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Document 62003CJ0456

Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 16 giugno 2005.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Inadempimento di uno Stato - Direttiva 98/44/CE - Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche - Ricevibilità - Mancata trasposizione - Artt. 3, n. 1, 5, n. 2, 6, n. 2, e 8-12.
Causa C-456/03.

Raccolta della Giurisprudenza 2005 I-05335

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:388

Causa C-456/03

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica italiana

«Inadempimento di uno Stato — Direttiva 98/44/CE — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Ricevibilità — Mancata trasposizione — Artt. 3, n. 1, 5, n. 2, 6, n. 2, e 8-12»

Conclusioni dell’avvocato generale D. Ruiz-Jarabo Colomer, presentate il 10 marzo 2005 

Sentenza della Corte (Terza Sezione) 16 giugno 2005 

Massime della sentenza

1.     Ricorso per inadempimento — Prova dell’inadempimento — Onere gravante sulla Commissione — Presunzioni — Inammissibilità — Mancato rispetto dell’obbligo di informazione imposto agli Stati membri da una direttiva — Conseguenze

(Artt. 10 CE e 226 CE)

2.     Ricorso per inadempimento — Oggetto della controversia — Determinazione nel corso del procedimento precontenzioso — Modifica successiva in senso restrittivo — Ammissibilità

(Art. 226 CE)

3.     Ravvicinamento delle legislazioni — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44 — Brevettabilità delle invenzioni che fanno uso di materiale biologico — Brevettabilità degli elementi isolati del corpo umano o altrimenti prodotti con un procedimento tecnico — Normativa nazionale che si limita a definire le condizioni per la brevettabilità di qualsiasi invenzione — Inammissibilità in mancanza di una sanzione giurisprudenziale della brevettabilità delle dette invenzioni o dei detti elementi

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44/CE, artt. 3, n. 1, e 5, n. 2)

4.     Ravvicinamento delle legislazioni — Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche — Direttiva 98/44 — Non brevettabilità di taluni processi specifici, come la clonazione degli esseri umani e l’impiego di embrioni umani a fini industriali o commerciali — Normativa nazionale che si limita ad escludere la brevettabilità delle invenzioni contrarie all’ordine pubblico o al buon costume — Inammissibilità

(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 98/44, art. 6, nn. 1 e 2)

1.     Se, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione, che ha l’onere di dimostrare l’esistenza dell’asserito inadempimento, fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza potersi fondare su alcuna presunzione, gli Stati membri sono comunque tenuti, a norma dell’art. 10 CE, ad agevolarla nello svolgimento del suo compito. È del resto a tal fine che un certo numero di direttive impone agli Stati membri un obbligo di informazione.

In mancanza delle suddette informazioni, la Commissione non è in grado di stabilire se uno Stato membro abbia effettivamente e completamente attuato una direttiva. L’inadempimento di tale obbligo da parte di uno Stato membro – che non abbia affatto fornito informazioni o le abbia date in modo non abbastanza chiaro e preciso – può giustificare di per sé l’avvio di un procedimento ai sensi dell’art. 226 CE. Lo Stato membro interessato non può allora contestare alla Commissione la mancanza di precisione dell’atto introduttivo del ricorso dato che essa risulta dal comportamento di tale Stato.

(v. punti 26-27, 29)

2.     L’oggetto di un ricorso per inadempimento proposto in applicazione dell’art. 226 CE è determinato dal procedimento precontenziosa previsto dal medesimo articolo, di modo che il ricorso deve essere basato sul medesimo ragionamento e sui medesimi motivi del parere motivato. Tale requisito non può tuttavia giungere fino al punto di imporre in ogni caso una perfetta coincidenza tra l’esposizione delle censure nella lettera di messa in mora, il dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso, quando l’oggetto della controversia non è stata ampliato o modificato.

Ciò si verifica quando la Commissione, dopo aver contestato ad uno Stato membro l’assenza di qualsiasi trasposizione di una direttiva, precisa poi che la trasposizione fatta valere da tale Stato per la prima volta in una fase successiva del procedimento è comunque inesatta o incompleta per quanto riguarda talune disposizioni della stessa direttiva. Infatti, un tale addebito è necessariamente compreso in quello attinente all’assenza di qualsiasi trasposizione e riveste un carattere subordinato rispetto a quest’ultimo.

(v. punti 35, 39-40)

3.     Viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 3, n. 1, e 5, n. 2, della direttiva 98/44, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, lo Stato membro che non prevede né la brevettabilità delle invenzioni che impiegano materiale biologico né quella degli elementi isolati del corpo umano o altrimenti prodotti con un procedimento tecnico, ma si limita a definire, in maniera generale, le condizioni della brevettabilità di qualsiasi invenzione, senza far valere, per il resto, alcuna decisione giudiziaria che abbia specificamente sancito la brevettabilità di tali invenzioni o di tali elementi. Di conseguenza, infatti, è palese che, nonostante l’obiettivo di chiarificazione perseguito dalla direttiva 98/44, persiste una situazione di incertezza circa la possibilità di far tutelare le invenzioni biotecnologiche ricorrendo al diritto dello Stato membro interessato.

(v. punti 59-61, 71-73)

4.     Viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 6, n. 2, della direttiva 98/44, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, lo Stato membro che non prevede esplicitamente la non brevettabilità di taluni processi specifici, come la clonazione degli esseri umani e l’impiego di embrioni umani a fini industriali o commerciali, ma si limita, in termini generici, ad escludere la brevettabilità delle invenzioni il cui sfruttamento sarebbe contrario all’ordine pubblico o al buon costume e gli atti di disposizione del corpo umano.

Infatti, contrariamente all’art. 6, n. 1, di tale direttiva, che lascia alle autorità amministrative ed ai giudici degli Stati membri un ampio margine discrezionale nell’attuazione dell’esclusione della brevettabilità delle invenzioni il cui sfruttamento commerciale sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume, il n. 2 dello stesso articolo non lascia agli Stati membri alcun margine discrezionale per quanto riguarda la non brevettabilità dei procedimenti e delle utilizzazioni ivi menzionate, dato che tale disposizione è diretta precisamente a circoscrivere l’esclusione prevista al n. 1.

(v. punti 78, 80)




SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

16 giugno 2005 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva 98/44/CE – Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche – Ricevibilità – Mancata trasposizione – Artt. 3, n. 1, 5, n. 2, 6, n. 2, e 8‑12»

Nel procedimento C‑456/03,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 27 ottobre 2003,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra K. Banks, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. J.‑P. Puissochet, S. von Bahr, U. Lõhmus e A. Ó Caoimh (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. D. Ruiz‑Jarabo Colomer

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 marzo 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       Con il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (GU L 213, pag. 13; in prosieguo: la «direttiva»), la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 15 di tale direttiva.

 Contesto normativo

 Normativa comunitaria

2       Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva:

«Gli Stati membri proteggono le invenzioni biotecnologiche tramite il diritto nazionale dei brevetti. Essi, se necessario, adeguano il loro diritto nazionale dei brevetti per tener conto delle disposizioni della presente direttiva».

3       Secondo l’art. 3, n. 1, della stessa direttiva:

«Ai fini della presente direttiva, sono brevettabili le invenzioni nuove che comportino un’attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale, anche se hanno ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico».

4       L’art. 5 della direttiva recita:

«1.      Il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, non possono costituire invenzioni brevettabili.

2.      Un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un’invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale.

3.      L’applicazione industriale di una sequenza o di una sequenza parziale di un gene dev’essere concretamente indicata nella richiesta di brevetto».

5       L’art. 6 della detta direttiva precisa:

«1.      Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume; lo sfruttamento di un’invenzione non può di per sé essere considerato contrario all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare.

2.      Ai sensi del paragrafo 1, sono considerati non brevettabili in particolare:

a)      i procedimenti di clonazione di esseri umani;

b)      i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano;

c)      le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali;

d)      i procedimenti di modificazione dell’identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l’uomo o l’animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti».

6       Il capitolo II della direttiva è dedicato all’ambito della protezione attribuita da un brevetto relativo ad un’invenzione biotecnologia. Esso contiene le seguenti disposizioni:

«Articolo 8

1.      La protezione attribuita da un brevetto relativo ad un materiale biologico dotato, in seguito all’invenzione, di determinate proprietà si estende a tutti i materiali biologici da esso derivati mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotati delle stesse proprietà.

2.      La protezione attribuita da un brevetto relativo ad un procedimento che consente di produrre un materiale biologico dotato, per effetto dell’invenzione, di determinate proprietà si estende al materiale biologico direttamente ottenuto da tale procedimento e a qualsiasi altro materiale biologico derivato dal materiale biologico direttamente ottenuto mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotato delle stesse proprietà.

Articolo 9

Fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 1, la protezione attribuita da un brevetto ad un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione.

Articolo 10

La protezione di cui agli articoli 8 e 9 non si estende al materiale biologico ottenuto mediante riproduzione o moltiplicazione di materiale biologico commercializzato nel territorio di uno Stato membro dal titolare del brevetto o con il suo consenso, qualora la riproduzione o la moltiplicazione derivi necessariamente dall’utilizzazione per la quale il materiale biologico è stato commercializzato, purché il materiale ottenuto non venga utilizzato successivamente per altre riproduzioni o moltiplicazioni.

Articolo 11

1.      In deroga agli articoli 8 e 9, la vendita o un’altra forma di commercializzazione di materiale di riproduzione di origine vegetale, da parte del titolare del brevetto o con il suo consenso, ad un agricoltore a fini di sfruttamento agricolo implica l’autorizzazione per l’agricoltore ad utilizzare il prodotto del raccolto per la riproduzione o la moltiplicazione in proprio nella propria azienda; l’ambito e le modalità di questa deroga corrispondono a quelli previsti dall’articolo 14 del regolamento (CE) n. 2100/94.

2.      In deroga agli articoli 8 e 9, la vendita o un’altra forma di commercializzazione di bestiame di allevamento o di altro materiale di riproduzione di origine animale, da parte del titolare del brevetto o con il suo consenso, ad un agricoltore implica l’autorizzazione per quest’ultimo ad utilizzare il bestiame protetto per uso agricolo. Tale autorizzazione include la messa a disposizione dell’animale o di altro materiale di riproduzione di origine animale per la prosecuzione della propria attività agricola, ma non la vendita nell’ambito o ai fini di un’attività di riproduzione commerciale.

3.      L’ambito e le modalità di applicazione della deroga di cui al paragrafo 2 sono disciplinati dalle disposizioni legislative e regolamentari e dalle prassi nazionali».

7       Ai sensi dell’art. 12 della direttiva:

«1.      Un costitutore, qualora non possa ottenere o sfruttare commercialmente una privativa sui ritrovati vegetali senza violare un brevetto precedente, può chiedere una licenza obbligatoria per lo sfruttamento non esclusivo dell’invenzione protetta dal brevetto, in quanto tale licenza sia necessaria allo sfruttamento della varietà vegetale da proteggere, dietro pagamento di un canone adeguato. Gli Stati membri stabiliscono che, in caso di concessione della licenza, il titolare del brevetto ha reciprocamente diritto ad una licenza reciproca a condizioni ragionevoli per utilizzare la varietà protetta.

2.      Il titolare di un brevetto riguardante un’invenzione biotecnologica, qualora non possa sfruttarla senza violare una privativa precedente sui ritrovati vegetali, può chiedere una licenza obbligatoria per l’uso non esclusivo della varietà protetta dalla privativa, dietro pagamento di un canone adeguato. Gli Stati membri stabiliscono che, in caso di concessione della licenza, il titolare della privativa per ritrovati vegetali ha reciprocamente diritto ad una licenza a condizioni ragionevoli per utilizzare l’invenzione protetta.

3.      Coloro che chiedono le licenze di cui ai paragrafi 1 e 2 devono dimostrare:

a)      che si sono rivolti invano al titolare del brevetto o della privativa sui ritrovati vegetali per ottenere una licenza contrattuale;

b)      che la varietà vegetale o l’invenzione costituisce un progresso tecnico significativo, di notevole interesse economico rispetto all’invenzione rivendicata nel brevetto o alla varietà vegetale protetta.

(…)».

8       Infine, l’art. 15 della detta direttiva recita:

«1.      Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro e non oltre il 30 luglio 2000. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

2.      Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva».

 Normativa nazionale

9       L’art. 5 del codice civile italiano recita:

«Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume».

10     Ai sensi dell’art. 1 bis, n. 1, del regio decreto 29 giugno 1939, n. 1127 (GURI n. 189 del 14 agosto 1939; in prosieguo: il «regio decreto n. 1127/39»):

«In particolare il brevetto conferisce al titolare i seguenti diritti esclusivi:

a)      se oggetto del brevetto è un prodotto, il diritto di vietare ai terzi, salvo suo consenso, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione;

b)      se oggetto del brevetto è un procedimento, il diritto di vietare ai terzi, salvo suo consenso, di applicare il procedimento, nonché di usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione».

11     L’art. 12 di tale stesso decreto recita:

«Possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un’applicazione industriale.

Non sono considerate come invenzioni ai sensi del precedente comma in particolare:

a)      le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici;

(…)

Le disposizioni del comma che precede escludono la brevettabilità di ciò che in esse è nominato solo nella misura in cui la domanda di brevetto o il brevetto concerna scoperte, teorie, piani, principi, metodi e programmi considerati in quanto tali.

Non sono considerate come invenzioni ai sensi del primo comma, i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale (…)».

12     L’art. 13 del regio decreto n. 1127/39 precisa:

«Non possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni la cui attuazione sarebbe contraria all’ordine pubblico o al buon costume; l’attuazione di una invenzione non può essere considerata contraria all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto di essere vietata da una disposizione di legge o amministrativa.

Neppure possono costituire oggetto di brevetto le razze animali ed i procedimenti essenzialmente biologici per l’ottenimento delle stesse; questa disposizione non si applica ai procedimenti microbiologici e ai prodotti ottenuti mediante questi procedimenti».

13     Ai sensi dell’art. 54, n. 2, del suddetto regio decreto:

«La licenza obbligatoria di cui al comma 1 può ugualmente venire concessa:

(…)

b)      se l’invenzione protetta dal brevetto non possa essere utilizzata senza pregiudizio dei diritti relativi ad un brevetto concesso in base a domanda precedente. In tal caso la licenza può essere concessa al titolare del brevetto posteriore nella misura necessaria a sfruttare l’invenzione, purché questa rappresenti, rispetto all’oggetto del precedente brevetto, un importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica. Salvo il disposto dell’art. 54 bis, comma 5, la licenza così ottenuta non è cedibile se non unitamente alla cessione del brevetto sull’invenzione dipendente. Il titolare del brevetto sull’invenzione principale ha diritto a sua volta alla concessione di una licenza obbligatoria a condizioni ragionevoli sul brevetto dell’invenzione dipendente».

 Procedimento precontenzioso

14     Dopo aver constatato che la Repubblica italiana non l’aveva informata delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative da essa adottate per conformarsi alla direttiva, ed in mancanza di qualsiasi altro elemento che le consentisse di ritenere adottate le dette disposizioni, il 30 novembre 2000 la Commissione ha inviato a tale Stato membro una lettera di messa in mora ai sensi dell’art. 226 CE, invitandolo a presentare le sue osservazioni entro un termine di due mesi.

15     Non avendo ricevuto alcuna risposta nel termine impartito, il 19 dicembre 2002 la Commissione ha emesso un parere motivato in cui concludeva che, non avendo adottato le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva, la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della detta direttiva. La Commissione ha invitato tale Stato membro a adottare tali disposizioni entro un termine di due mesi a decorrere dalla ricezione del detto parere.

16     Le autorità italiane hanno risposto con lettera del 6 febbraio 2003. Esse hanno poi segnalato alla Commissione, con lettera 10 luglio 2003, che la preparazione dei provvedimenti necessari per l’attuazione della direttiva si trovava ad uno stadio avanzato.

17     La Commissione, considerando insoddisfacenti tali elementi, ha deciso di proporre il ricorso in esame.

 Sul ricorso

18     Occorre anzitutto osservare che il governo italiano, pur senza sollevare espressamente un’eccezione di irricevibilità, fa valere diversi addebiti di natura processuale idonei ad incidere sulla ricevibilità del ricorso. Prima di valutare la fondatezza di quest’ultimo, si deve quindi esaminare in primo luogo tali addebiti relativi alla ricevibilità.

 Sulla ricevibilità

19     Il governo italiano sostiene che, considerato il tenore letterale dell’art. 1 della direttiva, secondo cui gli Stati membri devono adeguare il loro diritto nazionale dei brevetti «se necessario», il che presuppone un grado già avanzato di protezione e di armonizzazione delle normative nazionali, nel suo ricorso la Commissione non avrebbe potuto limitarsi a constatare l’assenza formale di trasposizione di tale direttiva nei termini fissati, bensì avrebbe dovuto, fin da tale fase del procedimento, produrre la prova specifica che il diritto interno vigente non era conforme, in tutto o in parte, alla detta direttiva. Gli elementi fatti valere sul punto dalla Commissione nella sua controreplica sarebbero tardivi e non potrebbero quindi essere presi in considerazione.

20     La Commissione fa valere che l’art. 1 della direttiva non le impone alcun onere particolare della prova quando essa contesta ad uno Stato membro di non aver adottato alcuna misura di trasposizione. Nel caso di specie, durante la fase precontenziosa le autorità italiane non hanno mai precisato che il loro diritto interno fosse conforme alla detta direttiva. Al contrario, facendo valere che era in corso l’elaborazione di una legge di trasposizione, tali autorità avrebbero ammesso, almeno implicitamente, che la detta trasposizione richiedeva l’adozione di disposizioni particolari.

21     Occorre constatare che l’argomento del governo italiano su tale punto equivale a contestare doppiamente la regolarità del procedimento per inadempimento avviato dalla Commissione e, di conseguenza, la ricevibilità del ricorso in esame.

22     Infatti, da un lato, rilevando che il ricorso si limita a constatare l’assenza di qualsiasi trasposizione della direttiva, senza dimostrare in cosa il diritto interno vigente non le sia già conforme, il governo italiano addebita alla Commissione non solo di non aver provato la fondatezza dell’inadempimento, ma anche di non aver prodotto dinanzi alla Corte, con tale ricorso, gli elementi necessari alla verifica dell’esistenza di tale inadempimento. Dall’altro, opponendosi al fatto che tali elementi possano essere prodotti per la prima volta nella replica, lo stesso governo addebita alla Commissione di aver fatto valere motivi tardivi.

23     In primo luogo, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, conformemente agli artt. 21 dello Statuto della Corte di giustizia e 38, n. 1, lett. c), del suo regolamento di procedura, il ricorso deve contenere, tra l’altro, l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Di conseguenza, la Commissione è tenuta ad indicare, in ogni ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE, le censure esatte sulle quali la Corte è chiamata a pronunciarsi, nonché, quanto meno sommariamente, gli elementi di diritto e di fatto sui quali tali censure si fondano (v., in particolare, sentenza 13 dicembre 1990, causa C‑347/88, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑4747, punto 28).

24     È giocoforza constatare che il ricorso proposto dalla Commissione, in cui si contesta alla Repubblica italiana sostanzialmente di non aver adottato alcuna misura necessaria alla trasposizione della direttiva, contiene un’esposizione chiara di tale addebito e degli elementi di fatto e di diritto sui quali esso è fondato.

25     Certo, è pacifico che nel detto atto processuale la Commissione non ha tentato di dimostrare in cosa il diritto italiano vigente non fosse conforme alle disposizioni della direttiva.

26     Tuttavia, si deve rammentare che, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, spetta effettivamente alla Commissione, che ha l’onere di dimostrare l’esistenza dell’asserito inadempimento, fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza potersi fondare su alcuna presunzione; gli Stati membri sono comunque tenuti, a norma dell’art. 10 CE, ad agevolare la Commissione nello svolgimento del suo compito, che consiste in particolare, ai sensi dell’art. 211 CE, nel vegliare sull’applicazione delle norme del Trattato CE nonché delle disposizioni adottate dalle istituzioni in forza dello stesso Trattato (v., segnatamente, sentenze 25 maggio 1982, causa 96/81, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. 1791, punti 6 e 7, nonché 12 settembre 2000, causa C‑408/97, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑6417, punti 15 e 16). È a tal fine che l’art. 15 della direttiva, come anche altre direttive, impone agli Stati membri un obbligo di informazione.

27     Le informazioni che gli Stati membri sono così tenuti a fornire alla Commissione devono essere chiare e precise. Esse devono indicare senza ambiguità quali siano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative con cui lo Stato membro ritiene di aver adempiuto i vari obblighi impostigli dalla direttiva. In mancanza delle suddette informazioni, la Commissione non è in grado di stabilire se lo Stato membro abbia effettivamente e completamente attuato la direttiva. L’inadempimento di tale obbligo da parte di uno Stato membro – che non abbia affatto fornito informazioni o le abbia date in modo non abbastanza chiaro e preciso – può giustificare di per sé l’avvio di un procedimento ai sensi dell’art. 226 CE per far dichiarare l’inadempimento stesso (sentenza 25 maggio 1982, Commissione/Paesi Bassi, citata, punto 8).

28     Orbene, nel caso di specie, non è contestato che il governo italiano non solo non ha risposto alla lettera di messa in mora della Commissione, ma non ha indicato, nella sua risposta al parere motivato, che la direttiva doveva essere considerata già trasposta dal diritto interno vigente. Al contrario, avendola informata, tanto nella sua risposta al parere motivato quanto nella sua lettera successiva del 10 luglio 2003, del fatto che le disposizioni necessarie alla trasposizione della detta direttiva erano sul punto di essere adottate, tale governo ha implicitamente ma certamente lasciato intendere alla Commissione che il diritto interno vigente non era idoneo, in mancanza di adozione di misure particolari, a garantire una trasposizione corretta e completa della detta direttiva.

29     Di conseguenza, il governo italiano non può contestare alla Commissione di essersi limitata, nel suo ricorso, a constatare l’assenza di qualsiasi trasposizione della direttiva entro il termine prescritto, senza cercare di dimostrare perché le disposizioni del suo diritto interno vigente non erano conformi a quelle della detta direttiva. Infatti, l’asserita mancanza di precisione del ricorso risulta, come constatato dall’Avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, dal comportamento proprio di tale governo durante il procedimento precontenzioso (v., in tal senso, sentenza 12 settembre 2000, Commissione/Paesi Bassi, citata, punto 17).

30     Tale constatazione non è rimessa in discussione dal fatto che l’art. 1, n. 1, della direttiva prevede che gli Stati membri adeguino il loro diritto nazionale dei brevetti «se necessario» per tener conto delle disposizioni della stessa. Infatti, se è vero che tale articolo consente ai detti Stati membri di garantire, nel merito, la trasposizione della direttiva con le regole del loro diritto interno vigente, esso non li dispensa affatto dall’obbligo formale di informare la Commissione dell’esistenza di queste ultime affinché essa possa essere in grado di valutare la loro conformità rispetto alla detta direttiva.

31     Pertanto, questo argomento del governo italiano deve essere respinto. Poiché, per il resto, l’argomento della Repubblica italiana mira a contestare l’esistenza dell’inadempimento asserito, occorrerà esaminare quest’ultimo nel merito.

32     Per quanto riguarda, in secondo luogo, la ricevibilità degli argomenti fatti valere nella replica per dimostrare la mancata conformità del diritto interno vigente a talune disposizioni della direttiva, si deve rammentare che solo nel suo controricorso il governo italiano ha fatto valere la conformità del suo diritto vigente alla detta direttiva.

33     Di conseguenza, non si può contestare alla Commissione di aver risposto per la prima volta a tali argomenti nella sua replica, dato che quest’ultima, come già dichiarato dalla Corte, può legittimamente apportare precisazioni alle proprie conclusioni al fine di tener conto delle informazioni fornite da uno Stato membro nel suo controricorso (sentenza 22 giugno 1994, causa C‑243/89, Commissione/Danimarca, Racc. pag. I‑3353, punto 20). A tale riguardo si deve altresì constatare che l’art. 42, n. 2, del regolamento di procedura prevede espressamente che una parte può dedurre motivi nuovi in corso di causa al fine di tener conto di elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento.

34     Il governo italiano non può quindi censurare la Commissione per aver presentato, nella sua controreplica, argomenti che non figuravano nel suo ricorso.

35     Si deve tuttavia rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, l’oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE è determinato dal procedimento precontenzioso previsto dal medesimo articolo. Pertanto, il ricorso deve essere basato sul medesimo ragionamento e sui medesimi motivi del parere motivato (v., in particolare, sentenze 20 marzo 1997, causa C‑96/95, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑1653, punto 23; 15 gennaio 2002, causa C‑439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑305, punto 11, e 20 giugno 2002, causa C‑287/00, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑5811, punto 18).

36     Secondo la giurisprudenza, il procedimento precontenzioso ha lo scopo di dare allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi che gli derivano dal diritto comunitario e, dall’altro, di sviluppare un’utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione (v. sentenze 21 settembre 1999, causa C‑392/96, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑5901, punto 51; Commissione/Italia, citata, punto 10, e 29 aprile 2004, causa C‑117/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I‑5517, punto 53).

37     La regolarità di tale procedimento costituisce una garanzia essenziale prevista dal Trattato non soltanto a tutela dei diritti dello Stato membro di cui trattasi, ma anche per garantire che l’eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia chiaramente definita (v. sentenze 13 dicembre 2001, causa C‑1/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑9989, punto 53, e 20 giugno 2002, Commissione/Germania, citata, punto 17).

38     Nel caso di specie, è giocoforza constatare che, come sostiene il governo italiano, addebitandole durante il procedimento precontenzioso di non aver adottato le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva, la Commissione contestava in sostanza alla Repubblica italiana l’assenza di qualsiasi trasposizione di tale direttiva. Con gli argomenti relativi al diritto interno vigente presentati nella sua controreplica, invece, la Commissione fa valere che il detto Stato membro non ha proceduto alla trasposizione di talune disposizioni della direttiva, il che esige un esame dettagliato del diritto interno vigente per verificare quali tra tali disposizioni non siano state completamente o correttamente trasposte.

39     Occorre tuttavia rammentare che il requisito secondo cui l’oggetto del ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE è circoscritto dal procedimento precontenzioso previsto da tale disposizione non può giungere fino al punto di imporre in ogni caso una perfetta coincidenza tra l’esposizione delle censure nella lettera di messa in mora, il dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso, quando l’oggetto della controversia non è stato ampliato o modificato (v., in tal senso, sentenze 16 settembre 1997, causa C‑279/94, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4743, punto 25, e 11 luglio 2002, causa C‑139/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑6407, punto 19).

40     Ora, ciò si verifica quando, come nel caso di specie, la Commissione, dopo aver contestato ad uno Stato membro l’assenza di qualsiasi trasposizione di una direttiva, precisa, nella sua controreplica, che la trasposizione fatta valere dallo Stato membro interessato per la prima volta nel suo controricorso è comunque inesatta o incompleta per quanto riguarda talune disposizioni della stessa direttiva. Infatti, un tale addebito è necessariamente compreso in quello attinente all’assenza di qualsiasi trasposizione e riveste un carattere subordinato rispetto a quest’ultimo (v., in tal senso, Commissione/Portogallo, citata, punto 55).

41     Al riguardo, si deve osservare che, nel caso di specie, il procedimento precontenzioso ha raggiunto il suo obiettivo di tutelare i diritti dello Stato membro interessato. La Repubblica italiana ha infatti avuto occasione di conformarsi agli obblighi derivanti dalla direttiva, dato che, come risulta dalla sua risposta al parere motivato e dalla sua lettera successiva del 10 luglio 2003, essa ha informato la Commissione dello stato di avanzamento del procedimento di adozione della normativa prevista a tal fine. Inoltre, la Repubblica italiana ha avuto la possibilità, nell’ambito di tale fase del procedimento, di dimostrare che il suo diritto interno vigente era conforme ai requisiti stabiliti dalla direttiva, anche se ha ritenuto di non dover fare ricorso a tale possibilità nel caso di specie (v., in tal senso, sentenza 28 marzo 1985, causa 274/83, Commissione/Italia, Racc. pag. 1077, punto 20).

42     Di conseguenza, il governo italiano non può contestare alla Commissione di aver esteso o modificato l’oggetto del ricorso come delimitato dal procedimento precontenzioso.

43     Alla luce di tali considerazioni, gli addebiti del governo italiano diretti a contestare la ricevibilità del ricorso in esame devono essere respinti nel loro insieme.

 Nel merito

44     Nel dispositivo del suo ricorso la Commissione addebita alla Repubblica italiana di non aver adottato le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva. Nella sua controreplica, in risposta agli argomenti fatti valere dal governo italiano sul punto, essa sostiene, «per completezza», che il diritto interno vigente non è comunque conforme alla direttiva, segnatamente in quanto non garantisce un’adeguata trasposizione degli artt. 3, n. 1, 5, n. 2, 6, n. 2, e 8‑12 di tale direttiva.

45     Tale governo ammette che la legge che recepisce la direttiva non è stata adottata entro il termine da essa prescritto, dato che il procedimento normativo è ancora in corso. Esso considera tuttavia che, poiché la Commissione non ha fornito la prova, nel suo ricorso, della mancata conformità del diritto interno vigente alla detta direttiva, il ricorso dev’essere respinto. In ogni caso, il governo italiano ritiene il suo diritto interno dei brevetti conforme alla direttiva.

46     In via preliminare si deve rammentare, e ciò è pacifico tra le parti, che, contrariamente all’obbligo ad esso incombente in forza degli artt. 10 CE e 15 della direttiva, il governo italiano non ha informato la Commissione, tanto durante il termine di trasposizione quanto durante il procedimento precontenzioso, dei provvedimenti di diritto interno con cui considerava di aver proceduto alla trasposizione della detta direttiva. Per i motivi enunciati al punto 30 supra, è irrilevante al riguardo che l’asserita trasposizione non era stata effettuata a causa della conformità del diritto interno vigente a tale direttiva.

47     Tuttavia, poiché il ricorso in esame non ha ad oggetto un inadempimento dell’obbligo di informazione, bensì un inadempimento dell’obbligo di adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva, il mero fatto, per la Repubblica italiana, di non aver informato la Commissione che, a suo avviso, la detta direttiva era già trasposta dal diritto interno vigente non può bastare a dimostrare l’asserito inadempimento, contrariamente a quanto sembra suggerire la Commissione.

48     A tal riguardo, poiché le disposizioni di diritto interno fatte valere dal governo italiano erano in vigore alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, esse devono essere prese in considerazione dalla Corte per valutare l’esistenza di tale inadempimento (v., in tal senso, sentenza 10 maggio 2001, causa C‑152/98, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑3463, punto 21).

49     Pertanto, considerato l’oggetto del ricorso e al fine di esaminarne la fondatezza, si deve procedere ad una comparazione delle disposizioni della direttiva con le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nazionali con cui la Repubblica italiana ritiene di aver attuato la detta direttiva, per verificare se esse rappresentino una trasposizione sufficiente di quest’ultima.

50     A tal riguardo si deve rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, ciascuno degli Stati membri destinatari di una direttiva ha l’obbligo di adottare, nell’ambito del proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della direttiva, conformemente allo scopo che essa persegue (v., in particolare, sentenze 7 maggio 2002, causa C‑478/99, Commissione/Svezia, Racc. pag. I‑4147, punto 15, e 26 giugno 2003, causa C‑233/00, Racc. pag. I‑6625, punto 75).

51     Se quindi è indispensabile che la situazione giuridica derivante dalle misure nazionali di trasposizione sia sufficientemente precisa e chiara da permettere ai singoli interessati di conoscere l’ampiezza dei loro diritti e obblighi, cionondimeno, secondo la formulazione stessa dell’art. 249, terzo comma, CE, gli Stati membri possono scegliere la forma e i mezzi di attuazione delle direttive che meglio permettono di garantire il risultato che queste ultime devono raggiungere e da tale disposizione risulta che la trasposizione in diritto interno di una direttiva non esige necessariamente un’azione legislativa in ciascuno Stato membro. La Corte ha inoltre ripetutamente statuito che «non è sempre richiesta una formale riproduzione delle disposizioni di una direttiva in una norma di legge espressa e specifica, posto che per la trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in base al suo contenuto, un contesto normativo generale. In particolare, l’esistenza di principi generali di diritto costituzionale o amministrativo può rendere superflua la trasposizione mediante provvedimenti legislativi o regolamentari ad hoc, a condizione tuttavia che tali principi garantiscano effettivamente la piena applicazione della direttiva da parte dell’amministrazione nazionale, che, nel caso in cui la disposizione in parola sia diretta a creare diritti per i singoli, la situazione giuridica risultante da tali principi sia sufficientemente precisa e chiara e che i beneficiari siano messi in grado di conoscere la pienezza dei loro diritti e obblighi e, se del caso, di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali» (v. segnatamente, sentenze 23 maggio 1985, causa 29/84, Commissione/Germania, Racc. pag. 1661, punti 22 e 23, nonché 26 giugno 2003, Commissione/Francia, citata, punto 76).

52     Pertanto, occorre determinare caso per caso la natura della disposizione prevista da una direttiva, a cui si riferisce il ricorso di inadempimento, al fine di valutare l’estensione dell’obbligo di trasposizione che incombe sugli Stati membri (sentenza 26 giugno 2003, Commissione/Francia, citata, punto 77).

53     È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare i diversi addebiti sollevati dalla Commissione per dimostrare una trasposizione incompleta o inesatta della direttiva.

 Sull’addebito attinente alla violazione dell’art. 3, n. 1, della direttiva

54     La Commissione fa valere che la normativa italiana, in particolare l’art. 12 del regio decreto n. 1127/39, non contempla alcuna disposizione relativa alla possibilità di ottenere un brevetto per un’invenzione avente ad oggetto un prodotto composto da materiale biologico o che ne contiene.

55     Secondo il governo italiano, la nozione di «invenzione industriale» accolta dall’art. 12 del regio decreto n. 1127/39, come interpretata dalla giurisprudenza nazionale, è tuttavia sufficientemente ampia per includere i materiali biologici.

56     A tal riguardo si deve rammentare che, ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva, sono brevettabili le invenzioni nuove che comportino un’attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale, anche se hanno ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico.

57     Dallo stesso tenore letterale di tale disposizione emerge che essa prevede un preciso diritto alla brevettabilità delle invenzioni che fanno uso di materiale biologico, imponendo agli Stati membri, come risulta dal terzo e dall’ottavo ‘considerando’ della direttiva, di adeguare o completare il diritto nazionale dei brevetti per garantire una protezione efficace e armonizzata delle invenzioni biotecnologiche tale da mantenere e promuovere gli investimenti in questo settore.

58     Al riguardo, la Corte ha già dichiarato che, obbligando gli Stati membri a proteggere le invenzioni biotecnologiche tramite il loro diritto nazionale dei brevetti, la direttiva ha effettivamente lo scopo di prevenire i rischi per l’unicità del mercato interno che potrebbero derivare dal fatto che gli Stati membri decidano unilateralmente di concedere o negare siffatta protezione (sentenza 9 ottobre 2001, causa C‑377/98, Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I‑7079, punto 18). Così facendo, la direttiva, come emerge dai suoi ‘considerando’ 4‑6, mira a chiarificare la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche in un contesto caratterizzato da divergenze tra le legislazioni e le pratiche dei diversi Stati membri, che potrebbero accentuarsi, in particolare, con la diversa evoluzione delle giurisprudenze nazionali.

59     Ora, nel caso di specie, non si contesta che il diritto italiano dei brevetti non prevede in modo esplicito la brevettabilità delle invenzioni che impiegano materiale biologico, dato che l’art. 12 del regio decreto n. 1127/39 fatto valere dal governo italiano a tal riguardo si limita a definire, in modo generico, le condizioni per la brevettabilità di qualsiasi invenzione.

60     D’altra parte, se è vero che il governo italiano sostiene un’interpretazione ampia da parte dei giudici nazionali della nozione di «invenzione» contenuta nel diritto interno dei brevetti, esso non ha però fatto valere alcuna decisione giudiziaria che sancisca la brevettabilità di invenzioni che impiegano materiale biologico.

61     Di conseguenza, nonostante l’obiettivo di chiarificazione perseguito dalla direttiva, è palese che persiste una situazione di incertezza circa la possibilità di far tutelare le invenzioni biotecnologiche ricorrendo al diritto italiano dei brevetti.

62     Si deve quindi constatare che è fondato l’addebito della Commissione attinente alla violazione dell’art. 3, n. 1, della direttiva.

 Sull’addebito attinente alla violazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva

63     La Commissione fa valere che la normativa italiana non prevede la possibilità di brevettare un elemento isolato del corpo umano o altrimenti prodotto mediante un procedimento tecnico.

64     Il governo italiano ritiene l’art. 13 del regio decreto n. 1127/39 conforme all’art. 5, n. 2, della direttiva. D’altra parte, il solo elemento normativo di tale disposizione figurerebbe nell’ultima parte della frase, secondo cui una sequenza genetica «può costituire un’invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale». Ora, tenuto conto dell’ampia definizione di «invenzione» accolta dalla giurisprudenza nazionale, la brevettabilità di una riproduzione artificiale di un elemento presente in natura non è mai stata esclusa.

65     A tal riguardo si deve rammentare che, ai sensi del detto art. 5, n. 2, un elemento isolato del corpo umano o altrimenti prodotto con un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un’invenzione brevettabile, anche se la struttura di tale elemento è identica a quella di un elemento naturale.

66     Come la Corte ha dichiarato a tal proposito, gli elementi del corpo umano non sono di per sé brevettabili e la loro scoperta non può costituire oggetto di una protezione. Possono costituire oggetto di una domanda di brevetto soltanto le invenzioni che associno un elemento naturale a un processo tecnico che consenta di isolarlo o di produrlo ai fini di un suo sfruttamento industriale (sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, citata, punto 72).

67     Pertanto, come affermato nei ‘considerando’ ventesimo e ventunesimo della direttiva, un elemento del corpo umano può far parte di un prodotto tutelabile mediante brevetto, ma non può, nel suo ambiente naturale, essere oggetto di nessuna appropriazione (sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, citata, punto 73).

68     Questa distinzione si applica al caso di attività di ricerca relative alla sequenza o alla sequenza parziale del patrimonio genetico umano. I risultati di tali attività possono comportare il rilascio di un brevetto solo se la domanda è accompagnata, da un lato, da una descrizione del metodo originale di mappatura che ha permesso l’invenzione e, dall’altro, da un’indicazione dell’applicazione industriale cui siano finalizzate tali attività, così come precisato dall’art. 5, n. 3, della direttiva. In mancanza di siffatta applicazione, ci si troverebbe infatti in presenza non di un’invenzione, bensì della scoperta di una sequenza di DNA che non sarebbe brevettabile come tale (sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, citata, punto 74).

69     Pertanto, la protezione prevista dalla direttiva riguarda solo il risultato di un’attività di lavoro inventiva, scientifica o tecnica, e arriva a comprendere dati biologici esistenti allo stato di natura nell’essere umano solo in quanto necessari alla realizzazione e allo sfruttamento di una specifica applicazione industriale (sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, citata, punto 75).

70     Ne discende che l’art. 5, n. 2, della direttiva mira a riconoscere precisi diritti per quanto riguarda la brevettabilità di elementi del corpo umano. A tale riguardo, anche se tale disposizione prevede una mera possibilità di brevettabilità, essa impone agli Stati membri, come emerge dai ‘considerando’ diciassettesimo-ventesimo della direttiva, l’obbligo di prevedere che il loro diritto nazionale dei brevetti non escluda la brevettabilità di elementi isolati del corpo umano, per incoraggiare la ricerca intesa ad ottenere e isolare tali elementi utili per la produzione di medicinali.

71     Ora, nel caso di specie, è giocoforza constatare che il diritto italiano dei brevetti non prevede alcuna possibilità per elementi isolati del corpo umano di costituire un’invenzione brevettabile. In particolare, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano, l’art. 13 del regio decreto n. 1127/39 non contiene alcuna disposizione in tal senso.

72     D’altra parte, se è vero che il detto governo fa valere un’ampia interpretazione, da parte dei giudici nazionali, della nozione di «invenzione» accolta dal diritto interno dei brevetti, esso non ha però presentato alcuna decisione giudiziaria che ammetta la possibilità di brevettare elementi isolati del corpo umano.

73     In tali circostanze, nonostante l’obiettivo di chiarificazione perseguito dalla direttiva, sembra permanere uno stato d’incertezza in merito alla possibilità di far proteggere tali elementi ricorrendo al diritto italiano dei brevetti.

74     Di conseguenza, si deve constatare che è fondato l’addebito della Commissione attinente alla violazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva.

 Sull’addebito attinente alla violazione dell’art. 6, n. 2, della direttiva

75     La Commissione osserva che la normativa italiana, in particolare l’art. 13 del regio decreto n. 1127/39, non prevede la non brevettabilità di taluni processi specifici, come la clonazione degli esseri umani e l’impiego di embrioni umani a fini industriali o commerciali. Quanto alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, relativa alla procreazione medicalmente assistita (GURI n. 45 del 24 febbraio 2004; in prosieguo: la «legge n. 40/2004») che vieta le attività materiali riguardanti gli embrioni, essa non concerne la brevettabilità delle invenzioni.

76     Il governo italiano ritiene, da parte sua, che l’art. 13 della legge n. 40/2004, in combinato disposto con l’art. 13 del regio decreto n. 1127/39, rappresenta un’attuazione sufficiente dei principi sanciti dall’art. 6, n. 2, della direttiva, dato che tale legge qualifica la clonazione umana e la modifica dell’identità genetica dell’essere umano come pratiche contrarie all’ordine pubblico e al buon costume e ne esclude quindi la brevettabilità. Inoltre, l’art. 5 del codice civile prevede il divieto degli atti di disposizione del corpo umano, di modo che eventuali processi diretti a modificare l’identità genetica di un essere umano non potrebbero beneficiare della protezione di un brevetto nel diritto italiano.

77     Occorre rammentare che, ai sensi dell’art. 6, n. 2, della direttiva, sono considerati non brevettabili in particolare i procedimenti di clonazione di esseri umani, i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano, le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali e i procedimenti di modificazione dell’identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l’uomo o l’animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti.

78     Si deve osservare che, contrariamente all’art. 6, n. 1, di tale direttiva, che lascia alle autorità amministrative ed ai giudici degli Stati membri un ampio margine discrezionale nell’attuazione dell’esclusione della brevettabilità delle invenzioni il cui sfruttamento commerciale sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume, il n. 2 dello stesso articolo non lascia agli Stati membri alcun margine discrezionale per quanto riguarda la non brevettabilità dei procedimenti e delle utilizzazioni ivi menzionate, dato che tale disposizione è diretta precisamente a circoscrivere l’esclusione prevista al n. 1 (v., in tal senso, sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, citata, punti 37‑39). A tale riguardo, dal quarantesimo ‘considerando’ della direttiva emerge che la brevettabilità dei procedimenti di clonazione degli esseri umani deve essere esclusa «inequivocabilmente», dato che su tale questione si è concordi nella Comunità.

79     Ne discende che, escludendo espressamente la brevettabilità dei procedimenti e delle utilizzazioni ivi menzionati, l’art. 6, n. 2, della direttiva mira a riconoscere precisi diritti su tale punto.

80     Ora, è giocoforza constatare che né l’art. 13 del regio decreto n. 1127/39 né l’art. 5 del codice civile prevedono espressamente che i procedimenti e le utilizzazioni menzionati all’art. 6, n. 2, della direttiva non siano brevettabili, dato che tali disposizioni si limitano, in termini generici, ad escludere, rispettivamente, la brevettabilità delle invenzioni il cui sfruttamento sarebbe contrario all’ordine pubblico o al buon costume e gli atti di disposizione del corpo umano.

81     Sembra quindi che permanga, nonostante l’obiettivo di chiarificazione perseguito da tale direttiva, uno stato di incertezza in merito alla brevettabilità dei procedimenti e delle utilizzazioni di cui trattasi.

82     Tale incertezza rappresenta a maggior ragione una violazione della direttiva, in quanto l’art. 6, n. 1, di quest’ultima precisa che lo sfruttamento commerciale di un’invenzione non può essere considerato contrario all’ordine pubblico e al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione di legge o regolamentare. Come giustamente osservato dall’avvocato generale al paragrafo 55 delle sue conclusioni, tale precisazione deve essere interpretata nel senso che richiede che sia esplicitamente aggiunto il principio della non brevettabilità di procedimenti commerciali che comportino interventi su embrioni umani.

83     Quanto alle disposizioni della legge n. 40/2004, è pacifico che essa è stata adottata successivamente al termine impartito nel parere motivato. Ora, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito delle procedure avviate ai sensi dell’art. 226 CE, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v., segnatamente, sentenze 3 luglio 2001, causa C‑378/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑5107, punto 25, e 5 giugno 2003, causa C‑352/02, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑5651, punto 8).

84     Si deve quindi constatare che è fondato l’addebito della Commissione attinente alla violazione dell’art. 6, n. 2, della direttiva.

 Sull’addebito attinente alla violazione degli artt. 8‑11 della direttiva

85     La Commissione sostiene che la normativa italiana non contiene alcuna disposizione relativa alla portata della protezione offerta da un brevetto a un’invenzione biotecnologica, in violazione degli artt. 8‑11 della direttiva.

86     Il governo italiano fa tuttavia valere che l’art. 1 bis del regio decreto n. 1127/39 prevede una protezione offerta dal brevetto altrettanto estesa di quella prevista dalle dette disposizioni della direttiva, dato che queste ultime si limitano ad estendere la protezione offerta dal brevetto relativo ad un’invenzione biotecnologia ai materiali derivanti direttamente dall’applicazione del procedimento brevettato.

87     A tal riguardo si deve constatare che i detti artt. 8‑11 mirano manifestamente ad accordare precisi diritti, in quanto definiscono la portata della protezione attribuita dai brevetti relativi ad un’invenzione biologica.

88     Ora, nel caso di specie, poiché il diritto italiano dei brevetti non prevede espressamente la brevettabilità delle invenzioni biologiche, è pacifico che non contiene neanche disposizioni che precisano la portata della protezione attribuita da un brevetto relativo ad un’invenzione del genere.

89     Per quanto riguarda l’art. 1 bis del regio decreto n. 1127/39, occorre constatare che tale disposizione si limita a definire genericamente i diritti attribuiti da qualsiasi brevetto relativo ad un qualsiasi prodotto o procedimento. Tale disposizione non menziona, invece, contrariamente alle previsioni degli artt. 8 e 9 della direttiva, la portata dei diritti specificamente attribuiti dai diversi tipi di brevetti previsti da tali disposizioni, cioè i brevetti relativi al materiale biologico, i brevetti relativi ad un procedimento che consente di produrre un materiale biologico e i brevetti relativi ad un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica.

90     Pertanto, sebbene sia esatto, come sostenuto dal governo italiano, che l’art. 1 bis, n. 1, lett. b), del regio decreto n. 1127/39 prevede che un brevetto relativo ad un procedimento conferisca al suo titolare il diritto di vietare ai terzi di usare il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione, è giocoforza constatare che tale disposizione non prevede, a differenza dell’art. 8, n. 2, della direttiva, che la protezione attribuita da un brevetto relativo ad un procedimento che consente di produrre un materiale biologico dotato, per effetto dell’invenzione, di determinate proprietà si estenda al materiale biologico direttamente ottenuto da tale procedimento e a qualsiasi altro materiale biologico derivato dal materiale biologico direttamente ottenuto mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotato delle stesse proprietà.

91     D’altra parte, il diritto italiano dei brevetti non prevede, contrariamente alle disposizioni degli artt. 8, n. 1, e 9 della direttiva, che la protezione attribuita da un brevetto relativo ad un materiale biologico, da un lato, e da un brevetto relativo ad un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica, dall’altro, si estenda, rispettivamente, a tutti i materiali biologici da esso derivati mediante riproduzione o moltiplicazione e a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione.

92     Inoltre, l’art. 1 bis del regio decreto n. 1127/39 non contiene alcuna delle restrizioni e deroghe previste dagli artt. 10 e 11 della direttiva.

93     Sembra quindi che permanga, nonostante l’obiettivo di chiarificazione perseguito dalla direttiva, uno stato di incertezza in merito all’esatta portata della protezione attribuita da un brevetto relativo ad un’invenzione biologica.

94     Si deve quindi constatare che è fondato l’addebito della Commissione attinente alla violazione degli artt. 8‑11della direttiva.

 Sull’addebito attinente alla violazione dell’art. 12 della direttiva

95     La Commissione fa valere che l’art. 54 del regio decreto n. 1127/39, che prevede la concessione di licenze obbligatorie, non prende in considerazione il caso in cui esista un nesso di dipendenza tra un brevetto su un’invenzione biotecnologica ed un sistema di protezione dei ritrovati vegetali.

96     Il governo italiano, da parte sua, sottolinea che, nell’ipotesi di cui all’art. 12 della direttiva, le autorità italiane, nonostante l’impiego dell’espressione «può essere concessa» al detto art. 54, non dispongono nella prassi di alcun margine di discrezionalità e che sono quindi tenute ad accordare la licenza obbligatoria richiesta.

97     Occorre rammentare che, ai sensi dell’art. 12 della direttiva, una licenza obbligatoria non esclusiva può essere richiesta su un brevetto precedente dal titolare di una privativa su ritrovati vegetali da un lato, e su una privativa su ritrovati vegetali precedente dal titolare di un brevetto riguardante un’invenzione biotecnologica dall’altro, qualora l’esercizio dei diritti loro derivanti, rispettivamente, dalla privativa sul ritrovato vegetale e dal brevetto violino tali diritti precedenti.

98     È evidente come una disposizione del genere, che prevede la concessione di una licenza obbligatoria per lo sfruttamento di un’invenzione protetta da un brevetto o da una privativa su un ritrovato vegetale, sia diretta ad attribuire precisi diritti a tal riguardo.

99     Ora, è giocoforza constatare che, se è vero che l’art. 54, n. 2, del regio decreto n. 1127/39 prevede la concessione di una licenza obbligatoria qualora l’invenzione protetta da un brevetto non possa essere utilizzata senza violare i diritti derivanti da un altro brevetto precedente, esso non prevede, al contrario dell’art. 12, nn. 1 e 2, della direttiva, la concessione di una siffatta licenza in caso di nesso di dipendenza tra un brevetto su un’invenzione biotecnologia ed una privativa su un ritrovato vegetale. Inoltre, lo stesso art. 54, n. 2, non impone al richiedente la licenza obbligatoria né il pagamento di un canone adeguato, come previsto ai nn. 1 e 2 del detto art. 12, né l’obbligo di essersi rivolti invano al titolare del brevetto o della privativa sui ritrovati vegetali per ottenere una licenza contrattuale, come previsto al n. 3 del detto articolo.

100   Si deve pertanto constatare che è fondato l’addebito della Commissione attinente alla violazione dell’art. 12 della direttiva.

 Sull’addebito attinente alla mancata trasposizione delle altre disposizioni della direttiva

101   Occorre rilevare che, nonostante gli specifici addebiti da essa sollevati nella sua controreplica, relativi alla violazione, da parte della Repubblica italiana, di talune disposizioni della direttiva, la Commissione non ha modificato l’oggetto originario del suo ricorso, sostanzialmente diretto a far constatare la mancanza di qualsiasi trasposizione della detta direttiva da parte di tale Stato membro.

102   Ora, a tal riguardo occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione dimostrare l’esistenza dell’asserito inadempimento, senza potersi fondare su alcuna presunzione (v., segnatamente, citate sentenze 25 marzo 1982, Commissione/Paesi Bassi, punto 6; 12 settembre 2000, Commissione/Paesi Bassi, punto 15, e Commissione/Portogallo, punto 80).

103   Di conseguenza, dato che il governo italiano ha fatto valere, nel suo controricorso, la conformità del suo diritto interno alla direttiva, spettava alla Commissione, per dimostrare la mancanza di qualsiasi trasposizione della detta direttiva, fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento.

104   Tuttavia, è giocoforza constatare che, nella sua controreplica, la Commissione fornisce tali elementi solo per quanto riguarda gli artt. 3, n. 1, 5, n. 2, 6, n. 2, e 8‑12 della direttiva, che hanno formato oggetto degli addebiti esaminati supra, ma non per quanto riguarda l’insieme delle altre disposizioni di quest’ultima.

105   Orbene, contrariamente a quanto sembra suggerire la Commissione, la mera circostanza secondo cui talune disposizioni della direttiva, fatte valere a titolo esemplare, non possono essere considerate trasposte correttamente nel diritto interno vigente non dimostra affatto che le altre disposizioni di tale direttiva, dal canto loro, non possano essere considerate correttamente trasposte nel detto diritto interno.

106   Di conseguenza, poiché la Commissione non ha fornito alcun elemento probatorio al riguardo, occorre respingere il ricorso per la parte in cui è diretto a far constatare la mancanza di qualsiasi trasposizione della direttiva da parte della Repubblica italiana.

107   Considerato quanto precede, si deve constatare che, non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi agli artt. 3, n. 1, 5, n. 2, 6, n. 2, e 8‑12 della direttiva, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 15 di quest’ultima.

108   Si deve respingere il ricorso per il resto.

 Sulle spese

109    Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

110   Secondo l’art. 69, n. 3, primo comma, di tale regolamento, la Corte può decidere che ciascuna delle parti sopporti le proprie spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più punti. Tuttavia, in forza del secondo comma del medesimo articolo, la Corte può condannare una parte, anche se non soccombente, a rimborsare all’altra le spese che le ha causato e che la Corte riconosce come superflue o defatigatorie.

111   Nel caso di specie la Commissione è risultata parzialmente soccombente, per la parte in cui il suo ricorso era diretto a far constatare la mancanza di qualsiasi trasposizione della direttiva da parte della Repubblica italiana.

112   Peraltro, poiché la Repubblica italiana non ha chiesto la condanna alle spese della Commissione, essa dev’essere condannata a sopportare le proprie spese.

113   Per quanto riguarda le spese sostenute dalla Commissione, si deve constatare che, poiché la Repubblica italiana si è astenuta dal fornire tutte le informazioni utili in merito alle disposizioni di diritto interno con cui riteneva di aver soddisfatto i diversi obblighi impostile dalla direttiva, non si può censurare la Commissione di aver investito la Corte di un ricorso per inadempimento diretto a far constatare la mancanza di qualsiasi trasposizione, piuttosto che la trasposizione incompleta o inesatta di talune delle disposizioni di tale direttiva.

114   Occorre poi osservare che, non consentendole di esaminare durante il procedimento precontenzioso la conformità alle disposizioni della direttiva del diritto interno fatto valere, la Repubblica italiana ha altresì costretto la Commissione a dedicare le sue risorse a tal fine nell’ambito del procedimento contenzioso, falsando così, come giustamente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle sue conclusioni, il normale svolgimento del dibattito con una sfuggente strategia processuale.

115   Di conseguenza, la Repubblica italiana dev’essere condannata a sopportare la totalità delle spese.

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi agli artt. 3, n. 1, 5, n. 2, 6, n. 2, e 8‑12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 15 di tale direttiva.

2)      Per il resto il ricorso è respinto.

3)      La Repubblica italiana sopporta la totalità delle spese.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.

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