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Document 61998CC0324

Conclusioni dell'avvocato generale Fennelly del 18 maggio 2000.
Telaustria Verlags GmbH e Telefonadress GmbH contro Telekom Austria AG, interveniente: Herold Business Data AG.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesvergabeamt - Austria.
Appalti pubblici di servizi - Direttiva 92/50/CEE - Appalti pubblici di servizi nel settore delle telecomunicazioni - Direttiva 93/38/CEE - Concessione di pubblico servizio.
Causa C-324/98.

Raccolta della Giurisprudenza 2000 I-10745

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2000:270

61998C0324

Conclusioni dell'avvocato generale Fennelly del 18 maggio 2000. - Telaustria Verlags GmbH e Telefonadress GmbH contro Telekom Austria AG, interveniente: Herold Business Data AG. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Bundesvergabeamt - Austria. - Appalti pubblici di servizi - Direttiva 92/50/CEE - Appalti pubblici di servizi nel settore delle telecomunicazioni - Direttiva 93/38/CEE - Concessione di pubblico servizio. - Causa C-324/98.

raccolta della giurisprudenza 2000 pagina I-10745


Conclusioni dell avvocato generale


1. La principale questione sollevata dalla presente domanda di pronuncia pregiudiziale del Bundesvergabeamt (Ufficio federale delle aggiudicazioni; in prosieguo: il «BVA») austriaco è se gli appalti per la concessione di servizi pubblici esulino dall'ambito di applicazione della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi e della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni . Qualora ne siano esclusi, sorge l'ulteriore problema della determinazione della portata di tale esclusione. Si pongono anche altre questioni, come quella di sapere se le parti di un contratto che rientrano nella sfera d'applicazione della direttiva 93/38/CEE possano essere separate da quelle che ne sono escluse, ed il problema della distinzione tra appalti di servizi e appalti di forniture.

I - Il contesto in fatto e in diritto

A - Il diritto comunitario

2. L'ottavo considerando della direttiva 92/50/CEE è così formulato:

«considerando che la prestazione di servizi è disciplinata dalla presente direttiva soltanto quando si fondi su contratti d'appalto; che la prestazione di servizi su altra base, quali leggi o regolamenti ovvero contratti di lavoro, esula dal campo d'applicazione della presente direttiva (...)».

L'art. 1 della direttiva così dispone:

«Ai fini della presente direttiva s'intendono per:

"appalti pubblici di servizi", i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed un'amministrazione aggiudicatrice, ad esclusione:

(...)

v) dei contratti aventi per oggetto servizi di telefonia, telex, radiotelefonia, radioavviso e radiotelecomunicazioni via satellite (...)».

3. Il ventiquattresimo considerando della direttiva 93/38/CEE così recita:

«considerando che la prestazione di servizi è disciplinata dalla presente direttiva soltanto nella misura in cui si fondi su contratti d'appalto; che la prestazione di servizi su altra base, quali le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative o contratti di lavoro, esula dal campo d'applicazione della presente direttiva».

L'art. 1, n. 4, di detta direttiva dispone che s'intendono per:

«"Appalti di forniture, di lavori e di servizi": i contratti a titolo oneroso, conclusi per iscritto fra uno degli enti aggiudicatori di cui all'articolo 2 e un fornitore, imprenditore o prestatore di servizi, che hanno per oggetto:

(...)

c) quando si tratta di appalti di servizi, qualsiasi oggetto diverso da quelli di cui alle lettere a) e b) e ad esclusione:

(...)

iii) dei contratti aventi per oggetto servizi d'arbitrato e di conciliazione;

iv) dei contratti relativi all'emissione, all'acquisto, alla vendita ed al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari;

(...)

vi) (...) Gli appalti che includono servizi e forniture sono considerati appalti di forniture quando il valore totale delle forniture è superiore al valore dei servizi compresi nell'appalto».

L'art. 2, n. 1, dispone che la direttiva «si applica agli enti aggiudicatori che:

a) sono autorità pubbliche o imprese pubbliche che svolgono una qualsiasi delle attività di cui al paragrafo 2 (...)».

L'art. 2, n. 2, per quanto di rilievo nella fattispecie, dispone che «[l]e attività che rientrano nel campo d'applicazione della presente direttiva» comprendono la

«(...)

d) messa a disposizione o gestione di reti pubbliche di telecomunicazioni o prestazione di uno o più servizi pubblici di telecomunicazioni (...)».

B - Il diritto austriaco e i fatti della causa a qua

4. La Post & Telekom Austria AG (in prosieguo: la «PTA») è succeduta giuridicamente, con decorrenza 1° gennaio 1997, alla Post & Telegraphenverwaltung (Amministrazione delle Poste e Telegrafi). Alla Post & Telegraphenverwaltung era affidato lo sfruttamento del monopolio austriaco delle poste e telecomunicazioni, che comprendeva l'obbligo legale di fornire le guide telefoniche . Nel 1992 essa aveva tuttavia deciso, per ragioni di carattere economico, di individuare un partner per la compilazione dell'elenco telefonico ufficiale (Amtliches Telephonbuch, oggi noto sotto la denominazione «pagine bianche»). Nel 1992 veniva stipulato un contratto (sebbene apparentemente non sotto forma di concessione) che scadeva alla fine del 1997. In vista della scadenza, la PTA proponeva, mediante avviso pubblicato il 15 maggio 1997 nell'Amtsblatt zur Wiener Zeitung (bollettino allegato alla Gazzetta ufficiale austriaca) ed in altri quotidiani, di rilasciare una concessione per la produzione di guide e di banche dati elettroniche degli abbonati. Il concessionario, come contropartita per l'assunzione di tale impegno, avrebbe potuto sfruttare a proprio vantaggio la concessione, mentre la PTA avrebbe acquisito il 40% della società da costituirsi a tale scopo ad opera del concessionario. Poco più tardi la concessione veniva affidata alla Herold Business Data AG («HBD»), che risulta essere il successore della società con cui era stato concluso il contratto originale del 1992 . La concessione è stata poi rilasciata il 15 dicembre 1997.

5. Il 1° agosto 1997 entrava in vigore il Telekommunikationsgesetz (legge sulle telecomunicazioni; in prosieguo: il «TKA») . L'art. 19 del TKA impone a chiunque fornisca un servizio telefonico di tenere, tra l'altro, un elenco telefonico aggiornato degli abbonati, un servizio di informazione sugli allacciamenti degli abbonati ed un elenco, disponibile almeno settimanalmente, su supporto elettronico leggibile, su richiesta dell'autorità di controllo istituita dalla legge in questione. Ai sensi dell'art. 24, nn. 1 e 2, del TKA, gli utenti devono poter accedere a tali informazioni, che devono essere messe a disposizione a tariffe ragionevoli, in quanto parte del servizio telefonico globale austriaco. Conformemente all'art. 26, n. 1, del TKA, l'autorità di controllo deve accertare che sia disponibile un elenco generale unitario di tutti gli abbonati contenente tutte le informazioni dei singoli elenchi telefonici . Inoltre, a norma dell'art. 96, n. 1, i singoli gestori sono tenuti a fornire un elenco degli abbonati che, tra l'altro, può essere confezionato in forma stampata e/o elettronica.

6. Le ricorrenti nella causa a qua, Teleaustria e Telefonadress, hanno sostenuto che al contratto controverso avrebbero dovuto essere applicate le procedure di aggiudicazione prescritte dalle disposizioni di diritto comunitario e di diritto austriaco relative agli appalti pubblici di servizi. In seguito a domande separate, ma successivamente riunite, presentate dalle ricorrenti per chiedere una procedura di conciliazione conformemente all'art. 109 del Bundesvergabegesetz 1997 (legge federale sull'aggiudicazione degli appalti; in prosieguo: il «BVerG») , la Bundes-Vergabekontrollkommission (commissione federale di controllo sull'aggiudicazione degli appalti) emetteva un parere ad esse favorevole, nel quale si pronunciava, il 20 giugno 1997, per l'applicabilità del BVerG.

7. La PTA sceglieva di non conformarsi a tale parere ma continuava le trattative per il contratto secondo quanto era stato pubblicato. A suo parere, il contratto in questione rientrava nell'espressa esclusione delle «concessioni di servizi» dal campo di applicazione del BVerG, ai sensi dell'art. 3, n. 1, punto 8, di detta legge. Il 24 giugno 1997 Teleaustria, successivamente imitata da Telefonadress, presentava al BVA una domanda per l'apertura di una procedura di accertamento giudiziario, unitamente ad una domanda di adozione di un provvedimento provvisorio. Il BVA, dopo avere inizialmente concesso un provvedimento provvisorio in favore delle ricorrenti, successivamente, il 10 luglio 1997, decideva provvisoriamente di autorizzare la conclusione del contratto tra la PTA e la HBD, a condizione ch'esso potesse essere risolto nel caso in cui le norme comunitarie sugli appalti fossero risultate applicabili.

8. L'ordinanza di rinvio precisa che il TKA è applicabile al contratto concluso tra la PTA e la HBD. In seguito alla sua costituzione in forma di società, la PTA è divenuta una società pubblica al 100%. Essa è posta sotto il controllo delle autorità austriache e, a parere del BVA, costituisce un'impresa pubblica ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett. a), della direttiva 93/38/CEE e, pertanto, anche un ente aggiudicatore ai sensi della stessa.

9. Il BVA precisa che il contratto impugnato è composto da «più contratti dall'oggetto differente - in parte compenetrati l'uno nell'altro - intercorrenti tra le stesse parti». Il giudice a quo afferma che l'oggetto del contratto riguardante la stampa «è la produzione di elenchi telefonici stampati».

Il BVA rileva che la HBD deve fornire servizi comprendenti, anzitutto, le seguenti prestazioni: «raccogliere, elaborare e strutturare i dati degli abbonati e renderli tecnicamente accessibili, cioè le prestazioni contrassegnate con i CPC n. 841b "sviluppo di pacchetti di software", n. 8431 "prestazione di servizi di elaborazione di dati e di tabulazione", n. 8432 "prestazione di servizi di raccolta dati" e n. 8439 "prestazione di servizi di elaborazione dati vari", ed eventualmente il n. 844 "prestazione di servizi di banca dati"». Esso precisa che tali servizi costituiscono prestazioni della «categoria 7, "Servizi informatici ed affini", secondo l'accezione dell'allegato XVI, parte A, della direttiva 93/38/CEE».

10. La seconda parte del contratto riguarda la produzione di elenchi telefonici stampati, descritti come prestazioni della «categoria 15, "Servizi di editoria e di stampa in base a tariffa o a contratto", secondo l'accezione dell'allegato XVI, parte A, della direttiva 93/38/CEE». L'ultima parte del contratto descritta dal BVA comprende «servizi contrassegnati con il CPC n. 871, "prestazioni di servizi di pubblicità", cioè prestazioni rientranti nell'accezione della categoria 13 dell'allegato XVI, parte A, della direttiva 93/38/CEE». A parere del BVA, le prestazioni rientranti nell'allegato XVI, parte A, della direttiva 93/38/CEE superano di gran lunga quelle rientranti nella parte B, per cui la direttiva trova integralmente applicazione al contratto.

11. Ritenendo che l'esclusione delle concessioni di servizio pubblico dall'ambito di applicazione della direttiva 92/50/CEE non corrobori necessariamente la tesi della PTA secondo cui detti contratti esulano anche dall'ambito di applicazione della direttiva 93/38/CEE, e tenuto conto dell'incertezza che circonda la definizione di tali concessioni, il BVA ha sottoposto alla Corte le sette questioni che seguono:

«Questione principale

Se dalla genesi storica della direttiva 92/50/CEE e, in particolare, dalla proposta della Commissione [COM (90) 372, GU C 23 del 31 gennaio 1991] ovvero dalla definizione del concetto di "appalti pubblici di servizi" di cui all'art. 1, lett. a), della medesima direttiva, sia possibile dedurre che determinate categorie di contratti, conclusi dagli enti aggiudicatori soggetti alla detta direttiva con fornitori di prestazioni di servizi, restino esclusi a priori dalla sfera di applicazione della direttiva, sulla sola base di determinate caratteristiche comuni quali indicate nella proposta di direttiva della Commissione COM (90) 372, e senza che siano applicabili gli artt. 1, lett. a), sub i)-sub viii), ovvero gli artt. 4-6 della direttiva 92/50/CEE.

In caso di soluzione affermativa della questione principale:

Se siffatte categorie di contratti rientrino, in considerazione, in particolare, del ventiquattresimo considerando della direttiva 93/38/CEE, anche nell'ambito di applicazione di tale direttiva.

In caso di soluzione affermativa della seconda questione:

Se tali categorie di contratti, escluse dalla sfera di applicazione della direttiva 93/38/CEE, siano, per analogia alla proposta COM (90) 372, sufficientemente caratterizzabili in quanto il loro modo di essere è dato dal fatto che un ente aggiudicatore, rientrante nella sfera di applicazione ratione personae della direttiva 93/38/CEE, affida ad un fornitore di sua scelta una prestazione di servizi di sua competenza, e conferisce a quest'ultimo, in contropartita, il diritto di sfruttare economicamente le corrispondenti prestazioni di servizio.

Ad integrazione delle prime tre questioni:

Se un ente aggiudicatore, soggetto alla sfera di applicazione ratione personae della direttiva 93/38/CEE, nel caso che un contratto da esso concluso contenga elementi di un appalto di servizio secondo l'accezione dell'art. 1, punto 4, sub a), della direttiva 93/38/CEE insieme ad elementi di diversa natura contrattuale non rientranti nella sfera di applicazione di tale direttiva, sia obbligato a enucleare dal contesto contrattuale la parte soggetta alla direttiva 93/38/CEE, purché ciò sia tecnicamente possibile ed economicamente auspicabile, e a procedere ad una procedura di aggiudicazione secondo l'accezione dell'art. 1, n. 7, di tale direttiva, come dichiarato dalla Corte di giustizia nella causa C-3/88, prima dell'entrata in vigore della direttiva 92/50/CEE, in una fattispecie di un appalto non integralmente rientrante nella direttiva 77/62/CEE.

In caso di soluzione affermativa di tale questione:

Se l'attribuzione a mezzo contratto del diritto di esclusivo sfruttamento economico del prodotto di una prestazione di servizi, che apporta al prestatore del servizio un ricavo invero non determinabile, ma non irrilevante, secondo la generale esperienza quotidiana e eccedente i probabili costi della prestazione di servizi, debba considerarsi corrispettivo per la prestazione dei servizi, come dichiarato dalla Corte nella causa C-272/91, nel contesto di un appalto di fornitura e di un diritto sovrano attribuito in luogo di un corrispettivo.

Ad integrazione delle questioni finora sottoposte,

Se le disposizioni di cui all'art. 1, punto 4, lett. a) e c), della direttiva 93/38/CEE, debbano essere interpretate nel senso che un appalto, che prevede la prestazione di servizi secondo l'accezione dell'allegato XVI, parte A, categoria 15, perde la sua caratteristica di appalto di servizi e viene a configurarsi come un appalto di fornitura, qualora la prestazione di servizi si risolva nella produzione di un grande numero di beni materiali identici, che hanno un valore economico e costituiscono così merci secondo l'accezione degli artt. 9 e 30 del Trattato CE.

In caso di soluzione affermativa di tale questione,

Se la sentenza della Corte di giustizia emessa nella causa C-3/88 debba essere interpretata nel senso che siffatto appalto di fornitura debba essere enucleato dalle restanti parti del contratto di fornitura e debba essere assoggettato ad una procedura di aggiudicazione secondo l'accezione dell'art. 1, punto 7, della direttiva 93/38/CEE, purché ciò sia tecnicamente possibile ed economicamente auspicabile».

II - Osservazioni

12. Hanno presentato osservazioni scritte Teleaustria, la PTA, il Regno di Danimarca, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica francese, la Repubblica austriaca e la Commissione. Ad eccezione della Danimarca e dei Paesi Bassi, hanno tutti presentato anche osservazioni orali.

III - Analisi

13. A mio parere, i problemi sollevati dalle varie questioni deferite dal giudice a quo possono essere riassunti come segue:

i) il contratto in esame nella fattispecie, supponendo che siano applicabili le norme comunitarie sugli appalti pubblici, è disciplinato dalla direttiva 93/38/CEE?;

ii) le concessioni di servizi pubblici esulano dall'ambito di applicazione della direttiva 93/38/CEE?;

iii) qual è la portata di un contratto di concessione di servizio publico secondo il diritto comunitario e come devono essere definite tali concessioni?;

iv) se le pertinenti norme relative alla pubblicità delle direttive comunitarie sugli appalti non sono applicabili, quali sono le condizioni in termini di pubblicità deducibili dai principi generali del Trattato?;

v) nel caso in cui la direttiva 93/38/CEE sia inapplicabile, il fatto che la concessione riguardi la produzione di un gran numero di elenchi telefonici (stampati) implica che la concessione dev'essere considerata, in tutto o in parte, come un contratto di fornitura e, pertanto, soggetta alle norme sugli appalti di cui alla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture ?

Sebbene alcune questioni si sovrappongano, per comodità propongo di esaminarle in ordine successivo.

A - Direttiva 92/50/CEE o direttiva 93/38/CEE

14. Se la direttiva 93/38/CEE fosse applicabile ad un contratto come quello stipulato tra la PTA e la HBD, non sarebbe necessario fornire una soluzione specifica alla prima questione deferita dal BVA. Pertanto, a mio parere, è opportuno anzitutto prendere in considerazione l'applicabilità della direttiva di settore prima di esaminare altre direttive di portata più generale. Tuttavia, quand'anche nella specie fosse applicabile soltanto la direttiva 93/38/CEE, ciò non impedirebbe di prendere in esame altre norme comunitarie in materia di appalti pubblici al fine di fornire chiarimenti per l'interpretazione di tale direttiva.

15. Dall'ordinanza di rinvio risulta chiaramente che la PTA, in quanto impresa pubblica fornitrice di servizi di telecomunicazioni, in linea di principio dev'essere considerata come un ente aggiudicatore ai sensi dell'art. 2, n. 1, della direttiva 93/38/CEE. Questa tesi è corroborata anche dal tredicesimo considerando della direttiva, secondo cui essa «non deve estendersi alle attività degli enti in questione che si svolgono al di fuori dei settori (...) delle telecomunicazioni». La direttiva 93/38/CEE si applica, conformemente al suo art. 2, n. 1, soltanto nei casi in cui un ente aggiudicatore svolga «una o più attività tra quelle di cui al paragrafo 2», che comprendono la «messa a disposizione o gestione di reti pubbliche di telecomunicazioni o prestazione di uno o più servizi pubblici di telecomunicazioni (...)» . Anche se la PTA non può più essere l'unica fornitrice di tali servizi attiva sul mercato austriaco, lo stesso BVA ha indicato tra i «compiti» della PTA «l'apprestamento e l'esercizio delle reti pubbliche di telecomunicazione, e l'offerta di pubblici servizi di telecomunicazione». Come afferma la Commissione, si tratta chiaramente di un ente aggiudicatore settoriale. E' pacifico che la produzione di elenchi stampati ed elettronici è direttamente correlata all'apprestamento di detti servizi.

16. Il BVA ha provvisoriamente concluso che i servizi oggetto del contratto stipulato tra la PTA e la HBD, considerati nel complesso, rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 93/38/CEE e, in particolare, che tale contratto dev'essere considerato come un appalto di «forniture» ai sensi dell'art. 15 della direttiva. Per stabilire se il contratto in questione rientri nel campo di applicazione ratione materiae della direttiva 93/38/CEE, va tenuto presente che nessuna delle informazioni di cui la Corte dispone mette in dubbio la conclusione del BVA secondo cui il contratto dev'essere considerato come rientrante nell'ambito di applicazione della direttiva, salvo che non debba esserne escluso in ragione del fatto che si tratta di una concessione. A mio giudizio, per risolvere la questione non occorre precisare se esso costituisca un appalto di «forniture» ovvero un appalto di «servizi». Infatti, se un contratto come quello controverso nella causa a qua potesse essere considerato come un appalto di forniture o di servizi ai sensi dell'art. 1, n. 4, della direttiva 93/38/CEE, troverebbero applicazione le norme relative alla pubblicità di cui agli artt. 15 o, rispettivamente, 16 della direttiva.

17. Non condivido il parere della PTA secondo cui i servizi che ricadono sotto la direttiva 93/38/CEE sono soltanto quelli che intervengono alla fine di una lunga catena di servizi e che, nella fattispecie, sono direttamente correlati all'effettiva fornitura di servizi di telefonia vocale. Dal diciassettesimo considerando del preambolo della direttiva 92/50/CEE emerge chiaramente che le disposizioni di tale direttiva non erano intese ad incidere sulle disposizioni della direttiva antecedente la 93/38/CEE; in altri termini, qualora un appalto rientri nella sfera di applicazione della direttiva di settore, non sono applicabili le disposizioni generali della direttiva 92/50/CEE. Anche se i servizi rientranti nella sfera d'applicazione della direttiva sono elencati, tra l'altro, all'allegato A della stessa e comprendono i «servizi di telecomunicazione» (categoria 5), dalla nota relativa a tale categoria risulta chiaramente che sono esclusi i servizi di telefonia vocale. Solo un'interpretazione molto restrittiva dell'ambito di applicazione della direttiva 93/38/CEE giustificherebbe la tesi della PTA secondo cui un appalto avente ad oggetto la produzione di elenchi telefonici non presenta un nesso sufficiente con la fornitura di servizi di telefonia vocale perché possa trovare applicazione la suddetta direttiva. A mio parere, tale interpretazione restrittiva è errata. E' particolarmente pertinente, come si osserva nell'ordinanza di rinvio, il fatto che la categoria 15 dell'allegato XVI della direttiva 93/38/CEE comprenda espressamente i «servizi di editoria e di stampa» tra i servizi soggetti alle procedure di pubblicità prescritte dall'art. 15.

18. Inoltre l'art. 1, n. 4, della direttiva 93/38/CEE descrive in particolare gli appalti di servizi cui è applicabile la direttiva come «contratti a titolo oneroso, conclusi per iscritto fra uno degli enti aggiudicatori di cui all'articolo 2 e un fornitore, imprenditore o prestatore di servizi» e aventi per oggetto [v. art. 1, n. 4, sub ii)] «servizi di telefonia vocale (...)». Pertanto, ritengo che sia stato corretto, da parte del BVA, presupporre che la direttiva 93/38/CEE sia in linea di principio la direttiva applicabile al caso di specie. I problemi sollevati dalla seconda, terza e quinta questione (nonché indirettamente dalla prima questione) devono quindi essere interpretati nel senso che si tratta di sapere se il fatto che il contratto stipulato tra la PTA e la HBD sia una concessione osti all'applicazione della direttiva 93/38/CEE. Nel caso di specie, invero, è questo il problema centrale.

B - L'esclusione delle concessioni di servizi pubblici

19. Le ricorrenti sostengono che le concessioni di servizi pubblici non andrebbero considerate escluse dal campo di applicazione delle norme comunitarie sugli appalti, in quanto siffatta interpretazione subordinerebbe l'applicazione di dette norme alle mutevoli definizioni delle attività pubbliche ai sensi dei vari diritti nazionali. L'esigenza d'interpretare restrittivamente le deroghe alle norme sugli appalti pubblici osta a tale eccezione. In subordine, se le concessioni sono escluse, perché possa esistere una concessione di servizio pubblico dev'esservi un vero e proprio trasferimento di attività nel pubblico interesse. A loro parere, non è questo il caso della produzione di guide telefoniche. Esse sottolineano il fatto che nessuna proposta della Commissione include espressamente le concessioni di servizi pubblici nell'ambito di applicazione della direttiva 93/38/CEE e concludono che sarebbe ingiustificato dedurre l'esclusione di tali contratti dal silenzio della direttiva su questo punto.

20. La PTA, sostenuta dagli Stati membri intervenienti e dalla Commissione, afferma in sostanza che dalla genesi legislativa della direttiva 92/50/CEE, nonché dall'analisi della portata generale delle direttive comunitarie sugli appalti, emerge chiaramente che il Consiglio non intendeva includere le concessioni nell'ambito di applicazione della direttiva 92/50/CEE o della direttiva 93/38/CEE. L'ambito di applicazione ratione materiae di quest'ultima è limitato ai tipi di appalti ivi inclusi e di cui le concessioni non fanno parte.

21. A mio parere, è perfettamente chiaro che il Consiglio ha respinto la proposta della Commissione intesa ad includere le concessioni nella sfera di applicazione della direttiva 92/50/CEE. Nella sua proposta originale, presentata il 13 dicembre 1990, le «concessioni di servizi pubblici» erano tenute distinte dagli «appalti pubblici di servizi» all'art. 1, lett. a), sub vi), definite all'art. 1, lett. a, sub h) e assoggettate dall'art. 2 alle regole di pubblicità contenute nella proposta di direttiva . Salvo una definizione più elaborata di «concessione di servizi pubblici», la proposta modificata di direttiva presentata il 28 agosto 1991 conteneva disposizioni sostanzialmente analoghe . La motivazione inizialmente addotta dalla Commissione per giustificare la loro inclusione figurava nel decimo considerando della proposta, in cui la Commissione affermava che «per garantire la coerenza delle procedure d'aggiudicazione le concessioni di pubblici servizi devono rientrare nel campo d'applicazione della presente direttiva così come la direttiva 71/305/CEE si applica alle concessioni di lavori pubblici». La menzione di quest'ultima direttiva è stata tralasciata nel decimo considerando della proposta modificata, il quale indicava semplicemente che l'inclusione delle concessioni di pubblici servizi era necessaria «per garantire la coerenza delle procedure di aggiudicazione». Nel corso dell'iter legislativo il Consiglio ha deciso di eliminare dalla proposta ogni riferimento alla concessione di servizi pubblici. Il suo ragionamento risulta dal documento che illustra i motivi della sua posizione comune, citato dalla Francia nelle sue osservazioni scritte . Come sostiene il governo francese, la decisione del Consiglio può essere interpretata soltanto come un rifiuto espresso di includere le concessioni di cui trattasi nell'ambito di applicazione della direttiva 92/50/CEE.

22. Alla luce di tali considerazioni, ritengo significativo il fatto che la Commissione non abbia neppure proposto di includere le concessioni di servizi pubblici nella sua proposta, presentata il 27 settembre 1991, di quella che sarebbe divenuta la direttiva del Consiglio 93/38/CEE . Tuttavia, è ancor più significativo il fatto che nella sua proposta modificata della direttiva che ha preceduto la direttiva 93/38/CEE - vale a dire la direttiva del Consiglio 17 settembre 1990, 90/531/CEE, relativa alle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni , prima direttiva di settore sull'aggiudicazione degli appalti pubblici - la Commissione avesse proposto alcune disposizioni per disciplinare le concessioni di servizi pubblici . Il Consiglio non ha accolto tale proposta in quanto concessioni di questo tipo esistevano in un solo Stato membro ed ha ritenuto inopportuno procedere alla loro regolamentazione in mancanza di uno studio dettagliato delle varie forme di concessione di servizi pubblici negli Stati membri per quanto riguarda la fornitura di acqua, gas ed energia elettrica . Tale analisi della genesi legislativa dimostra chiaramente che il silenzio della direttiva 93/38/CEE per quanto riguarda le concessioni era voluto e chiaramente inteso ad escludere le stesse dal suo ambito di applicazione. Nella specie, pertanto, la suddetta analisi fornisce un elemento incontestabile per l'interpretazione del testo della direttiva adottato in via definitiva dal Consiglio.

23. Questa posizione è ulteriormente corroborata dalle direttive concernenti gli appalti di lavori pubblici. Nella prima direttiva in materia di appalti pubblici, la direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, 71/305/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, l'art. 3, n. 1, escludeva espressamente i contratti di concessione dagli «appalti di lavori pubblici», definiti all'art. 1, lett. a), come «contratti a titolo oneroso, conclusi per iscritto tra un imprenditore (...) ed un'amministrazione aggiudicatrice», che erano soggetti all'applicazione della direttiva . Nel 1989, la direttiva del Consiglio 18 luglio 1989, 89/440/CEE, che modifica la direttiva 71/305/CEE che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, ha adottato una definizione di «concessione di lavori pubblici» [v. il nuovo art. 1, lett. d), inserito dall'art. 1, n. 1, della direttiva 89/440/CEE] e ha incluso «regole di pubblicità» da applicare all'aggiudicazione di tali concessioni (v. il nuovo art. 3 ter, inserito dall'art. 1, n. 2, della direttiva 89/440/CEE) . Ciò è molto significativo, giacché per la prima volta le norme comunitarie relative agli appalti pubblici hanno espressamente preso in considerazione il problema delle concessioni. All'epoca dell'aggiudicazione dell'appalto in discussione nella causa a qua, le disposizioni pertinenti erano quelle contenute nella direttiva consolidata che ha sostituito la direttiva 71/305/CEE, ossia la direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori . Detta direttiva è stata adottata contemporaneamente alla direttiva 93/38/CEE. Pertanto, secondo me è chiaro che se il Consiglio avesse inteso includere la concessione di servizi pubblici nell'ambito di applicazione della direttiva 93/38/CEE, lo avrebbe disposto espressamente, come ha fatto nel caso della direttiva 93/37/CEE. L'unica conclusione che si può ragionevolmente trarre da quest'omissione è quella già formulata dall'avvocato generale La Pergola nelle sue conclusioni nella causa Arnhem e Rheden, ossia che la direttiva 93/38/CEE «concerne (...) soltanto gli appalti di servizi» .

24. E' chiaro quindi che la nozione di «contratti a titolo oneroso conclusi per iscritto» (il corsivo è mio) ai sensi del diritto comunitario degli appalti pubblici, utilizzata in tutte le direttive a partire dalla 71/305/CEE - la prima direttiva - sino alla direttiva 93/38/CEE compresa, non ha mai incluso le concessioni. Non è possibile sostenere, come fanno implicitamente le ricorrenti, che un'interpretazione letterale di tale nozione, quale definita oggi all'art. 1, n. 4, della direttiva 93/38/CEE, consentirebbe di includere nel suo campo di applicazione gli accordi conclusi per iscritto del tipo di quelli che vengono qualificati come concessioni, qualora la contropartita consistesse interamente nello sfruttamento, oppure in parte nello sfruttamento e in parte in un prezzo pagato dall'ente aggiudicatore. In altri termini, quand'anche non si dovesse tenere conto della genesi legislativa, un'interpretazione contestuale della nozione di contratto a titolo oneroso, che sarebbe necessaria in quanto tale nozione non viene precisata dalla direttiva 93/38/CEE, escluderebbe le concessioni.

25. Ne consegue, a mio parere, che la Corte dovrebbe dichiarare che le «concessioni di servizi pubblici» non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 93/38/CEE.

C - La portata della nozione di concessioni di servizi pubblici

26. Poiché ritengo che le concessioni di servizi pubblici esulino dalla sfera di applicazione della direttiva 93/38/CEE, per risolvere la terza e la quinta questione deferite dal giudice a quo occorre valutare quale tipo di «accordo» possa essere qualificato come concessione e sfugga quindi all'applicazione delle regole di pubblicità della direttiva. Nell'ambito di tale esame, sono cosciente che il legislatore comunitario, salvo nei casi in cui le concessioni sono state espressamente incluse, non ha ritenuto necessario precisare la nozione di «concessione di servizi pubblici». In tali condizioni, condivido il parere della Commissione e degli Stati membri intervenuti nella presente causa, secondo cui, in mancanza di una definizione legislativa, spetta alla Corte individuare i criteri per stabilire che cosa costituisca concessione al fine di consentire al BVA di risolvere la controversia.

27. Le ricorrenti sostengono che l'essenza di una concessione risiede nel fatto che l'ente concedente non versa alcun corrispettivo al concessionario. A quest'ultimo pertanto dev'essere semplicemente conferito il diritto di sfruttare economicamente la concessione, anche se tale diritto, a loro parere, può essere associato all'obbligo di versare un corrispettivo al concedente. Esse affermano inoltre che l'oggetto della concessione deve riguardare un servizio d'interesse pubblico correlato all'esercizio di un potere pubblico. Nella specie a loro parere ciò non si verifica, giacché ogni fornitore di servizi di telecomunicazione è tenuto, ai sensi dell'art. 96, n. 1, del TKA, a pubblicare un elenco.

28. Per quanto riguarda le principali caratteristiche di una concessione, gli argomenti delle altre parti e degli intervenienti che hanno presentato osservazioni sono in gran parte coincidenti. Essi classificherebbero una concessione mediante riferimento a tre caratteristiche essenziali. In primo luogo, il servizio dev'essere fornito a vantaggio di terzi, piuttosto che a vantaggio dell'ente aggiudicatore. In secondo luogo, il servizio oggetto della concessione deve riguardare una materia d'interesse pubblico. Infine, il concessionario deve assumersi il rischio economico correlato alla prestazione del servizio di cui trattasi.

29. Anzitutto è importante tenere a mente che le «concessioni di servizi pubblici» non rientrano nel campo di applicazione della direttiva 93/38/CEE. Pertanto non posso ammettere, come hanno sostenuto le ricorrenti, che occorra interpretarne la nozione in modo restrittivo. Esse non costituiscono deroghe alle regole di pubblicità della direttiva, bensì semmai un tipo di «accordo» che non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva e quindi sfugge all'applicazione di tali regole.

30. A me sembra che un buon punto di partenza potrebbe essere la definizione contenuta nelle direttive sui lavori pubblici, in quanto si tratta della sola definizione sinora ammessa dal legislatore comunitario. L'art. 1, lett. d), della direttiva 89/440/CEE originariamente definiva la «concessione di lavori pubblici» come «un contratto che presenta le stesse caratteristiche [degli "appalti di lavori pubblici"] ad eccezione del fatto che la controprestazione di lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera oppure in questo diritto accompagnato da un prezzo» . Il motivo dell'inclusione delle concessioni nell'ambito di applicazione della direttiva era indicato nell'undicesimo considerando, ossia la «crescente importanza delle concessioni nel settore dei lavori pubblici e [la] loro natura (...)» . In seguito, la direttiva 93/37/CEE ha fornito un'identica definizione delle «concessioni di lavori pubblici» ed un'identica giustificazione per inserire tali concessioni nel campo d'applicazione della direttiva . A mio parere, il legislatore comunitario ha ritenuto che la mancanza quanto meno totale di una remunerazione corrisposta dall'ente concedente al concessionario costituisca l'essenza della concessione. Concordo sul fatto che si tratta di un elemento fondamentale della concessione, la cui importanza non è limitata alle concessioni aventi ad oggetto lavori pubblici. Tale elemento, secondo me, si manifesta nel fatto che il concessionario deve sopportare il rischio economico principale, o quanto meno sostanziale, correlato alla prestazione del servizio di cui trattasi. Se il giudice nazionale ritiene che il concedente abbia effettivamente traslato sul concessionario l'onere economico o il rischio, vi è allora una solida presunzione del fatto che l'«accordo» concluso tra di essi equivale ad una concessione piuttosto che ad un appalto.

31. A mio parere, l'unico indice veramente importante per chiarire se il rischio economico debba essere sopportato dal concessionario emergerà dall'esame della natura dello sfruttamento che il concessionario è tenuto a garantire in forza della presunta concessione. La sentenza Arnhem e Rheden induce fortemente a ritenere che la Corte consideri la necessità di sfruttare il diritto concesso per ottenere una remunerazione come il nucleo essenziale di una vera concessione. In risposta ad un argomento addotto dal governo francese nelle sue osservazioni, secondo cui i contratti controversi in quella causa (che riguardava un'impresa comune costituita da due comuni olandesi per la prestazione di servizi di raccolta dei rifiuti e di nettezza urbana mediante l'ARA, una società espressamente costituita a tale scopo) potevano essere considerati come contratti di concessione di servizio pubblico, la Corte, ritenendo che non fosse necessario interpretare tale espressione, ha dichiarato che dall'accordo controverso emergeva chiaramente «che il corrispettivo versato all'ARA consiste unicamente in un prezzo e non nel diritto di svolgere il servizio» .

32. All'udienza è stato fatto richiamo ad una bozza di comunicazione della Commissione relativa all'interpretazione delle concessioni di appalti pubblici secondo il diritto comunitario . In detta comunicazione, più volte richiamata all'udienza, la Commissione illustra alcuni esempi di casi da essa trattati ma che, a suo parere, non rispondevano alla condizione per cui il rischio economico dev'essere sopportato dal concessionario . Così, ad esempio, allorché le autorità pubbliche garantiscono effettivamente di indennizzare il concessionario delle perdite future, o quando non vi sia effettivo sfruttamento da parte del concessionario del servizio di cui viene ceduta la prestazione, la Commissione ritiene che l'«accordo» in questione non possa costituire una concessione.

33. Tuttavia, sarei tentato di condividere le osservazioni del governo francese, secondo cui non ne scaturisce una chiara definizione di «concessione di servizi pubblici». L'unico elemento sul quale non sussistono dubbi, come risulta dalle sentenze Lottomatica e Arnhem e Rheden, è che, laddove il corrispettivo sia fisso o determinabile, l'accordo dev'essere considerato come un contratto rientrante, a prima vista, nel campo di applicazione della pertinente direttiva sugli appalti. Nella causa Lottomatica, lo Stato italiano aveva pubblicato un bando di gara per la progettata «concessione» del sistema di automazione del lotto italiano. Il governo italiano sosteneva che, in quanto concessione avente ad oggetto la prestazione di un servizio pubblico, la fattispecie non ricadeva nel campo di applicazione della direttiva 77/62/CEE . La Corte ha respinto questo argomento e ha dichiarato che «l'introduzione del sistema di automazione controverso non implica[va] alcun trasferimento di poteri al concessionario per quel che riguarda le diverse operazioni inerenti al gioco del lotto» e che era «pacifico che l'appalto di cui [trattavasi aveva] ad oggetto la fornitura di un sistema di automazione integrato che comprende[va], in particolare, la fornitura di determinati beni alla Pubblica Amministrazione» . Il fatto che la proprietà del sistema passasse alla pubblica amministrazione solo a scadenza del contratto stipulato con l'aggiudicatario era «irrilevante», in quanto «il "prezzo" di tale fornitura [era] costituito da un compenso annuo calcolato in rapporto al giro d'affari» . Occorre pertanto esaminare in ciascun caso alcuni elementi atti ad indicare se l'accordo tra le parti equivalga effettivamente ad un contratto a titolo oneroso concluso per iscritto ed avente ad oggetto la prestazione di servizi. Esiste un consenso generale tra le osservazioni presentate quanto alla pertinenza dell'altro criterio menzionato dall'avvocato generale La Pergola nelle conclusioni nella causa Arnhem e Rheden, ossia che «nel caso della concessione, il beneficiario del servizio è un terzo estraneo al rapporto contrattuale» . Anche se non arriverei a respingere integralmente le indicazioni che questo elemento potrebbe fornire in taluni casi limite, mi sembra ch'esso non aggiunga molto alla condizione per la quale il concessionario deve effettivamente trarre una parte quanto meno significativa del proprio corrispettivo non dall'amministrazione concedente ma dallo sfruttamento del servizio. Se in realtà l'amministrazione concedente costituisse sin dall'inizio il suo unico cliente, rispetto a terzi, è difficile sostenere che l'«accordo» intervenuto tra le parti possa non essere qualificato come «contratto a titolo oneroso». Infatti una situazione del genere sarebbe equiparabile alla situazione di fatto della causa Lottomatica, in cui l'unico cliente del presunto concessionario era chiaramente la pubblica amministrazione responsabile della gestione delle lotterie italiane.

34. Il consenso è meno generalizzato nelle osservazioni presentate in merito alla rilevanza del fatto che il servizio oggetto della concessione venga svolto nel pubblico interesse. Nelle sue conclusioni nella causa Arnhem e Rheden, l'avvocato generale La Pergola ha dichiarato che «[l]a concessione di servizi in diritto comunitario esige altresì che il servizio in questione rivesta interesse generale di modo che la relativa erogazione competerebbe istituzionalmente ad una pubblica autorità» . Ha quindi rilevato che «[l]a circostanza che ad espletare il servizio sia un terzo opera, quindi, una sostituzione soggettiva del concessionario al concedente negli obblighi che a quest'ultimo sono imposti per assicurare la fornitura del servizio alla collettività» . Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, non mi sembra che possa trarsi sostegno per questa tesi dalla sentenza Data-processing. Il riferimento al «pubblico servizio» in detta causa era correlato al rigetto da parte della Corte dell'argomento del governo italiano secondo cui la realizzazione di sistemi informativi per lo svolgimento di determinate attività pubbliche costituiva di per sé esercizio di un servizio pubblico ed era pertanto esclusa dal campo di applicazione della direttiva 77/62/CEE . La Corte ha dichiarato che la fornitura delle apparecchiature necessarie, nonché la progettazione del sistema, sebbene «consent[issero] all'amministrazione di realizzare i compiti affidatile, [non costituivano] esse stesse un servizio pubblico» .

35. La presunta rilevanza del fatto che il servizio oggetto della concessione rivesta interesse generale sembrerebbe discendere dalla definizione suggerita dalla Commissione sia nella proposta originale che nella proposta modificata di direttiva sugli appalti pubblici di servizi, in cui ha fatto riferimento, in entrambi i casi nell'art. 1, lett. h), al trasferimento da parte di un'amministrazione aggiudicatrice dell'«esecuzione di un servizio al pubblico di sua competenza» . Mi domando se la nozione di «servizio al pubblico», a meno di non accogliere il significato più ampio dell'espressione, vada interpretata nel senso che tale servizio dev'essere esercitato nell'interesse «generale». A me sembra invece ch'essa vada intesa nel senso che fa semplicemente riferimento al fatto che i tipici beneficiari di una vera «concessione di servizio pubblico» saranno terzi appartenenti al pubblico in generale o ad una particolare categoria. Sicuramente non ritengo necessario che il servizio in questione debba poter essere considerato come un servizio d'interesse economico generale nel senso in cui tale nozione è stata interpretata ai fini dell'applicazione dell'art. 90 del Trattato CE (divenuto art. 86 CE) . In altre parole, secondo me non dovrebbe esistere alcuna preclusione di carattere qualitativo rispetto ai tipi di servizi che un ente aggiudicatore può legittimamente voler affidare mediante concessione, sebbene sia probabile che nella maggior parte dei servizi concessi in tale ambito vi sia un interesse generale.

36. In ogni caso, non vedo come la Corte possa elaborare criteri che consentano di stabilire ciò che può o meno essere propriamente considerato di pubblico interesse. A mio parere, spetta senz'altro al legislatore comunitario, qualora intenda armonizzare, nell'interesse del mercato comune, le norme relative a siffatte concessioni, stabilire che soltanto i servizi d'interesse pubblico possono costituire oggetto di «concessioni di servizi pubblici» e definire contemporaneamente tali interessi. La mia analisi è corroborata dal fatto che all'udienza la Commissione ha ammesso che in diritto austriaco non esiste una definizione precisa di interesse pubblico, e che occorre lasciare ai giudici nazionali il compito di precisarne la portata. Accettare tale principio equivarrebbe ovviamente a dare luogo all'applicazione non uniforme della direttiva 92/50/CEE, giacché taluni giudici nazionali riterrebbero che la direttiva si applichi alle concessioni in quanto l'oggetto del servizio ceduto non può essere considerato come rientrante nel publico interesse dello Stato membro interessato. Questa soluzione dev'essere scartata. In ogni caso, nella specie non occorre giungere ad una conclusione su questo punto, in quanto condivido la tesi espressa all'udienza dalla PTA secondo cui, una volta che un obbligo sia stato sancito dal diritto pubblico - come quello stabilito nella fattispecie dagli artt. 26, n. 1, e 96, n. 1, del TKA -, la sua esecuzione può essere considerata come rientrante nel pubblico interesse dello Stato membro di cui trattasi. Dovrebbe inoltre essere irrilevante il fatto che l'ente aggiudicatore sia l'unico ente ovvero uno tra più enti soggetti all'obbligo in questione e che la responsabilità generale per l'esecuzione dell'obbligo gravi su un'amministrazione dotata di potere normativo.

37. Riassumendo, quindi, occorrerebbe adottare un approccio caso per caso alla questione se un contratto costituisca una concessione ovvero un appalto di servizi, tenendo conto di tutti gli elementi idonei a fornire indicazioni, il più importante dei quali è se la presunta concessione consista nel conferimento del diritto di sfruttare un determinato servizio e nel simultaneo trasferimento al concessionario di una parte significativa del rischio correlato a tale conferimento.

38. Nelle loro osservazioni le ricorrenti hanno dedotto vari argomenti cercando di dimostrare che in realtà la PTA versa un corrispettivo alla HBD. Nel contesto di un procedimento pregiudiziale non spetta alla Corte pronunciarsi su quella che rimane materia di esclusiva competenza del giudice che ha effettuato il rinvio. Poiché tuttavia emerge con chiarezza, in particolare dalla quinta questione, che il BVA nutre dubbi quanto al grado di rischio economico sopportato dal concessionario, potrebbe essergli utile una breve analisi degli argomenti dedotti dalle ricorrenti. Esse sostengono che la concessione alla HBD del diritto di utilizzare il logo della PTA riveste un notevole valore economico. Se a ciò si aggiunge il fatto che i fattori di costo della HBD possono essere determinati in anticipo con relativa facilità e che la possibilità di vendere spazi pubblicitari all'interno delle guide telefoniche rappresenta, come è stato affermato all'udienza, un'«autentica miniera d'oro», a parere delle ricorrenti tanto basta per inficiare l'argomento secondo cui la HBD avrebbe effettivamente assunto un rischio economico.

39. Naturalmente tale affermazione è contestata con forza dalla PTA. Quest'ultima sottolinea che il paragrafo 16 del contratto attribuisce espressamente alla HBD la responsabilità della produzione delle guide telefoniche. Essa sostiene di aver autorizzato la HBD, dietro compenso, ad utilizzare i propri dati ai fini della produzione di dette guide. Tuttavia, tale autorizzazione non è diversa da quella che la PTA sarebbe disposta a concedere a qualunque altro operatore economico che intenda sfruttare tali informazioni. Per quanto riguarda il logo, la PTA non ha autorizzato la HBD ad utilizzare il suo marchio, ma l'ha di fatto obbligata a farlo. Tale accordo gioca a suo vantaggio, in quanto essa beneficia di pubblicità gratuita e collocata in posizione favorevole all'interno delle guide. Inoltre il fatto che la PTA abbia pagato per l'acquisizione di una partecipazione nella HBD, operazione del tutto autonoma rispetto alla concessione, non può essere considerata come un corrispettivo versato alla HBD a fronte della concessione.

40. A mio parere, la semplice probabilità che il concessionario possa sfruttare a proprio vantaggio la concessione non è sufficiente per consentire ai giudici nazionali di concludere che non esiste rischio economico. Secondo me, il giudice nazionale dev'essere convinto, in base ad un elevato grado di probabilità, che il rischio di perdite sia minimo o addirittura inesistente. Sebbene nella specie spetti al BVA risolvere tale questione, non sono convinto che affermazioni come quelle formulate dalle ricorrenti rispondano al criterio della mancanza di rischio reale od effettivo. La HBD deve pagare per l'uso dei dati, i quali potrebbero essere ottenuti alle stesse condizioni da altri operatori economici. L'obbligo incombente alla HBD di utilizzare il logo della PTA chiaramente determina un vantaggio economico per quest'ultima. Il semplice fatto che potrebbe avvantaggiare anche la HBD non basta a trasformare la concessione in un appalto, giacché l'entità del vantaggio non è determinabile in anticipo.

D - Obblighi generali imposti dal Trattato

41. In tutte le osservazioni presentate alla Corte si afferma che quand'anche il rilascio di «concessioni di servizio pubblico» esulasse dal campo di applicazione delle direttive 92/50/CEE e 93/38/CEE, le amministrazioni aggiudicatrici sono nondimeno tenute a rispettare il Trattato. Si ammette altresì che gli artt. 52 e 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 43 e 49 CE), osterebbero, in particolare, a qualsiasi discriminazione diretta o indiretta in base alla nazionalità. In altre parole, le amministrazioni aggiudicatrici devono attenersi al principio della parità di trattamento tra offerenti. Esse devono inoltre garantire che a questi ultimi non vengano imposte condizioni che costituiscono di per sé una violazione, ad esempio, dell'art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE). Nella specie non si è affermato che sia stata infranta, neppure indirettamente, alcune di queste norme del Trattato.

42. La Commissione, tuttavia, afferma che alle amministrazioni che aggiudicano «concessioni di servizio pubblico» incombe anche un obbligo di carattere più generale, ch'essa apparentemente deduce dagli obiettivi sottesi dagli artt. 30, 52 e 59 del Trattato CE, che consiste nel garantire la trasparenza delle procedure di aggiudicazione. All'udienza, a sostegno della propria tesi la Commissione si è richiamata alla sentenza Unitron Scandinavia e altri . La causa in questione riguardava gli obblighi incombenti ad un ente diverso da un'amministrazione aggiudicatrice, ma al quale erano stati conferiti da una tale amministrazione diritti esclusivi o speciali di esercitare un'attività di servizio pubblico, allorché l'ente assegnava appalti pubblici di forniture a terzi. La Corte ha dichiarato che «il principio di non discriminazione in base alla nazionalità non può essere interpretato in modo restrittivo [e che] esso implica, in particolare, un obbligo di trasparenza al fine di consentire all'amministrazione aggiudicatrice di accertarne il rispetto» . In risposta a quesiti posti all'udienza in merito alla portata di detto obbligo, la Commissione non ha lasciato intendere ch'essa potrebbe estendersi sino ad imporre la pubblicazione delle «concessioni di servizio pubblico» progettate.

43. Ritengo che il rispetto sostanziale del principio di non discriminazione in base alla nazionalità implichi che il rilascio di concessioni rispetti un grado minimo di pubblicità e di trasparenza. Concordo con la Commissione che ciò che dev'essere assolutamente evitato è che il loro rilascio sia avvolto nel segreto o coperto da un velo di opacità. Condivido anche l'affermazione del rappresentante del governo austriaco, secondo cui pubblicità non equivale necessariamente a pubblicazione. Pertanto, se l'amministrazione aggiudicatrice si rivolge direttamente ad un certo numero di potenziali offerenti, e supponendo che questi ultimi non costituiscano nella loro totalità o quasi totalità imprese di nazionalità identica a quella dell'amministrazione aggiudicatrice, a mio parere l'obbligo di trasparenza è rispettato. La trasparenza, in tale contesto, consiste quindi nel garantire l'imparzialità e l'accessibilità essenziali nelle procedure di aggiudicazione, in particolare per quanto riguarda i potenziali offerenti non stabiliti nello Stato membro cui appartiene l'amministrazione aggiudicatrice. La trasparenza, tuttavia, secondo me non richiede che l'amministrazione aggiudicatrice applichi in via analogica le disposizioni delle più attinenti direttive comunitarie in materia di appalti.

44. In ogni caso, nella specie non possono esservi dubbi sul fatto che è stato rispettato un grado sufficiente di trasparenza. L'offerta è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale austriaca, in alcuni quotidiani austriaci e in alcuni dei maggiori quotidiani internazionali. Inoltre non è mai stato affermato che le informazioni pubblicate in questi ultimi fossero diverse da quelle pubblicate nella Gazzetta. Concluderei nel senso che questo grado di pubblicità rispondeva prima facie all'obbligo di trasparenza. Le ricorrenti tuttavia sostengono che, in mancanza di pubblicazione dei risultati del programma pilota svolto nell'ambito del contratto con il predecessore della HBD tra il 1992 ed il 1997, era impossibile per qualsiasi offerente diverso dalla HBD presentare utilmente la propria candidatura per la concessione progettata. La fondatezza di quest'affermazione non può essere accertata dalla Corte. A mio avviso, il BVA deve concludere nel senso che la procedura adottata e seguita dalla PTA non era incompatibile con il diritto comunitario, salvo che sia convinto che la pubblicazione reclamata dalle ricorrenti, o la messa a disposizione delle informazioni di cui trattasi a potenziali offerenti seriamente interessati fosse essenziale per garantire a questi ultimi l'effettiva possibilità di presentare le loro offerte.

E - Suddivisione del contratto

45. Il problema della distinzione tra appalti di servizi e appalti di forniture, sollevato dalla quarta, sesta e settima questione, si porrebbe solo nel caso in cui la Corte dovesse constatare che, nonostante la presenza degli aspetti tipici di una concessione in un contratto come quello controverso nella causa a qua, in linea di principio la direttiva 93/38/CEE era applicabile. Poiché ritengo che una concessione come quella in discussione nella causa a qua debba essere considerata esclusa dall'ambito di applicazione di detta direttiva, sempreché l'onere sostanziale del rischio economico implicato dallo sfruttamento del servizio in questione sia stato traslato sul concessionario, esaminerò la questione in via del tutto subordinata.

46. In realtà, il BVA intende sapere se un appalto nel quale può individuarsi un elemento di fornitura, ossia la produzione di elenchi telefonici in nome o per conto della PTA, vada considerato come rientrante nel campo di applicazione della direttiva sulle forniture vigente all'epoca dei fatti, ossia la direttiva 93/36/CEE . A me sembra che la soluzione del problema sia chiaramente indicata dall'art. 1, n. 4, della direttiva 93/38/CEE (citato supra, paragrafo 3), secondo il quale gli appalti che includono «servizi e forniture sono considerati appalti di forniture quando il valore totale delle forniture è superiore al valore dei servizi compresi nell'appalto». Anche la Corte ha riconosciuto, in particolare nella sentenza Gestión Hotelera Internacional, l'importanza di determinare l'elemento predominate di un contratto allorché gli elementi che lo compongono rientrano nella sfera di applicazione di due diverse direttive comunitarie sugli appalti . Tuttavia, «[s]petta al giudice nazionale accertare se i lavori abbiano carattere accessorio rispetto all'oggetto principale dell'aggiudicazione» . Spetta pertanto al giudice a quo, nell'applicare l'art. 1, n. 4, della direttiva 93/38/CEE, accertare se di fatto il valore della parte dell'appalto che può essere considerata come fornitura sia superiore a quello della parte di appalto che può essere qualificata soltanto come servizi. In caso affermativo, e supponendo che l'appalto in questione non risulti costituire una «concessione di servizio pubblico», ad esso sarebbero applicabili soltanto le disposizioni sugli appalti contenute nella direttiva 93/38/CEE.

IV - Conclusione

47. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo di risolvere le questioni deferite dal Bundesvergabeamt nel modo seguente:

«1) La messa a disposizione o gestione di reti pubbliche di telecomunicazione o prestazione di uno o più servizi pubblici di telecomunicazioni ai sensi dell'art. 2, n. 2, lett. d), della direttiva del Consiglio 93/38/CEE comprende gli appalti relativi alla produzione di guide telefoniche.

2) Le "concessioni di servizio pubblico" non rientrano nella sfera di applicazione della direttiva 93/38/CEE.

3) In mancanza di una definizione di diritto comunitario della nozione di "concessioni di servizio pubblico", il giudice nazionale deve, nei singoli casi, prendere in considerazione tutti gli elementi atti ad indicare se, in realtà, l'accordo tra le parti costituisca un contratto a titolo oneroso concluso per iscritto ed avente ad oggetto la prestazione di servizi. La caratteristica predominante e tipica di una concessione del genere consiste nel trasferimento del diritto di sfruttare un determinato servizio unitamente al rischio economico ad esso associato.

4) Il rispetto sostanziale del principio di non discriminazione in base alla nazionalità sancito dal Trattato impone che l'aggiudicazione di "concessioni di servizio pubblico" rispetti un grado minimo di pubblicità e trasparenza, il cui obiettivo dev'essere garantire la fondamentale imparzialità della procedura di aggiudicazione ed una ragionevole possibilità per gli offerenti non stabiliti nello Stato membro dell'amministrazione aggiudicatrice di presentare le proprie offerte.

5) Ai sensi dell'art. 1, n. 4, della direttiva 93/38/CEE, gli appalti che rientrano nell'ambito di applicazione di detta direttiva e comprendono elementi relativi alla prestazione di servizi ed elementi relativi alle forniture devono essere considerati, ai fini delle norme comunitarie sugli appalti, come appalti di forniture quando il valore totale delle forniture è superiore al valore dei servizi compresi nell'appalto».

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