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Document 61999CC0334

Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 24 gennaio 2002.
Repubblica federale di Germania contro Commissione delle Comunità europee.
Trattati CECA e CE - Aiuti concessi dagli Stati - Composizione della Commissione - Notifica alla Commissione degli aiuti e dei progetti di aiuti - Nozione e contenuto della notifica - Ambito di applicazione del Trattato CECA - Quinto codice degli aiuti alla siderurgia - Competenza ratione temporis della Commissione - Art.87, n.2, lett. c),CE - Procedimento di privatizzazione - Criterio dell'investitore privato - Bando d'appalto - Trasparenza.
Causa C-334/99.

Raccolta della Giurisprudenza 2003 I-01139

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2002:41

61999C0334

Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 24 gennaio 2002. - Repubblica federale di Germania contro Commissione delle Comunità europee. - Trattati CECA e CE - Aiuti concessi dagli Stati - Composizione della Commissione - Notifica alla Commissione degli aiuti e dei progetti di aiuti - Nozione e contenuto della notifica - Ambito di applicazione del Trattato CECA - Quinto codice degli aiuti alla siderurgia - Competenza ratione temporis della Commissione - Art.87, n.2, lett. c),CE - Procedimento di privatizzazione - Criterio dell'investitore privato - Bando d'appalto - Trasparenza. - Causa C-334/99.

raccolta della giurisprudenza 2003 pagina I-01139


Conclusioni dell avvocato generale


1. La Repubblica federale di Germania ha proposto un ricorso, ai sensi degli artt. 33, n. 1, CA, e 230, secondo comma, CE, con cui chiede alla Corte di giustizia di: i) annullare gli art. 4-7 della decisione della Commissione 8 luglio 1999, 1999/720/CE, CECA relativa agli aiuti di Stato concessi dalla Germania a due imprese (in prosieguo: la «decisione impugnata») ; ii) ordinare alla Commissione di trasmettere alla Corte medesima, ai sensi dell'art. 23 dello Statuto CECA della Corte di giustizia, tutti gli atti, a decorrere dal 1994, concernenti il detto procedimento al fine di consentirle di prenderne visione, e iii) condannare la convenuta alle spese.

I - Fatti all'origine della controversia

2. In data 6 giugno 1997 il Governo tedesco comunicava alla Commissione, a termini dell'art. 88, n. 3, CE, la privatizzazione dell'impresa Gröditzer Stahlwerke GmbH (in prosieguo: la «Gröditzer») e della sua controllata Walzwerk Burg GmbH (in prosieguo: la «Walzwerk»), le modalità con cui si era proceduto alla cessione delle azioni nonché i provvedimenti posti in essere prima della privatizzazione. Rispetto a tutta la produzione dell'impresa, solamente l'acciaio liquido e i lingotti ricadono nella sfera di applicazione del Trattato CECA.

3. Nel 1990 la Gröditzer era stata rilevata dalla Treuhandanstalt (ente istituito al fine di adeguare all'economia di mercato le circa 8000 imprese statali della ex Repubblica democratica tedesca), al fine di procedere alla sua ristrutturazione e successiva privatizzazione . Come obiettivo veniva fissato il mantenimento della produzione dello stesso tipo di acciaio con la riduzione della capacità da 285 000 a 150 000 tonnellate annue e con una decurtazione di 2 500 posti di lavoro, che venivano così ridotti da 5 200 a 2 700. Si riteneva che gli investimenti necessari sarebbero stati relativamente modesti; tuttavia risultò ben presto che il progetto non poggiava su basi solide, in quanto erano venuti meno i mercati tradizionali ed i prezzi dei prodotti in lega semplici avevano registrato una caduta dovuta ad eccesso di capacità.

Nel 1992 la Treuhandanstalt tentava senza esito di vendere l'impresa. Cedeva le azioni alla EREL Verwaltungs GmbH & Co. Management KG, società di gestione in accomandita operante quale holding di varie imprese destinate ad essere privatizzate una volta ristrutturate. La Treuhandanstalt era unica titolare di tale holding.

A decorrere dal gennaio del 1995 il titolare della holding cambiava la propria denominazione in Bundesanstalt für Vereinigungsbedingte Sonderaufgaben e la sua attività si riduceva alla gestione contrattuale, laddove le attività di ristrutturazione e di privatizzazione delle imprese venivano affidate alla società Beteiligungs-Management-Gesellschaft Berlin mbH, altro ente statale controllato dal governo federale, che diveniva in tal modo unico proprietario della Gröditzer.

4. All'inizio del 1997 l'impresa veniva venduta alla Georgesmarienhütte. La Walzwerk è una società autonoma che svolge la propria attività al di fuori dell'ambito della CECA; il suo azionista pubblico la cedeva alla Gröditzer nel quadro del processo di privatizzazione e, da allora, essa opera quale centro di servizi siderurgici di quest'ultima .

5. In data 6 giugno 1997 la Germania comunicava alla Commissione che, nel periodo compreso tra il 1992 e il 1996, la Gröditzer aveva ottenuto aiuti dell'importo di 263,7 milioni di marchi, di cui 207,3 erogati sotto forma di finanziamento da parte degli azionisti statali, 53,4 sotto forma di crediti bancari garantiti dalla Treuhandanstalt e dal Bundesanstalt für Vereinigungsbedingte Sonderaufgaben, nonché 3 milioni sotto forma di sovvenzioni dirette. Le veniva inoltre concesso un ulteriore importo pari a 8,4 milioni di marchi nell'ambito del programma tedesco di aiuti regionali previsti dall'«azione comune per il miglioramento della struttura economica regionale». La cessione dell'impresa implicava per il proprietario un costo complessivo di 393 milioni di marchi, derivanti per la maggior parte dalla remissione dei finanziamenti concessi dagli azionisti e dalla dispensa dal rimborso dei crediti bancari ricevuti.

6. A seguito della comunicazione, la Commissione decideva di avviare un procedimento ai sensi della decisione n. 2496/96/CECA (sesto codice degli aiuti alla siderurgia). La relativa comunicazione veniva trasmessa alla Germania in data 5 agosto 1997 e veniva pubblicata nella Gazzetta ufficiale, ove gli altri Stati membri ed i terzi interessati potevano formulare osservazioni in merito .

Ai fini dell'avvio del procedimento la Commissione riteneva che tanto il finanziamento da parte degli azionisti statali in ragione di 207,3 milioni, concesso senza interessi e senza garanzia alcuna da parte dell'impresa, quanto i crediti bancari, garantiti per un totale di 53,4 milioni di marchi con una commissione dello 0,5%, costituissero aiuti. La Commissione decideva di esaminare inoltre la compatibilità dell'aiuto regionale pari a 8,4 milioni. Quanto alla privatizzazione, la Commissione esprimeva dubbi in merito alla conformità della cessione ad un prezzo negativo con il criterio del comportamento del socio investitore privato, atteso che, alla luce dei dati forniti, la liquidazione della Gröditzer avrebbe implicato un costo minore. Non sarebbe stato nemmeno possibile accertare se il procedimento di privatizzazione fosse stato effettuato in modo aperto, trasparente e incondizionato. La Commissione osservava parimenti che l'accordo relativo alla privatizzazione conteneva l'obbligo espresso da parte del proprietario di concedere aiuti agli investimenti alla Gröditzer.

7. La Germania prendeva posizione in merito all'avvio del procedimento e tre imprese (Max Aicher GmbH & Co, Neue Maxhütte Sthlwerke GmbH e Lech Stahlwerke GmbH) presentavano osservazioni. A loro parere, con la vendita a prezzo negativo sarebbe stato facilitato all'acquirente il reperimento di risorse liquide con cui migliorare la propria posizione finanziaria e procedere ad acquisizioni. Inoltre, le modalità della cessione della Gröditzer avrebbero causato una distorsione della concorrenza.

II - La decisione impugnata

8. In data 8 luglio 1999 la Commissione emanava la decisione ora impugnata dalla Germania con il proprio ricorso. La decisione consta di una motivazione, svolta in 108 punti, e di 10 articoli.

Gli artt. 1, 2 e 3 sono favorevoli alla Germania e non sono oggetto di ricorso.

9. Gli artt. 4, 5 e 6 dichiarano invece l'incompatibilità di determinate misure con la normativa comunitaria.

10. L'art. 4 dichiara incompatibili con il mercato comune gli aiuti agli investimenti concessi alla Gröditzer per complessivi 83,2 milioni di marchi e costituiti da crediti bancari garantiti al 100% dalla Treuhandanstalt e dalla Bundesanstalt für vereinigungsbedingte Sonderaufgaben, da finanziamenti da parte di soci concessi dai successivi azionisti pubblici tra il 1992 ed il 1996 nonché da sovvenzioni erogate, nel periodo compreso tra il 1997 ed il 1999, nell'ambito del programma di azione comune per il miglioramento della struttura economica regionale.

11. A termini dell'art. 5, costituiscono aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune del carbone e dell'acciaio i provvedimenti adottati dalla Germania a favore della Gröditzer per un importo complessivo di 155,5 milioni di marchi, consistenti in aiuti agli investimenti per 14,3 milioni ed in aiuti al funzionamento per 141,2 milioni (di cui 17 costituiti da una sovvenzione ai fini della privatizzazione e 124,2 sia dal finanziamento di crediti bancari garantiti al 100% sia dai finanziamenti di soci concessi dagli azionisti pubblici).

12. L'art. 6 dichiara incompatibili con il mercato comune del carbone e dell'acciaio le misure che la Germania intendeva concedere alla Gröditzer a norma dell'art. 9, paragrafo 2, dell'accordo 27 febbraio 1997 relativo alla cessione di quote della detta impresa alla Georgsmarienhütte per un importo pari a 3,3 milioni di marchi sotto forma di finanziamenti accordati a titolo di acconto su futuri aiuti regionali.

13. Ai sensi dell'art. 7, la Germania deve provvedere a recuperare presso il beneficiario gli aiuti illegittimamente concessi di cui agli artt. 4 e 5. Il recupero deve essere eseguito secondo le procedure nazionali, purché queste non lo rendano impossibile o eccessivamente gravoso. L'importo da recuperare è produttivo di interessi a decorrere dal giorno dell'erogazione al beneficiario sino a quello di rimborso effettivo, in base al tasso di riferimento applicato per la determinazione dell'equivalente sovvenzione degli aiuti a finalità regionale. Ai fini di tale disposizione, con il termine «beneficiario» deve intendersi non solo la Gröditzer, bensì qualunque altra impresa cui gli attivi aziendali siano stati trasferiti in modo da vanificare il rimborso degli aiuti.

III - Svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte

14. Il ricorso della Germania è stato registrato presso la cancelleria della Corte in data 9 settembre 1999. La Commissione ha presentato controricorso il 29 novembre seguente. Entrambi gli atti sono stati integrati, rispettivamente, da replica, depositata il 14 marzo 2000, e da controreplica, depositata il 14 aprile seguente.

In attuazione del disposto dell'art. 23 dello Statuto CECA, la Corte ha invitato la Commissione, in data 24 luglio 2001, a trasmetterle tutti gli atti della pratica, atteso che, tanto nel ricorso quanto nella replica, la Germania aveva chiesto di poterne prendere visione. Il 3 ottobre 2001 la Commissione ha comunicato l'elenco dei quarantotto documenti contenuti nella pratica, trasmettendolo contestualmente alla ricorrente che, il 19 ottobre seguente, faceva presente di non doverne esaminare alcuno.

In considerazione della richiesta formale della Germania di poter presentare osservazioni orali, la Corte di giustizia ha deciso di fissare un'udienza, svoltasi il 27 novembre 2001.

IV - Motivi di ricorso

15. La domanda della Germania è diretta all'annullamento degli artt. 4-7 della decisione 1999/720, in quanto illegittimi nella parte in cui le sovvenzioni alla privatizzazione della impresa sarebbero da considerarsi quali aiuti di Stato, e articola il proprio ricorso su sei motivi.

La Germania sostiene, in primo luogo, che, nell'emanazione della decisione 1999/720, la Commissione avrebbe violato gli artt. 213 CE e 215 CE, atteso che uno dei suoi membri si sarebbe trovato in posizione amministrativa irregolare; in secondo luogo, nel corso del procedimento amministrativo, la Commissione avrebbe violato il dovere di diligenza, i principi di sana amministrazione e di certezza del diritto, nonché l'obbligo di motivazione; in terzo luogo, l'istituzione convenuta avrebbe applicato le norme del Trattato CECA a settori di produzione della Gröditzer estranei alla sfera di applicazione del Trattato stesso; in quarto luogo, la Commissione avrebbe erroneamente considerato gli aiuti agli investimenti destinati al settore di produzione CECA dell'impresa, ai sensi della decisione 3855/91/CECA (quinto codice degli aiuti alla siderurgia); in quinto luogo, avrebbe erroneamente valutato gli aiuti agli investimenti destinati al settore produttivo escluso dal Trattato CECA; e, in sesto luogo, non avrebbe tenuto in debito conto le modalità con cui sarebbe stata operata la privatizzazione.

V - Esame del ricorso

A. Primo motivo: violazione degli artt. 213 CE, 215 CE, 9 CA e segg., in quanto la composizione della Commissione, all'atto della emanazione della decisione, sarebbe stata irregolare

16. La ricorrente sostiene che la decisione 1999/720 dovrebbe essere annullata in quanto inficiata da un vizio sostanziale di forma, atteso che, al momento della sua emanazione, la composizione della Commissione sarebbe stata irregolare. Il 1° luglio 1999 l'istituzione convenuta avrebbe sollevato dalle proprie funzioni il commissario sig. Bangemann, su richiesta del medesimo, e avrebbe trasferito i suoi poteri ad un altro membro, con il risultato che la direzione generale della politica industriale, operante alle dirette dipendenze del sig. Bangemann, sarebbe rimasta esclusa dal procedimento di adozione della decisione. La Germania sottolinea che, qualora la detta direzione generale avesse potuto pronunciarsi in merito, la decisione impugnata non sarebbe stata probabilmente emanata.

Il Trattato non contemplerebbe l'ipotesi in cui un commissario presenti le dimissioni e cessi di esercitare le proprie funzioni. La Commissione avrebbe modificato, motu proprio, il numero dei propri componenti, senza attendere che si procedesse ad altra nomina o che il Consiglio decidesse, come poi avvenuto, che non vi era necessità di procedere alla sostituzione per la restante durata del mandato. Per tale motivo il governo ricorrente afferma che l'istituzione convenuta, oltre ad essersi arrogata poteri decisionali spettanti al Consiglio, non sarebbe stata regolarmente costituita.

17. La Commissione sostiene che l'art. 215, secondo comma, contemplerebbe l'ipotesi di un numero ridotto di commissari, affinché, in tal caso, non risulti ostacolato il normale funzionamento dell'istituzione. Nella specie, il Consiglio ha deciso, in data 9 luglio 1999, che non occorreva procedere alla sostituzione del sig. Bangemann, confermando in tal modo l'iniziativa della Commissione di sospenderlo dall'esercizio delle sue funzioni, atteso che l'interessato ne aveva fatto richiesta per potersi dedicare allo svolgimento di un'attività professionale in un'impresa. Essendo questi tenuto al rispetto degli obblighi derivanti dal proprio incarico, in particolare quelli di lealtà e di riservatezza con rigurdo all'accettazione, successivamente alla scadenza del mandato, di determinate attività professionali o cariche, era imprescindibile sollevare il sig. Bangemann dalle proprie funzioni affinché non si trovasse a partecipare all'emanazione di decisioni dell'istituzione, potendo essere contestata la legittimità della sua esecuzione.

18. La decisione impugnata veniva emanata l'8 luglio. La Germania sostiene che il procedimento di emanazione sarebbe inficiato da un vizio di forma sostanziale, consistente nel fatto che la Commissione avrebbe modificato il numero dei commissari stabilito dai Trattati, senza disporre del potere per farlo.

19. Il 29 giugno 1999 il sig. Bangemann, responsabile per le questioni attinenti ai settori dell'industria, della tecnologia dell'informazione e delle telecomunicazioni, indirizzava una lettera al presidente in carica della Conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri con cui comunicava il proprio intendimento di svolgere attività professionale in seno all'impresa Telefònica, chiedendo che si desse avvio al più presto al procedimento per la nomina del suo successore.

A fronte di tale iniziativa, la Commissione rilasciava una dichiarazione con cui, oltre a prenderne atto, accoglieva la richiesta dell'interessato di essere sollevato dalle funzioni relative al proprio incarico. Considerato che la impresa per la quale intendeva svolgere attività professionale operava nel campo delle telecomunicazioni - settore che sino a quel momento ricadeva nella sfera delle competenze del commissario dimissionario -, sorgeva un possibile conflitto di interessi, oltre all'osservanza del proprio dovere di lealtà e riservatezza con riguardo all'accettazione di funzioni o cariche al termine del proprio mandato.

20. Il 9 luglio 1999 il Consiglio emanava la Decisione 1999/493/CE, CECA, Euratom , relativa alla composizione della Commissione, con cui rendeva noto che il posto del sig. Bangemann sarebbe rimasto vacante sino alla nomina della nuova Commissione .

21. Ai sensi degli artt. 213 CE e 215 CE , la Commissione è composta da venti commissari che, in caso di dimissioni, restano in carica fino a quando non si sia provveduto alla loro sostituzione ovvero sino a quando il Consiglio decida che non vi è motivo di nominare un successore, ipotesi in cui l'istituzione continua a funzionare pur non disponendo del numero iniziale dei propri membri . Il Trattato CE, all'art. 216 CE, concede alla Commissione un potere distinto solamente nel caso di cessazione di uno dei suoi membri. Tale articolo non era peraltro applicabile al sig. Bangemann e la sospensione dalle funzioni di un commissario non è prevista dai testi normativi.

La Commissione è tenuta ad assicurare il proprio funzionamento con continuità e, in caso di dimissioni di un commissario, anche l'esame delle pratiche deve proseguire senza attendere che il Consiglio proceda alla sua sostituzione. Il procedimento decisorio della Commissione, che possiede potere di iniziativa in vari settori, non può venire ad essere paralizzato, salvo il caso di assenza del quorum . In una situazione del genere di quella venutasi a creare con le dimissioni del sig. Bangemann, l'istituzione doveva operare con serenità e rapidità, al fine non solo di proseguire la propria normale attività, bensì anche di eliminare in radice la sfiducia che minacciava di crearsi nell'opinione pubblica circa l'imparzialità di coloro che partecipavano al procedimento di adozione delle decisioni.

22. A fronte delle critiche sorte e del prevedibile allarme che tale evento poteva creare nella Comunità e considerato che l'interessato aveva presentato le proprie dimissioni, la Commissione, allorché ha sospeso il sig. Bangemann dalle proprie funzioni di membro del collegio dei commissari, in attesa che il Consiglio decidesse in merito alla sua sostituzione, ha operato nell'ambito dei poteri di cui dispone ai fini dell'organizzazione del proprio funzionamento interno.

23. Non condivido la tesi della ricorrente secondo cui l'assenza del detto commissario alla riunione in cui venne approvata la decisione impugnata avrebbe significato che la Direzione generale della politica industriale non sarebbe stata rappresentata e che, in caso contrario, la detta decisione non sarebbe stata probabilmente adottata. Da un lato, infatti, la decisione è stata sottoposta, allo stadio di progetto, alla Direzione generale competente affinché questa potesse pronunciarsi in merito per iscritto e, dall'altro, tale ufficio è stato rappresentato alla riunione, poiché le competenze del commissario dimissionario erano state assunte dal commissario sig. Van Miert.

24. Per i suesposti motivi ritengo che con l'emanazione della decisione impugnata la Commissione non sia incorsa nel vizio sostanziale di forma dedotto dalla Germania. Il primo motivo deve essere conseguentemente respinto, in quanto infondato.

B. Secondo motivo: violazione, nel corso del procedimento amministrativo, del dovere di diligenza, dei principi di sana amministrazione e di certezza del diritto nonché dell'obbligo di motivazione

25. La Germania articola tale motivo su tre distinti capi.

i) Il dovere di diligenza e i principi di sana amministrazione e di certezza del diritto in relazione alle sovvenzioni concesse

26. La ricorrente fa presente che ha comunicato, nel 1994 e 1995, le misure di finanziamento pubblico adottate e che la Commissione l'aveva indotta a ritenere per tre anni che non avrebbe sollevato, sulla base delle norme relative agli aiuti di Stato, alcuna obiezione in ordine alle misure finanziarie in materia di ristrutturazione. La ricorrente considera tale condotta contraria al principio del legittimo affidamento, condotta che si estende dalla prima notificazione sino alla decisione di avviare il procedimento di verifica, senza inoltre avvertirla della insufficienza dei dati forniti. La Commissione avrebbe dovuto pronunciarsi nel 1994 e nel 1995 sul fatto che le misure economiche già eseguite e notificate costituivano aiuti di Stato nonché sulla loro compatibilità con il mercato comune. Per tale motivo, la Commissione non potrebbe ora pretendere il recupero delle somme concesse prima della fine del 1995.

La richiesta di informazioni inviata dalla Commissione in data 16 luglio 1996 e la lettera del 14 agosto 1997 riguardavano procedimenti iniziati nel 1994. Parimenti, nella comunicazione del 9 giugno 1994, la ricorrente fa riferimento a due precedenti lettere della Commissione, una del 21 aprile 1994 e l'altra del 25 maggio. Non potrebbe parlarsi, in tal caso, di notificazioni informali, in quanto contenenti dati forniti dall'ufficio competente del Ministero dell'Economia, in nome del Governo tedesco, tenuto conto del fatto che il diritto comunitario non disciplina la forma con cui gli Stati membri debbono comunicare i progetti di aiuti. La ricorrente precisa di aver ritirato la notificazione parziale effettuata il 29 giugno 1994, mediante lettera del 2 dicembre dello stesso anno, su richiesta della Commissione, che aveva richiesto la sospensione del procedimento di dichiarazione per un periodo di transizione, considerato che la privatizzazione dell'impresa non era imminente. Ciò premesso, la Germania ha proseguito nell'attuazione delle misure dirette alla ristrutturazione dell'impresa.

27. La Commissione ritiene che l'unica comunicazione pertinente sarebbe stata effettuata il 6 luglio 1997, atteso che gli aiuti alla siderurgia, del valore di 133 milioni di marchi, concessi sino a tutto il 1993, non sarebbero stati notificati sino al giugno del 1994, in modo peraltro informale, contrariamente al disposto dell'art. 88, n. 3, CE. Quanto alla notificazione formale, effettuata il 29 giugno 1994, riguardante gli aiuti all'investimento di 79 milioni, essa sarebbe stata ritirata dalle autorità tedesche, non su richiesta della Commissione, come sostenuto ex adverso, bensì per poter notificare, in vista della privatizzazione, lo stato definitivo ed esaustivo degli aiuti al fine di richiedere un loro esame complessivo, come si desumerebbe dalla lettera trasmessale il 24 luglio 1998. Nonostante tutta la corrispondenza anteriore al giugno del 1994, la Commissione non avrebbe potuto dar corso all'esame degli aiuti. Avendo constatato che la privatizzazione era stata realizzata agli inizi del 1997, avrebbe nuovamente richiesto la notificazione formale, che non avrebbe ottenuto sino al 7 giugno, ragion per cui avrebbe avviato il procedimento di verifica nell'agosto dello stesso anno.

28. Non condivido la tesi del Governo tedesco secondo cui la Commissione avrebbe dovuto formarsi un'opinione in merito alla compatibilità degli aiuti con il mercato comune nel 1994 e 1995. Inoltre, la giurisprudenza citata a sostegno di tale tesi non è pertinente .

Se l'obiettivo finale era di porre in essere la privatizzazione della Gröditzer, le informazioni comunicate prima che essa si verificasse dovevano essere frammentarie e incomplete, per cui la Commissione poteva legittimamente contestare l'effettuazione di una notificazione formale ed esaustiva che potesse costituire oggetto di esame . Il fatto di aver continuato, sino al 1996, a ricevere informazioni da parte delle autorità tedesche in merito alle misure a favore della detta impresa e la necessità di integrare le informazioni fornite anche dopo l'inizio del procedimento di verifica rafforzano questo mio convincimento .

In assenza di comunicazione completa delle misure, la Commissione non disponeva di tutte le informazioni necessarie per potersi formare un'opinione in merito alla loro compatibilità con il mercato comune, ragion per cui non poteva iniziare a decorrere il termine di due mesi entro il quale la Commissione è tenuta a pronunciarsi. Come affermato in una recente sentenza della Corte di giustizia, ai fini della fase preliminare è sufficiente, perché una notifica sia completa e faccia decorrere il termine di due mesi, che essa contenga, sin dall'inizio o a seguito delle risposte dello Stato membro ai quesiti posti dalla Commissione, le informazioni necessarie per consentire a quest'ultima di formarsi una prima opinione sulla compatibilità dell'aiuto con il Trattato .

29. Il principio del legittimo affidamento non può considerarsi violato laddove la Commissione non si sia pronunciata in ordine alle misure notificate in maniera completa e formale secondo le procedure previste. La Corte di giustizia ha affermato che, tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell'art. 88 CE, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento sulla regolarità dell'aiuto solamente qualora quest'ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal menzionato articolo, cosa di cui qualsiasi operatore economico diligente deve potersi accertare . Parimenti uno Stato membro che abbia concesso un aiuto in violazione delle norme procedurali di cui all'art. 88 CE non può invocare il legittimo affidamento per sottrarsi all'obbligo di adottare i provvedimenti necessari ai fini dell'esecuzione di una decisione della Commissione con cui sia stato ordinato di ripetere l'aiuto, giacché ammettere tale possibilità significherebbe privare di efficacia pratica le norme di cui agli art. 87 CE e 88 CE, in quanto le autorità nazionali potrebbero far valere in tal modo il proprio illegittimo comportamento al fine di vanificare l'efficacia delle decisioni emanate dalla Commissione .

Alla luce di tale giurisprudenza riguardante i beneficiari degli aiuti, appare corretta l'osservazione della Commissione secondo cui le autorità nazionali, essendo il suo interlocutore diretto, sarebbero meglio informate in ordine allo stato del procedimento ed all'esito del medesimo, ragion per cui minore sarebbe per loro la possibilità, rispetto alle imprese, di far valere la violazione del legittimo affidamento, in particolare quando, durante il periodo controverso, abbiano proseguito a fornire, su iniziativa propria o su richiesta della Commissione, informazioni integrative relative allo stesso progetto.

ii) Il dovere di diligenza e i principi di sana amministrazione e di certezza del diritto in relazione alle misure di finanziamento previste e notificate nel 1994 e 1995

30. Secondo la ricorrente, la Commissione, non essendosi pronunciata tempestivamente in ordine alle misure di finanziamento quando è stata informata dei progetti e non avendo espresso dubbi sulla legittimità delle misure medesime, avrebbe violato la normativa comunitaria in materia di aiuti poiché tanto l'art. 6, n. 5, della decisione 3855/91 (quinto codice), quanto l'art. 6, n. 6, della decisione 2496/96 (sesto codice) prescrivono un termine di due mesi decorrente dalla data di notificazione ai fini dell'avvio del procedimento di verifica della misura.

31. La Commissione insiste sul fatto che l'unica notificazione completa di cui avrebbe avuto conoscenza sarebbe stata quella effettuata nel giugno del 1997, avendo atteso sino al marzo del 1999 per poter disporre di tutti i ragguagli integrativi richiesti alle autorità tedesche, come esposto al punto 3 della decisione impugnata.

32. E' certo che la Commissione, al pari di ogni altra pubblica amministrazione, è tenuta al dovere di diligenza; peraltro, perché possa esserle contestata la violazione di tale dovere, occorre che fosse nella posizione di potervi adempiere, ciò che non sembra essersi verificato nel procedimento amministrativo controverso.

Quando è stata informata dei progetti, difficilmente la Commissione poteva adottare in tempi rapidi una decisione relativa alle misure di finanziamento, non trattandosi di notificazioni formali complete di tutti i dati pertinenti. La prova del fatto di aver operato con la diligenza dovuta si ricava dalla circostanza che, a seguito della comunicazione del 6 giugno 1997, ha dato avvio al procedimento di verifica in data 5 agosto, vale a dire entro il termine di due mesi concesso dall'art. 6, n. 5, del quinto codice e dall'art. 6, n. 6, del sesto codice. Conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, solo dopo aver avuto la possibilità di esprimere un giudizio sulla conformità con il Trattato dei progetti notificati, la Commissione è tenuta a promuovere senza indugio il procedimento contraddittorio previsto dall'art. 88, n. 2, CE, intimando allo Stato membro di presentare proprie osservazioni . La durata massima dello spatium deliberandi concesso alla Commissione è di due mesi .

iii) L'obbligo di motivazione

33. Secondo la ricorrente, la decisione impugnata sarebbe viziata da carenza di motivazione, in quanto non vi sarebbe menzione del procedimento di notificazione degli anni 1994 e 1995. Dal tenore della decisione si ricaverebbe che la Germania avrebbe concesso per anni sovvenzioni alla detta impresa, senza averlo comunicato alla Commissione.

34. La decisione impugnata non fa riferimento alle informazioni fornite dalle autorità tedesche alla Commissione anteriormente al giugno del 1997. Come è stato dimostrato, tale comunicazione costituisce l'unica di cui possa tenersi conto ai fini dell'art. 88, n. 3, CE; quando è stata effettuata, la maggior parte delle misure erano già state poste in essere.

Il Tribunale di primo grado, nella motivazione di decisioni che deve emanare al fine di garantire l'applicazione della normativa in materia di concorrenza, esime la Commissione dall'obbligo di prendere posizione su tutti gli argomenti fatti valere dagli interessati a sostegno della propria domanda; è sufficiente che esponga i fatti e le considerazioni giuridiche che hanno un ruolo essenziale nell'economia della decisione . Tali principi sono stati confermati dalla Corte di giustizia con la sentenza pronunciata a seguito dell'impugnazione .

Inoltre, si deve presumere che la notificazione formale del giugno del 1997 contenesse le informazioni parziali fornite dalle autorità tedesche nel corso degli anni e che la Commissione ne abbia tenuto conto al momento dell'adozione della decisione impugnata. La decisione contiene una descrizione chiara, precisa e dettagliata dei motivi che la giustificarono, ragion per cui non è viziata da carenza di motivazione.

Prima facie mi è sembrato quel che anche l'agente del governo tedesco affermava, vale a dire che la decisione non contenesse riferimento alcuno agli effetti delle misure di sostegno alla detta impresa sugli scambi tra Stati membri né alla circostanza se eventualmente falsassero o minacciassero di falsare la concorrenza, come inteso nella sentenza Sardegna Lines . Tale argomento non è stato dedotto nel corso del procedimento scritto, ragion per cui deve essere considerato nuovo e, come tale, irricevibile ai sensi dell'art. 42, n. 2, del regolamento di procedura. Sebbene la sentenza citata sia stata pronunciata una volta terminato il procedimento scritto, non si tratta di giurisprudenza innovatrice, in quanto in linea con vari precedenti.

35. Per le suesposte ragioni il secondo motivo è parimenti infondato e deve essere respinto in toto.

C. Terzo motivo: applicazione, da parte della Commissione, di norme del Trattato CECA a settori produttivi della Gröditzer estranei alla sua sfera di applicazione

36. La ricorrente addebita alla Commissione di aver esposto i fatti in modo distorto e contraddittorio, nonché di aver erroneamente interpretato la normativa in materia di aiuti. La Gröditzer è una impresa la cui presenza nel mercato dei prodotti contenuti nell'allegato I del Trattato CECA è molto ridotta, atteso che il 90% delle proprie attività commerciali consiste nella vendita di prodotti esclusi dal Trattato stesso. Ciononostante, la Commissione avrebbe applicato le norme poste a disciplina degli aiuti alla siderurgia al fine di valutare l'impresa nel suo complesso e, conseguentemente, gli effetti sulla concorrenza derivanti dall'attività in settori non disciplinati dalla normativa CECA, senza provare che le sovvenzioni qualificate come aiuti al funzionamento fossero state applicate in modo sproporzionato al settore CECA della produzione dell'impresa.

Secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe inteso giustificare il proprio timore del rischio di sviamento di fondi da un settore di produzione all'altro in base al rilievo che l'impresa svolge al tempo stesso attività soggette al Trattato CECA ed altre invece escluse, con il risultato che, in luogo di fondarsi su fatti comprovati, avrebbe finito per fondarsi su una presunzione. Tuttavia, come emergerebbe dalla comunicazione del revisore contabile KPMG trasmessa alla Commissione nel 1998, la Gröditzer avrebbe disposto, già dal 1990, di una contabilità analitica separata per unità di gestione, il che avrebbe consentito di identificare con esattezza gli impianti produttivi destinatari dei fondi.

A parere della ricorrente, la maggior parte degli aiuti al funzionamento sarebbe stata destinata alle aree di produzione delle fucine, delle fonderie di ghisa e dei laminatoi circolari, estranei al Trattato CECA e, al fine di applicare la normativa in materia di aiuti alla produzione esclusa da tale disciplina, la Commissione si sarebbe basata unicamente sulla qualificazione della Gröditzer come impresa siderurgica ex art. 80 CA, senza esaminare le ripercussioni della sua attività economica sul mercato. Tale modus operandi non terrebbe conto dei limiti della sfera di applicazione dei singoli Trattati né i principi generali vigenti in materia di aiuti di Stato.

37. La Commissione deduce che imprese quali la Gröditzer, che fabbricano prodotti CECA per consumo proprio o che li pongono in commercio solo in piccola parte, sarebbero considerate ricomprese nella sfera di applicazione del Trattato stesso. A termini dell'art. 80, per imprese si intenderebbero quelle che svolgono attività di produzione nel settore del carbone e dell'acciaio (termini definiti nell'allegato I) e, in talune circostanze, quelle che svolgono abitualmente un'attività di distribuzione diversa dalla vendita a consumatori privati o ad artigiani. L'elemento che determina l'assoggettamento di una impresa al Trattato CECA non è, nei processi di produzione integrati, la commercializzazione, ma la fabbricazione di prodotti intermedi, giacché sussiste il rischio che un articolo destinato ad essere utilizzato nell'ambito dell'impresa sia nella pratica immesso nel mercato. Di conseguenza, laddove l'impresa fabbrichi prodotti CECA, il relativo Trattato risulta applicabile sia se gli articoli sono destinati ad essere immessi in commercio allo stato grezzo, sia se l'impresa intende trasformarli in altri prodotti, non disciplinati dal Trattato CECA.

La Commissione avrebbe potuto ammettere che la maggior parte degli aiuti concessi fosse volta a sostenere la fabbricazione di articoli disciplinati dal Trattato CE, a condizione che vi fosse stata una completa separazione tra la produzione CECA e le attività CE dell'impresa. Non essendo stata provata una siffatta separazione, la Commissione ritiene che il rischio di sviamento degli aiuti da un settore all'altro sia reale, come espone dettagliatamente prima di affermare, nel punto 40 della decisione, che la produzione di acciaio era beneficiaria degli aiuti concessi alle attività derivate ricomprese nel Trattato CE: gli aiuti apparentemente destinati al settore preponderante e deficitario della produzione CE andavano a vantaggio, nella pratica, delle attività derivate CECA sicché, attraverso la contabilità interna, si otteneva un prezzo pieno fissato artificialmente. L'assenza di qualsivoglia sviamento dei fondi costituisce una condizione preliminare perché gli aiuti possano essere esaminati alla luce del Trattato CE; l'onere della prova, inoltre, incombe allo Stato membro.

38. A mio parere, le tesi esposte dalla Germania nell'ambito del presente motivo non possono essere accolte. Nel 1959 la Corte di giustizia ha definito la sfera di applicazione del Trattato CECA fissando una giurisprudenza chiara che la ricorrente sembra conoscere, nonostante la citi in maniera distorta. Nella detta sentenza, dopo aver escluso il concetto di produzione in riferimento alla fabbricazione di oggetti destinati ad essere immessi in commercio in quanto in contrasto con il Trattato, si afferma che l'allegato I contempla un elevato numero di prodotti che vengono spesso elaborati e trasformati in prodotti diversi sotto il profilo tecnico o economico, in stabilimenti distinti, ma compresi sotto la stessa ragione sociale, e non posti sul mercato. L'esclusione dall'ambito del Trattato di tale produzione sarebbe contraria alle intenzioni dei suoi autori, senza considerare che, secondo detta tesi, la struttura giuridica dell'impresa produttrice determinerebbe l'appartenenza o meno di un prodotto alla Comunità, con il che resterebbero esclusi dall'ambito della CECA i prodotti delle grandi imprese integrate .

La Corte ha anche preso in esame se il concetto «attività produttiva» di cui all'art. 80 CA non escluda la produzione della ghisa prodotta e trasformata in reparti che costituiscono un complesso tecnicamente integrato in un caso in cui i legami economici e tecnici tra gli altiforni ed i reparti di fonderia della stessa impresa erano estremamente stretti. La Corte ha ritenuto che, se è vero che gli autori del Trattato - per delimitarne l'ambito di applicazione ratione personae - si sono richiamati al criterio della produzione, essi sapevano però perfettamente che numerosi fabbricanti di un prodotto CECA sono al tempo stesso consumatori di un altro e che la ghisa liquida prodotta negli altiforni, oltre ad essere immediatamente trasformata in getti di ghisa può essere fatta solidificare e posta sul mercato sotto forma di pani o essere venduta allo stato liquido . La medesima tesi è stata sostenuta dall'avvocato generale Lagrange nelle conclusioni presentate per tale causa .

Nemmeno la sentenza Deutsche Babcock avvalora la tesi della ricorrente. In tale sentenza, vertente sul regolamento (CEE) n. 1430/79, relativo al rimborso dei diritti all'importazione o all'esportazione , la Corte ha dichiarato che, per effetto dell'art. 305 CE, qualora determinate questioni non siano disciplinate dal Trattato CECA o dalle norme adottate in forza di esso, il Trattato CEE e le disposizioni adottate per la sua attuazione possono essere applicate ai prodotti rientranti nel Trattato CECA.

Quindi, per stabilire se un'impresa ricada nella sfera di applicazione del Trattato CECA, occorre aver riguardo alle attività di produzione e non a quelle di commercializzazione, tenendo presente che gli aiuti sono vietati dall'art. 4, lett. c), CA, anche quando producano una distorsione della concorrenza di scarsa importanza. Del resto, a differenza dell'art. 87, n. 1, CE, dalla detta disposizione non emerge che spetti alla Commissione accertare che l'aiuto falsi o minacci di falsare la concorrenza, poiché essa vieta tutti gli aiuti, senza alcuna limitazione, con la conseguenza che non vi sono contenute regole de minimis .

39. Come recentemente affermato dal Tribunale di primo grado, non si può ritenere che gli aiuti all'investimento destinati ad un'impresa CECA debbano essere in ogni caso considerati sotto il profilo delle norme relative agli aiuti di Stato rientranti nel Trattato CECA, nemmeno quelli concessi ad un'impresa siderurgica che eserciti in parte attività che rientrino nel Trattato CECA e in parte attività che invece non rientrino nel medesimo, compreso il caso in cui l'impresa sia destinataria di aiuti all'investimento per le sue attività non rientranti nell'ambito di applicazione del detto Trattato . Così afferma anche la Commissione al punto 33 della decisione impugnata.

40. Nel punto 34 si distingue tra prodotti finiti in fucine, laminatoi circolari e fonderie e quelli provenienti dal settore di produzione dell'acciaio, venduti su mercati distinti. Tali processi di produzione, che avvengono in settori distinti, non sono integrati, ragion per cui è possibile operare una distinzione netta tra le attività CECA e quelle non CECA.

Al contrario, per quanto attiene agli aiuti al funzionamento, nei punti 35-41 della decisione controversa si dimostra l'impossibilità, nel caso in cui l'impresa sia priva di contabilità separata, di distinguere gli aiuti concessi alle attività CECA da quelli concessi alla produzione CE. Inoltre, come risulta dalla tabella che figura al punto 36, i dati contabili contenuti nella comunicazione del revisore contabile KPMG, prodotta dal Governo tedesco per dimostrare l'esistenza di contabilità separata, si pongono in contraddizione, praticamente in tutte le voci, con quelli trasmessi con la notificazione del giugno del 1997 e confermano il giudizio della Commissione circa lo sviamento della destinazione dei fondi, come si legge al punto 39. Condivido il parere della Commissione secondo cui tale rischio di sviamento è preoccupante nelle imprese nelle quali la contabilità non risulti separata per singole attività produttive . Alla luce dell'allegato I, n. 4, condivido parimenti che debba tenersi conto del fatto che taluni prodotti dell'elenco sono correlati a sottoprodotti che, senza apparire inclusi, possono condizionare il prezzo, di modo che l'allegato deve ricomprendere i sottoprodotti e gli altri prodotti CECA trasformati quando incidano sulle condizioni normali di concorrenza riguardanti i prodotti principali.

Tale preoccupazione è espressa in un documento del 1988, diretto a delimitare determinati settori siderurgici non disciplinati dal Trattato CECA , in cui la Commissione riconosce, oltre alla situazione della concorrenza particolarmente delicata nei detti settori, il pericolo che la propria politica di sostegno alla siderurgia venga elusa per mezzo della concessione di aiuti ad imprese controllate per attività che, senza ricadere nella sfera di applicazione del Trattato CECA, possano trarre beneficio dalla sua attuazione. Appare logico, tuttavia, che il rischio sia maggiore quando, invece di imprese controllate, si sia in presenza di trasformazione di acciaio CECA all'interno dell'impresa medesima.

41. Il Tribunale di primo grado ha recentemente confermato che l'applicazione del Trattato CECA ad aiuti concessi per investimenti relativi ad un'attività produttiva esclusa non possa giustificarsi se non per la mancanza di garanzie sufficienti che permettano di escludere qualsiasi sviamento degli aiuti a favore delle attività di produzione dell'impresa rientranti nel Trattato CECA, spettando allo Stato membro interessato, assistito dall'impresa beneficiaria dell'aiuto, fornire alla Commissione tutti gli elementi che devono permetterle di verificare, nel corso del procedimento amministrativo, l'esistenza o meno di tali garanzie .

42. Nemmeno le decisioni della Commissione richiamate dalla ricorrente al fine di dimostrare una pretesa discriminazione nei propri confronti appaiono pertinenti, in quanto emanate sulla base di contesti di fatto distinti . Tuttavia, anche qualora i fatti fossero paragonabili, occorre tener presente che il rispetto del principio di parità di trattamento deve conciliarsi con il principio di legalità, secondo cui nessuno può far valere, a proprio vantaggio, un illecito commesso a favore di altri .

43. Alla luce delle suesposte considerazioni, anche questo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

D. Quarto motivo: erronea valutazione degli aiuti agli investimenti destinati al settore di produzione CECA dell'impresa, ai sensi del Quinto codice degli aiuti alla siderurgia

44. La Germania sostiene che la Commissione non potrebbe negare la compatibilità degli aiuti agli investimenti concessi al settore CECA della Gröditzer, per un importo di 13,3 milioni, con il Trattato e con l'art.5, terzo trattino, del Quinto codice degli aiuti alla siderurgia, per omessa notificazione anteriormente al 30 giugno 1994, laddove la stessa Commissione avrebbe insistito presso il governo tedesco affinché ritirasse la notificazione effettuata il 29 giugno di tale anno. Dalla decisione impugnata non risulterebbe se la legittimità degli aiuti sia stata esaminata alla luce dell'art. 5, terzo trattino, del quinto codice e, a suo parere, la sola inosservanza del termine di notificazione non autorizzerebbe la Commissione ad esigere la ripetizione di un aiuto quando non ne sia stata né analizzata né posta in discussione la legittimità.

45. La Commissione sottolinea che la decisione impugnata non si richiamerebbe unicamente al mancato rispetto del termine di notificazione degli aiuti, bensì anche al fatto che, per tale motivo, questi non poterono essere oggetto di esame prima della scadenza fissata dal Quinto codice, vale a dire il 31 dicembre 1994 per gli aiuti agli investimenti previsti a favore delle imprese stabilite nel territorio della ex Repubblica democratica tedesca.

46. Non posso condividere la posizione della Germania neanche su questo punto. Il quinto codice stabilisce, con assoluta chiarezza, la data limite riguardo alla quale gli aiuti possono ritenersi compatibili con il mercato comune, scaduta la quale, la Commissione non può autorizzarli. In tali termini la Corte di giustizia di giustizia si è espressa con riguardo ad una disposizione della decisione n. 23320/81/CECA, secondo codice degli aiuti alla siderurgia , dichiarando che si trattava di un termine di decadenza, nel senso che impediva l'approvazione di qualsiasi progetto di aiuto successivamente notificato .

Il Tribunale di primo grado ha parimenti affermato che dagli articoli 1, 5 e 6 del quinto codice emerge che agli aiuti ivi previsti poteva essere data attuazione solo dopo che essi erano stati previamente autorizzati dalla Commissione e che la scadenza del 31 dicembre 1994, fissata per il pagamento degli aiuti regionali all'investimento, costituiva necessariamente la data limite imposta alla Commissione per statuire sulla compatibilità . Nel successivo giudizio di impugnazione la Corte di Giustizia ha confermato tale interpretazione, affermando che non è possibile ammettere che il termine di notifica previsto dal quinto codice costituisca un termine ordinatorio, di modo che la Commissione non era legittimata ad autorizzare aiuti nel caso in cui i progetti diretti ad istituirli o a modificarli non le fossero stati notificati prima della scadenza del termine specificamente previsto, accertamento che deve essere compiuto d'ufficio dal giudice, anche nel caso in cui nessuna delle parti abbia sollevato un'eccezione in tal senso .

47. Era da attendersi che la decisione impugnata non esaminasse la legittimità degli aiuti sulla base dell'art. 5, terzo trattino, del quinto codice, poiché la Commissione non poteva emanare nel 1999 un atto, applicando una normativa che aveva cessato di essere in vigore dal 31 dicembre 1996. Il Tribunale di primo grado ha affermato che lo Stato membro che sia venuto meno al proprio obbligo di notificazione non può esigere che la Commissione eserciti un controllo sulla compatibilità con il mercato comune di un aiuto rispetto al codice abrogato e, nel caso in cui non abbia rispettato le condizioni formulate dal detto codice, non ha il diritto di far valere il principio della certezza del diritto onde fruire delle deroghe ivi menzionate .

48. Del resto è pacifico che la notificazione formale effettuata il 29 giugno 1994, riguardante gli aiuti agli investimenti per un importo di 79 milioni, è stata ritirata dalle autorità tedesche, il che ha impedito alla Commissione di esaminarli entro i termini. Quale che fosse il motivo di tale operato - su richiesta della Commissione ovvero per poter notificare, in vista della privatizzazione, il quadro definitivo ed esaustivo degli aiuti al fine di richiederne l'esame complessivo - il Governo tedesco doveva essere consapevole dei risultati della propria condotta, in considerazione della normativa vigente e della sentenza della Corte di giustizia pronunciata nel 1985, relativa appunto ad una causa nella quale era stato parte .

49. Alla luce delle suesposte considerazioni, anche tale motivo risulta infondato e deve essere conseguentemente respinto.

E. Quinto motivo: erronea valutazione degli aiuti agli investimenti destinati al settore di produzione escluso dal Trattato CECA

50. Tale motivo si articola in due capi.

i) Applicazione del quinto codice degli aiuti alla siderurgia in luogo degli orientamenti relativi agli aiuti per la ristrutturazione

51. La ricorrente sostiene che sussisterebbero contraddizioni nel ragionamento seguito dalla Commissione in base al quale è stato ritenuto che gli aiuti agli investimenti, concessi al settore di produzione escluso dall'ambito CECA, non potrebbero essere autorizzati quali aiuti per la ristrutturazione, ai sensi dell'art. 87, n.3, lett. c), CE, ma che, applicando in via analogica il regime di aiuti del Trattato CECA, potrebbero essere considerati solamente quali aiuti regionali ed essere autorizzati in ragione del 35% del totale. La ricorrente deduce che le attività dell'impresa in settori disciplinati dal Trattato CE non costituirebbero parte di alcun settore economico per il quale la Commissione avrebbe fissato criteri di autorizzazione degli aiuti di Stato (settori instabili). Essa sottolinea di aver presentato un piano di ristrutturazione nell'ambito delle comunicazioni del 1994, 1995 e 1996, mantenuto sino alla privatizzazione dell'impresa.

52. La Commissione deduce che le decisioni relative alla Treuhandanstalt non si applicherebbero solamente alla produzione di acciaio CECA, bensì al complesso del settore siderurgico che ricomprenderebbe anche i prodotti non disciplinati dal Trattato stesso. L'impresa beneficiaria degli aiuti fabbricherebbe sia tali prodotti, sia altri. Essa apparterrebbe a un settore instabile, vale a dire un settore che può essere colpito, a causa di un eccesso di capacità settoriale, da distorsioni della concorrenza. L'esistenza di una normativa speciale costituirebbe un indizio nel senso che si tratti di un settore instabile.

53. Come sottolineato nel punto 56, secondo comma, della decisione impugnata, la definizione di settore instabile non ricomprende solo la produzione di acciaio CECA, ma anche la prima lavorazione, come, ad esempio, la fucinatura e la colatura. Svolgendo la propria attività in entrambi i settori, la Gröditzer deve essere considerata operante in un settore instabile e, ai sensi della normativa della Treuhandanstalt, gli aiuti devono essere oggetto di notificazione.

Le deroghe concretamente previste nei successivi regimi della Treuhandanstalt non hanno trovato applicazione, ragion per cui la Commissione ha dovuto valutare gli aiuti, secondo quanto espressamente stabilito dalle norme proprie della Treuhandanstalt, sulla base di disposizioni quali gli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà e gli orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale .

54. Per quanto attiene agli aiuti per la ristrutturazione di imprese in difficoltà, la beneficiaria è un'impresa CECA e in tale Trattato non esiste un fondamento normativo che consenta aiuti a tal fine. Se è pur vero che aiuti di tal genere sono stati autorizzati per altre imprese nell'ambito CECA per mezzo di decisioni adottate sulla base dell'art.95 CA, in tutti i casi si trattava di recuperare la redditività a seguito della privatizzazione. Nell'ordinanza Germania/Commissione è stato affermato che il regime rigoroso degli aiuti alla siderurgia mira, in particolare, ad impedire le conseguenze dannose in modo specifico per la concorrenza - e, quindi, per la sopravvivenza delle imprese efficienti - derivanti dal mantenimento artificiale di imprese che non potrebbero sopravvivere in condizioni normali di mercato.

Orbene, per la Gröditzer non è stato mai presentato un piano di ristrutturazione che prevedesse il recupero della redditività. Come sostenuto dalla Commissione, né con la descrizione sommaria né con il riassunto dei progetti di investimento comunicati si è realizzata la presentazione di un programma di ristrutturazione coerente ed esaustivo. Il Tribunale di primo grado ha rilevato che un documento non può essere considerato quale vero e proprio piano di ristrutturazione qualora non preveda alcun particolare provvedimento diretto a porre rimedio agli specifici problemi dell'impresa. Pertanto, gli aiuti provenienti da fondi pubblici non erano connessi a misure di ristrutturazione concrete e previste in un programma predisposto a tal fine, presupposto indispensabile perché un piano possa essere considerato quale piano di ristrutturazione .

55. Conformemente ai punti 52 e seguenti della decisione impugnata, gli investimenti nei settori non appartenenti all'ambito della CECA sono stati aumentati a 96,9 milioni e sono stati concessi aiuti per un importo complessivo di 96,1 milioni. Di tale importo 8,4 milioni corrispondevano agli aiuti regionali, 3,6 milioni ai sussidi agli investimenti e l'importo rimanente a finanziamenti da parte dei soci e crediti bancari garantiti. La loro concessione si fondava su disposizioni generali del Trattato di riunificazione e della legge relativa alla Treuhandanstalt. Nell'ottobre del 1998 la Germania rendeva noto alla Commissione che l'obiettivo comunitario non era applicabile alle imprese della Treuhandanstalt nel periodo in questione, ragion per cui la Treuhandanstalt ed i successivi proprietari dell'impresa hanno agito nel concedere e nel garantire tali finanziamenti e crediti come organi regionali di aiuto di fatto, costituendo i finanziamenti ed i crediti un succedaneo degli aiuti regionali agli investimenti.

56. A mio avviso, la Commissione ha correttamente ritenuto che gli orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale, vigenti al momento di concessione degli aiuti, costituivano l'unico fondamento normativo applicabile per valutare gli aiuti agli investimenti. Le attività CE dell'impresa vengono compiute in un settore instabile e sono parimenti applicabili i limiti massimi degli aiuti regionali, conformemente al contesto giuridico relativo a determinati settori siderurgici non ricompresi nell'ambito del Trattato CECA.

57. Concordo con la Commissione nel ritenere che il recupero della redditività non sia stato provato e risulti poco credibile, giacché potrebbe essere dovuto, probabilmente, alle entrate eccezionali costituite dalle sovvenzioni, per cui non può essere accettato come prova che la impresa sia divenuta efficiente. Il Tribunale di primo grado ha dichiarato che un flusso di cassa positivo non è sufficiente per conoscere la situazione finanziaria dell'impresa, in particolare quando la liquidità provenga da sovvenzioni massicce .

ii) Omessa applicazione dell'art. 87 CE, punto 2, lett. c) da parte della Commissione

58. Secondo la Germania, la ristrutturazione dell'impresa e le misure di accompagnamento della Treuhandanstalt e degli altri enti in mano pubblica costituirebbero un tipico caso di applicazione dell'art. 87 CE, n. 2, lett. c), in particolare perché Gröditz, come sede dell'industria siderurgica, è rimasta seriamente colpita dalle conseguenze della pianificazione economica del regime socialista e dalle difficoltà nel superarle, e perché il livello economico medio della zona, a causa degli effetti della divisione della Germania, resterebbe lontano dal raggiungere quello degli originari Stati federali.

59. Vi sono due ragioni per le quali non posso dar ragione alla ricorrente, nella parte in cui intende richiamarsi alla disposizione dell'art. 87 CE, n. 2, lett. c), che dichiara compatibili con il mercato comune gli aiuti concessi per favorire l'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione del Paese, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione.

In primo luogo, anche se la disposizione fosse stata applicabile, le autorità tedesche, come riferito dalla Commissione, non l'hanno fatta valere quando avrebbero dovuto, né hanno provato che sussistessero i requisiti necessari per ritenere che la impresa rientrasse nella detta ipotesi.

La seconda ragione si fonda sulla interpretazione di questa norma resa dalla Corte di giustizia nella sentenza 19 settembre 2000 in cui, dopo aver confermato che la disposizione non era stata abrogata né dal Trattato sull'Unione Europea né dal Trattato di Amsterdam, si è sottolineato che, in quanto deroga al principio generale di incompatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune, essa doveva essere oggetto di interpretazione restrittiva, aggiungendo che gli svantaggi economici che risultano dalla divisione della Germania possono riguardare solamente quelli causati in talune regioni tedesche dall'isolamento conseguente alla creazione di una linea di confine fisica, quali l'interruzione delle vie di comunicazione o la perdita di sbocchi in conseguenza dell'interruzione delle relazioni commerciali tra le due parti del territorio tedesco. Per contro, gli svantaggi economici di cui soffrono complessivamente i nuovi Länder non sono dovuti direttamente alla divisione geografica della Germania, ma ai differenti regimi politico-economici istituiti negli Stati dell'una e dell'altra parte della Germania .

60. Per le suesposte ragioni, questo motivo deve parimenti essere respinto in toto in quanto infondato.

F. Sesto motivo: erronea valutazione delle circostanze in cui si è svolta la privatizzazione

61. Questo motivo consta di due capi.

i) Inesatta valutazione della normativa tedesca e erronea applicazione del criterio dell'investitore privato

62. Secondo la Repubblica Federale, nei punti 75 e seguenti della decisione impugnata, la Commissione si sarebbe basata su cifre inesatte nel momento della valutazione dei costi della liquidazione. La Germania sostiene che la distinzione di cui al punto 80, lett. a), tra le obbligazioni delle istituzioni federali dello Stato e quelle dei soci sarebbe equivoca, giacché le garanzie non costituirebbero misure di sostegno contemplate da un programma di garanzie statali, ma sarebbero comparabili alle dichiarazioni provenienti da una holding, consuete nell'economia privata, o alle garanzie concesse dalle sue controllate. In effetti, trattandosi dei costi della liquidazione di una impresa filiale, una holding di diritto privato deve tenere in conto l'obbligo di prestare garanzia per i debiti della controllata, ove abbia garantito i suoi crediti, nel contesto abituale dei negozi. Parimenti, secondo il diritto tedesco, nel caso di liquidazione di una impresa, il titolare del capitale deve assumere le spese del risanamento della sede, valutate in 87 milioni. In tali ipotesi, l'azionista avrebbe dovuto far fronte a spese di 445 milioni per la liquidazione dell'impresa e la privatizzazione ad un prezzo di vendita negativo di 340 milioni era, senza dubbio, l'opzione più economica, realizzando il criterio dell'investitore privato applicabile ai regimi degli aiuti.

63. La Commissione precisa che il valore di liquidazione degli attivi sarebbe ammontato, secondo quanto indicato nella comunicazione, a 94 milioni di marchi, importo che dovrebbe servire per far fronte alle passività dell'impresa secondo le priorità previste dalla normativa tedesca in materia di insolvenza. Per tale motivo, i costi di liquidazione sarebbero limitati a tale valore e, qualora lo Stato includa importi superiore in conseguenza dell'esistenza di altre esposizioni debitorie, non opererà come proprietario, bensì come pubblica autorità; per tale motivo tali importi non potrebbero essere presi in considerazione ai fini dell'applicazione del criterio dell'investitore privato.

64. A mio parere, al fine di verificare i criteri in base ai quali la Commissione ha valutato il procedimento di privatizzazione, occorre muovere dalla considerazione che, come affermato al punto 44 della decisione, si tratta di un'impresa in difficoltà sin dal momento della sua costituzione cui le varie pubbliche autorità hanno concesso prestiti senza interessi ed a fondo perduto, che un investitore privato mai avrebbe accordato.

La Germania quantifica in 475 milioni di marchi i costi di liquidazione, articolati in 418 milioni (196 milioni corrispondenti al finanziamento da parte dei soci, 49 milioni ai crediti bancari garantiti, 26 milioni ad esposizioni debitorie diverse e 147 milioni a riserve per costi vari) e in 57 milioni per costi inerenti al procedimento di liquidazione propriamente detto, in particolare, i costi di gestione e sospensione dell'attività durante tale periodo.

Tale calcolo non può essere considerato corretto alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo la quale un investitore privato che persegua una politica strutturale, generale o settoriale, guidata da prospettive di profitto a lungo termine non può ragionevolmente permettersi di procedere, dopo anni di perdite ininterrotte, ad un conferimento di capitale che, in termini economici, non solo risulta più costoso di una liquidazione delle attività, ma è connesso alla cessione dell'impresa, cosa che elimina ogni prospettiva di guadagno, anche differito .

D'altro canto, la Germania ha dedotto una serie di esposizioni verso i soci come parte dei costi complessivi di liquidazione che, in realtà, costituiscono costi dello Stato in qualità di pubblica autorità, ossia l'imputazione di 49 milioni di marchi a crediti bancari garantiti dalla Treuhandanstalt a da altri enti pubblici, una previsione di spesa per debiti storici pari a 15 milioni di marchi, 22 milioni di marchi per costi connessi con misure di carattere sociale non derivanti da accordi cogenti e una previsione di spesa di 87 milioni per costi di risanamento dell'area industriale, comprendenti la demolizione degli edifici, la bonifica completa dell'area e la sua vendita, da cui non si sarebbero ricavati più di 9 milioni di marchi.

65. E' corretta l'osservazione della Commissione secondo cui, a fronte della situazione finanziaria dell'impresa, sarebbe improbabile che un investitore privato avrebbe stanziato fondi aggiuntivi per un piano di licenziamenti e pensionamenti anticipati. Parimenti, un investitore privato, a fronte di un valore di ricavo dalla vendita del terreno pari a soli 9 milioni, anche qualora l'impresa fosse stata obbligata a procedere al risanamento, non avrebbe messo a disposizioni fondi ulteriori in caso di liquidazione, rimanendo tali costi a carico dello Stato quale garante della protezione dell'ambiente.

E, ammettendo che, in base alla normativa tedesca, nel caso di insolvenza i finanziamenti dei soci si considerano quali fondi propri che non possono essere posti a carico della massa fallimentare includendoli nei costi di liquidazione, tali costi ammonterebbero a soli 292 milioni. Ponendo a raffronto tale somma con i costi di privatizzazione, pari a 340 milioni di marchi, la liquidazione dell'impresa sarebbe risultata meno costosa rispetto alla sua privatizzazione, dovendosi quindi ritenere che un investitore privato avrebbe optato per la liquidazione.

ii) Erronea valutazione del procedimento di licitazione

66. Con riguardo alle obiezioni opposte dalla Commissione alla cessione dell'impresa mediante offerta pubblica, la Germania precisa di aver dato ordine nel 1992 ad una banca d'affari di lanciare una licitazione internazionale ai fini della vendita dell'impresa, aperta a tutti i potenziali interessati, senza condizioni per la presentazione delle offerte; è stato deciso di cederla alla Georgsmarienhütte, in quanto ha presentato l'offerta economicamente più vantaggiosa. Secondo la Germania, la condotta della Commissione costituirebbe un'ingerenza ingiustificata nell'autonomia degli Stati membri, atteso che non vi sarebbe alcuna disposizione nel diritto comunitario derivato che disciplini il procedimento di privatizzazione delle imprese né che imponga di procedere alla vendita mediante licitazione, in quanto l'unico criterio che emergerebbe dal Trattato è che lo Stato, quale titolare del capitale, deve comportarsi nella stessa maniera di un investitore privato. La Germania sostiene che la Commissione non avrebbe nemmeno provato che altri possibili interessati avrebbero pagato un prezzo maggiore per l'impresa né che procedimenti di privatizzazione distinti avrebbero fornito, nel caso concreto, risultati più promettenti.

La Germania afferma, infine, di essere al corrente del fatto che la Commissione ha stabilito taluni principi generali applicabili ai procedimenti di privatizzazione di imprese al fine di esonerare lo Stato dall'obbligo di notificazione. Secondo tali principi, allorché la privatizzazione viene realizzata mediante compravendita in base a gara pubblica, trasparente e non subordinata ad altri obblighi, e viene aggiudicata al miglior offerente, si ritiene che non vi sia concessione di aiuti di Stato. Ciò non significa, tuttavia, che per mezzo di altri procedimenti di licitazione non possa garantirsi che lo Stato, quale titolate del capitale, realizzi la vendita alle migliori condizioni possibili, anche quando lo Stato non è esonerato dall'obbligo di notificazione, obbligo che il governo tedesco avrebbe adempiuto. Al fine di accertare se la vendita contenga aiuti a favore dell'acquirente, il prezzo non può costituire l'unico elemento decisivo, bensì occorre procedere ad una valutazione del complesso delle circostanze da cui è scaturito l'accordo, tra le quali, oltre al prezzo, figurano l'assunzione del passivo, l'accollo da parte dell'investitore delle esposizioni debitorie dell'impresa, le garanzie e gli obblighi assunti dall'acquirente. Nell'accordo diretto alla privatizzazione della Gröditzer, l'acquirente si obbligava a compiere investimenti pari a 39,6 milioni, con una penale pari al 100% degli obblighi non adempiuti, entro il 31 dicembre 2002; venivano garantiti 717 posti di lavoro, oltre a 45 posti con contratto di formazione, con una penale di 40 000 marchi per ogni posto di lavoro e per anno, sino al 31 dicembre 2002.

67. Secondo la Commissione, il fatto di non aver indetto in tal caso un licitazione aperta, trasparente e senza condizioni, con aggiudicazione al miglior offerente, legittimerebbe la presunzione della concessione di sovvenzioni. In effetti, né l'intervento di banche private, con i mezzi di comunicazione normalmente utilizzati nel commercio, né la semplice notificazione delle misure sarebbero sufficienti ad escludere la sussistenza di aiuti.

68. Condivido nuovamente gli argomenti dedotti dalla Commissione nel ritenere che il procedimento non sarebbe stato né incondizionato, né aperto né trasparente.

Da un lato, nei memoranda delle banche d'affari, in cui si menzionava espressamente la possibilità della concessione di aiuti statali, non si faceva richiesta di un'offerta vincolante, bensì gli offerenti venivano invitati a presentare un programma imprenditoriale, precisando in termini dettagliati i propri obblighi in materia di creazione e mantenimento dei posti di lavoro, investimenti futuri e finanziamento. Le imprese selezionate sono state invitate ad avviare trattative bilaterali; gli obblighi assunti avrebbero influito in modo determinante sul prezzo di vendita. Non è stata nemmeno richiesta la presentazione di un'offerta concreta né sono stati stabiliti a priori i criteri o limiti massimi di valutazione delle offerte. Inoltre, il procedimento si è svolto senza bando pubblico di presentazione delle offerte nell'ambito di un capitolato di oneri preciso, bensì per mezzo di invito all'avvio di trattative individuali basate su obblighi che tanto il cedente quanto l'acquirente dovevano assumere e disciplinate da regole procedurali vagamente definite. Si può pertanto ritenere che gli obblighi assunti abbiano influito sulla fissazione del prezzo.

D'altro canto, le differenze, quanto ai criteri utilizzati, esistenti nelle trattative finali sono state necessariamente conseguenza della procedura seguita e la società acquirente, la Georgsmarienhütte, ha avuto la possibilità di adeguare la propria offerta definitiva alle esigenza del venditore, di modo che, non essendovi stata vera e propria gara, non risultò garantito che la contropartita alle obbligazioni assunte, non previamente comunicate a tutti gli offerenti, corrispondesse al normale prezzo di mercato. Tale carenza di trasparenza trova conferma alla luce dell'art.6 della decisione impugnata, in cui si afferma che la Germania intendeva concedere all'impresa, a norma dell'art. 9, paragrafo 2, dell'accordo 27 febbraio 1997 sulla cessione di quote della Gröditzer alla Georgsmarienhütte prestiti per un importo di 3,3 milioni di marchi a titolo di acconto su futuri aiuti regionali.

69. Infine, non concordo con il governo tedesco nemmeno laddove afferma che le critiche formulate dalla Commissione con riguardo al procedimento di privatizzazione costituirebbero un'ingerenza nella autonomia degli Stati membri. Se è vero che l'art. 295 CE tutela la proprietà privata, la concessione di aiuti pubblici in occasione del trasferimento della proprietà dalla mano pubblica a quella privata è vietata dall'art. 87 CE e dall'art. 4, lett. c), CA. Concordo con la Commissione laddove sostiene che il fatto che l'impresa sia stata ceduta al miglio offerente nell'ambito di una gara, atteso che gli altri offerenti non erano disposti ad assumere l'impresa salvo che lo Stato non mettesse a disposizioni ulteriore risorse finanziarie, non dimostra che le condizioni pattuite con l'aggiudicatario non contenessero sovvenzioni.

70. Per le suesposte ragioni, anche tale motivo deve essere respinto in quanto infondato.

VI - Sulle spese

71. A termini dell'art. 69, n. 2, del codice di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Atteso che suggerisco di respingere il ricorso della Germania e che la Commissione ne ha chiesto la condanna alle spese, il detto Stato membro va condannato alle spese.

VII - Conclusione

72. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte quanto segue :

1) Respingere in toto il ricorso proposto dalla Repubblica federale di Germania con cui ha chiesto l'annullamento degli artt. 4-7 della decisione della Commissione 8 luglio 1999, 1999/720/CE,CECA, relativa agli aiuti di Stato concessi dalla Germania alla Gröditzer Stahlwerke GmbH ed alla sua controllata Walzwerk Burg GmbH.

2) Condannare lo Stato ricorrente alle spese.

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