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Document 62005CJ0212

Sentenza della Corte (grande sezione) del 18 luglio 2007.
Gertraud Hartmann contro Freistaat Bayern.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundessozialgericht - Germania.
Lavoratore frontaliero - Regolamento (CEE) n. 1612/68 - Trasferimento della residenza in un altro Stato membro - Coniuge disoccupato - Assegno per l’educazione - Diniego di concessione al coniuge - Vantaggio sociale - Presupposto della residenza.
Causa C-212/05.

Raccolta della Giurisprudenza 2007 I-06303

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2007:437

Causa C‑212/05

Gertraud Hartmann

contro

Freistaat Bayern

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundessozialgericht)

«Lavoratore frontaliero — Regolamento (CEE) n. 1612/68 — Trasferimento della residenza in un altro Stato membro — Coniuge disoccupato — Assegno parentale — Diniego di concessione al coniuge — Vantaggio sociale — Requisito di residenza»

Massime della sentenza

1.        Libera circolazione delle persone — Lavoratori — Regolamento n. 1612/68 — Nozione di «lavoratore migrante»

(Regolamento del Consiglio n. 1612/68)

2.        Libera circolazione delle persone — Lavoratori — Parità di trattamento — Vantaggi sociali

(Regolamento del Consiglio n. 1612/68, art. 7, n. 2)

1.        Un cittadino di uno Stato membro che, pur mantenendo il proprio impiego in tale Stato, abbia trasferito la propria residenza in un altro Stato membro ed eserciti da allora la propria attività lavorativa in qualità di lavoratore frontaliero, può avvalersi dello status di «lavoratore migrante» ai sensi del regolamento (CEE) del Consiglio n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità.

(v. punto 20, dispositivo 1)

2.        L’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, osta a che il coniuge di un lavoratore migrante che esercita un’attività lavorativa in uno Stato membro, il quale è disoccupato e risiede in un altro Stato membro, sia escluso dal beneficio di un assegno parentale, in quanto non ha né la residenza né la dimora abituale nel primo Stato dato che la concessione di tale assegno al coniuge del lavoratore, che va a beneficio della famiglia nel suo complesso, indipendentemente da quale sia il genitore che la rivendica, può ridurre l’obbligo che grava sul lavoratore di contribuire ai carichi di famiglia e, quindi, rappresenta per lui un «vantaggio sociale» ai sensi della detta disposizione.

Un siffatto requisito di residenza dev’essere giudicato indirettamente discriminatorio quando, per sua stessa natura, tenda ad incidere più sui lavoratori migranti o sui loro coniugi, i quali risiedono per lo più in un altro Stato membro, che sui lavoratori nazionali e, di conseguenza, rischi di essere sfavorevole in modo particolare ai primi.

Nel contesto di una normativa nazionale che persegue obiettivi di politica familiare, concedendo l’assegno parentale alle persone che hanno instaurato un legame effettivo con la società nazionale e ai sensi della quale un contributo rilevante al mercato del lavoro nazionale costituisce anch’esso un valido elemento di integrazione nella società, la concessione dell’assegno controverso non può essere rifiutata ad una coppia che non è residente sul territorio nazionale, ma di cui uno dei componenti svolge in tale Stato un’attività lavorativa a tempo pieno.

(v. punti 26, 30‑33, 36‑38, dispositivo 2)







SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

18 luglio 2007 (*)

«Lavoratore frontaliero – Regolamento (CEE) n. 1612/68 – Trasferimento della residenza in un altro Stato membro – Coniuge disoccupato – Assegno parentale – Diniego di concessione al coniuge – Vantaggio sociale – Requisito di residenza»

Nel procedimento C-212/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Bundessozialgericht (Germania) con decisione 10 febbraio 2005, pervenuta in cancelleria il 17 maggio 2005, nel procedimento

Gertraud Hartmann

contro

Freistaat Bayern,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Lenaerts e P. Kūris, presidenti di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Schiemann (relatore), J. Makarczyk, G. Arestis, A. Borg Barthet, M. Ilešič e L. Bay Larsen, giudici,

avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 13 giugno 2006,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la sig.ra Hartmann, dal sig. M. Eppelein, Assessor;

–        per il governo tedesco, dal sig. M. Lumma, in qualità di agente;

–        per il governo spagnolo, dal sig. F. Díez Moreno, in qualità di agente;

–        per il governo olandese, dalla sig.ra M. de Mol, in qualità di agente;

–        per il governo del Regno Unito, inizialmente dalla sig.ra C. Jackson, in qualità di agente, assistita dalla sig.ra E. Sharpston, QC, successivamente dalla sig.ra C. Gibbs, in qualità di agente, assistita dal sig. T. Ward, barrister;

–        per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. V. Kreuschitz e D. Martin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 28 settembre 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Hartmann e il Freistaat Bayern, in merito al rifiuto, da parte di quest’ultimo, di concederle l’assegno parentale per i figli da lei allevati.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

3        L’art. 7, nn. 1 e 2, del regolamento n. 1612/68 prevede quanto segue:

«1. Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato.

Egli gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali».

 La normativa nazionale

4        Come risulta dalla decisione di rinvio, l’art. 1, n. 1, della legge in materia di assegno e di congedo parentali (Bundeserziehungsgeldgesetz; in prosieguo: il «BErzGG»), nella versione in vigore all’epoca dei fatti della causa principale, prevedeva che ha diritto a un assegno parentale colui che ha in Germania la residenza o dimora abituale, ha un figlio convivente a carico, si prende cura del figlio e lo alleva e non esercita attività lavorativa o non la esercita a tempo pieno.

5        Peraltro, a norma dell’art. 1, n. 4, del BErzGG, nella sua versione applicabile all’epoca dei fatti della causa principale, i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea e i lavoratori frontalieri degli Stati confinanti con la Germania hanno diritto ad un assegno parentale purché svolgano in tale Stato membro un’attività lavorativa di entità non trascurabile.

6        Ai sensi dell’art. 1, n. 7, del BErzGG, nella versione modificata del 12 ottobre 2000, il coniuge, residente in un altro Stato membro, di una persona occupata nell’ambito di un rapporto di pubblico impiego o presso la pubblica amministrazione tedesca può beneficiare dell’assegno parentale. Tale disposizione non si applica ai figli nati anteriormente al 1° gennaio 2001, in conformità dell’art. 24, n. 1, del BErzGG, nella versione modificata del 12 ottobre 2000.

 La causa principale e le questioni pregiudiziali

7        La sig.ra Hartmann è una cittadina austriaca sposata dal 1990 ad un cittadino tedesco che in precedenza risiedeva in Germania. Dal 1990 la coppia vive in Austria con i suoi tre figli, nati rispettivamente nel marzo 1991, nel maggio 1993 e nel settembre 1997. Il marito della ricorrente lavora come impiegato in Germania (presso la Deutsche Bundespost, dal 1986, e presso la Deutsche Telekom AG, dal 1995).

8        Con decisioni in data 25 settembre 1991, nella versione della decisione resa su opposizione il 7 gennaio 1992, e del 20 settembre 1993, nella versione della decisione resa su opposizione il 26 gennaio 1994, il Freistaat Bayern ha rifiutato di concedere alla sig.ra Hartmann l’assegno parentale previsto dal BErzGG, nella versione applicabile all’epoca dei fatti della causa principale, per i suoi primi due figli.

9        Con decisioni in data 10 e 23 giugno 1998, nella versione della decisione resa su opposizione il 7 settembre 1998, le domande di riesame presentate dalla ricorrente sono state respinte, come pure la sua domanda di assegno parentale per il primo anno di vita del figlio minore. Il rifiuto di concedere tale assegno parentale è motivato dal fatto che la sig.ra Hartmann non è residente in Germania e non esercita alcuna attività lavorativa in tale Stato membro.

10      Avendo il Sozialgericht München, con decisione 14 febbraio 2001, respinto il ricorso proposto dalla sig.ra Hartmann, essa ha impugnato tale decisione dinanzi al Bayerische Landessozialgerich, che ha anch’esso respinto la sua domanda con sentenza 1° luglio 2003. Tale giudice ha dichiarato che, in forza del diritto tedesco, la sig.ra Hartmann non poteva beneficiare dell’assegno parentale in quanto non risiedeva in Germania. L’assegno di cui trattasi non poteva neppure esserle corrisposto in base al diritto comunitario.

11      Secondo il detto giudice, il regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, nella sua versione modificata e aggiornata dal regolamento (CEE) del Consiglio 2 giugno 1983, n. 2001 (GU L 230, pag. 6), come modificato dal regolamento (CEE) del Consiglio 30 aprile 1992, n. 1249 (GU L 136, pag. 28; in prosieguo: il «regolamento n. 1408/71»), non sarebbe applicabile nel caso di specie, dal momento che né la sig.ra Hartmann né suo marito rientrerebbero nell’ambito di applicazione di tale regolamento. Infatti la sig.ra Hartmann non avrebbe alcun lavoro e suo marito, in quanto impiegato pubblico, non sarebbe considerato come un «lavoratore» ai sensi dell’allegato I, punto I, C («Germania»), del regolamento n. 1408/71.

12      Il Bayerische Landessozialgericht ha aggiunto che il diritto all’assegno per l’educazione non poteva neppure fondarsi sull’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, poiché il regolamento n. 1408/71 prevale su quest’ultimo regolamento.

13      La ricorrente ha quindi adito il Bundesssozialgerich con un ricorso per cassazione («Revision»).

14      In tale contesto il Bundessozialgerich ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se debba essere considerato lavoratore migrante, ai sensi del regolamento n. 1612/68 (…), con riguardo al periodo compreso tra il gennaio 1994 e il settembre 1998, anche un cittadino tedesco che, pur mantenendo il proprio rapporto di lavoro in Germania quale dipendente delle poste, abbia trasferito la propria residenza da tale Stato in Austria nel 1990, esercitando da allora la propria attività lavorativa in qualità di lavoratore frontaliero.

2)      In caso di soluzione positiva della prima questione:

se costituisca una discriminazione indiretta, ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68, il fatto che al coniuge del soggetto indicato nella prima questione, residente in Austria e di cittadinanza austriaca, disoccupato, sia stata negata, nel periodo sopra indicato, la corresponsione dell’assegno parentale tedesco, per il motivo che non dimorava né risiedeva abitualmente in Germania».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

15      Con la sua prima questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se un cittadino di uno Stato membro che, pur mantenendo il proprio rapporto di lavoro in questo Stato, abbia trasferito la propria residenza in un altro Stato membro e abbia esercitato da allora la propria attività lavorativa in qualità di lavoratore frontaliero possa avvalersi dello status di «lavoratore migrante» ai sensi del regolamento n. 1612/68.

16      Il governo tedesco, il governo del Regno Unito e la Commissione delle Comunità europee nelle loro osservazioni scritte, e il governo olandese nel corso dell’udienza, hanno sostenuto che solo il trasferimento di una persona verso un altro Stato membro allo scopo di esercitare un’attività lavorativa dovrebbe essere considerato come esercizio del diritto alla libera circolazione dei lavoratori. Di conseguenza una persona come il sig. Hartmann, che non ha mai lasciato il proprio lavoro nello Stato membro di cui è cittadino e che ha semplicemente trasferito la propria residenza nello Stato membro del suo coniuge, non potrebbe beneficiare delle disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione dei lavoratori.

17      A questo riguardo occorre rilevare che tale ragionamento dev’essere esaminato alla luce della sentenza 21 febbraio 2006, causa C-152/03, Ritter-Coulais (Racc. pag. I‑1711). In tale causa, dopo aver esaminato la situazione dei ricorrenti nella causa principale rispetto al principio di libera circolazione dei lavoratori enunciato all’art. 48 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE), la Corte ha ricordato, ai punti 31 e 32 di tale sentenza, che ogni cittadino comunitario che abbia usufruito del diritto alla libera circolazione dei lavoratori e abbia esercitato un’attività lavorativa in uno Stato membro diverso da quello di residenza, indipendentemente dal suo luogo di residenza e dalla sua cittadinanza, rientra nella sfera di applicazione di tale disposizione. Di conseguenza i ricorrenti nella causa principale, che lavoravano in uno Stato membro diverso rispetto a quello in cui si trovava la loro effettiva residenza, rientravano nel campo di applicazione dell’art. 48 del Trattato.

18      Nel caso di specie la situazione all’origine della controversia di cui alla causa principale è quella di una persona che risiede, in seguito al trasferimento della sua residenza, in uno Stato membro e che esercita un’attività lavorativa in un altro Stato membro. Infatti il trasferimento del sig. Hartmann in Austria per ragioni non professionali non giustifica che gli venga negata la qualifica di lavoratore migrante che egli ha acquisito dal momento in cui, successivamente al trasferimento della sua residenza in Austria, ha esercitato pienamente il suo diritto alla libera circolazione dei lavoratori recandosi in Germania per esercitarvi un’attività lavorativa.

19      Ne consegue che, per il periodo compreso tra il gennaio 1994 e il settembre 1998, la situazione di un lavoratore frontaliero come il sig. Harmann rientra nel campo di applicazione delle disposizioni del Trattato CE relative alla libera circolazione dei lavoratori e, di conseguenza, del regolamento n. 1612/68.

20      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione dichiarando che un cittadino di uno Stato membro che, pur mantenendo il proprio impiego in tale Stato, abbia trasferito la propria residenza in un altro Stato membro ed eserciti da allora la propria attività lavorativa in qualità di lavoratore frontaliero, può avvalersi dello status di «lavoratore migrante» ai sensi del regolamento n. 1612/68.

 Sulla seconda questione

21      Con la seconda questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, l’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 osti a che il coniuge di un lavoratore migrante il quale è disoccupato, risiede in Austria ed è cittadino di tale Stato membro sia escluso dal beneficio dell’assegno parentale tedesco, in quanto non aveva né la residenza né la dimora abituale in Germania.

22      La Corte ha già dichiarato che l’assegno parentale costituisce un «vantaggio» sociale ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 (v. sentenza 12 maggio 1998, causa C‑85/96, Martínez Sala, Racc. pag. I-2691, punto 26).

23      I governi tedesco e del Regno Unito hanno rilevato che sarebbe ingiusto consentire a un lavoratore frontaliero, che ha la sua residenza e il suo luogo di lavoro in Stati membri diversi, di beneficiare degli stessi vantaggi sociali nei due Stati membri e di combinarli. Per evitare tale rischio e in considerazione del fatto che il regolamento n. 1612/68 non contiene norme di coordinamento destinate ad evitare i cumuli di prestazioni, potrebbe escludersi la possibilità di «esportare» l’assegno parentale nello Stato membro di residenza del lavoratore frontaliero.

24      In proposito occorre rilevare che la qualità di lavoratore frontaliero del sig. Hartmann non gli impedisce affatto di poter esigere la parità di trattamento prevista all’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 per quanto riguarda la concessione di vantaggi sociali. La Corte ha già dichiarato che i lavoratori frontalieri possono avvalersi delle disposizioni dell’art. 7 del regolamento n. 1612/68 allo stesso titolo di qualsiasi altro lavoratore previsto in tale disposizione. Infatti il quarto ‘considerando’ di tale regolamento prevede espressamente che il diritto alla libera circolazione debba essere riconosciuto «indistintamente ai lavoratori “permanenti”, stagionali e frontalieri o a quelli che esercitino la loro attività in occasione di una prestazione di servizi», e il suo art. 7 si riferisce, senza riserve, al «lavoratore cittadino di uno Stato membro» (sentenza 27 novembre 1997, causa C-57/96, Meints, Racc. pag. I‑6689, punto 50).

25      Occorre ricordare che nella causa principale l’assegno per l’educazione è rivendicato dalla sig.ra Harmann che, in quanto coniuge di un lavoratore che rientra nel campo di applicazione del regolamento n. 1612/68, è solo una beneficiaria indiretta della parità di trattamento, attribuita al lavoratore migrante dall’art. 7, n. 2, di tale regolamento. Di conseguenza il beneficio dell’assegno parentale tedesco può essere esteso alla ricorrente solo se tale assegno costituisce per il suo coniuge un «vantaggio sociale» ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 (v., per analogia, sentenza 26 febbraio 1992, causa C‑3/90, Bernini, Racc. pag. I‑1071, punto 26).

26      Questo accade nel caso di specie. Una prestazione come l’assegno parentale tedesco, che consente ad uno dei genitori di consacrarsi all’educazione di un bambino in tenera età, compensando i carichi familiari (v., in tal senso, sentenza 10 ottobre 1996, cause riunite C‑245/94 e C‑312/94, Hoever e Sachow, Racc. pag. I‑4895, punti 23-25), va a beneficio della famiglia nel suo complesso, indipendentemente da quale sia il genitore che la rivendica. Infatti la concessione di tale assegno al coniuge del lavoratore può ridurre l’obbligo che grava su quest’ultimo di contribuire ai carichi familiari e, quindi, rappresenta per lui un «vantaggio sociale» ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 (v., per analogia, sentenza Bernini, cit., punto 25).

27      L’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 prevede che il lavoratore migrante benefici nello Stato membro ospitante degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali. Poiché l’assegno per l’educazione costituisce un «vantaggio sociale» ai sensi di tale disposizione, un lavoratore migrante che si trovi in una situazione come quella del sig. Hartmann, e conseguentemente sua moglie, per le ragioni illustrate ai punti 25 e 26 della presente sentenza, dovrebbe essere in grado di beneficiarne allo stesso titolo di un lavoratore nazionale.

28      Orbene, dal fascicolo presentato alla Corte risulta che la normativa tedesca subordina, in via principale, la concessione dell’assegno per l’educazione alla condizione che i suoi beneficiari siano residenti nel territorio nazionale. Poiché una tale normativa può determinare una discriminazione indiretta dei lavoratori che non risiedono in Germania, il giudice nazionale si chiede se essa possa essere giustificata e se risponda al criterio di proporzionalità.

29      Occorre ricordare che il principio della parità di trattamento sancito sia all’art. 39 CE sia all’art. 7 del regolamento n. 1612/68 vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato (sentenza Meints, cit., punto 44).

30      A meno che non sia obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata allo scopo perseguito, una disposizione di diritto nazionale dev’essere giudicata indirettamente discriminatoria quando, per sua stessa natura, tenda ad incidere più sui lavoratori migranti che su quelli nazionali e, di conseguenza, rischi di essere sfavorevole in modo particolare ai primi (sentenza Meints, cit., punto 45).

31      Ciò accade nel caso di un requisito di residenza come quello di cui si discute nella causa principale che, come rileva il giudice nazionale, può essere più facilmente soddisfatto dai lavoratori tedeschi o dai lori coniugi, i quali risiedono per lo più in Germania, che dai lavoratori cittadini di altri Stati membri o dai loro coniugi, che risiedono più frequentemente in un altro Stato membro (v., per analogia, sentenza 8 giugno 1999, causa C‑337/97, Meeusen, Racc. pag. I‑3289, punti 23 e 24).

32      Secondo i chiarimenti forniti dal giudice nazionale, l’assegno parentale tedesco costituisce uno strumento di politica familiare nazionale diretto a incentivare la natalità nel paese. Il principale obiettivo di tale assegno sarebbe quello di consentire ai genitori di allevare essi stessi i propri figli, rinunciando alla loro attività lavorativa o riducendola per dedicarsi ad allevare i figli durante la prima fase della loro esistenza.

33      Il governo tedesco aggiunge, in sostanza, che l’assegno parentale è concesso per agevolare le persone che, attraverso la scelta del loro luogo di residenza, hanno instaurato un legame effettivo con la società tedesca. In tale contesto sarebbe giustificato un requisito di residenza, come quello di cui alla causa principale.

34      Indipendentemente dalla questione se gli obiettivi perseguiti dalla normativa tedesca possano giustificare una normativa nazionale basata esclusivamente sul criterio della residenza, occorre constatare che, secondo i chiarimenti forniti dal giudice nazionale, il legislatore tedesco non si è limitato ad un’applicazione restrittiva del criterio della residenza per la concessione dell’assegno parentale, ma ha ammesso talune eccezioni che consentono anche ai lavoratori frontalieri di beneficiarne.

35      Infatti, dalla decisione di rinvio risulta che, a norma dell’art. 1, n. 4, del BErzGG, nella versione in vigore all’epoca dei fatti della causa principale, i lavoratori frontalieri che esercitano un’attività lavorativa in Germania, ma che sono residenti in un altro Stato membro, hanno diritto all’assegno parentale tedesco se la loro attività lavorativa supera la soglia dell’attività di entità trascurabile.

36      Di conseguenza risulta che, secondo la normativa tedesca in vigore all’epoca dei fatti della causa principale, la residenza non era considerata come l’unico criterio di collegamento allo Stato membro interessato e che un contributo rilevante al mercato del lavoro nazionale costituiva anch’esso un valido elemento di integrazione nella società di tale Stato membro.

37      Dati tali elementi, la concessione dell’assegno parentale di cui alla causa principale non può essere rifiutato ad una coppia, come i coniugi Hartmann, che non è residente in Germania, ma di cui uno dei componenti svolge in tale Stato un’attività lavorativa a tempo pieno.

38      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la seconda questione dichiarando che, in circostanze come quelle di cui alla causa principale, l’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 osta a che il coniuge di un lavoratore migrante che esercita un’attività lavorativa in uno Stato membro, il quale è disoccupato e risiede in un altro Stato membro, sia escluso dal beneficio di un vantaggio sociale che ha le caratteristiche dell’assegno parentale, in quanto non ha né la residenza né la dimora abituale nel primo Stato.

 Sulle spese

39      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      Un cittadino di uno Stato membro che, pur mantenendo il proprio impiego in tale Stato, abbia trasferito la propria residenza in un altro Stato membro ed eserciti da allora la propria attività lavorativa in qualità di lavoratore frontaliero può avvalersi dello status di «lavoratore migrante» ai sensi del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità.

2)      In circostanze come quelle di cui alla causa principale, l’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 osta a che il coniuge di un lavoratore migrante che esercita un’attività lavorativa in uno Stato membro, coniuge disoccupato e residente in un altro Stato membro, sia escluso dal beneficio di un vantaggio sociale che ha le caratteristiche dell’assegno parentale, in quanto non ha né la residenza né la dimora abituale nel primo Stato.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.

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