privi di denominazione d’origine a prodotti che ne sono invece provvisti».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

14      Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il riferimento, in un messaggio pubblicitario, soltanto ad un tipo di prodotto, e non ad un’impresa o a un prodotto determinati, sia tale da far rientrare detto messaggio nella nozione di pubblicità comparativa di cui all’art. 2, punto 2 bis), della direttiva.

15      Occorre ricordare che l’art. 2, punto 2 bis, della direttiva definisce «pubblicità comparativa» qualsiasi pubblicità che identifichi in modo esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente.

16      Secondo una giurisprudenza costante si tratta di una definizione ampia, che permette di includere tutte le forme di pubblicità comparativa, per cui è sufficiente che sussista un messaggio che faccia, anche implicitamente, riferimento a un concorrente o ai beni o ai servizi da questo offerti perché si abbia pubblicità comparativa (v. sentenze 25 ottobre 2001, causa C‑112/99, Toshiba Europe, Racc. pag. I‑7945, punti 30 e 31, e 8 aprile 2003, causa C‑44/01, Pippig Augenoptik, Racc. pag. I‑3095, punto 35).

17      L’elemento richiesto perché si abbia pubblicità comparativa è dunque l’identificazione, esplicita o implicita, di un concorrente dell’operatore pubblicitario o dei beni o servizi da lui offerti (sentenza Toshiba Europe, cit., punto 29).

18      Se nel messaggio pubblicitario l’impresa fa unicamente riferimento ad un tipo di prodotto, non per questo il messaggio è escluso a priori dall’ambito di applicazione della direttiva.

19      Un tale messaggio ben può integrare una pubblicità comparativa se permette di identificare il riferimento concreto, sia pure implicito, a un concorrente o ai beni o servizi da lui offerti.

20      Poco importa, in tale contesto, che il riferimento ad un tipo di prodotto possa, tenuto conto delle circostanze del caso e soprattutto della struttura del mercato di cui trattasi, permettere l’identificazione di un numero più ampio di concorrenti o di beni o servizi offerti da concorrenti.

21      Un’interpretazione letterale dell’art. 2, punto 2 bis, della direttiva che limiti l’identificazione a un unico concorrente dell’operatore pubblicitario o a beni e servizi di un unico concorrente sarebbe incompatibile con una definizione ampia della pubblicità comparativa e, per questa via, contraria alla costante giurisprudenza della Corte.

22      Spetta di volta in volta ai giudici nazionali valutare, alla luce di tutti gli elementi della fattispecie, se una pubblicità consenta ai consumatori di identificare, esplicitamente o implicitamente, nella loro individualità, una o più imprese determinate o i relativi beni o servizi.

23      A tal fine i detti organi giurisdizionali devono prendere in considerazione le presumibili aspettative del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (v. sentenze Pippig Augenoptik, citata, punto 55, e 19 settembre 2006, causa C‑356/04, Lidl Belgium, Racc. pag. I‑8501, punto 78).

24      Occorre pertanto risolvere la prima questione dichiarando che l’art. 2, punto 2 bis, della direttiva dev’essere interpretato nel senso che può essere considerato pubblicità comparativa il riferimento, in un messaggio pubblicitario, a un tipo di prodotto, e non a un’impresa o a un prodotto determinati, se permette di identificare concretamente tale impresa o i beni da essa offerti. Se permette di identificare tale impresa o i prodotti da essa offerti come quelli cui il detto messaggio si riferisce concretamente. La circostanza che più concorrenti dell’operatore pubblicitario oppure beni o servizi che essi offrono possano essere identificati come quelli cui si riferisce concretamente il messaggio pubblicitario è irrilevante ai fini del riconoscimento del carattere comparativo della pubblicità.

 Sulla seconda questione

25      La seconda questione pregiudiziale si articola in tre quesiti.

26      In primo luogo il giudice nazionale chiede, in sostanza, se, per stabilire se tra l’operatore pubblicitario e l’impresa cui questo fa riferimento nella pubblicità sussista un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis), della direttiva, si possa prescindere dalla considerazione dei beni o servizi offerti da tale impresa. In secondo luogo, per il caso di una risposta negativa a tale quesito, interroga la Corte circa la pertinenza di taluni criteri di verifica del detto rapporto di concorrenza, segnatamente l’analisi dello stato attuale e prognostico dei mercati e delle abitudini di consumo, la limitazione del territorio comunitario a quello in cui la pubblicità è diffusa e l’intercambiabilità dei beni oggetto del confronto, intercambiabilità che dipende dal tipo di prodotto astrattamente considerato o dalle caratteristiche e dall’immagine che l’operatore pubblicitario intende imprimergli. In terzo luogo il giudice del rinvio domanda se tali criteri e quelli da utilizzare per determinare se il confronto soddisfa la condizione enunciata all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della direttiva siano identici.

 Sul primo quesito

27      Come risulta dall’art. 2, punto 2 bis, della direttiva, l’elemento specifico della nozione di pubblicità comparativa è costituito dall’identificazione di un «concorrente» dell’operatore pubblicitario o dei beni e/o servizi da lui offerti.

28      Per definizione, le imprese sono «concorrenti» se offrono sul mercato beni o servizi intercambiabili.

29      È proprio per questo che l’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della direttiva pone come condizione di liceità della pubblicità comparativa che essa confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi.

30      Come la Corte ha già avuto modo di affermare, se i prodotti soddisfano, in una certa misura, bisogni identici, si deve ammettere un certo grado di sostituibilità reciproca (sentenze 27 febbraio 1980, causa 170/78, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. 417, punto 14, e 9 luglio 1987, causa 356/85, Commissione/Belgio, Racc. pag. 3299, punto 10).

31      Occorre pertanto risolvere il primo quesito della seconda questione dichiarando che, per stabilire se tra l’operatore pubblicitario e l’impresa che è identificata nel messaggio pubblicitario sussista un rapporto di concorrenza, non si può prescindere dalla considerazione dei beni o servizi offerti da tale impresa.

 Sul secondo quesito

32      Come si osservava al punto 28 della presente sentenza, perché esista un rapporto di concorrenza tra imprese, i beni che esse offrono devono presentare un certo grado di sostituibilità reciproca.

33      La valutazione concreta di tale grado di sostituibilità, che compete ai giudici nazionali e va condotta alla luce degli obiettivi della direttiva e dei principi enucleati nella giurisprudenza della Corte, presuppone la verifica dei criteri per accertare un rapporto di concorrenza tra almeno una parte della gamma di prodotti offerti dalle imprese interessate.

34      A tale riguardo è importante ricordare che, ai sensi del secondo ‘considerando’ della direttiva 97/55, la pubblicità comparativa contribuisce a mettere oggettivamente in evidenza i pregi dei vari prodotti comparabili e a stimolare la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell’interesse dei consumatori.

35      Secondo una giurisprudenza costante, le condizioni imposte alla pubblicità comparativa devono interpretarsi nel senso più favorevole a questa (citate sentenze Toshiba Europe, punto 37, Pippig Augenoptik, punto 42, e Lidl Belgium, punto 22).

36      Più in particolare, per determinare la sussistenza di un rapporto di concorrenzialità tra i prodotti, la Corte ha considerato che occorre prendere in considerazione non soltanto lo stato attuale del mercato, ma anche le possibilità di evoluzione nel contesto della libera circolazione delle merci su scala comunitaria e le nuove potenzialità di sostituzione fra prodotti che l’intensificazione degli scambi può mettere in luce (sentenza Commissione/Regno Unito, cit., punto 6).

37      La Corte ha altresì precisato che, per misurare il grado di sostituibilità possibile, non ci si può limitare alle abitudini di consumo presenti in uno Stato membro o in una regione determinata. In effetti, tali abitudini, variabili essenzialmente nel tempo e nello spazio, non possono essere considerate un dato immutabile (sentenza Commissione/Regno Unito, citata, punto 14).

38      Nella fattispecie, si deve constatare che i giudici nazionali chiamati a verificare se esista un rapporto di concorrenza tra le imprese in vista dell’eventuale applicazione delle norme in tema di pubblicità comparativa esercitano le loro competenze sulla parte del territorio comunitario in cui le imprese hanno sede. È in tale territorio che, per mezzo della pubblicità, un’impresa cerca di influenzare le scelte d’acquisto dei consumatori, mettendo in evidenza i pregi dei propri prodotti.

39      In tale contesto, i rapporti di concorrenza in questione devono essere analizzati in relazione al mercato in cui la pubblicità comparativa è diffusa. Ciò richiede, tuttavia, un’analisi evolutiva delle abitudini di consumo e non può essere affatto escluso che le modifiche di tali abitudini constatate in uno Stato dispieghino i loro effetti anche in altri Stati membri; i giudici nazionali ne dovranno perciò tener conto per valutare le eventuali ripercussioni di tali modifiche di abitudini nel proprio Stato.

40      Inoltre, visto che l’intercambiabilità dei prodotti poggia, in sostanza, sulle scelte d’acquisto dei consumatori, si deve constatare che, nella misura in cui tali scelte possono mutare in funzione dei pregi che questi ultimi riconoscono ai beni e ai servizi offerti, le caratteristiche concrete dei prodotti che la pubblicità intende promuovere, aggiunte a una valutazione in abstracto dei tipi di prodotto, vanno considerate elementi pertinenti per la valutazione del grado di sostituibilità reciproca.

41      Ciò vale a fortiori per l’immagine che l’operatore commerciale intende imprimere ai propri prodotti, che costituisce uno degli elementi determinanti per l’evoluzione delle scelte dei consumatori.

42      Alla luce di quanto precede, occorre risolvere il secondo quesito della seconda questione dichiarando che, per stabilire se tra l’operatore pubblicitario e l’impresa identificata nella pubblicità sussista un rapporto di concorrenza, devono essere considerati:

–        lo stato attuale del mercato e delle abitudini di consumo, nonché le loro possibilità di evoluzione;

–        la parte del territorio comunitario in cui la pubblicità è diffusa, ma anche, se necessario, gli effetti che sul mercato nazionale considerato può avere l’evoluzione delle abitudini di consumo constatate in altri Stati membri, e

–        le caratteristiche del prodotto che l’operatore pubblicitario intende promuovere e l’immagine che intende imprimergli.

 Sul terzo quesito

43      Nel contesto dell’armonizzazione comunitaria della pubblicità comparativa gli artt. 2, punto 2 bis, e 3 bis, n. 1, lett. b), della direttiva assolvono funzioni differenti.

44      L’art. 2, punto 2 bis, fissa, infatti, i criteri per definire la nozione di pubblicità comparativa, delimitando in tal modo l’ambito di applicazione della direttiva. L’art. 3 bis, n. 1, lett. b), enuncia una delle condizioni di liceità della pubblicità comparativa, richiedendo che i beni concorrenti oggetto di confronto soddisfino gli stessi bisogni o si propongano gli stessi obiettivi, vale a dire che essi presentino un grado sufficiente di intercambiabilità per il consumatore (sentenza Lidl Belgium, citata, punto 26).

45      Come l’avvocato generale ha rilevato al paragrafo 93 delle conclusioni, se tali criteri fossero identici, l’art. 3 bis, n. 1, lett. b), sarebbe privo di qualsiasi effetto utile, in quanto ogni pubblicità qualificabile come comparativa ai sensi del detto art. 2, punto 2 bis), non potrebbe mai porsi in contrasto con la condizione di liceità in questione.

46      Vero è che le due disposizioni della direttiva sono molto simili.

47      Tuttavia, mentre la definizione di pubblicità comparativa offerta all’art. 2, punto 2 bis, presuppone l’esistenza di un rapporto di concorrenza tra imprese, tale che al riguardo è sufficiente verificare se i beni ch’esse offrono presentino, in linea generale, una certa intercambiabilità, la condizione enunciata all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della medesima direttiva richiede una valutazione individuale e concreta dei prodotti oggetto specifico del confronto nel messaggio pubblicitario al fine di concludere eventualmente per una loro effettiva sostituibilità.

48      Si deve osservare che i criteri stabiliti ai punti 36-41 della presente sentenza si applicano mutatis mutandis all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della direttiva.

49      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre risolvere il terzo quesito della seconda questione dichiarando che i criteri per accertare la sussistenza di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis, della direttiva e quelli per verificare se il confronto soddisfi la condizione enunciata all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della stessa non sono identici.

 Sulla terza questione

50      Con la terza questione il giudice del rinvio chiede, in primo luogo, se una pubblicità che faccia riferimento a un tipo di prodotto, senza tuttavia identificare un concorrente determinato o i beni che esso offre, sia già illecita ex art. 3 bis, n. 1, della direttiva o se, in secondo luogo, la sua liceità debba essere valutata alla luce di altre disposizioni nazionali, anche se, per ipotesi, meno favorevoli per i consumatori o per le imprese che offrono il tipo di prodotto cui la pubblicità si riferisce.

51      Come risulta dai punti 17-19 della presente sentenza, l’identificazione, in un messaggio pubblicitario, di un concorrente dell’operatore pubblicitario o dei relativi beni o servizi costituisce una condicio sine qua non affinché il messaggio possa essere considerato pubblicità comparativa e rientrare, così, nell’ambito di applicazione della direttiva.

52      Ne consegue che le condizioni di liceità della pubblicità comparativa, quali enumerate all’art. 3 bis, n. 1, della direttiva, valgono unicamente per i messaggi pubblicitari di tipo comparativo.

53      L’eventuale illiceità di una pubblicità che faccia riferimento a un tipo di prodotto, senza tuttavia identificare un concorrente o i beni da lui offerti, non rientra nell’ambito della pubblicità comparativa e non può, pertanto, essere valutata in base all’art. 3 bis, n. 1, della direttiva.

54      Le condizioni di liceità di una tale pubblicità devono essere dunque verificate alla luce di altre disposizioni di diritto nazionale o, eventualmente, di diritto comunitario, in particolare di quelle della direttiva sulla pubblicità ingannevole.

55      Una siffatta valutazione sarà necessariamente fondata su criteri diversi da quelli che verificano la liceità della pubblicità comparativa e prescinderà dal grado di tutela dei consumatori o delle imprese concorrenti che possa risultarne.

56      Ne discende che occorre risolvere la terza questione dichiarando quanto segue:

–        in primo luogo, una pubblicità che faccia riferimento a un tipo di prodotto, senza tuttavia identificare un concorrente o i beni da lui offerti, non è illecita ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva;

–        in secondo luogo, la liceità di una tale pubblicità dev’essere valutata sulla base di altre disposizioni di diritto nazionale o, eventualmente, di diritto comunitario, anche se dovesse risultarne un minore grado di tutela dei consumatori o delle imprese concorrenti.

 Sulla quarta questione

57      Con la quarta questione il giudice del rinvio chiede se dall’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva discenda l’illiceità di ogni confronto che rapporti prodotti privi di denominazione d’origine a prodotti che ne sono provvisti.

58      Ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva, la pubblicità comparativa per prodotti recanti denominazione di origine è lecita a condizione che si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione.

59      Dal dodicesimo ‘considerando’ della direttiva 97/55 risulta che l’obiettivo di questa condizione di liceità della pubblicità comparativa è di tener conto delle disposizioni del regolamento n. 2081/92, in particolare del suo art. 13, inteso a tutelare le denominazioni registrate contro pratiche abusive.

60      Tra tali pratiche, detto art. 13, n. 1, elenca in particolare l’impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione e la sua usurpazione, imitazione o evocazione.

61      Se la condizione di liceità della pubblicità comparativa prevista all’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva valga anche nel caso in cui il messaggio rapporti un prodotto privo di denominazione d’origine a uno che ne è invece provvisto va stabilito, in primo luogo, alla luce degli obiettivi della direttiva.

62      Come si ricordava al punto 34 della presente sentenza, la pubblicità comparativa contribuisce a mettere in evidenza in maniera oggettiva i pregi dei diversi prodotti a confronto e a stimolare la concorrenza tra i fornitori di beni e di servizi nell’interesse dei consumatori. A termini del quinto ‘considerando’ della direttiva 97/55, la pubblicità comparativa che confronti caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative e non sia ingannevole può essere un mezzo legittimo per informare i consumatori nel loro interesse.

63      È giurisprudenza costante che le condizioni imposte alla pubblicità comparativa devono interpretarsi nel senso più favorevole a questa (v. punto 35 della presente sentenza).

64      In secondo luogo, l’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva dev’essere letto congiuntamente all’art. 3 bis, n. 1, lett. g), della stessa.

65      Ai sensi di quest’ultima disposizione, la pubblicità comparativa è lecita se non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti.

66      L’effetto utile della disposizione sarebbe in parte compromesso se fosse vietato comparare prodotti privi di denominazione d’origine con prodotti che invece recano tale denominazione.

67      Nell’ipotesi di un tale divieto, infatti, il rischio che un operatore pubblicitario illegittimamente benefici di una denominazione d’origine di un prodotto concorrente sarebbe ipso facto escluso, poiché il prodotto di cui la pubblicità promuove i pregi dovrebbe presentare necessariamente la stessa denominazione d’origine del suo concorrente.

68      Al contrario, in tutti i casi in cui il messaggio pubblicitario destinato a promuovere un prodotto senza denominazione d’origine intendesse trarre indebito vantaggio dalla denominazione d’origine di un prodotto concorrente troverebbe applicazione l’art. 3 bis, n. 1, lett. g), della direttiva.

69      Nel procedere a questa valutazione occorre accertare, in particolare, se lo scopo della pubblicità sia unicamente distinguere i prodotti dell’operatore pubblicitario da quelli del suo concorrente e, quindi, mettere obiettivamente in rilievo le differenze (sentenze Toshiba Europe, citata, punto 53, e 23 febbraio 2006, causa C‑59/05, Siemens, Racc. pag. I‑2147, punto 14).

70      Se tutte le altre condizioni di liceità della pubblicità comparativa sono soddisfatte, una tutela delle denominazioni d’origine che finisse col vietare categoricamente raffronti tra prodotti privi di denominazione d’origine e prodotti che ne sono provvisti sarebbe ingiustificata e non troverebbe fondamento nelle disposizioni dell’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva.

71      Siccome, poi, tale divieto non risulterebbe espressamente dal testo dell’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva, per affermarlo per principio occorrerebbe limitare la portata della pubblicità comparativa con un’interpretazione estensiva della condizione di liceità suddetta. Ma ciò sarebbe contrario alla costante giurisprudenza della Corte (v. punto 63 della presente sentenza).

72      Alla luce delle considerazioni suesposte, occorre risolvere la quarta questione dichiarando che l’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva dev’essere interpretato nel senso che non ogni raffronto tra prodotti privi di denominazione d’origine e prodotti che ne sono provvisti è illecito.

 Sulle spese

73      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      L’art. 2, punto 2 bis, della direttiva del Consiglio 10 settembre 1984, 84/450/CEE, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/55/CE, dev’essere interpretato nel senso che può essere considerato pubblicità comparativa il riferimento, in un messaggio pubblicitario, a un tipo di prodotto, e non a un’impresa o a un prodotto determinati, se permette di identificare tale impresa o i prodotti da essa offerti come quelli cui il detto messaggio si riferisce concretamente. La circostanza che più concorrenti dell’operatore pubblicitario oppure beni o servizi che essi offrono possano essere identificati come quelli cui si riferisce concretamente il messaggio pubblicitario è irrilevante ai fini del riconoscimento del carattere comparativo della pubblicità.

2)      Per stabilire se tra l’operatore pubblicitario e l’impresa che è identificata nel messaggio pubblicitario sussista un rapporto di concorrenza non si può prescindere dalla considerazione dei beni o servizi offerti da tale impresa.

Per valutare la sussistenza del suddetto rapporto di concorrenza devono essere considerati:

–        lo stato attuale del mercato e delle abitudini di consumo, nonché le loro possibilità di evoluzione;

–        la parte del territorio comunitario in cui la pubblicità è diffusa, ma anche, se necessario, gli effetti che sul mercato nazionale interessato può avere l’evoluzione delle abitudini di consumo constatate in altri Stati membri, e

–        le caratteristiche del prodotto che l’operatore pubblicitario intende promuovere e l’immagine che intende imprimergli.

I criteri per accertare la sussistenza di un rapporto di concorrenza ai sensi dell’art. 2, punto 2 bis, della direttiva 84/450, come modificata dalla direttiva 97/55, e quelli per verificare se il confronto soddisfi la condizione enunciata all’art. 3 bis, n. 1, lett. b), della stessa non sono identici.

3)      Una pubblicità che faccia riferimento a un tipo di prodotto, senza tuttavia identificare un concorrente o i beni offerti da un concorrente, non è illecita ai sensi dell’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450, come modificata dalla direttiva 97/55. La sua liceità dev’essere valutata sulla base di altre disposizioni di diritto nazionale o, eventualmente, di diritto comunitario, anche se dovesse risultarne un minore grado di tutela dei consumatori o delle imprese concorrenti.

4)      L’art. 3 bis, n. 1, lett. f), della direttiva 84/450, come modificata dalla direttiva 97/55, dev’essere interpretato nel senso che non ogni raffronto tra prodotti privi di denominazione d’origine e prodotti che ne sono provvisti è illecito.

Firme


* Lingua processuale: il francese.

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