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Document 62002TJ0059
Judgment of the Court of First Instance (Third Chamber) of 27 September 2006.#Archer Daniels Midland Co. v Commission of the European Communities.#Competition - Cartels - Citric acid - Article 81 EC - Fine - Article 15(2) of Regulation No 17 - Guidelines on the method of setting fines - Leniency Notice - Principles of legal certainty and non-retroactivity - Principle of proportionality - Equal treatment - Obligation to state reasons - Rights of the defence.#Case T-59/02.
Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione) del 27 settembre 2006.
Archer Daniels Midland Co. contro Commissione delle Comunità europee.
Concorrenza - Intese - Acido citrico - Art. 81 CE - Ammenda - Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 - Orientamenti per il calcolo dell'importo delle ammende - Comunicazione sulla cooperazione - Principi di certezza del diritto e di non retroattività - Principio di proporzionalità - Parità di trattamento - Obbligo di motivazione - Diritti della difesa.
Causa T-59/02.
Sentenza del Tribunale di primo grado (Terza Sezione) del 27 settembre 2006.
Archer Daniels Midland Co. contro Commissione delle Comunità europee.
Concorrenza - Intese - Acido citrico - Art. 81 CE - Ammenda - Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 - Orientamenti per il calcolo dell'importo delle ammende - Comunicazione sulla cooperazione - Principi di certezza del diritto e di non retroattività - Principio di proporzionalità - Parità di trattamento - Obbligo di motivazione - Diritti della difesa.
Causa T-59/02.
Raccolta della Giurisprudenza 2006 II-03627
ECLI identifier: ECLI:EU:T:2006:272
Causa T‑59/02
Archer Daniels Midland Co.
contro
Commissione delle Comunità europee
«Concorrenza — Intese — Acido citrico — Art. 81 CE — Ammenda — Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 — Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende — Comunicazione sulla cooperazione — Principi di certezza del diritto e di irretroattività — Principio di proporzionalità — Parità di trattamento — Obbligo di motivazione — Diritti della difesa»
Massime della sentenza
1. Diritto comunitario — Principi generali del diritto — Irretroattività delle disposizioni penali
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazioni della Commissione 96/C 207/04 e 98/C 9/03)
2. Concorrenza — Ammende — Orientamenti per il calcolo delle ammende
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)
3. Concorrenza — Ammende — Sanzioni comunitarie e sanzioni inflitte in uno Stato membro o in uno Stato terzo per violazione del diritto nazionale della concorrenza
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
4. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione
(Artt. 81, n. 1, CE e 82 CE; accordo SEE, art. 53, n. 1; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
5. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
6. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Carattere dissuasivo dell’ammenda
(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
7. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Impatto concreto sul mercato
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, primo comma)
8. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
9. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
10. Concorrenza — Procedimento amministrativo — Rispetto dei diritti della difesa
(Artt. 81 CE e 82 CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 11)
11. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze aggravanti
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 2)
12. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
13. Concorrenza — Regole comunitarie — Infrazioni — Ammende — Importo — Determinazione
(Art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 17)
14. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti
(Art. 81, n. 1, CE; regolamento n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3, terzo trattino)
15. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti
(Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
16. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 96/C 207/04, titoli B, C e D)
17. Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Contenuto necessario
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 19, n. 1)
18. Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Contenuto necessario
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 19, n. 1)
19. Concorrenza — Ammende — Importo — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale
(Art. 229 CE)
1. Il principio di irretroattività delle leggi penali, sancito dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in quanto diritto fondamentale, costituisce un principio generale del diritto comunitario che deve esse osservato quando vengono inflitte ammende per infrazione alle regole di concorrenza. Tale principio esige che le sanzioni inflitte corrispondano a quelle che erano stabilite al momento in cui l’infrazione è stata commessa.
L’adozione di orientamenti che possono modificare la politica generale di concorrenza della Commissione in materia di ammende può, in linea di principio, rientrare nell’ambito di applicazione del principio di non retroattività.
Infatti, da un lato, gli orientamenti possono produrre effetti giuridici. Tali effetti giuridici derivano non già da una forza normativa propria degli orientamenti, bensì dalla loro adozione e pubblicazione da parte della Commissione. Tale adozione e tale pubblicazione degli orientamenti, come d’altronde quelle della comunicazione sulla cooperazione, implicano un’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione, che non può discostarsi da essi, pena, se del caso, la sanzione a titolo di violazione di principi generali del diritto, come la parità di trattamento, la tutela del legittimo affidamento e la certezza del diritto.
Dall’altro lato, gli orientamenti, in quanto strumento di una politica in materia di concorrenza, rientrano nel campo di applicazione del principio di non retroattività, alla stregua di una nuova interpretazione giurisprudenziale di una norma che istituisce una infrazione, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 7, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale la detta disposizione osta all’applicazione retroattiva di una nuova interpretazione di una norma che istituisce una infrazione. Secondo tale giurisprudenza, tale è in particolare il caso di un’interpretazione giurisprudenziale il cui risultato non era ragionevolmente prevedibile al momento in cui è stata commessa l’infrazione, vista, in particolare, l’interpretazione che a quell’epoca era accolta dalla giurisprudenza relativa alla disposizione di legge considerata. Tuttavia, da questa stessa giurisprudenza risulta che la portata della nozione di prevedibilità dipende in ampia misura dal contenuto del testo in esame, dal settore nel quale esso si colloca nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità della legge non osta infatti a che la persona interessata sia indotta a fare ricorso a consulenze per valutare, entro una ragionevole misura nelle circostanze di specie, le conseguenze che possono risultare da un determinato atto. In particolare, ciò vale specialmente per i professionisti, abituati a dar prova di estrema prudenza nell’esercizio della loro attività. È inoltre lecito attendersi che essi pongano una cura particolare nel valutare i rischi che essa comporta.
Al fine di controllare il rispetto del principio di non retroattività, si deve verificare se la modifica costituita dall’adozione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA era ragionevolmente prevedibile all’epoca in cui le infrazioni considerate sono state commesse. A questo proposito, la principale innovazione degli orientamenti consiste nel prendere come punto di partenza per il calcolo un importo di base determinato a partire da forcelle a tal riguardo previste nei detti orientamenti, le quali riflettono i differenti gradi di gravità delle infrazioni, ma che, in quanto tali, non sono in rapporto con il fatturato pertinente. Tale metodo riposa pertanto essenzialmente su una tariffazione, per quanto relativa ed elastica, delle ammende.
Inoltre il fatto che la Commissione abbia applicato, in passato, ammende di un certo livello a taluni tipi di infrazione non può privarla della possibilità di elevare tale livello entro i limiti fissati dal regolamento n. 17, se ciò si rende necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza; anzi, l’efficace applicazione delle regole comunitarie di concorrenza esige che la Commissione possa in qualsiasi momento adattare il livello delle ammende alle esigenze di tale politica.
Ne consegue che le imprese implicate in un procedimento amministrativo che può dare luogo ad un’ammenda non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende precedentemente praticato né in un metodo di calcolo di queste ultime.
Di conseguenza, le dette imprese devono tenere conto del fatto che, in qualsiasi momento, la Commissione può decidere di elevare il livello degli importi delle ammende rispetto a quello applicato in passato. Questo vale non soltanto allorché la Commissione procede ad un innalzamento del livello dell’importo delle ammende pronunciando ammende in decisioni individuali, ma anche quando tale innalzamento viene operato applicando a casi specifici regole di condotta aventi portata generale, come gli orientamenti.
(v. punti 41-49, 409)
2. Il fatto che la Commissione abbia applicato il metodo enunciato negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA al fine di calcolare l’importo dell’ammenda inflitta a un’impresa non può costituire un trattamento discriminatorio rispetto alle imprese che hanno commesso infrazioni alle regole comunitarie di concorrenza durante lo stesso periodo, ma che, per ragioni attinenti alla data della scoperta dell’infrazione o inerenti allo sviluppo del procedimento amministrativo che le riguardano, hanno costituito oggetto di condanne in date anteriori all’adozione e alla pubblicazione degli orientamenti.
(v. punto 53)
3. Il principio del ne bis in idem vieta di sanzionare una stessa persona più di una volta per uno stesso comportamento illecito al fine di tutelare un medesimo interesse giuridico. L’applicazione di questo principio è soggetta a tre condizioni cumulative, cioè l’identità dei fatti, l’identità del contravventore e l’identità dell’interesse giuridico protetto.
Così, un’impresa può validamente costituire oggetto di due procedimenti paralleli per uno stesso comportamento illecito e pertanto di una doppia sanzione, l’una da parte dell’autorità competente dello Stato membro considerato, l’altra comunitaria, nella misura in cui i detti procedimenti perseguano fini distinti e non vi sia identità tra le norme violate.
Da ciò consegue che il principio del ne bis in idem non può, a maggior ragione, trovare applicazione in un caso in cui i procedimenti promossi e le sanzioni inflitte dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità di Stati terzi, dall’altro, non perseguono, con tutta evidenza, gli stessi obiettivi. Infatti, se nel primo caso si tratta di preservare una concorrenza non falsata nel territorio dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo, la protezione che nel secondo caso si intende perseguire riguarda il mercato di uno Stato terzo. Fa difetto in tal caso la condizione dell’identità dell’interesse giuridico protetto, necessaria affinché possa essere applicato il principio del ne bis in idem.
(v. punti 61-63)
4. Il potere della Commissione di infliggere ammende a imprese che, intenzionalmente o per negligenza, si rendono responsabili di una infrazione all’art. 81, n. 1, CE o all’art. 82 CE costituisce uno degli strumenti di cui la Commissione dispone per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario. Questo compito comprende anche il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese.
Da ciò consegue che alla Commissione è lecito decidere il livello dell’importo delle ammende al fine di rafforzarne l’effetto dissuasivo allorché infrazioni di un certo tipo sono ancora relativamente frequenti, benché la loro illegittimità sia stata dimostrata sin dagli inizi della politica comunitaria della concorrenza, dati i vantaggi che determinate imprese possono trarne.
L’obiettivo di dissuasione perseguito dalla Commissione si riferisce al comportamento delle imprese in seno alla Comunità o allo Spazio economico europeo (SEE). Di conseguenza, il carattere dissuasivo di un’ammenda inflitta a un’impresa a causa della violazione da parte sua delle regole comunitarie di concorrenza non può essere determinato né in funzione della sola situazione particolare di tale impresa né in funzione del rispetto da parte sua delle regole di concorrenza fissate in Stati terzi al di fuori del SEE.
(v. punti 70-72)
5. La gravità delle infrazioni alle regole di concorrenza deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie e il suo contesto, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.
Parimenti, tra gli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione possono, a seconda dei casi, figurare il volume e il valore delle merci oggetto dell’infrazione nonché la dimensione e la potenza economica dell’impresa e quindi l’influenza che questa può esercitare sul mercato rilevante. Da un lato, ne consegue che è lecito, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, tener conto sia del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, per quanto approssimativa e imperfetta, della sua dimensione e potenza economica, sia della quota di mercato delle imprese interessate nel mercato rilevante che può fornire un’indicazione della portata dell’infrazione. Dall’altro, ne consegue che non si deve attribuire né all’una né all’altra di tali cifre un peso eccessivo rispetto agli altri elementi di valutazione, con la conseguenza che la determinazione dell’importo adeguato di un’ammenda non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo.
(v. punti 98-99)
6. La dissuasione è una delle principali considerazioni che deve guidare la Commissione in occasione della determinazione dell’ammontare delle ammende inflitte per violazione delle regole comunitarie di concorrenza.
Se l’ammenda dovesse essere fissata a un livello che si limiti ad annullare il beneficio dell’intesa, non avrebbe effetto dissuasivo. Si può infatti ragionevolmente presumere che talune imprese tengano razionalmente conto, nell’ambito del loro calcolo finanziario e della loro gestione, non solo del livello delle ammende che rischiano di vedersi infliggere in caso di infrazione, ma anche del livello di rischio che l’intesa venga scoperta. Inoltre, se si riducesse la funzione dell’ammenda al mero annullamento del profitto o del beneficio previsto, non si terrebbe conto a sufficienza dell’illiceità del comportamento di cui trattasi alla luce dell’art. 81, n. 1, CE. Infatti, riducendo l’ammenda ad una semplice compensazione del pregiudizio verificatosi, verrebbe trascurato, oltre all’effetto dissuasivo, che può riguardare unicamente comportamenti futuri, anche il carattere repressivo di una siffatta misura rispetto all’infrazione concreta effettivamente commessa.
Parimenti, nel caso di un’impresa che è presente su un gran numero di mercati e dispone di una capacità finanziaria particolarmente importante, il fatto di prendere in considerazione il fatturato realizzato sul mercato rilevante può non essere sufficiente ad assicurare un effetto dissuasivo dell’ammenda. Infatti, più un’impresa è grande e dispone di risorse globali che le conferiscono la capacità di agire in modo indipendente sul mercato, più deve essere cosciente dell’importanza del suo ruolo circa il buon funzionamento della concorrenza sul mercato. Pertanto, le circostanze di fatto, e segnatamente il fatturato globale, relative alla potenza economica di un’impresa resasi colpevole di un’infrazione debbono essere prese in considerazione in occasione dell’esame della gravità dell’infrazione.
(v. punti 129-131)
7. Secondo la formulazione del punto 1 A, primo comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, nel calcolare l’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione la Commissione tiene conto, in particolare, dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato quando sia misurabile. Tale impatto misurabile dell’intesa deve essere considerato sufficientemente dimostrato quando la Commissione è in grado di fornire indizi concreti e credibili che indicano, con ragionevole probabilità, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato.
Infatti, l’esame dell’impatto di una intesa sul mercato implica necessariamente il ricorso a ipotesi. In questo contesto, la Commissione deve, in particolare, esaminare quale sarebbe stato il prezzo del prodotto in esame in assenza di intesa. Orbene, nel procedere all’esame delle cause dell’effettiva evoluzione dei prezzi, è azzardato speculare sul rispettivo ruolo di ciascuna delle dette cause. Si deve tener conto della circostanza obiettiva che, in ragione dell’intesa sui prezzi, le parti hanno per l’appunto rinunciato alla loro libertà di farsi concorrenza sui prezzi. Pertanto, la valutazione dell’influenza derivante da fattori diversi dalla detta volontaria astensione dei partecipanti all’intesa è necessariamente fondata su ragionevoli probabilità, non quantificabili con esattezza.
Quindi, a meno che non si voglia togliere effetto utile al criterio di cui al punto 1 A, primo comma, non può rimproverarsi alla Commissione di aver preso come base l’impatto concreto di una intesa sul mercato avente un oggetto anticoncorrenziale, quale un’intesa sui prezzi ovvero sulle quote, senza quantificare tale impatto o senza fornire in proposito dati di valutazione in cifre.
(v. punti 157-161)
8. In occasione della determinazione della gravità di un’infrazione in materia di concorrenza va tenuto conto, in particolare, del contesto normativo ed economico del comportamento addebitato. A tale proposito, per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, spetta alla Commissione fare riferimento al gioco della concorrenza che si sarebbe normalmente avuto in assenza dell’infrazione.
Da un lato, ne deriva che, nel caso di intese vertenti sui prezzi, si deve constatare – con un ragionevole grado di probabilità – che gli accordi hanno effettivamente consentito ai partecipanti interessati di conseguire un livello di prezzo superiore a quello che si sarebbe avuto in assenza d’intesa. D’altro lato, ne consegue che la Commissione, nell’ambito della sua valutazione, deve prendere in considerazione tutte le condizioni obiettive del mercato rilevante, tenuto conto del contesto economico ed eventualmente normativo vigente. Si deve tener conto dell’esistenza, se del caso, di «fattori economici obiettivi» dai quali risulti che, in un contesto di «libero gioco della concorrenza», il livello dei prezzi non si sarebbe evoluto in modo identico a quello dei prezzi praticati.
(v. punti 181-182)
9. Il fatto che i partecipanti a un’intesa non abbiano rispettato il loro accordo e non abbiano interamente applicato i prezzi convenuti non implica che, così facendo, abbiano applicato prezzi che avrebbero potuto praticare in assenza dell’intesa e non costituisce quindi una circostanza da prendere in considerazione a titolo di attenuante. Infatti, un’impresa che persegue, malgrado la concertazione con i suoi concorrenti, una politica più o meno indipendente sul mercato può semplicemente tentare di usare l’intesa a proprio profitto.
(v. punto 189)
10. Nessuna disposizione vieta alla Commissione di avvalersi, come elemento di prova utile a constatare una infrazione agli artt. 81 CE e 82 CE e a fissare un’ammenda, di un documento che è stato redatto nel contesto di un procedimento diverso da quello condotto dalla Commissione stessa.
Ciononpertanto, viene riconosciuto in base ai principi generali del diritto comunitario, del quale i diritti fondamentali costituiscono parte integrante ed alla luce dei quali tutte le norme di diritto comunitario vanno interpretate, il diritto di un’impresa a non essere costretta dalla Commissione, in sede di applicazione dell’art. 11 del regolamento n. 17, ad ammettere la propria partecipazione ad un’infrazione. La tutela di tale diritto richiede che, ove sorga contestazione circa la portata di una domanda, sia verificato se la risposta del destinatario equivarrebbe effettivamente all’ammissione di un’infrazione, sicché verrebbe arrecato pregiudizio ai diritti della difesa.
La Commissione, qualora, nell’ambito della sua libera valutazione degli elementi di prova di cui dispone, si avvalga di una dichiarazione resa in un contesto diverso da quello del procedimento promosso dinanzi ad essa e qualora questa dichiarazione comporti potenzialmente informazioni che l’impresa interessata avrebbe avuto il diritto di rifiutare di fornire alla Commissione, se le avesse posto domande sullo stesso tema, è tenuta a garantire a tale impresa diritti processuali equivalenti a quelli conferiti all’impresa a cui pone domande.
Il rispetto di tali garanzie processuali implica, in un contesto del genere, che la Commissione sia tenuta ad esaminare d’ufficio se, a prima vista, vi siano seri dubbi circa il rispetto dei diritti processuali delle parti interessate nell’ambito del procedimento nel corso del quale esse hanno reso siffatte dichiarazioni. In assenza di tali seri dubbi, i diritti processuali delle parti interessate devono considerarsi sufficientemente garantiti se, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione indica chiaramente, eventualmente allegando i documenti interessati da tale comunicazione, di avere l’intenzione di avvalersi delle dichiarazioni di cui trattasi. In questo modo, la Commissione consente alle parti interessate di prendere posizione non solo rispetto al contenuto di tali dichiarazioni, ma anche a eventuali irregolarità o a circostanze particolari che hanno accompagnato la loro redazione o la loro produzione dinanzi alla Commissione.
(v. punti 261-265)
11. Qualora una infrazione alle regole di concorrenza sia stata commessa da più imprese, si deve esaminare, nell’ambito della determinazione dell’importo delle ammende, la gravità relativa della partecipazione di ciascuna di esse, il che implica, in particolare, accertare il loro rispettivo ruolo nel corso della durata della loro partecipazione all’infrazione.
Da ciò risulta, in particolare, che il ruolo di «capofila» svolto da una o più imprese nell’ambito di un’intesa deve essere preso in considerazione ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, nella misura in cui le imprese che hanno svolto un siffatto ruolo hanno, a tale titolo, una particolare responsabilità rispetto alle altre imprese.
(v. punti 296-297)
12. Nella fissazione dell’importo dell’ammenda inflitta per violazione delle regole di concorrenza, la Commissione dispone di un potere discrezionale. Il fatto che la Commissione in passato abbia applicato, in presenza di circostanze aggravanti, una certa percentuale di maggiorazione delle ammende non può privarla del potere di aumentare tali percentuali entro i limiti indicati dal regolamento n. 17 e dagli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, se ciò si rende necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza.
(v. punto 312)
13. Nell’applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 a ciascun caso di specie, vale a dire quando infligge ammende per violazione delle regole di concorrenza del Trattato, la Commissione è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, tra i quali figura il principio di parità di trattamento, quale interpretato dai giudici comunitari. Un’impresa può tuttavia contestare l’importo dell’ammenda inflittale deducendo la violazione di tale principio solo se dimostra che i dati di fatto delle cause relative alle decisioni cui essa si riferisce, come i mercati, i prodotti, i paesi, le imprese e i periodi interessati, sono comparabili con quelli di specie.
(v. punti 315-316)
14. Per valutare la gravità di una infrazione alle regole di concorrenza, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve tener conto non solo delle circostanze particolari della fattispecie, ma anche del contesto in cui si colloca l’infrazione e curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo. Infatti, soltanto prendendo in considerazione tali aspetti è possibile garantire la piena efficacia dell’azione della Commissione per mantenere una concorrenza non falsata sul mercato comune.
Un’analisi puramente letterale della disposizione di cui al punto 3, terzo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA potrebbe dare l’impressione che il semplice fatto che un contravventore cessi ogni infrazione fin dai primi interventi della Commissione costituisca in modo generale e senza riserve una circostanza attenuante. Orbene, siffatta interpretazione di detta disposizione sminuirebbe l’effetto utile delle disposizioni che consentono il mantenimento di una concorrenza efficace, perché affievolirebbe sia la sanzione che può essere imposta a seguito di una violazione dell’art. 81 CE, sia l’effetto dissuasivo di una siffatta sanzione.
Infatti, a differenza di altre circostanze attenuanti, tale circostanza non è inerente né alla peculiarità soggettiva del contravventore né ai fatti propri del caso di specie, dato che procede essenzialmente dall’intervento esterno della Commissione. La cessazione di una infrazione unicamente a seguito dell’intervento della Commissione non può pertanto essere assimilata ai meriti che derivano da una iniziativa autonoma da parte del contravventore, ma costituisce soltanto una reazione appropriata e normale al detto intervento. Inoltre, siffatta circostanza sancisce solo il ritorno del contravventore a un comportamento lecito e non contribuisce a rendere l’azione della Commissione più efficace. Infine, l’asserito carattere attenuante di tale circostanza non può giustificarsi con il semplice incentivo a porre fine all’infrazione che essa induce. A questo riguardo la qualificazione come circostanza aggravante della continuazione di una infrazione dopo i primi interventi della Commissione costituisce già, giustamente, un incentivo a porre termine all’infrazione, che non attenua né la sanzione né l’effetto dissuasivo di tale sanzione.
Infatti, il riconoscimento della cessazione di una infrazione sin dai primi interventi della Commissione come circostanza attenuante comprometterebbe ingiustificatamente l’effetto utile dell’art. 81, n. 1, CE, a causa dell’attenuazione non solo della sanzione ma anche dell’effetto dissuasivo della sanzione. Di conseguenza, la Commissione non può imporre a se stessa di considerare la mera cessazione dell’infrazione sin dai suoi primi interventi come circostanza attenuante. Si deve pertanto interpretare restrittivamente la disposizione di cui al punto 3, terzo trattino, degli orientamenti, in modo da non contrastare l’effetto utile dell’art. 81, n. 1, CE, e nel senso che solo le circostanze particolari del caso di specie, nelle quali l’ipotesi della cessazione dell’infrazione fin dai primi interventi della Commissione viene a concretizzarsi, potrebbero giustificare che tale circostanza venga presa in considerazione come circostanza attenuante.
Nel caso di un’infrazione particolarmente grave, avente ad oggetto una fissazione dei prezzi ed una ripartizione dei mercati, commessa intenzionalmente dalle imprese interessate, la sua cessazione non può essere considerata una circostanza attenuante quando è stata determinata dall’intervento della Commissione.
(v. punti 334-338, 340-341)
15. Se è certamente importante che una impresa adotti provvedimenti per impedire che in futuro siano commesse da parte di propri collaboratori nuove infrazioni al diritto comunitario della concorrenza, l’adozione di siffatti provvedimenti non muta affatto la realtà dell’infrazione constatata. La Commissione non è pertanto tenuta a considerare un siffatto elemento come circostanza attenuante, tanto più qualora l’infrazione di cui trattasi costituisca una palese violazione dell’art. 81, n. 1, CE.
(v. punto 359)
16. A meno che non si entri in conflitto con il principio di parità di trattamento, la comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese deve essere applicata nel senso che, nella riduzione delle ammende, la Commissione deve trattare allo stesso modo le imprese che forniscono alla Commissione nella medesima fase del procedimento e in circostanze analoghe informazioni simili circa i fatti loro addebitati. La sola circostanza che una di queste imprese abbia riconosciuto i fatti imputati rispondendo per prima alle domande poste dalla Commissione nella medesima fase del procedimento non può costituire una ragione obiettiva per riservarle un trattamento differenziato.
Tuttavia, ciò vale soltanto nell’ambito di una cooperazione di imprese non rientrante nell’ambito di applicazione dei punti B e C della comunicazione sulla cooperazione.
Infatti, contrariamente a tali punti, il punto D non prevede un trattamento diverso per le imprese interessate in funzione dell’ordine secondo il quale queste cooperano con la Commissione.
(v. punti 400-401, 403)
17. La comunicazione degli addebiti deve contenere un’esposizione degli addebiti formulata in termini che, per quanto sommari, siano sufficientemente chiari per consentire agli interessati di prendere atto dei comportamenti di cui la Commissione fa loro carico. Solo a questa condizione, infatti, la comunicazione degli addebiti può assolvere la funzione attribuitale dai regolamenti comunitari, che consiste nel fornire alle imprese e associazioni di imprese tutti gli elementi necessari per provvedere utilmente alla propria difesa prima che la Commissione adotti una decisione definitiva.
(v. punto 416)
18. La Commissione, quando nella comunicazione degli addebiti dichiara espressamente che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle parti interessate e indica i principali elementi di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione e il fatto di averla commessa «intenzionalmente o per negligenza», adempie agli obblighi che le incombono di rispettare il diritto delle imprese al contraddittorio. Così operando, fornisce a queste ultime gli elementi necessari per difendersi non solo contro l’accertamento dell’infrazione, ma anche contro l’inflizione di un’ammenda.
Da ciò consegue che, per quanto riguarda la determinazione dell’importo dell’ammenda, i diritti della difesa delle imprese interessate sono garantiti dinanzi alla Commissione tramite la possibilità di presentare osservazioni in ordine alla durata, alla gravità e alla prevedibilità del carattere anticoncorrenziale dell’infrazione. Questa conclusione si impone tanto più che, con la pubblicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, la Commissione ha fatto conoscere agli interessati, in modo dettagliato, il metodo di calcolo dell’importo di un’eventuale ammenda e il modo secondo il quale avrebbe tenuto conto di tali criteri. Tale conclusione non viene rimessa in discussione dal fatto che gli orientamenti non fanno espressamente riferimento a un coefficiente moltiplicatore, dato che in essi è dato di leggere che è necessario prendere in considerazione l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di produrre un danno consistente agli altri operatori e determinare l’importo dell’ammenda a un livello che ne assicuri un carattere sufficientemente dissuasivo.
(v. punti 434-435)
19. Qualora dall’esame dei motivi sollevati da un’impresa avverso la legittimità di una decisione della Commissione che le ha inflitto un’ammenda per violazione delle regole comunitarie di concorrenza emerga un illecito, il Tribunale deve verificare se, esercitando la propria competenza anche di merito, esso debba riformare la decisione impugnata.
(v. punto 443)
SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)
27 settembre 2006 (*)
«Concorrenza – Intese – Acido citrico – Art. 81 CE – Ammenda – Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 – Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende – Comunicazione sulla cooperazione – Principi di certezza del diritto e di irretroattività – Principio di proporzionalità – Parità di trattamento – Obbligo di motivazione – Diritti della difesa»
Nella causa T‑59/02,
Archer Daniels Midland Co., con sede a Decatur, Illinois (Stati Uniti), rappresentata dall’avv. C. O. Lenz, dalle sig.re L. Martin Alegi e M. Garcia e dal sig. E. Batchelor, solicitors,
ricorrente,
contro
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. P. Oliver, in qualità di agente,
convenuta,
avente ad oggetto, a titolo principale, la domanda di annullamento dell’art. 1 della Decisione della Commissione 5 dicembre 2001, 2002/742/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/E‑1/36.604 – Acido citrico) (GU 2002, L 239, pag. 18), nella parte in cui constata che la ricorrente ha violato l’art. 81 CE e l’art. 53 dell’accordo SEE partecipando alla limitazione delle capacità del mercato rilevante e alla designazione di un produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi in ciascun segmento nazionale del detto mercato rilevante, la domanda di annullamento dell’art. 3 della medesima Decisione nella parte in cui riguarda la ricorrente e, in subordine, la domanda di riduzione dell’ammenda inflittale,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),
composto dal sig. J. Azizi, presidente, dai sigg. M. Jaeger e F. Dehousse, giudici,
cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e a seguito della trattazione orale del 9 giugno 2004,
ha emesso la seguente
Sentenza
Fatti all’origine della controversia
1 La ricorrente, la Archer Daniels Midland Co. (in prosieguo: l’«ADM»), è la società madre di un gruppo di imprese operanti nel settore della trasformazione di cereali e di grani oleaginosi. Essa si è collocata sul mercato dell’acido citrico nel 1991.
2 L’acido citrico è l’agente acidificante e conservante maggiormente utilizzato nel mondo. Ne esistono vari tipi che servono a diverse applicazioni, in particolare, nel settore dei prodotti alimentari e delle bibite, in quello dei detergenti e dei detersivi per uso domestico, dei prodotti farmaceutici e cosmetici nonché in svariati procedimenti industriali.
3 Nel 1995 le vendite totali di acido citrico a livello mondiale ammontavano a circa EUR 894,72 milioni e quelle realizzate nello Spazio economico europeo (SEE) a circa EUR 323,69 milioni. Nel 1996 circa il 60% del mercato mondiale dell’acido citrico era nelle mani dei cinque destinatari della Decisione oggetto del presente ricorso, cioè, oltre all’ADM, la Jungbunzlauer AG (in prosieguo: la «JBL»), la F. Hoffmann-La Roche AG (in prosieguo: la «HLR»), la Haarmann & Reimer Corp. (in prosieguo: la «H&R»), società appartenente al gruppo Bayer AG (in prosieguo: la «Bayer»), e la Cerestar Bioproducts BV (in prosieguo: la «Cerestar»), insieme denominate le «parti interessate».
4 Nell’agosto 1995 il Ministro della Giustizia americano informava la Commissione del fatto che erano in corso indagini aventi ad oggetto il mercato dell’acido citrico. Nell’ottobre 1996 e nel giugno 1998 tutte le parti interessate, ivi compresa l’ADM, ammettevano di aver partecipato ad una intesa. A seguito di accordi conclusi con il Ministero della Giustizia americano, a tali imprese venivano inflitte ammende dalle autorità americane. Inoltre, a taluni degli accusati venivano inflitte ammende a titolo personale. Venivano peraltro effettuate indagini anche in Canada, dove venivano inflitte ammende a talune di queste stesse imprese, tra cui l’ADM.
5 Il 6 agosto 1997 la Commissione, a norma dell’art. 11 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione degli artticoli [81] e [82] del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204), rivolgeva richieste di informazioni ai quattro principali produttori di acido citrico della Comunità. Nel gennaio 1998 la Commissione rivolgeva inoltre richieste di informazioni ai principali acquirenti di acido citrico nella Comunità e, nel giugno e nel luglio 1998, rivolgeva nuovamente richieste di informazioni ai principali produttori di acido citrico della Comunità.
6 Facendo seguito alla prima richiesta di informazioni rivoltale nel luglio 1998, la Cerestar prendeva contatto con la Commissione e dichiarava, nel corso di un incontro tenutosi il 29 ottobre 1998, che aveva l’intenzione di cooperare con la Commissione sulla base della comunicazione della Commissione 18 luglio 1996 sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese (GU C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»). In questa stessa occasione, la Cerestar forniva un resoconto orale delle attività risultanti dall’intesa cui aveva partecipato. Il 25 marzo 1999 inviava alla Commissione una dichiarazione scritta confermando quanto dichiarato nel corso di tale riunione.
7 Con lettera 28 luglio 1998 la Commissione rivolgeva alla JBL una nuova richiesta di informazioni alla quale questa rispondeva con lettera 28 settembre 1998.
8 Nel corso di un incontro tenutosi l’11 dicembre 1998, l’ADM dichiarava di voler cooperare con la Commissione e faceva un resoconto orale delle attività anticoncorrenziali cui aveva partecipato. Con lettera 15 gennaio 1999 l’ADM confermava le sue dichiarazioni orali.
9 Il 3 marzo 1999 la Commissione rivolgeva richieste di informazioni supplementari alla HLR, alla JBL e alla Cerestar.
10 Il 28 aprile, 21 maggio e, rispettivamente, 28 luglio 1999 la Bayer, a nome della H&R, JBL e HLR forniva dichiarazioni a norma della comunicazione sulla cooperazione.
11 Il 29 marzo 2000 sulla base delle informazioni trasmessele, la Commissione indirizzava una comunicazione degli addebiti all’ADM e alle altre parti interessate per violazione dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE (in prosieguo: l’«accordo SEE»). L’ADM e le altre parti interessate trasmettevano osservazioni scritte in risposta agli addebiti contestati dalla Commissione. Nessuna di queste parti chiedeva di essere sentita né contestava sostanzialmente la materialità dei fatti esposti nella comunicazione degli addebiti.
12 Il 27 luglio 2001 la Commissione indirizzava richieste supplementari di informazioni all’ADM e alle altre parti interessate.
13 Il 5 dicembre 2001 la Commissione adottava la Decisione C (2001) 3923 def. relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (COMP/E‑1/36.604 – Acido citrico) (in prosieguo: la «Decisione»). La Decisione veniva notificata all’ADM con lettera 17 dicembre 2001.
14 La Decisione comprende, in particolare, le seguenti disposizioni:
«Articolo 1
[ADM], [Cerestar], [H&R], [HLR] e [JBL] hanno violato l’articolo 81, paragrafo 1, del trattato e l’articolo 53, paragrafo 1, dell’accordo SEE partecipando a un accordo continuato e/o a una pratica concordata nel settore dell’acido citrico.
La durata dell’infrazione è stata la seguente:
– nel caso della [ADM], della [H&R], della [HLR] e della [JBL]: da marzo 1991 a maggio 1995;
– nel caso di [Cerestar]: da marzo 1992 a maggio 1995.
(…)
Articolo 3
Per l’infrazione di cui all’art. 1 sono irrogate le seguenti ammende:
a) [ADM]: un’ammenda di EUR 39,69 milioni,
b) [Cerestar]: un’ammenda di EUR 170 000,
c) [HLR]: un’ammenda di EUR 63,5 milioni,
d) [H&R]: un’ammenda di EUR 14,22 milioni,
e) [JBL]: un’ammenda di EUR 17,64 milioni».
15 Ai punti 80‑84 della Decisione la Commissione ha rilevato che l’intesa aveva come obiettivi l’assegnazione di specifiche quote di vendita ad ogni membro e l’osservanza di tali quote, la fissazione dei prezzi obiettivo e/o prezzi minimi; l’eliminazione di riduzioni sui prezzi e lo scambio di specifiche informazioni sui clienti.
16 Ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha applicato nella Decisione il metodo esposto negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») nonché nella comunicazione sulla cooperazione.
17 In primo luogo, la Commissione ha fissato l’importo di base dell’ammenda in funzione della gravità e della durata dell’infrazione.
18 In questo contesto, per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, la Commissione, in primo luogo, ha considerato che le imprese interessate avevano commesso una infrazione molto grave, tenuto conto della natura del comportamento in esame, del suo impatto effettivo sul mercato dell’acido citrico nel SEE e dell’estensione del mercato geografico interessato (punto 230 della motivazione della Decisione).
19 La Commissione ha poi ritenuto che si doveva tener conto della capacità economica effettiva di arrecare pregiudizio alla concorrenza e fissare l’ammenda a un livello che garantisse un sufficiente effetto dissuasivo. Di conseguenza, basandosi sul fatturato mondiale realizzato dalle parti interessate dalla vendita dell’acido citrico nel corso dell’ultimo anno del periodo di infrazione, cioè il 1995, la Commissione le ha divise in tre gruppi, cioè, in un primo gruppo, la H&R, con una quota di mercato a livello mondiale del 22%, in un secondo gruppo, l’ADM e la JBL, con quote di mercato del [riservato] (1), nonché la HLR con una quota di mercato del 9% e, in un terzo gruppo, la Cerestar con una quota di mercato a livello mondiale del 2,5%. Su tale base la Commissione ha fissato importi di partenza in EUR 35 milioni, per l’impresa appartenente al primo gruppo, in EUR 21 milioni, per quelle appartenenti al secondo gruppo, e in EUR 3,5 milioni, per quella classificata nel terzo gruppo (punto 239 della motivazione della Decisione).
20 Inoltre, al fine di assicurare all’ammenda un effetto sufficientemente dissuasivo, la Commissione ha proceduto all’adeguamento di tale importo di partenza. Di conseguenza, tenendo conto della dimensione e delle risorse complessive delle parti interessate, espresse dall’importo totale del loro fatturato mondiale, la Commissione ha applicato un coefficiente moltiplicatore di 2 agli importi di partenza fissati per l’ADM e la HLR e di 2,5 agli importi di partenza fissati per la H&R (punti 50 e 246 della motivazione della Decisione).
21 Per quanto riguarda la durata dell’infrazione commessa da ciascuna impresa, l’importo di partenza così fissato è stato maggiorato del 10% per anno, ovvero del 40% per l’ADM, la H&R, la HLR e la JBL e del 30% per la Cerestar (punti 249 e 250 della Decisione).
22 La Commissione ha così fissato l’importo di base delle ammende in EUR 58,8 milioni per quanto riguarda l’ADM. Per quanto riguarda la Cerestar, la HLR, la H&R e la JBL, gli importi di base sono stati fissati, rispettivamente, in EUR 4,55, 58,8, 122,5 e 29,4 milioni (punto 254 della Decisione).
23 In secondo luogo, a titolo di circostanze aggravanti, gli importi di base delle ammende inflitte all’ADM e alla HLR sono stati maggiorati del 35% per il motivo che tali imprese avevano svolto un ruolo leader nell’ambito dell’intesa (punto 273 della Decisione).
24 In terzo luogo, la Commissione ha esaminato e respinto gli argomenti di talune imprese circa il beneficio delle circostanze attenuanti (punti 274‑291 della Decisione).
25 In quarto luogo, in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione ha adeguato gli importi così calcolati per la Cerestar e la H&R affinché non eccedessero il limite del 10% del fatturato totale delle parti interessate (punto 293 della Decisione).
26 In quinto luogo, in applicazione del punto B della comunicazione sulla cooperazione, la Commissione ha consentito alla Cerestar una «notevole riduzione» (cioè il 90%) dell’importo dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione. In applicazione del punto D di tale comunicazione, la Commissione ha consentito all’ADM una «riduzione significativa» dell’importo dell’ammenda (cioè del 50%), alla JBL (del 40%), alla H&R (del 30%) e alla HLR (del 20%) (punto 326 della Decisione).
Procedimento e conclusioni delle parti
27 Con ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 febbraio 2002, l’ADM ha proposto il presente ricorso.
28 Con atto separato, depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 febbraio 2002, l’ADM ha chiesto che venisse concesso un trattamento riservato a talune informazioni contenute nelle memorie e in taluni allegati.
29 Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’art. 64 del regolamento di procedura del Tribunale, ha posto per iscritto quesiti alle parti, cui queste hanno risposto entro i termini impartiti.
30 Le difese svolte dalle parti e le risposte ai quesiti loro rivolti dal Tribunale sono state sentite nel corso dell’udienza del 9 giugno 2004.
31 L’ADM conclude che il Tribunale voglia:
– annullare l’art. 1 della Decisione nella parte in cui constata che ha violato l’art. 81 CE e l’art. 53 dell’accordo SEE partecipando a limitazioni delle capacità del mercato rilevante e alla designazione di un produttore che doveva «guidare» gli aumenti di prezzo in ciascun mercato nazionale del detto mercato rilevante;
– annullare l’art. 3 della Decisione nella parte in cui la riguarda;
– in subordine, ridurre l’importo dell’ammenda inflittale;
– condannare la Commissione alle spese.
32 La Commissione conclude che il Tribunale voglia:
– respingere il ricorso;
– condannare l’ADM alle spese.
In diritto
I – Sull’applicabilità degli orientamenti
A – Argomenti delle parti
33 Da un lato, l’ADM sostiene che il metodo di calcolo delle ammende fissato dagli orientamenti si discosta radicalmente dalla precedente prassi della Commissione in materia che, come da lei stessa riconosciuto nella Decisione (punto 253 della Decisione), consisteva nel determinare l’importo dell’ammenda in funzione di un importo di base rappresentativo di una certa percentuale delle vendite sul mercato comunitario rilevante. Al contrario, gli orientamenti introdurrebbero ormai un tasso fisso di ammenda, ad esempio EUR 20 milioni in caso di infrazione molto grave, a prescindere dal volume delle vendite del prodotto in esame.
34 L’ADM rileva che, durante il periodo considerato nel presente caso (dal 1991 al 1995), la Commissione ha inflitto, in applicazione di tale costante prassi, ammende il cui importo era di norma situato tra il 2,5 e il 9% della cifra d’affari realizzata dalla vendita del prodotto considerato sul mercato comunitario. Per contro, l’applicazione della nuova politica sorta dagli orientamenti approderebbe ad ammende il cui importo sarebbe da 10 a 34 volte superiore a quello delle ammende che sarebbero state inflitte sulla base della precedente prassi.
35 L’ADM riconosce che la Commissione dispone di un potere discrezionale per aumentare le ammende qualora la politica in materia di diritto della concorrenza esiga che siano inflitte ammende a carattere dissuasivo di importo più elevato. Tuttavia, imponendo un’ammenda il cui importo si rivela essere da 10 a 34 volte superiore a quello che avrebbe fissato secondo la precedente prassi, la Commissione avrebbe palesemente ecceduto tale margine di discrezionalità. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, tale conclusione sarebbe suffragata dalla sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑16/99, Lögstör Rör/Commissione (Racc. pag. II‑1633, punto 237 della motivazione). Da un lato, essa sottolinea, infatti, che in tale sentenza il Tribunale ha subordinato la possibilità della Commissione di elevare il livello delle ammende nei limiti indicati dal regolamento n. 17 a condizione che ciò sia necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza. Orbene, né nella Decisione né nelle memorie la Commissione avrebbe fornito una giustificazione o indicato prove che dimostrino che l’attuazione di tale politica esigeva che fossero inflitte ammende di importo da 10 a 34 volte superiore a quello che sarebbe risultato dalla precedente prassi. D’altro lato, essa rileva che, nel caso che ha dato luogo alla citata sentenza nonché in tutti gli altri casi aventi ad oggetto l’intesa relativa ai tubi preisolati, ad eccezione di quello relativo alla società ABB (sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑31/99, ABB Asea Brown Boveri/Commissione, Racc. pag. II‑1881), la Commissione avrebbe inflitto ammende di livello analogo a quello che prevaleva quando veniva applicata la precedente prassi della Commissione. Infatti, a suo dire, le imprese considerate in tale intesa sarebbero state condannate soltanto ad ammende di un importo che rappresenta una percentuale delle vendite pertinenti oscillante tra il 3 ed il 14%, e anche alla ABB sarebbe stata inflitta un’ammenda di un importo corrispondente soltanto al 44% del suo giro di affari pertinente.
36 L’ADM ritiene che le imprese debbano essere in grado di operare in condizioni prevedibili. Conformemente agli orientamenti (primo comma), nel fissare l’importo delle ammende la Commissione sarebbe tenuta a rispettare una linea politica coerente e non discriminatoria. L’ADM considera che l’assenza di certezza del diritto nel determinare le ammende è antinomica con l’idea di attuazione effettiva del carattere dissuasivo di un’ammenda. Perché l’effetto dissuasivo individuale di un’ammenda sia effettivo, sarebbe indispensabile che le imprese conoscano anticipatamente le sanzioni applicabili. Essa rileva che un’amnistia globale o una politica di indulgenza efficace esige che le sanzioni applicabili in caso di rifiuto di collaborazione siano chiaramente predefinite. Nello stesso modo, sarebbe irragionevole mantenere uno stato di incertezza costante circa il livello delle ammende che possono essere inflitte in caso di violazione delle norme di concorrenza, in particolare, a causa della considerevole durata delle indagini su siffatte infrazioni. Di conseguenza, il principio della certezza del diritto esigerebbe che l’approccio adottato dalla Commissione per il calcolo delle ammende in forza dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 possa essere previsto con un sufficiente grado di certezza.
37 L’ADM aggiunge che dal manuale degli orientamenti della Sentencing Commission degli Stati Uniti [punto 1B1.11(b)(1) (in prosieguo: gli «orientamenti americani»)] e della giurisprudenza di una Corte d’appello federale [sentenza United States c. Kimler, 167 F. 3d 889 (5th Circ. 1999)] risulta che l’applicazione con effetto retroattivo di nuovi orientamenti in materia di ammende è vietato dalla regola ex post facto della Costituzione degli Stati Uniti, quando si risolve nell’infliggere una sanzione più pesante di quella prevista al momento in cui l’infrazione è stata commessa.
38 Di conseguenza, secondo l’ADM, l’applicazione retroattiva della nuova politica prevista negli orientamenti ad una infrazione avvenuta, come nel caso di specie, prima della loro pubblicazione e che ha l’effetto di infliggere all’ADM un’ammenda talmente superiore rispetto al livello delle ammende imputate in forza della prassi precedente, senza che tale divario sia necessario per garantire il rispetto della politica in materia di diritto della concorrenza, viola il principio della certezza del diritto ed è illegittima.
39 D’altro lato, l’ADM sostiene che l’applicazione degli orientamenti viola il principio di parità di trattamento, poiché porta a differenziare le imprese che hanno commesso una infrazione al diritto della concorrenza in funzione non già della data dell’infrazione, bensì della data di adozione della Decisione della Commissione da questa arbitrariamente fissata. Ad esempio, l’ADM espone che alle imprese interessate dalla decisione della Commissione 14 maggio 1997, 97/624/CE, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo [82] del trattato CE (IV/34.621, 35.059/F-3 – Irish Sugar plc) (GU L 258, pag. 1), e dalla decisione della Commissione 29 marzo 1994, 94/210/CE, relativa ad un procedimento di applicazione degli articoli [81] e [82] del trattato CE (IV/33.941 – HOV‑SVZ/MCN) (GU L 104, pag. 34), sono state inflitte ammende di un importo che rappresenta, rispettivamente, solo il 6,8 e il 5% dell’ammontare delle vendite realizzate sul mercato rilevante, in una epoca in cui le infrazioni considerate erano concomitanti con l’intesa sull’acido citrico.
40 La Commissione conclude per il rigetto dei motivi.
B – Giudizio del Tribunale
41 Il Tribunale ricorda innanzi tutto che il principio di irretroattività delle leggi penali, sancito dall’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Roma il 4 novembre 1950, in quanto diritto fondamentale, costituisce un principio generale del diritto comunitario che deve esse osservato quando vengono inflitte ammende per infrazione alle regole di concorrenza e che tale principio esige che le sanzioni inflitte corrispondano a quelle che erano stabilite al momento in cui l’infrazione è stata commessa (sentenza della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri/Commissione, Racc. pag. I‑5425, punto 202; sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punti 218‑221, e 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 39).
42 Inoltre, il Tribunale considera che l’adozione di orientamenti che possono modificare la politica generale di concorrenza della Commissione in materia di ammende può, in linea di principio, rientrare nell’ambito di applicazione del principio di non retroattività.
43 Infatti, da un lato, gli orientamenti possono produrre effetti giuridici. Tali effetti giuridici derivano non già da una forza normativa propria degli orientamenti, bensì dalla loro adozione e pubblicazione da parte della Commissione. Tale adozione e tale pubblicazione degli orientamenti implicano un’autolimitazione del potere discrezionale della Commissione, che non può discostarsi da essi, pena, se del caso, la sanzione a titolo di violazione di principi generali del diritto, come la parità di trattamento, la tutela del legittimo affidamento e la certezza del diritto (v., in tal senso, sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 41 supra, punti 209‑212).
44 Dall’altro lato, gli orientamenti, in quanto strumento di una politica in materia di concorrenza, rientrano nel campo di applicazione del principio di non retroattività, alla stregua di una nuova interpretazione giurisprudenziale di una norma che istituisce una infrazione, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 7, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (v., in particolare, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenze S.W. e C.R. c. Regno Unito del 22 novembre 1995, serie A nn. 335‑B e 335‑C, paragrafi 34‑36 e 32‑34; Cantoni c. Francia del 15 novembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996‑V, paragrafi 29‑ 32, e Coëme e a. c. Belgio del 22 giugno 2000, Recueil des arrêts et décisions 2000‑VII, paragrafo 145), secondo la quale la detta disposizione osta all’applicazione retroattiva di una nuova interpretazione di una norma che istituisce una infrazione. Secondo tale giurisprudenza, tale è in particolare il caso di un’interpretazione giurisprudenziale il cui risultato non era ragionevolmente prevedibile al momento in cui è stata commessa l’infrazione, vista, in particolare, l’interpretazione che a quell’epoca era accolta dalla giurisprudenza relativa alla disposizione di legge considerata. Si deve tuttavia precisare che da questa stessa giurisprudenza risulta che la portata della nozione di prevedibilità dipende in ampia misura dal contenuto del testo in esame, dal settore nel quale esso si colloca nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità della legge non osta infatti a che la persona interessata sia indotta a fare ricorso a consulenze per valutare, entro una ragionevole misura nelle circostanze di specie, le conseguenze che possono risultare da un determinato atto. In forza della sentenza Cantoni c. Francia (già cit., paragrafo 35), ciò vale specialmente per i professionisti, abituati a dar prova di estrema prudenza nell’esercizio della loro attività. Quindi è lecito attendersi che essi pongano una cura particolare nel valutare i rischi che essa comporta (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 41 supra, punti 215‑223).
45 Alla luce di quanto sopra, si deve pertanto verificare se la modifica costituita dall’adozione degli orientamenti era ragionevolmente prevedibile all’epoca in cui le infrazioni considerate erano state commesse.
46 Si deve a questo proposito constatare che la principale innovazione degli orientamenti consiste nel prendere come punto di partenza per il calcolo un importo di base determinato a partire da forcelle a tal riguardo previste nei detti orientamenti, le quali riflettono i differenti gradi di gravità delle infrazioni, ma che, in quanto tali, non sono in rapporto con il fatturato pertinente. Tale metodo riposa pertanto essenzialmente su una tariffazione, per quanto relativa ed elastica, delle ammende (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 41 supra, punto 225).
47 Si deve poi ricordare che il fatto che la Commissione abbia applicato, in passato, ammende di un certo livello a taluni tipi di infrazione non può privarla della possibilità di elevare tale livello entro i limiti fissati dal regolamento n. 17, se ciò si rende necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza, e che, anzi, l’efficace applicazione delle regole comunitarie di concorrenza esige che la Commissione possa in qualsiasi momento adattare il livello delle ammende alle esigenze di tale politica (v., in tal senso, sentenze della Corte, Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 41 supra, punto 227; 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 109, e 2 ottobre 2003, causa C‑196/99 P, Aristrain/Commissione, Racc. pag. I‑11005, punto 81; sentenze del Tribunale 10 marzo 1992, causa T‑12/89, Solvay/Commissione, Racc. pag. II‑907, punto 309, e 14 maggio 1998, causa T‑304/94, Europa Carton/Commissione, Racc. pag. II‑869, punto 89; sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 41 supra, punto 56).
48 Ne consegue che le imprese implicate in un procedimento amministrativo che può dare luogo ad un’ammenda non possono riporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende precedentemente praticato né nel metodo di calcolo di queste ultime (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 41 supra, punto 228).
49 Di conseguenza, le dette imprese devono tenere conto del fatto che, in qualsiasi momento, la Commissione può decidere di elevare il livello degli importi delle ammende rispetto a quello applicato in passato. Questo vale non soltanto allorché la Commissione procede ad un innalzamento del livello dell’importo delle ammende pronunciando ammende in decisioni individuali, ma anche quando tale innalzamento viene operato applicando a casi specifici regole di condotta aventi portata generale, come gli orientamenti (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 41 supra, punti 229 e 230).
50 Pertanto, l’ADM ha, in sostanza, a torto sostenuto che l’aumento del livello delle ammende da parte della Commissione, nel contesto dell’intesa, sarebbe manifestamente sproporzionato rispetto all’obiettivo di assicurare l’attuazione della politica della concorrenza.
51 Parimenti, la circostanza invocata dall’ADM – supposto che sia dimostrata – che l’applicazione della nuova politica approderebbe ad ammende i cui importi sarebbero da 10 a 34 volte superiori a quelli delle ammende che sarebbero state inflitte sulla base della precedente prassi non è tale da comportare una violazione del principio di non retroattività. Infatti, tenuto conto, in particolare, della giurisprudenza citata al punto 44 della presente sentenza, l’ADM avrebbe dovuto ragionevolmente prevedere che la Commissione potesse in qualsiasi momento rivedere il livello generale delle ammende nel contesto dell’attuazione di un’altra politica di concorrenza. Pertanto l’ADM era ragionevolmente in grado di prevedere un siffatto aumento – supposto che sia dimostrato – all’epoca in cui le infrazioni considerate sono state commesse.
52 Infine, quanto all’affermazione dell’ADM secondo la quale per assicurare l’efficacia dissuasiva delle ammende sarebbe indispensabile che le imprese conoscano anticipatamente il livello delle ammende cui vanno incontro qualora commettano infrazioni alle norme comunitarie della concorrenza, è sufficiente sottolineare che il carattere dissuasivo delle ammende non presuppone assolutamente che le imprese conoscano anticipatamente il livello esatto dell’ammenda cui vanno incontro per un determinato comportamento anticoncorrenziale.
53 Per quanto riguarda la violazione del principio di parità di trattamento invocata dall’ADM, si deve sottolineare che è stato già giudicato che il fatto di aver applicato il metodo enunciato negli orientamenti per il calcolo dell’importo dell’ammenda dell’ADM non può costituire un trattamento discriminatorio rispetto alle imprese che hanno commesso infrazioni alle norme comunitarie di concorrenza durante lo stesso periodo, ma che, per ragioni attinenti alla data della scoperta dell’infrazione o inerenti allo sviluppo del procedimento amministrativo che le riguardano, hanno costituito oggetto di condanne in date anteriori all’adozione e alla pubblicazione degli orientamenti (v., in tal senso, sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 41 supra, punti 69‑73; sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punti 118 e 119).
54 Il motivo che deduce la violazione del principio di parità di trattamento va pertanto respinto.
II – Sull’incidenza delle ammende già inflitte in altri paesi
A – Argomenti delle parti
55 L’ADM sostiene che la Commissione, rifiutando di dedurre dall’importo dell’ammenda fissata dalla Decisione l’importo delle ammende già inflitte all’ADM negli Stati Uniti e in Canada, ha violato il principio che vieta il cumulo di sanzioni per una stessa infrazione. Come risulterebbe dalla sentenza della Corte 14 dicembre 1972, causa 7/72, Boehringer/Commissione (Racc. pag. 1281), la Commissione sarebbe infatti tenuta ad imputare una sanzione inflitta dalle autorità di un paese terzo se i fatti addebitati nei confronti dell’impresa ricorrente dalla Commissione, da un lato, e dalle dette autorità, dall’altro, sono identici. Tale sarebbe proprio il caso nella specie, poiché, al contrario della causa che ha dato luogo alla citata sentenza 14 dicembre 1972, Boehringer/Commissione, l’intesa sanzionata dalle autorità americane e canadesi era, secondo la ricorrente, la medesima, per oggetto, ubicazione e durata, di quella sanzionata dalla Commissione, la quale si sarebbe peraltro basata sugli elementi di prova raccolti dalle autorità americane.
56 A questo proposito l’ADM contesta la valutazione contenuta nella Decisione, secondo la quale le ammende inflitte negli Stati Uniti e in Canada avrebbero preso in considerazione soltanto gli effetti anticoncorrenziali dell’intesa nel limitato ambito territoriale delle dette giurisdizioni (punto 333 della Decisione). Negli Stati Uniti, dalla sentenza emessa il 15 ottobre 1996 nei confronti dell’ADM risulterebbe, al contrario, che l’intesa condannata era mondiale e recava ostacoli al commercio «negli USA e altrove». L’ammenda inflitta sarebbe, peraltro, di importo particolarmente elevato in ragione dell’estensione geografica dell’infrazione. Per quanto riguarda il procedimento svoltosi in Canada, sarebbe stato preso specificamente in considerazione anche il fatto che si trattava di un’intesa mondiale.
57 Comunque, quand’anche si dovesse supporre che l’affermazione della Commissione fosse esatta, il fatto che altre autorità abbiano preso in considerazione soltanto gli effetti locali di un’infrazione sarebbe irrilevante ai fini dell’applicazione del principio di divieto del cumulo delle sanzioni. Infatti, secondo la sentenza citata supra, punto 55, Boehringer/Commissione, a tal fine sarebbe determinante esclusivamente l’identità dei comportamenti censurati. Questo approccio sarebbe confermato dalla prassi della Commissione stessa, la quale, in una decisione del 1983, aveva dedotto dall’importo dell’ammenda inflitta a imprese che avevano partecipato ad una intesa l’importo dell’ammenda già inflitta dalle autorità tedesche, statuendo così soltanto sugli aspetti di tale intesa esterni alla Germania [v. decisione della Commissione 17 ottobre 1983, 83/546/CEE, concernente una procedura ai sensi dell’art. [81] del trattato CEE (IV/30.064 – Cilindri colati in ghisa e in acciaio) (GU L 317, pag. 1)].
58 L’ADM ritiene che la Commissione abbia omesso di prendere in considerazione, in occasione della determinazione dell’importo dell’ammenda, il fatto che era già stata condannata in paesi terzi ad ammende e a risarcimenti di danni per un importo sufficiente a dissuaderla dal commettere qualsiasi nuova infrazione al diritto della concorrenza. L’ADM sarebbe stata, pertanto, sufficientemente sanzionata.
59 Inoltre, secondo l’ADM, la Commissione incorre in errore quando conclude che i risarcimenti dei danni da lei pagati nell’ambito di procedimenti svoltisi negli Stati Uniti e in Canada sarebbero puramente compensativi. Infatti, l’ADM sottolinea che questi risarcimenti versati a titolo di transazione hanno preso in considerazione le domande di risarcimenti di danni tripli («triple damages») reclamati dagli acquirenti di cui trattasi. Per questa ragione i detti risarcimenti avrebbero ecceduto l’importo puramente compensativo e avrebbero comportato un elemento di natura penale. Di conseguenza la Commissione sarebbe stata tenuta a prendere in considerazione tali importi a carattere penale, conformemente al principio secondo il quale nessuna sanzione può essere inflitta due volte per la medesima infrazione.
60 La Commissione conclude per il rigetto del motivo.
B – Giudizio del Tribunale
61 Si deve ricordare che il principio ne bis in idem vieta di sanzionare una stessa persona più di una volta per uno stesso comportamento illecito al fine di tutelare un medesimo interesse giuridico. L’applicazione di questo principio è soggetta a tre condizioni cumulative, cioè l’identità dei fatti, l’identità del contravventore e l’identità dell’interesse giuridico protetto (v., in tal senso, sentenza della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P, e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punto 338).
62 La giurisprudenza comunitaria ha così riconosciuto che un’impresa può validamente costituire oggetto di due procedimenti paralleli per uno stesso comportamento illecito e pertanto di una doppia sanzione, l’una da parte dell’autorità competente dello Stato membro considerato, l’altra comunitaria, nella misura in cui i detti procedimenti perseguano fini distinti e non vi sia identità tra le norme violate (sentenza della Corte 13 febbraio 1969, causa 14/68 Wilhelm e a., Racc. pag. 1, punto 11; sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑141/89, Tréfileurope/Commissione, Racc. pag. II‑791, punto 191, e 6 aprile 1995, causa T‑149/89, Sotralentz/Commissione, Racc. pag. II‑1127, punto 29).
63 Da ciò consegue che il principio ne bis in idem non può, a maggior ragione, trovare applicazione in un caso come quello di specie in cui i procedimenti promossi e le sanzioni inflitte dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità americane e canadesi, dall’altro, non perseguono, con tutta evidenza, gli stessi obiettivi. Infatti, se nel primo caso si tratta di preservare una concorrenza non falsata nel territorio dell’Unione europea o nel SEE, la protezione che nel secondo caso si intende perseguire riguarda il mercato americano o canadese (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, T‑244/01, T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 134 e la giurisprudenza ivi citata). Fa pertanto difetto la condizione dell’identità dell’interesse giuridico protetto, necessaria affinché possa essere applicato il principio ne bis in idem.
64 Pertanto, l’ADM invoca a torto nella specie il principio ne bis in idem.
65 Siffatta conclusione non viene rimessa in discussione dalla menzionata sentenza Boehringer/Commissione, punto 55 supra, invocata dall’ADM. Infatti, in questa causa, la Corte non ha dichiarato che la Commissione doveva imputare una sanzione inflitta dalle autorità di uno Stato terzo nell’ipotesi in cui i fatti addebitati nei confronti di un’impresa dalla Commissione e dalle dette autorità fossero identici, ma si è limitata ad affermare che tale questione andrebbe risolta qualora dovesse presentarsi (sentenza Boehringer/Commissione, punto 55 supra, punto 3).
66 Ad ogni modo, quand’anche il principio di equità possa, in talune particolari circostanze, costringere la Commissione a tener conto delle sanzioni inflitte dalle autorità di Stati terzi qualora queste sanzionino anche un comportamento sul territorio della Comunità, è giocoforza constatare che l’ADM non ha dimostrato che tale è il caso di specie e che le autorità americane e canadesi hanno sanzionato l’intesa in quanto riguardava i territori della Comunità o del SEE.
67 Infatti, il semplice riferimento, nella transazione conclusa con le autorità americane, al fatto che l’intesa riguardava «gli Stati Uniti e altrove» non dimostra che nel calcolare l’importo dell’ammenda le autorità americane abbiano tenuto conto delle applicazioni o degli effetti dell’intesa diversi da quelli aventi ad oggetto il territorio americano e, in particolare, nel SEE (v., in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 63 supra, punto 143).
68 Parimenti, per quanto riguarda l’importo elevato dell’ammenda in ragione dell’estensione geografica dell’infrazione, è giocoforza constatare che questa semplice affermazione non è sufficiente a dimostrare che sia stato preso in considerazione l’impatto dell’intesa sul mercato del SEE.
69 Per quanto riguarda la transazione conclusa con le autorità canadesi, l’ADM non ha fornito la minima prova del fatto che, nel calcolare l’importo dell’ammenda, le dette autorità abbiano contemplato applicazioni o effetti dell’intesa diversi da quelli che riguardavano tale paese e, in particolare, quelli constatati nel SEE. Il riferimento alla portata mondiale dell’intesa operato dalle autorità canadesi e invocato dall’ADM è stato fatto unicamente per definire l’importanza dell’intesa sul mercato canadese nel suo insieme.
70 Per quanto riguarda l’effetto dissuasivo delle ammende già inflitte e degli indennizzi, tra cui i risarcimenti di danni tripli a carattere non compensativo, il Tribunale ricorda che il potere della Commissione di infliggere ammende a imprese che, intenzionalmente o per negligenza, si rendono responsabili di una infrazione all’art. 81, n. 1, CE o all’art. 82 CE costituisce uno degli strumenti di cui la Commissione dispone per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario. Questo compito comprende indubbiamente anche il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 47 supra, punto 105).
71 Da ciò consegue che alla Commissione è lecito decidere il livello dell’importo delle ammende al fine di rafforzarne l’effetto dissuasivo allorché infrazioni di un certo tipo sono ancora relativamente frequenti, benché la loro illegittimità sia stata dimostrata sin dagli inizi della politica comunitaria della concorrenza, dati i vantaggi che determinate imprese possono trarne (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 47 supra, punto 108).
72 L’ADM non può validamente sostenere che nei suoi confronti non si rendesse necessaria alcuna dissuasione perché già condannata per i medesimi fatti da giudici di Stati terzi. Infatti, l’obiettivo di dissuasione perseguito dalla Commissione si riferisce al comportamento delle imprese in seno alla Comunità o al SEE. Di conseguenza, il carattere dissuasivo di un’ammenda inflitta all’ADM, a causa della violazione da parte sua delle regole comunitarie di concorrenza, non può essere determinato né in funzione della sola situazione particolare dell’ADM né in funzione del rispetto da parte sua delle regole di concorrenza fissate in Stati terzi al di fuori del SEE (v., in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 63 supra, punti 146 e 147).
73 Il motivo che deduce il fatto che non siano state prese in considerazione ammende inflitte in altri Stati membri, va pertanto respinto.
III – Sulla gravità dell’infrazione
A – Introduzione
74 L’ADM considera che la Commissione non abbia correttamente valutato la gravità dell’infrazione nel calcolo dell’importo dell’ammenda. I motivi invocati a questo riguardo vertono, in primo luogo, sull’assente o insufficiente considerazione del fatturato tratto dalle vendite del prodotto in esame, in secondo luogo, sull’applicazione di un coefficiente moltiplicatore all’importo di partenza e, in terzo luogo, sull’impatto concreto dell’intesa sul mercato.
75 Prima di pronunciarsi sulla fondatezza dei vari motivi invocati in questo contesto, si deve riassumere il metodo seguito dalla Commissione nel caso di specie circa la valutazione e la considerazione della gravità dell’infrazione, come risulta dalla motivazione della Decisione.
76 Dalla Decisione risulta che, nel valutare la gravità dell’infrazione, la Commissione ha innanzitutto considerato che le parti interessate erano incorse in una infrazione molto grave, tenuto conto della natura, dell’impatto concreto sul mercato dell’acido citrico e delle dimensioni del mercato geografico rilevante, cioè l’insieme del SEE (punti 204‑232 della Decisione).
77 La Commissione ha poi ritenuto che occorreva applicare alle parti interessate un trattamento differenziato in modo da «tenere conto dell’effettiva capacità economica dei colpevoli di pregiudicare sensibilmente la concorrenza e (…) da fissare l’ammenda a un livello che ne garantisca una sufficiente efficacia deterrente». In questo contesto, la Commissione ha dichiarato che avrebbe tenuto conto del peso specifico di ciascuna impresa e quindi dell’effettivo impatto del loro comportamento illecito sulla concorrenza (punti 233 e 234 della Decisione).
78 Ai fini della valutazione di tali elementi, la Commissione ha scelto di basarsi sul volume d’affari realizzato dalle parti interessate dalla vendita dell’acido citrico a livello mondiale durante l’ultimo anno dell’infrazione, cioè il 1995. La Commissione ha, in questo contesto, considerato che, poiché il mercato dell’acido citrico è un mercato globale, «queste cifre (…) danno il quadro più appropriato della capacità delle imprese partecipanti di pregiudicare sensibilmente altri operatori nel mercato comune e/o del SEE» (punto 236 della Decisione). La Commissione ha aggiunto che, a suo avviso, la validità di tale metodo era suffragata dal fatto che si trattava di un’intesa mondiale, il cui obiettivo era in particolare quello di ripartire i mercati a livello mondiale. Ha inoltre ritenuto che il volume d’affari mondiale di un partecipante all’intesa forniva anche un’indicazione del suo contributo all’efficacia dell’intesa nel suo complesso o, inversamente, dell’instabilità che l’avrebbe minata qualora tale partecipante non vi avesse preso parte (punto 236 della Decisione).
79 Su questa base, la Commissione ha deciso di ripartire le imprese in tre categorie: nella prima categoria, ha collocato la H&R affermando che «con una quota di mercato a livello mondiale del 22%, [essa] era il principale operatore sul mercato»; nella seconda categoria, ha collocato l’ADM, la JBL e la HLR affermando che le prime due detenevano «quote di mercato analoghe del [riservato]» e che l’ultima di esse deteneva una quota del 9%; infine, nella terza categoria, ha collocato la Cerestar per il motivo che questa era «di gran lunga l’operatore più piccolo» con il 2,5% delle quote di mercato nel 1995. Pertanto la Commissione ha fissato l’importo di partenza in EUR 35 milioni per la H&R, in 21 milioni per l’ADM, la JBL nonché per la HLR e in 3,5 milioni per la Cerestar (punti 237‑239 della Decisione).
80 Allo scopo infine di assicurare all’ammenda un effetto sufficientemente dissuasivo, la Commissione ha proceduto ad un adeguamento di questo importo di partenza in funzione della dimensione e delle risorse globali delle parti interessate. Pertanto la Commissione ha applicato un coefficiente moltiplicatore di 2 (ovvero una maggiorazione del 100%) all’importo di partenza fissato per l’ADM, che è stato quindi elevato a EUR 42 milioni, e un coefficiente moltiplicatore di 2,5 (ovvero una maggiorazione del 150%) all’importo di partenza fissato per la HLR, che ha così raggiunto EUR 87,5 milioni (punti 240‑246 della Decisione).
B – Sul fatto che non sia stato preso in considerazione il fatturato ricavato dalla vendita del prodotto in esame
1. Argomenti delle parti
81 L’ADM rimprovera alla Commissione di non aver tenuto conto, o di averne tenuto conto in misura insufficiente, del fatturato da lei realizzato grazie alla vendita del prodotto di cui trattasi ai fini del calcolo dell’importo di base dell’ammenda.
82 Da un lato, l’ADM sostiene che risulta dalla giurisprudenza del Tribunale che il fatturato realizzato grazie al prodotto di cui trattasi è un elemento importante nel calcolo delle ammende (sentenze del Tribunale 14 luglio 1994, causa T‑77/92, Parker Pen/Commissione, Racc. pag. II‑549, punti 92‑95; 8 ottobre 1996, cause riunite da T‑24/93 a T‑26/93 e T‑28/93, Compagnie maritime belge transports e a./Commissione, Racc. pag. II‑1201, punto 233; 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127, e 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 176).
83 L’ADM osserva che la presa in considerazione del fatturato realizzato grazie al prodotto in esame nel SEE è una base appropriata per valutare le lesioni arrecate alla concorrenza sul mercato del prodotto rilevante in seno alla Comunità nonché l’importanza relativa dei partecipanti all’intesa rispetto ai prodotti considerati. Tale conclusione sarebbe corroborata dalla giurisprudenza del Tribunale (sentenza Europa Carton/Commissione, punto 47 supra, punto 126, e sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑309/94, KNP BT/Commissione, Racc. pag. II‑1007, punto 108, confermata con sentenza, emessa a seguito di impugnazione, della Corte 16 novembre 2000, causa C‑248/98 P, KNP BT/Commissione, Racc. pag. I‑9641).
84 Inoltre secondo l’ADM, la sentenza LR AF 1998/Commissione, sopra citata, punto 41, conferma che la considerazione sproporzionata della dimensione globale di un’impresa ai fini della fissazione dell’ammenda è illegittima.
85 Parimenti l’ADM deduce il fatto che, nella prassi decisionale degli ultimi anni relativa a casi analoghi a quello di specie [decisione della Commissione 13 luglio 1994, 94/601/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del trattato CE (IV/C/33.833 – Cartoncino) (GU L 243, pag. 1); decisione della Commissione 30 novembre 1994, 94/815/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del trattato CE (IV/33.126 e 33.322 – Cemento) (GU L 343, pag. 1); decisione della Commissione 23 aprile 1986, 86/398/CEE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del trattato CEE (IV/31.149 – Polipropilene) (GU L 230, pag. 1); decisione della Commissione 2 agosto 1989, 89/515/CEE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del trattato CEE (IV/31.553 – Rete metallica elettrosaldata) (GU L 260, pag. 1), e decisione della Commissione, 16 febbraio 1994, 94/215/CECA, relativa ad una procedura ai sensi dell’articolo 65 del trattato CECA concernente gli accordi e le pratiche concordate posti in essere dai produttori europei di travi (GU L 116, pag. 1)], la Commissione stessa si è basata sul volume delle vendite realizzate dal prodotto in esame nel mercato comunitario come essa stessa del resto ha ammesso nella Decisione (punto 253 della Decisione). Orbene, la ricorrente rileva che, basandosi in dette decisioni su tale criterio di calcolo, la Commissione ha fissato ammende il cui ammontare si collocava tra il 2,5 e il 9% del fatturato realizzato dalle parti interessate grazie al prodotto in esame. L’ADM sottolinea che, se la Commissione avesse egualmente seguito tale criterio di calcolo nel caso di specie, sarebbe stata indotta a infliggerle un’ammenda il cui importo si collocherebbe tra EUR 1,15 e 4,14 milioni. Rileva per contro che la Commissione, omettendo di attenersi a tale criterio di calcolo, le ha inflitto nella specie ammende il cui importo è da 10 a 34 volte superiore a quello delle ammende che le avrebbe inflitto su tale base.
86 L’ADM considera che la Commissione ancora a torto sottolinea di aver tenuto conto del fatturato delle parti interessate classificandole nelle tre categorie corrispondenti all’importanza delle loro quote nel mercato mondiale dell’acido citrico (punto 236 della Decisione). Secondo l’ADM, la Commissione avrebbe dovuto tener conto anche del volume limitato delle vendite dell’acido citrico nel SEE nel 1995.
87 Infatti, in primo luogo, come avrebbe ammesso la stessa Commissione, questa sarebbe tenuta a stabilire la gravità dell’infrazione e pertanto il livello dell’ammenda in funzione degli effetti sul SEE. Orbene, a questo proposito l’argomento invocato dalla Commissione al punto 236 della Decisione secondo il quale occorreva applicare in questo contesto il fatturato mondiale, dato che l’oggetto dell’intesa era stato quello di «eliminare la concorrenza dal mercato del SEE», sarebbe infondato. La Decisione non dichiarerebbe che le parti avevano convenuto di eliminare degli approvvigionamenti dal mercato del SEE. L’ADM sottolinea che l’intesa aveva fissato quote su base mondiale (punti 97‑101 della Decisione) e che non vi erano quote separate per l’Europa. In un’intesa che incide sui consumatori del SEE, il danno causato a questi sarebbe il medesimo, sia che l’intesa si estenda o no al di fuori del SEE. A questo proposito non dovrebbe esservi alcuna differenza nella valutazione della gravità dell’infrazione e nella determinazione dell’ammenda inflitta.
88 In secondo luogo, la prassi decisionale della Commissione sarebbe incoerente. Infatti, nei casi denominati «Tubi d’acciaio senza saldatura» [decisione della Commissione 8 dicembre 1999, 2003/382/CE, relativa ad un procedimento d’applicazione dell’articolo 81 CE (Caso IV/E‑1/35.860 B – Tubi d’acciaio senza saldatura) (GU 2003, L 140, pag. 1)] e «Glutammato di sodio» (decisione 2 ottobre 2001, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, COMP/E-1/36.756 – Glutammato di sodio), la Commissione avrebbe inteso prendere unicamente in considerazione le sole vendite effettuate nel SEE.
89 In terzo luogo, gli effetti perversi della considerazione del fatturato mondiale sarebbero ampliamente illustrati nella specie, poiché le vendite dell’ADM in Canada e negli Stati Uniti, che ammontano pressoché al 50% delle sue vendite di acido citrico sul mercato mondiale, sarebbero già state considerate dalle autorità dei detti paesi in occasione dell’imposizione delle sanzioni all’ADM. Prendendo in considerazione il fatturato mondiale, la Commissione avrebbe inflitto un’ammenda sproporzionata per quanto riguarda le vendite dell’ADM per le quali era già stata sanzionata.
90 In quarto luogo, l’ADM ritiene che, quand’anche si dovesse supporre che il fatturato mondiale realizzato in ragione delle vendite dell’acido citrico potesse costituire un fattore pertinente nella fissazione dell’ammenda, la Commissione non lo ha preso in considerazione in modo appropriato. Infatti, l’importo dell’ammenda inflitta all’ADM (prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione) ammonterebbe al 66% del fatturato mondiale realizzato dalla vendita dell’acido citrico. Questa sanzione eccederebbe di gran lunga ogni danno arrecato ai consumatori o alla concorrenza dalla partecipazione dell’ADM all’intesa, che corrisponderebbe di fatto solo ad una frazione del fatturato realizzato sul mercato mondiale. Più esattamente, la Commissione si sarebbe basata esclusivamente sul totale del fatturato e delle risorse dell’impresa. Orbene, l’ADM, ritiene che il fatto di basarsi in modo sproporzionato sul fatturato totale porta all’imposizione di un’ammenda illegittima.
91 Di conseguenza, l’ADM ritiene che la Commissione ha non soltanto violato i principi sviluppati dalla giurisprudenza, ma ha altresì violato il principio di proporzionalità.
92 D’altro lato, l’ADM sostiene che negli orientamenti viene indicato che è «necessario valutare in che misura gli autori dell’infrazione abbiano l’effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente agli altri operatori, in particolare ai consumatori» e che essi prevedono inoltre, in caso di intese, un’eventuale ponderazione in modo da riflettere «l’impatto reale (…) sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa».
93 Orbene, secondo l’ADM, l’impatto economico, sia esso sulla concorrenza o sugli altri operatori, può essere valutato soltanto con riferimento all’importo delle vendite del prodotto in esame. Soltanto prendendo in considerazione tali vendite sarebbe possibile valutare la portata del danno potenziale per i consumatori o la concorrenza in termini di benefici anticoncorrenziali o con riferimento ad altri profitti illeciti.
94 Di conseguenza considera che, omettendo di prendere in considerazione il fatturato tratto dalla vendita del prodotto in esame, la Commissione non ha applicato correttamente i propri orientamenti.
95 Infine, l’ADM ritiene che, omettendo di esporre in modo specifico i motivi accolti a sostegno della sua Decisione di non prendere in considerazione le vendite che l’ADM aveva effettuato sul mercato del prodotto in esame nel SEE, la Commissione abbia violato l’obbligo di motivazione su di essa gravante.
96 La Commissione conclude per il rigetto dei motivi invocati.
2. Giudizio del Tribunale
97 L’ADM deduce la violazione, da un lato, del principio di proporzionalità e degli orientamenti e, dall’altro, dell’obbligo di motivazione.
a) Sulla violazione del principio di proporzionalità
98 Come riconosciuto da costante giurisprudenza, la gravità delle infrazioni deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie e il suo contesto, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (ordinanza della Corte 25 marzo 1996, causa C‑137/95 P, SPO e a./Commissione, Racc. pag. I‑1611, punto 54; sentenza della Corte 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punto 33; sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punto 443).
99 Parimenti, è costante giurisprudenza che tra gli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione possono, a seconda dei casi, figurare il volume e il valore delle merci oggetto dell’infrazione nonché la dimensione e la potenza economica dell’impresa e quindi l’influenza che questa può esercitare sul mercato rilevante. Da un lato, ne consegue che è lecito, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, tener conto sia del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, per quanto approssimativa e imperfetta, della sua dimensione e potenza economica, sia della quota di mercato delle imprese interessate nel mercato rilevante che può quindi fornire un’indicazione della portata dell’infrazione. Dall’altro, ne consegue che non si deve attribuire né all’una né all’altra di tali cifre un peso eccessivo rispetto agli altri elementi di valutazione, con la conseguenza che la determinazione dell’importo adeguato di un’ammenda non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo (v., in tal senso, sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 47 supra, punti 120 e 121; sentenze Parker Pen/Commissione, punto 82 supra, punto 94; SCA Holding/Commissione, punto 82 supra, punto 176; Archer Daniels Midland and Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 41 supra, punto 188, e HFB e a./Commissione, punto 98 supra, punto 444).
100 Da ciò consegue che se è vero che non si può negare, come sottolineato dall’ADM, che il fatturato del prodotto in esame può costituire una base appropriata per valutare i danni alla concorrenza sul mercato del detto prodotto in seno alla Comunità nonché l’importanza relativa dei partecipanti all’intesa rispetto ai prodotti considerati, ciò non toglie che tale elemento non costituisce, di gran lunga, il solo criterio sulla base del quale la Commissione deve valutare la gravità dell’infrazione.
101 Di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dall’ADM, se, come sembra essere da questa proposto, la valutazione diretta ad accertare la proporzionalità dell’ammenda si dovesse limitare al rapporto tra l’ammenda inflitta e il fatturato del prodotto in esame, ciò equivarrebbe ad attribuire a tale elemento un peso eccessivo. Il carattere proporzionato di un siffatto livello di ammenda va esaminato alla luce dell’insieme degli elementi di cui la Commissione deve tener conto nel valutare la gravità dell’infrazione, cioè la natura stessa dell’infrazione, il suo impatto reale sul mercato rilevante e la dimensione geografica del mercato.
102 La fondatezza della Decisione rispetto a taluni di detti criteri sarà esaminata sulla base dei quattro argomenti dell’ADM intesi, in sostanza, a dimostrare che la Commissione avrebbe dovuto, nella specie, applicare in questo contesto il fatturato delle imprese interessate a livello del SEE e non a livello mondiale.
103 Con il primo argomento, l’ADM critica in sostanza il fatto che, al punto 236 della Decisione, la Commissione abbia considerato che occorreva prendere in considerazione il fatturato mondiale per classificare le parti interessate in tre categorie, dato che l’oggetto dell’intesa era stato quello di «eliminare la concorrenza dal mercato del SEE». Orbene, secondo l’ADM, nella Decisione non verrebbe asserito che le parti avessero convenuto di eliminare la concorrenza dal mercato del SEE.
104 Il Tribunale ritiene che si deve constatare che l’ADM cita tale parte della Decisione al di fuori del suo contesto. Dalla lettura d’insieme del punto 236 della Decisione risulta chiaramente che, a parere della Commissione, nel contesto di una intesa a livello mondiale come quella di specie, soltanto il fatturato mondiale consente di valutare la capacità effettiva delle parti interessate di provocare un pregiudizio al mercato rilevante. Di conseguenza, questo primo argomento è infondato.
105 Con il secondo argomento, l’ADM cerca di dimostrare che la Commissione stessa, nella sua recente prassi amministrativa, ha fatto ricorso al fatturato realizzato nel SEE.
106 Il Tribunale rileva tuttavia che le due decisioni invocate dalla ricorrente a sostegno di tale argomento non sono nella specie pertinenti. Infatti, nel caso denominato «Tubi d’acciaio senza saldatura» (v. punto 88 supra), la Commissione non ha proceduto alla classificazione delle parti interessate (v. punti 159‑162 della decisione nel detto caso). Per quanto riguarda il caso denominato «Glutammato di sodio» (v. punto 88 supra), la Commissione, come nella presente specie, ha fatto ricorso al fatturato mondiale per procedere alla classificazione delle imprese. L’argomento dell’ADM fa pertanto difetto nel merito.
107 Con il terzo argomento, l’ADM deduce in sostanza il fatto che le sue vendite di acido citrico in Canada e negli Stati Uniti, che ammontano pressoché al 50% delle sue vendite di acido citrico sul mercato mondiale, sono già state prese in considerazione dalle autorità di tali paesi in occasione dell’imposizione di sanzioni all’ADM. Tale censura, nella misura in cui con siffatto argomento l’ADM reitera nella sostanza la censura che deduce la violazione del principio del divieto di cumulo delle sanzioni, è già stata dichiarata infondata e respinta dal Tribunale (v. punti 61‑73 supra). Nella misura in cui con il medesimo argomento l’ADM considera che non compete alla Commissione fissare l’ammenda sulla base di comportamenti tenuti sui mercati esterni allo spazio comunitario, tale censura fa difetto nel merito. La Commissione non ha infatti utilizzato il fatturato mondiale come base di calcolo dell’ammenda, ma soltanto come strumento per determinare la capacità economica effettiva di ciascuna impresa di arrecare pregiudizio alla concorrenza al fine di fissare l’ammenda ad un livello che garantisse sufficiente efficacia deterrente per ciascuna impresa, il che è giustificato, dato il carattere mondiale dell’intesa.
108 Con il quarto argomento, l’ADM cerca in sostanza di dimostrare che la considerazione del fatturato realizzato grazie alla vendita dell’acido citrico a livello mondiale approda ad un’ammenda sproporzionata rispetto al pregiudizio arrecato ai consumatori e alla concorrenza.
109 Orbene, si deve ricordare che, nella specie, si tratta di una intesa che riunisce imprese operanti a livello mondiale, le quali detengono il 60% delle quote di mercato del prodotto in esame a livello mondiale, e che riguarda, in particolare, oltre la fissazione dei prezzi, la ripartizione del mercato mediante attribuzione di quote di vendita. In un siffatto caso, nell’ambito del trattamento differenziato delle parti interessate, la Commissione può validamente, come operato nella specie, avvalersi dei fatturati realizzati dai rispettivi partecipanti all’intesa a livello mondiale, nella specie dalla vendita dell’acido citrico. Infatti, l’obiettivo di tale trattamento differenziato è di valutare la capacità economica effettiva degli autori di una infrazione di cagionare con il loro comportamento illecito un danno alla concorrenza e di tener quindi conto del loro peso specifico in seno all’intesa. La Commissione non ha di conseguenza ecceduto l’ampio margine di valutazione discrezionale riconosciutole in materia ritenendo che la rispettiva quota di mercato mondiale dei partecipanti all’intesa fosse un valore indicativo appropriato.
110 I motivi che deducono la violazione del principio di proporzionalità vanno pertanto respinti.
b) Sulla violazione degli orientamenti
111 Per quanto riguarda la violazione degli orientamenti, il Tribunale rileva che questi ultimi non prevedono che l’importo delle ammende venga calcolato in funzione del fatturato globale o del fatturato realizzato dalle imprese sul mercato rilevante. Tuttavia non ostano neppure a che siffatti fatturati siano presi in considerazione nella determinazione dell’importo dell’ammenda affinché siano rispettati i principi generali del diritto comunitario e qualora le circostanze lo richiedano (v., in tal senso, sentenze LR AF 1998/Commissione, punto 41 supra, punto 283, confermata a seguito di impugnazione con sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 41 supra, punto 258, e Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 41 supra, punto 187).
112 Di conseguenza, gli orientamenti non prevedono che il fatturato delle imprese interessate – sia esso il fatturato globale o quello ottenuto dalla vendita del prodotto in esame – costituisca il punto di partenza del calcolo delle ammende e ancor meno che esso costituisca il solo criterio pertinente nella determinazione della gravità dell’infrazione.
113 Per contro, la Commissione ne può tener conto come elemento pertinente assieme ad altri. Tale è in particolare il caso allorché, conformemente ai commi 3‑6 del punto 1 A degli orientamenti, la Commissione adegua l’importo in modo da garantire un livello sufficientemente dissuasivo delle ammende. In questo contesto, la Commissione tiene conto della capacità effettiva degli autori dell’infrazione di cagionare un danno rilevante agli altri operatori e della necessità di assicurare all’ammenda un carattere sufficientemente dissuasivo (punto 1 A, quarto comma) e procede ad una ponderazione degli importi determinati in funzione del peso specifico, e pertanto dell’impatto effettivo del comportamento illecito di ciascuna impresa sulla concorrenza, specie quando esiste una considerevole disparità nelle dimensioni delle imprese autrici di una infrazione della medesima natura (punto 1 A, sesto comma).
114 Nella specie, la Commissione ha sostenuto nelle sue memorie di essersi basata sul fatturato realizzato nel mercato del prodotto in esame per valutare l’importanza relativa di ciascuna impresa. Orbene, come risulta dal punto 236 della Decisione, la Commissione ha senz’altro tenuto conto del fatturato mondiale realizzato per il prodotto in esame al fine di tener conto dell’importanza relativa delle imprese nel mercato rilevante. Infatti, come è già stato constatato ai punti 77 e 78 supra, la Commissione, per applicare un trattamento differenziato affinché si tenesse conto della capacità economica effettiva degli autori dell’infrazione di provocare un danno considerevole alla concorrenza e fosse fissata un’ammenda a un livello tale da assicurare sufficiente efficacia deterrente, ha scelto di basarsi sul fatturato realizzato dalle parti interessate dalla vendita di acido citrico a livello mondiale durante l’ultimo anno dell’infrazione, cioè il 1995.
115 Nella specie si tratta di una intesa mondiale che riunisce imprese che detengono una quota molto grande del mercato del prodotto in esame a livello mondiale. Inoltre, l’intesa verte sulla fissazione dei prezzi e sulla ripartizione del mercato per l’attribuzione di quote di vendita. In un siffatto caso, nel quadro del trattamento differenziato tra le imprese interessate, la Commissione può validamente avvalersi del fatturato realizzato dai partecipanti a tale intesa con la vendita di acido citrico a livello mondiale. Infatti, poiché l’obiettivo di tale trattamento differenziato è quello di valutare la capacità economica effettiva degli autori di una infrazione di provocare un danno alla concorrenza mediante il comportamento illecito e quindi di tener conto del loro peso specifico in seno all’intesa, la Commissione non ha ecceduto il suo ampio margine di valutazione discrezionale ritenendo che la quota di mercato mondiale dei rispettivi partecipanti all’intesa costituisse un valore indicativo appropriato.
116 Il motivo che deduce la violazione degli orientamenti va, di conseguenza, respinto.
c) Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
117 Secondo la costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall’art. 253 CE deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui essa promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessità della motivazione deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo direttamente e individualmente interessate possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’art. 253 CE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenze della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63, e 30 settembre 2003, causa C‑301/96, Germania/Commissione, Racc. pag. I‑9919, punto 87).
118 Per quanto riguarda una Decisione che infligge ammende a più imprese per una infrazione alle regole comunitarie della concorrenza, la portata dell’obbligo di motivazione deve essere in particolare determinata alla luce del fatto che la gravità delle infrazioni deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie e il suo contesto, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (ordinanza SPO e a./Commissione, punto 98 supra, punto 54).
119 Nella specie, la Commissione ha calcolato l’importo dell’ammenda da imporre a un’impresa sulla base del suo fatturato relativo al prodotto in esame, ma non ha preso in considerazione il fatturato relativo a tale prodotto nel SEE, bensì a livello mondiale (v. punto 114 supra). Contrariamente a quanto affermato dall’ADM, la Commissione non era tenuta a prendere in considerazione il fatturato relativo al prodotto in esame nel SEE (v. punto 111 supra). Di conseguenza, non può esserle rimproverato di non aver indicato i motivi per i quali non si è avvalsa di tale fattore nel calcolo dell’importo dell’ammenda da infliggerle.
120 Anche il motivo che deduce la violazione dell’obbligo di motivazione va, di conseguenza, respinto.
C – Sull’applicazione di un coefficiente moltiplicatore all’importo di partenza
1. Argomenti delle parti
121 L’ADM considera che l’applicazione di un coefficiente moltiplicatore di 2 all’importo di partenza (punto 246 della Decisione) costituisca una misura manifestamente sproporzionata, che sarebbe peraltro fondata su un ragionamento errato e violerebbe il principio di parità di trattamento.
122 In primo luogo, l’ADM ricorda che, nell’ambito dei procedimenti avviati negli Stati Uniti e in Canada per violazione delle regole della concorrenza, ha già pagato ammende [30 milioni di dollari USA (USD) agli Stati Uniti e 2 milioni di dollari canadesi (CAD) al Canada], indennizzato i consumatori (83 milioni di USD), versato quasi 34 milioni di USD per porre termine ai procedimenti intentati nei suoi confronti dagli azionisti, già sentito condannare un suo dipendente ad una pena detentiva negli Stati Uniti e adottato, su scala mondiale, una politica di conformità alle regole di concorrenza. Tutte queste sanzioni e provvedimenti renderebbero inutile e sproporzionata l’imposizione di una nuova sanzione a carattere dissuasivo adottata dalla Commissione.
123 In secondo luogo, l’ADM sostiene che, tenuto conto del fatto che le imprese sono entità economiche razionali, perché l’ammenda abbia effettivamente carattere dissuasivo, è necessario unicamente che sia fissata a un livello tale che il suo importo previsto ecceda il beneficio derivante dall’infrazione. Essa ritiene che, se le imprese si rendono conto del fatto che la perdita connessa con la sanzione annulla il beneficio dell’intesa, l’ammenda avrebbe già effetto dissuasivo. Questo approccio sarebbe stato confermato dalla Corte nella sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 47 supra (punto 108). Esso corrisponderebbe altresì agli orientamenti, i quali prescrivono (al punto I A, quarto comma) di valutare l’effetto dissuasivo con riferimento alla capacità dei partecipanti all’intesa di cui trattasi di arrecare pregiudizio ai consumatori e, di conseguenza, esigono che ogni beneficio tratto da un’intesa illegale venga preso in considerazione all’atto di determinare l’effetto dissuasivo appropriato. Questo approccio, infine, sarebbe una nozione comune ad altre normative comunitarie.
124 L’ADM non contesta che il fatturato globale possa essere preso in considerazione per il calcolo dell’ammenda. Tuttavia, il fatto di conferire ad esso una importanza smisurata porterebbe a un’ammenda sproporzionata. La Commissione si limiterebbe a questo proposito a difendere la maggiorazione applicata mediante confronto riferito al fatturato dell’ADM. Orbene, nessuna spiegazione razionale potrebbe giustificare che il calcolo della maggiorazione a effetto dissuasivo sia stato incentrato sul suo fatturato globale. L’approccio scelto dalla Commissione non spiegherebbe in alcun modo perché occorrerebbe ridurre a nulla gli utili realizzati dall’ADM grazie alla vendita di prodotti che non hanno alcun rapporto con l’infrazione di cui trattasi, nell’obiettivo di dissuadere le parti interessate dal continuare a svolgere le loro attività in seno a un’intesa riguardante l’acido citrico.
125 In terzo luogo, l’ADM ribadisce l’affermazione secondo la quale una sanzione dissuasiva efficace dovrebbe ridurre a zero l’utile previsto dall’intesa (v. punto 123 supra). Tuttavia – sostiene l’ADM – nella specie era la JBL ad aver realizzato le vendite annue più elevate nel SEE (EUR 77 milioni) e tratto il profitto più elevato grazie all’intesa. Orbene – rileva l’ADM – alla JBL non è stata imposta una maggiorazione dissuasiva in tale fase del calcolo delle ammende. Per contro – sostiene l’ADM – con vendite annue nel SEE pari a EUR 46 milioni, le è stato raddoppiato l’importo di base dell’ammenda inflittale con la maggiorazione di EUR 21 milioni applicata a titolo di dissuasione. L’ADM deduce da ciò che la Commissione ha violato il principio di parità di trattamento.
126 In quarto luogo, l’ADM ritiene che la Commissione non possa validamente sostenere nel controricorso che, oltre all’intesa sul mercato dell’acido citrico, l’ADM aveva contemporaneamente partecipato ad altre due intese. Infatti, questo elemento non sarebbe ripreso nella Decisione. Del resto, in ognuna delle decisioni relative a tali intese, la Commissione avrebbe applicato un coefficiente moltiplicatore per assicurare all’ammenda un effetto dissuasivo.
127 In quinto luogo, l’ADM ritiene che la Decisione sia insufficientemente motivata su questo punto. L’ADM sostiene infatti che la Commissione ha omesso di precisare su quale base una maggiorazione di tale ampiezza poteva essere ritenuta necessaria per ottenere un effetto dissuasivo. Essa si sarebbe limitata a dichiarare che società di dimensioni maggiori dovevano essere colpite da ammende più elevate, ma non avrebbe indicato le ragioni per le quali un raddoppio dell’ammenda era, nella specie, considerato adeguato per l’ADM, né se erano stati presi in considerazione fattori come sanzioni già inflitte che esercitano un effetto deterrente sulla ricerca dei profitti da trarre dall’intesa. Orbene, secondo l’ADM, la Commissione era, nella specie, tenuta ad esporre in modo chiaro i motivi che giustificano l’adozione della misura di cui trattasi. Infatti – sostiene l’ADM – non esistono casi pubblicati nei quali la Commissione abbia aggiunto una maggiorazione «sufficientemente dissuasiva» come misura supplementare nel procedimento del calcolo delle ammende. Del resto, questa maggiorazione costituirebbe una parte importante dell’ammenda infine inflitta all’ADM.
128 La Commissione conclude per il rigetto dei motivi invocati.
2. Giudizio del Tribunale
a) Sulla violazione del principio di proporzionalità
129 Là dove l’ADM sostiene, in sostanza, che, tenuto conto del fatto che le imprese sono entità economiche razionali e che, affinché l’ammenda abbia effettivamente carattere dissuasivo, basta che sia fissata ad un livello tale che l’importo previsto sia superiore al beneficio tratto dall’infrazione, va ricordato che la dissuasione è una delle principali considerazioni che deve guidare la Commissione in occasione della determinazione dell’ammontare delle ammende (sentenze della Corte 15 luglio 1970, causa 41/69, Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punto 173, e 14 luglio 1972, causa 49/69 BASF/Commissione, Racc. pag. 713, punto 38).
130 Orbene, se l’ammenda dovesse essere fissata a un livello che si limiti ad annullare il beneficio dell’intesa, non avrebbe effetto dissuasivo. Si può infatti ragionevolmente presumere che talune imprese tengano razionalmente conto, nell’ambito del loro calcolo finanziario e della loro gestione, non solo del livello delle ammende che rischiano di vedersi infliggere in caso di infrazione, ma anche del livello di rischio che l’intesa venga scoperta. Inoltre, se si riducesse la funzione dell’ammenda al mero annullamento del profitto o del beneficio previsto, non si terrebbe conto a sufficienza dell’illiceità del comportamento di cui trattasi alla luce dell’art. 81, n. 1, CE. Infatti, riducendo l’ammenda ad una semplice compensazione del pregiudizio verificatosi, verrebbe trascurato, oltre all’effetto dissuasivo, che può riguardare unicamente comportamenti futuri, anche il carattere repressivo di una siffatta misura rispetto all’infrazione concreta effettivamente commessa.
131 Parimenti, nel caso di un’impresa che, come l’ADM, è presente su un gran numero di mercati e dispone di una capacità finanziaria particolarmente importante, il fatto di prendere in considerazione il fatturato realizzato sul mercato rilevante può non essere sufficiente ad assicurare un effetto dissuasivo dell’ammenda. Infatti, più un’impresa è grande e dispone di risorse globali che le conferiscono la capacità di agire in modo indipendente sul mercato, più deve essere cosciente dell’importanza del suo ruolo circa il buon funzionamento della concorrenza sul mercato. Pertanto, le circostanze di fatto relative alla potenza economica di un’impresa resasi colpevole di un’infrazione debbono essere prese in considerazione in occasione dell’esame della gravità dell’infrazione. Di conseguenza, il fatto che sia stato preso in considerazione il fatturato globale dell’ADM per calcolare l’importo dell’ammenda non approda nella specie ad un’ammenda sproporzionata.
132 Il motivo che deduce la violazione del principio di proporzionalità va, di conseguenza, respinto.
b) Sulla violazione del principio di parità di trattamento
133 Si deve ricordare che, in forza del principio di parità di trattamento, la Commissione non può trattare situazioni analoghe in modo differente o situazioni differenti in modo identico a meno che un siffatto trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenze della Corte 13 dicembre 1984, causa 106/83, Sermide, Racc. pag. 4209, punto 28, e del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 309).
134 L’ADM sostiene, in sostanza, che, nonostante un fatturato delle vendite di acido citrico più elevato (EUR 77 milioni) di quello da lei stessa realizzato (EUR 46 milioni), la Commissione non ha imposto alla JBL una maggiorazione dell’ammenda come quella a lei imposta.
135 A questo proposito, si deve sottolineare che l’applicazione del coefficiente moltiplicatore ha l’obiettivo di assicurare che l’ammenda presenti un effetto dissuasivo anche per le imprese di dimensioni molto grandi. Orbene, il fatturato realizzato nel 2000 dalla JBL ammontava appena a EUR 314 milioni, mentre per l’ADM ammontava a EUR 13 936 milioni. Del resto, si deve altresì tener conto del fatto che imprese molto grandi, come l’ADM, hanno una responsabilità maggiore per quanto riguarda il mantenimento della libera concorrenza sui mercati sui quali sono presenti e dispongono, in linea generale, di infrastrutture più importanti in termini di consulenza‑giuridica economica che consente loro di valutare l’illiceità del loro comportamento riguardo al diritto comunitario della concorrenza.
136 Anche il motivo che deduce la violazione del principio di parità di trattamento va, di conseguenza, respinto.
c) Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
137 Là dove l’ADM sostiene, in sostanza, che la Commissione non ha indicato le ragioni per le quali un raddoppio dell’ammenda era considerato adeguato, né se si fosse tenuto conto di fattori come le sanzioni già inflitte che esercitano un effetto deterrente sulla ricerca di profitto da ricavare dall’intesa, occorre fare innanzitutto rinvio alla giurisprudenza sopra citata ai punti 117 e 118. Si deve poi ancora ricordare che la Commissione ha motivato l’applicazione di un coefficiente moltiplicatore, in particolare, all’ammenda calcolata per l’ADM con la necessità di assicurare all’ammenda un effetto sufficientemente dissuasivo. La Commissione a questo riguardo ha preso a riferimento il fatturato mondiale delle parti interessate (punti 50 e 241 della Decisione). Infine, al punto 246 della Decisione, ha affermato che considerava che l’applicazione del coefficiente moltiplicatore 2 era appropriato per assicurare all’ammenda da infliggere all’ADM carattere dissuasivo.
138 Per quanto riguarda, in particolare, l’importanza del coefficiente moltiplicatore applicato all’ADM, la Commissione poteva limitarsi ad invocare le dimensioni di tale impresa, quale approssimativamente risultava dal fatturato globale da lei realizzato, e a sottolineare la necessità di assicurare all’ammenda carattere dissuasivo. Non era tenuta, in virtù dell’obbligo di motivazione, a indicare le cifre relative alle modalità di calcolo sottostante tale scelta (v., in tal senso, sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑291/98 P, Sarrió/Commissione, Racc. pag. I‑9991, punto 80).
139 La Commissione ha pertanto sufficientemente motivato la Decisione su questo punto e anche il motivo che deduce la violazione dell’obbligo di motivazione va dunque respinto.
D – Sull’esistenza di errori di valutazione relativi all’impatto concreto dell’intesa sul mercato
1. Introduzione
140 Si deve innanzitutto ricordare che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie e il suo contesto e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (ordinanza SPO e a./Commissione, punto 98 supra, punto 54; sentenze Ferriere Nord/Commissione, punto 98 supra, punto 33, e HFB e a./Commissione, punto 98 supra, punto 443). In questo contesto, l’impatto concreto dell’intesa sul mercato rilevante può essere preso in considerazione come uno dei criteri pertinenti.
141 Negli orientamenti (punto 1 A, primo comma), la Commissione ha indicato che, per valutare la gravità di un’infrazione, essa prende in considerazione, oltre alla natura specifica di tale infrazione e all’estensione del mercato geografico interessato, anche «l’impatto concreto [dell’infrazione] sul mercato, quando sia misurabile».
142 Per quanto riguarda il caso di specie, dai punti 210‑230 della Decisione risulta che la Commissione ha effettivamente fissato l’importo dell’ammenda, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, tenendo conto di questi tre criteri. In particolare, in questo contesto, ha considerato che l’intesa ha avuto un «impatto effettivo» sul mercato dell’acido citrico (punto 230 della Decisione).
143 Orbene, secondo l’ADM, in questo contesto, la Commissione è incorsa in più errori di valutazione nell’esaminare l’impatto effettivo dell’intesa sul mercato dell’acido citrico. Secondo l’ADM, tali errori incidono sul calcolo dell’importo delle ammende.
2. Sull’errato approccio che la Commissione avrebbe scelto per dimostrare che l’intesa aveva avuto un impatto effettivo sul mercato
a) Argomenti delle parti
144 L’ADM sostiene, in sostanza, che la Commissione ha scelto un approccio errato per dimostrare che l’infrazione aveva avuto un impatto effettivo sul mercato.
145 L’ADM rimprovera alla Commissione di non aver accertato l’impatto concreto dell’intesa sul mercato dell’acido citrico. Essa rileva che, al punto 211 della Decisione, la Commissione stessa ha dichiarato che il divario tra i prezzi effettivamente praticati e quelli che sarebbero stati applicati in assenza di intesa non poteva essere misurato in modo affidabile. In una situazione siffatta, invece di presentare, quanto meno, una teoria sostenibile sul piano economico di ciò che si sarebbe verificato se l’intesa non fosse esistita, la Commissione si sarebbe limitata a invocare supposizioni, cioè che l’attuazione degli accordi dell’intesa avrebbe dovuto produrre effetti sul mercato rilevante.
146 L’ADM ritiene che la Commissione non abbia proceduto ad un’analisi economica appropriata dei dati forniti, nonostante che l’ADM nella fase amministrativa del procedimento le abbia sottoposto una relazione di esperti datata 30 giugno 2000, menzionata, tra l’altro, ai punti 222 e 223 della Decisione e dalla stessa richiamata nella risposta alla comunicazione degli addebiti, in cui veniva dimostrato che l’intesa non aveva avuto effetti sul mercato rilevante (in prosieguo: la «relazione degli esperti»). L’ADM rileva che dalla relazione degli esperti risultava quanto segue:
«Di conseguenza, le restrizioni che ostacolavano le capacità e la domanda eccedentaria, seguite da forniture sempre più concorrenziali provenienti da importazioni cinesi di acido citrico unitamente a importanti aumenti di capacità cui hanno dato luogo vari produttori, forniscono una spiegazione convincente dell’andamento dei prezzi dal 1991 al 1995 (...). Il fatto che durante il periodo di infrazione i prezzi non abbiano raggiunto i livelli della metà degli anni ottanta, nonostante una domanda eccedentaria, unitamente alla circostanza che i produttori che partecipavano all’intesa non erano in grado di controllare le capacità o l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato, implica che si deve respingere l’ipotesi secondo la quale i produttori controllavano efficacemente i prezzi dell’acido citrico durante tale periodo».
147 L’ADM rileva che, al punto 226 della Decisione, la Commissione ha riconosciuto essa stessa che le spiegazioni degli aumenti di prezzo dal 1991 al 1992, fornite, in particolare, dall’ADM, «[potevano] avere una certa fondatezza». Tuttavia – rileva l’ADM – la Commissione si è limitata ad affermare che non poteva escludersi che l’intesa avesse avuto un effetto sul mercato.
148 In primo luogo, secondo l’ADM, da ciò consegue che la Commissione non ha accertato che l’intesa aveva avuto un impatto concreto sul mercato che poteva essere misurato, ai sensi degli orientamenti, ma al contrario ha illegittimamente invertito l’onere della prova.
149 In secondo luogo, l’ADM considera che da ciò deriva che la Commissione è incorsa in un errore di diritto dichiarando che le fluttuazioni dei prezzi sono necessariamente compatibili con un’intesa efficace. Infatti, fondandosi su una siffatta dichiarazione, del tutto astratta, la Commissione non avrebbe preso in considerazione il contesto dell’industria né i fattori che suffragano la conclusione secondo la quale, per le ragioni dettagliatamente esposte nella relazione degli esperti, i prezzi non erano aumentati oltre i livelli fissati dall’intesa.
150 In terzo luogo, l’ADM ritiene che la Commissione sia incorsa in errore formulando l’opinione secondo la quale maggiorazioni di prezzo a breve termine procedono necessariamente da un’intesa efficace. Vi sarebbero stati infatti taluni settori di prodotti competitivi che, di fronte a siffatte insufficienze di capacità e a una analoga domanda eccedentaria, avrebbero praticato maggiorazioni di prezzo del 40% e oltre in un breve arco di tempo.
151 Inoltre, l’ADM sostiene che la Commissione, per dimostrare che l’intesa ha avuto un impatto concreto sul mercato rilevante, non poteva validamente avvalersi delle circostanze secondo le quali i partecipanti all’intesa rappresentavano il 60% del mercato mondiale e il 70% del mercato europeo dell’acido citrico e che questi erano implicati in un’intesa lunga e complessa.
b) Giudizio del Tribunale
152 Alla luce delle censure formulate dall’ADM circa l’approccio stesso scelto dalla Commissione per dimostrare che l’intesa ha avuto un impatto concreto sul mercato dell’acido citrico, prima di pronunciarsi sulla fondatezza degli argomenti invocati dall’ADM, occorre riassumere l’analisi operata dalla Commissione, quale risulta dai punti 210‑228 della Decisione.
Riassunto dell’analisi effettuata dalla Commissione
153 Innanzitutto, la Commissione ha osservato che «[l]’infrazione è stata commessa da imprese che durante il periodo rilevante coprivano in media più del 60% del mercato mondiale e circa il 70% del mercato europeo dell’acido citrico» (punto 210 della Decisione).
154 Quindi, la Commissione ha affermato che, «[d]ato che queste intese sono state attuate, esse hanno avuto un impatto effettivo sul mercato» (punto 210 della Decisione). Al punto 212 della Decisione, facendo riferimento alla parte della Decisione relativa alla descrizione dei fatti, la Commissione ha reiterato l’argomento secondo il quale gli accordi dell’intesa erano stati «scrupolosamente attuati» e ha aggiunto che «uno dei partecipanti [aveva] dichiarato di “essere sorpreso dal livello di formalità e di organizzazione praticato dai partecipanti di questa intesa”». Parimenti, al punto 216 della Decisione, ha notato che, «alla luce di quanto sopra esposto e degli sforzi attuati da ciascun partecipante per la completa organizzazione del cartello, l’efficacia della sua realizzazione non può essere messa in discussione».
155 Inoltre, la Commissione ha ritenuto che non fosse necessario «quantificare in dettaglio in quale misura i prezzi differivano da quelli che avrebbero potuto essere applicati in assenza di tali accordi» (punto 211 della Decisione). Infatti, la Commissione ha sostenuto che «Ciò non può essere sempre calcolato in maniera affidabile, poiché una serie di fattori esterni possono avere simultaneamente inciso sull’andamento dei prezzi del prodotto, rendendo così estremamente difficile trarre conclusioni sulla relativa importanza di tutti i possibili fattori causali» (ibidem). Ciò nondimeno, al punto 213 della Decisione, ha descritto l’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico dal marzo 1991 al 1995 rilevando, in sostanza, che tra il mese di marzo 1991 e la metà del 1993 i prezzi dell’acido citrico erano aumentati del 40% e che, dopo tale data, essi erano stati in sostanza mantenuti su tale livello. Parimenti, ai punti 214 e 215 della Decisione, ha ricordato che le parti dell’intesa avevano fissato quote di vendita e avevano ideato e applicato un sistema di rendiconto, di controllo e di compensazione per assicurare l’applicazione delle quote.
156 Infine, ai punti 217‑228 della Decisione, la Commissione ha riassunto, analizzato e respinto taluni argomenti invocati dalle parti interessate nel corso della fase amministrativa del procedimento. In particolare, ha riassunto la relazione degli esperti secondo la quale l’evoluzione dei prezzi constatata si sarebbe comunque prodotta anche in assenza di intesa. Nel punto 226 della Decisione, la Commissione ha pertanto ritenuto che gli argomenti avanzati dall’ADM, basati sulla relazione degli esperti, come pure gli argomenti invocati da altre parti, non potevano essere accolti nei seguenti termini:
«Le spiegazioni fornite da ADM, (H&R e JBL) riguardo agli aumenti dei prezzi del 1991‑1992 possono avere una certa fondatezza, ma non dimostrano in maniera convincente che l’attuazione dell’accordo di cartello può non avere avuto alcun ruolo nella fluttuazione di prezzo. Se è vero che i fenomeni descritti possono verificarsi in assenza di un cartello, essi possono perfettamente rientrare anche in una situazione di esistenza di un’intesa. Il fatto che i prezzi dell’acido citrico siano aumentati del 40% in 14 mesi non può essere spiegato solo in termini di una reazione competitiva, ma deve essere interpretato alla luce del fatto che i partecipanti avevano concordato aumenti coordinati dei prezzi e ripartizioni delle quote di mercato, così come un sistema di rendiconto e di controllo. Tutto ciò avrebbe contribuito al successo degli aumenti dei prezzi».
Giudizio
157 Si deve innanzitutto ricordare che, secondo la formulazione del punto 1 A, primo comma, degli orientamenti, nel calcolo dell’ammenda, in funzione della gravità dell’infrazione, la Commissione tiene conto, in particolare, dell’«impatto concreto [dell’infrazione] sul mercato quando sia misurabile».
158 Si deve a questo proposito analizzare l’esatto significato dei termini «quando l’impatto concreto sia misurabile». In particolare, si tratta di stabilire se, secondo l’accezione di tali termini, la Commissione possa tenere conto dell’impatto concreto di una infrazione nell’ambito del suo calcolo delle ammende soltanto se, e nella misura in cui, sia in grado di quantificare tale impatto.
159 Come giustamente affermato dalla Commissione, l’esame dell’impatto di una intesa sul mercato implica necessariamente il ricorso a ipotesi. In questo contesto, la Commissione deve, in particolare, esaminare quale sarebbe stato il prezzo del prodotto in esame in assenza di intesa. Orbene, nel procedere all’esame delle cause dell’effettiva evoluzione dei prezzi, è azzardato speculare sul rispettivo ruolo di ciascuna delle dette cause. Si deve tener conto della circostanza obiettiva che, in ragione dell’intesa sui prezzi, le parti hanno per l’appunto rinunciato alla loro libertà di farsi concorrenza sui prezzi. Pertanto la valutazione dell’influenza derivante da fattori diversi dalla detta volontaria astensione dei partecipanti all’intesa è necessariamente fondata su ragionevoli probabilità, non quantificabili con esattezza.
160 Pertanto, a meno che non si voglia togliere effetto utile al criterio di cui al punto 1 A, primo comma, degli orientamenti, non può rimproverarsi alla Commissione di aver preso come base l’impatto concreto di una intesa sul mercato avente un oggetto anticoncorrenziale, quale un’intesa sui prezzi ovvero sulle quote, senza quantificare tale impatto o senza fornire in proposito dati di valutazione in cifre.
161 Di conseguenza, l’impatto concreto di una intesa sul mercato deve essere considerato sufficientemente dimostrato se la Commissione è in grado di fornire indizi concreti e credibili che indicano, con ragionevole probabilità, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato.
162 Nella specie, dal riassunto dell’analisi operata dalla Commissione (v. punti 153‑156 supra) risulta che quest’ultima si è avvalsa di due indizi per concludere per l’esistenza di un «impatto effettivo» dell’intesa sul mercato. Infatti, da un lato, ha richiamato il fatto che i partecipanti all’intesa hanno scrupolosamente attuato gli accordi dell’intesa (v., in particolare, punti 210, 212, 214 e 215 della Decisione) e che, durante il periodo considerato, i detti partecipanti rappresentavano oltre il 60% del mercato mondiale e il 70% del mercato europeo dell’acido citrico (punto 210 della Decisione). D’altro lato, essa ha ritenuto che i dati forniti dalle parti nel corso della fase amministrativa del procedimento dimostravano una certa concordanza tra i prezzi fissati dall’intesa e quelli realmente praticati dai membri dell’intesa (punto 213 della Decisione).
163 Anche se è vero che i termini utilizzati nei punti 210 e 216 della Decisione potrebbero, di per sé considerati, essere intesi nel senso che suggeriscono che la Commissione si è basata su un rapporto causa‑effetto tra l’attuazione di un’intesa e il suo impatto concreto sul mercato, resta ciò nondimeno che da una lettura d’insieme dell’analisi della Commissione risulta che, contrariamente a quanto affermato dall’ADM, la Commissione non si è limitata a dedurre dall’attuazione dell’intesa l’esistenza di impatti effettivi di questa sul mercato.
164 Oltre all’esistenza di una «scrupolosa» attuazione degli accordi dell’intesa, la Commissione ha fatto riferimento all’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico nel periodo interessato dall’intesa. Infatti, al punto 213 della Decisione, ha descritto i prezzi dell’acido citrico tra il 1991 e il 1995 quali erano stati fissati tra i partecipanti all’intesa, annunciati ai clienti e, in ampia misura, applicati dalle parti. In prosieguo si procederà ad esaminare se, come sostenuto dall’ADM, la Commissione sia incorsa in errori nella valutazione degli elementi di fatto sui quali ha basato le sue conclusioni. Stando così le cose, come già giudicato al punto 160 supra, non si può rimproverare alla Commissione di non aver cercato di quantificare l’importanza dell’impatto dell’intesa sul mercato o di fornire in proposito una valutazione basata su dati in cifre.
165 In questo contesto, non può neanche essere rimproverato alla Commissione di considerare che la circostanza che i partecipanti all’intesa rappresentavano una quota molto consistente del mercato dell’acido citrico (60% del mercato mondiale e 70% del mercato europeo) costituisce un fattore importante di cui deve tener conto per esaminare l’impatto concreto dell’intesa sul mercato. Non può infatti negarsi che la probabilità dell’efficacia di un’intesa di fissare prezzi e quote di vendita aumenti con la consistenza delle quote di mercato che i partecipanti a tale intesa si ripartiscono. Se è vero che, di per sé, tale circostanza non dimostra l’esistenza di un impatto concreto, resta ciò nondimeno che, nella Decisione, la Commissione non ha assolutamente accertato un siffatto rapporto causa‑effetto, ma ne ha soltanto tenuto conto come un elemento fra tanti.
166 Del resto, la Commissione ha potuto giustamente considerare che il peso di tale indizio aumenta con la durata dell’intesa. Infatti, tenuto conto delle spese di amministrazione e di gestione connesse con il buon funzionamento di un’intesa complessa vertente, come quella di specie, sulla fissazione di prezzi, sulla ripartizione dei mercati e sullo scambio di informazioni e tenuto conto dei rischi inerenti a siffatte attività illecite, la Commissione ha potuto ragionevolmente ritenere che il fatto che le imprese abbiano fatto perdurare l’infrazione per un lungo periodo indica che i partecipanti all’intesa ne hanno tratto un certo beneficio e che questa ha pertanto avuto un impatto concreto sul mercato rilevante.
167 Infine, la circostanza che, al punto 226 della Decisione, la Commissione abbia ammesso che l’analisi della relazione degli esperti poteva avere una «certa fondatezza», pur ritenendo, ciò nondimeno, che non dimostrava in maniera convincente che l’attuazione dell’intesa non aveva svolto alcun ruolo nella fluttuazione dei prezzi dell’acido citrico, non costituisce inversione dell’onere della prova. Questo passaggio dell’analisi sta piuttosto a dimostrare che la Commissione ha accuratamente soppesato i vari argomenti pro e contro l’esistenza di un impatto concreto dell’intesa.
168 Da quanto sopra consegue che la Commissione non ha adottato un approccio errato nel valutare l’impatto concreto dell’intesa sul mercato dell’acido citrico.
3. Sull’analisi dell’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico
a) Argomenti delle parti
169 L’ADM sostiene che le prove indicate dalla Commissione circa l’attuazione dell’intesa sono circoscritte e non dimostrano l’esistenza di un impatto concreto.
170 In primo luogo, l’ADM contesta il valore probatorio dell’analisi della Commissione circa l’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico. L’ADM critica infatti la circostanza che la Commissione abbia limitato la sua analisi ai prezzi annunciati e non abbia esaminato i prezzi realmente fatturati. Orbene – sottolinea l’ADM – in realtà, gran parte dei prezzi da lei praticati ai propri clienti si è collocata al di sotto del prezzo convenuto dall’intesa durante tutto il periodo in considerazione. Parimenti, la Cerestar e la JBL avrebbero anch’esse dichiarato di non essersi preoccupate della fissazione dei prezzi convenuti (punto 217 della Decisione). L’ADM aggiunge che i dati relativi alle vendite mensili medie in Europa, forniti alla Commissione dall’ADM, H&R e JBL [v. punto 95 della Decisione nonché le lettere 28 settembre 1998 della JBL; 23 settembre 1997 della H&R (Bayer) e 5 dicembre 1997 dell’ADM], suffragavano egualmente la conclusione secondo la quale i prezzi effettivamente praticati erano generalmente inferiori ai prezzi convenuti.
171 Inoltre, l’ADM attira l’attenzione su più estratti di rapporti di vendita della H&R redatti tra il mese di marzo 1991 e il mese di settembre 1994, da dove, a suo parere, risulta che è stata esercitata una pressione continua sui prezzi durante tutto il periodo in considerazione.
172 Del resto, sottolinea l’ADM, questa conclusione è confermata da quanto riferito da clienti a proposito della fissazione concorrenziale dei prezzi.
173 L’ADM rileva che, ai punti 91, 116 e 217‑226 della Decisione, la Commissione ha riconosciuto che, durante il periodo compreso quanto meno tra la metà del 1993 e il maggio 1995, sono stati perpetrati su grande scala raggiri degli impegni derivanti dall’intesa che hanno avuto un impatto diretto sui prezzi fissati dall’intesa e che, di fronte alle importazioni cinesi, non era possibile rispettare tali prezzi.
174 In secondo luogo, l’ADM contesta il valore probatorio dell’analisi della Commissione circa le quote di vendita. L’ADM critica infatti la circostanza che la Commissione abbia circoscritto la sua analisi alle quote convenute e all’attuazione di un meccanismo di controllo e di compensazione e non abbia esaminato i quantitativi di acido citrico effettivamente venduti dalle varie parti interessate.
175 A questo proposito, l’ADM rileva, innnanzi tutto, che dal punto 97 della Decisione, e questo trova conferma nella relazione degli esperti, risulta che la rapida crescita della domanda, soprattutto nel 1991‑1992, ha reso inoperante il sistema di fissazione delle quote in termini di tonnellate complessive, che dopo due mesi le parti hanno abbandonato il sistema di fissazione delle quote in termini di tonnellate complessive convenuto nel corso della riunione del 6 marzo 1991, che lo hanno sostituito con un sistema di quote basato su una percentuale delle vendite e che tale sistema poneva ciascun partecipante in grado di porre ulteriormente in vendita tonnellaggi considerevoli di anni precedenti per ricavare profitto dall’aumento della domanda.
176 In seguito, l’ADM rileva che dai punti 106 e 107 della Decisione e dalla relazione degli esperti (paragrafi 35‑40) risulta che in ciascun anno le vendite effettuate dalle parti avevano ecceduto le loro quote o erano state inferiori a queste, il che è stato fonte di liti incessanti. La JBL avrebbe persino dichiarato, senza essere contraddetta dalla Commissione, «di non essersi mai preoccupata in pratica delle quote di mercato inizialmente convenute». Il fatto che i partecipanti all’intesa non ne abbiano rispettato i termini sarebbe compatibile con gli aumenti di capacità effettuati senza che vi fossero costrette dall’ADM, JBL e HLR durante il periodo in considerazione.
177 Infine, l’ADM sottolinea che dal punto 106 della Decisione risulta che i sistemi di compensazione e di controllo non avevano l’efficacia voluta per obbligare le parti a rispettare le loro quote e costituivano fonte importante di liti in seno all’intesa.
178 L’ADM rileva che, in casi analoghi, la Commissione ha ritenuto che il non rispetto delle clausole dell’accordo costitutivo dell’intesa aveva dato luogo ad un impatto limitato. Nella Decisione relativa al caso denominato «Traghetti greci», la Commissione avrebbe così ammesso che la concessione di sconti sul prezzo convenuto nel quadro dell’intesa l’aveva indotta alla conclusione che l’impatto effettivo sul mercato era limitato e, nella Decisione relativa al caso «Esercenti di traghetti – Maggiorazioni valutarie», che la resistenza dei clienti alle maggiorazioni di prezzo l’aveva indotta alla conclusione circa l’esistenza di un impatto limitato sul mercato rilevante. L’ADM ritiene che analogo valore avrebbe dovuto essere riconosciuto nella specie alla prova degli sconti sui prezzi fissati dall’intesa e al mancato rispetto delle quote convenute.
179 La Commissione respinge gli argomenti dell’ADM.
b) Giudizio del Tribunale
180 Secondo la costante giurisprudenza, per sindacare la valutazione espressa dalla Commissione sugli effetti concreti dell’intesa sul mercato, se ne devono soprattutto esaminare le conclusioni relative agli effetti prodotti dall’intesa sui prezzi (v. sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 41 supra, punto 148, e, in tal senso, sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑308/94, Cascades/Commissione, Racc. pag. II‑925, punto 173, e causa T‑347/94, Mayr-Melnhof/Commissione, Racc. pag. II‑1751, punto 225).
181 Inoltre, la giurisprudenza ricorda che in occasione della determinazione della gravità dell’infrazione va tenuto conto, in particolare, del contesto normativo ed economico del comportamento addebitato (sentenze della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73‑48/73, 50/73, 54/73‑56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Racc. pag. 1663, punto 612, e Ferriere Nord/Commissione, punto 98 supra, punto 38) e che, per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, spetta alla Commissione fare riferimento al gioco della concorrenza che si sarebbe normalmente avuto in assenza dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza Suiker Unie e a./Commissione, cit., punti 619 e 620; sentenza Mayr‑Melnhof/Commissione, punto 180 supra, punto 235, e sentenza del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. II‑347, punto 645).
182 Da un lato, ne deriva che, nel caso di intese vertenti sui prezzi, si deve constatare – con un grado ragionevole di probabilità (v. punto 161 supra) – che gli accordi hanno effettivamente consentito ai partecipanti interessati di conseguire un livello di prezzo superiore a quello che si sarebbe avuto in assenza dell’intesa. D’altro lato, ne consegue che la Commissione, nell’ambito della sua valutazione, deve prendere in considerazione tutte le condizioni obiettive del mercato rilevante, tenuto conto del contesto economico ed eventualmente normativo vigente. Dalle sentenze del Tribunale emesse nella causa relativa al cartello del cartoncino (v., in particolare, sentenza Mayr‑Melnhof/Commissione, punto 180 supra, punti 234 e 235) consegue che si deve tener conto dell’esistenza, se del caso, di «fattori economici obiettivi» dai quali risulti che, in un contesto di «libero gioco della concorrenza», il livello dei prezzi non si sarebbe evoluto in modo identico a quello dei prezzi praticati (v., altresì, sentenze Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 41 supra, punti 151 e 152, e Cascades/Commissione, punto 180 supra, punti 183 e 184).
183 Nel caso di specie, basandosi su documenti forniti dall’ADM e dalla JBL nel corso della fase amministrativa del procedimento, la Commissione ha analizzato l’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico tra il marzo 1991 e il 1995 nonché, come misure aggiuntive intese a mantenere la pressione al rialzo sui prezzi, la fissazione di quote di vendita e l’istituzione di un sistema di compensazione.
184 Al punto 213 della Decisione, la Commissione ha descritto l’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico, quali convenuti e applicati dai partecipanti all’intesa come segue:
«Dal marzo 1991 a metà 1993, i prezzi concordati dai partecipanti sono stati annunciati ai clienti e ampiamente praticati, in particolare durante i primi anni del cartello. L’incremento a [(DEM) marchi tedeschi] 2,25 al kg (...) nell’aprile 1991, deciso alla riunione del marzo 1991, è stato introdotto con facilità. Esso è stato seguito dalla Decisione, presa per telefono nel mese di luglio, di aumentare il prezzo a DEM 2,70 al kg (...) in agosto. Anche questo aumento è stato messo in atto con successo. Un incremento finale a DEM 2,80 al kg (...) è stato concordato alla riunione del maggio 1992 ed è stato attuato nel giugno 1992. Dopo questa data non è stato più attuato alcun aumento, e il cartello si è concentrato sulla necessità di mantenere i prezzi stabiliti».
185 Parimenti, la Commissione ha ricordato che, durante gli anni 1991‑1994, i partecipanti all’intesa avevano fissato quote di vendita in termini di tonnellaggio fisso ed esatto attribuito a ciascun partecipante all’intesa assoggettato a un sistema di controllo. La Commissione ha rilevato che queste quote erano state effettivamente applicate e che il rispetto delle istruzioni era stato costantemente controllato. Del resto, la Commissione ha ricordato che i partecipanti all’intesa avevano convenuto ed effettivamente applicato un sistema di compensazione, inteso a sanzionare i partecipanti che vendevano tonnellaggi superiori a quelli loro attribuiti nell’ambito delle quote di vendita e ad offrire compensazioni a quelli che non li raggiungevano (punti 214 e 215 della Decisione, con rinvio alla parte «in fatto» della Decisione).
186 L’ADM non contesta in quanto tali le constatazioni di merito operate dalla Commissione circa l’evoluzione dei prezzi e la fissazione delle quote di vendita, ma si limita, in sostanza, ad invocare che, in realtà, i prezzi e le quote non erano stati interamente seguiti.
187 Per quanto riguarda l’evoluzione del prezzo dell’acido citrico l’ADM rileva pertanto che secondo varie comunicazioni indirizzate alla Commissione nel corso della fase amministrativa del procedimento nonché secondo la relazione degli esperti, la maggior parte dei prezzi realmente praticati si è per lo più collocata al di sotto dei prezzi convenuti.
188 Tuttavia, dalle cifre fornite dall’ADM risulta che vi era un parallelismo permanente tra i prezzi fissati e quelli realmente praticati. In particolare, stando a tali cifre, quando, tra il mese di marzo 1991 e il mese di maggio 1992, i partecipanti all’intesa hanno deciso di aumentare i prezzi per l’acido citrico utilizzato nel settore dell’alimentazione da 2,25 DEM al chilo a circa 2,8 DEM al chilo, i prezzi effettivamente chiesti ai clienti, che si situavano nell’aprile 1991 tra 1,9 e 2,1 DEM al chilo, erano aumentati per collocarsi tra 2,3 e 2,7 DEM al chilo. Parimenti, da tali cifre risulta che, nel corso di tutto il periodo in cui i partecipanti all’intesa avevano fissato il livello di prezzi a DEM 2,8 al chilo, i prezzi effettivamente chiesti ai clienti erano rimasti in seguito costantemente al di sopra dei prezzi praticati prima dell’aumento dei prezzi nel 1991 e 1992.
189 Il fatto che le parti non abbiano rispettato il loro accordo e non abbiano interamente applicato i prezzi convenuti non implica che, così facendo, abbiano applicato prezzi che avrebbero potuto applicare in assenza dell’intesa. Come giustamente sottolineato dalla Commissione al punto 219 della Decisione, il Tribunale ha già giudicato, nell’ambito della valutazione delle circostanze attenuanti, che un’impresa che persegue, malgrado la concertazione con i suoi concorrenti, una politica più o meno indipendente sul mercato può semplicemente tentare di usare l’intesa a proprio profitto (sentenza Cascades/Commissione, punto 180 supra, punto 230). Del resto, come affermato dalla Commissione al punto 226 della Decisione, l’intesa ha consentito ai suoi partecipanti di coordinare l’evoluzione dei prezzi sul mercato.
190 Altrettanto vale per quanto riguarda l’asserita inefficacia del sistema di quote di vendita. A questo proposito, l’ADM si limita ad argomentare che, durante il periodo dell’intesa, il sistema era stato modificato in modo da consentire a ciascun partecipante all’intesa di vendere tonnellaggi maggiori di quelli attribuitigli per trarre profitto dall’aumento della domanda. Orbene, tale tesi non può avere esito positivo. Essa non dimostra che tonnellaggi effettivamente venduti dai partecipanti all’intesa corrispondevano a quelli che avrebbero venduto in assenza dell’intesa e che il sistema, anche applicato in modo meno efficace di quanto previsto dai partecipanti, non esercitava una pressione sui prezzi. Del resto, non è da escludersi che i prezzi si siano evoluti in modo ancora più accentuato in assenza di intesa che impediva alle parti di farsi concorrenza sui prezzi.
191 Tenuto conto di quanto precede, la Commissione poteva validamente considerare di disporre di elementi concreti e credibili in base ai quali i prezzi dell’acido citrico praticati nell’ambito dell’intesa sono stati, con buona probabilità, più elevati di quelli che sarebbero invalsi in assenza dell’intesa.
192 Quand’anche si supponesse, come sostiene l’ADM basandosi sull’analisi economica contenuta nella relazione degli esperti, che i prezzi praticati dai partecipanti all’intesa siano stati ampiamente identici a quelli che sarebbero invalsi in assenza dell’intesa, resta ciò nondimeno che la Commissione poteva giustamente affermare, al punto 226 della Decisione, che l’intesa aveva consentito ai suoi partecipanti di coordinare l’evoluzione dei prezzi. Pertanto, anche se l’evoluzione dei prezzi è stata ampiamente favorita dal gioco normale del mercato, con la conseguenza che non può sostenersi che il livello dei prezzi sia evoluto in modo identico a quello dei prezzi praticati, resta ciò nondimeno che le parti hanno quanto meno potuto coordinare l’evoluzione dei prezzi.
193 Di conseguenza, l’argomento dell’ADM non può essere accolto.
4. Sulla definizione del mercato di prodotti rilevante
a) Argomenti delle parti
194 L’ADM ritiene che la Commissione sia incorsa in errori nella definizione del mercato rilevante. Orbene, essa sottolinea che la definizione del mercato rilevante è necessaria per misurare l’impatto dell’intesa su tale mercato e che, quindi, tali errori avevano un impatto sul calcolo dell’ammenda. Infatti – sostiene l’ADM – la definizione del mercato di prodotti rilevante costituisce una parte essenziale dell’analisi che la Commissione deve effettuare obbligatoriamente se intende prendere in considerazione l’impatto economico misurabile dell’intesa sul mercato di prodotti rilevante nel determinare l’importo dell’ammenda. In mancanza di tale analisi, la conclusione della Commissione relativa all’esistenza di un impatto si ridurrebbe ad una valutazione teorica degli effetti sulla concorrenza potenzialmente legati a misure restrittive, il che non sarebbe un’analisi degli effetti anticoncorrenziali rilevati a seguito dell’infrazione suffragata da indicazioni concrete (sentenza del Tribunale 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T–26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T-65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 4866).
195 L’ADM sostiene che dai punti 8‑14 della Decisione risulta che esistono prodotti sostitutivi dell’acido citrico per oltre il 90% delle sue applicazioni. Parimenti, l’ADM rileva che dalla relazione degli esperti risulta che il «mercato del prodotto rilevante ai fini di una analisi antitrust è l’acido citrico con fosfati e, molto probabilmente, anche con acidi minerali». Inoltre altri produttori di acido citrico si sarebbero anch’essi espressi in questo senso nel corso del procedimento amministrativo. Infine, l’ADM sostiene che la sostituibilità dell’acido citrico con altri prodotti viene pure spiegata in un rapporto di R. Bradley, H. Janshekar e Y. Yoshikawa, intitolato «CEH Marketing Research Report, Citric Acid» e pubblicato nel 1996 da «Chemical Economics Handbook – SRI International» (in prosieguo: il «rapporto CEH»), che la Commissione ha preso come base nella sua Decisione (v., in particolare, punto 72 della Decisione).
196 Tuttavia, l’ADM sostiene che, nonostante tali fatti, la Commissione si è astenuta dall’esaminare se occorreva considerare il prodotto acido citrico di per sé come un mercato economico rilevante o se occorreva considerarlo come facente parte di un mercato più ampio, che ingloba i detti prodotti sostitutivi.
197 La Commissione respinge l’argomento dell’ADM.
b) Giudizio del Tribunale
198 Si deve innanzitutto constatare che nella Decisione la Commissione non ha analizzato se il mercato del prodotto in esame doveva essere limitato all’acido citrico o se doveva essere considerato, come affermato dall’ADM, in modo più ampio, cioè come comprensivo dei suoi prodotti sostitutivi. Sotto i titoli «Il prodotto» (punti 4‑14 della Decisione) e «Mercato dell’acido citrico» (punti 38‑53 della Decisione), la Commissione si è limitata a descrivere le differenti applicazioni dell’acido citrico, nonché il volume del mercato dell’acido citrico.
199 Orbene, nella relazione degli esperti che l’ADM ha sottoposto alla Commissione nel corso della fase amministrativa del procedimento, il mercato dei prodotti in esame è analizzato e definito come più vasto, comprensivo dei prodotti sostitutivi, in particolare i fosfati e gli acidi minerali. Ciò nondimeno, nella Decisione, la Commissione non ha esaminato gli argomenti dell’ADM relativi alla necessità di fare ricorso ad una definizione più ampia del mercato del prodotto rilevante.
200 Ciò considerato, si deve ritenere che l’argomento dell’ADM potrebbe avere esito positivo solo se questa dimostrasse che, se la Commissione avesse definito il mercato di prodotti in esame conformemente alle affermazioni dell’ADM, avrebbe dovuto constatare che l’infrazione non aveva avuto impatti sul mercato definito come quello dell’acido citrico e dei suoi sostituti. Infatti, come è stato giudicato supra al punto 161, solo in una siffatta ipotesi la Commissione non avrebbe potuto appoggiarsi sul criterio dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato per basare il suo calcolo dell’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione.
201 Orbene, di fronte all’analisi dell’evoluzione dei prezzi e delle quote di vendita, effettuata dalla Commissione ai punti 213 e seguenti della Decisione, l’ADM non è riuscita a dimostrare e neppure a proporre elementi che, messi assieme, integrerebbero una serie di indizi coerenti che dimostrino, con ragionevole probabilità, che l’impatto dell’intesa relativa all’acido citrico sul mercato più ampio, comprensivo dei sostituti dell’acido citrico, sarebbe stato inesistente o quanto meno trascurabile. Persino nella relazione degli esperti, nonostante vi si sostenga che il mercato dovrebbe essere definito in modo più ampio, l’analisi circa l’asserita assenza di ripercussioni dell’intesa sull’evoluzione del prezzo è limitata al solo mercato dell’acido citrico.
202 Infine, l’ADM invoca a torto il punto 4866 della sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 194 supra. Infatti, se è vero che, in questo passo della sentenza, il Tribunale ha considerato che la Commissione doveva procedere ad un’analisi fondata su indicazioni concrete e non poteva limitarsi a valutazioni teoriche, resta ciò nondimeno che tale passo della sentenza non riguardava la definizione del mercato dei prodotti in esame, ma gli effetti reali dell’infrazione sul mercato in quanto tali.
203 Si deve di conseguenza respingere la censura che deduce l’erronea definizione del mercato del prodotto in esame.
204 Tenuto conto di tutto quanto precede, si deve concludere che l’ADM non ha dimostrato che la Commissione sia incorsa in errori manifesti di valutazione circa l’impatto concreto dell’intesa sul mercato.
IV – Sulla durata dell’infrazione
205 L’ADM ricorda che ai punti 91, 116 e 217‑226 della Decisione la Commissione ha ammesso che, durante il periodo compreso quanto meno tra la metà del 1993 e il maggio 1995, sono stati perpetrati raggiri su vasta scala relativamente agli impegni, che hanno avuto un impatto diretto sui prezzi fissati dall’intesa e che, di fronte alle importazioni cinesi, non era possibile rispettare tali prezzi (v. punto 173 supra).
206 In questo contesto, l’ADM sostiene che la Commissione non poteva applicare alla all’ADM una maggiorazione del 10% per anno di infrazione (punto 249 della Decisione). Infatti, così operando, la Commissione, secondo l’ADM, ha violato il principio di proporzionalità e di parità di trattamento dal momento che si è così discostata dalla sua prassi decisionale [Decisione della Commissione 28 gennaio 1998, 98/273/CE, relativa a un procedimento di applicazione dell’articolo 85 del trattato CE (IV/35.733 – VW) (GU L 124, pag. 60)] di imporre una maggiorazione minore per i periodi durante i quali l’accordo non è stato rispettato o non è stato messo in atto.
207 La Commissione conclude per il rigetto del motivo.
208 Il Tribunale ricorda che, al punto B degli orientamenti, la Commissione ha previsto che, per quanto riguarda le infrazioni di media durata, cioè, in generale, le infrazioni che sono durate da uno a cinque anni, l’importo dell’ammenda considerato potrebbe essere maggiorato, in ragione della gravità dell’infrazione, fino a raggiungere il 50%.
209 Nella specie, al punto 249 della Decisione, la Commissione ha constatato che l’ADM ha commesso l’infrazione per quattro anni, cioè per una durata media ai sensi degli orientamenti, e ha aumentato l’ammenda in ragione della sua durata del 40%. Da ciò consegue che la Commissione ha rispettato le regole che si era autoimposta negli orientamenti. Inoltre il Tribunale ritiene che tale maggiorazione del 40%, considerata la durata dell’infrazione, non è nella specie manifestamente sproporzionata.
210 Là dove l’ADM invoca la Decisione della Commissione nel caso VW (v. punto 206 supra), si deve constatare che i fatti in quest’altro caso erano diversi da quelli di cui alla presente fattispecie. Basta infatti constatare che si trattava di una intesa durata oltre 10 anni e che, conformemente agli orientamenti, la Commissione aveva utilizzato una percentuale per ogni anno per aumentare l’ammenda e non, come nella specie, una percentuale unica. Del resto, è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto affermato dall’ADM, dai punti della Decisione relativa a quest’altro caso non risulta assolutamente che in occasione di tale Decisione la Commissione abbia cercato di introdurre una prassi generale che avrebbe dovuto rispettare in tutte le successive decisioni.
211 Il motivo va, di conseguenza, respinto.
V – Sulle circostanze aggravanti
A – Introduzione
212 Ai punti 267 e 273 della Decisione, la Commissione ha considerato che, assieme alla HLR, l’ADM ha svolto un ruolo leader dell’intesa e ha, pertanto, applicato una maggiorazione del 35% all’importo dell’ammenda di queste due imprese.
213 L’ADM nega di essere stata leader dell’intesa e ritiene che la Commissione non poteva a ragione maggiorare l’importo dell’ammenda come ha fatto. In questo contesto, l’ADM solleva in sostanza quattro motivi vertenti sull’aumento dell’ammenda a titolo di circostanze aggravanti. In primo luogo, l’ADM sostiene che a torto la Commissione l’ha qualificata leader dell’intesa. In secondo luogo, l’ADM sostiene che la Commissione ha violato il principio di parità di trattamento in quanto ha imposto all’ADM la stessa percentuale di maggiorazione che alla HLR. In terzo luogo, l’ADM considera che la Commissione ha violato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità discostandosi dalla sua prassi decisionale per quanto riguarda le percentuali di maggiorazione imputate all’ADM. In quarto luogo, l’ADM sostiene che la Decisione è affetta da violazione dell’obbligo di motivazione.
B – Sulla qualifica dell’ADM quale leader dell’intesa
1. Introduzione
214 Dai punti 263‑266 della Decisione risulta che per concludere che l’ADM, unitamente alla HLR, doveva essere considerata leader dell’intesa, la Commissione ha in sostanza dedotto che l’ADM ha svolto un ruolo determinante nella costituzione dell’intesa nonché un ruolo piuttosto attivo nello svolgimento delle varie riunioni dell’intesa. A questo proposito, la Commissione si è basata su tre diversi elementi.
215 In primo luogo, ai punti 263 e 264 della Decisione, la Commissione ha invocato il fatto che nel gennaio 1991, dopo essere entrata su tale mercato nel dicembre 1990, l’ADM ha organizzato più incontri bilaterali con taluni dei principali produttori di acido citrico, cioè la H&R, la HLR e la JBL (in prosieguo: gli «incontri bilaterali organizzati dall’ADM nel gennaio 1991»). In secondo luogo, al punto 265 della Decisione, la Commissione si è basata su una dichiarazione che un ex rappresentante dell’ADM che aveva partecipato alle riunioni dell’intesa (in prosieguo: l’«ex rappresentante dell’ADM») ha reso dinanzi all’FBI nel corso del procedimento antitrust dinanzi alle autorità americane quale risulta da un rapporto redatto dall’FBI (in prosieguo: il «rapporto dell’FBI») in merito, in particolare, al comportamento tenuto da un altro rappresentante dell’ADM che aveva pure partecipato alle riunioni dell’intesa (in prosieguo: l’«altro rappresentante dell’ADM»). In terzo luogo, al punto 266 della Decisione, la Commissione ha fatto riferimento ad una dichiarazione resa dalla Cerestar nel corso della fase amministrativa del procedimento (in prosieguo: la «dichiarazione di Cerestar»).
216 L’ADM rimprovera alla Commissione di essere incorsa in errori nella valutazione di ciascuno di questi tre elementi nonché di non aver sufficientemente motivato la Decisione a tale riguardo. Tali censure saranno esaminate separatamente per ciascuno di questi tre diversi elementi. Del resto, l’ADM sostiene che tali elementi non consentirebbero comunque di concludere che l’ADM abbia svolto un ruolo leader nell’ambito dell’intesa.
2. Sugli asseriti errori della Commissione circa il ruolo di leader dell’ADM
a) Sugli incontri bilaterali organizzati dall’ADM nel gennaio 1991
Argomenti delle parti
217 L’ADM considera che il suo comportamento nel corso delle riunioni tenutesi nel mese di gennaio 1991, e alle quali hanno partecipato, oltre alla stessa la H&R, la HLR e la JBL, non può essere considerato un elemento che dimostra il suo ruolo leader in seno all’intesa. L’ADM cita a questo proposito passi estratti dal punto 264 della Decisione, dove la Commissione dichiara che «il fatto che ADM e i suoi concorrenti abbiano tenuto una serie di incontri bilaterali poco prima della prima riunione multilaterale del cartello non è sufficiente a dimostrare che questa impresa abbia avuto un ruolo di istigazione».
218 Ad ogni modo, l’ADM ritiene che la Decisione sia inficiata da violazione dell’obbligo di motivazione. Infatti, la Commissione, dichiarando essa stessa che l’esistenza di tali incontri bilaterali non era sufficiente a concludere che l’ADM aveva un ruolo di istigatore dell’intesa, sarebbe in contraddizione con la sua stessa analisi circa le dette riunioni contenuta al punto 263.
219 La Commissione conclude per il rigetto degli argomenti dell’ADM.
Giudizio del Tribunale
220 Si deve osservare che, al punto 263 della Decisione, a proposito degli incontri bilaterali organizzati dall’ADM nel gennaio 1991, la Commissione ha affermato di essersi basata su due documenti. In primo luogo, la Commissione si è basata su un memorandum datato 15 gennaio 1999, redatto dall’ADM, in merito ad un colloquio che l’ex rappresentante dell’ADM all’intesa aveva avuto con gli uffici della Commissione l’11 dicembre 1998. In secondo luogo, la Commissione si è basata sul rapporto dell’FBI.
221 A proposito di tali incontri bilaterali che l’ADM ha organizzato nel gennaio 1991 con i principali produttori di acido citrico, cioè la H&R, la HLR e la JBL, la Commissione ha considerato che, nonostante il fatto che l’ADM avesse qualificato tali incontri come semplice presentazione destinata agli altri concorrenti, era «molto probabile che [essi] abbiano avuto un ruolo determinante nella costituzione (o ricostituzione) del cartello dell’acido citrico nel marzo 1991». Infatti la Commissione «dato il ridottissimo arco di tempo che separa questa serie di incontri dalla prima riunione di cartello multilaterale del 6 marzo 1991, è altamente probabile che sia stata discussa la possibilità o l’intenzione di costituire un cartello ufficiale. Ciò è avvalorato, in particolare, dal contenuto delle discussioni tenutesi, come riferito da un dipendente di ADM: benché la descrizione delle discussioni rimanga vaga, il dipendente indica che, almeno in due occasioni, un concorrente è stato “denigrato” per il modo in cui conduceva le sue attività nel settore dell’acido citrico». La Commissione ha ritenuto che «questa espressione di risentimento nei confronti di un concorrente accusato di non comportarsi adeguatamente è una chiara indicazione degli obbiettivi anticoncorrenziali dell’introduzione di una maggiore disciplina su questo mercato» (punti 74, 75 e 263 della Decisione).
222 Inoltre, al punto 264 della Decisione, la Commissione ha aggiunto che «l’esistenza di una serie di incontri bilaterali poco prima della prima riunione multilaterale del cartello non è sufficiente a dimostrare che questa impresa avesse avuto un ruolo di istigatore anche se ciò suggerisce fortemente che sia in effetti avvenuto così».
223 Là dove l’ADM deduce errori di valutazione in merito a tali incontri bilaterali, si deve innanzitutto rilevare che essa non nega di aver organizzato tali incontri. Inoltre, non rimprovera neppure alla Commissione di aver sintetizzato erroneamente i documenti sui quali si è basata a questo proposito. Per contro l’ADM sostiene che tali incontri bilaterali avevano unicamente lo scopo di consentire agli altri partecipanti all’intesa di presentarsi.
224 Orbene, se è vero, come sottolineato dalla Commissione al punto 264 della Decisione, che le informazioni di cui la Commissione disponeva a proposito di tali incontri bilaterali non erano di per sé sufficienti a concludere che, in occasione di tali incontri, l’ADM avesse svolto un ruolo di istigatore dell’intesa, resta ciò nondimeno che la Commissione poteva giustamente considerare che il fatto che si siano tenuti siffatti incontri bilaterali, organizzati dall’ADM proprio prima della prima riunione multilaterale dell’intesa, suggeriva «fortemente» che l’ADM era un istigatore dell’intesa.
225 Il solo fatto che al punto 264 della Decisione la Commissione abbia relativizzato il valore probatorio dell’esistenza di tali incontri bilaterali circa il ruolo di istigatore dell’ADM in seno all’intesa non vuol dire che la Commissione abbia fatto una analisi errata dei detti incontri. Al contrario, l’approccio scelto dalla Commissione dimostra che questa ha accuratamente analizzato i documenti invocati per concludere che l’esistenza di tali incontri bilaterali costituiva solo un forte indizio circa il ruolo leader svolto dall’ADM nell’intesa, ma non era sufficiente per trarre da ciò conclusioni definitive.
226 Di conseguenza, la Commissione non è incorsa in errore manifesto di valutazione adducendo l’esistenza di siffatti incontri quale indizio supplementare rispetto agli altri due elementi sui quali si è basata per concludere che l’ADM aveva svolto un ruolo di leader dell’intesa.
227 Là dove l’ADM deduce una violazione dell’obbligo di motivazione, si deve osservare che dai punti 263 e 264 della Decisione risulta in modo chiaro e inequivoco il ragionamento dell’istituzione. Infatti, se, al punto 263 della Decisione, la Commissione ha ritenuto che gli incontri successivi tra l’ADM e, rispettivamente, la H&R, la HLR e la JBL nel gennaio 1991 hanno svolto molto probabilmente un ruolo determinante nella costituzione dell’intesa sull’acido citrico nel marzo 1991, al punto 264 della Decisione, la Commissione ha precisato le conseguenze per l’ADM di tale constatazione, indicando che il fatto che si sia tenuta una serie di incontri bilaterali tra l’ADM e i suoi concorrenti poco prima della prima riunione multilaterale dell’intesa non è sufficiente a concludere che l’ADM fosse stata l’istigatore, ma ne costituisce un forte indizio. Questa precisazione non è contraddittoria e non incide in alcun modo sulla coerenza del ragionamento della Commissione. Non si può pertanto a tale riguardo rimproverare alla Commissione un difetto di motivazione.
228 Di conseguenza, la Commissione non è incorsa a tale riguardo né in un manifesto errore di valutazione, né in una violazione dell’obbligo di motivazione.
b) Sulla dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM dinanzi all’FBI
Richiamo dei fatti e della formulazione della Decisione
229 L’11 e il 12 ottobre 1996 l’ex rappresentante dell’ADM rendeva una dichiarazione durante il suo interrogatorio da parte del «grand jury» nell’ambito del procedimento antitrust aperto dagli Stati Uniti e conclusosi con una transazione giudiziaria (plea agreement). A tale interrogatorio, durante il quale l’ex rappresentante dell’ADM è stato assistito dai suoi avvocati, è stato dato corso su ingiunzione (compulsion order). Questo interrogatorio ha dato luogo alla redazione del rapporto dell’FBI datato 5 novembre 1996.
230 Da una lettera indirizzata l’11 ottobre 1996 dalle autorità degli Stati Uniti all’avvocato dell’ex rappresentante dell’ADM risulta che tale interrogatorio è stato effettuato su richiesta dell’ADM, che ha accettato di sottoporsi all’interrogatorio con riserva di esercitare il diritto, conferitole dalla Costituzione degli Stati Uniti, di non rispondere a domande che potevano comportare la sua incriminazione (quinto emendamento). Questa lettera fa altresì menzione del fatto che, prima di tale interrogatorio, le competenti autorità degli Stati Uniti hanno concesso all’ex rappresentante dell’ADM l’immunità penale circa i fatti ammessi nella sua dichiarazione, a condizione che rispondesse in modo sincero e veritiero alle domande rivolte e fornisse tutte le informazioni a sua disposizione. Parimenti, le competenti autorità degli Stati Uniti hanno precisato che la dichiarazione resa dall’ex rappresentante dell’ADM nel corso dell’interrogatorio non avrebbe potuto essere utilizzata direttamente o indirettamente nei confronti dell’ADM o di uno dei suoi dipendenti, delle sue filiali o società ad essa collegate nell’ambito di un procedimento penale.
231 Nel corso del detto interrogatorio dell’11 e 12 ottobre 1996, l’ex rappresentante dell’ADM ha fornito una descrizione dettagliata del funzionamento dell’intesa e delle parti implicate. In particolare ha fornito una descrizione delle riunioni periodiche al più alto livello (dette riunioni dei «master» o anche «G-4/5») nonché delle riunioni più tecniche (dette riunioni degli «sherpa»), alle quali egli stesso aveva in gran parte partecipato. In particolare, alle pagg. 21 e 22 del rapporto dell’FBI, figura il passaggio della dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM di cui la Commissione ha citato degli estratti al punto 265 della Decisione.
232 Nel quadro del procedimento amministrativo condotto dinanzi alla Commissione, la Bayer le ha trasmesso il rapporto dell’FBI. Inoltre, la Commissione ha interrogato l’ex rappresentante dell’ADM, anche nel corso della fase amministrativa del procedimento, l’11 dicembre 1998, durante una riunione tra gli uffici della Commissione e taluni rappresentanti dell’ADM (v. punto 57 della Decisione). A seguito di tale riunione, l’ADM ha sottoposto alla Commissione un memorandum non datato e intitolato «Memorandum relativo all’incontro tra [l’ex rappresentante dell’ADM in seno all’intesa] e la Commissione l’11 dicembre 1998».
233 Quindi, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione si è in particolare basata sulla dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM quale risulta dal rapporto dell’FBI. Inoltre, ha allegato tale rapporto alla comunicazione degli addebiti.
234 Infine, l’ADM nella risposta alla comunicazione degli addebiti ha fatto riferimento alla dichiarazione resa dal suo ex rappresentante dinanzi all’FBI per sottolineare l’importanza della cooperazione dell’ADM non solo nell’ambito del procedimento dinanzi alla Commissione, ma anche dinanzi alle autorità americane. Del resto, l’ADM stessa ha fatto riferimento a più riprese al rapporto dell’FBI per sostenere che aveva pienamente cooperato nell’ambito del procedimento dinanzi alla Commissione, che l’intesa aveva avuto un impatto limitato sul mercato dell’acido citrico e che doveva beneficiare delle circostanze attenuanti nel calcolo dell’ammenda. In particolare, in questo contesto l’ADM si è basata sul rapporto dell’FBI al fine di dimostrare che, a suo parere, non aveva svolto un ruolo leader nell’intesa anche se, con tale argomentazione, aveva cercato di dimostrare alla Commissione che doveva beneficiare di una circostanza attenuante.
235 Al punto 265 della Decisione la Commissione si è riferita al rapporto dell’FBI nei seguenti termini:
«Un ex rappresentante di ADM alle riunioni del cartello, interrogato dall’FBI nel 1996, ha menzionato un altro rappresentante di ADM alle stesse riunioni e ha dichiarato che “i meccanismi dell’accordo G‑4/5 sembravano essere un’idea di [quest’altro rappresentante dell’ADM], e alla riunione del 6 marzo 1991 a Basilea, dove è stato formulato l’accordo [acido citrico], [quest’altro rappresentante dell’ADM] aveva avuto un ruolo piuttosto attivo”. Sempre riferendosi allo stesso collega, ha aggiunto che [quest’altro rappresentante dell’ADM] era considerato come “il vecchio saggio”, ed era persino soprannominato “il predicatore” da [nome di un rappresentante della JBL]».
Argomenti delle parti
236 L’ADM sostiene che la Commissione è incorsa in errore prendendo come base il rapporto dell’FBI quale documento che dimostra la «leadership» dell’ADM.
237 L’ADM sostiene, in primo luogo, che la Commissione non poteva validamente basarsi sul rapporto dell’FBI, dato che tale rapporto faceva parte degli elementi di prova raccolti dalle autorità di un paese terzo incaricate di una indagine, alle quali non si applicano le tutele processuali garantite dal diritto comunitario. L’ADM sottolinea che, né all’ex rappresentante dell’ADM né al suo consulente legale è stata data l’occasione di rivedere, approvare o firmare la dichiarazione.
238 Siffatte dichiarazioni sarebbero state considerate intrinsecamente poco affidabili dai giudici degli Stati Uniti. Inoltre l’ADM rileva che, nella sentenza 10 novembre 1993, causa C‑60/92, Otto (Racc. pag. I‑5683, punto 20), la Corte ha ammesso che le informazioni ottenute nell’ambito di un procedimento nazionale che non fa proprio il diritto di difesa riconosciuto dalla Comunità nei confronti di un’autoaccusa possono certamente essere portate a conoscenza della Commissione, in particolare da un soggetto interessato. Tuttavia, la Corte avrebbe giudicato che dalla sua sentenza 18 ottobre 1989, causa 374/87, Orkem/Commissione (Racc. pag. 3283), risulta che la Commissione – così come, d’altronde, un’autorità nazionale – non potrebbe utilizzare queste informazioni come mezzo di prova di un’infrazione alle norme di concorrenza nell’ambito di un procedimento che può sfociare in sanzioni o come indizio che giustifichi l’apertura di un’indagine preliminare in un procedimento del genere.
239 L’ADM sottolinea che non vuole affermare che le autorità degli Stati Uniti non abbiano applicato garanzie processuali. Essa fa presente che l’ex rappresentante dell’ADM era infatti accompagnato dal suo avvocato e aveva ottenuto una immunità contro azioni penali. Tuttavia – sostiene l’ADM – si tratta di elementi di prova riuniti nell’ambito del procedimento svolto in un paese terzo a cui non si applicano le garanzie conferite dal diritto comunitario. La Commissione non può, con ogni evidenza, determinare il valore probatorio di un documento se non comprende come è stato costituito, né le garanzie processuali che ne hanno accompagnato la redazione, compresi fattori determinanti come la questione se il detto documento sia stato redatto sotto giuramento o sottoposto alla revisione del testimone o del suo avvocato.
240 In secondo luogo, l’ADM considera che la Commissione non poteva avvalersi del rapporto dell’FBI dato che non aveva avuto l’occasione di esercitare i suoi diritti di difesa nei confronti di un’auto‑accusa, come riconosciuto dalla sentenza Orkem/Commissione, punto 238 supra. L’ADM aggiunge che è inconferente che la rinuncia alle azioni nei confronti dell’ADM sia applicata soltanto in un procedimento penale.
241 L’ADM ricorda che la dichiarazione di cui trattasi è stata fatta dall’ex rappresentante dell’ADM e ha costituito oggetto di una rinuncia ai diritti della difesa nei confronti di un’autoaccusa alla condizione che la detta dichiarazione non fosse utilizzata dalle autorità americane nei confronti, in particolare, dell’ex rappresentante dell’ADM o di se stessa. Tuttavia, continua, al contrario delle autorità degli Stati Uniti, la Commissione non le ha conferito, nel corso del procedimento da lei promosso, l’occasione di esercitare il suo diritto di opposizione all’auto‑accusa relativa alla dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM. L’ADM non contesta che la Commissione abbia potuto invocare gli estratti del rapporto dell’FBI che coincidono con la testimonianza diretta dell’ex rappresentante dell’ADM resa dinanzi alla Commissione. Orbene – sottolinea l’ADM – la testimonianza diretta del suo ex rappresentante dinanzi alla Commissione non si riferisce ai punti relativi alla «leadership» presi da quest’ultima a fondamento con riferimento al rapporto dell’FBI. L’ADM rimprovera alla Commissione di aver interrogato il suo ex rappresentante di persona e di aver avuto pienamente l’occasione di interrogarlo altrettanto direttamente ponendogli domande scritte, ma di non aver affrontato la questione se l’ADM era un leader in misura maggiore di quanto non avesse in seguito fatto, in un qualsiasi altro momento, durante la fase di indagini del procedimento.
242 In terzo luogo, l’ADM sostiene che, per tre ragioni, il rapporto dell’FBI non è intrinsecamente affidabile.
243 Innanzi tutto, l’ADM rileva che il rapporto è stato redatto da agenti dell’FBI e da magistrati americani del Pubblico Ministero, preoccupati di far avanzare il loro dossier. Siffatti rapporti sarebbero stati stralciati dal procedimento dinanzi al giudice americano in quanto elementi di prova per sentito dire e, pertanto, irricevibili per il motivo che inquirenti che cercano di costituire sotto il profilo penale un fascicolo solido possono essere indotti a non presentare un resoconto esauriente di quanto dichiarato dalla persona interrogata.
244 In seguito, l’ADM ripete l’affermazione secondo la quale né l’ex rappresentante dell’ADM né il suo avvocato hanno avuto occasione di leggere, approvare o firmare la dichiarazione e che, due anni più tardi, nel corso di un interrogatorio in contraddittorio avente ad oggetto la sua testimonianza all’udienza, allorché l’ex rappresentante dell’ADM compariva in qualità di testimone citato dalle autorità degli Stati Uniti, questi dichiarava di non aver visto prima il rapporto dell’FBI. Inoltre – rileva l’ADM – nel corso di tale interrogatorio in contraddittorio, l’ex rappresentante dell’ADM avrebbe messo in dubbio l’esattezza del passaggio del rapporto che gli era stato sottoposto in tale occasione.
245 Infine, l’ADM considera che il rapporto dell’FBI presenta una contraddizione interna per quanto riguarda il ruolo leader da lei svolto. Infatti – sostiene l’ADM – mentre la Commissione si è basata sulla parte di cui alla pag. 22 del rapporto, secondo la quale il superiore dell’ex rappresentante dell’ADM avrebbe formulato l’accordo e avrebbe svolto un ruolo attivo nel corso della riunione iniziale del 6 marzo 1991, a pag. 7 del rapporto verrebbe precisato, a proposito di questa stessa riunione del 6 marzo 1991, che «[l]a riunione era “palesemente diretta dal [rappresentante della HLR]”, che l’ex rappresentante dell’ADM indica come “il principale protagonista”».
246 L’ADM aggiunge che dal memorandum dell’11 dicembre 1998 (v. punto 232 supra) risulta che «[il rappresentante della HLR] (...) ha assicurato la presidenza di tale gruppo informale», che l’«ADM non ha assolutamente partecipato» e che «[i rappresentanti dell’ADM] si sono soprattutto limitati ad ascoltare» (pag. 3).
247 In quarto luogo, l’ADM invoca le dichiarazioni dell’ex rappresentante dell’ADM e del suo avvocato rese il 26 febbraio 2002 ai fini del presente procedimento.
248 Per quanto riguarda la dichiarazione dell’avvocato dell’ex rappresentante dell’ADM, l’ADM osserva che questi precisa che gli appunti che lui stesso ha preso a partire dalle risposte fornite dall’ex rappresentante dell’ADM nel corso del suo interrogatorio da parte dell’FBI dimostrano che il rapporto dell’FBI differisce in modo sottile, ma determinante dall’effettivo tenore delle risposte date dall’ex rappresentante dell’ADM per quanto riguarda, esattamente, la questione della leadership. L’ADM rileva che gli appunti dell’avvocato del suo ex rappresentante coincidevano con le dichiarazioni del suo cliente, mentre il rapporto dell’FBI riprendeva a cose fatte i termini utilizzati dall’ex rappresentante dell’ADM.
249 Infatti, in primo luogo, dagli appunti dell’avvocato dell’ex rappresentante dell’ADM risulta che quest’ultimo aveva affermato che il ruolo dell’altro rappresentante dell’ADM nel corso della riunione del 6 marzo 1991 era stato «alquanto attivo», ma che questi non aveva mai «aspirato a dirigere». Il rapporto dell’FBI menzionerebbe tale partecipazione qualificandola come «ruolo attivo», ma avrebbe omesso il menzionato, importante, avverbio limitativo.
250 In secondo luogo, dagli appunti dell’avvocato dell’ex rappresentante dell’ADM risulterebbe che l’FBI non ha domandato a quest’ultimo se i meccanismi dell’accordo del «G‑4/G‑5» erano un’idea dell’altro rappresentante dell’ADM. Più esattamente, nel quadro di una serie di domande relative all’intesa, sarebbe stato chiesto all’ex rappresentante dell’ADM se «sembrava che si trattasse di un’idea [dell’altro rappresentante dell’ADM]», al che l’ex rappresentante dell’ADM avrebbe risposto «si». Pertanto le domande avrebbero riguardato la questione se l’adesione dell’ADM all’intesa era l’idea dell’altro rappresentante dell’ADM e non se i meccanismi dell’accordo erano l’idea del detto rappresentante. La domanda e la risposta sarebbero quantomeno estremamente ambigue e non potrebbero essere assimilate alla dichiarazione affermativa che figura nel rapporto dell’FBI, secondo il quale «i meccanismi dell’accordo G‑4/G‑5 sembravano essere un’idea del [l’altro rappresentante dell’ADM]». Per contro, per quanto riguarda le discussioni relative ai meccanismi dell’intesa formulati nel corso della riunione del 6 marzo 1991, l’ADM sostiene che gli appunti dell’avvocato dell’ex rappresentante dell’ADM dimostrano che quest’ultimo ha dichiarato, senza alcuna ambiguità, che il rappresentante della HLR era il principale partecipante che preconizzava un sistema di quote. Inoltre, dagli appunti risulterebbe che l’altro rappresentante dell’ADM «non assumeva molto la parola» e che «aveva l’abitudine, nel corso delle riunioni, di ascoltare ciò che succedeva». L’ADM sottolinea che tali discorsi concordano con la dichiarazione del suo ex rappresentante secondo la quale l’altro rappresentante dell’ADM «non a[veva] mai cercato di dirigere» e che «altri lo [avevano] fatto in precedenza».
251 In terzo luogo, l’ADM rileva che gli appunti dell’avvocato del suo ex rappresentante mostrano che questi non ha mai usato i termini «Vecchio saggio» per quanto riguarda l’altro rappresentante dell’ADM.
252 Per quanto riguarda la dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM, l’ADM rileva che pure questi ha confermato che le dichiarazioni di cui si ricorda differiscono da quelle attribuitegli nel rapporto dell’FBI su tre punti.
253 Innnanzi tutto, da ciò risulterebbe che l’altro rappresentante dell’ADM non aveva assolutamente portato contributi alla riunione del 6 marzo 1991, né può considerarsi averla diretta (dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM, paragrafo 4).
254 Inoltre, nella dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM risulta che il rappresentante della HLR aveva invitato l’ex rappresentante dell’ADM e l’altro rappresentante dell’ADM alla riunione del 6 marzo 1991, aveva presieduto la riunione e aveva auspicato il sistema di informazione e di controllo relativo ai meccanismi dell’intesa.
255 Da ciò conseguirebbe che l’ex rappresentante dell’ADM non si ricorda del fatto che l’altro rappresentante dell’ADM sarebbe stato denominato il «Vecchio saggio», ma che si ricorda che il rappresentante della JBL, che partecipava come presidente alle riunioni dell’intesa a partire dal mese di maggio 1994, chiamava l’altro rappresentante dell’ADM il «predicatore». Inoltre, da ciò risulterebbe che l’ex rappresentante dell’ADM presumeva che questi appellativi erano utilizzati perché l’«[l’altro rappresentante dell’ADM] aveva generalmente un comportamento riservato e assumeva abitualmente la parola solo se aveva una comunicazione relativamente importante da fare». Infine, dai detti appunti risulterebbe che l’espressione «il Vecchio saggio» non è stata usata per designare l’altro rappresentante dell’ADM.
256 In quinto luogo, l’ADM rileva che il rapporto dell’FBI è incompatibile con le conclusioni della Commissione stessa. Infatti – rileva l’ADM – al punto 265 della Decisione, la Commissione cerca di dipingere l’altro rappresentante dell’ADM, sulla base del rapporto dell’FBI, come una persona che ha svolto un ruolo leader nel corso della riunione iniziale dell’intesa, il 6 marzo 1991, mentre, al punto 78 della Decisione, nota che tale incontro «era organizzato e presieduto da un rappresentante della [HLR]».
257 Del resto, l’ADM sostiene che questa descrizione della riunione del 6 marzo 1991 differisce da quella fattane dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti. Infatti, al punto 62 di tale comunicazione, la Commissione avrebbe rilevato che questa riunione era «organizzata e diretta dal [rappresentante della HLR]».
258 L’ADM aggiunge che il ruolo centrale del rappresentante della HLR nel corso della riunione del 6 marzo 1991 emerge anche dai punti 85 e 89 della Decisione.
259 La Commissione conclude per il rigetto degli argomenti dell’ADM nel loro insieme.
Giudizio del Tribunale
– Introduzione
260 L’ADM solleva censure di due ordini differenti. In primo luogo, sostiene che, prendendo come base il rapporto dell’FBI, la Commissione avrebbe violato le garanzie processuali previste dal diritto comunitario. In secondo luogo, l’ADM ritiene che la Commissione non abbia correttamente valutato il contenuto del rapporto dell’FBI.
– Violazione da parte della Commissione delle garanzie processuali previste dal diritto comunitario
261 È pacifico che nessuna disposizione vieta alla Commissione di avvalersi, come elemento di prova utile a constatare una infrazione agli artt. 81 CE e 82 CE e a fissare un’ammenda, di un documento che, come quello che nella presente fattispecie è dato dal rapporto dell’FBI, è stato redatto nel contesto di un procedimento diverso da quello condotto dalla Commissione stessa.
262 Ciononpertanto, conformemente alla giurisprudenza, viene riconosciuto, a titolo di principi generali del diritto comunitario, del quale i diritti fondamentali costituiscono parte integrante ed alla luce dei quali tutte le norme di diritto comunitario vanno interpretate, il diritto di un’impresa a non essere costretta dalla Commissione, in sede di applicazione dell’art. 11 del regolamento n. 17, ad ammettere la propria partecipazione ad un’infrazione (sentenza Orkem/Commissione, punto 238 supra, punto 35). La tutela di tale diritto richiede che, ove sorga contestazione circa la portata di una domanda, sia verificato se la risposta del destinatario equivarrebbe effettivamente all’ammissione di un’infrazione, sicché verrebbe arrecato pregiudizio ai diritti della difesa (v. sentenze della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 273, e del Tribunale 20 febbraio 2001, causa T-112/98, Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, Racc. pag. II‑729, punto 64).
263 È vero che la situazione di fatto del caso di specie è diversa da quella delle citate cause, dove la Commissione aveva rivolto domande a imprese che avevano il diritto di rifiutarsi di rispondervi.
264 Ciò nondimeno, qualora, come nella specie, la Commissione, nell’ambito della sua libera valutazione degli elementi di prova di cui dispone, si avvalga di una dichiarazione resa in un contesto diverso da quello del procedimento promosso dinanzi alla Commissione e qualora questa dichiarazione comporti potenzialmente informazioni che l’impresa interessata in forza della giurisprudenza Orkem/Commissione, punto 238 supra, avrebbe il diritto di rifiutare di fornire alla Commissione, quest’ultima è tenuta a garantire a tale impresa diritti processuali equivalenti a quelli conferiti dalla detta giurisprudenza.
265 Il rispetto di tali garanzie processuali implica, in un contesto come quello del caso di specie, che la Commissione sia tenuta ad esaminare d’ufficio se, a prima vista, vi siano seri dubbi circa il rispetto dei diritti processuali delle parti interessate nell’ambito del procedimento nel corso del quale esse hanno reso siffatte dichiarazioni. In assenza di tali seri dubbi, i diritti processuali delle parti interessate devono considerarsi sufficientemente garantiti se, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione indica chiaramente, eventualmente allegando i documenti interessati da tale comunicazione, di avere l’intenzione di avvalersi delle dichiarazioni di cui trattasi. In questo modo, la Commissione consente alle parti interessate di prendere posizione non solo rispetto al contenuto di tali dichiarazioni, ma anche a eventuali irregolarità o a circostanze particolari che hanno accompagnato sia la loro redazione sia la loro produzione dinanzi alla Commissione.
266 Nel caso di specie, si deve, in primo luogo, tener conto del fatto che il rapporto dell’FBI è stato sottoposto alla Commissione da un concorrente dell’ADM, la Bayer, che aveva pure fatto parte dell’intesa (v. punto 232 supra) e che l’ADM non ha affermato che tale documento era stato ottenuto in modo illegittimo dalla Bayer o dalla Commissione.
267 Si deve, in secondo luogo, constatare che il rapporto dell’FBI costituisce un documento redatto dall’autorità competente degli Stati Uniti per perseguire cartelli segreti, che è stato prodotto dinanzi ai tribunali americani nel corso di un procedimento di cui ha costituito oggetto la medesima intesa. Non vi era alcun segno esterno che avrebbe dovuto, d’ufficio, incitare la Commissione a nutrire dubbi circa il suo valore probatorio. Là dove, in questo contesto, l’ADM invoca il fatto che, nella lettera indirizzata l’11 ottobre 1996 dalle competenti autorità degli Stati Uniti all’avvocato dell’ex rappresentante dell’ADM, è stato sottolineato che l’informazione da questo resa in tale rapporto non poteva essere utilizzata né nei suoi confronti né nei confronti dell’ADM, si deve rilevare che questa riserva faceva esplicitamente riferimento a procedimenti penali ai sensi del diritto degli Stati Uniti e non a procedimenti quali quelli promossi dinanzi alla Commissione.
268 In terzo luogo, e in misura più fondamentale, si deve ricordare che, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione ha affermato che aveva l’intenzione di avvalersi di tale rapporto e ha allegato tale documento alla detta comunicazione. Ha altresì consentito all’ADM di prendere posizione non solo rispetto al contenuto di tale documento, ma anche su eventuali irregolarità o circostanze particolari che hanno accompagnato sia la sua redazione, come quelle sollevate dinanzi al Tribunale (v., in particolare, punti 243 e 244 supra), sia la sua produzione dinanzi alla Commissione, in base alle quali, secondo l’ADM, la Commissione non poteva avvalersi del detto documento senza violare i diritti processuali garantiti dal diritto comunitario.
269 L’ADM non ha pertanto formulato nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti alcuna censura quanto al fatto che tale documento sia stato preso in considerazione dalla Commissione. Al contrario, essa stessa si è espressamente basata su tale documento per sostenere i propri argomenti, compresi quelli relativi alla questione se aveva svolto un ruolo leader in seno all’intesa. Inoltre, l’ADM non assume neppure di aver attirato, in un qualsiasi altro momento del procedimento amministrativo, l’attenzione della Commissione sull’inaffidabilità del rapporto dell’FBI o di aver chiesto alla Commissione di interrogare l’ex rappresentante dell’ADM circa la veridicità dei discorsi riprodotti in tale rapporto.
270 In una situazione siffatta, la Commissione non ha violato i diritti processuali garantiti dal diritto comunitario prendendo come base il rapporto dell’FBI, nella sua libera valutazione delle prove di cui disponeva.
– Scorretta valutazione da parte della Commissione del contenuto del rapporto dell’FBI
271 Là dove l’ADM sostiene che il rapporto dell’FBI presenta contraddizioni interne (punto 245 supra), si deve constatare che, nel passo del rapporto dell’FBI sul quale la Commissione si è basata nel punto 265 della Decisione, l’ex rappresentante dell’ADM aveva dichiarato che l’altro rappresentante dell’ADM avrebbe avuto l’idea dell’accordo e avrebbe svolto un ruolo attivo nel corso della prima riunione dell’intesa tenutasi il 6 marzo 1991. Ha parimenti aggiunto che l’altro rappresentante dell’ADM era considerato come il «Vecchio saggio», ed era persino denominato il «predicatore» dal rappresentante della JBL. Per contro, a pag. 7 del detto rapporto, viene precisato, a proposito di questa stessa riunione del 6 marzo 1991, che «[l]a riunione era “manifestamente diretta dal [rappresentante della HLR]”, che viene indicato dall’ex rappresentante dell’ADM come “il principale protagonista”».
272 Da ciò risulta che l’ex rappresentante dell’ADM aveva avuto l’impressione che i rappresentanti dell’ADM e della HLR avevano svolto un ruolo determinante nel corso di tale riunione, l’uno (quello della HLR) per aver essenzialmente organizzato e diretto la riunione, l’altro (quello dell’ADM) per aver svolto un ruolo preponderante nella definizione degli accordi conclusi.
273 È questa del resto la lettura che la Commissione ha dato di tale documento. Infatti, dai punti 268‑272 della Decisione risulta che essa ha ritenuto che sia l’ADM sia la HLR avessero svolto un ruolo leader nell’intesa. Al punto 269 la Commissione si è, a questo riguardo, basata su tale rapporto dell’FBI, anche se ha citato un passaggio diverso da quello invocato dall’ADM.
274 Di conseguenza, l’ADM invoca a torto l’esistenza di contraddizioni interne nel rapporto dell’FBI.
275 Laddove l’ADM rileva contraddizioni tra il rapporto dell’FBI e la dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM dinanzi alla Commissione, quale risulta dal memorandum redatto dall’ADM (punto 246 supra), si deve osservare che, anche a supporre che la descrizione del ruolo svolto dai rappresentanti dell’ADM nel corso delle riunioni di cui trattasi fosse differente da quella che risulta dal rapporto dell’FBI, resta ciò nondimeno che, come è stato giudicato al punto 270 supra, la Commissione poteva validamente avvalersi del rapporto dell’FBI e non le può essere rimproverato di aver concesso al rapporto dell’FBI maggiore credibilità rispetto al memorandum redatto dall’ADM relativo all’interrogatorio di questo stesso ex rappresentante dell’ADM dinanzi alla Commissione, che era stato tenuto in epoca sospetta.
276 Là dove l’ADM sostiene che esistono contraddizioni tra le conclusioni della Commissione stessa risultanti nella Decisione e nella comunicazione degli addebiti (punti 256‑258 supra), si deve rilevare che, ai punti 78, 85 e 89 della Decisione e al punto 62 della comunicazione degli addebiti, viene indicato che era il rappresentante della HLR ad aver organizzato e presieduto la riunione del 6 marzo 1991. Tuttavia, questo fatto non inficia la conclusione della Commissione circa la qualità di co‑leader dell’ADM. Infatti, nulla osta a che, come nella specie, una parte diriga e organizzi una riunione e un’altra vi svolga un ruolo attivo di primo piano, come quello che traspare dal punto 265 della Decisione, e a che ambedue le parti vengano considerate leader dell’intesa in base al loro ruolo rispettivo.
277 Là dove l’ADM invoca dichiarazioni dell’ex rappresentante dell’ADM e del suo avvocato, rese il 26 febbraio 2002 ai fini del presente procedimento, che conterrebbero una diversa descrizione delle dichiarazioni rese dall’ex rappresentante dell’ADM dinanzi l’FBI (punti 247‑255 supra), si deve ricordare che l’ADM non ha assolutamente sostenuto, nel corso della fase amministrativa del procedimento dinanzi alla Commissione, che il rapporto dell’FBI non contenesse una descrizione esatta delle dichiarazioni rese dall’ex rappresentante dell’ADM (v. punto 234 supra). Del resto, la Commissione non ha commesso errore manifesto di valutazione nel concedere al rapporto dell’FBI, prodotto nel corso della fase amministrativa del procedimento, valore probatorio maggiore rispetto a successive dichiarazioni, rese in epoca sospetta, ai fini del presente procedimento.
278 Di conseguenza, l’ADM non ha dimostrato che la Commissione non abbia correttamente valutato il contenuto del rapporto dell’FBI.
279 Da tutto quanto sopra consegue che la Commissione non è incorsa in errore manifesto nella valutazione del rapporto dell’FBI.
c) Sulla dichiarazione di Cerestar
Argomenti delle parti
280 In primo luogo, l’ADM ritiene che, quand’anche la Commissione possa avvalersi dell’elemento di prova fornito dalla Cerestar, la presidenza di riunioni «sherpa» al massimo indichi una partecipazione attiva all’intesa, ma non l’esercizio di una «leadership» su quest’ultima.
281 Infatti – sostiene l’ADM – le riunioni «sherpa» erano riunioni di membri di grado meno elevato nella gerarchia di ciascuna delle parti interessate. Esse si sarebbero tenute solo a partire dal mese di giugno 1993 e avrebbero avuto ad oggetto solo l’esame di questioni tecniche (punto 117 della Decisione). L’ADM fa presente che effettivamente talune di queste questioni erano attinenti non già all’accordo illecito, bensì ad attività legittime per un’associazione commerciale, quali la valutazione della possibilità di altri impieghi per l’acido citrico in vista dell’allargamento del mercato e l’opportunità di una denunzia antidumping nei confronti dei produttori cinesi. Tali riunioni contrasterebbero con quelle dei principali «master», che si sarebbero svolte durante tutto il periodo dell’intesa e durante le quali sarebbero state prese decisioni su punti essenziali (fissazione di quote, aumento dei prezzi, meccanismi di controllo, pagamenti compensativi).
282 In secondo luogo, l’ADM sostiene che l’elemento di prova fornito dalla Cerestar va, in linea generale, incontro a riserve, poiché il ricordo che la Cerestar ha delle riunioni non è fedele: vengono presentati dettagli solo per tre delle diciassette riunioni identificate dalla Cerestar come «possibili» riunioni sotto l’egida dell’intesa e sei delle riunioni di cui la Cerestar si ricorderebbe non hanno avuto luogo, se si fa riferimento agli elementi di prova provenienti dagli altri partecipanti e a quanto constatato dalla Commissione.
283 In terzo luogo, l’ADM considera che l’elemento di prova prodotto dalla Cerestar contiene per quanto riguarda più esattamente le riunioni «sherpas» elementi errati. La Cerestar identificherebbe in modo positivo soltanto una di tali riunioni durante tutta la sua partecipazione all’intesa (cioè la riunione del 15 aprile 1994 all’aeroporto O’Hare di Chicago) e dichiarerebbe che «il sig. [D.] non ne ha ricordi precisi». Orbene, secondo la testimonianza degli altri partecipanti, tale riunione non avrebbe avuto luogo. Inoltre, la Cerestar avrebbe menzionato altre tre riunioni. Del resto, sottolinea l’ADM, la Cerestar ha dichiarato di non aver assistito ad altre riunioni dopo il 2 novembre 1994, cosa che non sarebbe sorprendente, poiché talune riunioni «sherpa» erano pure esse dedicate a questioni estranee all’intesa e la Commissione non ha distinto tra siffatte riunioni «sherpa» e le altre.
284 In quarto luogo, l’ADM sostiene che la dichiarazione della Cerestar è incompatibile con la dichiarazione resa dall’ex rappresentante dell’ADM ai fini del procedimento dinanzi alla Commissione. Orbene, tenuto conto dell’inaffidabilità della dichiarazione della Cerestar e dell’incapacità di quest’ultima di precisare le date o i luoghi in cui le riunioni «sherpa» si sono effettivamente tenute, la detta dichiarazione resa dall’ex rappresentante dell’ADM ai fini del procedimento dinanzi alla Commissione dovrebbe ritenersi poco credibile. Orbene – essa prosegue – secondo la dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM, non vi era un presidente concordato o ufficialmente designato per dirigere le riunioni dei rappresentanti di livello subalterno nella gerarchia delle imprese partecipanti ed è fallace pretendere che egli si proponesse di preparare i fascicoli e di suggerire listini prezzo. È vero – ammette l’ADM – che il suo ex rappresentante portava occasionalmente alle riunioni dati predisposti, ma è altrettanto vero che lo facevano anche gli altri partecipanti. Parimenti, tutti i partecipanti avrebbero preso parte alle proposte di prezzo. Le sole occasioni per le quali l’ex rappresentante dell’ADM si ricorderebbe di aver preparato listini prezzi per gli altri partecipanti riguarderebbe l’applicazione del tasso di cambio al prezzo convenuto, il che si sarebbe tuttavia raramente verificato.
285 La Commissione respinge l’argomento dell’ADM.
Giudizio del Tribunale
286 Si deve innanzitutto osservare che al punto 266 della Decisione, la Commissione ha fatto riferimento alla dichiarazione resa dalla Cerestar nei seguenti termini:
«Nella dichiarazione del 25 marzo 1999, anche Cerestar Bioproducts dichiara che “benché le riunioni ‘masters’ fossero generalmente presiedute da [i rappresentanti di HLR e JBL], la [Cerestar] aveva la chiara impressione che [il rappresentante dell’ADM] avesse un ruolo leader. [Il rappresentante dell’ADM] presiedeva le riunioni [dei] ‘sherpa[s]’ e si occupava di preparare gli argomenti e di avanzare le proposte sui listini prezzi da approvare”».
287 Per quanto riguarda il «ruolo leader» che, secondo la dichiarazione della Cerestar, l’ex rappresentante dell’ADM avrebbe svolto in seno alle riunioni dell’intesa a più alto livello (riunioni dette «masters»), si deve rilevare che l’ADM si limita a sostenere che dalle sue dichiarazioni risulta che egli non aveva un «ruolo leader» nell’ambito di tali riunioni e che le sue dichiarazioni avrebbero il medesimo valore giuridico di quelle della Cerestar.
288 Orbene, si deve constatare che la descrizione fornita dalla Cerestar coincide, a questo riguardo, con quella fornita dall’ex rappresentante dell’ADM nel rapporto dell’FBI. Per quanto riguarda la credibilità da accordare alla dichiarazione della Cerestar, si deve rilevare che è pacifico che la Cerestar non ha svolto un ruolo attivo in seno all’intesa, sebbene ciò non sia stato ritenuto una circostanza attenuante (v. punti 282 e 283 della Decisione).
289 Per quanto riguarda il ruolo svolto dall’ex rappresentante dell’ADM in seno alle riunioni intervenute ad un livello tecnico (riunioni dette dei «sherpas»), si deve osservare che la Cerestar ha dichiarato che, in linea generale, questi aveva organizzato e diretto tali riunioni e aveva fatto proposte tecniche. È pertanto privo di importanza che la Cerestar, nella sua dichiarazione, abbia fornito dettagli solo relativamente a talune riunioni dell’intesa.
290 Il Tribunale ha infine già giudicato che l’ADM non poteva validamente invocare una asserita incompatibilità della dichiarazione della Cerestar con la dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM ai fini del procedimento dinanzi alla Commissione. Infatti, la Commissione non è incorsa in errore manifesto di valutazione nel concedere a tale dichiarazione un valore probatorio superiore a quello delle dichiarazioni rese in epoca sospetta ai fini del presente procedimento giurisdizionale.
291 Di conseguenza, la Commissione non è incorsa in errore manifesto nella valutazione della dichiarazione della Cerestar.
3. Sulla qualifica dell’ADM quale leader nel quadro dell’intesa
a) Argomenti delle parti
292 Basandosi sulla prassi decisionale della Commissione, l’ADM sostiene che, quand’anche si supponesse che la Commissione non sia incorsa in errore avvalendosi del rapporto dell’FBI e della dichiarazione della Cerestar, gli elementi invocati dalla Commissione sulla base di tali documenti consentono al massimo di concludere che l’ADM ha svolto un ruolo attivo nell’intesa, ma non che l’ADM abbia svolto un ruolo leader.
293 Infatti, secondo l’ADM, la Commissione riconosce che non era l’istigatore dell’intesa (punto 264 della Decisione), non operava come segretariato incaricato di raccogliere, controllare e diffondere i dati delle vendite (punto 272 della Decisione), non ha agito come mediatore nei disaccordi tra i partecipanti (punto 270 della Decisione) e infine non ha né obbligato né invitato altre imprese a partecipare all’intensa (punto 271 della Decisione). Per contro, la Commissione ha attribuito piuttosto alla HLR ciascuno di tali elementi aggiungendovi la circostanza che la HLR aveva presieduto e organizzato la riunione iniziale del 6 marzo 1991 e aveva continuato ad assicurare la presidenza delle riunioni, senza interruzione, fino a maggio 1994 (punti 120 e 268 della Decisione).
294 Pertanto, secondo l’ADM, la Commissione ha violato la propria prassi amministrativa nonché il principio di parità di trattamento.
295 La Commissione contesta la fondatezza dell’argomento dell’ADM.
b) Giudizio del Tribunale
296 Qualora una infrazione sia stata commessa da più imprese, si deve esaminare, nell’ambito della determinazione dell’importo delle ammende, la gravità relativa della partecipazione di ciascuna di esse (sentenza Suiker Unie e a./Commissione, punto 181 supra, punto 623), il che implica, in particolare, accertare il loro rispettivo ruolo nel corso della durata della loro partecipazione all’infrazione (v. sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I‑4125, punto 150, e sentenza del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T-6/89, Enichem Anic/Commissione, Racc. pag. II‑1623, punto 264).
297 Da ciò risulta, in particolare, che il ruolo di «capofila» svolto da una o più imprese nell’ambito di un’intesa deve essere preso in considerazione ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda, nella misura in cui le imprese che hanno svolto un siffatto ruolo hanno, di conseguenza, una particolare responsabilità rispetto alle altre imprese (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑298/98 P, Finnboard/Commissione, Racc. pag. I‑10157, punto 45, e sentenza Mayr-Melnhof/Commissione, punto 180 supra, punto 291).
298 Il punto 2 degli orientamenti, sotto il titolo «Circostanze aggravanti», contiene un elenco non tassativo di circostanze che possono dare luogo ad un aumento dell’importo di base dell’ammenda tra cui figura, in particolare, l’«organizzazione dell’infrazione o l’istigazione a commetterla».
299 Nella specie, dall’analisi che precede risulta che, senza incorrere in errore manifesto di valutazione, la Commissione ha invocato tre diversi elementi per concludere che, assieme alla HLR, l’ADM aveva svolto il ruolo di organizzatore dell’intesa, e cioè, in primo luogo, gli incontri bilaterali organizzati dall’ADM nel gennaio 1991, in secondo luogo, il rapporto dell’FBI e, in terzo luogo, la dichiarazione della Cerestar. Orbene, tali tre indizi evocati dalla Commissione convergono verso una stessa conclusione, e cioè che, nella fase iniziale dell’intesa, l’ADM ha svolto il ruolo di istigatore dell’intesa e, durante la fase operativa dell’intesa, l’ADM ha svolto un ruolo predominante rispetto agli altri membri dell’intesa.
300 Se è vero che, come ammesso dalla Commissione al punto 273 della Decisione, altri partecipanti all’intesa avevano pure assunto attività frequentemente connesse con l’esercizio del ruolo di organizzatore, resta ciò nondimeno che l’ADM non invoca alcun argomento da cui risulterebbe che il ruolo di tali altri partecipanti era altrettanto marcato quanto il suo e quello della HLR. Del resto, dal punto 273 della Decisione risulta che la Commissione ha tenuto conto del fatto che altri partecipanti all’intesa avevano pure assunto attività frequentemente connesse con lo svolgimento del ruolo di organizzatore, allorché essa ha fissato l’importo della maggiorazione al 35%.
301 La circostanza rilevata dall’ADM che la Commissione ha attribuito anche alla HLR il ruolo di istigatore non può modificare tale conclusione (v. punto 276 supra). Parimenti, il fatto che, come affermato dalla Commissione al punto 77 della Decisione, talune parti interessate, tra le quali in particolare la JBL, avevano già preso iniziative per la creazione di un’intesa sul mercato dell’acido citrico prima che l’ADM assumesse le iniziative rilevate dalla Commissione non può inficiare la conclusione secondo la quale l’ADM ha svolto il ruolo di organizzatore nell’ambito, in particolare, della creazione dell’intesa che costituisce l’oggetto della Decisione.
302 Di conseguenza, la Commissione non è incorsa in errori manifesti di valutazione nel considerare che l’ADM era leader dell’intesa.
C – Sulla violazione del principio di parità di trattamento in quanto la Commissione ha imposto all’ADM il medesimo tasso di maggiorazione che alla HLR
1. Argomenti delle parti
303 L’ADM sostiene che, quand’anche si accettasse l’opinione della Commissione circa il ruolo da lei svolto, che contrasta con il suo effettivo ruolo in seno all’intesa, la HLR ha svolto nell’accordo un ruolo essenziale che corrisponde ai connotati che la Commissione, in altri casi, ha in genere considerato indizi di «leadership». L’ADM avrebbe invece svolto solo un ruolo minore, al massimo equiparabile a quello della JBL, che è stata considerata partecipante attivo nell’intesa (v. punti 120 e 284 della Decisione). Orbene – contesta l’ADM – la Commissione non ha riconosciuto alla JBL circostanze aggravanti ed ha così violato il principio di parità di trattamento.
304 La Commissione conclude per il rigetto del motivo.
2. Giudizio del Tribunale
305 Il Tribunale osserva che dai punti 268‑272 della Decisione risulta che, per concludere che la HLR aveva svolto un ruolo di istigatore dell’intesa, la Commissione si è avvalsa della circostanza che il rappresentante di tale impresa aveva organizzato e presieduto la prima riunione dell’intesa, aveva assicurato la presidenza delle altre riunioni fino al 18 maggio 1994 (v. punto 120 della Decisione) e si era impegnato, nel corso di tutta la sua partecipazione all’intesa, ad assicurarne il buon funzionamento attirando l’attenzione degli altri partecipanti sulla necessità di discrezione sull’operato dell’intesa e illustrando alla Cerestar i meccanismi degli accordi tra i partecipanti allorché questa ha aderito all’intesa.
306 Per quanto riguarda l’ADM, la Commissione ha tenuto conto essenzialmente del ruolo determinante svolto dai suoi rappresentanti nella costituzione dell’intesa come partecipanti attivi durante il suo funzionamento (v. punto 299 supra).
307 Orbene, la Commissione ha validamente potuto considerare che il ruolo che l’ADM aveva svolto nel corso della fase iniziale dell’intensa era di gravità relativa quanto meno equivalente a quello del ruolo della HLR.
308 Di conseguenza, il motivo che deduce la violazione del principio di parità di trattamento va respinto.
D – Sulla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità nella misura in cui la Commissione si è discostata dalla sua prassi decisionale per quanto riguarda la percentuale di maggiorazione attribuita all’ADM
1. Argomenti delle parti
309 L’ADM sostiene che, quand’anche si accettasse il punto di vista della Commissione circa il ruolo svolto dall’ADM in seno all’intesa, la Decisione è affetta da violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità, poiché la Commissione si è discostata dalla sua prassi decisionale adottata in casi precedenti applicando, nella specie, una maggiorazione per «leadership» superiore al 25%.
310 Infatti – sostiene l’ADM – nei casi denominati «Traghettatori greci», «Extra di lega» nonché – in quelli precedenti agli orientamenti – «Cartoncino» e «Propilene», la Commissione ha applicato soltanto una maggiorazione del 20‑25%. Solo in presenza di una combinazione di circostanze aggravanti, comprendenti la «leadership», sarebbero appropriate maggiorazioni più rilevanti. Pertanto, nel caso «tubi preisolati», la Commissione ha imposto alla ABB una maggiorazione del 50% sanzionando allo stesso tempo più fattori.
311 La Commissione conclude per il rigetto dei motivi invocati.
2. Giudizio del Tribunale
312 Si deve ricordare che, nella fissazione dell’importo dell’ammenda, la Commissione dispone di un potere discrezionale (sentenza del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑150/89, Martinelli/Commissione, Racc. pag. II‑1165, point 59). Il fatto che la Commissione in passato abbia applicato, in presenza di circostanze aggravanti, una certa percentuale di maggiorazione delle ammende non può privarla del potere di aumentare tali percentuali entro i limiti indicati dal regolamento n. 17 e negli orientamenti, se ciò si rende necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza.
313 Là dove l’ADM deduce una violazione del principio di proporzionalità, si deve considerare che la Commissione, tenuto conto del fatto che deve fissare l’ammenda a un livello che garantisca sufficiente efficacia deterrente, non ha ecceduto il suo potere discrezionale affermando che il ruolo di leader svolto dall’ADM e dalla HLR nel quadro dell’intesa giustificava una maggiorazione del 35% dei rispettivi importi delle ammende da infliggere a queste due parti.
314 Laddove l’ADM deduce una violazione del principio di parità di trattamento, si deve ricordare che la prassi decisionale della Commissione non costituisce il fondamento giuridico per l’imposizione di ammende in materia di concorrenza, essendo questo costituito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.
315 Ciò considerato, si deve ancora ricordare che, nell’applicazione di tale disposizione a ciascun caso di specie, la Commissione è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, tra i quali figura il principio di parità di trattamento, quale interpretato dai giudici comunitari (v. punto 133 supra).
316 Per quanto riguarda i confronti operati dall’ADM con altre decisioni della Commissione rese in materia di ammende, va considerato che tali decisioni possono avere rilevanza con riferimento al rispetto del principio di parità di trattamento solo se viene dimostrato che i dati relativi alle circostanze dei casi cui le dette altre decisioni si riferiscono, come i mercati, i prodotti, i paesi, le imprese e i periodi interessati, sono comparabili con quelli di specie (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 13 gennaio 2004, causa T‑67/01, JCB Service/Commissione, Racc. pag. II‑49, punto 187).
317 Orbene, la ricorrente non ha fornito elementi sufficienti che consentano di concludere che tali condizioni erano riunite nel caso di specie. In particolare, si deve constatare che l’ADM non invoca decisioni contemporanee a quelle del caso «acido citrico». Ad ogni modo si deve sottolineare che la Commissione deve, al fine di stabilire l’importo dell’ammenda, badare al carattere dissuasivo della sua azione. Pertanto, in particolare nei casi di leader di un’intesa, anche un aumento considerevole del livello delle ammende inflitte a titolo di circostanze aggravanti potrebbe essere considerato giustificato al fine di assicurare il pieno rispetto delle regole della concorrenza.
318 Pertanto, i motivi che deducono la violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità vanno respinti.
E – Sulla violazione dell’obbligo di motivazione nella valutazione delle circostanze aggravanti
319 Secondo l’ADM, la motivazione della Decisione è insufficiente, perché non vi sarebbe indicato per quali ragioni la Commissione abbia ritenuto circostanze aggravanti nei suoi confronti e per quali ragioni abbia considerato necessario imporre una maggiorazione del 35%.
320 La Commissione ritiene di aver sufficientemente motivato la sua Decisione ai punti 263‑267.
321 Il Tribunale ricorda la giurisprudenza citata ai punti 117 e 118 supra e osserva che, nella specie, dai punti 263‑265 della Decisione risulta che la Commissione ha esposto gli elementi di valutazione sulla cui base ha considerato che l’ADM aveva svolto un ruolo di leader dell’intesa. Infatti, la Commissione, ha essenzialmente tenuto conto del ruolo importante che i rappresentanti di tale parte avevano svolto nella creazione dell’intesa e in quanto membri attivi di primo piano nel corso del suo funzionamento. Del resto, per quanto riguarda la rilevanza della maggiorazione applicata, dal punto 273 della Decisione risulta che la Commissione ha tenuto conto del fatto che altri partecipanti all’intesa avevano pure svolto attività solitamente associate a un ruolo di leader.
322 Ciò considerato, non può essere rimproverato alla Commissione di non aver fornito una motivazione sufficiente circa l’applicazione della maggiorazione del 35% applicata a titolo di circostanze aggravanti.
323 Di conseguenza, il motivo che deduce la violazione dell’obbligo di motivazione va respinto.
324 Tenuto conto di tutto quanto precede, si deve considerare che i motivi invocati dall’ADM circa la maggiorazione dell’importo dell’ammenda in ragione di circostanze aggravanti vanno respinti.
VI – Sulle circostanze attenuanti
A – Nota preliminare
325 Per quanto riguarda la valutazione da parte della Commissione delle circostanze attenuanti, l’ADM deduce errori di valutazione relativi, in primo luogo, alla cessazione della partecipazione all’intesa sin dai primi interventi delle autorità competenti, in secondo luogo, il fatto che non sia stato preso in considerazione il risarcimento danni e, in terzo luogo, l’adozione di un codice di condotta da parte dell’ADM.
B – Sulla cessazione della partecipazione all’intesa sin dai primi interventi delle autorità competenti
1. Argomenti delle parti
326 L’ADM invoca il fatto che, al punto 3, terzo trattino, degli orientamenti, la cessazione delle infrazioni sin dai primi interventi della Commissione è riconosciuta come circostanza attenuante, ma che, nella specie, non ne ha beneficiato.
327 Inoltre, essa sostiene che i fatti relativi al presente caso sono quasi del tutto identici a quelli all’origine del caso detto «degli aminoacidi» [decisione della Commissione 7 giugno 2000, 2001/418/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/36.545/F3 – Aminoacidi) (GU 2001, L 152, pag. 24; in prosieguo: il «caso degli aminoacidi»)], dove la Commissione avrebbe concesso una diminuzione dell’importo dell’ammenda del 10%. Fa del resto riferimento alla sentenza ABB Asea Brown Boveri/Commissione (punto 35 supra, punto 238), dove il Tribunale avrebbe giudicato che una riduzione dell’ammenda dovrebbe essere concessa alle imprese che avevano in precedenza collaborato con la Commissione per porre termine all’intesa.
328 Infine, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, esisterebbero casi in cui delle intese sono perdurate dopo l’intervento delle autorità competenti.
329 Da ciò l’ADM deduce che la Commissione è incorsa in una violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento.
330 La Commissione considera che il fatto di porre fine ad una intesa segreta allorché questa viene scoperta non merita alcuna ricompensa e non esiste pertanto alcun diritto a che di tale cessazione venga tenuto conto nella fissazione dell’importo dell’ammenda.
2. Giudizio del Tribunale
331 Il punto 3 degli orientamenti, intitolato «Circostanze attenuanti», prevede una riduzione dell’importo di base dell’ammenda qualora la Commissione si trovi in presenza di circostanze attenuanti particolari, come, per esempio, l’aver posto fine alle attività illecite sin dai primi interventi della Commissione (in particolare allo stadio degli accertamenti).
332 A questo riguardo, però, va innanzitutto ricordato che, al fine di istituire un mercato comune che presenti un alto grado di competitività, l’art. 3 CE prevede che l’azione della Comunità comporti un regime che assicuri che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno. L’art. 81, n. 1, CE, che vieta tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, costituisce uno dei principali strumenti che consentono l’attuazione del detto regime.
333 Si deve inoltre ricordare che spetta alla Commissione sia perseguire una politica generale intesa ad applicare in materia di concorrenza i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso i comportamenti delle imprese sia istruire e reprimere infrazioni individuali. Per questa ragione, la Commissione dispone del potere d’infliggere ammende alle imprese che, intenzionalmente o per negligenza, trasgrediscono l’art. 81, n. 1, CE (v., in tal senso, sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 47 supra, punto 105).
334 Da ciò consegue che per valutare la gravità di una infrazione, onde determinare l’importo dell’ammenda, la Commissione deve tener conto non solo delle circostanze particolari della fattispecie, ma anche del contesto in cui si colloca l’infrazione e curare che la sua azione abbia carattere dissuasivo (v., in tal senso, sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 47 supra, punto 106). Infatti, soltanto prendendo in considerazione tali aspetti è possibile garantire la piena efficacia dell’azione della Commissione per mantenere una concorrenza non falsata sul mercato comune.
335 Un’analisi puramente letterale della disposizione di cui al punto 3, terzo trattino, degli orientamenti potrebbe dare l’impressione che il semplice fatto che il contravventore cessi ogni infrazione fin dai primi interventi della Commissione costituisca in modo generale e senza riserve una circostanza attenuante. Orbene, siffatta interpretazione di detta disposizione sminuirebbe l’effetto utile delle disposizioni che consentono il mantenimento di una concorrenza efficace, perché affievolirebbe sia la sanzione che può essere imposta a seguito di una violazione dell’art. 81 CE, sia l’effetto dissuasivo di una siffatta sanzione.
336 Infatti, a differenza di altre circostanze attenuanti, tale circostanza non è inerente né alla peculiarità soggettiva del contravventore né ai fatti propri del caso di specie, dato che procede essenzialmente dall’intervento esterno della Commissione. La cessazione di una infrazione unicamente a seguito dell’intervento della Commissione non può pertanto essere assimilata ai meriti che derivano da una iniziativa autonoma da parte del contravventore, ma costituisce soltanto una reazione appropriata e normale al detto intervento. Inoltre, siffatta circostanza sancisce solo il ritorno del contravventore a un comportamento lecito e non contribuisce a rendere l’azione della Commissione più efficace. Infine, l’asserito carattere attenuante di tale circostanza non può giustificarsi con il semplice incentivo a porre fine all’infrazione che essa induce e ciò tanto più alla luce di quanto sopra constatato. Si deve rilevare a questo riguardo che la qualificazione come circostanza aggravante della continuazione di una infrazione dopo i primi interventi della Commissione (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑28/99, Sigma Tecnologie/Commissione, Racc. pag. II‑1845, punti 102 e segg.) costituisce già, giustamente, un incentivo a porre termine all’infrazione, che però, esattamente al contrario della circostanza attenuante di cui trattasi, non attenua né la sanzione né l’effetto dissuasivo di tale sanzione.
337 Infatti, il riconoscimento della cessazione di una infrazione sin dai primi interventi della Commissione come circostanza attenuante comprometterebbe ingiustificatamente l’effetto utile dell’art. 81, n. 1, CE, a causa dell’attenuazione non solo della sanzione ma anche dell’effetto dissuasivo della sanzione. Di conseguenza, la Commissione non poteva imporre a se stessa di considerare la mera cessazione dell’infrazione sin dai suoi primi interventi come circostanza attenuante. Si deve pertanto interpretare restrittivamente la disposizione di cui al punto 3, terzo trattino, degli orientamenti, in modo da non contrastare l’effetto utile dell’art. 81, n. 1, CE.
338 Si deve di conseguenza interpretare tale disposizione nel senso che solo le circostanze particolari del caso di specie, nelle quali l’ipotesi della cessazione dell’infrazione fin dai primi interventi della Commissione viene a concretizzarsi, potrebbero giustificare che tale circostanza venga presa in considerazione come circostanza attenuante (v., in tal senso, sentenza ABB Asea Brown Boveri/Commissione, punto 35 supra, punto 213). La ricorrente sostiene pertanto a torto che nella Decisione la Commissione sia incorsa in illegittimità perché, conformemente agli orientamenti, avrebbe dovuto prendere in considerazione d’ufficio la cessazione dell’infrazione da parte della ricorrente sin dai suoi primi interventi.
339 Tuttavia, l’illegittimità invocata dalla ricorrente potrebbe essere interpretata nel senso che ha ad oggetto il fatto che non sia stata presa in considerazione la cessazione della sua infrazione nel contesto particolare del caso di specie.
340 Nel caso di specie si deve pertanto ricordare che l’infrazione di cui trattasi verte su un’intesa segreta, avente ad oggetto una fissazione dei prezzi ed una ripartizione dei mercati. Questo tipo di intesa è espressamente vietata dall’art. 81, n. 1, lett. a) e c), CE e costituisce una infrazione particolarmente grave. Le parti dovevano pertanto essere consapevoli dell’illiceità del loro comportamento. Il carattere segreto dell’intesa conferma il fatto che le parti erano consapevoli dell’illiceità del loro comportamento. Di conseguenza, il Tribunale ritiene che non sussista alcun dubbio che tale infrazione sia stata commessa intenzionalmente dalle parti in causa.
341 Orbene, il Tribunale ha già espressamente considerato che la cessazione di una infrazione commessa intenzionalmente non può essere considerata una circostanza attenuante quando è stata determinata dall’intervento della Commissione (sentenze del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑156/94, Aristrain/Commissione, Racc. pag. II‑645, punto 138, e causa T‑157/94, Ensidesa/Commissione, Racc. pag. II‑707, punto 498).
342 Alla luce di quanto precede, il Tribunale ritiene che, nella specie, il fatto che l’ADM abbia posto termine all’infrazione a seguito del primo intervento di una autorità della concorrenza non sia tale da costituire circostanza attenuante.
343 Questa conclusione non è inficiata dalla circostanza che, nella specie, l’ADM ha posto termine alle pratiche anticoncorrenziali di cui trattasi a seguito dell’intervento delle autorità americane e non della Commissione (v. punti 128 e 193 della Decisione). Infatti, la circostanza che l’ADM abbia cessato ogni infrazione sin dai primi interventi delle autorità americane della concorrenza non rende tale cessazione deliberata più di quanto lo sarebbe stata se fosse avvenuta sin dai primi interventi della Commissione.
344 A sostegno della sua argomentazione l’ADM invoca altresì la sentenza ABB Asea Brown Boveri/Commissione (punto 35 supra, punto 238), in quanto il Tribunale avrebbe ivi giudicato che una riduzione dell’ammenda doveva essere concessa alle imprese che avevano in precedenza collaborato con la Commissione per porre termine all’intesa. È sufficiente a questo proposito sottolineare che questa sentenza non consente di concludere che il fatto che la ricorrente abbia posto termine all’infrazione sin dai primi interventi di un’autorità della concorrenza costituisca in tutti i casi una circostanza attenuante. Inoltre, nel passo invocato dall’ADM, la sentenza enuncia il principio secondo il quale, qualora il comportamento dell’impresa incriminata abbia consentito alla Commissione di constatare una infrazione con meno difficoltà e, se del caso, di porvi termine, tale circostanza deve essere presa in considerazione. Orbene, tale circostanza implica una iniziativa dell’impresa incriminata che va oltre la mera cessazione dell’infrazione a seguito dell’intervento della Commissione. Di conseguenza, tale giurisprudenza non rimette in discussione l’analisi qui sopra ripresa.
345 Per quanto riguarda il caso aminoacidi (v. punto 327 supra), invocato dall’ADM per dimostrare la violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità, il Tribunale considera innanzi tutto che una prassi amministrativa non può essere costruita a partire da un singolo caso. Inoltre si deve ricordare che il solo fatto che la Commissione abbia valutato, nell’ambito della sua precedente prassi decisionale, un comportamento in un certo modo non vuol dire che sia obbligata a effettuare la medesima valutazione in occasione dell’adozione di una successiva Decisione (v., per analogia, sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punto 357; Mayr-Melnhof, punto 180 supra, punto 368, e LR AF 1998/Commissione, punto 41 supra, punti 234 e 337). Infine, e comunque, il Tribunale considera che detto caso non è tale da rimettere in discussione né l’analisi che discende da uno degli obiettivi strategici della Comunità qui sopra ripresa, né la giurisprudenza cui hanno dato luogo le sentenze Aristrain/Commissione e Ensidesa/Commissione, punto 341 supra, in quanto traduce solo la valutazione della Commissione.
346 Pertanto, per le ragioni che precedono, il fatto che nella specie non sia stato tenuto conto della cessazione dell’infrazione fin dai primi interventi delle autorità americane della concorrenza come circostanza attenuante non può essere considerato inficiato da errore.
C – Sul fatto che non sia stato preso in considerazione il risarcimento danni
1. Argomenti delle parti
347 L’ADM stima a circa USD 15,7 milioni il risarcimento dei danni che ha pagato ad acquirenti diversi da quelli degli Stati Uniti. Essa ritiene che, di questo importo, una somma compresa tra i 6,8 e gli 11,7 milioni di USD si riferisca ad acquisti effettuati nell’Unione europea. L’ADM considera che la Commissione ha dichiarato a torto di non essere tenuta a prendere in considerazione il risarcimento dei danni pagati a seguito di azioni civili (punto 335 della Decisione). Secondo l’ADM, la Commissione avrebbe dovuto tenerne conto a titolo di circostanza attenuante.
348 La Commissione conclude per il rigetto di tale motivo.
2. Giudizio del Tribunale
349 I pagamenti invocati dall’ADM come circostanza attenuante riguardano i risarcimenti danni che l’ADM ha pagato ad acquirenti diversi da quelli degli Stati Uniti, una parte dei quali riguarderebbe acquisti effettuati nell’Unione europea. Siccome la condanna dell’ADM negli Stati Uniti comprende il pagamento di risarcimento danni tripli, gli indennizzi pagati dall’ADM includono potenzialmente non solo un mero risarcimento, ma anche una sanzione.
350 Nella misura in cui tale indennizzo costituisce una sanzione (risarcimento danni tripli), il Tribunale ritiene che il pagamento di siffatto risarcimento non costituisca una circostanza attenuante che la Commissione doveva prendere in considerazione nella specie. Infatti, il pagamento da parte dell’ADM di una sanzione negli Stati Uniti è solo la conseguenza dei procedimenti istituiti negli Stati Uniti. Il pagamento di tale sanzione non si riferisce ad una situazione particolare dell’ADM e non si ricollega sufficientemente ai fatti di cui la Commissione deve prendere conoscenza. Pertanto, il pagamento di tale sanzione non può rimettere in discussione l’effettività e la gravità dell’infrazione commessa.
351 Per quanto riguarda l’argomento secondo il quale gli indennizzi di cui trattasi costituiscono un risarcimento degli acquirenti dell’Unione europea, il Tribunale ritiene che i procedimenti qui in considerazione e i pagamenti richiesti dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità americane, dall’altro, non perseguono con tutta evidenza i medesimi obiettivi. Se, nel primo caso, la Commissione, tramite un’ammenda, mira a sanzionare la violazione del diritto della concorrenza nella Comunità o nel SEE, nel secondo caso, le autorità americane mirano a indennizzare le vittime dei comportamenti illeciti dell’ADM. Il pagamento di tali danni non presenta pertanto un collegamento sufficiente con i fatti di cui la Commissione deve prendere conoscenza.
352 Di conseguenza, la Commissione non era tenuta a prendere in considerazione, all’atto della fissazione dell’importo dell’ammenda, la circostanza secondo la quale l’ADM aveva già pagato risarcimento danni nel contesto delle azioni promosse negli Stati Uniti.
353 L’ADM considera tuttavia che, non tenendo conto dei risarcimenti versati ad acquirenti di acido citrico stabiliti nel SEE come circostanza attenuante, la Commissione viola il principio di parità di trattamento in quanto si discosta dalla prassi da lei seguita in casi analoghi.
354 Il Tribunale rileva a questo riguardo che l’ADM basa l’esistenza di una siffatta prassi su un solo caso, cioè il caso «Tubi preisolati» [decisione della Commissione 21 ottobre 1998, 1999/60/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo [81] del trattato CE (caso IV/35.691/E‑4 – Tubi preisolati) (GU 1999, L 24, pag. 1)]. Orbene, il fatto che sia stato invocato un solo caso non consente di dimostrare l’esistenza di una prassi della Commissione e la prova dell’ADM della similarità tra i due casi fa difetto. Infatti, l’ADM non dimostra assolutamente sotto quale aspetto il suo risarcimento sarebbe nella specie della stessa natura di quello oggetto del citato caso, cioè determinante e limitato a uno dei produttori del settore e al suo proprietario. Inoltre come ricordato al punto 345, supra, il mero fatto che la Commissione abbia valutato, nell’ambito della sua precedente prassi decisionale, un comportamento in un certo modo non vuole assolutamente dire che sia obbligata ad effettuare la medesima valutazione in occasione dell’adozione di una successiva Decisione.
355 Pertanto, la censura che deduce la violazione del principio di parità di trattamento, in quanto la Decisione si discosterebbe dalla prassi secondo la quale il risarcimento dei danni pagato ad acquirenti del mercato rilevante costituirebbe una circostanza attenuante, va respinta.
D – Sull’adozione di un codice di comportamento da parte dell’ADM
1. Argomenti delle parti
356 L’ADM sostiene che la Commissione avrebbe dovuto tenere conto in occasione del calcolo dell’ammenda dell’attuazione in seno all’ADM di un programma rigoroso e permanente di adeguamento alle regole della concorrenza implicante, tra l’altro, l’adozione di un codice di comportamento rivolto a tutti i collaboratori dell’impresa e la creazione di un ufficio specializzato.
357 Inoltre l’adozione di un programma di adeguamento alle regole di concorrenza, l’istituzione di una nuova direzione e il licenziamento dei quadri superiori implicati nell’infrazione dimostrerebbero un ravvedimento sincero dell’impresa. Del resto, l’ADM sottolinea che fino a quel momento non era stata oggetto di alcun rilievo negativo ai sensi del diritto comunitario della concorrenza. L’ADM da ciò deduce che la Commissione è incorsa in violazione del principio di proporzionalità.
358 La Commissione conclude per il rigetto di tale motivo.
2. Giudizio del Tribunale
359 Per quanto riguarda l’attuazione di un programma di adeguamento alle regole della concorrenza, è stato già giudicato che, se è certamente importante che una impresa adotti provvedimenti per impedire che in futuro siano commesse da parte di propri collaboratori nuove infrazioni al diritto comunitario della concorrenza, l’adozione di siffatti provvedimenti non muta affatto la realtà dell’infrazione constatata. La Commissione non è pertanto tenuta a considerare un siffatto elemento come circostanza attenuante, tanto più qualora l’infrazione di cui trattasi costituisca, come nella specie, una palese violazione dell’art. 81, n. 1, CE (sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 41 supra, punto 373; Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 41 supra, punti 280 e 281, e ABB Asea Brown Boveri/Commissione, punto 35 supra, punto 221).
360 Anche questo motivo pertanto respinto.
VII – Sulla cooperazione dell’ADM durante la fase amministrativa del procedimento
A – Introduzione
361 Quattro sono i motivi che l’ADM in sostanza deduce in merito alla sua cooperazione durante la fase amministrativa del procedimento. In primo luogo, deduce la violazione della comunicazione sulla cooperazione, con conseguente violazione del principio di legittimo affidamento, in quanto la Commissione non ha constatato che l’ADM sarebbe stata la prima a fornire elementi determinanti per dimostrare l’esistenza dell’intesa. In secondo luogo, deduce la violazione del principio di legittimo affidamento, in quanto la Commissione avrebbe ingenerato nell’ADM fondate aspettative che le avrebbe applicato il punto B della comunicazione sulla cooperazione. In terzo luogo, sostiene che la Commissione ha violato il principio di parità di trattamento, in quanto ha riservato all’ADM e alla Cerestar un trattamento differente. In quarto luogo, considera che la Commissione ha violato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, in quanto ha limitato la riduzione dell’ammenda al 50%.
362 Prima di valutare la fondatezza di tali motivi, occorre riassumere la valutazione della Commissione circa la cooperazione delle imprese durante la fase amministrativa del procedimento, quale risulta dai punti 294‑326 della Decisione.
363 In primo luogo, in applicazione del punto B della comunicazione sulla cooperazione (v. punto 6 supra), la Commissione ha consentito alla Cerestar una «notevole riduzione», del 90%, dell’importo dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione. In questo contesto, la Commissione ha riconosciuto che la Cerestar era stata la prima impresa a fornire elementi determinanti per dimostrare l’esistenza dell’intesa nel corso di una riunione con gli uffici della Commissione del 29 ottobre 1998. Essa aggiunge che le «informazioni fornite dalla [Cerestar nel corso della] riunione del 29 ottobre 1998, che corrispondono a quelle fornite successivamente nella dichiarazione scritta del 25 marzo 1999, erano sufficienti per stabilire l’esistenza del cartello e sono state comunicate alla Commissione prima che l’ADM trasmettesse a sua volta i suoi dati» (punto 306 della Decisione). La Commissione ha quindi respinto gli argomenti dell’ADM secondo i quali questa soddisfaceva le condizioni previste al punto B della medesima comunicazione per beneficiare di una «notevole riduzione» dell’importo dell’ammenda, aggiungendo «che l’ADM era un leader del cartello» (punti 305‑308 della Decisione).
364 Inoltre, in applicazione del punto D di tale comunicazione, la Commissione ha consentito all’ADM una «riduzione importante», del 50%, dell’importo dell’ammenda. In questo contesto, la Commissione ha tenuto conto del fatto che, nel corso di una riunione tenutasi l’11 dicembre 1998, l’ADM le aveva fatto un resoconto orale dell’intesa e che il 15 gennaio 1999, le aveva trasmesso una dichiarazione scritta nella quale confermava i termini di tale resoconto. La Commissione ha riconosciuto che «le informazioni fornite dall’ADM erano dettagliate e che sono state quindi ampiamente utilizzate per lo svolgimento dell’indagine». Infatti, unitamente a quelle ottenute dalla Cerestar, tali informazioni sarebbero servite a redigere le richieste di informazione che hanno contribuito in misura notevole a indurre le altre parti interessate ad ammettere la loro partecipazione all’intesa. La Commissione ha inoltre osservato «che l’ADM le ha procurato documenti dell’epoca dell’infrazione, inclusi appunti manoscritti presi durante le riunioni e istruzioni sui prezzi legati a decisioni adottate dal cartello» (punti 312‑315 della Decisione).
B – Sulla circostanza che l’ADM sarebbe stata la prima a fornire elementi determinanti per dimostrare l’esistenza dell’intesa
1. Argomenti delle parti
365 L’ADM considera che la Commissione ha omesso di applicare correttamente la sua comunicazione sulla cooperazione, violando così il principio del legittimo affidamento. Essa sostiene che la riduzione del 50% dell’importo dell’ammenda inflittale, concessale ai sensi delle disposizioni del punto D della comunicazione sulla cooperazione, è insufficiente. A suo avviso, contrariamente a quanto la Commissione ha rilevato al punto 308 della Decisione, l’ADM è stata la prima a fornire elementi determinanti per dimostrare l’esistenza dell’intesa ai sensi del punto B, lett. b), della comunicazione sulla cooperazione. Per contro, contrariamente a quanto la Commissione avrebbe ritenuto al punto 305 della Decisione, le prove fornite dalla Cerestar nel corso della riunione intervenuta il 29 ottobre 1998 con gli uffici della Commissione non sarebbero state determinanti ai sensi della detta disposizione della comunicazione sulla cooperazione.
366 Infatti, in primo luogo, nessuna informazione in merito all’intesa sarebbe stata fornita dalla Cerestar prima del 12 maggio 1992, data alla quale questa ha iniziato ad esservi implicata. La conoscenza che la Commissione ha avuto dell’intesa nel periodo che precede il 12 maggio 1992 sarebbe stata dovuta alle informazioni fornite innanzitutto dall’ADM.
367 In secondo luogo, la dichiarazione fornita dalla Cerestar il 18 marzo 1999 non sarebbe stata né concludente né precisa circa le date delle riunioni e i partecipanti dell’intesa. Essa avrebbe individuato 32 riunioni che si sarebbero tenute in date differenti tra il 14 novembre 1991 (prima dell’adesione della Cerestar all’intesa) e il 17 luglio 1996 (ben dopo lo scioglimento dell’intesa). Essa avrebbe dichiarato che nove di tali riunioni erano riunioni dell’intesa che avevano sicuramente avuto luogo, otto erano riunioni «possibili» e quindici non erano riunioni dell’intesa o «[sarebbe stato] sempre meno probabile che lo fossero». L’identità dei partecipanti sarebbe stata fornita per tre delle 17 riunioni che si erano rivelate essere riunioni «certe» o «possibili» dell’intesa. Sei delle riunioni così individuate non avrebbero in realtà mai avuto luogo stando alle testimonianze delle altre parti interessate e alle constatazioni della Commissione.
368 In terzo luogo, la Cerestar avrebbe successivamente riconosciuto, in una lettera indirizzata alla Commissione il 7 maggio 1999, che talune riunioni così individuate in realtà, dopo più ampio esame, non avevano mai avuto luogo.
369 In quarto luogo, la dichiarazione della Cerestar sarebbe vaga e poco concludente circa l’oggetto delle riunioni. Nessun dato preciso sarebbe stato fornito circa i prezzi e le quote (al di fuori delle quote fissate per la Cerestar stessa).
370 In quinto luogo, non risulterebbe in modo chiaro se, alla stregua dell’ADM, la Cerestar abbia fornito alla Commissione una prova sotto forma di una testimonianza di prima mano. Tuttavia, la Cerestar avrebbe ritenuto necessario sviluppare e chiarire la sua dichiarazione orale del 29 ottobre 1998.
371 In sesto luogo, la Cerestar stessa sarebbe stata oggetto di una più dettagliata richiesta di informazioni della Commissione, datata 3 marzo 1999, fondata sulle conclusioni dell’ADM. La Cerestar, prima di comunicare alla Commissione la sua dichiarazione finale del 25 marzo 1999 (datata 18 marzo 1999), avrebbe avuto l’occasione di esaminare la richiesta di informazione, che si sarebbe riferita a date e luoghi determinati di riunioni e avrebbe avuto come base la cooperazione dell’ADM.
372 Per contro – sostiene l’ADM – le prove da lei fornite sono state concludenti. Infatti, sottolinea l’ADM, nel corso della riunione dell’11 dicembre 1998, essa ha fornito alla Commissione una testimonianza di prima mano, una prova documentaria coeva nonché documenti probatori che dimostrano il quadro e l’attuazione dell’accordo che organizza l’intesa. Gli elementi di prova prodotti dall’ADM avrebbero fornito numerosi dettagli precisi circa le riunioni, i partecipanti, i meccanismi di compensazione e di controllo, i prezzi e le quote, come avrebbe riconosciuto la stessa Commissione nei punti 313 e 314 della Decisione.
373 La Commissione conclude per il rigetto dei motivi invocati.
2. Giudizio del Tribunale
374 Il punto B della comunicazione sulla cooperazione, intitolata «Non imposizione o notevole riduzione delle ammende», dispone:
«L’impresa la quale
a) denunci l’intesa segreta alla Commissione prima che quest’ultima abbia proceduto ad un accertamento, previa Decisione, presso imprese partecipanti all’intesa e senza che essa già disponga di informazioni sufficienti per dimostrare l’esistenza dell’intesa denunciata;
b) sia la prima a fornire elementi determinanti ai fini della prova dell’esistenza dell’intesa;
c) abbia cessato di partecipare all’attività illecita al più tardi al momento in cui denuncia l’intesa;
d) fornisca alla Commissione tutte le informazioni utili, nonché tutti i documenti e gli elementi probatori di cui dispone riguardante l’intesa e assicuri una permanente e totale cooperazione per tutto il corso dell’indagine;
e) non abbia costretto un’altra impresa a partecipare all’intesa ne abbia svolto un ruolo di iniziazione o determinante nell’attività illecita,
beneficia di una riduzione pari almeno al 75% dell’ammontare dell’ammenda, che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione, o della totale non imposizione della medesima».
375 Dalla formulazione del punto B della comunicazione sulla cooperazione risulta che un’impresa può beneficiare di una notevole riduzione dell’ammenda, o di una non imposizione dell’ammenda, ai sensi di tale punto se soddisfa cumulativamente tutte le condizioni previste al punto B, lett. a)‑ e), di tale comunicazione.
376 Nella specie, basta constatare, come rilevato dalla Commissione al punto 308 della Decisione, che l’ADM non poteva comunque beneficiare di una riduzione dell’ammenda, o di una non imposizione dell’ammenda, in virtù del punto B della comunicazione sulla cooperazione. Infatti, l’ADM non integrava una delle condizioni cumulative ivi previste, cioè quella del punto B, lett. e), secondo la quale non può beneficiare di una siffatta riduzione, o di una non imposizione dell’ammenda, un’impresa che, in particolare, ha svolto un ruolo «di iniziazione o determinante nell’attività illecita».
377 Orbene, come è stato giudicato supra al punto 302, la Commissione non è incorsa in errore manifesto di valutazione nel considerare che l’ADM avesse svolto un ruolo leader nell’intesa. Anche se la comunicazione sulla cooperazione, gli orientamenti e la Decisione non usano, a questo riguardo, termini identici, dalla ratio del punto B, lett. e), della comunicazione sulla cooperazione risulta che la Commissione non concede una riduzione notevole dell’ammenda, o la non imposizione della stessa, quando la parte interessata ha svolto un ruolo particolarmente determinante in seno all’intesa, quale il ruolo di leader, di iniziatore o di istigatore.
378 Si deve pertanto constatare che i motivi che deducono la violazione della comunicazione sulla cooperazione nonché il principio del legittimo affidamento in quanto l’ADM è stata la prima a fornire elementi determinanti per dimostrare l’esistenza dell’intesa sono inoperanti, senza che si renda necessario esaminare se la Commissione abbia a ragione considerato che fosse stata la Cerestar a fornire per prima informazioni determinanti per stabilire l’esistenza dell’intesa.
379 Di conseguenza, i motivi che deducono la violazione della comunicazione sulla cooperazione e del principio del legittimo affidamento vanno respinti.
C – Sulla violazione del principio di legittimo affidamento
1. Argomenti delle parti
380 L’ADM sostiene che, nel corso di varie riunioni con gli uffici della Commissione e nella corrispondenza precedente e successiva all’11 dicembre 1998, data di presentazione degli elementi di prova da parte dell’ADM, la Commissione ha confermato che l’ADM era stata la prima a cooperare con lei ai sensi del punto B della comunicazione sulla cooperazione.
381 Infatti, nel corso di una riunione tenutasi il 10 dicembre 1998 tra l’ADM, il suo consulente legale e gli uffici della Commissione, il capo unità incaricato del caso avrebbe confermato all’ADM che questa era la prima a cooperare, come risulterebbe dal resoconto redatto dal consulente legale dell’ADM in pari data. Inoltre, nella lettera del 19 gennaio 1999, la Commissione si sarebbe riferita al punto B della comunicazione sulla cooperazione. Nella sua risposta il consulente dell’ADM avrebbe confermato tale punto. Infine, nella lettera del 5 febbraio 1999, la Commissione si sarebbe nuovamente riferita al punto B, lett. b), della detta comunicazione.
382 Orbene – sostiene l’ADM – al punto 308 della Decisione, la Commissione ha modificato la sua valutazione della cooperazione dell’ADM mentre, nel corso della fase amministrativa del procedimento, questa si era fidata delle dichiarazioni della Commissione sottoponendole gli elementi di prova l’11 dicembre 1998 e nel corso della sua successiva cooperazione, continua e senza riserve con la Commissione. Ciò considerato, a parere dell’ADM, si deve concludere che la Commissione ha violato il principio del rispetto del legittimo affidamento.
383 La Commissione conclude per il rigetto del motivo invocato.
2. Giudizio del Tribunale
384 Il diritto di pretendere la tutela del legittimo affidamento, che costituisce un principio generale del diritto comunitario, si estende a qualsiasi privato che si trovi in una situazione nella quale risulta che l’amministrazione comunitaria, fornendogli assicurazioni precise, ha ingenerato in lui fondate aspettative (sentenza della Corte 11 marzo 1987, causa 265/85, Van den Bergh en Jurgens/Commissione, Racc. pag. 1155, punto 44, e sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T-220/00, Cheil Jedang/Commissione, Racc. p. II‑2473, punto 33).
385 Si deve esaminare se, come sostenuto dall’ADM, la Commissione le ha fornito assicurazioni precise nel senso che le avrebbe riconosciuto il beneficio di una riduzione dell’ammenda in applicazione del punto B della comunicazione sulla cooperazione.
386 In primo luogo, da tali appunti manoscritti redatti dall’avvocato dell’ADM nel corso della riunione del 10 dicembre 1998 tenutasi tra i rappresentanti dell’ADM e gli uffici della Commissione sembra risultare che un funzionario della Commissione abbia detto in tale occasione che l’ADM era la prima a cooperare con lei nell’ambito del caso «acido citrico» («[Nome del funzionario] ha confermato che noi eravamo i primi collaboratori per quanto riguarda il caso acido citrico»). Anche se tale frase sembra effettivamente andare nel senso indicato dall’ADM, essa non è tuttavia così esplicita come l’ADM vorrebbe far credere.
387 In secondo luogo, in una lettera indirizzata il 19 gennaio 1999 all’avvocato dell’ADM, riferendosi alla riunione dell’11 dicembre 1998, il capo unità incaricato del caso ha rilevato quanto segue:
«Nel corso della riunione la [ADM] ha acconsentito, facendo seguito ad un’approfondita discussione a tal riguardo, [a] fornire alla Commissione una dichiarazione scritta contenente tutte le informazioni di cui disponeva (...) circa l’intesa illecita sul mercato dell’acido citrico cui essa [aveva] partecipato, integrando le condizioni previste dalla [comunicazione sulla cooperazione] e più particolarmente nel [punto B, lett. d)]».
388 Alla fine di tale lettera, il capo unità preposto al caso ha reiterato «l’importanza della condizione prevista nel [punto B, lett. d)] della [comunicazione sulla cooperazione]».
389 Nella risposta 1° febbraio 1999, l’avvocato dell’ADM ha confermato «che il [suo] cliente [aveva] l’intenzione di mantenere una cooperazione stabile e piena, conformemente al [punto B, lett. d)] della [comunicazione sulla cooperazione]».
390 Infine, nella lettera 5 febbraio 1999 indirizzata all’avvocato dell’ADM, facendo riferimento al memorandum che aveva trasmesso alla Commissione il 15 gennaio 1999, il capo unità incaricato del caso ha rilevato quanto segue:
«[L’]insieme dell’oggetto della vostra offerta volontaria di cooperazione fatta alla Commissione, al titolo della comunicazione sulla [cooperazione], consiste nel fatto che gli elementi forniti si presentano sotto una forma che costituiscono una prova (determinante) nei confronti degli altri partecipanti in seno all’intesa».
391 Da quanto precede consegue che la Commissione ha effettivamente cercato di incitare le parti interessate a cooperare con lei nel modo più completo possibile rendendo loro tale attività il più attraente possibile, tramite il riferimento al punto B della comunicazione sulla cooperazione.
392 In questo contesto, la Commissione ha segnalato all’ADM che, in linea di principio, l’ADM poteva essere «presa in considerazione» per una riduzione notevole dell’ammenda in applicazione del punto B della comunicazione sulla cooperazione e si è impegnata ad esaminare i documenti sottopostile dall’ADM per verificare se questa soddisfaceva effettivamente i criteri ivi previsti, in particolare quelli previsti al punto B, lett. d).
393 Per contro, in tutte le lettere che hanno preceduto l’invio della comunicazione degli addebiti e l’adozione della Decisione, la Commissione non ha fornito – né del resto poteva fornire – alcuna precisa assicurazione nel senso che le avrebbe concesso il beneficio della riduzione dell’ammenda in applicazione del punto B della comunicazione sulla cooperazione.
394 Orbene, solo sulla base di una valutazione dell’insieme delle informazioni sottopostele dalle imprese nel corso della fase amministrativa del procedimento, la Commissione può decidere se una delle dette imprese può fruire di una riduzione dell’ammenda in applicazione del punto B della comunicazione sulla cooperazione, come del resto sottolineato dalla Commissione senza ambiguità al punto 159 della comunicazione degli addebiti.
395 Di conseguenza, il motivo che deduce la violazione del principio di legittimo affidamento va respinto.
D – Sulla violazione del principio di parità di trattamento in quanto la Commissione ha riservato all’ADM e alla Cerestar un trattamento differente
1. Argomenti delle parti
396 Secondo l’ADM, il diverso trattamento riservato alla Cerestar e a lei viola il principio di parità di trattamento, dal momento che lei stessa e la Cerestar hanno cooperato in circostanze simili, nella medesima fase del procedimento e durante il medesimo periodo.
397 Infatti, secondo l’ADM, le due parti hanno cooperato a seguito della richiesta di informazioni rivolta dalla Commissione a tutti i produttori nel giugno‑luglio 1998, senza che nessuna delle due avesse conoscenza della cooperazione dell’altra e, per quanto riguarda il periodo durante il quale si colloca la cooperazione, cioè dall’iniziale ammissione della partecipazione all’intesa fino all’invio alla Commissione di una completa dichiarazione scritta, la cooperazione dell’ADM si è sviluppata per un periodo analogo ed è iniziata e si è conclusa prima di quella della Cerestar.
398 Orbene – ricorda l’ADM – nella sentenza 13 dicembre 2001, cause riunite T‑45/98 e T‑47/98, Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione (Racc. pag. II‑3757, punti 246‑248), il Tribunale ha giudicato che la valutazione del grado di cooperazione fornita dalle imprese non può dipendere da fattori puramente casuali, quali l’ordine nel quale esse vengono interrogate dalla Commissione. Tale sarebbe stato tuttavia il caso nella specie. Infatti – sottolinea l’ADM – la data alla quale le società considerate hanno concordato con la Commissione la data di un incontro per fornire a questa un resoconto orale dell’intesa è data da un fattore puramente aleatorio. L’ADM non dovrebbe, a suo avviso, subire sotto questo profilo pregiudizi a causa del lungo lasso di tempo da lei impiegato per procedere ad approfondite ricerche documentarie negli Stati Uniti e fornire così alla Commissione testimonianze dirette affinché questa potesse avere a disposizione elementi determinanti per dimostrare l’esistenza dell’intesa, secondo la formulazione del punto B, lett. b), della comunicazione sulla cooperazione. Le rettifiche, le dichiarazioni riformulate e le informazioni supplementari comunicate dalla Cerestar dimostrerebbero la fondatezza della preoccupazione dell’ADM di fornire alla Commissione informazioni precise, dettagliate e copiose.
399 La Commissione conclude per il rigetto del motivo.
2. Giudizio del Tribunale
400 L’argomento dell’ADM è essenzialmente basato sui principi elaborati dal Tribunale ai punti 238‑248 della sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, punto 398 supra. Si deve a questo proposito ricordare che in questa sentenza come, del resto, nella sentenza 13 dicembre 2001, causa T‑48/98, Acerinox/Commissione (Racc. pag. II‑3859, punti 132‑141), il Tribunale ha esaminato l’applicazione da parte della Commissione del punto D della comunicazione sulla cooperazione. Esso ha, in sostanza, giudicato che, a meno che non si entri in conflitto con il principio di parità di trattamento, la comunicazione sulla cooperazione deve essere applicata nel senso che, nella riduzione delle ammende, la Commissione deve trattare allo stesso modo le imprese che forniscono alla Commissione nella medesima fase del procedimento e in circostanze analoghe informazioni simili circa i fatti loro addebitati. Il Tribunale ha aggiunto che la sola circostanza che una di queste imprese abbia riconosciuto i fatti imputati rispondendo per prima alle domande poste dalla Commissione nella medesima fase del procedimento non può costituire una ragione obiettiva per riservarle un trattamento differenziato.
401 Si deve constatare che, in queste altre cause e a differenza del caso di specie, era pacifico che la cooperazione delle imprese interessate non rientrava nell’ambito di applicazione dei punti B e C della comunicazione sulla cooperazione. Come risulta dal punto 219 della sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, punto 398 supra, la Commissione ha applicato a tutte le imprese interessate dalla Decisione impugnata le disposizioni del punto D di tale comunicazione. Le suddette cause sollevavano pertanto unicamente la questione se la Commissione, nel riservare alle ricorrenti, nell’ambito del margine discrezionale di cui dispone nell’applicazione del punto D di tale comunicazione, un trattamento diverso rispetto a quello concesso ad un’altra impresa interessata, sia incorsa in una violazione del principio di parità di trattamento.
402 Per contro, nel caso di specie, l’ADM cerca, in sostanza, di dimostrare che la Cerestar è stata la prima ad essere stata invitata a cooperare con la Commissione proprio a motivo di fattori puramente casuali e che per tale ragione alla Cerestar è stata attribuita una riduzione in applicazione del punto B della comunicazione sulla cooperazione. L’ADM lascia intendere che se avesse concordato per prima una data per incontrare la Commissione e fornirle una descrizione dell’intesa, avrebbe potuto beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda più consistente quanto meno in applicazione del punto C di tale comunicazione, poiché avrebbe potuto essere lei la prima a fornire le informazioni trasmesse dalla Cerestar. L’ADM non invoca pertanto la giurisprudenza derivante dalla sentenza Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, punto 398 supra, per dimostrare che la Commissione le ha applicato il punto D della comunicazione sulla cooperazione in modo discriminatorio rispetto agli altri partecipanti all’intesa.
403 Orbene, si deve osservare che, contrariamente ai punti B e C della comunicazione sulla cooperazione, il punto D di questa non prevede un trattamento diverso per le imprese interessate in funzione dell’ordine secondo il quale queste cooperano con la Commissione. Di conseguenza, nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze Krupp Thyssen Stainless e Acciai speciali Terni/Commissione, punto 398 supra, e Acerinox/Commissione, punto 400 supra, la Commissione ha tenuto conto di questo elemento senza che fosse espressamente previsto nel punto D della detta comunicazione.
404 Ciò considerato, anche se la Commissione, per assicurare il successo del regime di cooperazione delle imprese interessate in materia di intese segrete, deve disporre di un ampio margine discrezionale nell’organizzazione del procedimento, resta ciò nondimeno che non può agire in modo arbitrario.
405 Va a questo proposito rilevato che ai punti 54 e 55 della Decisione, la Commissione ha affermato che, a seguito dell’intervento delle autorità americane nel settore dell’acido citrico, nell’agosto del 1997 la Commissione ha inviato richieste di informazione ai quattro produttori più importanti di acido citrico della Comunità. Rispondendo a un quesito scritto del Tribunale, la Commissione ha confermato che la detta richiesta è stata, tra l’altro, inviata all’ADM. Nel giugno‑luglio 1998 sono state inviate ai principali produttori di acido citrico della Comunità, tra cui l’ADM, richieste di informazioni supplementari. Inoltre, una prima richiesta di informazioni è stata rivolta alla Cerestar. L’invio di queste ultime richieste di informazioni è confermato tanto dalla Commissione nella sua risposta ai quesiti rivoltile dal Tribunale come pure dall’ADM stessa (v. punto 397 supra). Proprio a seguito di quest’ultima richiesta di informazioni la Cerestar ha chiesto un incontro con la Commissione il 29 ottobre 1998 nel corso del quale ha dichiarato di voler collaborare con la Commissione e ha fornito elementi sull’esistenza di un’intesa che riguardava il SEE nel settore dell’acido citrico. Pertanto, non può essere rimproverato alla Commissione di aver agito in modo arbitrario nei confronti dell’ADM per quanto riguarda l’organizzazione del procedimento che comprende l’invio di richieste di informazioni.
E – Sulla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità per avere la Commissione limitato la riduzione dell’ammenda al 50%
1. Argomenti delle parti
406 Richiamandosi agli argomenti sollevati nei punti 365‑372 supra, l’ADM sostiene che la Commissione non è vincolata dalla sua comunicazione sulla cooperazione e che avrebbe dovuto concederle una riduzione pari o superiore a quella che ha riconosciuto alla Cerestar. L’ADM aggiunge che la sua cooperazione nel corso del procedimento amministrativo è stata quanto meno equivalente a quella di Stora Kopparbergs Bergslags AB nel caso denominato «Cartoncino», dove la Commissione avrebbe ridotto l’ammenda di due terzi.
407 Pertanto, secondo l’ADM, la Commissione è incorsa in una violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità.
408 La Commissione conclude per il rigetto del motivo invocato.
2. Giudizio del Tribunale
409 Si deve ricordare che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, che costituisce la base giuridica per l’imposizione delle ammende in caso di infrazione alle regole del diritto comunitario della concorrenza, conferisce alla Commissione un margine di valutazione discrezionale nella fissazione delle ammende (sentenza del Tribunale 21 ottobre 1997, causa T‑229/94, Deutsche Bahn/ Commissione, Racc. pag. II‑1689, punto 127), che è, in particolare, funzione della sua politica generale in materia di concorrenza (sentenza Musique diffusion France e a./Commissione, punto 47 supra, punti 105 e 109). Pertanto, in questo contesto la Commissione, per assicurare trasparenza e obiettività alle proprie decisioni in materia di ammende, ha adottato e pubblicato nel 1996 la comunicazione sulla cooperazione. Si tratta di uno strumento destinato a precisare, nel rispetto del diritto di rango superiore, i criteri che conta di applicare nell’ambito dell’esercizio del suo potere discrezionale; da ciò consegue una autolimitazione di tale potere (v., per analogia, sentenze del Tribunale 30 aprile 1998, causa T‑214/95, Vlaams Gewest/Commissione, Racc. pag. II‑717, punto 89, e Tokai Carbon e a./Commissione, punto 63 supra, punto 157), nella misura in cui compete alla Commissione conformarsi alle regole indicative che essa stessa si è imposta (v., per analogia, sentenza del Tribunale 12 dicembre 1996, causa T‑380/94, AIUFFASS e AKT/ Commissione, Racc. pag. II‑2169, punto 57).
410 Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dall’ADM, la Commissione era tenuta ad applicare i criteri che essa stessa si è posta nella comunicazione sulla cooperazione (sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 63 supra, punto 157). Tale applicazione dei criteri fissati nella comunicazione sulla cooperazione non è tale, nella specie, da essere inficiata dalle disposizioni degli orientamenti che prevedono come circostanza attenuante la collaborazione effettiva dell’impresa nel procedimento. Infatti, il punto 3, ultimo trattino, degli orientamenti precisa espressamente che costituisce circostanza attenuante soltanto una collaborazione effettiva al di là del campo di applicazione della comunicazione sulla cooperazione. Orbene, nella specie, la collaborazione dell’ADM è stata sin dall’inizio svolta in virtù della comunicazione sulla cooperazione, il che esclude che tale cooperazione venga presa in considerazione come circostanza attenuante. Inoltre, per quanto riguarda la riduzione dell’importo dell’ammenda per l’ADM, il Tribunale considera che, tenuto conto delle informazioni comunicate dall’ADM nell’ambito della sua cooperazione, tale riduzione non è sproporzionata. Per quanto riguarda infine la violazione della parità di trattamento con riferimento alla Decisione del caso denominato «Cartoncino» (punto 406 supra), il Tribunale osserva che tale Decisione è stata presa nel 1994, ovvero prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, e che l’ADM non dimostra l’equivalenza tra le dettagliate prove fornite dalla Stora nel caso «Cartoncino» e quelle da lei fornite nella Decisione. Pertanto, non è dato parlare, a questo riguardo, di violazione del principio di parità di trattamento.
411 Di conseguenza, i motivi che deducono la violazione del principio di parità di trattamento e di proporzionalità vanno respinti.
VIII – Sui vizi che inficiano il procedimento amministrativo
A – Sulla portata dell’infrazione addebitata alle parti
1. Argomenti delle parti
412 L’ADM sostiene che, al punto 158 della Decisione, la Commissione ha indicato gli elementi che, negli accordi conclusi nell’ambito dell’intesa, erano pertinenti ai fini dell’accertamento di una infrazione all’art. 81, n. 1, CE e all’art. 53, n. 3, SEE. Orbene – sostiene l’ADM – due di questi elementi non erano menzionati nella comunicazione degli addebiti, cioè che le parti, in primo luogo, avevano limitato le capacità di produzione (secondo trattino) e, in secondo luogo, avevano designato tra di loro un produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi in ciascun mercato nazionale (quarto trattino).
413 L’ADM contesta l’affermazione secondo la quale questa omissione non avrebbe avuto alcuna incidenza nel merito dell’analisi dei fatti e delle prove nonché sul calcolo dell’ammenda. Infatti, l’ADM sostiene che, nel corso della fase amministrativa del procedimento, ha sostenuto che era proprio l’assenza di limitazioni di capacità ad attutire gli effetti dell’intesa. Tale conclusione era stata respinta dalla Commissione la quale affermava invece che vi era stato un impatto effettivo sul mercato.
414 Da ciò l’ADM deduce che, conformemente alle sue conclusioni, l’art. 1 della Decisione deve essere annullato laddove dispone, in combinato con il punto 158 della Decisione, che le parti interessate hanno limitato le capacità di produzione e hanno designato tra di esse un produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi in ciascun segmento nazionale del mercato rilevante.
415 La Commissione sostiene che, se è vero che i due elementi di cui trattasi non figuravano nella comunicazione degli addebiti, resta ciò nondimeno che si trattava soltanto di due degli otto elementi configurabili nell’infrazione di cui trattasi, presentati a titolo esemplificativo piuttosto che sotto forma di una enumerazione tassativa. Questi due elementi non avrebbero modificato nel merito le descrizioni e gli elementi di prova contenuti nella comunicazione degli addebiti e non avrebbero avuto la minima influenza sul calcolo dell’importo dell’ammenda inflitta all’ADM.
2. Giudizio del Tribunale
a) Introduzione
416 Si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, la comunicazione degli addebiti deve contenere un’esposizione degli addebiti formulata in termini, che per quanto sommari, siano sufficientemente chiari per consentire agli interessati di prendere atto dei comportamenti di cui la Commissione fa loro carico. Solo a questa condizione, infatti, la comunicazione degli addebiti può assolvere la funzione attribuitale dai regolamenti comunitari, che consiste nel fornire alle imprese e associazioni di imprese tutti gli elementi necessari per provvedere utilmente alla propria difesa prima che la Commissione adotti una Decisione definitiva (sentenza della Corte 31 marzo 1993, cause riunite C‑89/85, C‑104/85, C‑114/85, C‑116/85, C‑117/85 e da C‑125/85 a C‑129/85, Ahlström Osakeyhtiö e a./Commissione, Racc. pag. I‑1307, punto 42; sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑352/94, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. II‑1989, punto 63, confermata a seguito di impugnazione con sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑283/98 P, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. I‑9855; sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, cause riunite T‑191/98, da T‑212/98 a T‑214/98, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑3275, punto 138).
417 Si deve pertanto esaminare se, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione ha esposto in termini sufficientemente chiari, per quanto sommari, gli addebiti ascritti all’ADM nella Decisione, ivi compresi i due invocati dall’ADM, in modo da consentirle di prendere atto dei comportamenti rimproveratile.
418 Si deve a questo proposito osservare che al punto 158 della Decisione la Commissione ha considerato i seguenti elementi a titolo di infrazione all’art. 81, n. 1, CE e all’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE:
– «ripartizione dei mercati e delle quote di mercato,
– congelamento/limitazione/chiusura delle capacità di produzione,
– concertazione di aumenti dei prezzi,
– designazione del produttore che doveva “guidare” gli aumenti dei prezzi su ciascun mercato nazionale,
– diffusione di elenchi di prezzi obiettivo correnti e futuri per coordinare gli aumenti,
– ideazione e applicazione di un sistema di rendiconto e di controllo per garantire l’attuazione degli accordi restrittivi,
– ripartizione o assegnazione di clienti,
– partecipazione a riunioni regolari e mantenimento di altri contatti per concordare tali restrizioni e per applicarle e/o modificarle come necessario».
419 È pacifico che la Commissione al punto 134 della comunicazione degli addebiti, il quale, alla stregua del punto 158 della Decisione, contiene un sunto degli addebiti ascritti alle parti interessate, non ha esplicitamente menzionato gli elementi figuranti al secondo e quarto trattino del punto 158 della Decisione.
420 Si deve quindi valutare se, sulla base di una lettura completa della comunicazione degli addebiti, tali elementi risultavano in modo sufficientemente chiaro da consentire alle parti interessate di far valere i loro diritti di difesa.
b) Sull’addebito relativo al congelamento/limitazione/chiusura delle capacità di produzione di acido citrico
421 Al punto 158, secondo trattino, della Decisione, la Commissione rimprovera alle parti interessate di aver congelato, limitato e chiuso delle capacità di produzione. Questo addebito è chiaramente collegato con quello esposto al punto 158, primo trattino, della Decisione (ovvero ne è una conseguenza), dove la Commissione rimprovera alle parti interessate di aver attribuito quote di mercato.
422 Tuttavia, questi due addebiti, come riconosce la Commissione stessa, non sono identici, in quanto uno verte sulle capacità di produzione e l’altro piuttosto sulle quote di vendita. A questo proposito si deve altresì ricordare che l’art. 81, n. 1, CE fa una distinzione tra, da un lato, la limitazione o il controllo della produzione [lett. b)] e, dall’altro, la ripartizione dei mercati [lett. c)].
423 Orbene, nella comunicazione degli addebiti questa si è riferita unicamente alla fissazione di quote di vendita (v., in particolare, punti 63, 70, 79‑82, 86 e 87).
424 Pertanto, giustamente, l’ADM sostiene che l’addebito relativo al congelamento, alla limitazione e alla chiusura delle capacità di produzione non è stato menzionato nella comunicazione degli addebiti e non gliene poteva pertanto fare carico nella Decisione.
425 Si deve di conseguenza annullare l’art. 1 della Decisione là dove, letto in combinato con il punto 158, constata che l’ADM e gli altri membri dell’intesa hanno congelato, limitato e chiuso delle capacità di produzione di acido citrico.
c) Sull’addebito relativo alla designazione del produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi su ciascun segmento nazionale del mercato rilevante
426 Al punto 158, quarto trattino, della Decisione, la Commissione rimprovera alle parti interessate di aver designato un produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi su ciascun segmento nazionale del mercato rilevante.
427 Si deve a questo proposito constatare che, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione non ha esposto questo addebito relativo alla conclusione di un accordo su aumenti dei prezzi in modo da consentire agli interessati di prendere atto dei comportamenti loro rimproverati dalla Commissione.
428 Pertanto, l’ADM sostiene a ragione che l’addebito che deduce la designazione del produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi in ciascun segmento nazionale del mercato rilevante non è stato menzionato nella comunicazione degli addebiti e non gliene poteva fare pertanto carico nella Decisione.
429 Si deve pertanto annullare l’art. 1 della Decisione nella parte in cui, letto in combinato con il punto 158, rileva che l’ADM e gli altri partecipanti all’intesa hanno designato il produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi su ciascun segmento nazionale del mercato rilevante.
B – Sull’applicazione del fattore di dissuasione e sulla qualifica dell’ADM come uno dei leader dell’intesa
1. Argomenti delle parti
430 In primo luogo, l’ADM sostiene di non essersi potuta pronunciare sull’utilizzo, a titolo di prova, del rapporto dell’FBI e della dichiarazione della Cerestar del 18 marzo 1999.
431 In secondo luogo, l’ADM rimprovera alla Commissione di aver omesso di informarla nel corso della fase amministrativa del procedimento che era considerata uno dei leader dell’intesa e di non aver indicato le prove sulle quali essa basava tale conclusione.
432 In terzo luogo, l’ADM sostiene che, in violazione dei suoi diritti di difesa, non è stata messa in grado di presentare osservazioni durante la fase amministrativa del procedimento in merito all’applicazione del coefficiente moltiplicatore 2, che non sarebbe previsto negli orientamenti, all’importo di partenza a fini di dissuasione.
433 La Commissione conclude per il rigetto delle censure sollevate.
2. Giudizio del Tribunale
434 Si deve ricordare che, secondo la costante giurisprudenza, la Commissione, quando nella comunicazione degli addebiti dichiara espressamente che vaglierà se sia il caso di infliggere ammende alle parti interessate e indica i principali elementi di fatto e di diritto che possono implicare l’irrogazione di un’ammenda, quali la gravità e la durata della presunta infrazione e il fatto di averla commessa «intenzionalmente o per negligenza», adempie agli obblighi che le incombono di rispettare il diritto delle imprese al contraddittorio. Così operando, fornisce a queste ultime gli elementi necessari per difendersi non solo contro l’accertamento dell’infrazione, ma anche contro l’inflizione di un’ammenda (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 47 supra, punto 21).
435 Da ciò consegue che, per quanto riguarda la determinazione dell’importo dell’ammenda, i diritti della difesa delle imprese interessate sono garantiti dinanzi alla Commissione tramite la possibilità di presentare osservazioni in ordine alla durata, alla gravità e alla prevedibilità del carattere anticoncorrenziale dell’illecito (sentenze del Tribunale 6 ottobre 1994, causa T‑83/91, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. II‑755, punto 235, e HFB e a./Commissione, punto 98 supra, punto 312). Questa conclusione si impone tanto più che, con la pubblicazione degli orientamenti, la Commissione ha fatto conoscere agli interessati, in modo dettagliato, il metodo di calcolo dell’importo di un’eventuale ammenda e il modo secondo il quale avrebbe tenuto conto di tali criteri. Tale conclusione non viene rimessa in discussione dal fatto che gli orientamenti non fanno espressamente riferimento a un coefficiente moltiplicatore, dato che in essi è dato di leggere che è necessario prendere in considerazione l’effettiva capacità economica degli autori dell’infrazione di produrre un danno consistente agli altri operatori e determinare l’importo dell’ammenda a un livello che ne assicuri un carattere sufficientemente dissuasivo.
436 Per quanto riguarda il caso di specie, si deve constatare che, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione ha indicato i principali elementi di fatto e di diritto che possono costituire il fondamento dell’ammenda che prevedeva di infliggere all’ADM, e della quale avrebbe fissato l’importo in funzione, in particolare, della gravità e della durata dell’infrazione.
437 Del resto, la Commissione al punto 160 della comunicazione degli addebiti ha precisato che era sua intenzione fissare l’importo dell’ammenda a un livello sufficientemente dissuasivo. Parimenti, al punto 161, della comunicazione degli addebiti ha, in sostanza, precisato che nella valutazione della gravità dell’infrazione aveva l’intenzione di tener conto del fatto che si trattava di una infrazione molto grave che aveva lo scopo di limitare la concorrenza e che, peraltro, considerata la natura stessa degli accordi conclusi, aveva un impatto serio sulla concorrenza.
438 Il rispetto dei diritti della difesa delle imprese qui in esame non obbliga la Commissione a indicare in modo più preciso, nella comunicazione degli addebiti, la maniera secondo la quale si avvarrà, se del caso, di ciascuno di questi elementi ai fini della determinazione del livello dell’ammenda. In particolare, la Commissione non era tenuta a indicare né che avrebbe potuto considerare l’ADM leader dell’intesa né la misura della maggiorazione che avrebbe eventualmente applicato all’ammenda dell’ADM per tale ragione (v., in tal senso, sentenza della Corte 9 novembre 1983, causa 322/81, Michelin/Commissione, Racc. pag. 3461, punto 20).
439 Là dove l’ADM sostiene di non essersi potuta pronunciare circa l’utilizzo, come prova, del rapporto dell’FBI e della dichiarazione della Cerestar del 18 marzo 1999, va ricordato che la Commissione ha allegato tali documenti alla comunicazione degli addebiti e che le parti sono state così in grado di prendere posizione a tal riguardo, anche per quanto riguarda il loro utilizzo come elementi di prova.
440 È infine giocoforza constatare che la ripartizione dei partecipanti all’intesa in gruppi costituisce una prassi che la Commissione ha sviluppato sulla base degli orientamenti. La Decisione è stata pertanto adottata in un contesto ben noto all’ADM e si colloca in una prassi decisionale costante (v., in tal senso, sentenza della Corte 30 settembre 2003, cause riunite C‑57/00 P e C‑61/00 P, Freistaat Sachsen e a./Commissione, Racc. pag. I‑9975, punto 77).
441 Di conseguenza, il motivo che deduce la violazione dei diritti della difesa va respinto.
Sull’esercizio del potere di giurisdizione esteso al merito
442 Per quanto riguarda l’analisi dell’insieme dei motivi invocati dall’ADM, risulta che soltanto i motivi che deducono l’assenza di comunicazione da parte della Commissione nella comunicazione degli addebiti di taluni addebiti da questa ritenuti nei confronti dell’ADM sono fondati. Pertanto, al punto 424 supra, è stato riconosciuto che l’ADM sostiene a ragione che l’addebito che deduce il congelamento, la limitazione e la chiusura di capacità di produzione non figura nella comunicazione degli addebiti e non gliene si poteva pertanto far carico. Inoltre, al punto 428 supra, è stato riconosciuto che l’ADM sostiene a ragione che l’addebito che deduce la designazione del produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi in ciascun segmento nazionale del mercato rilevante non figura nella comunicazione degli addebiti e non gliene si poteva pertanto fare carico.
443 Tenuto conto del riconoscimento di siffatte illegittimità, compete al Tribunale pronunciarsi sulla necessità di riformare la Decisione. Il Tribunale ritiene, a questo proposito, che si deve tener conto del fatto che l’intesa, la quale ha avuto, essenzialmente, ad oggetto la fissazione dei prezzi, la ripartizione delle quote di vendita e un sistema di compensazione organizzato dai partecipanti al fine di una piena efficacia dell’intesa, costituisce un’infrazione molto grave alle regole comunitarie della concorrenza. Essa ha costituito un’infrazione continuata e unica.
444 Il Tribunale rileva quindi che dai punti della Decisione risulta, in particolare per quanto riguarda la valutazione della gravità dell’infrazione in ragione della sua stessa natura e degli effetti reali sul mercato dell’acido citrico, che i due addebiti che la Commissione ha omesso di menzionare nella comunicazione degli addebiti avevano carattere sovrabbondante rispetto agli accordi relativi alla fissazione dei prezzi, all’attribuzione di quote di vendita e al sistema di compensazione organizzato dai partecipanti all’intesa.
445 Pertanto, nell’ambito del suo potere di giurisdizione esteso al merito, il Tribunale considera che, nonostante le omissioni della Commissione nella comunicazione degli addebiti, l’importo dell’ammenda fissato dalla Commissione non vada modificato.
Sulle spese
446 Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, il soccombente è condannato alle spese se ne è stata fatta domanda. A norma del paragrafo 3, n. 1, della stessa disposizione, il Tribunale può decidere di ripartire le spese, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi.
447 Nella specie, la Commissione è rimasta soccombente in quanto ha omesso di menzionare nella comunicazione degli addebiti due degli addebiti ascritti all’ADM nella Decisione (v. punti 425 e 429 supra), che avevano carattere sovrabbondante rispetto agli altri addebiti considerati dalla Commissione. L’ADM è rimasta soccombente per quanto riguarda le restanti conclusioni da lei presentate.
448 In una situazione siffatta, verrà operata equa valutazione delle circostanze del caso decidendo che la Commissione sopporterà un decimo delle spese esposte dall’ADM e che l’ADM sopporterà il resto delle proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Terza Sezione)
dichiara e statuisce:
1) L’art. 1 della Decisione della Commissione 5 dicembre 2001, 2002/742/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/E‑1/36.604 – Acido citrico), è annullato nella parte in cui, letto in combinato con il punto 158, constata che la Archer Daniels Midland Co. ha congelato, limitato e chiuso delle capacità di produzione di acido citrico.
2) L’art. 1 della Decisione 2002/742 è annullato nella parte in cui, letto in combinato con il punto 158, constata che la Archer Daniels Midland Co. ha designato il produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi in ciascun segmento nazionale del mercato rilevante.
3) Per il resto il ricorso è respinto.
4) La Commissione è condannata a sopportare un decimo delle spese esposte dalla Archer Daniels Midland Co.
5) La Archer Daniels Midland Co. è condannata a sopportare il resto delle proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione.
Azizi |
Jaeger |
Dehousse |
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 27 settembre 2006.
Il cancelliere |
Il presidente |
E. Coulon |
J. Azizi |
Indice
Fatti all’origine della controversia
Procedimento e conclusioni delle parti
In diritto
I – Sull’applicabilità degli orientamenti
A – Argomenti delle parti
B – Giudizio del Tribunale
II – Sull’incidenza delle ammende già inflitte in altri paesi
A – Argomenti delle parti
B – Giudizio del Tribunale
III – Sulla gravità dell’infrazione
A – Introduzione
B – Sul fatto che non sia stato preso in considerazione il fatturato ricavato dalla vendita del prodotto in esame
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
a) Sulla violazione del principio di proporzionalità
b) Sulla violazione degli orientamenti
c) Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
C – Sull’applicazione di un coefficiente moltiplicatore all’importo di partenza
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
a) Sulla violazione del principio di proporzionalità
b) Sulla violazione del principio di parità di trattamento
c) Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
D – Sull’esistenza di errori di valutazione relativi all’impatto concreto dell’intesa sul mercato
1. Introduzione
2. Sull’errato approccio che la Commissione avrebbe scelto per dimostrare che l’intesa aveva avuto un impatto effettivo sul mercato
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio del Tribunale
Riassunto dell’analisi effettuata dalla Commissione
Giudizio
3. Sull’analisi dell’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio del Tribunale
4. Sulla definizione del mercato di prodotti rilevante
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio del Tribunale
IV – Sulla durata dell’infrazione
V – Sulle circostanze aggravanti
A – Introduzione
B – Sulla qualifica dell’ADM quale leader dell’intesa
1. Introduzione
2. Sugli asseriti errori della Commissione circa il ruolo di leader dell’ADM
a) Sugli incontri bilaterali organizzati dall’ADM nel gennaio 1991
Argomenti delle parti
Giudizio del Tribunale
b) Sulla dichiarazione dell’ex rappresentante dell’ADM dinanzi all’FBI
Richiamo dei fatti e della formulazione della Decisione
Argomenti delle parti
Giudizio del Tribunale
– Introduzione
– Violazione da parte della Commissione delle garanzie processuali previste dal diritto comunitario
– Scorretta valutazione da parte della Commissione del contenuto del rapporto dell’FBI
c) Sulla dichiarazione di Cerestar
Argomenti delle parti
Giudizio del Tribunale
3. Sulla qualifica dell’ADM quale leader nel quadro dell’intesa
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio del Tribunale
C – Sulla violazione del principio di parità di trattamento in quanto la Commissione ha imposto all’ADM il medesimo tasso di maggiorazione che alla HLR
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
D – Sulla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità nella misura in cui la Commissione si è discostata dalla sua prassi decisionale per quanto riguarda la percentuale di maggiorazione attribuita all’ADM
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
E – Sulla violazione dell’obbligo di motivazione nella valutazione delle circostanze aggravanti
VI – Sulle circostanze attenuanti
A – Nota preliminare
B – Sulla cessazione della partecipazione all’intesa sin dai primi interventi delle autorità competenti
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
C – Sul fatto che non sia stato preso in considerazione il risarcimento danni
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
D – Sull’adozione di un codice di comportamento da parte dell’ADM
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
VII – Sulla cooperazione dell’ADM durante la fase amministrativa del procedimento
A – Introduzione
B – Sulla circostanza che l’ADM sarebbe stata la prima a fornire elementi determinanti per dimostrare l’esistenza dell’intesa
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
C – Sulla violazione del principio di legittimo affidamento
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
D – Sulla violazione del principio di parità di trattamento in quanto la Commissione ha riservato all’ADM e alla Cerestar un trattamento differente
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
E – Sulla violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità per avere la Commissione limitato la riduzione dell’ammenda al 50%
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
VIII – Sui vizi che inficiano il procedimento amministrativo
A – Sulla portata dell’infrazione addebitata alle parti
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
a) Introduzione
b) Sull’addebito relativo al congelamento/limitazione/chiusura delle capacità di produzione di acido citrico
c) Sull’addebito relativo alla designazione del produttore che doveva «guidare» gli aumenti dei prezzi su ciascun segmento nazionale del mercato rilevante
B – Sull’applicazione del fattore di dissuasione e sulla qualifica dell’ADM come uno dei leader dell’intesa
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
Sull’esercizio del potere di giurisdizione esteso al merito
Sulle spese
* Lingua processuale: l'inglese.
1 Dato riservato non riportato.