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Document 62003CC0397

Conclusioni dell'avvocato generale Tizzano del 7 giugno 2005.
Archer Daniels Midland Co. e Archer Daniels Midland Ingredients Ltd contro Commissione delle Comunità europee.
Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado - Concorrenza - Intese - Mercato della lisina sintetica - Ammende - Orientamenti per il calcolo dell'importo delle ammende - Irretroattività - Principio del ne bis in idem - Parità di trattamento - Fatturato da prendere in considerazione.
Causa C-397/03 P.

Raccolta della Giurisprudenza 2006 I-04429

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2005:363

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

ANTONIO TIZZANO

presentate il 7 giugno 2005 (1)

Causa C-397/03 P

Archer Daniels Midland Company

Archer Daniels Midlands Ingredients Ltd

contro

Commissione delle Comunità europee

«Concorrenza – Divieto d'intese – Lisina – Ammende – Orientamenti per il calcolo delle ammende – Parità di trattamento – Proporzionalità – Irretroattività – Principio del ne bis idem»





1.     La presente causa ha ad oggetto il ricorso in appello presentato dalle società Archer Daniels Midland Company (in prosieguo: «ADM Company») e Archer Daniels Midland Ingredients Ltd (in prosieguo: «ADM Ingredients») contro la sentenza del Tribunale di primo grado 9 luglio 2003, causa T-224/00, Archer Daniels Midland Company e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione (in prosieguo: la «sentenza impugnata») (2), con la quale è stata confermata, in buona sostanza, la decisione 2001/418/CE della Commissione, del 7 giugno 2000, «relativa ad un procedimento a norma dell'articolo 81 del trattato CE e dell'articolo 53 dell'accordo SEE» (in prosieguo: la «decisione impugnata») (3).

I –    Quadro normativo

2.     Com'è noto, l'art. 81 del Trattato CE vieta «tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune».

3.     La Commissione può sanzionare tali condotte infliggendo ammende alle imprese che le hanno poste in essere.

4.     L'art. 15, n. 2, del regolamento del Consiglio n. 17/62 (in prosieguo: il «regolamento 17») (4) stabilisce quanto segue:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni d'imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest'ultimo importo fino al 10 per cento del volume di affari realizzato durante l'esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all'infrazione quando, intenzionalmente o per negligenza;

a)      commettano una infrazione alle disposizioni dell'articolo 85, paragrafo 1, o dell'articolo 86 del Trattato;

b)      (…)

Per determinare l'ammontare dell'ammenda occorre tenere conto oltre che della gravità dell'infrazione, anche della sua durata».

5.     Al fine di assicurare la trasparenza e il carattere obiettivo delle proprie decisioni in materia, la Commissione ha emanato nel 1998 gli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell'art. 15, n. 2, del regolamento 17 e dell'art. 65, n. 5, del Trattato CECA (in prosieguo: gli «Orientamenti») (5).

6.     Secondo la metodologia contenuta negli Orientamenti, l'ammontare dell'ammenda viene sostanzialmente determinato attraverso una serie di passaggi successivi.

7.     In un primo momento la Commissione fissa l’importo di base dell’ammenda «in funzione della gravità e della durata dell’infrazione» (punto 1 degli Orientamenti). Per il primo aspetto, le infrazioni sono classificate in «poco gravi, gravi e molto gravi» (6) in considerazione della natura, dell’impatto concreto sul mercato e dell’estensione del mercato geografico rilevante. Per quanto concerne la durata, esse sono divise in infrazioni di breve durata (periodo inferiore ad un anno), infrazioni di media durata (periodo da 1 a 5 anni) e infrazioni di lunga durata (periodo superiore a 5 anni).

8.     Una volta determinato l’importo di base dell’ammenda, la Commissione passa a valutare se esso debba essere aumentato a causa della presenza di circostanze aggravanti (7) ovvero ridotto a causa della presenza di circostanze attenuanti (8).

9.     Il punto 5, lett. a), degli Orientamenti così recita:

«Ovviamente l’ammenda calcolata secondo lo schema di cui sopra (importo di base + o – le percentuali di maggiorazione e riduzione) non può in alcun caso superare il 10% del volume d’affari mondiale delle imprese, come previsto dall’articolo 15, paragrafo 2 del regolamento n. 17».

10.   Nel rispetto del limite del 10%, l’importo così calcolato può poi subire un ulteriore adeguamento, ai sensi dell’art. 5, lett. b), degli Orientamenti, sulla base della valutazione, da parte della Commissione, di «taluni elementi obiettivi, quali il contesto economico specifico, il vantaggio economico o finanziario realizzato dagli autori dell’infrazione (…), le caratteristiche delle imprese in questione nonché la loro capacità contributiva reale in un contesto sociale particolare».

II – Fatti e procedura

1.      I fatti all'origine della controversia

11.   Nella sentenza impugnata il quadro fattuale all'origine della controversia è descritto come segue:

«1      Le società ricorrenti, la Archer Daniels Midland Company (…) e la sua controllata europea Archer Daniels Midland Ingredients Ltd (…) operano nel settore della lavorazione di cereali e di semi oleosi. Esse sono entrate sul mercato della lisina nel 1991.

2      La lisina è il principale aminoacido utilizzato nell'alimentazione animale a fini nutrizionali. La lisina sintetica è impiegata come additivo negli alimenti con un tenore insufficiente di lisina naturale, ad esempio i cereali, al fine di permettere ai nutrizionisti di elaborare diete a base di proteine rispondenti al fabbisogno alimentare degli animali. Gli alimenti integrati con lisina sintetica possono anche sostituire alimenti dotati di un sufficiente tenore di lisina allo stato naturale, ad esempio la soia.

3      Nel 1995, in seguito ad un'indagine segreta svolta dal Federal Bureau of Investigation (FBI), negli Stati Uniti sono state effettuate perquisizioni nei locali di molte imprese operanti sul mercato della lisina. Nei mesi di agosto e di ottobre 1996, le società ADM Company nonché Kyowa Hakko Kogyo Co. Ltd (…) Sewon Corp. Ltd, Cheil Jedang Corp. (…) e Ajinomoto Co. Inc. sono state accusate dalle autorità americane di aver costituito un accordo finalizzato alla fissazione dei prezzi e alla ripartizione dei volumi delle vendite di lisina tra il giugno 1992 ed il giugno 1995. In seguito ad accordi conclusi con il Ministero della Giustizia americano, il giudice investito della causa ha inflitto alcune ammende alle dette imprese, vale a dire un'ammenda di dollari americani (USD) 10 milioni alla Kyowa Hakko Kogyo e all'Anjinomoto, un'ammenda di USD 70 milioni all'ADM Company e un'ammenda di USD 1,25 milioni alla Cheil. L'importo dell'ammenda irrogata alla Sewon Corp. Ammontava, a detta di quest'ultima, a USD 328 000 Inoltre, tre dirigenti dell'ADM Company sono stati condannati a pene detentive ed al pagamento di ammende per il ruolo svolto nell'accordo.

4      Nel luglio 1996 l'Ajinomoto, richiamandosi alla comunicazione della Commissione 96/C 207/04 sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d'intesa tra imprese (…), ha offerto alla Commissione la sua cooperazione per accertare l'esistenza di un cartello sul mercato della lisina ed i suoi effetti nello Spazio economico europeo (SEE)».

12.   Risulta inoltre dalla sentenza che, a seguito della segnalazione dell'Ajinomoto, la Commissione ha avviato un'indagine amministrativa per verificare eventuali violazioni dell'art. 85, n. 1, del Trattato CE (divenuto art. 81, n. 1, CE). Al termine dell'indagine, la Commissione ha adottato la decisione impugnata, con la quale:

–      ha accertato a carico di diverse imprese, fra cui ADM Company e ADM Ingredients, una violazione dell'art. 85, n. 1, del Trattato CE e dell'art. 53, n. 1, dell'accordo SEE consistente nella loro partecipazione «ad accordi sui prezzi, sui volumi di vendita e sullo scambio di informazioni specifiche relativamente ai volumi di vendita di lisina sintetica nell'intero SEE» (art. 1) (9);

–      e ha inflitto ad ADM Company e ad ADM Ingredients, in solido, un'ammenda di EUR 47 300 000 (art. 2).

13.   Nella motivazione della decisione la Commissione ha accertato che a partire dal 23 giugno 1992 e fino al 27 giugno 1995 ADM Company e ADM Ingredients avevano preso parte con i produttori asiatici di lisina ad una serie di accordi estesi al commercio mondiale della lisina. Tali accordi erano volti, in buona sostanza, a) a regolare il mercato della lisina mediante la fissazione dei prezzi e la ripartizione dei volumi di vendita e b) a coordinare il comportamento delle imprese partecipanti in modo da garantire il successo delle iniziative da esse adottate in materia di prezzi e quantitativi di vendita (punti 50-234 della decisione impugnata).

14.   Per quanto riguarda l'aspetto più rilevante di cui siamo chiamati a discutere nella presente causa, ossia il calcolo delle ammende inflitte alle due società, la Commissione ha fatto espressamente riferimento alle disposizioni contenute negli Orientamenti (punto 255 della decisione).

15.   La Commissione ha così provveduto a determinare l'importo di base dell'ammenda in funzione della gravità e della durata dell'infrazione.

16.   Per quanto concerne il primo aspetto, la Commissione ha qualificato la violazione commessa dalle imprese sul mercato della lisina come un'infrazione molto grave (punti 257-302 della decisione impugnata).

17.   In particolare, essa ha ritenuto che nel determinare gli importi di base delle ammende in funzione della gravità fosse necessario tenere conto: i) dell'effettiva capacità economica delle imprese interessate di arrecare un danno consistente al mercato della lisina nello Spazio economico europeo, e ii) della necessità di fissare l'importo dell'ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo.

18.   A tal fine la Commissione ha suddiviso le imprese in due gruppi, in funzione delle rispettive dimensioni. Il confronto è stato effettuato sulla base del fatturato complessivo e del fatturato mondiale sul mercato della lisina realizzati dalle imprese interessate nell'ultimo anno dell'infrazione (10). La Commissione ha ritenuto che tale parametro fosse il più idoneo a permetterle di valutare le risorse e l'importanza reale di dette imprese sui mercati interessati dalla condotta illegale.

19.   Di conseguenza, e in funzione della sola gravità dell'infrazione commessa, l'importo di base dell'ammenda da infliggere ad ADM Company e ADM Ingredients è stato fissato dalla Commissione in 30 milioni di euro.

20.   Quanto alla durata dell’infrazione contestata, la Commissione ha ritenuto che quest’ultima fosse qualificabile come un'infrazione di media durata. Ciò comportava un aumento degli importi iniziali delle ammende fissati in funzione della gravità dell'infrazione nella misura del 10% all'anno. Conseguentemente l'importo inflitto ad ADM Company e ADM Ingredients doveva essere maggiorato del 30%.

21.   L'importo di base dell'ammenda da infliggere ad ADM Company e ad ADM Ingredients è stato così fissato in 39 milioni di euro.

22.   Una volta stabilito tale importo di base, la Commissione è passata a valutare se, in relazione alla posizione di ciascuna impresa, si potesse riscontrare l'esistenza di circostanze aggravanti e/o attenuanti.

23.   In proposito, essa ha concluso che ADM Company e ADM Ingredients avevano svolto un ruolo da leader nel cartello della lisina, con la conseguenza che l'importo di base dell'ammenda doveva essere aumentato del 50%.

24.   D’altro canto, la Commissione ha ritenuto che l'ammontare così determinato dovesse essere ridotto i) del 10% per avere ADM Company e ADM Ingredients posto fine alle condotte illecite fin dai primi accertamenti compiuti dalla Commissione, e ii) di un ulteriore 10% per avere le due società cooperato con la Commissione successivamente al ricevimento della comunicazione degli addebiti.

25.   L’ammenda definitiva inflitta ad ADM Company e ADM Ingredients è stata quindi fissata a EUR 47 300 000.

2.      Il procedimento dinanzi al Tribunale e la sentenza impugnata

26.   Con ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 25 agosto 2000, le società ADM Company e ADM Ingredients hanno chiesto l'annullamento della decisione impugnata ovvero, in subordine, la riduzione dell'importo dell'ammenda loro inflitta dalla Commissione.

27.   A sostegno del proprio ricorso, ADM Company e ADM Ingredients hanno mosso nei confronti della decisione impugnata una serie di censure relative, per quanto qui interessa, a) alla violazione del principio d'irretroattività delle pene; b) alla violazione del principio della parità di trattamento; c) alla violazione del principio ne bis in idem; d) alla violazione del principio di proporzionalità; e) all'errata valutazione delle prove da parte della Commissione.

28.   Alle predette censure il Tribunale ha risposto come segue.

29.   a) Esso ha innanzi tutto respinto il motivo d'impugnazione relativo ad una pretesa violazione del principio d'irretroattività delle pene dedotta dalle parti in relazione al fatto che gli Orientamenti erano stati applicati a comportamenti posti in essere dalle imprese prima della loro entrata in vigore.

30.    In proposito, il Tribunale ha riconosciuto che quel principio, da un lato, fa parte integrante dei principi generali di cui i giudici comunitari devono garantire l'osservanza e, dall'altro, impone che «le sanzioni inflitte ad un'impresa per un'infrazione alle regole di concorrenza corrispondano a quelle che erano stabilite al momento in cui l'infrazione è stata commessa» (11).

31.   Esso ha tuttavia ritenuto che l'applicazione degli Orientamenti per il calcolo delle ammende al caso di specie non configurasse una violazione del principio d'irretroattività, poiché detti Orientamenti non trascendono il contesto giuridico delle sanzioni così come definito dall'art. 15 del regolamento 17.

32.   Secondo quest'articolo, nel determinare l'ammontare dell'ammenda in seguito ad un'infrazione delle regole di concorrenza, la Commissione deve tenere conto della gravità della violazione commessa nonché della sua durata. L'importo così determinato non può, in ogni caso, superare il 10% del volume d'affari realizzato nell'esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all'infrazione.

33.   Ora, anche gli Orientamenti in questione impongono alla Commissione di determinare l'importo di base della sanzione in funzione della gravità e della durata dell'infrazione. Inoltre, essi prescrivono che l'importo così calcolato non deve in alcun caso superare il 10% del volume d'affari mondiale delle imprese. Ne consegue, ad avviso del Tribunale, che «secondo il metodo indicato negli orientamenti, il calcolo delle ammende continua ad essere effettuato in funzione dei due criteri citati dall'art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, vale a dire la gravità dell'infrazione e la sua durata, nel rispetto del limite massimo in relazione al fatturato di ciascuna impresa, stabilito con la medesima disposizione» (12).

34.   b) Il Tribunale ha poi respinto anche le censure relative alla pretesa violazione del principio di parità di trattamento.

35.   A questo riguardo, esso ha rilevato che «[n]ell'ambito della repressione delle infrazioni alle regole di concorrenza, il rispetto di tale principio richiede, senza dubbio, che imprese che hanno commesso infrazioni dello stesso tipo in periodi concomitanti siano sottoposte alle stesse sanzioni giuridiche, indipendentemente dalla data necessariamente aleatoria in cui è stata adottata una decisione nei loro confronti. Nei limiti di quanto sopra, il detto principio è strettamente connesso al principio d'irretroattività delle pene, ai sensi del quale la sanzione inflitta ad un'impresa per un'infrazione alle regole di concorrenza deve corrispondere a quella che era prevista all'epoca in cui l'infrazione è stata commessa. Tuttavia, nel caso di specie, le ricorrenti non possono dedurre validamente una violazione del detto principio per il solo fatto che la Commissione abbia applicato gli orientamenti per effettuare il calcolo dell'importo dell'ammenda (…). Infatti, come è già stato sottolineato, il cambiamento che l'adozione degli orientamenti ha potuto provocare rispetto alla vigente prassi amministrativa della Commissione non costituisce un'alterazione del contesto giuridico che determina l'importo delle ammende che possono essere inflitte per violazioni della normativa comunitaria sulla concorrenza (…) Ne consegue che il fatto di aver applicato il metodo stabilito negli orientamenti per calcolare l'importo dell'ammenda dell'ADM non può costituire un trattamento discriminatorio rispetto alle imprese che hanno commesso infrazioni alla normativa comunitaria sulla concorrenza nello stesso periodo, ma che, per ragioni attinenti alla data di scoperta dell'infrazione o concernenti lo svolgimento del procedimento amministrativo che le riguarda, sono state condannate in date precedenti all'entrata in vigore degli orientamenti. Infatti, nei due casi, le ammende irrogate alle dette imprese al momento della commissione dell'infrazione rimanevano entro i limiti previsti dall'art. 15, n. 2, del regolamento n. 17» (13).

36.   Ad avviso di ADM Company e ADM Ingredients, la Commissione avrebbe violato il principio delle parità di trattamento anche per aver preso in considerazione il loro fatturato complessivo anziché quello relativo alle vendite di lisina nel SEE. In questo modo le due imprese sarebbero state discriminate sia rispetto alle imprese oggetto di altre decisioni della Commissione, precedenti o successive alla pubblicazione degli Orientamenti, sia rispetto ad altre imprese destinatarie della decisione impugnata.

37.   In particolare, ADM Company e ADM Ingredients sarebbero state ingiustamente paragonate all'Ajinomoto nonostante la loro quota sul mercato della lisina nel SEE fosse pari al 20% e, quindi, molto inferiore al 48% detenuto sullo stesso mercato dall'Ajinomoto.

38.   Anche questa censura è stata respinta dal Tribunale.

39.   Con riferimento alla pretesa discriminazione rispetto ad altre imprese destinatarie di decisioni della Commissione antecedenti o successive alla decisione impugnata, il Tribunale ha rilevato che, nel valutare l'entità generale delle ammende, la Commissione «può tener conto del fatto che violazioni manifeste della normativa comunitaria sulla concorrenza sono ancora relativamente frequenti e che, pertanto, essa ha la facoltà di elevare l'entità delle ammende al fine di rinforzare il loro effetto di dissuasione» (14).

40.   In particolare, il Tribunale ha ritenuto che, sebbene in alcune recenti decisioni, in cui aveva applicato gli Orientamenti, la Commissione avesse preso in considerazione il fatturato realizzato dalle imprese sul mercato interessato dall'infrazione, nella specie «non può essere operato nessun paragone diretto tra la presente decisione ed altre decisioni che hanno ugualmente applicato gli orientamenti. Infatti, come è già stato sottolineato, gli orientamenti non prevedono esplicitamente che le ammende siano calcolate in funzione del fatturato specifico, ma soltanto che si tenga conto di determinati elementi (capacità economica effettiva delle imprese di arrecare un danno, dimensioni delle imprese, peso specifico e impatto reale del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, ecc.) in ragione dei quali il fatturato non può essere preso in considerazione. In ciascuna fattispecie, spetta quindi alla Commissione, sotto il controllo del Tribunale, determinare se occorra riferirsi ad uno e/o all'altro dei fatturati rilevanti o ad altri fattori, quali le quote di mercato detenute. Di conseguenza, il fatto che la Commissione non abbia tenuto conto del fatturato realizzato sul mercato rilevante non costituisce, di per sé, una discriminazione rispetto alle imprese oggetto di altre decisioni» (15).

41.   Ad avviso del Tribunale, nessuna discriminazione era stata poi praticata dalla Commissione fra ADM e Ajinomoto. In proposito, il Tribunale ha osservato che, sebbene fosse vero che il fatturato realizzato nel 1995 da ADM sul mercato rilevante era inferiore a quello realizzato da Ajinomoto nel medesimo periodo, «l'ADM rimane (…) di gran lunga la più importante del gruppo dei tre "piccoli" produttori a cui essa non può essere paragonata, poiché i fatturati imputabili alla lisina nel SEE delle società Sewon, Kyowa e Cheil nel 1995 sono stati dell'ordine rispettivamente di EUR 15, 16 e 17 milioni. In più, il fatturato complessivo dell'ADM, che rimane un'indicazione delle dimensioni e della potenza economica di un'impresa, fa risultare chiaramente che l'ADM è due volte più importante dell'Ajinomoto, il che, a sua volta, è tale da compensare il fatto che essa eserciti l'influenza sul mercato della lisina nel SEE inferiore a quella dell'Ajinomoto e spiega il fatto che l'importo di base dell'ammenda sia stato fissato in una misura sufficientemente dissuasiva. Alla luce di ciò, la Commissione ha potuto giustamente rilevare che occorreva fissare, per l'ammenda da infliggere all'ADM e all'Ajinomoto, un importo di base nella stessa misura» (16).

42.   c) Il Tribunale ha altresì escluso che nella decisione impugnata la Commissione avesse violato il principio ne bis in idem.

43.   Ad avviso di ADM Company e ADM Ingredients, infatti, nella decisione impugnata la Commissione non avrebbe fatto altro che infliggere loro un'ammenda per la partecipazione ad un'intesa che era già stata sanzionata dalle autorità statunitensi e canadesi.

44.   A questa censura il Tribunale ha risposto che «è sufficiente ricordare che il giudice comunitario ha riconosciuto che un'impresa possa essere validamente sottoposta a due procedimenti paralleli per la stessa infrazione e quindi ad una duplice sanzione, una inflitta dall'autorità competente dello Stato membro in questione, l'altra [dall’autorità] comunitaria. Tale possibilità di cumulo delle sanzioni è giustificata dal fatto che i detti procedimenti perseguono fini diversi. Alla luce di ciò, il principio del ne bis in idem non può, a maggior ragione, trovare applicazione nel caso di specie, dato che i procedimenti svolti e le sanzioni inflitte dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità americane e canadesi, dall'altro, non perseguono effettivamente gli stessi obiettivi. Se nel primo caso si tratta di preservare una concorrenza non falsata nel territorio dell'Unione europea o nel SEE, lo scopo di tutela riguarda, nel secondo caso, il mercato americano o canadese. Tale conclusione è confermata dalla portata del principio che vieta il cumulo delle sanzioni, come sancito dall'art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU ed applicato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Dalla formulazione del detto articolo risulta che tale principio ha il solo effetto di vietare ad un giudice nazionale di giudicare o di reprimere un reato per il quale la persona in questione è già stata assolta o condannata nello stesso Stato. Per contro, il principio del ne bis in idem non vieta che una persona sia perseguita o condannata più di una volta per lo stesso fatto in due o più Stati diversi» (17).

45.   Il Tribunale ha anche rilevato che «non esiste, attualmente, nessun principio di diritto pubblico internazionale che vieti ad autorità o a giudici di Stati diversi di perseguire e di condannare una persona per gli stessi fatti. Un tale divieto potrebbe pertanto risultare, a tutt'oggi, soltanto da una cooperazione internazionale molto stretta che sfociasse nell'adozione di disposizioni comuni come quelle che figurano nella Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU  2000, L 239, pag. 19), firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990. A tale proposito, le ricorrenti non hanno eccepito l'esistenza di un testo convenzionale che vincoli la Comunità e Stati terzi quali gli Stati Uniti o il Canada e che preveda un tale divieto» (18).

46.   Per altro verso, ADM Company e ADM Ingredients lamentavano che la Commissione, rifiutando di dedurre dall'ammenda fissata nella decisione impugnata l'importo delle ammende loro già inflitte negli Stati Uniti e in Canada, avrebbe disatteso il principio sancito dalla Corte di giustizia nella sentenza Boehringer (19), secondo cui un'esigenza generale di equità obbligherebbe la Commissione a tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di un paese terzo qualora si tratti di sanzioni inflitte per i medesimi addebiti.

47.   In proposito, il Tribunale ha escluso che nella sentenza Boehringer la Corte avesse risolto la questione se la Commissione debba tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo nell'ipotesi in cui gli addebiti contestati ad un'impresa da parte di tale istituzione e delle dette autorità siano identici. Piuttosto, esso ha ritenuto che nella menzionata sentenza la Corte avesse semplicemente considerato «l'identità dei fatti censurati dalla Commissione e dalle autorità di uno Stato terzo come una condizione preliminare per la questione di cui sopra» (20).

48.   Il Tribunale ha poi sottolineato che «è in considerazione della situazione particolare derivante, da un lato, dalla stretta interdipendenza dei mercati nazionali degli Stati membri e del mercato comune e, dall'altro, dal sistema specifico di ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri in materia di intese in uno stesso territorio, quello del mercato comune, che la Corte, avendo ammesso la possibilità di un duplice procedimento, ha ritenuto necessario, considerata l'eventuale duplice sanzione che ne deriva, prendere in considerazione la prima decisione repressiva conformemente ad un'esigenza di equità (…). Orbene, è evidente che una situazione di questo tipo non sussiste nella presente fattispecie e pertanto, non essendo dedotta una disposizione convenzionale espressa che preveda l'obbligo per la Commissione, nella fissazione dell'importo di un'ammenda, di tener conto delle ammende già inflitte alla stessa impresa per il medesimo fatto da autorità o giudici di uno Stato terzo, come gli Stati Uniti o il Canada, le ricorrenti non possono validamente contestare alla Commissione di essere venuta meno, nel caso di specie, a tale preteso obbligo» (21).

49.   Ad ogni modo, ha proseguito il Tribunale, «anche supponendo che dalla sentenza [Boehringer] si possa dedurre a contrario che la Commissione deve tener conto delle sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo nell'ipotesi in cui gli addebiti contestati all'impresa in questione da parte di tale istituzione e delle dette autorità siano identici, la prova di una tale identità, che spetta alle ricorrenti produrre, non è stata fornita nel caso di specie. Per quanto riguarda la condanna dell'ADM Company negli Stati Uniti, dalla sentenza pronunciata il 15 ottobre 1996 dalla United States District Court risulta che (…) la detta impresa è stata condannata, da un lato, ad un'ammenda di USD 70 milioni per la partecipazione all'intesa sulla lisina e, dall'altro, ad un'ammenda di USD 30 milioni per la partecipazione ad un'intesa nel settore dell'acido citrico. Dai documenti prodotti dalle ricorrenti risulta che l'ADM Company è stata altresì condannata, in Canada, ad un'ammenda di CAD 16 milioni per la partecipazione a due intese relative alla lisina ed all'acido citrico. Risulta, pertanto, che le condanne negli Stati Uniti e in Canada riguardavano un complesso più ampio di accordi e di pratiche concordate. In particolare, va osservato che, per valutare l'importo dell'ammenda, i giudici americani hanno preso in considerazione il volume delle operazioni commerciali realizzate "sia nel mercato della lisina, sia in quello dell'acido citrico"» (22).

50.   Infine, il Tribunale ha precisato che «[a]nche supponendo che la condanna concernente l'intesa sulla lisina possa essere considerata distinta da quella relativa all'intesa sull'acido citrico, occorre sottolineare che, sebbene la sentenza pronunciata negli Stati Uniti evochi il fatto che l'intesa sulla lisina aveva lo scopo di diminuire la produzione e di aumentare i prezzi della lisina "negli Stati Uniti e altrove", non è assolutamente dimostrato che la condanna pronunciata negli Stati Uniti si sia riferita ad atti compiuti in conseguenza o ad effetti dell'intesa diversi da quelli che hanno avuto luogo nel detto paese e in particolare nel SEE (…) Quest'ultima osservazione è ugualmente valida per la condanna pronunciata in Canada (…). Alla luce di ciò si deve respingere la censura delle ricorrenti vertente su una violazione da parte della Commissione di un preteso obbligo di tener conto delle sanzioni irrogate anteriormente dalle autorità di Stati terzi (…)» (23).

51.   d) Quanto alla pretesa violazione del principio di proporzionalità, il Tribunale ha innanzi tutto rilevato che nella decisione impugnata la Commissione non aveva correttamente applicato gli Orientamenti, in quanto nel procedimento di determinazione della gravità dell'infrazione aveva omesso di prendere in considerazione il fatturato delle due imprese sul mercato della lisina nel SEE e «non [aveva] quindi tenuto conto del punto 1°, quarto e sesto capoverso, degli orientamenti» (24).

52.   Ciò nonostante, il giudice di primo grado ha escluso che la mancata presa in considerazione del fatturato sul mercato rilevante costituisse una violazione del principio di proporzionalità. Ad ADM Company e ADM Ingredients, le quali lamentavano che l'importo dell'ammenda era sproporzionato in quanto pari al 115% del fatturato da loro realizzato sul mercato della lisina nel SEE nell'ultimo anno d'infrazione, il Tribunale ha osservato che «[s]e l'importo dell'ammenda definitiva non supera il 10% del fatturato complessivo dell'ADM durante l'ultimo anno d'infrazione, questa non potrebbe quindi essere considerata sproporzionata per il solo fatto che supera il fatturato realizzato sul mercato rilevante» (25).

53.   Il Tribunale ha altresì respinto l'argomentazione di ADM Company e ADM Ingredients secondo cui la violazione del principio di proporzionalità sarebbe scaturita dal fatto che il fatturato realizzato con i prodotti cui si riferiva l'infrazione era relativamente esiguo rispetto a quello dell'insieme delle vendite da loro realizzate. In proposito, esso ha evidenziato che «dal confronto dei diversi fatturati delle ricorrenti per il 1995 risultano due elementi informativi. Da un lato, è vero che il fatturato proveniente dalle vendite di lisina nel SEE può essere considerato esiguo rispetto al fatturato complessivo, in quanto il primo rappresenta soltanto lo 0,3% del secondo. Dall'altro risulta, per contro, che il fatturato corrispondente alle vendite di lisina nel SEE (EUR 41 milioni […]) rappresenta una quota relativamente importante del fatturato realizzato dall'ADM sul mercato mondiale della lisina (EUR 202 milioni […]), nella specie più del 20%. Poiché le vendite di lisina nel SEE rappresentano quindi non una parte esigua, bensì una quota significativa di quest'ultimo fatturato, nel caso di specie non si può addurre validamente una violazione del principio di proporzionalità, tanto più che l'importo di base dell'ammenda non è stato determinato soltanto sulla base di un mero calcolo riportato al fatturato complessivo, ma anche sulla base del fatturato settoriale e di altri elementi rilevanti quali la natura dell'infrazione, l'impatto concreto di quest'ultima sul mercato, l'estensione del mercato geografico rilevante, la necessaria portata dissuasiva della sanzione, le dimensioni e la potenza delle imprese» (26).

54.   e) Da ultimo, il Tribunale ha escluso che nella decisione impugnata la Commissione non avesse adeguatamente provato che l'intesa aveva avuto un impatto concreto sul mercato.

55.   A questo riguardo, il giudice di primo grado ha ritenuto che la Commissione avesse offerto prove sufficienti in ordine al fatto che l'intesa contestata i) aveva limitato i volumi delle vendite, ii) aveva consentito alle imprese di mantenere intatte le proprie quote di mercato, e iii) aveva causato un aumento dei prezzi superiore a quello che si sarebbe altrimenti registrato (27).

56.    Ne conseguiva, ad avviso del Tribunale, che «[d]al complesso delle considerazioni che precedono, relative alla natura dell'infrazione e al suo impatto concreto, (…) la Commissione ha potuto legittimamente assumere, tenuto conto anche dell'estensione del mercato geografico rilevante (il SEE), che l'intesa costituiva un'"infrazione molto grave" ai sensi del punto 1 A, secondo capoverso, terzo trattino, degli orientamenti» (28).

57.   A conclusione di tale analisi, nella sentenza impugnata il Tribunale a) ha sostanzialmente confermato la valutazione dell'infrazione effettuata nella decisione impugnata della Commissione; b) ha tuttavia ritenuto che, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e conformemente al testo degli Orientamenti, le maggiorazioni o riduzioni determinate dall'applicazione delle circostanze aggravanti ed attenuanti debbano essere applicate all'importo di base dell'ammenda e non, come aveva fatto la Commissione nella decisione impugnata, all'importo risultante da una prima maggiorazione effettuata in applicazione di altre circostanze aggravanti o attenuanti (29), e c) ha in conseguenza ridotto l'importo dell'ammenda inflitta ad ADM Company e ADM Ingredients, fissandola a EUR 43 875 000.

3.      Il procedimento dinanzi alla Corte

58.   Con ricorso depositato il 19 settembre 2003, l'ADM Company e l'ADM Ingredients hanno chiesto alla Corte di giustizia di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha rigettato il ricorso contro la decisione impugnata oppure, in subordine, di annullare o ridurre le ammende loro inflitte, ovvero, in ulteriore subordine, di annullare la sentenza e di rinviarla al Tribunale, nonché di condannare la Commissione alle spese sostenute nei giudizi davanti al Tribunale e alla Corte.

59.   La Commissione chiede che la Corte voglia respingere il ricorso e condannare le ricorrenti alle spese.

III – Analisi giuridica

60.   Le censure sollevate dalle ricorrenti contro la sentenza del Tribunale attengono:

i)      alla violazione del principio d'irretroattività per quanto riguarda l'applicazione degli Orientamenti ad infrazioni commesse prima della loro adozione;

ii)      alla violazione del principio della parità di trattamento, in quanto le ricorrenti sarebbero state sanzionate in modo diverso rispetto ad imprese che avevano commesso violazioni del diritto della concorrenza in epoca coeva al cartello della lisina;

iii)      alla violazione del principio del ne bis in idem per quanto riguarda la mancata presa in considerazione delle sanzioni inflitte alle ricorrenti dalle autorità statunitensi e canadesi e al difetto di motivazione della sentenza del Tribunale al riguardo;

iv)      all'errata valutazione delle prove in merito all'impatto concreto dell'intesa sul mercato;

v)      alla violazione del principio di proporzionalità per quanto riguarda la mancata presa in considerazione del fatturato realizzato dalle ricorrenti sul mercato rilevante, al difetto di motivazione della sentenza del Tribunale in proposito e all'errore di diritto commesso dal Tribunale omettendo di prendere in considerazione il fatturato sul mercato rilevante dopo aver ritenuto che la Commissione aveva violato gli Orientamenti;

vi)      alla violazione del principio della parità di trattamento in merito alla determinazione dell'importo di base dell'ammenda.

61.   Passo ora a valutare le singole censure nell'ordine appena accennato.

1.      Sulla violazione del principio d'irretroattività

62.   Come ho appena ricordato, con il primo mezzo d'impugnazione le società ricorrenti sostengono che il Tribunale ha errato nel ritenere che nella decisione impugnata la Commissione non avesse violato il principio d'irretroattività.

63.   In proposito, esse fanno valere che, come dimostrato dalle sue decisioni del 1994 relative ai cartelli del cemento e del cartone, prima dell'adozione degli Orientamenti la Commissione era solita calcolare l'ammontare delle ammende basandosi sul fatturato delle imprese realizzato nel mercato rilevante. In virtù di questa metodologia di calcolo, l'importo delle ammende corrispondeva generalmente ad una percentuale compresa fra il 2,5 e il 9% del suddetto fatturato. Gli Orientamenti, prevedendo un meccanismo di calcolo che invece prescinde totalmente dal fatturato delle imprese partecipanti all'infrazione, comporterebbero pertanto una radicale modifica della prassi seguita dalla Commissione sino al 1998.

64.   Ora, come riconosciuto dallo stesso Tribunale, il principio d'irretroattività richiede che le sanzioni inflitte ad un'impresa per un'infrazione alle regole di concorrenza corrispondano a quelle stabilite al momento in cui questa è stata commessa. Ne conseguirebbe, quindi, che la Commissione avrebbe dovuto sanzionare le violazioni del diritto della concorrenza realizzate dalle ricorrenti secondo la metodologia di calcolo applicabile all'epoca della commissione delle infrazioni in questione.

65.   Inoltre, la Commissione non avrebbe potuto applicare gli Orientamenti a fatti commessi prima della loro entrata in vigore poiché, secondo un principio consolidato, non aveva il potere di discostarsi discrezionalmente dalle regole che essa stessa si è imposta. Tale principio varrebbe non solo in relazione a norme scritte ma anche con riferimento ad una prassi consolidata, come quella definita dalla Commissione prima dell'adozione degli Orientamenti.

66.   Infine, ad avviso delle ricorrenti, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel dedurre dalla giurisprudenza della Corte, in particolare dalla sentenza Musique Diffusion française (30), che nel procedimento di fissazione dell'importo delle ammende la Commissione sarebbe del tutto libera di incrementare il livello delle ammende per adeguarlo alle esigenze della politica comunitaria di concorrenza.

67.   In effetti, osservano le ricorrenti, anche ammettendo che la Commissione ne sia titolare, un potere di questo tipo sarebbe sottoposto ai limiti derivanti proprio dal diritto comunitario. In particolare:

–      le disposizioni concernenti le infrazioni e le sanzioni dovrebbero essere interpretate in maniera restrittiva e favorevole al soggetto cui l'infrazione è addebitata;

–      nel procedere alla fissazione dell'importo delle ammende la Commissione sarebbe tenuta ad osservare il principio di certezza del diritto, di cui il principio d'irretroattività costituisce un'espressione e secondo il quale le imprese devono essere in grado di prevedere le conseguenze derivanti dai propri comportamenti, solo così, del resto, le ammende potrebbero possedere un reale effetto dissuasivo;

–      il potere discrezionale della Commissione dovrebbe essere limitato a quanto strettamente necessario per ottenere l'obiettivo perseguito;

–      la Commissione dovrebbe operare nel rispetto del principio di non discriminazione. Ora, consentire alla Commissione di applicare retroattivamente una determinata metodologia di calcolo delle ammende significherebbe operare una discriminazione ingiustificata tra imprese che hanno commesso infrazioni del diritto della concorrenza nello stesso periodo ma che sono state sanzionate in epoche diverse.

68.   Per parte sua, la Commissione difende il ragionamento seguito dal Tribunale e replica alle censure delle ricorrenti osservando che:

–      in materia di fissazione dell'importo delle ammende per violazione delle regole di concorrenza non sarebbe mai esistita una prassi consolidata seguita con costanza dalla Commissione nel periodo precedente l'emanazione degli Orientamenti;

–      anche ammettendo l'esistenza di una tale prassi, la sentenza Musique Diffusion française avrebbe riconosciuto alla Commissione, seppur nei limiti di cui all'art. 15 del regolamento 17 e nel rispetto dei principi generali di diritto comunitario, il potere di discostarsi a sua discrezione da una prassi consolidata in materia di ammende qualora questo sia necessario per realizzare gli scopi della politica comunitaria di concorrenza;

–      in assenza degli Orientamenti, quindi, nulla avrebbe impedito alla Commissione di infliggere alle ricorrenti l'ammenda effettivamente comminata;

–      contrariamente a quanto affermato dalle ricorrenti, questo potere non sarebbe assoluto. Da un lato, esso sarebbe limitato dalle condizioni fissate all'art. 15, n. 2, del regolamento 17; dall'altro, le imprese sarebbero poste in grado di conoscere le sanzioni applicabili per violazione del diritto della concorrenza in quanto queste sono espressamente previste dallo stesso art. 15;

–      pur essendo vero che la Commissione deve agire nel rispetto del principio di certezza del diritto, tale principio non richiederebbe che le imprese possano calcolare in anticipo e con esattezza l'importo dell'ammenda che potrebbe essere loro inflitta per infrazioni del diritto comunitario antitrust.

69.   La Commissione fa inoltre valere che l'applicazione degli Orientamenti anche a fatti compiuti in epoca antecedente alla loro entrata in vigore non costituirebbe neppure una violazione dell'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, più volte menzionata dalle ricorrenti.

70.   Nel caso Coëme c. Belgio, la Corte europea dei diritti dell'uomo avrebbe, infatti, stabilito che il principio d'irretroattività non è violato qualora la pena inflitta avesse potuto essere comminata anche all'epoca in cui l'infrazione è stata commessa. Poiché, in virtù del potere discrezionale di cui gode in materia, anche nel 1995 la Commissione avrebbe potuto comminare alle ricorrenti l'ammenda poi effettivamente inflitta, nella specie non sarebbe ravvisabile alcuna violazione del principio d'irretroattività.

71.    Nel proporre alla Corte una risposta alle censure sollevate dalle ricorrenti non posso fare a meno di richiamare le mie conclusioni relative al caso Dansk Rørindustri e a./Commissione (31), nelle quali ho già ampiamente motivato la mia posizione sulle indicate questioni. Anche in quei casi, in effetti, le ricorrenti avevano sostenuto che l'applicazione degli Orientamenti ad infrazioni del diritto della concorrenza commesse in epoca anteriore alla loro entrata in vigore costituiva una violazione del principio d'irretroattività.

72.   Nel rinviare a quelle conclusioni per una più estesa argomentazione, mi limito qui a ricordare che in esse ho proposto alla Corte di respingere la tesi delle ricorrenti. Ho ritenuto, in effetti, anzitutto che gli Orientamenti rimangano all'interno dei confini fissati dall'art. 15 del regolamento 17, in quanto il calcolo delle ammende continua ad essere svolto in funzione dei due parametri ivi enunciati (la gravità e la durata dell’infrazione) ed entro il limite massimo del 10%. D’altra parte, ho ricordato la consolidata giurisprudenza della Corte dalla quale emerge che la Commissione può, qualora rimanga entro tali limiti, innalzare il livello generale delle ammende al fine di rendere maggiormente efficace la propria politica in materia di concorrenza (32). Da questa giurisprudenza deriva inoltre che, contrariamente a quanto affermato dalle ricorrenti, all’epoca in cui sono state commesse le infrazioni sanzionate un inasprimento del livello delle ammende non era affatto imprevedibile per gli operatori economici interessati poiché la Corte aveva già espressamente riconosciuto alla Commissione la possibilità di procedere a tali aumenti (33).

73.   Nelle citate conclusioni ho quindi ritenuto che non vi fosse violazione del principio di irretroattività da parte della Commissione perché, pur applicando la nuova metodologia di calcolo contenuta negli Orientamenti, essa aveva comunque rispettato i limiti previsti dall’art. 15 del regolamento 17 come interpretato dalla giurisprudenza della Corte.

74.   Non essendo ancora intervenuta la sentenza della Corte sul punto, non vedo allo stato alcuna ragione per discostarmi dall'opinione espressa in relazione alle citate cause Dansk Rørindustri e a.

75.   Ritengo pertanto che il primo mezzo d'impugnazione debba essere respinto.

2.      Sulla violazione del principio della parità di trattamento

76.   Con il secondo mezzo di ricorso, le ricorrenti fanno valere che la Commissione ha violato il principio d'eguaglianza per aver calcolato le sanzioni inflitte per infrazioni commesse nel medesimo periodo temporale ad alcune imprese secondo la nuova metodologia contenuta negli Orientamenti, e ad altre in conformità alla sua prassi anteriore.

77.   Nella sentenza impugnata il Tribunale avrebbe riconosciuto che il principio della parità di trattamento esige che imprese che hanno commesso infrazioni della medesima natura in periodi di tempo concomitanti siano esposte alle stesse sanzioni, indipendentemente dalla data, necessariamente aleatoria, in cui viene adottata una decisione nei loro confronti. Ciò nonostante esso avrebbe ritenuto che nella specie non vi fosse stata alcuna violazione di tale principio, ancora una volta nella convinzione che gli Orientamenti non avevano modificato il quadro giuridico fissato dall'art. 15, n. 2, del regolamento 17.

78.   Così giudicando, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto. In effetti, la modifica di una prassi amministrativa costante costituisce una modifica del quadro giuridico, poiché si risolve in un cambiamento delle disposizioni di diritto che la Commissione è tenuta ad osservare.

79.   Per parte sua, la Commissione obietta che le argomentazioni sollevate dalle ricorrenti sono strettamente legate a quelle già sviluppate in relazione alla censura sulla pretesa violazione del principio d'irretroattività. Ne conseguirebbe, quindi, la loro infondatezza per le medesime ragioni illustrate in precedenza.

80.   La Commissione fa valere che, anche nel periodo antecedente l'adozione degli Orientamenti, essa avrebbe potuto applicare il medesimo metodo di calcolo delle ammende ivi previsto ovvero comminare delle sanzioni d'importo equivalente. In altri termini, le sanzioni per violazione delle regole di concorrenza cui le imprese erano sottoposte anteriormente al 1998 erano esattamente identiche a quelle previste negli Orientamenti.

81.   La circostanza che le ammende inflitte alle imprese prima dell'adozione degli Orientamenti fossero in pratica meno elevate sarebbe esclusivamente dovuta ad una scelta politica della Commissione, la quale aveva il potere discrezionale, come riconosciuto dalla Corte nella sentenza Musique Diffusion française, di elevare il livello delle ammende al fine di accrescere l'efficacia della politica comunitaria di concorrenza.

82.   Dico subito che anche a me, come alla Commissione, pare che la censura sollevata dalle ricorrenti con il secondo motivo di ricorso costituisca una riproposizione, sotto altra veste giuridica, delle argomentazioni già esposte relativamente all'asserita violazione del principio d'irretroattività. In effetti, le ricorrenti lamentano una violazione della parità di trattamento unicamente per il fatto che il trattamento sanzionatorio cui esse sarebbero state sottoposte non è stato identico a quello riservato dalla Commissione ad altre intese concluse in epoca coeva al cartello della lisina, ma oggetto di decisioni anteriori all'emanazione degli Orientamenti.

83.    Ancora una volta, quindi, le ricorrenti partono dal presupposto che gli Orientamenti non potessero applicarsi a violazioni del diritto della concorrenza commesse in epoca precedente alla loro adozione poiché esulerebbero dal sistema sanzionatorio in vigore al momento della commissione di tali infrazioni.

84.   Un tale assunto, però, come si è visto in precedenza, non è fondato. A questo proposito, mi limito a rinviare alle considerazioni esposte ai precedenti punti 70 e 71, in cui ho ricordato come, nella specie, la Commissione non abbia violato il principio d'irretroattività dal momento che i) era in suo potere incrementare a propria discrezione il livello generale delle sanzioni a condizione di conformarsi alle disposizioni in materia di ammende per violazione del diritto della concorrenza vigenti quando sono state commesse le infrazioni contestate e ii) la metodologia di calcolo contenuta negli Orientamenti risulta pienamente conforme al contesto giuridico dell'art. 15 del regolamento 17.

85.   Ritengo pertanto che anche il secondo motivo di ricorso debba essere respinto.

3.      Sulla violazione del principio del ne bis in idem e sul difetto di motivazione della sentenza del Tribunale al riguardo

86.   Con il terzo mezzo di ricorso, le ricorrenti criticano la sentenza del Tribunale per non avere accertato che la Commissione, rifiutandosi di dedurre dall'ammenda fissata nella decisione impugnata l'importo delle ammende già inflitte all'ADM Company negli Stati Uniti e in Canada, ha violato il principio ne bis in idem.

87.   Con il quarto motivo, poi, esse aggiungono che il Tribunale non ha adeguatamente risposto ai loro argomenti secondo cui la Commissione avrebbe violato tale principio anche per avere tenuto conto del fatturato mondiale di ADM Company, cioè un fatturato già parzialmente preso in considerazione nel calcolo delle sanzioni inflitte dalle autorità statunitensi e canadesi.

88.   a) Cominciando dal motivo relativo ad un'asserita violazione del principio ne bis in idem, le ricorrenti deducono dalle sentenze della Corte nelle cause Walt Wilhem e Boehringer che la Commissione sarebbe obbligata a tener conto di una sanzione inflitta dalle autorità di un paese terzo per un medesimo comportamento illecito. Tale obbligo costituirebbe un principio generale di diritto applicabile a tutte le situazioni di cumulo di sanzioni, anche se queste sono frutto dell’esercizio di potestà punitive diverse nell'ordinamento internazionale. Il Tribunale avrebbe quindi interpretato in modo troppo restrittivo la citata giurisprudenza quando ha affermato che «non esiste, attualmente, nessun principio di diritto pubblico internazionale» (34) che vieti il cumulo delle sanzioni, cosi come quando ha limitato la portata dei principi enunciati in tali sentenze a sanzioni irrogate all'interno dell'Unione europea.

89.   A dire delle ricorrenti, inoltre, il Tribunale avrebbe snaturato elementi probatori, violato l'obbligo di motivazione e leso i diritti della difesa delle ricorrenti quando ha asserito che gli addebiti contestati a ADM dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità statunitensi e canadesi, dall'altro, non erano identici, benché tale identità risultasse chiaramente sia dalla decisione della Commissione che dagli elementi di prova prodotti dalle ricorrenti.

90.   Secondo la Commissione, invece, il Tribunale avrebbe correttamente definito, alla luce della giurisprudenza della Corte, la portata del principio ne bis in idem. Ciò perché, a suo avviso, nell'ordinamento internazionale l'applicazione di tale principio potrebbe derivare soltanto da apposite norme convenzionali; allo stato però, come rilevato dal Tribunale, nessun testo convenzionale obbliga la Commissione a detrarre o a tener conto di sanzioni inflitte all'estero.

91.   Secondo la Commissione, il Tribunale avrebbe poi correttamente escluso che gli addebiti contestati alle ricorrenti dalla Commissione e dalle autorità statunitensi e canadesi fossero identici. Si dovrebbe infatti distinguere, come riconosciuto dalla Corte nella sentenza Boehringer, gli accordi conclusi a livello internazionale che sono all'origine di un'intesa (i «fatti») e che possono eventualmente essere gli stessi, dal loro oggetto e ambito di applicazione. Nella fattispecie, l'ammenda comminata dalla Commissione riguarda per l’appunto unicamente l'attuazione dell'intesa nel territorio del SEE, cioè addebiti diversi da quelli rilevati dalle autorità dei paesi terzi in questione.

92.   Per parte mia, dico subito di non condividere le argomentazioni addotte dalle ricorrenti.

93.   Anzitutto, come giudicato dal Tribunale nella sentenza impugnata, pare anche a me che, allo stato, nell'ambito del diritto internazionale non possa ritenersi affermato un principio che vieti ad autorità o a giudici di Stati diversi di perseguire e di condannare una persona per gli stessi fatti per cui questa è stata giudicata in un altro Stato. Al contrario, l'esercizio della potestà punitiva viene tuttora considerato dagli Stati come una delle espressioni più rilevanti della propria sovranità, sicché essi sono restii a rinunciare all'esercizio di tali potestà rispetto a condotte illecite che presentino un qualche collegamento con il proprio ordinamento, ancorché tali condotte siano state già oggetto di procedimenti da parte delle autorità di altri Stati.

94.   Del resto, gli stessi strumenti multilaterali che sanciscono il principio ne bis in idem ne limitano in generale l’applicabilità alle sole decisioni giudiziarie di un medesimo Stato.

95.   Ricordo in proposito, anzitutto, il noto art. 14, settimo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, il quale stabilisce che «nessuno può essere giudicato o punito per un reato per il quale sia già stato assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità del diritto e della procedura penale di ciascun Paese». Ora, chiamato a pronunciarsi sulla portata di tale norma, il Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite ha precisato che essa «prohibits double jeopardy only with regard to an offence adjudicated in a given State» (35).

96.   Ancor più chiaro in questo senso è il tenore letterale dell'art. 4 del VII Protocollo addizionale alle Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il quale sancisce che «nessuno può essere perseguito o punito penalmente dalle giurisdizioni dello stesso Stato per un reato per il quale sia già stato assolto o condannato con una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di questo Stato» (36).

97.   Quanto appena affermato trova inoltre chiara conferma nella giurisprudenza internazionale. In particolare, il Tribunale penale internazionale per la ex Yugoslavia non ha esitato a riconoscere che «the principle of non bis in idem appears in some form as part of the internal legal code of many nations. Whether characterised as non bis in idem, double jeopardy or autrefois acquit, autrefois convict, this principle normally protects a person from being tried twice or punished twice for the same acts. This principle has gained a certain international status since it is articulated in Article 14(7) of the International Covenant on Civil and Political Rights as standard of a fair trial, but it is generally applied so as to cover only a double prosecution within the same State. The principle is binding upon this International Tribunal to the extent that it appears in Statute, and in the form it appears there» (37).

98.   Tale linea di pensiero è stata espressamente condivisa anche da alcune corti costituzionali nazionali (38). Con sentenza 31 marzo 1987, ad esempio, il Bundesverfassungsgericht tedesco ha escluso che il principio in questione «possa essere considerato alla stregua di un principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto» (39). Parimenti, in ben due sentenze la Corte costituzionale italiana ha ritenuto che il semplice fatto che detto principio sia comune alla quasi totalità degli ordinamenti giuridici nazionali non costituisce motivo sufficiente per configurarlo come principio generale di diritto internazionale applicabile anche alle sentenze straniere (40).

99.   Ricordo infine che, perfino in un contesto integrato come quello comunitario, il principio ne bis in idem si è affermato solo grazie alla sua previsione in apposite norme convenzionali, quali la Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen (art. 54) (41), la Convenzione sulla protezione degli interessi finanziari delle Comunità europee (art. 7) e la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea (art. 10).

100. Ma anche supponendo che la premessa del ragionamento delle ricorrenti sia fondata, e cioè che esista un principio generale di diritto secondo il quale, anche in assenza di apposite norme convenzionali, uno stesso soggetto non può essere sanzionato più volte in Stati diversi per un medesimo comportamento illecito, l'applicazione di tale principio sarebbe comunque sottoposta, come è stato recentemente ricordato dalla Corte, «ad una triplice condizione di identità dei fatti, di unità del contravventore e di unità dell'interesse giuridico tutelato» (42). In altri termini, solo in tali circostanze, si potrebbe parlare di una situazione di cumulo di sanzioni rilevante ai fini dell'applicazione del principio in questione. Dunque, anche a voler ammettere l’esistenza di quest’ultimo, occorrerebbe accertare se nella specie le suddette condizioni siano soddisfatte.

101. Ora, a me sembra evidente che nel caso in esame manca almeno una delle suddette condizioni: l'unicità dell'interesse giuridico tutelato. In effetti, come giustamente rilevato dal Tribunale, «i procedimenti svolti e le sanzioni inflitte dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità americane e canadesi, dall'altro, non perseguono gli stessi obiettivi. Se nel primo caso si tratta di preservare una concorrenza non falsata nel territorio dell'Unione europea o nel SEE, lo scopo di tutela riguarda, nel secondo caso, il mercato americano o canadese» (43). Tali procedimenti non mirano quindi a «tutelare lo stesso bene giuridico» (44).

102. Al riguardo, è sufficiente rammentare che il presupposto per l'applicazione del diritto comunitario delle intese, e quindi per l'azione della Commissione, è proprio l'esistenza di un accordo, una decisione o una pratica concordata che «possa pregiudicare il commercio tra Stati membri» nonché «impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune» (art. 81, n. 1, CE). Se non si verifica l'una o l'altra di tali conseguenze, non vi è violazione dell'art. 81, n. 1, CE.

103. Ne consegue che quando la Commissione sanziona un comportamento illecito che può, come nel caso di specie, avere origine in un'unica «strategia internazionale», essa mira a salvaguardare un «bene giuridico» specifico, la libera concorrenza nel mercato comune, e quindi distinto da quello tutelato da autorità di paesi terzi. La specificità del bene giuridico tutelato non si riflette solo nei principi e nelle regole che caratterizzano il diritto comunitario della concorrenza, ma anche nelle valutazioni operate dalla Commissione. Valutazioni che consistono essenzialmente nell'accertare volta per volta gli effetti di presunti comportamenti anticoncorrenziali sulla specifica struttura economica rappresentata dal mercato comune, e che possono quindi considerevolmente divergere da quelle eventualmente svolte da autorità straniere.

104. Aggiungo che il requisito dell'identità dell'interesse giuridico tutelato (requisito dal quale peraltro la tesi delle ricorrenti fa totalmente astrazione) rappresenta, a mio avviso, un aspetto essenziale della questione in esame, in quanto è strettamente legato all'obiettivo fondamentale di qualsiasi sistema sanzionatorio: l’individuazione degli interessi e dei valori che l'ordinamento assume come meritevoli di protezione. Ora, per le ragioni che ho sopra indicato, ritengo che nella fattispecie si debba rispondere in modo negativo sul punto dell'identità di quegli interessi e valori.

105. Non mi pare poi che possa indurre ad una diversa conclusione il riferimento delle ricorrenti al principio enunciato dalla Corte nella sentenza Walt Wilhelm secondo cui la Commissione, nel fissare l'entità dell'ammenda, deve tener conto delle sanzioni che sono già state inflitte all'impresa per fatti commessi in violazione del diritto della concorrenza di uno Stato membro. Secondo le ricorrenti, non ci sarebbe motivo per non estendere la portata di questo principio di equità o di «giustizia naturale» anche a decisioni repressive adottate da autorità di Stati terzi.

106. Tuttavia, come correttamente precisato dal Tribunale (45), la Corte ha sancito l’indicato principio alla luce della situazione particolare vigente nella Comunità e derivante, da un lato, dalla stretta interdipendenza esistente tra i mercati nazionali e il mercato comune e, dall'altro, dal sistema specifico di ripartizione delle competenze tra Comunità e Stati membri in materia d'intese. In particolare, il diritto comunitario ed i diritti nazionali della concorrenza considerano le intese sotto aspetti diversi, anche se complementari: «l'art. [81] considera infatti le intese sotto il profilo degli ostacoli che ne possono conseguire per il commercio tra gli Stati membri, mentre le legislazioni nazionali, ispirandosi a considerazioni proprie a ciascuno Stato, considerano le intese in un ambito più ristretto» (46). Ed è quindi in questo contesto specifico, in cui i medesimi «fatti avvenuti nel territorio comunitario» (47) possono dar luogo a procedimenti paralleli dinanzi alle autorità nazionali e comunitarie, che la Corte ha enunciato che qualora «la possibilità di un duplice procedimento dovesse implicare una doppia sanzione, un'esigenza generale di equità (…) implica che si tenga conto, nel determinare la sanzione, delle decisioni repressive anteriori» (48).

107. In proposito, va osservato che da quando la sentenza Walt Wilhem è stata resa dalla Corte (più di trenta anni fa) gli aspetti d'interdipendenza e d'integrazione dei sistemi comunitari e nazionali di tutela della concorrenza che hanno ispirato tale pronuncia si sono notevolmente rafforzati, in particolare con il decentramento dell'applicazione del diritto antitrust comunitario introdotto dal recente regolamento n. 1/2003 (49). Si è venuto così a creare un originalissimo regime nel quale, nell'ambito e nei limiti delle rispettive competenze, la Commissione e le autorità degli Stati membri preservano realmente «in comune» il gioco della libera concorrenza nel territorio comunitario (50).

108. Completamente diversa è invece una situazione, come quella che ci occupa, di sanzioni irrogate da autorità che intervengono in ambiti del tutto diversi. E questo spiega, mi sembra, perché l'obbligo per la Commissione di tener conto di sanzioni già imposte sia stato espressamente riconosciuto dalla Corte soltanto in relazione a decisioni di autorità di Stati membri (51).

109. Ritengo pertanto che il Tribunale abbia correttamente dichiarato, al punto 100 della sentenza impugnata, che la fattispecie non è paragonabile alle situazioni in cui, secondo la giurisprudenza comunitaria, la Commissione è soggetta al suddetto obbligo.

110. Ci si potrebbe tuttavia chiedere se, al di fuori del contesto così particolare dei rapporti tra diritto comunitario della concorrenza e diritti degli Stati membri, la Commissione non dovrebbe tener conto anche in altre circostanze, per ragioni di equità, di decisioni repressive adottate da autorità straniere. Penso soprattutto alla situazione, piuttosto singolare, ma non del tutto improbabile, di un mercato del prodotto totalmente integrato sul piano mondiale, caratterizzato cioè da condizioni di concorrenza perfettamente omogenee a livello internazionale. In tal caso, infatti, una situazione di cumulo di sanzioni potrebbe essere ritenuta eccessiva dato che le ammende inflitte da diverse autorità mirerebbero tutte in realtà a sanzionare il pregiudizio causato ad un’unica, ed appunto globale, struttura concorrenziale.

111. Devo dire tuttavia che se anche si volesse propendere in tal senso, non credo che il risultato cui sono pervenuto in precedenza cambierebbe, perché nella fattispecie non ricorrono le condizioni ipotizzate. Nel nostro caso, infatti, la Commissione – e il Tribunale non ha contestato tale analisi – i) si è esplicitamente riferita al «mercato della lisina nel SEE» e ii) ha sanzionato la partecipazione delle ricorrenti ad accordi sui prezzi e sui quantitativi di vendita che riguardavano specificamente ed espressamente questo mercato, anche se s’inserivano in un complesso di accordi e di pratiche concordate conclusi a livello mondiale (52).

112. b) Con il quarto mezzo d'impugnazione, come si è detto, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale non ha rispettato l'obbligo di motivazione ad esso incombente in forza dell'art. 36 dello Statuto della Corte. Esso avrebbe infatti omesso di rispondere all'argomento sollevato dalle ricorrenti secondo cui la Commissione avrebbe anche violato il principio di divieto del cumulo delle sanzioni tenendo conto del fatturato mondiale di ADM Company, e cioè di un fatturato che comprende il volume d'affari realizzato negli Stati Uniti benché quest'ultimo fosse già stato preso in considerazione dalle autorità statunitensi e canadesi nel calcolo delle rispettive ammende.

113. In via preliminare, ritengo opportuno ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la motivazione di una sentenza deve essere sufficientemente chiara e completa sia per consentire agli interessati di verificarne il contenuto e di esaminare, se del caso, l'opportunità di contestarne la legittimità, sia per permettere alla Corte di esercitare il proprio sindacato giurisdizionale (53). Tuttavia, la Corte ha anche precisato che «l'obbligo di motivazione non impone al Tribunale di fornire una spiegazione che segua tassativamente e uno per uno tutti i ragionamenti svolti dalle parti della controversia. La motivazione può quindi essere implicita, a condizione che consenta agli interessati di conoscere le ragioni per le quali sono state adottate le misure di cui trattasi ed al giudice competente di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo» (54).

114. Ciò chiarito, conviene osservare che la questione in esame dipendeva dalla soluzione data dal Tribunale alla più ampia questione dell'esistenza e dell'applicabilità di un principio di divieto del cumulo delle sanzioni. È infatti evidente che se fosse stata esclusa l’applicazione di tale principio nella fattispecie, la Commissione non avrebbe potuto violarlo tenendo conto del fatturato mondiale di ADM Company.

115. Ora, il Tribunale ha escluso l'applicazione del principio del ne bis in idem a seguito di un'analisi circostanziata, svolta ai punti 85-104 della sentenza impugnata, degli argomenti presentati dalle parti. Avendo concluso in tal senso, esso ha logicamente dedotto che non sussisteva una violazione di tale principio neanche in relazione al fatto che la Commissione aveva tenuto conto di un fatturato già parzialmente preso in considerazione nel calcolo di sanzioni comminate da autorità di paesi terzi (55).

116. Ne consegue, mi sembra, che la sentenza fa apparire in modo chiaro e completo, conformemente ai requisiti posti dalla giurisprudenza sopra citata, il ragionamento che ha portato il Tribunale a respingere anche gli argomenti delle ricorrenti relativi alla presa in considerazione del fatturato globale di ADM Company.

117. Ne concludo quindi che non vi è stato nella specie violazione dell'obbligo di motivazione da parte del Tribunale.

118. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo pertanto alla Corte di respingere il terzo e il quarto motivo d’impugnazione.

4.      Sullo snaturamento degli elementi di prova per quanto riguarda l'impatto concreto dell'intesa sul mercato

119. Con il quinto motivo le ricorrenti fanno valere che il Tribunale ha snaturato gli elementi di prova relativi all'impatto concreto dell'intesa sul mercato della lisina nel SEE. In particolare, la Commissione non avrebbe provato, come invece richiesto dalla giurisprudenza comunitaria, che i prezzi praticati dai membri del cartello erano superiori a quelli che sarebbero stati praticati in mancanza d'infrazione al diritto della concorrenza. Il Tribunale avrebbe quindi erroneamente concluso che la Commissione aveva «validamente dimostrato l'impatto negativo dell'intesa sul mercato» (56).

120. Prima di passare all'analisi del motivo, conviene ricordare brevemente che, ai sensi dell'art. 225 CE e dell'art. 51 dello Statuto della Corte, le sentenze del Tribunale possono essere impugnate «per i soli motivi di diritto». Ne consegue che la valutazione dei fatti, salvo il caso di snaturamento degli elementi di prova addotti dinanzi al Tribunale, non costituisce una questione di diritto, come tale soggetta al sindacato della Corte (57).

121. Riguardo alla questione dello snaturamento di elementi di prova da parte del Tribunale, la giurisprudenza ha poi precisato che «gli artt. 225 CE, 51, primo comma, dello Statuto CE della Corte di giustizia e 112, n. 1, primo comma, lett. c), del regolamento di procedura impongono al ricorrente che alleghi uno snaturamento di elementi di prova da parte del Tribunale di indicare con precisione gli elementi che sarebbero stati snaturati da quest'ultimo e di dimostrare gli errori di valutazione che, a suo avviso, avrebbero portato il Tribunale a tale snaturamento» (58).

122. In particolare, non soddisfa i requisiti risultanti dalle citate disposizioni il ricorso che, senza neppure contenere un argomento specificamente diretto a individuare l'eventuale snaturamento di elementi di prova, si limita a ripetere o a riprodurre testualmente i motivi e gli argomenti che sono stati già presentati dinanzi al Tribunale, ivi compresi quelli basati su fatti esplicitamente respinti da tale giudice. In effetti, tale impugnazione costituirebbe in realtà una domanda intesa ad ottenere un semplice riesame del ricorso presentato dinanzi al Tribunale, il che esula dalla competenza della Corte (59).

123. Ciò precisato, occorre anzitutto constatare che nel loro ricorso le ricorrenti, contrariamente ai requisiti posti dalla citata giurisprudenza, non spiegano perché il Tribunale avrebbe snaturato le prove prodotte dinanzi ad esso, ma si limitano in sostanza ad affermare che la Commissione non ha dimostrato che il livello dei prezzi verificatosi nel mercato della lisina in seguito alla conclusione del cartello era superiore a quello che sarebbe prevalso in assenza d'intesa. Di fronte a tale mancanza di prove, il Tribunale avrebbe dovuto accogliere gli argomenti presentati dalle ricorrenti, in particolare quelli contenuti in due studi economici presentati alla Commissione durante il procedimento amministrativo, ed atti a dimostrare che l'intesa non avrebbe avuto effetti anticoncorrenziali.

124. Ora, la critica mossa dalle ricorrenti nei confronti del ragionamento seguito dal Tribunale mi sembra infondata. Dalla lettura della decisione e della sentenza impugnate risulta in effetti che la Commissione ha fornito una serie di elementi di prova sull'aumento dei prezzi provocato dall'intesa e che questi elementi sono stati esaurientemente esaminati dal Tribunale, il quale ha per giunta rilevato che alcuni di questi elementi non erano neanche stati contestati dalle ricorrenti (60). Osservo inoltre che il giudice di primo grado ha altresì analizzato le contro argomentazioni presentate dalle ricorrenti prima di concludere che esse non consentivano di confutare gli elementi di prova prodotti dalla Commissione (61).

125. Ne risulta che il motivo sollevato dalle ricorrenti non contiene alcuna indicazione idonea a dimostrare che il Tribunale ha snaturato taluni elementi probatori. Ma soprattutto tale mezzo di ricorso, riproponendo argomenti già respinti dal Tribunale, mira in realtà a contestare l'analisi svolta da detto giudice riguardo all'impatto anticoncorrenziale del cartello, e quindi a contestare una valutazione dei fatti che, come ho ricordato sopra, non può essere messa in discussione nell'ambito del presente ricorso.

126. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo dunque alla Corte di dichiarare il presente motivo irricevibile.

5.      Sulla violazione del principio di proporzionalità

127. Con il sesto, settimo e ottavo motivo d'impugnazione, le ricorrenti sollevano diverse questioni attinenti ad una pretesa violazione del principio di proporzionalità. Per comodità espositiva ritengo utile esaminare prima la censura sollevata con l'ottavo mezzo di ricorso.

128. a) Con tale motivo, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale ha violato il principio di proporzionalità nel ritenere che l'ammenda loro inflitta non fosse sproporzionata rispetto al fatturato da esse realizzato sul mercato rilevante, vale a dire sul mercato della lisina nel SEE.

129. A loro avviso, dalla giurisprudenza del Tribunale e della Corte, in particolare dalle sentenze KNP (62) e Parker Pen (63), emergerebbe che nel procedimento di determinazione dell'importo delle ammende la Commissione è obbligata a tenere conto del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato rilevante.

130. Ne conseguirebbe che, nel caso in cui la Commissione non abbia tenuto conto di tale fatturato, l’ammenda sarebbe necessariamente sproporzionata. Ciò sarebbe peraltro dimostrato proprio dal caso di specie, in cui l'ammenda comminata ad ADM Company e ADM Ingredients risulta essere pari al 115% del fatturato da queste realizzato sul mercato rilevante.

131. Dal canto suo, la Commissione replica che né gli Orientamenti né la giurisprudenza comunitaria la obbligano a tenere conto del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato rilevante ai fini della determinazione dell'ammontare delle ammende. Tale fatturato sarebbe invece solo uno degli elementi di cui la Commissione può tener conto a quel fine.

132. Peraltro, secondo la Commissione, esigere che le ammende siano proporzionali al fatturato realizzato sul mercato rilevante non consentirebbe di ottenere un'ammenda effettivamente proporzionata alla durata e alla gravità dell'infrazione, come richiesto dall'art. 15, n. 2, del regolamento 17. La Commissione deve invece tener conto di tutta una serie di elementi che conducano a determinare l'importo delle ammende in maniera sufficientemente dissuasiva. Nella specie, tali elementi sarebbero stati presi in considerazione.

133. Infine, la Commissione fa valere che la giurisprudenza citata dalle ricorrenti a sostegno della loro tesi non è pertinente.

134. Quanto al caso KNP, anche ad ammettere che in tale sentenza la Corte abbia stabilito che le ammende devono essere proporzionali al fatturato realizzato sul mercato rilevante, avrebbe comunque precisato che tale affermazione, come correttamente giudicato dal Tribunale, è strettamente legata alla particolare fattispecie dedotta nel caso e non assurge a principio generale vincolante per la Commissione.

135. Quanto alla sentenza Parker Pen, la Commissione rileva che in tale caso il Tribunale non le ha in alcun modo imposto di tener conto del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato rilevante. Il Tribunale avrebbe unicamente messo in guardia la Commissione dall'attribuire un'importanza sproporzionata al fatturato globale allorché quello realizzato nel mercato rilevante costituisce una parte minima del primo fatturato. Ciò nonostante, il Tribunale avrebbe comunque confermato che il fatturato nel mercato rilevante è solo uno dei vari elementi che la Commissione può prendere in considerazione nel procedimento di determinazione dell'ammenda.

136. Peraltro, il caso Parker Pen sarebbe del tutto diverso da quello di specie. Trattandosi di un accordo verticale, infatti, era logico che si dovesse prendere in considerazione il fatturato realizzato dal distributore, Parker Pen appunto, nel mercato del prodotto oggetto dell'intesa. Questa giurisprudenza non potrebbe essere trasposta al caso di specie, il quale verte su un accordo di tipo orizzontale.

137. Per parte mia, ritengo opportuno precisare, in via preliminare, che la valutazione della proporzionalità di un'ammenda rispetto alla gravità ed alla durata dell'infrazione rientra nel potere di controllo giurisdizionale di merito conferito al Tribunale dall'art. 17 del regolamento 17. Solo il Tribunale è quindi competente a controllare il modo in cui la Commissione ha valutato caso per caso la gravità e la durata dei comportamenti illeciti (64).

138. Nell'ambito di un'impugnazione, pertanto, il controllo della Corte può solo spingersi a verificare se il Tribunale ha preso in considerazione in maniera giuridicamente corretta tutti i fattori essenziali per valutare dell'infrazione e se ha compiuto errori di diritto nell'esaminare le questioni sollevate dai ricorrenti (65).

139. In particolare, in merito al carattere asseritamene sproporzionato delle ammende, si deve osservare che non spetta alla Corte sostituire, per motivi d'equità, la propria valutazione a quella che il Tribunale ha compiuto, nell'esercizio della sua competenza di merito, quanto all'ammontare delle ammende inflitte ad imprese che hanno violato il diritto comunitario (66).

140.  Ne consegue che anche nella specie l'analisi della Corte si dovrà limitare a verificare se, confermando i criteri impiegati dalla Commissione per la fissazione delle ammende e controllando o addirittura correggendo la loro applicazione, il Tribunale ha o meno rispettato il principio di proporzionalità (67).

141. Tenendo presente gli indicati limiti del sindacato giurisdizionale della Corte, passo ora all'esame della censura sollevata dalle ricorrenti.

142. In proposito, devo riconoscere che la valutazione effettuata dal Tribunale nella sentenza impugnata su questo punto specifico non è molto chiara. In effetti, nell'esaminare se nella decisione impugnata la Commissione aveva rispettato il principio di proporzionalità esso:

–      ha ricordato che, ai sensi degli Orientamenti, la gravità delle infrazioni è stabilita in funzione di molteplici elementi (punto 183);

–      ha precisato che gli Orientamenti, da un lato, non prevedono che l'importo delle ammende sia calcolato in funzione del fatturato complessivo o del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato rilevante e, dall'altro, non ostano a che tali fatturati siano presi in considerazione per determinare l'importo dell'ammenda (punto 187);

–      ha ritenuto pacifico che, nel procedimento di fissazione dell'importo delle ammende, la Commissione non aveva tenuto conto del fatturato realizzato da queste nel mercato della lisina nel SEE, ma del fatturato mondiale complessivo e del fatturato mondiale nel mercato della lisina (punti 191 e 192);

–      ha sottolineato che la Commissione non aveva fatto esplicito riferimento alla valutazione del peso specifico e, dunque, all'impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa (punto 194);

–      ha osservato che dalla giurisprudenza della Corte emerge che «la parte del fatturato corrispondente alle merci coinvolte nell'infrazione può fornire una corretta indicazione dell'entità dell'infrazione nel mercato rilevante» (68) (punto 196);

–      ha concluso che, non avendo preso in considerazione il fatturato sul mercato rilevante, la Commissione aveva violato gli Orientamenti in quanto richiedono la presa in considerazione dell'«effettiva capacità economica» e del «peso specifico» delle imprese interessate (punto 197).

143. Ciò nonostante, sostituendo la propria valutazione a quella della Commissione, il Tribunale ha ritenuto che, in ogni caso, la Commissione non avesse violato il principio di proporzionalità, poiché i) dalla giurisprudenza non si poteva dedurre l'esistenza di un principio che imponesse alla Commissione di tenere obbligatoriamente in considerazione il fatturato realizzato dalle imprese sul mercato rilevante; ii) il fatturato corrispondente alle vendite di lisina nel SEE rappresentava una quota relativamente importante del fatturato realizzato dalle ricorrenti sul mercato mondiale della lisina, e iii) l'importo di base dell'ammenda non era stato determinato sulla base di un mero calcolo basato sul fatturato complessivo, ma anche in funzione di altri elementi rilevanti (punti 200-205).

144. La motivazione adottata dal Tribunale appare quindi contraddittoria. In un primo momento, il giudice di primo grado pare aver ritenuto che la Commissione dovesse calcolare l'importo dell'ammenda tenendo conto del fatturato realizzato dalle imprese nel mercato rilevante. Successivamente, però, esso non ha esitato a stabilire che dalla giurisprudenza della Corte non poteva dedursi l'esistenza di un tale obbligo e che l'ammenda era quindi stata calcolata in maniera corretta.

145.  Alla luce delle incertezze che traspaiono dal ragionamento del Tribunale ritengo quindi opportuno valutare se queste abbiano indotto ad errori di valutazione tali da inficiare la conclusione cui è giunto il giudice di primo grado.

146. Apro quest'analisi ricordando, come ho già fatto nelle mie conclusioni relative alle cause riunite Dansk Rørindustri e a. (69), che, secondo una giurisprudenza costante, la Commissione dispone di un margine di discrezionalità particolarmente ampio per quanto riguarda la scelta degli elementi da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell'importo delle ammende. Come ha osservato la stessa Corte «la gravità delle infrazioni va accertata sulla scorta di un gran numero di elementi come, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie, il suo contesto e l'effetto dissuasivo delle ammende, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante ed esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione» (70). Tra questi numerosi elementi di valutazione dell'infrazione possono anche figurare, a titolo esemplificativo, la dimensione e il potere economico delle imprese autrici dell'infrazione, il ruolo svolto da ciascuna di esse nella realizzazione dell'infrazione, il contesto economico e giuridico in cui si colloca l'infrazione (71).

147. In particolare, per quanto riguarda la presa in considerazione del fatturato dell'impresa, nella sentenza Musique Diffusion française la Corte ha precisato che «è possibile, per commisurare l'ammenda, tener conto tanto del fatturato complessivo dell'impresa (…) quanto della parte di tale fatturato corrispondente alle merci coinvolte nell'infrazione [senza che si debba] attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto ad altri criteri di valutazione» (72).

148. Da queste affermazioni emerge che, pur costituendo utili e rilevanti indicazioni della potenza economica dell'impresa, il fatturato globale ed il fatturato sul mercato rilevante rappresentano solo due fra i vari fattori di cui la Commissione può tenere conto nella valutazione della gravità dell'infrazione. Questa non è pertanto obbligata a tener conto del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato rilevante.

149. Quanto appena affermato non è contraddetto, a mio avviso, dalle affermazioni della Corte nella sentenza KNP, cui le ricorrenti hanno più volte fatto riferimento nel loro ricorso. Al riguardo, ricordo che in quel caso la ricorrente sosteneva che la Commissione avesse erroneamente tenuto conto in sede di fissazione dell'ammenda delle vendite all'interno del gruppo in questione, cioè di una parte del fatturato sul mercato rilevante. È alla luce di queste circostanze che si giustifica l'affermazione della Corte, contenuta ai punti 61 e 62 di detta sentenza, secondo cui la presa in considerazione del fatturato sul mercato rilevante, ivi incluso quello derivante da vendite interne ad un gruppo, ha valore al fine di garantire il carattere proporzionato dell'ammenda, evitando in particolare che imprese integrate verticalmente siano avvantaggiate in modo ingiustificato.

150. Contrariamente poi a quanto sembra affermare il Tribunale, un tale obbligo non emerge neppure dalla lettura degli Orientamenti.

151. In proposito, gli Orientamenti si limitano a invitare la Commissione a «valutare in che misura gli autori dell'infrazione abbiano l'effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori» (punto A, quarto capoverso) ed a considerare che «[i]n caso di infrazioni che coinvolgono più imprese (tipo cartelli), potrà essere opportuno, in certi casi, ponderare gli importi determinati nell'ambito di ciascuna delle tre categorie predette in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell'impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione» (punto A, sesto capoverso).

152. In altre parole, nel determinare l'importo dell'ammenda la Commissione deve vigilare affinché l'ammenda sia proporzionata al peso specifico e all'impatto reale che il comportamento della singola impresa partecipante all'intesa ha prodotto sul mercato. Ma nel fare questo, essa non è tenuta a considerare il fatturato realizzato da detta impresa sul mercato rilevante, peraltro non menzionato espressamente dagli Orientamenti. Come ho detto poc'anzi, infatti, tale fatturato non è che uno fra i vari fattori che la Commissione può prendere in considerazione. Ed in effetti, nella fattispecie, la Commissione, come correttamente rilevato dal Tribunale, ha ponderato l’importo delle ammende in funzione della dimensione e delle risorse delle imprese interessate tenendo conto di altri elementi rilevanti quali il loro fatturato complessivo ed il loro fatturato mondiale nel settore della lisina. In base a tali criteri, la Commissione ha poi suddiviso i partecipanti al cartello in due categorie «per tener conto dell’effettiva capacità economica delle imprese interessate di arrecare un danno consistente al mercato della lisina nel SEE e della necessità di fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo» (73), imponendo importi di base dell’ammenda differenti per ciascuna categoria.

153. Del resto, non bisogna dimenticare che in molti casi è proprio il fatturato mondiale (complessivo o settoriale) a costituire il maggiore indice della potenza economica dell'impresa e a favorire l'irrogazione di un'ammenda a questa maggiormente proporzionata. Ciò è quanto, a mio avviso, si verifica proprio in presenza di imprese multinazionali che operano a livello mondiale, le quali possono avere un fatturato globale molto elevato ed un fatturato molto inferiore sul mercato interessato.

154. Infine non si può fare a meno di osservare che la valutazione del fatturato sul mercato rilevante non è neppure imposta dall'art. 15 del regolamento 17, il quale si riferisce esclusivamente al fatturato globale realizzato dalle imprese nell'esercizio sociale precedente.

155. Quanto appena esposto dimostra che il Tribunale ha errato, se così deve intendersi la sua motivazione, nel ritenere che la Commissione avesse violato gli Orientamenti per non aver preso in considerazione il fatturato delle imprese interessate nel mercato rilevante.

156. Occorre tuttavia chiedersi se l'errore di diritto commesso dal Tribunale sia tale da inficiare la conclusione cui questo è giunto e secondo la quale l'importo dell'ammenda doveva ritenersi in ogni caso proporzionato sulla base degli altri fattori presi in considerazione dalla Commissione. Com'è noto, infatti, secondo una giurisprudenza costante «se dalla motivazione di una sentenza del Tribunale risulta una violazione del diritto comunitario, ma il dispositivo della medesima sentenza appare fondato per altri motivi di diritto, il ricorso avverso tale sentenza deve essere respinto» (74).

157. Ora, come ho rilevato poc’anzi, il calcolo delle ammende inflitte dalla Commissione, e confermate dal Tribunale, ha debitamente preso in considerazione la disparità di dimensioni e di risorse dei partecipanti al cartello. Se ne deve dedurre quindi che anche se si ritenga viziata la sentenza da errore di diritto su questo punto, il suo dispositivo resta ugualmente fondato.

158. Ritengo, pertanto, che anche l'ottavo motivo di ricorso debba essere respinto.

159. b) Con il sesto motivo di ricorso le ricorrenti fanno valere che, dopo aver ritenuto che la Commissione avesse violato gli Orientamenti, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto per non aver preso in considerazione il fatturato da queste realizzato nel mercato rilevante e non aver fissato, di conseguenza, l'importo corretto delle ammende.

160. In proposito, fermo restando quanto detto sopra rispetto all'inesistenza di una violazione degli Orientamenti da parte della Commissione, mi sembra agevole replicare che nel valutare il procedimento seguito per la determinazione dell'importo delle ammende il Tribunale può esercitare anche un controllo di merito. In tal modo, esso ha la facoltà di sostituire la propria valutazione a quella della Commissione allorché rileva che questa ha violato norme o principi di diritto.

161. Ciò è proprio quanto è avvenuto nella specie. In effetti, dopo aver ritenuto che la Commissione avesse applicato erroneamente gli Orientamenti, il Tribunale ha proceduto alla propria valutazione accertando che, in ogni caso, l'ammenda inflitta non era sproporzionata.

162. Ne consegue che anche il sesto motivo di ricorso deve essere respinto.

163. c) Infine, con il settimo motivo di ricorso, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale avrebbe violato l’obbligo di motivazione delle proprie decisioni quando ha ritenuto che l'ammenda inflitta ad esse fosse proporzionata nonostante che la Commissione avesse erroneamente applicato gli Orientamenti.

164. Di diverso avviso è, ovviamente, la Commissione.

165. A questo proposito, ricordo che secondo la giurisprudenza della Corte, e come ho osservato in precedenza (supra, punto 109), la motivazione di una sentenza può essere succinta, a condizione che consenta agli interessati di conoscere le ragioni per le quali il provvedimento è stata adottato e alla Corte di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il proprio controllo (75).

166. Ciò detto, mi sembra che, pur senza escludere che il Tribunale non abbia risposto in modo esplicito all'uno o all'altro specifico argomento, la sentenza impugnata soddisfi comunque l'obbligo di motivazione. Infatti, dopo aver dichiarato che la Commissione aveva violato le disposizioni contenute negli Orientamenti, il Tribunale ha verificato se tale mancanza avesse comportato una lesione del principio di proporzionalità delle ammende. In proposito, esso ha ritenuto che tale principio fosse stato comunque rispettato dalla Commissione e ha chiaramente specificato le ragioni per le quali era possibile giungere a questa conclusione.

167. Anzitutto, infatti, il Tribunale ha ricordato che l'art. 15 del regolamento 17 impone che l'importo finale dell'ammenda non superi il 10% del fatturato complessivo dell'impresa proprio per consentire che l'ammenda sia proporzionata alla potenza economica dell'impresa stessa. Ne consegue che quando, come nella specie, l'importo dell'ammenda non supera detto limite, l'ammenda deve ritenersi proporzionata.

168. In secondo luogo, il Tribunale ha respinto, confutandone ampiamente le argomentazioni, l'opinione delle ricorrenti secondo cui la giurisprudenza comunitaria imponeva alla Commissione di tenere conto del fatturato nel mercato rilevante.

169. Infine, il Tribunale si è premurato di evidenziare che, anche ad ammettere la sussistenza di un tale obbligo, il metodo di determinazione delle ammende seguito dalla Commissione nella decisione impugnata non aveva portato ad un'ammenda sproporzionata. Il fatturato corrispondente alle vendite di lisina nel SEE rappresentava infatti una quota relativamente importante del fatturato realizzato dalle ricorrenti sul mercato mondiale della lisina. In ogni caso, l'importo di base dell'ammenda non era stato calcolato solo sulla base del fatturato complessivo, ma anche di altri fattori quali il fatturato settoriale, la natura dell'infrazione, l'impatto concreto di quest'ultima sul mercato, l'estensione del mercato geografico rilevante, la necessaria portata dissuasiva della sanzione, le dimensioni e la potenza delle imprese (76).

170. Mi pare dunque che anche il settimo motivo d'impugnazione debba essere respinto.

6.      Sulla violazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda la determinazione dell'importo di base dell'ammenda

171. Con il nono mezzo di ricorso, infine, le ricorrenti fanno valere che il Tribunale ha violato il principio della parità di trattamento nell'avallare la fissazione da parte della Commissione, ai fini del calcolo dell'ammenda, di un importo di base uguale per ADM e Ajinomoto, nonostante quest'ultima detenesse sul mercato rilevante (il mercato della lisina nel SEE) quote pari a circa il doppio di quelle di ADM. Imprese di dimensioni diverse sarebbero state pertanto trattate in modo analogo. Alla luce di questa diversità di dimensioni e del fatto che il Tribunale avrebbe ritenuto che la Commissione deve sempre tener conto del fatturato nel mercato rilevante, il giudice di primo grado avrebbe dovuto ridurre l'importo di base di ADM.

172. Per parte mia, osservo anzitutto che il motivo in esame si basa su una premessa, a mio avviso, errata, e cioè che nel procedimento di determinazione dell'importo delle ammende la Commissione dovrebbe obbligatoriamente prendere in considerazione il fatturato realizzato sul mercato rilevante. Ora, come ho cercato di dimostrare in precedenza (supra, punti 142-151), non si può evincere un tale obbligo né dalla giurisprudenza comunitaria, né dall'art. 15 del regolamento 17 e neppure dal testo degli Orientamenti.

173. Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, gli importi di base in questione non possono essere considerati discriminatori per il solo fatto di non essere stati determinati in funzione dei relativi fatturati sul mercato rilevante.

174. Ciò precisato, si sarebbe potuto comunque parlare, in ipotesi, di violazione del principio della parità di trattamento se il Tribunale avesse ritenuto legittimo l'importo di base applicato ad ADM Company sebbene quest'ultima si trovasse in una situazione diversa rispetto ad Ajinomoto, cioè rispetto all'impresa per la quale è stato calcolato un importo di base identico. In effetti, secondo il costante insegnamento della Corte, il principio della parità di trattamento viene violato quando situazioni analoghe sono trattate in maniera differenziata o quando situazioni diverse sono trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (77).

175. Mi pare tuttavia che il principio della parità di trattamento non sarebbe stato violato neppure sotto questo profilo.

176. A tale riguardo, occorre rilevare che il Tribunale ha stabilito che l'importo di base delle ammende è stato determinato dalla Commissione in funzione di un insieme di fattori tra cui, segnatamente, le dimensioni e la potenza economica delle imprese interessate (78). Al fine di tener conto di quest'ultimo elemento, la Commissione ha suddiviso i partecipanti al cartello in due categorie riferendosi sia al loro fatturato mondiale complessivo sia al loro fatturato mondiale nel settore della lisina (79) e ha ritenuto, sulla scorta di tale confronto, che dovesse essere applicato l'importo di base più elevato ad ADM Company e Ajinomoto.

177. È quindi rispetto ai due criteri assunti dalla Commissione (fatturato mondiale complessivo e fatturato mondiale nel settore della lisina), ed accettati dal Tribunale, per delimitare i due gruppi che si deve accertare se le ricorrenti abbiano subito un trattamento discriminatorio.

178. Orbene, dall'esame dei dati forniti dalle stesse ricorrenti nella loro memoria risulta che per i due tipi di fatturati considerati dalla Commissione il volume d'affari realizzato da ADM Company era nettamente superiore a quello di tutte le altre imprese partecipanti all'intesa, ivi compreso, anche se in minor misura, quello di Ajjinomoto (80).

179. Mi sembra di poter quindi concludere nel senso che la determinazione degli importi di base, che risponde a criteri obiettivi e presenta una propria coerenza interna (81), non ha dato luogo a una violazione del principio della parità di trattamento ai danni delle ricorrenti.

180. Occorre pertanto respingere il presente motivo.

181. In conclusione, rilevo che nessuna delle censure formulate dalle ricorrenti è risultata fondata, con la conseguenza che il loro ricorso non può essere accolto.

IV – Sulle spese

182. Alla luce dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, e considerate le conclusioni cui sono giunto in merito al rigetto dei ricorsi, ritengo che le ricorrenti debbano essere condannate alle spese.

V –    Conclusioni

183. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di dichiarare che:

–      il ricorso è respinto;

–      Archer Daniels Midland Company e Archer Daniels MidlandIngredients Ltd sono condannate alle spese.


1 – Lingua originale: l'italiano.


2 – Racc. pag. II-2597.


3 – GU 2001, L 152, pag. 24.


4 – GU 1962, n. 13, pag. 204.


5 – GU 1998, C 9, pag. 3.


6 – In funzione della gravità dell’infrazione, gli Orientamenti fissano delle somme forfettarie che andranno a costituire, unitamente alla valutazione della durata dell’infrazione, l’importo di base del calcolo dell’ammenda. Per le infrazione “poco gravi” l’ammenda applicabile va da un minimo di EUR 1 000 a EUR 1 milione; per le infrazioni “gravi” da EUR 1 milione a EUR 20 milioni e per le infrazioni “molto gravi” oltre i 20 milioni di EUR (punto 1, parte A, degli Orientamenti).


7 – Il punto 2 degli Orientamenti prevede una «[m]aggiorazione dell’importo di base [dell’ammenda] per circostanze aggravanti particolari quali:


– recidiva della/delle medesima/e impresa/e per un’infrazione del medesimo tipo;


– rifiuto di qualunque cooperazione o tentativi di ostruzionismo durante lo svolgimento dell’inchiesta;


– organizzazione dell’infrazione o istigazione a commetterla;


– misure di ritorsione nei confronti di altre imprese per fare “rispettare” le pratiche configuranti infrazione;


– necessità di maggiorare la sanzione per superare l’importo degli utili illeciti realizzati grazie all’infrazione, quando la stima di tali utili sia obiettivamente possibile;


– altre circostanze».


8 – In tal senso, il punto 3 degli Orientamenti specifica che: «Riduzione dell’importo di base per circostanze attenuanti quali:


– ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione;


– non applicazione di fatto degli accordi o delle pratiche illecite;


– aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione (in particolare allo stadio degli accertamenti);


– esistenza di un dubbio ragionevole dell’impresa circa il carattere di infrazione del comportamento restrittivo della concorrenza;


– infrazioni commesse per negligenza e non intenzionalmente;


– collaborazione effettiva dell’impresa alla procedura al di là del campo di applicazione della comunicazione del 18 luglio 1996 sulla non imposizione o sulla riduzione di ammende;


– altro».


9 –      Ricordo che l'art. 1 della decisione impugnata ha accertato che ADM Company e ADM Ingredients avevano partecipato all'accordo sanzionato dal 23 giugno 1992 al 27 giugno 1995.


10 – Sentenza impugnata, punto 191.


11 – Ibidem, punto 41.


12 – Ibidem, punto 51.


13 – Ibidem, punti 70-73.


14 – Ibidem, punto 208.


15 – Ibidem, punto 210.


16 – Ibidem, punti 212 e 213.


17 – Ibidem, punti 89-91.


18 – Ibidem, punto 92.


19 – Sentenza 14 dicembre 1972, causa 7/72, Boehringer/Commissione (Racc. pag. 1281).


20 – Sentenza impugnata, punto 98.


21 – Ibidem, punti 99 e 100.


22 – Ibidem, punti 101 e 102.


23 – Ibidem, punti 103 e 104.


24 – Ibidem, punto 197.


25 – Ibidem, punto 200. Il corsivo è mio.


26 – Ibidem, punti 204 e 205.


27 – Ibidem, punti 142 e169.


28 – Ibidem, punto 171.


29 – Ibidem, punti 371-380.


30 – Sentenza 7 giugno 1983, cause riunite 100/80-103/80, Musique Diffusion française e a./Commissione (Racc. pag. 1825).


31 – Conclusioni 8 luglio 2004, cause riunite C-189/02 P, C-202/02 P, da C-205/02 P a 208/02 P e C-231/02 P, Dansk Rørindustri e a. (non ancora pubblicate in Raccolta).


32 – Ibidem, punti 159-165.


33 – Ibidem, punti 155-160.


34 – Sentenza impugnata, punto 92.


35 – Decisione 2 novembre 1987, AP/Italia, comunicazione n. 204/1986. Il corsivo è mio.


36 – Il corsivo è mio.


37 – Decision on the Defence Motion on the Principle of Non-bis-in-idem, Prosecutor v. Tadic, Case No. IT-94-1, T.Ch. II, 14 Nov. 1995. Il corsivo è mio.


38 – Del resto occorre ricordare che, per quanto risulta, sebbene la maggior parte degli ordinamenti degli Stati della comunità internazionale sanciscano il principio ne bisin idem, essi prevedono di regola che tale principio abbia una operatività esclusivamente interna. Ad esempio, se non vado errato, tra gli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione europea solo quello olandese riconosce ai giudicati stranieri efficacia preclusiva piena analoga a quella correlata ai giudicati interni.


39 – Sentenza 31 Marzo 1987, 2 BvM 2/86. Traduzione non ufficiale.


40 – Corte Costituzionale italiana 18 aprile 1967, n. 48, in Giur. Cost., 1967, I, pag. 299; e 8 aprile 1976, n. 69, in Giur. Cost., 1976, pag. 432.


41 – Riguardo a tale convenzione, mi sembra significativo che essa, pur sancendo il principio ne bis in idem nei rapporti tra Stati contraenti, preveda tuttavia al suo art. 55 la possibilità di derogare a tale principio in una serie di circostanze.


42 – Sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P, C-219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 338).


43 – Sentenza impugnata, punto 90. Il corsivo è mio. V. anche sentenza 18 novembre 1987, causa 137/85, Maizena (Racc. pag. 4587), in cui la Corte ha escluso l'esistenza di una violazione del principio ne bis in idem in quanto le due cauzioni richieste alla stessa persona per gli stessi fatti avevano «obiettivi del tutto differenti» (punti 22 e 23).


44 – V. sentenza Aalborg Portland e a., cit., punto 338: «[il principio ne bis in idem] vieta (...) di sanzionare lo stesso soggetto più di una volta per un medesimo comportamento illecito, al fine di tutelare lo stesso bene giuridico». Il corsivo è mio.


45 – V. sentenza impugnata, punto 99, e giurisprudenza ivi citata.


46 – Sentenza Walt Wilhem, cit., punto 3.


47 – Sentenza Boehringer, cit., punto 3.


48 – Sentenza Walt Wilhelm cit., punto 11.


49 – Regolamento (CE) del Consiglio 16 dicembre 2002, n. 1/2003, concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1). Ricordo che tale nuovo sistema ha istituito un sistema «di competenze parallele», cioè basato sulla concorrente applicabilità delle regole antitrust del Trattato ad opera della Commissione nonché delle autorità e dei giudici nazionali. In particolare, le autorità ed i giudici nazionali possono ormai applicare l'art. 81, n. 3, CE che prevede la possibilità di derogare al divieto di cui all'art. 81, n. 1, CE.


50 – V. sentenza impugnata, punto 99, e giurisprudenza ivi citata.


51 – Come giustamente osservato dal Tribunale, la Corte nella sentenza Boehringer ha evocato solo in via ipotetica un eventuale obbligo della Commissione di tener conto anche di sanzioni irrogate dalle autorità di uno Stato terzo. V. sentenza Boehringer, cit., punto 3.


52 – V. decisione contestata, segnatamente punti 186-212.


53 – V., per esempio, sentenze 14 maggio 1998, causa C-259/96 P, Consiglio/de Nil e Impens (Racc. pag. I-2915, punti 32-34), e 17 maggio 2001, causa C-449/98 P, IECC/Commissione (Racc. pag. I-3875, punto 70).


54 – Sentenza Aalborg Portland e a., cit., punto 372.


55 – Sentenza impugnata, punto 94.


56 – Ibidem, punto 169.


57 – V., in particolare, sentenze 21 giugno 2001, cause riunite da C-280/99 P a C‑282/99 P, Moccia Irme e a./Commissione (Racc. pag. I-4717, punto 78), e Aalborg Portland e a., cit, punto 49.


58 – Aalborg Portland e a., cit, punto 50.


59 – V., segnatamente, ordinanza 9 luglio 1998, causa C-317/97 P, Smanor e a./Commissione (Racc. pag. I-4269, punto 21); sentenze 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione (Racc. pag. I-5291, punto 35), e Aalborg Portland e a., cit., punto 51.


60 – V. punti 261-296 della decisione della Commissione e punti 153-160 della sentenza impugnata. In particolare, al punto 160, il Tribunale ha osservato che «le ricorrenti non contestano veramente la correlazione ravvisata dalla Commissione tra le iniziative sui prezzi ed i prezzi effettivamente praticati nel mercato dai membri del cartello».


61 – Sentenza impugnata, punti 161-169.


62 – Sentenza 16 novembre 2000, causa C-248/98 P, KNP BT/Commissione (Racc. pag. I-9641).


63 – Sentenza del Tribunale, 14 luglio 1994, causa T-77/92, Parker Pen/Commissione (Racc. pag. II‑549).


64 – Sentenza 17 dicembre 1998, causa C-185/95 P, Baustahlgewebe/Commissione (Racc. pag. I‑8417, punto 128); 29 aprile 2004, causa C‑359/01 P, British Sugar/Commissione (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 47).


65 – Sentenze 17 luglio 1997, causa C-219/95 P, Ferriere Nord/Commissione (Racc. pag. I‑4411, punto 31).


66 – Sentenza British Sugar, cit., punto 48.


67 – Sentenza 7 gennaio 2004, causa C-204/00 P, Aalborg Portland/Commissione (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 365).


68 –      Il corsivo è mio.


69 – V. paragrafi 69-75 e 103-105.


70 – Sentenza Ferriere Nord/Commissione, cit., punto 33. Il corsivo è mio. V. anche ordinanza 25 marzo 1996, causa C-137/95 P, SPO e a./Commissione (Racc. pag. I‑1661, punto 54).


71 – Sentenze Musique Diffusion française, cit., e 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin/Commissione (Racc. pag. 3461).


72 – Sentenza Musique Diffusion française, cit., punto 121.


73 – Decisione contestata, punto 304.


74 – Sentenza 10 dicembre 2002, causa C-312/00 P, Commissione/Camar e Tico (Racc. pag. I‑11355, punto 57). Nello stesso senso v. anche sentenze 9 giugno 1992, causa C‑30/91 P, Lestelle/Commissione (Racc. pag. I-3755, punto 28); 15 dicembre 1994, C‑320/92 P, Finsider/Commissione (Racc. pag. I-5697, punto 37), e 13 luglio 2000, causa C-210/98 P, Salzgitter/Commissione (Racc. pag. I-5843, punto 58).


75 – Sentenze Aalborg Portland, cit., punto 372 e 25 ottobre 2001, causa C‑120/99, Italia/Consiglio (Racc. pag. I-7997, punto 28).


76 – V. sentenza impugnata, punto 205.


77 – V., segnatamente, sentenze 13 dicembre 1984, causa 106/83, Sermide (Racc. pag. 4209, punto 28), e 28 giugno 1990, causa C-174/89, Hoche (Racc. pag. I‑2681, punto 25).


78 – V., in particolare, sentenza impugnata, punto 205.


79 – Sentenza impugnata, punto 191.


80 – Rispettivamente EUR 12 600 milioni e 202 milioni, rispetto ai 5 000 milioni e 183 milioni realizzati da Ajimonoto.


81 – V. anche sentenza impugnata, punti 211-213.

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