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Document 62002CJ0171

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 29 aprile 2004.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica portoghese.
Artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE - Direttiva 92/51/CEE - Sistema generale di riconoscimento delle formazioni professionali - Attività di vigilanza privata - Misure di uno Stato membro che impongono come requisito per poter esercitare un'attività di vigilanza privata di avere la sede della società o una rappresentanza nel territorio portoghese, di essere costituiti in forma di persona giuridica, di possedere un capitale sociale specifico e di fornire documenti e garanzie già presentati nello Stato membro d'origine - Omessa previsione del riconoscimento delle qualifiche personali nel settore dei servizi di vigilanza privata.
Causa C-171/02.

Raccolta della Giurisprudenza 2004 I-05645

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2004:270

Arrêt de la Cour

Causa C-171/02

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica portoghese

«Artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE — Direttiva 92/51/CEE — Sistema generale di riconoscimento delle formazioni professionali — Attività di vigilanza privata — Misure di uno Stato membro che impongono come requisito per poter esercitare un’attività di vigilanza privata di avere la sede della società o una rappresentanza nel territorio portoghese, di essere costituiti in forma di persona giuridica, di possedere un capitale sociale specifico e di fornire documenti e garanzie già presentati nello Stato membro d’origine — Omessa previsione del riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore dei servizi di vigilanza privata»

Massime della sentenza

1.        Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Libera prestazione dei servizi — Disposizioni del Trattato — Ambiti di applicazione rispettivi — Criteri — Fornitura di prestazioni per un periodo prolungato senza una rappresentanza nello Stato membro di destinazione — Inclusione nella libera prestazione dei servizi

(Artt. 43 CE e 49 CE)

2.        Libera circolazione delle persone — Lavoratori — Libertà di stabilimento — Libera prestazione dei servizi — Restrizioni — Obbligo per le imprese di vigilanza privata di avere la propria sede o una rappresentanza permanente nel territorio nazionale, di essere costituite in forma di persona giuridica, di avere un capitale sociale minimo, di ottenere un’autorizzazione rilasciata dalle autorità nazionali e di ottenere, per il loro personale, un tesserino professionale rilasciato dalle dette autorità — Inammissibilità

(Artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE)

1.        L’elemento chiave, per quanto concerne la delimitazione dei rispettivi ambiti di applicazione dei principi della libera prestazione dei servizi e della libertà di stabilimento, consiste nell’accertare se l’operatore economico è stabilito o no nello Stato membro in cui offre il servizio di cui trattasi. Quando è stabilito (a titolo principale o secondario) nello Stato membro in cui offre il servizio (Stato membro di destinazione o Stato membro ospitante), egli rientra nell’ambito di applicazione del principio della libertà di stabilimento, come definito all’art. 43 CE. Quando, invece, l’operatore economico non è stabilito in tale Stato membro di destinazione, è un prestatore transfrontaliero che rientra nell’ambito di applicazione del principio della libera prestazione dei servizi previsto all’art. 49 CE. In tale contesto, la nozione di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE implica che l’operatore offra i suoi servizi, in maniera stabile e continuativa, da un domicilio professionale nello Stato membro di destinazione. Costituiscono invece prestazioni di servizi ai sensi dell’art. 49 CE tutte le prestazioni che non sono offerte in maniera stabile e continuativa dal domicilio professionale nello Stato membro di destinazione

         Possono così costituire servizi ai sensi dell’art. 49 CE le prestazioni che un operatore economico stabilito in uno Stato membro fornisce in modo più o meno frequente o regolare, anche per un periodo di tempo prolungato, a persone stabilite in uno o più altri Stati membri.

         Pertanto, anche misure nazionali che si applichino unicamente agli operatori economici che offrono i loro servizi nello Stato membro interessato per un periodo superiore ad un anno possono restringere, in linea di principio, la libertà di prestazione dei servizi.

(v. punti 24-28)

2.        Viene meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE uno Stato membro che imponga agli operatori stranieri, per poter esercitare nel territorio nazionale, nel settore dei servizi di vigilanza privata, attività di sorveglianza su persone e beni, i seguenti requisiti:

– avere la sede o una rappresentanza permanente nel territorio nazionale;

– essere costituiti in forma di persona giuridica;

– avere un capitale sociale minimo;

– ottenere un’autorizzazione rilasciata dalle autorità nazionali, senza tener conto dei documenti e delle garanzie già presentati nello Stato membro di origine, e

– munire il loro personale di un tesserino professionale rilasciato dalle dette autorità, senza tenere conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine.

(v. punto 74 e dispositivo)




SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
29 aprile 2004(1)

«Artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE – Direttiva 92/51/CEE – Sistema generale di riconoscimento delle formazioni professionali – Attività di vigilanza privata – Misure di uno Stato membro che impongono come requisito per poter esercitare un'attività di vigilanza privata di avere la sede della società o una rappresentanza nel territorio portoghese, di essere costituiti in forma di persona giuridica, di possedere un capitale sociale specifico e di fornire documenti e garanzie già presentati nello Stato membro d'origine – Omessa previsione del riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore dei servizi di vigilanza privata»

Nel procedimento C-171/02,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra M. Patakia e dal sig. A. Caeiros, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica portoghese, rappresentata dal sig. L. Fernandes, in qualità di agente, assistito dal sig. J.M. Calheiros, advogado, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda diretta a far constatare che:1. tenuto conto del fatto che, nell'ambito del regime di autorizzazione da rilasciare da parte del Ministro degli Interni, le imprese straniere che intendono esercitare in Portogallo, nel settore dei servizi di vigilanza privata, attività di sorveglianza su persone e benia) devono avere la sede o una rappresentanza nel territorio portoghese, b) non possono avvalersi dei documenti e delle garanzie già presentati nel loro Stato membro di stabilimento,c) devono essere costituite in forma di persona giuridica,d) devono avere un capitale sociale specifico;2. tenuto conto del fatto che il personale delle imprese straniere che intendono esercitare in Portogallo, nel settore dei servizi di vigilanza privata, attività di sorveglianza su persone e beni deve essere in possesso di un tesserino professionale rilasciato dalle autorità portoghesi, e3. tenuto conto del fatto che le professioni del settore dei servizi di vigilanza privata non sono soggette al regime comunitario di riconoscimento delle qualifiche professionali,la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE, nonché della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/51/CEE, relativa a un secondo sistema generale di riconoscimento delle formazioni professionali, che integra la direttiva 89/48/CEE (GU L 209, pag. 25),



LA CORTE (Quinta Sezione),,



composta dal sig. P. Jann (relatore), facente funzione di presidente della Quinta Sezione, dai sigg. A. Rosas e S. von Bahr, giudici,

avvocato generale: sig. S. Alber
cancelliere: sig. R. Grass

sentite le conclusioni dell'avvocato generale presentate all'udienza del 16 settembre 2003,

ha pronunciato la seguente



Sentenza



1
Con atto depositato presso la cancelleria della Corte l’8 maggio 2002, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, a norma dell’art. 226 CE, un ricorso diretto a far dichiarare che:

1.
tenuto conto del fatto che, nell’ambito del regime di autorizzazione da rilasciare da parte del Ministro degli Interni, le imprese straniere che intendono esercitare in Portogallo, nel settore dei servizi di vigilanza privata, attività di sorveglianza su persone e beni

a)
devono avere la sede o una rappresentanza nel territorio portoghese,

b)
non possono avvalersi dei titoli e delle garanzie già prodotti nel loro Stato membro di stabilimento,

c)
devono essere costituite in forma di persona giuridica,

d)
devono avere un capitale sociale specifico;

2.
tenuto conto del fatto che il personale delle imprese straniere che intendono esercitare in Portogallo, nel settore dei servizi di vigilanza privata, attività di sorveglianza su persone e beni deve essere in possesso di un tesserino professionale rilasciato dalle autorità portoghesi, e

3.
tenuto conto del fatto che le professioni del settore dei servizi di vigilanza privata non sono soggetti al regime comunitario di riconoscimento delle qualifiche professionali,

la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE, nonché della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/51/CEE, relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale, che integra la direttiva 89/48/CEE (GU L 209, pag. 25).


Contesto normativo

La normativa comunitaria

Le definizioni

2
Ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva 92/51, si intende per «attestato di competenza» «qualsiasi titolo:

che sancisca una formazione che non faccia parte di un insieme che costituisca un diploma ai sensi della direttiva 89/48/CEE o un diploma o un certificato ai sensi della presente direttiva, oppure

rilasciato in seguito ad una valutazione delle qualifiche personali, delle attitudini o delle conoscenze del richiedente ritenute essenziali per l’esercizio di una professione da un’autorità designata in conformità delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro, senza che sia richiesta la prova di una formazione preliminare».

3
Secondo l’art. 1, lett. e), della direttiva 92/51, si intende per «professione regolamentata» «l’attività o l’insieme delle attività professionali regolamentate che costituiscono questa professione in uno Stato membro».

4
Conformemente all’art. 1, lett. f), della direttiva 92/51, un’«attività professionale regolamentata» è «un’attività professionale, per la quale l’accesso o l’esercizio o una delle modalità di esercizio in uno Stato membro siano subordinati, direttamente o indirettamente mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di un titolo di formazione o attestato di competenza (…). [L]’esercizio di un’attività a titolo professionale qualora l’uso del titolo sia limitato a chi possieda un dato titolo di formazione o un attestato di competenza previsto da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative» costituisce una delle «modalità di esercizio di un’attività professionale regolamentata».

Norme di base

5
Ai termini dell’art. 8 della direttiva 92/51:

«Quando nello Stato membro ospitante l’accesso ad una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di un attestato di competenza, l’autorità competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l’accesso a/o l’esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini:

a)
se il richiedente possiede l’attestato di competenza prescritto in un altro Stato membro per l’accesso o l’esercizio della stessa professione sul proprio territorio, e che è stato ottenuto in uno Stato membro, oppure

b)
se il richiedente dimostra di essere in possesso di qualifiche ottenute in altri Stati membri,

e che offrono garanzie equivalenti, segnatamente in materia di sanità, sicurezza, protezione dell’ambiente e protezione dei consumatori, a quelle richieste da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro ospitante.

Qualora il richiedente non dimostri di possedere un siffatto attestato di competenza o siffatte qualifiche si applicano le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro ospitante».

La normativa nazionale

Le definizioni

6
Secondo l’art. 1, n. 3, lett. a), del decreto legge n. 231/98, del 22 luglio 1998 (Diario da República I, serie A, n. 167, del 22 luglio 1998; in prosieguo: il «decreto legge sull’attività di vigilanza privata»), ai fini del medesimo si intende per «attività di vigilanza privata» la «prestazione di servizi da parte di imprese private, legalmente costituite a tale scopo, diretti alla tutela di persone e cose ed alla prevenzione dei reati».

Norme di base

7
L’art. 3 del decreto legge sull’attività di vigilanza privata dispone quanto segue:

«L’attività di vigilanza privata può essere esercitata solamente da imprese legalmente costituite ed a ciò autorizzate in base alle disposizioni del presente decreto legge».

8
L’art. 7, n. 2, lett. b), del decreto legge sull’attività di vigilanza privata prevede che fra i criteri specifici di ammissione del personale di sorveglianza e di scorta, di difesa e di protezione delle persone figuri il superamento di prove teoriche e di abilità fisica, il cui contenuto e la cui durata sono stabiliti con decreto del Ministro degli Interni, dopo che gli interessati hanno frequentato un corso di formazione riconosciuto ai sensi dell’art. 8, n. 2, del detto decreto legge.

9
L’art. 9, n. 1, del decreto legge sull’attività di vigilanza privata precisa che il personale di vigilanza, di scorta, di difesa e di protezione delle persone deve possedere un tesserino professionale autenticato dal Segretariato generale del Ministero degli Interni, valido per due anni e rinnovabile per periodi di tempo equivalenti.

10
Secondo l’art. 9, n. 2, del decreto legge sull’attività di vigilanza privata, l’autenticazione del tesserino professionale è subordinata alla prova, presso il Segretariato generale del Ministero degli Interni, che sono soddisfatti i requisiti di cui all’art. 7 del detto decreto legge.

11
Secondo l’art. 21, n. 1, del decreto legge sull’attività di vigilanza privata, il servizio di vigilanza privata di cui all’art. 1, n. 3, lett. a), del medesimo può essere prestato solo dopo che l’interessato ha ottenuto un’autorizzazione rilasciata dal Ministro degli Interni.

12
L’art. 22, n. 1, del decreto legge sull’attività di vigilanza privata prevede:

«Le imprese che svolgono l’attività di vigilanza privata di cui all’art. 1, n. 3, lett. a), devono essere costituite in conformità alla normativa di uno Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo, avere la sede o una rappresentanza in Portogallo ed essere conformi alle disposizioni dell’art. 4 del codice delle società commerciali».

13
L’art. 22, n. 2, del decreto legge sull’attività di vigilanza privata dispone che il capitale sociale delle imprese che prestano servizio di vigilanza privata quale definito all’art. 1, n. 3, lett. a), del medesimo decreto legge non può essere inferiore agli importi previsti, rispettivamente, alle lett. a), b) e c), del detto n. 2.

14
L’art. 24 del decreto legge sull’attività di vigilanza privata prevede che la domanda di autorizzazione per prestare servizi di vigilanza elencati al n. 2 del detto decreto legge deve essere indirizzata al Ministro degli Interni, corredata di una documentazione contenente gli elementi di cui al n. 1, lett. a)‑g), del detto art. 24.

15
L’art. 24, n. 1, lett. d), del decreto legge sull’attività di vigilanza privata impone che, in caso di domanda di un’autorizzazione per la prestazione di servizi ai sensi dell’art. 1, n. 3, lett. a), del detto decreto legge, tale domanda sia corredata di documenti comprovanti il possesso dei requisiti specifici stabiliti all’art. 22 del medesimo.

16
In caso di grave o ripetuta violazione delle disposizioni del decreto legge sull’attività di vigilanza privata, l’autorizzazione o la licenza previste per esercitare tale attività potranno, a norma dell’art. 27 del medesimo decreto legge, essere revocate con decisione del Ministro degli Interni, su proposta del Segretario generale del Ministero degli Interni.

17
L’art. 4, n. 1, del codice delle società commerciali recita come segue:

«1.     Le società non aventi la propria sede effettiva in Portogallo, ma che intendano ivi svolgere la propria attività per un periodo superiore ad un anno, devono istituire una rappresentanza permanente e conformarsi alle disposizioni della legge portoghese sul registro commerciale.

2.       Le società che non si conformano alle disposizioni del precedente paragrafo sono tuttavia responsabili per gli atti eseguiti in suo nome in Portogallo e le persone che hanno eseguito tali atti nonché i direttori o gli amministratori della società sono responsabili in solido con essa.

3.       Nonostante quanto disposto nel paragrafo precedente, il tribunale può, su richiesta di qualsiasi interessato o del Pubblico Ministero, prescrivere che le società che non si conformano alle disposizioni dei paragrafi 1 e 2 cessino la loro attività nel paese e disporre la liquidazione del patrimonio situato in Portogallo».


Procedimento precontenzioso

18
Dopo aver consentito alla Repubblica portoghese di presentare le sue osservazioni, il 29 dicembre 2000 la Commissione le ha inviato un parere motivato rilevando che taluni aspetti della normativa nazionale in materia di servizi di vigilanza privata di tale Stato membro le sembravano incompatibili con il diritto comunitario, in particolare con la libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento nonché con l’acquis comunitario in materia di professioni regolamentate, e invitando il detto Stato a conformarsi ai propri obblighi derivanti dal Trattato CE e dalla direttiva 92/51 entro due mesi dalla notifica di tale parere. Non essendo soddisfatta della risposta fornita a tale parere con lettera 20 marzo 2001 delle autorità portoghesi, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.


Sul ricorso

19
A sostegno del proprio ricorso la Commissione fa valere sei censure relative ai requisiti imposti dalla Repubblica portoghese per l’esercizio di un’attività di vigilanza privata in tale Stato membro.

20
Tali censure si riferiscono rispettivamente:

all’incompatibilità con l’art. 49 CE del requisito che impone all’operatore economico di avere la sede o una rappresentanza permanente nel territorio portoghese;

all’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE del requisito che impone all’operatore economico di essere costituito in forma di persona giuridica;

all’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE del requisito che impone all’operatore economico di avere un capitale sociale minimo;

all’incompatibilità con l’art. 49 CE del requisito che impone all’operatore economico di ottenere un’autorizzazione delle autorità portoghesi, senza tener conto dei documenti e delle garanzie già prodotti nello Stato membro di origine;

all’incompatibilità con gli artt. 39 CE e 49 CE del requisito che impone al personale dell’operatore economico di essere in possesso di un tesserino professionale rilasciato dalle autorità portoghesi, senza tener conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine;

alla violazione dell’art. 249 CE, in combinato disposto con l’art. 10 CE, derivante da un’errata attuazione dell’art. 8 della direttiva 92/51 in diritto nazionale.

21
Prima di esaminare, l’una dopo l’altra, la fondatezza delle diverse censure, occorre affrontare un problema che la maggior parte di esse sottende, ovvero quello relativo alla delimitazione dei rispettivi ambiti di applicazione degli artt. 49 CE e 43 CE.

Sulla delimitazione dei rispettivi ambiti di applicazione del diritto alla libera prestazione dei servizi (art. 49 CE) e del diritto alla libertà di stabilimento (art. 43 CE)

Argomenti delle parti

22
Il governo portoghese sostiene che un operatore economico che offre i suoi servizi nello Stato membro di destinazione per un certo periodo non è più un prestatore transfrontaliero, ma diventa, solo per questo motivo, un operatore stabilito in tale Stato membro. Di conseguenza, una misura che si applica solo agli operatori economici che offrono i loro servizi in Portogallo per un periodo superiore ad un anno non può violare il principio della libera prestazione dei servizi.

23
La Commissione ritiene che, anche quando sono stati forniti servizi per un periodo superiore ad un anno, si tratta sempre dell’esercizio del diritto alla libera prestazione dei servizi, quando questi sono offerti in uno Stato membro provenendo da un altro Stato membro.

Giudizio della Corte

24
Per quanto concerne la delimitazione dei rispettivi ambiti di applicazione dei principi della libera prestazione dei servizi e della libertà di stabilimento, occorre rilevare che l’elemento chiave consiste nell’accertare se l’operatore economico è stabilito o meno nello Stato membro in cui offre il servizio di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza 30 novembre 1995, causa C‑55/94, Gebhard, Racc. pag. I‑4165, punto 22). Quando è stabilito (a titolo principale o secondario) nello Stato membro in cui offre il servizio (Stato membro di destinazione o Stato membro ospitante), egli rientra nell’ambito di applicazione del principio della libertà di stabilimento, come definito all’art. 43 CE. Quando, invece, l’operatore economico non è stabilito in tale Stato membro di destinazione, è un prestatore transfrontaliero che rientra nell’ambito di applicazione del principio della libera prestazione dei servizi previsto all’art. 49 CE.

25
In tale contesto, la nozione di stabilimento implica che l’operatore offra i suoi servizi, in maniera stabile e continuativa, da un domicilio professionale nello Stato membro di destinazione (v., in tal senso, sentenze Gebhard, cit., punti 25 e 28, nonché 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania, Racc. pag. 3755, punto 21). Costituiscono invece prestazioni di servizi ai sensi dell’art. 49 CE tutte le prestazioni che non sono offerte in maniera stabile e continuativa dal domicilio professionale nello Stato membro di destinazione.

26
La Corte ha quindi dichiarato che possono costituire servizi ai sensi dell’art. 49 CE le prestazioni che un operatore economico stabilito in uno Stato membro fornisce in modo più o meno frequente o regolare, anche per un periodo di tempo prolungato, a persone stabilite in uno o più altri Stati membri, come ad esempio, l’attività di consulenza o di informazione offerta dietro retribuzione. Essa ha rilevato che nessuna disposizione del Trattato consente, infatti, di determinare, in termini astratti, la durata o la frequenza a partire dalla quale la fornitura di un servizio o di un certo tipo di servizi in un altro Stato membro non può più essere considerata prestazione di servizi ai sensi del Trattato (sentenza 11 dicembre 2003, causa C‑215/01, Schnitzer, Racc. pag. I‑4847, punti 30 e 31).

27
Ne consegue che il semplice fatto che un operatore economico stabilito in uno Stato membro fornisca servizi in un altro Stato membro per un periodo di tempo prolungato non è sufficiente per poterlo considerare stabilito in quest’ultimo Stato membro.

28
Pertanto, le misure nazionali controverse, sebbene, nella fattispecie, si applichino unicamente a operatori economici che offrono i loro servizi in Portogallo per un periodo superiore ad un anno, possono ugualmente restringere, in linea di principio, la libertà di prestazione dei servizi.

Sulla prima censura, relativa all’incompatibilità con l’art. 49 CE del requisito che impone all’operatore economico di avere la sede o una rappresentanza permanente nel territorio portoghese

Argomenti delle parti

29
La Commissione fa valere che il requisito relativo all’esistenza di una rappresentanza permanente nel territorio portoghese costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi.

30
Inoltre, essa sostiene che la normativa portoghese non può essere giustificata dal fine da essa perseguito o, comunque, è sproporzionata.

31
Il governo portoghese sostiene che la misura di cui trattasi non limita il diritto alla libera prestazione dei servizi.

32
Il detto governo aggiunge che la misura in questione, pur supponendo che comporti una restrizione alla libera prestazione dei servizi, è giustificata da motivi di interesse generale, quali la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico nonché la protezione dei consumatori, ed è proporzionata agli obiettivi perseguiti. Infatti, le attività di vigilanza privata sono esercitate nel quadro di un rapporto di integrazione e di collaborazione con il sistema nazionale di sicurezza pubblica.

Giudizio della Corte

33
A tale proposito è sufficiente dichiarare che la Corte, trattandosi di una normativa analoga a quella portoghese contestata dalla Commissione e in presenza di argomenti di difesa simili a quelli del governo portoghese, ha statuito che la condizione secondo la quale un’impresa di sorveglianza deve avere la sua sede di attività nello Stato membro di destinazione è direttamente in contrasto con la libera prestazione dei servizi in quanto rende impossibile, in tale Stato, la prestazione di servizi da parte delle imprese stabilite in altri Stati membri (sentenza 9 marzo 2000, causa C‑355/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑1221, punti 27‑30).

34
Il fatto che le attività di vigilanza privata siano esercitate nel quadro di un rapporto di integrazione e di collaborazione con il sistema di sicurezza pubblica non può bastare di per sé a giustificare una siffatta restrizione alla libera prestazione dei servizi.

35
Tenuto conto di tali circostanze, la prima censura è fondata.

Sulla seconda censura, relativa all’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE del requisito che impone all’operatore economico di essere costituito in forma di persona giuridica

Argomenti delle parti

36
La Commissione ritiene che il requisito secondo il quale l’operatore economico deve essere costituito in forma di persona giuridica per potere esercitare attività di vigilanza privata in Portogallo sia una restrizione alla libera prestazione dei servizi.

37
Inoltre, tale normativa portoghese impedirebbe agli operatori comunitari che siano persone fisiche di esercitare il loro diritto di stabilimento secondario in Portogallo.

38
Il governo portoghese sostiene che la misura di cui trattasi non limita né il diritto alla libera prestazione dei servizi né il diritto a stabilirsi, a titolo principale o secondario, degli operatori che sono persone fisiche.

39
Solo se intende creare una società in Portogallo – il che rappresenta una possibile forma dell’esercizio del diritto di libero stabilimento – l’operatore che sia una persona fisica dovrebbe assoggettarsi ai requisiti richiesti per la costituzione di una società in tale Stato membro. Né l’art. 4 né l’art. 40 del codice delle società commerciali riguarderebbero lo stabilimento secondario degli operatori che sono persone fisiche.

40
Comunque, eventuali restrizioni sarebbero giustificate dalla tutela dei creditori. Infatti, le società offrono una sicurezza e una solvibilità ben maggiore degli operatori singoli.

Giudizio della Corte

41
A tale proposito occorre dichiarare che il criterio secondo il quale gli operatori di vigilanza privata devono avere la forma di una persona giuridica è tale da ostacolare le attività dei prestatori transfrontalieri stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica portoghese, dove essi forniscono legalmente servizi analoghi e costituisce, pertanto, una restrizione ai sensi dell’art. 49 CE. Un requisito del genere esclude infatti ogni possibilità per un prestatore transfrontaliero che sia persona fisica di fornire servizi in Portogallo.

42
Un siffatto requisito costituisce inoltre una restrizione ai sensi dell’art. 43 CE. Esso, infatti, impedisce agli operatori economici che siano persone fisiche di creare uno stabilimento secondario in Portogallo (v., in tal senso, sentenze 12 luglio 1984, causa 107/83, Klopp, Racc. pag. 2971, punto 19, e 7 luglio 1988, causa 143/87, Stanton, Racc. pag. 3877, punto 11).

43
Detto requisito non può essere giustificato dalla tutela dei creditori. Infatti, dal momento che esistono mezzi per conseguire un obiettivo del genere limitando in minor misura la libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento, quali ad esempio la prestazione di una garanzia o la stipulazione di un contratto di assicurazione, il detto requisito deve essere considerato sproporzionato.

44
Tenuto conto di tali circostanze, la seconda censura è fondata.

Sulla terza censura, relativa all’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE del requisito che impone all’operatore economico di avere un capitale sociale minimo

Argomenti delle parti

45
La Commissione considera che il requisito secondo il quale l’operatore economico deve avere un capitale sociale minimo per poter esercitare attività di vigilanza privata in Portogallo è una restrizione sia alla libera prestazione dei servizi sia alla libertà di stabilimento.

46
Tale requisito, infatti, obbligherebbe un prestatore transfrontaliero ad aumentare il proprio capitale sociale, anche se esso è sufficiente rispetto a quanto richiesto dalla normativa del suo Stato membro di origine.

47
Inoltre, il detto requisito impedirebbe a un operatore stabilito in uno Stato membro diverso dalla Repubblica portoghese ed il cui capitale sociale è inferiore all’importo minimo prescritto dalla normativa portoghese, di creare una filiale o una succursale nel territorio portoghese.

48
La Commissione sostiene altresì che la necessità di un capitale sociale minimo, sebbene possa essere giustificata da motivi di interesse generale, non costituisce una misura adeguata a garantire la realizzazione dell’obiettivo da essa perseguito e va oltre quanto necessario per conseguirlo.

49
Il governo portoghese sostiene che il detto requisito non limita né la libera prestazione dei servizi né il diritto a uno stabilimento secondario.

50
Secondo il detto governo, un’eventuale restrizione del diritto al libero stabilimento secondario è, comunque, giustificato da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei creditori e la necessità di evitare una discriminazione nei confronti degli operatori nazionali.

51
In primo luogo, occorrerebbe garantire la solidità finanziaria degli operatori che possono esercitare attività di vigilanza privata e prevenire il rischio di bancarotta fraudolenta a causa dell’insolvibilità di quelli che non hanno un capitale iniziale sufficiente.

52
In secondo luogo, non imporre a un operatore che intende esercitare il suo diritto di stabilimento secondario in Portogallo di possedere, nel suo Stato membro di origine, il capitale minimo imposto dalla legge portoghese per accedere ad attività di vigilanza privata comporterebbe una discriminazione rispetto ad operatori nazionali, poiché questi ultimi sarebbero comunque tenuti a dotarsi del capitale sociale minimo previsto dalla legge portoghese.

Giudizio della Corte

53
A tale proposito, occorre dichiarare che il requisito secondo il quale gli operatori di vigilanza privata devono avere un capitale sociale minimo è tale da ostacolare le attività dei prestatori transfrontalieri stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica portoghese, nei quali forniscono legalmente servizi analoghi, e costituisce, pertanto, una restrizione ai sensi dell’art. 49 CE. Infatti, prestatori transfrontalieri che possiedono un capitale sociale inferiore all’importo minimo richiesto dalla normativa portoghese non possono prestare i loro servizi in Portogallo.

54
Inoltre, un requisito del genere costituisce una restrizione ai sensi dell’art. 43 CE (v. sentenza 30 settembre 2003, causa C‑167/01, Inspire Art, Racc. pag. I‑0000, punti 100 e 101). Esso, infatti, impedisce a un operatore comunitario che ha un capitale sociale inferiore all’importo minimo richiesto dalla normativa portoghese di costituire una filiale o una succursale nel territorio portoghese.

55
La tutela dei creditori non può giustificare un requisito del genere, in quanto esistono mezzi per conseguire un tale obiettivo che limitano in minor misura la libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento, quali la prestazione di una garanzia o la stipulazione di un contratto di assicurazione.

56
Neanche la volontà di impedire eventuali tentativi di aggirare la normativa nazionale può giustificare il detto requisito. Difatti, la circostanza che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri Stati membri non può costituire un abuso del diritto di stabilimento (v. sentenza 9 marzo 1999, causa C‑212/97, Centros, Racc. pag. I‑1459, punto 27).

57
Tenuto conto di tali circostanze, la terza censura è fondata.

Sulla quarta censura, relativa all’incompatibilità con l’art 49 CE del requisito che impone all’operatore economico di ottenere un’autorizzazione delle autorità portoghesi, senza tener conto dei documenti e delle garanzie già prodotti nello Stato membro di origine

Argomenti delle parti

58
Secondo la Commissione, il requisito in base al quale l’operatore economico deve ottenere un’autorizzazione rilasciata dalle autorità portoghesi per esercitare attività di vigilanza privata in Portogallo, senza tener conto dei documenti e delle garanzie già prodotti nello Stato membro di origine, è una restrizione alla libera prestazione dei servizi.

59
Il governo portoghese sostiene che il detto requisito non limita il diritto alla libera prestazione dei servizi.

Giudizio della Corte

60
A questo proposito è sufficiente dichiarare che la Corte, trattando di una normativa analoga a quella portoghese contestata dalla Commissione e in presenza di argomenti simili a quelli del governo portoghese, ha statuito che una normativa nazionale che subordina l’esercizio di talune prestazioni di servizi nel territorio nazionale da parte di un’impresa avente sede in un altro Stato membro al rilascio di un’autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE. Una siffatta restrizione non può essere giustificata poiché, escludendo che si tenga conto degli obblighi ai quali il prestatore transfrontaliero è già assoggettato nello Stato membro nel quale è stabilito, va oltre, in ogni caso, quanto necessario per raggiungere lo scopo perseguito, che è quello di garantire uno stretto controllo sulle dette attività (sentenza Commissione/Belgio, cit., punti 35‑38).

61
Tenuto conto di tali circostanze, la quarta censura è fondata.

Sulla quinta censura, relativa all’incompatibilità con gli artt. 39 CE e 49 CE del requisito che impone al personale dell’operatore economico di essere in possesso di un tesserino professionale rilasciato dalle autorità portoghesi, senza tener conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine

Argomenti delle parti

62
La Commissione sostiene che il requisito secondo il quale il personale dell’operatore economico deve essere in possesso di un tesserino professionale rilasciato dalle autorità portoghesi costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi di detto operatore nonché alla libera circolazione del suo personale.

63
A suo parere, il tesserino professionale è una sorta di licenza che ogni dipendente di un’impresa di vigilanza privata deve ottenere per esercitare l’attività nel territorio portoghese. Di conseguenza, la Commissione ritiene che venga limitato il diritto di distaccare personale autorizzato a esercitare un’attività del genere nello Stato membro di origine del prestatore transfrontaliero.

64
Inoltre, la Commissione considera che il requisito della necessità di avere un tesserino professionale, anche se potesse essere giustificato da motivi di interesse generale, vada oltre quanto necessario per raggiungere lo scopo prefisso, se non si tiene conto dei requisiti per ottenere un analogo tesserino nello Stato membro di origine.

65
Secondo il governo portoghese, il tesserino professionale consente di verificare se il personale di un’impresa che esercita attività di vigilanza privata soddisfa i requisiti – quali l’adempimento dell’obbligo scolastico minimo, il superamento delle prove di conoscenza e di capacità fisica, nonché la robustezza fisica e il profilo psicologico – necessari per l’esercizio delle attività di vigilanza privata. In un settore di cui è noto il carattere specifico, come quello della vigilanza privata, l’autorità di controllo dello Stato membro di destinazione potrebbe e dovrebbe procedere a verifiche periodiche.

Giudizio della Corte

66
A tale proposito occorre dichiarare che il requisito secondo il quale il personale di un operatore di vigilanza privata deve essere in possesso di un tesserino professionale rilasciato dalle autorità portoghesi costituisce una restrizione ai sensi degli artt. 39 CE e 49 CE in quanto non tiene conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine.

67
Tenuto conto di tali circostanze, la quinta censura è fondata.

Sulla sesta censura, relativa alla violazione dell’art. 249 CE, in combinato disposto con l’art. 10 CE, derivante da una errata attuazione dell’art. 8 della direttiva 92/51 in diritto nazionale

Argomenti delle parti

68
La Commissione fa valere in sostanza che, non assoggettando le professioni del settore della vigilanza privata al regime comunitario del riconoscimento delle qualifiche professionali, la Repubblica portoghese è venuta meno al suo obbligo di recepire in diritto interno l’art. 8 della direttiva 92/51.

69
Essa ritiene che il tesserino professionale è un attestato di competenza ai sensi dell’art. 8, in combinato disposto con l’art. 1, lett. c), della direttiva 92/51. Le attività di vigilanza privata, infatti, possono essere esercitate in Portogallo solo dal personale che ha seguito un corso di formazione obbligatorio ai sensi della legislazione portoghese e che ha superato prove di conoscenza e d’idoneità fisica attestate dal rilascio del tesserino professionale. In base a tale legislazione, l’accesso alle dette attività è subordinato al possesso di un siffatto tesserino professionale da parte del personale dell’operatore.

70
Il governo portoghese sostiene che l’accesso alle attività di vigilanza privata non è subordinato al possesso di un attestato di competenza. Non esisterebbe alcun certificato o titolo, ai sensi dell’art. 8 della direttiva 92/5, che sancirebbe una formazione. La Repubblica portoghese non sarebbe quindi venuta meno al suo obbligo di recepire l’art. 8 di tale direttiva.

Giudizio della Corte

71
Per le ragioni esposte dall’avvocato generale ai paragrafi 92‑95 delle sue conclusioni, il tesserino professionale non può essere considerato un attestato di competenza ai sensi dell’art. 8 della direttiva 92/51, in combinato disposto con l’art. 1, lett. c), della medesima.

72
Pertanto, il requisito secondo il quale il personale dell’operatore di vigilanza privata deve essere in possesso di un tesserino professionale rilasciato dalle autorità portoghesi non è dunque contrario all’art. 8 della direttiva 92/51.

73
Tenuto conto di tali circostanze, la sesta censura relativa alla mancata attuazione dell’art. 8 della direttiva 92/51 dev’essere respinta.

74
Tenuto conto di quanto precede, occorre dichiarare che, imponendo agli operatori stranieri per poter esercitare in Portogallo, nel settore dei servizi di vigilanza privata, attività di sorveglianza su persone e beni i seguenti requisiti:

avere la sede o una rappresentanza permanente nel territorio portoghese;

essere costituiti in forma di persona giuridica;

avere un capitale sociale minimo;

ottenere un’autorizzazione rilasciata dalle autorità portoghesi, senza tener conto dei documenti e delle garanzie già presentati nello Stato membro di origine, e

munire il loro personale di un tesserino professionale rilasciato dalle dette autorità, senza tener conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine,

la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE.


Sulle spese

75
Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica portoghese, rimasta sostanzialmente soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce

1)
Imponendo agli operatori stranieri per poter esercitare in Portogallo, nel settore dei servizi di vigilanza privata, attività di sorveglianza su persone e beni i seguenti requisiti:

avere la sede o una rappresentanza permanente nel territorio portoghese;

essere costituiti in forma di persona giuridica;

avere un capitale sociale minimo;

ottenere un’autorizzazione rilasciata dalle autorità portoghesi, senza tener conto dei documenti e delle garanzie già presentati nello Stato membro di origine, e

munire il loro personale di un tesserino professionale rilasciato dalle dette autorità, senza tener conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro di origine,

la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 39 CE, 43 CE e 49 CE.

2)
Per il resto, il ricorso è respinto.

3)
La Repubblica portoghese è condannata alle spese.

Jann

Rosas

von Bahr

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 29 aprile 2004.

Il cancelliere

Il presidente

R. Grass

V. Skouris


1
Lingua processuale: il portoghese.

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