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Document 62003CC0228

    Conclusioni dell'avvocato generale Tizzano del 9 dicembre 2004.
    The Gillette Company e Gillette Group Finland Oy contro LA-Laboratories Ltd Oy.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Korkein oikeus - Finlandia.
    Marchi - Direttiva 89/104/CEE - Art. 6, n. 1, lett. c) - Limiti della tutela conferita dal marchio - Utilizzo da parte di un terzo del marchio quando esso sia necessario per indicare la destinazione di un prodotto o di un servizio.
    Causa C-228/03.

    Raccolta della Giurisprudenza 2005 I-02337

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2004:786

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    ANTONIO TIZZANO

    presentate il 9 dicembre 2004 (1)

    Causa C-228/03

    The Gillette Company

    e

    Gillette Group Finland Oy

    contro

    LA-Laboratoires Ltd Oy

    [domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Korkein Oikeus, (Finlandia)]

    «Direttiva 89/104/CEE – Art. 6, n. 1, lett. c) – Limiti alla tutela conferita dal marchio – Uso del marchio da parte di un terzo – Condizioni»





    I –    Introduzione

    1.     La presente causa ha ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale posta dallo Suomen Korkein Oikeus (Corte suprema finlandese) al fine di ottenere l’interpretazione dell’art. 6, n. 1, lett. c), della prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (in prosieguo: la «direttiva 89/104» o semplicemente la «direttiva») (2). In sintesi, il giudice nazionale chiede alla Corte di determinare in quali circostanze l’uso del marchio d'impresa altrui deve essere considerato legittimo ai sensi della direttiva. 

    II – Quadro giuridico

    Il diritto comunitario rilevante

    2.     La Comunità è intervenuta a disciplinare la materia dei marchi d’impresa adottando, per quanto qui interessa, la direttiva 89/104, che procede al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri per alcuni aspetti della materia, senza tuttavia operare un’armonizzazione completa.

    3.     Ricordo anzitutto il decimo ‘considerando’ della direttiva, il quale afferma, tra l’altro, che la tutela accordata dal marchio registrato «mira in particolare a garantire la funzione d’origine» dello stesso.

    4.     Ai fini della presente causa viene poi in rilievo l’art. 5, n. 1, il quale stabilisce che:

    «Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

    a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

    b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa».

    5.     Fondamentale è inoltre ai presenti fini l’art. 6, n. 1, che così dispone:

    «Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

    (…)

    c)      del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,

    purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».

    6.     Conviene ricordare infine la direttiva 84/450/CEE del Consiglio, del 10 settembre 1984, in materia di pubblicità ingannevole (3), modificata dalla direttiva 97/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 ottobre 1997, al fine di includervi la pubblicità comparativa (4) (in prosieguo rispettivamente: la «direttiva 84/450 modificata» e la «direttiva 97/55»), che ha lo scopo, ai sensi dell’art. 1, di «tutelare il consumatore e le persone che esercitano un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché gli interessi del pubblico in generale, dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali e di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa».

    7.     L’art. 3 bis, n. 1, della direttiva 84/450 modificata prevede che:

    «Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa è ritenuta lecita qualora siano soddisfatte le seguenti condizioni: che essa

    (…)

    d)      non ingeneri confusione sul mercato fra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;

    e)      non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazione commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente;

    (…)

    g)      non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o a altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;

    h)      non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati».

    Il diritto nazionale

    8.     In Finlandia, la disciplina del marchio d’impresa è regolata dalla tavaramerkkilaki (legge finlandese sui marchi; in prosieguo: la «tavaramerkkilaki») (5).

    9.     L’art. 4, n. 1, della tavaramerkkilaki definisce il diritto esclusivo spettante al titolare del marchio nei seguenti termini:

    «Il diritto sui marchi d’impresa ai sensi degli artt. 1-3 della presente legge implica che nessun soggetto diverso dal titolare del marchio possa, nell’esercizio di un’attività commerciale, usare come segno distintivo delle proprie merci un segno confondibile con il marchio, apponendolo sul prodotto o sulla sua confezione, utilizzandolo nella propria pubblicità o in documenti commerciali o in altri modi, ivi compresa anche la menzione orale».

    10.   L’art. 4, n. 2, della stessa legge precisa poi che:

    «Si considera come uso abusivo, ai sensi del n. 1, fra l’altro anche il fatto di colui che, ponendo in commercio pezzi di ricambio, accessori o altri prodotti dello stesso tipo, che si adattano al prodotto di un terzo, ne menzioni il marchio d’impresa in modo tale da far credere che la merce posta in commercio provenga dal titolare del marchio o che questi abbia dato il suo consenso all’uso del marchio».

    11.   Dall'ordinanza di rinvio risulta che quest'ultima disposizione è intesa come una deroga al diritto esclusivo del titolare del marchio, nel senso che non costituisce violazione dei diritti di quest'ultimo l’ipotesi in cui un soggetto, nel commercializzare i propri prodotti, menzioni il marchio d’impresa di un terzo in maniera tale da non lasciare intendere che la merce posta in commercio provenga dal titolare del marchio o che questi abbia dato il suo consenso all’uso.

    III – Fatti e procedura

    12.   La società americana The Gillette Company è titolare dei marchi d’impresa «Gillette» e «Sensor», entrambi registrati in Finlandia per determinati prodotti tra cui i rasoi. La sua filiale finlandese Gillette Group Finland Oy (in prosieguo si utilizzerà l'espressione «Gillette» per indicare cumulativamente le due società) gode del diritto esclusivo di usare tali marchi in Finlandia, ove commercializza diversi apparecchi per rasatura, fra cui rasoi composti da un’impugnatura e da una lametta sostituibile, nonché lamette vendute separatamente.

    13.   La società finlandese LA-Laboratoires Ltd Oy (in prosieguo: «LA») vende anch'essa in Finlandia prodotti del medesimo genere, vale a dire sia rasoi composti da un’impugnatura e da una lametta sostituibile sia lamette vendute separatamente. Essa ha commercializzato lamette con il marchio «PARASON FLEXOR» apponendo sulle confezioni un adesivo di colore rosso su cui compare la scritta «Tutte le IMPUGNATURE PARASON FLEXOR e tutte le IMPUGNATURE GILLETTE SENSOR sono compatibili con questa lametta».

    14.   Dall’ordinanza di rinvio emerge che LA non era autorizzata in virtù di licenza o altro contratto ad utilizzare i marchi di Gillette.

    15.   Quest'ultima ha quindi citato LA dinanzi allo Helsingin Käräjäoikeus (Tribunale di primo grado di Helsinki) lamentando che il comportamento della convenuta violasse i suoi diritti sui marchi registrati «Gillette» e «Sensor». Secondo la ricorrente la condotta posta in essere da LA suscitava l’erronea impressione che i prodotti di quest’ultima fossero identici o simili ai propri o che LA potesse, in forza di una licenza o sulla base di altro legittimo fondamento, servirsi lecitamente dei marchi suddetti.

    16.   Tale tesi è stata accettata dallo Helsingin Käräjäoikeus, il quale, con decisione del 30 marzo 2000, ha stabilito che, utilizzando tali marchi sulle confezioni delle lamette da barba «PARASON FLEXOR» da essa commercializzate, LA ha violato il diritto esclusivo conferito a Gillette dall'art. 4, n. 1, della tavaramerkkilaki.

    17.   Lo Helsingin Käräjäoikeus ha escluso che fosse applicabile nella specie la deroga di cui all’art. 4, n. 2, della tavaramerkkilaki. Tale deroga, che deve essere oggetto di interpretazione restrittiva alla luce della direttiva 89/104, in particolare del suo art. 6, n. 1, lett. c), non si riferisce al prodotto principale, ma soltanto ai pezzi di ricambio, agli accessori e agli altri prodotti di questo genere. Ora, secondo il Käräjäoikeus sia l’impugnatura che la lametta dovevano essere considerate come componenti principali del rasoio e pertanto non ricadevano nell'ambito di applicazione della deroga.

    18.   Il giudice finlandese ha quindi vietato a LA di protrarre o di reiterare la propria condotta, imponendole altresì di rimuovere dalle confezioni le menzioni «Gillette» e «Sensor» e di distruggere gli adesivi utilizzati in Finlandia con dette menzioni, nonché di risarcire a Gillette il danno causatole.

    19.   Contro tale decisione LA promuoveva appello innanzi allo Helsingin Hovioikeus (Corte d’appello di Helsinki), il quale, con decisione del 17 maggio 2001, ha rovesciato completamente il verdetto.

    20.   Il giudice di secondo grado ha considerato anzitutto che le lamette costituiscono pezzi di ricambio ai sensi dell’art. 4, n. 2, della tavaramerkkilaki. In ogni caso, il consumatore che già possieda un’impugnatura «GILLETTE SENSOR» viene informato, grazie alla menzione figurante sull’adesivo, che tale impugnatura può essere usata non solo con le lamette vendute da Gillette, ma anche con le lamette «PARASON FLEXOR». Per giunta, è stato accertato che sulle confezioni di lamette di LA erano riportati in modo nettamente visibile i marchi «Parason» e «Flexor» che mettevano chiaramente in evidenza l’origine dei prodotti, laddove i marchi «Gillette» e «Sensor» erano indicati con caratteri piccoli su adesivi di dimensioni relativamente modeste, apposti sulle confezioni delle lamette. Ciò esclude che si sia qui in presenza di uno sfruttamento commerciale di un marchio altrui o che si susciti l’impressione che i titolari dei diversi marchi costituiscano un’unità commerciale. Il giudice d'appello ha quindi concluso che LA aveva utilizzato i marchi di Gillette in condizioni ammesse dall’art. 4, n. 2, della tavaramerkkilaki.

    21.   Gillette ha quindi presentato un ricorso per cassazione al Korkein Oikeus, il quale ha a sua volta sollevato dubbi sull'interpretazione dell’art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104.

    22.   Pertanto, con ordinanza del 23 maggio 2003, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte i seguenti quesiti:

    «Si desidera sapere,

    quando si applica l’art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104,

    1)       quali siano i criteri:

    a)      che permettono di determinare se un prodotto debba essere considerato come pezzo di ricambio o accessorio; e

    b)      che permettono di determinare quali prodotti diversi dai pezzi di ricambio e dagli accessori possano anch’essi rientrare nella sfera di applicazione della summenzionata disposizione.

    2)      Se la liceità dell'uso di un marchio altrui debba essere valutata diversamente secondo che il prodotto sia assimilabile ad un pezzo di ricambio o ad un accessorio oppure si tratti di un prodotto che, per un'altra ragione, possa rientrare nella sfera di applicazione della summenzionata disposizione.

    3)      Come bisogna interpretare l'esigenza che l'uso del marchio sia “necessario” per contraddistinguere la destinazione di un prodotto. Se il criterio della necessità possa risultare soddisfatto, sebbene sia di per sé possibile contraddistinguere detta destinazione senza menzionare specificamente un marchio altrui, limitandosi a menzionare semplicemente, per esempio, il principio tecnico di funzionamento del prodotto. Quale significato abbia a questo riguardo il fatto che per il consumatore la maniera di presentare il prodotto possa risultare meno chiara qualora non si nomini il marchio di un terzo.

    4)      Di quali fattori occorra tener conto nel valutare gli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. Se la menzione di un marchio altrui nel contesto della vendita dei propri prodotti implichi l'affermazione che i prodotti del venditore sono equivalenti, per qualità e caratteristiche tecniche o d'altro genere, ai prodotti venduti dal titolare del marchio.

    5)      Se rilevi per la liceità dell’uso di un marchio altrui il fatto che l’operatore commerciale che fa riferimento al marchio altrui venda, oltre ai pezzi di ricambio e agli accessori, anche gli stessi prodotti insieme ai quali tali pezzi di ricambio e accessori devono essere usati».

    23.   Nel procedimento così instauratosi hanno presentato osservazioni scritte la ricorrente nel giudizio a quo, il governo del Regno Unito, il governo finlandese e la Commissione.

    24.   All’udienza del 21 ottobre 2004 sono intervenute le parti nel giudizio principale, il governo finlandese e la Commissione.

    IV – Analisi giuridica

    Introduzione

    25.   Com'è noto, funzione essenziale del marchio, come affermato dal decimo ‘considerando’ della direttiva 89/104, nonché da una giurisprudenza costante, è di garantire l'origine dei prodotti (6).

    26.   Perché tale funzione sia opportunamente tutelata, il titolare del marchio deve poter impedire che i terzi ne facciano un uso non autorizzato, suscettibile di ingenerare confusione presso i consumatori, portandoli a ritenere erroneamente che un certo prodotto sia stato realizzato dal titolare del marchio. L'art. 5, n. 1, della stessa direttiva conferisce quindi a quest'ultimo un diritto esclusivo all'uso del marchio.

    27.   Tale diritto non ha però una portata assoluta. L'art. 6 della stessa direttiva prevede infatti che in taluni casi il marchio possa essere lecitamente apposto su prodotti non realizzati dal titolare del medesimo.

    28.   In particolare, stando ai termini di questa disposizione, l'uso del marchio altrui è consentito quando esso: indica la destinazione di un prodotto; è necessario a tal fine; è conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale (in prosieguo anche: gli «usi di lealtà»).

    29.   Le ragioni che giustificano tale restrizione all'uso esclusivo del marchio sono state precisate dalla stessa Corte. Secondo una consolidata giurisprudenza, infatti, «limitando gli effetti dei diritti di cui il titolare di un marchio gode ai sensi dell'art. 5 della direttiva 89/104, l'art. 6 della direttiva medesima mira a conciliare gli interessi fondamentali della tutela dei diritti di marchio con quelli della libera circolazione delle merci e della libera prestazione dei servizi nel mercato comune, in modo tale che il diritto di marchio possa svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato intende stabilire e conservare» (7).

    30.   Si può dunque dire che, nel limitare il diritto esclusivo di cui all'art. 5, l'art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104 mira ad assicurare un equilibrio tra l'interesse del titolare a che il marchio possa svolgere appieno la sua funzione di garanzia dell'origine dei prodotti che egli realizza e l'interesse degli altri operatori ad avere un pieno accesso al mercato, senza escludere peraltro – come sembrerebbe confermare l'ampio riferimento del citato brano della Corte alle libertà di circolazione e come vedremo più avanti – che possano venire in gioco anche altri interessi.

    Sul primo e il secondo quesito

    31.   Ciò premesso, veniamo ai quesiti proposti dal giudice del rinvio.

    32.   Con i primi due quesiti, che esaminerò congiuntamente, tale giudice chiede, in sostanza, quali siano i criteri per distinguere, ai fini dell'applicazione dell'art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104, i prodotti principali da quelli accessori e dai pezzi di ricambio, nonché per determinare quali altri prodotti, oltre ai pezzi di ricambio e agli accessori, siano suscettibili di rientrare nel campo d'applicazione di detta disposizione. Ciò al fine di stabilire se per tali altri prodotti la liceità dell'apposizione di un marchio altrui debba essere oggetto di una valutazione differente rispetto a quella cui si procede in caso di pezzi di ricambio ed accessori.

    33.   Come visto più sopra, una delle condizioni che devono verificarsi perché un marchio altrui possa lecitamente essere apposto su un prodotto è che esso svolga la funzione di indicare la destinazione di tale prodotto, non già la sua origine.

    34.   Ora, a me sembra che da questo punto di vista la possibilità di utilizzare un marchio altrui per indicare la destinazione, senza nulla aggiungere relativamente all'origine, si presenti in modo sostanzialmente simile per ogni prodotto o servizio.

    35.   Certo, l'ipotesi ricorrerà più spesso per gli accessori ed i pezzi di ricambio che devono essere utilizzati insieme con un prodotto principale che nella maggioranza dei casi non può essere definito se non tramite il suo marchio. Basti pensare, per citare gli esempi addotti dal governo del Regno Unito, ad un tubo di scappamento o ad un portabiciclette specificamente predisposti per le auto Volkswagen Polo. Tuttavia, lo stesso può verificarsi anche per due prodotti che possono essere usati insieme, ma che non siano l'uno l'accessorio o il pezzo di ricambio dell'altro. Ispirandoci ancora agli esempi del governo del Regno Unito, pensiamo ad un calcolatore prodotto dall'impresa Alfa e ad un sistema operativo realizzato dall'impresa Beta, che siano tra loro compatibili. Non si tratta qui né di accessori né di pezzi di ricambio, perché ogni prodotto ha la sua esistenza autonoma. E tuttavia si può giustificare che l'impresa interessata comunichi al pubblico che il proprio prodotto può avere come destinazione il prodotto dell'altra impresa, e viceversa.

    36.   Ritengo quindi che nessun prodotto o servizio possa in linea di principio essere escluso dall'ambito di applicazione dell'art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva sulla base della condizione in esame. Che si tratti dunque di un prodotto principale, di un accessorio, o di pezzo di ricambio, se l’indicazione del marchio altrui è necessaria per indicarne la destinazione, la condizione di cui ora si discute deve ritenersi soddisfatta.

    37.   Tale interpretazione mi pare confortata anche da altri argomenti. Partendo dalla lettera stessa della disposizione in esame, osservo che essa antepone la locuzione «in particolare» al riferimento agli accessori e ai pezzi di ricambio. Ciò autorizza a ritenere che la limitazione del diritto esclusivo possa riferirsi anche a prodotti che non siano accessori o pezzi di ricambio, tanto più che, come ricorda la Commissione, la proposta di direttiva da essa presentata escludeva chiaramente tale possibilità, ma fu poi modificata proprio su questo punto (8).

    38.   D'altra parte, come ha notato il governo del Regno Unito, la disposizione in parola menziona la destinazione non solo di prodotti, ma altresì di servizi, per i quali sarebbe arduo individuare pezzi di ricambio o accessori.

    39.   Tutto ciò conferma, a mio avviso, che ai fini dell'applicabilità dell'art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva non occorre previamente qualificare un prodotto come principale oppure accessorio o pezzo di ricambio, perché ciò che è decisivo in tutti i casi è se l’indicazione del marchio altrui sia necessaria per contraddistinguere la destinazione del prodotto (o del servizio) e non crei confusione quanto alla sua origine.

    40.   Ma se così è, non mi sembra allora necessario, ai presenti fini, che la Corte si pronunci sui criteri idonei a identificare i prodotti principali ed a distinguerli dagli accessori e dai pezzi di ricambio, come chiede il primo quesito.

    41.   Propongo pertanto di rispondere al primo e al secondo quesito nel senso che, in quanto, ai fini dell'applicabilità dell'art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104, si deve solo stabilire se l’indicazione del marchio altrui sia necessaria per contraddistinguere la destinazione del prodotto (o del servizio) e non crei confusione quanto alla sua origine, la valutazione della liceità dell'uso di un marchio altrui non è diversa secondo che si tratti di un prodotto principale oppure di un accessorio o di un pezzo di ricambio.

    Sul terzo quesito

    42.   Con il terzo quesito il giudice nazionale chiede in sostanza quali elementi vadano presi in considerazione per valutare se l'uso del marchio di un terzo sia «necessario», ai sensi dell'art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva, per contraddistinguere la destinazione di un prodotto.

    43.   Nelle osservazioni presentate alla Corte gli intervenienti sostengono due interpretazioni assai divergenti della predetta condizione della necessità dell'uso del marchio di un terzo.

    44.   Il governo del Regno Unito suggerisce di ritenere soddisfatta la condizione in parola qualora la menzione del marchio altrui rappresenti un «mezzo efficace e preciso» (9) per trasmettere ai potenziali acquirenti del prodotto le informazioni relative alla destinazione dello stesso.

    45.   A tal fine, esso ricorda che lo scopo della disposizione in parola risiede nel consentire lo sviluppo di una concorrenza non falsata e che un'interpretazione eccessivamente rigida della suddetta condizione finirebbe col pregiudicare l'effetto utile della disposizione.

    46.   Ad avviso del Regno Unito, infatti, se il requisito del carattere necessario della menzione del marchio altrui fosse ritenuto soddisfatto soltanto qualora non fosse possibile comunicare in alcun altro modo le informazioni di cui il potenziale acquirente ha bisogno per comprendere la destinazione del prodotto, la disposizione in esame rischierebbe in pratica di non trovare mai applicazione. Per la quasi totalità dei casi sarebbe infatti possibile concepire una maniera alternativa alla menzione del marchio altrui per indicare la destinazione di un prodotto, ad esempio tramite un'immagine o una descrizione tecnica del tipo di prodotto insieme al quale quello in questione va utilizzato.

    47.   Nella medesima linea si collocano il governo finlandese e la Commissione, per i quali è importante prendere in considerazione anche le caratteristiche dei potenziali acquirenti del prodotto recante il marchio altrui. La definizione di ciò che è «necessario» comunicare è infatti diversa a seconda che il prodotto si indirizzi ai consumatori finali o ad altri imprenditori. Soltanto nella seconda ipotesi indicazioni tecniche potrebbero trasmettere in maniera adeguata le informazioni relative alla destinazione del prodotto, senza che sia quindi «necessario» menzionare il marchio altrui. Per il consumatore medio, invece, l'assenza di tale menzione renderebbe più difficile comprendere la destinazione di un prodotto, a meno che non esistano degli standard tecnici universalmente noti che permettano anche a quel consumatore un'agevole comprensione della destinazione del prodotto di suo interesse. Com'è stato osservato nel corso dell'udienza, questo potrebbe essere il caso degli pneumatici, per i quali esistono dei codici di facile comprensione che permettono al potenziale acquirente di comprendere quali sono i modelli destinati alla sua automobile.

    48.   Completamente opposta è la tesi sostenuta da Gillette, che propugna un'interpretazione della condizione in esame in termini rigidamente ed esclusivamente economici. A suo avviso, infatti, l'uso del marchio altrui potrebbe essere considerato «necessario» solo se costituisce l'unica possibilità per l'utente di commercializzare il proprio prodotto in condizioni economiche sostenibili. 

    49.   Applicando tale tesi al caso di specie, Gillette rileva che la destinazione delle lamette di LA non è rappresentata esclusivamente dalle impugnature di Gillette, ma anche dalle impugnature prodotte dalla stessa LA, nonché, come è emerso in udienza, da impugnature di altre marche. Ne consegue, ad avviso di Gillette, che le lamette di LA potrebbero avere accesso al mercato ed essere commercializzate in condizioni economicamente accettabili anche se sulle loro confezioni non si indicasse che esse possono essere montate pure su impugnature realizzate da Gillette. 

    50.   Altro sarebbe a dire se non fosse possibile indicare alcuna destinazione per le lamette di LA senza menzionare i suddetti marchi, perché in tal caso non vi sarebbe alcuna domanda per le lamette in questione e sarebbe di conseguenza esclusa ogni possibilità di operare in condizioni economicamente accettabili. Ma così non è, sottolinea Gillette, nel caso di specie, atteso che LA produce anch'essa delle impugnature, sicché le sue lamette non si vedrebbero private di ogni accesso al mercato in seguito al divieto di menzionare sulle loro confezioni i marchi di Gillette.

    51.   Per parte mia, non ho difficoltà a riconoscere che la tesi proposta da Gillette appare più rispettosa della lettera dell'art.  6, n. 1, lett. c), della direttiva, che non parla di «efficacia», ma di «necessità» dell'uso del marchio altrui, e va da sé che i due termini non sono sinonimi.

    52.   D'altra parte, sembra deporre in questo senso anche il confronto fra il testo finale della predetta disposizione e quello della proposta presentata dalla Commissione (10). Quest'ultima, infatti, prevedeva che i terzi potessero usare il marchio altrui «allo scopo di indicare la destinazione di accessori o di pezzi staccati» (11); nella versione definitiva, come si è visto, si legge invece, in termini più stringenti, che quell'uso è ammesso «se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione (…)».

    53.   Detto questo, c'è però da chiedersi se il discorso possa esaurirsi nell'analisi filologica di un brano isolato della disposizione in causa o se invece esso non debba investire in termini più complessivi il senso e la portata di tale disposizione e delle finalità che essa intende perseguire.

    54.   Più precisamente, c'è da chiedersi se la tutela del marchio, che rappresenta incontestabilmente l'obiettivo fondamentale della direttiva, debba essere valutata unicamente riguardo alle esigenze del titolare dello stesso, e possa quindi subire, come vuole Gillette, soltanto le limitazioni strettamente indispensabili sul piano economico per permettere ad altri imprenditori di essere utilmente presenti sul mercato, oppure se la deroga, che l'art. 6, n. 1, comunque introduce al riguardo, sottenda anche la rilevanza di altre esigenze.

    55.   Ora, a me pare per l'appunto che detta disposizione apra la porta anche a valori ed interessi che non sono esplicitamente menzionati dalla stessa, ma dai quali in una prospettiva più generale sarebbe difficile prescindere. Tanto più che ad essi fa riferimento la stessa giurisprudenza della Corte sopra ricordata (v. supra, paragrafo 29), quando afferma che l'art. 6, n. 1, «mira a conciliare gli interessi fondamentali della tutela dei diritti di marchio con quelli della libera circolazione delle merci e della libera prestazione dei servizi nel mercato comune, in modo tale che il diritto di marchio possa svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato intende stabilire e conservare».

    56.   Si tratta dunque, come appunto sottolinea la Corte, di conciliare due diversi interessi in causa, i quali tuttavia mirano entrambi a garantire un sistema di concorrenza non falsata e quindi, in ultima analisi, il diritto dei consumatori a scegliere fra più prodotti tra loro fungibili. In altri termini, si deve ritenere che, oltre a tutelare gli interessi economici del titolare del marchio, la direttiva intenda anche assicurare la possibilità di scelta dei consumatori, permettendo loro non solo di essere garantiti quanto all'origine dei prodotti, ma anche di godere pienamente dei benefici derivanti della concorrenza tra prodotti capaci di soddisfare un medesimo bisogno.

    57.   Ora, se questi diversi interessi in campo sono oggetto di una composizione grazie alla deroga introdotta dall'art. 6, n. 1, ne deriva che, nel contesto di un'analisi più complessiva della disposizione cui ho prima fatto cenno, non ci si può limitare ad invocare argomenti testuali dedotti da un brano della stessa per esaltare uno di quegli interessi ed escludere la rilevanza degli altri, perché la norma, a dire della stessa Corte, intende conciliarli tutti.

    58.   Del resto, una significativa testimonianza dell'esigenza di tenere in considerazione, e per quanto possibile comporre, le diverse esigenze in causa, mi sembra venire, ancora una volta, proprio dalla giurisprudenza comunitaria, e segnatamente dalla nota sentenza BMW (12), nella quale la Corte ha per l'appunto conciliato l'esigenza di tutelare il titolare del marchio con quella di proteggere il consumatore anche sotto il profilo della più ampia concorrenza e della completezza delle informazioni che devono essergli assicurate.

    59.   Ricordo, per quanto qui interessa, che nel caso appena menzionato, il proprietario di un'autofficina non affiliata alla rete BMW effettuava riparazioni su automobili di tale marca, inserendo negli annunci pubblicitari riferimenti al fatto che egli fosse «specializzato in BMW». La BMW riteneva che tale condotta non potesse beneficiare della deroga di cui all'art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva e dovesse quindi essere considerata come una violazione del diritto esclusivo di cui BMW era titolare. A suo dire, infatti, poiché l'imprenditore poteva utilmente offrire, dal punto di vista della viabilità economica della propria attività, servizi di riparazione anche senza nominare alcuna marca specifica (e quindi alcun marchio) di automobili, la menzione del marchio BMW non soddisfaceva la condizione della necessità prevista dalla citata disposizione.

    60.   Ora, tale interpretazione della condizione in questione, che non mi pare dissimile da quella sostenuta nel presente caso da Gillette, non mi sembra aver incontrato il favore della Corte. Questa infatti, invece di soffermarsi sulla viabilità commerciale dell'attività del garagista ove avesse omesso i riferimenti al marchio BMW, ha tenuto conto esclusivamente della necessità di fornire ai potenziali clienti dello stesso le informazioni il più possibile complete.

    61.   Essa ha osservato anzitutto che «l'uso [del marchio BMW] mira[va] a identificare i prodotti che costitui[vano] l'oggetto del servizio prestato [ed era] necessario per indicar[ne] la destinazione», aggiungendo poi che, «se un commerciante indipendente effettua la manutenzione e la riparazione di automobili BMW o è effettivamente specializzato in tale campo, tale informazione non può in pratica essere comunicata ai suoi clienti senza che egli faccia uso del marchio BMW» (13).

    62.   In tal modo la Corte ha sposato la tesi enunciata dall'avvocato generale Jacobs nelle conclusioni presentate in quella causa (14), quando aveva sottolineato che il problema che si poneva in tale fattispecie era in sostanza se un commerciante che si trovasse nelle circostanze sopra descritte fosse «libero di illustrare la natura dei servizi che offre» (15). L'avvocato generale si era spinto fino ad affermare che «vietare tale uso del marchio [avrebbe costituito in ipotesi siffatte] un'indebita restrizione della libertà dell'operatore economico» (16).

    63.   Ora, a me pare che da questa giurisprudenza emerga un'interpretazione della condizione in esame meno rigida di quanto pretende Gillette. Essa appare invero soddisfatta per il solo fatto che l'uso del marchio altrui sia l'unico modo efficace per rendere più estesa la rosa di prodotti tra cui il potenziale acquirente può optare.

    64.   Se ci si ispira a tale interpretazione anche ai fini del caso ora in esame, se ne può dedurre che, in assenza della menzione dei marchi di Gillette sulle confezioni delle lamette di LA, i consumatori potrebbero non disporre di altre vie per venire a conoscenza della compatibilità, oggettivamente esistente, fra tali prodotti e le impugnature di Gillette, e rischierebbero così di perdere un'informazione utile per le loro scelte commerciali. Pertanto, se fosse il solo modo per fornire tale informazione, l'uso dei marchi di Gillette dovrebbe essere considerato «necessario» nel senso di cui alla direttiva.

    65.   Spetterebbe naturalmente al giudice nazionale sciogliere tale interrogativo e quindi verificare se, in assenza di riferimenti ai marchi di Gillette sulle confezioni delle lamette di LA, i potenziali acquirenti potrebbero essere per altre vie effettivamente informati della possibilità di utilizzare tali lamette con impugnature prodotte da Gillette. L'uso dei marchi di quest'ultima potrebbe ad esempio non essere necessario qualora esistessero degli standard tecnici, noti ai consumatori, per indicare la compatibilità tra impugnature e lamette (come appunto nel caso degli pneumatici, prima evocato).

    66.   Ciò posto, e pur manifestando la mia preferenza per la soluzione appena prospettata, devo riconoscere che essa, oltre a non rimuovere del tutto le obiezioni di carattere generale (eccessiva riduzione della tutela del titolare del marchio) invocate da Gillette, si presta comunque a lasciare ampi margini di incertezza nella sua applicazione. Ma a questa conseguenza, a mio avviso, difficilmente si sfugge se si continua ad isolare il dibattito sul test della necessità dal resto delle condizioni previste dall'art. 6, n. 1, riducendolo in definitiva, come ho già detto, ad una disputa filologica sul relativo brano di tale disposizione.

    67.   Altro è a dire invece se si tiene conto del fatto che quel test non esaurisce il contenuto della norma in esame, ma si accompagna per l'appunto, ed è anzi strettamente correlato, ad una precisa condizione sulle modalità dell'uso del marchio asserito come necessario (e cioè il rispetto degli usi di lealtà). In altri termini, il fatto che l'interpretazione di tale condizione sia oggetto di una separata questione pregiudiziale non può indurre a scomporre il discorso fino a far perdere di vista la diretta connessione che intercorre tra le diverse parti della disposizione e che, proprio per questo motivo, si presta ad incidere sull'interpretazione di ciascuna di esse.

    68.   Ora, a me sembra che il margine di incertezza che, come ho appena detto, inevitabilmente si accompagna al test sulla necessità, possa essere superato proprio in sede di verifica delle condizioni e modalità di uso del marchio, nei termini indicati dallo stesso art. 6, n. 1. Così come proprio su questo versante possano essere soddisfatte le legittime preoccupazioni per il pregiudizio che alla tutela del marchio potrebbe venire da un'interpretazione meno rigorosa della condizione della necessità.

    69.   Tanto più infatti si potrà accedere ad una tale interpretazione, quanto più stringente sarà la verifica delle predette condizioni. Al tempo stesso, è proprio sul più concreto terreno di tale verifica che si potrà meglio valutare l'effettiva «necessità» dell'uso del marchio e rimuovere, se del caso, i dubbi che in astratto potrebbero sempre affacciarsi al riguardo.

    70.    A ben vedere, del resto, la stessa Corte non ha proceduto sulla questione ora in esame per test successivi ed isolati, «misurando» cioè prima il grado di «necessità» dell'uso del marchio altrui e poi verificando se tale uso fosse conforme agli «usi consueti di lealtà». Essa ha invece svolto un discorso unitario, nel quale direi che l'accento è stato posto meno sulla definizione della «necessità» che sul rispetto degli usi di lealtà, in quanto decisivi per evitare ogni confusione sull'origine del prodotto e quindi per la tutela del titolare del marchio (17).

    71.   È dunque solo con le precisazioni di cui sopra che propongo alla Corte di rispondere al terzo quesito pregiudiziale nel senso che l'utilizzo di un marchio altrui è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto qualora rappresenti il solo modo per fornire ai consumatori informazioni complete sui possibili impieghi del prodotto medesimo.

    Sul quarto quesito

    72.   E veniamo per l'appunto all'interpretazione dell'espressione «usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale», che con il quarto quesito il giudice nazionale chiede alla Corte di fornire, visto che al rispetto degli stessi l'art. 6, n. 1, della direttiva 89/104 subordina la possibilità per un terzo di utilizzare il marchio altrui.

    73.   A questo proposito, ricordo che, secondo una consolidata giurisprudenza, «[l]a condizione degli "usi di lealtà" costituisce (…) l'espressione di un obbligo di lealtà nei confronti dei legittimi interessi del titolare del marchio» (18). Ciò posto, resta però da individuare la portata di tale obbligo, visto che esso non trova un'esatta definizione nella direttiva 89/104.

    74.   Ora, a me pare che a tale interrogativo si possa rispondere già tramite l'esame della pertinente giurisprudenza della Corte, dalla quale è possibile trarre gli elementi idonei a delineare la portata dell'obbligo in questione. La Corte ha infatti chiarito che un terzo non può utilizzare il marchio altrui «in modo tale da poter dare l'impressione che sussista un legame commerciale fra l'impresa terza e il titolare del marchio, e in particolare che (…) esista un rapporto speciale fra le due imprese» (19). Essa ha inoltre osservato che l'impresa che menziona il marchio altrui non deve trarre «indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà». In particolare, il vantaggio è indebito qualora esso derivi dal fatto che i potenziali acquirenti siano indotti a ritenere che vi sia una connessione tra il titolare del marchio e l'impresa che ha realizzato il prodotto (20).

    75.   Ma oltre che dalla giurisprudenza, utili indicazioni possono trarsi, come propongono lo stesso giudice del rinvio, il governo del Regno Unito e la Commissione, anche dalle disposizioni comunitarie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, ed in particolare dalla direttiva 84/450 come modificata dalla direttiva 97/55.

    76.   Dai ‘considerando’ 13-15 di quest'ultima direttiva emerge infatti che il diritto esclusivo conferito al titolare di un marchio dall'art. 5 della direttiva 89/104 non è violato nel caso in cui un terzo utilizzi tale marchio nel rispetto delle condizioni stabilite dalla direttiva 97/55.

    77.   Ne deriva che, se il messaggio trasmesso tramite la menzione del marchio è lecito ai sensi delle disposizioni sulla pubblicità ingannevole e comparativa, gli «usi di lealtà» di cui all'art. 6, n. 1, della direttiva 89/104 possono ritenersi rispettati.

    78.   Ora, le condizioni che l'art. 3 bis della direttiva 84/450 modificata (inserito in base all'art. 1, n. 4, della direttiva 97/55) impone per la liceità della pubblicità comparativa (e che maggiormente rilevano per il caso di specie) non si discostano sostanzialmente da quelle desumibili dalla ricordata giurisprudenza della Corte. Occorre cioè che quella pubblicità non ingeneri confusione sul mercato fra l'operatore economico ed un concorrente [lett.  d)], e non miri a trarre indebito vantaggio dalla notorietà connessa al marchio di un concorrente [lett. g)].

    79.   Emerge dunque dalla giurisprudenza sopra ricordata e dalle disposizioni della direttiva 84/450 modificata che sarà senz'altro illecito l'uso di un marchio altrui secondo modalità atte ad ingenerare confusione circa l'origine del prodotto presso i potenziali acquirenti. In particolare, questi ultimi non devono essere indotti a credere che il prodotto sia riconducibile al titolare del marchio e presenti quindi la stessa qualità dei prodotti realizzati da quest'ultimo.

    80.   Obiettano tuttavia i governi finlandese e del Regno Unito che quando appone sul proprio prodotto un marchio altrui, un'impresa non intende necessariamente asserire che vi sia un'equivalenza qualitativa tra i propri prodotti e quelli del titolare del marchio. La stessa Corte, nella sentenza BMW, ha in sostanza riconosciuto la liceità dell'utilizzo del marchio altrui da parte di un imprenditore che voglia «conferire alla propria attività un'aura di qualità» (21).

    81.   Come sopra ricordato (v. supra, paragrafo 59), però, tale pronuncia riguardava, per quanto qui interessa, l'esecuzione di riparazioni su automobili di marca BMW. L'attività dell'imprenditore aveva dunque ad oggetto prodotti che legittimamente recavano il marchio BMW; l'«aura di qualità» che l'imprenditore traeva dall'oggetto della propria attività non era da considerare illecita, perché rappresentava il riflesso del fatto che egli era in grado di operare su prodotti la cui qualità era garantita dalla presenza del marchio BMW.

    82.   Nel caso che ci occupa oggi, invece, la produzione di lamette svolta da LA è un'attività già conclusa al momento in cui si comunica l'informazione che tali lamette sono utilizzabili con le impugnature di Gillette. Pertanto la compatibilità tra i due prodotti non dovrebbe incidere sulla valutazione che i consumatori compiono della qualità delle lamette di LA. Qualora però la menzione del marchio inducesse tali soggetti a credere che la qualità dei due tipi di lamette sia la stessa, allora la condizione del rispetto degli usi di lealtà dovrebbe ritenersi disattesa. 

    83.   Incombe dunque al giudice nazionale appurare se la menzione dei marchi di Gillette sulle confezioni delle lamette di LA sia volta a fornire ai potenziali acquirenti informazioni relative soltanto alla possibilità di fissare sulle impugnature di Gillette le lamette di LA, perché gli incastri sono compatibili, o se invece tale menzione lasci intendere altresì che le lamette di LA presentano le medesime caratteristiche di taglio, e quindi la medesima qualità, delle lamette di Gillette.

    84.   A questo fine, l'esame del giudice nazionale dovrà consistere in una «valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti» (22). È questo quanto la Corte ha richiesto in ordine alle modalità di valutazione del rischio di confusione al fine di delimitare la portata del diritto esclusivo di cui gode il titolare del marchio ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva 89/104. Poiché però la definizione della condizione del rispetto degli usi di lealtà finisce inevitabilmente per incidere sulla portata di quel diritto esclusivo, determinandone una limitazione più o meno ampia, mi sembra che anche la valutazione che il giudice nazionale deve compiere di tale condizione debba obbedire al criterio appena enunciato (23).

    85.   Sulla base di quanto precede, propongo pertanto alla Corte di rispondere al quarto quesito pregiudiziale nel senso che un operatore economico rispetta gli «usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale» se tramite l'uso del marchio altrui egli non ingenera l'impressione che sussista un legame commerciale fra se stesso ed il titolare del marchio e non trae indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà di tale marchio. Il fatto che un operatore economico venda anch'egli quei prodotti e aggiunga su di essi il marchio altrui non implica necessariamente che egli asserisca che vi sia un'equivalenza qualitativa tra i propri prodotti e quelli del titolare del marchio. Il comportamento dell'operatore economico deve pertanto essere oggetto di una valutazione globale di tutti i fattori pertinenti.

    Sul quinto quesito

    86.   Con il quinto quesito il giudice nazionale chiede in sostanza se la valutazione della liceità dell'uso del marchio altrui sia influenzata dal fatto che l'operatore commerciale che appone tale marchio su un proprio prodotto venda altresì il tipo di prodotto insieme al quale il primo deve essere utilizzato.

    87.   A me pare che per rispondere a questa domanda occorra isolarne due diversi aspetti, che si riallacciano l'uno alla condizione della necessità e l'altro a quella del rispetto degli «usi di lealtà», esaminate rispettivamente nel corso dell'analisi del terzo e del quarto quesito pregiudiziale.

    88.   Quanto al primo aspetto, devo dire che, se si fosse accettato l'approccio economico alla condizione della necessità propugnato da Gillette, allora il fatto che LA venda, oltre alle lamette, anche delle impugnature che ne costituiscono una delle possibili destinazioni avrebbe potuto far dubitare del rispetto della condizione perché, anche senza menzionare i marchi di Gillette, esisterebbe comunque una domanda di mercato per le lamette di LA, rappresentata dai possessori delle impugnature da quest'ultima commercializzate.

    89.   Poiché però, per le ragioni sopra esposte, sono pervenuto alla conclusione che la condizione della necessità è rispettata se la menzione del marchio altrui su un prodotto rappresenta il solo modo per fornire ai consumatori informazioni complete sui possibili impieghi del prodotto medesimo, la valutazione della liceità dell'uso del marchio non mi pare influenzata dal fatto che il terzo venda anche un prodotto che costituisce una delle possibili destinazioni di quello su cui appone il marchio altrui.

    90.   Per quel che attiene invece all'aspetto che si riallaccia agli «usi di lealtà», mi limito a notare, con il Regno Unito, la Finlandia e la Commissione, che quello indicato nel quesito in esame non è che uno degli elementi, per quanto importante, di cui il giudice nazionale deve tener conto nel valutare se l'uso del marchio da parte del terzo avvenga nel rispetto di detti usi.

    91.   Propongo pertanto di rispondere al quinto quesito nel senso che il fatto che l'operatore commerciale che appone il marchio altrui su un proprio prodotto venda altresì il tipo di prodotto insieme al quale il primo deve essere utilizzato costituisce un elemento importante per la valutazione della liceità dell'uso del marchio, ma non modifica i criteri per tale valutazione.

    V –    Conclusioni

    92.   Alla luce delle considerazioni che precedono propongo alla Corte di rispondere ai quesiti pregiudiziali formulati dal Korkein Oikeus nei seguenti termini:

    «1)      In quanto, ai fini dell'applicabilità dell'art. 6, n. 1, lett. c), della prima direttiva 89/104/CEE, del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, si deve solo stabilire se l’indicazione del marchio altrui sia necessaria per contraddistinguere la destinazione del prodotto (o del servizio) e non crei confusione quanto alla sua origine, la valutazione della liceità dell'uso di un marchio altrui non è diversa secondo che si tratti di un prodotto principale oppure di un accessorio o di un pezzo di ricambio.

    2)      L'utilizzo di un marchio altrui è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto qualora esso rappresenti il solo modo per fornire ai potenziali acquirenti informazioni complete sui possibili impieghi del prodotto medesimo.

    3)      Un operatore economico rispetta gli «usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale» se tramite l'uso del marchio altrui egli non ingenera l'impressione che sussista un legame commerciale fra se stesso ed il titolare del marchio e non trae indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà di tale marchio. Il fatto che un operatore economico venda anch'egli quei prodotti e aggiunga su di essi il marchio altrui non implica necessariamente che egli asserisca che vi sia un'equivalenza qualitativa tra i propri prodotti e quelli del titolare del marchio. Il comportamento dell'operatore economico deve pertanto essere oggetto di una valutazione globale di tutti i fattori pertinenti.

    4)      Il fatto che l'operatore commerciale che appone il marchio altrui su un proprio prodotto venda altresì il tipo di prodotto insieme al quale il primo deve essere utilizzato costituisce un elemento importante per la valutazione della liceità dell'uso del marchio, ma non modifica i criteri per tale valutazione».


    1 – Lingua originale: l'italiano.


    2  – GU 1989, L 40, pag. 1.


    3  – GU L 250, pag. 17.


    4  – GU L 290, pag. 18.


    5  – Legge relativa ai marchi del 10/1/1964, n. 1964/7.


    6  – V., ex multis, sentenze 23 maggio 1978, causa 102/77, Hoffmann-La Roche (Racc. pag. 1139, punto 7); 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club (Racc. pag. I-10273, punto 51); 11 marzo 2003, causa C-40/01, Ansul (Racc. pag. I-2439, punto 36), e 16 novembre 2004, causa C-245/02, Anheuser-Busch (Racc. pag. I-10989, punto 59).


    7  – Sentenza 7 gennaio 2004, causa C-100/02, Gerolsteiner Brunnen (Racc. pag. I-691, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).


    8  – L'art. 5 della proposta di prima direttiva del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi, presentata dalla Commissione il 25 novembre 1980, prevedeva che «[i]l diritto conferito dal marchio non consente di vietare ai terzi l'uso, nell'attività economica: (…) c) del marchio allo scopo di indicare la destinazione di accessori o di pezzi staccati (…)» (GU 1980, C 351, pag. 1).


    9  – «An efficient and accurate means» nell'originale in lingua inglese delle osservazioni del governo del Regno Unito.


    10  – Art. 5, lett. c), riportato allanota 8.


    11  – Il corsivo è mio.


    12  – Sentenza 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW (Racc. pag. I-905).


    13  – Sentenza BMW, cit., punti 59 e 60.


    14  – Nelle conclusioni presentate il 2 aprile 1998, l'avvocato generale Jacobs, considerando «irrealistic[a]» la tesi secondo cui il garagista avrebbe potuto offrire i propri servizi senza bisogno di nominare alcuna specifica marca di automobile, aveva affermato che «se [egli] si è specializzato in effetti nella manutenzione e riparazione di automobili BMW, è difficile comprendere come egli possa efficacemente comunicare tale circostanza ai suoi clienti senza usare il segno BMW» (paragrafo 54).


    15 – Conclusioni cit., paragrafo 54.


    16  – Conclusioni cit., paragrafo 55.


    17  – V. sentenza BMW, cit., punti 61 ss. e relative conclusioni paragrafi 55 e 56.


    18  – Sentenze BMW, cit., punto 61, e Gerolsteiner Brunnen, cit., punto 24.


    19  – Sentenza BMW, cit., punto 64.


    20  – Sentenza BMW, cit., punti 52 e 53. Devo precisare che il ragionamento ivi sviluppato concerneva l'art. 7, n. 2, della direttiva 89/104; tuttavia, ai punti 62 e 63 la Corte ha stabilito che le medesime considerazioni «si applicano mutatis mutandis» all'art. 6, n. 1.


    21  – Sentenza BMW, cit., punto 53.


    22  – Sentenza 22 giugno 2000, causa C-425/98, Marca Mode (Racc. pag. I-4861, punto 40).


    23  – Ricordo in limine che lo stesso approccio è stato adottato dalla Corte per la verifica del rispetto delle condizioni indicate dalla direttiva 84/450 modificata, quando ha affermato che a tal fine «occorre prendere in considerazione la presentazione globale della pubblicità contestata» (sentenza 25 ottobre 2001, causa C-112/99, Toshiba Europe, Racc. pag. I-7945, punto 60).

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