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Document 61997CC0010
Opinion of Mr Advocate General Ruiz-Jarabo Colomer delivered on 14 May 1998. # Ministero delle Finanze v IN.CO.GE.'90 Srl, Idelgard Srl, Iris'90 Srl, Camed Srl, Pomezia Progetti Appalti Srl (PPA), Edilcam Srl, A. Cecchini & C. Srl, EMO Srl, Emoda Srl, Sappesi Srl, Ing. Luigi Martini Srl, Giacomo Srl and Mafar Srl. # Reference for a preliminary ruling: Pretura circondariale di Roma - Italy. # Recovery of sums paid but not due - Treatment of a national charge incompatible with Community law. # Joined cases C-10/97 to C-22/97.
Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 14 maggio 1998.
Ministero delle Finanze contro IN.CO.GE.'90 Srl, Idelgard Srl, Iris'90 Srl, Camed Srl, Pomezia Progetti Appalti Srl (PPA), Edilcam Srl, A. Cecchini & C. Srl, EMO Srl, Emoda Srl, Sappesi Srl, Ing. Luigi Martini Srl, Giacomo Srl e Mafar Srl.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura circondariale di Roma - Italia.
Ripetizione dell'indebito - Conseguenze dell'incompatibilità con il diritto comunitario di un tributo nazionale.
Cause riunite C-10/97 a C-22/97.
Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 14 maggio 1998.
Ministero delle Finanze contro IN.CO.GE.'90 Srl, Idelgard Srl, Iris'90 Srl, Camed Srl, Pomezia Progetti Appalti Srl (PPA), Edilcam Srl, A. Cecchini & C. Srl, EMO Srl, Emoda Srl, Sappesi Srl, Ing. Luigi Martini Srl, Giacomo Srl e Mafar Srl.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura circondariale di Roma - Italia.
Ripetizione dell'indebito - Conseguenze dell'incompatibilità con il diritto comunitario di un tributo nazionale.
Cause riunite C-10/97 a C-22/97.
Raccolta della Giurisprudenza 1998 I-06307
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1998:228
Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 14 maggio 1998. - Ministero delle Finanze contro IN.CO.GE.'90 Srl, Idelgard Srl, Iris'90 Srl, Camed Srl, Pomezia Progetti Appalti Srl (PPA), Edilcam Srl, A. Cecchini & C. Srl, EMO Srl, Emoda Srl, Sappesi Srl, Ing. Luigi Martini Srl, Giacomo Srl e Mafar Srl. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura circondariale di Roma - Italia. - Ripetizione dell'indebito - Conseguenze dell'incompatibilità con il diritto comunitario di un tributo nazionale. - Cause riunite C-10/97 a C-22/97.
raccolta della giurisprudenza 1998 pagina I-06307
1 Da varie cause riunite il Pretore di Roma ha desunto un'unica questione pregiudiziale, relativa alle conseguenze dell'incompatibilità di una norma nazionale con il diritto comunitario, allorché detta norma prescrive un tributo ritenuto non conforme al diritto comunitario e i contribuenti esercitano l'azione volta ad ottenere il rimborso delle somme versate a tale titolo.
I fatti, i processi a quibus e la questione pregiudiziale
2 Le ordinanze di rinvio contengono scarsi dati circa i fatti che hanno dato origine alle cause principali. Da questi elementi si deve desumere che, durante vari anni non precisati, le società che hanno promosso il processo a quo hanno versato una tassa annua di concessione governativa per essere iscritte nel registro delle imprese, tributo istituito dal decreto del presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641 (in prosieguo: «DPR 641/1972»), la cui entità era stata successivamente modificata varie volte per legge (1).
3 Dopo la pronuncia della sentenza della Corte 20 aprile 1993, Ponente Carni e Cispadana Costruzioni (2) (in prosieguo: la «sentenza Ponente Carni»), che ha risolto diverse questioni pregiudiziali sull'interpretazione della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, relativa alle imposte indirette gravanti sulla raccolta di capitali (3), il legislatore italiano ha abolito la tassa annuale e ha ridotto a 500 000 LIT l'importo della tassa per la prima iscrizione della società al registro (4).
4 Dal canto loro, gli organi giurisdizionali italiani dichiararono anche l'incompatibilità della tassa annuale con il diritto comunitario (5) e, di conseguenza, il carattere indebito del gettito tributario rientrante in questa nozione.
5 Le summenzionate società hanno chiesto e ottenuto dal Pretore di Roma l'emanazione di un decreto ingiuntivo (6), con il quale si richiedeva all'amministrazione finanziaria italiana la restituzione degli importi che a suo tempo erano stati versati a titolo di tassa di concessione. Il ministero delle Finanze ha fatto opposizione al decreto ingiuntivo, sollevando diverse eccezioni, tra le quali l'incompetenza del Pretore a conoscere della controversia e la decadenza dall'azione di ripetizione.
6 A giudizio del Pretore, prima di pronunciarsi su entrambe le eccezioni si deve dissipare un dubbio che va risolto dalla Corte di giustizia: se il rapporto giuridico tra l'amministrazione e le imprese che hanno versato la tassa sia d'indole tributaria, nel qual caso il giudice sarebbe incompetente a conoscere della controversia, giacché non può conoscere delle «cause in materia di imposte e tasse». Analogamente, l'applicazione delle norme che disciplinano la decadenza o la prescrizione delle azioni dipende dalla classificazione giuridica - indole tributaria o soltanto civile - delle stesse azioni.
7 Per questo motivo, avendo ravvisato un'incompatibilità della legge nazionale che ha istituito il tributo con il diritto comunitario, il Pretore si è rivolto alla Corte di giustizia per domandare se detta incompatibilità implichi la radicale disapplicazione della legge e se debba avere conseguenze anche sulla classificazione del rapporto giuridico esistente tra l'amministrazione finanziaria e il soggetto debitore della tassa, che dà origine all'azione di ripetizione.
8 Il tenore letterale della questione pregiudiziale è il seguente:
«Se l'incompatibilità tra l'art. 10 della direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, interpretato nel senso risultante dalla sentenza della Corte in data 20 aprile 1993 (resa nelle cause riunite C-71/91 e C-178/91), e l'art. 3, commi 18 e 19 del D.L. 19 dicembre 1984, n. 853, convertito in legge 17 febbraio 1985, n. 17, comporti, in base ai criteri di integrazione tra la normativa nazionale e quella comunitaria elaborati dalla Corte medesima, la disapplicazione totale dei citati commi 18 e 19 dell'art. 3, ed in particolare se essa comporti che il giudice nazionale non debba tener conto di dette norme interne neanche in sede di qualificazione del rapporto giuridico, in forza del quale un soggetto di uno Stato membro richiede all'amministrazione finanziaria la restituzione delle somme versate in violazione del citato articolo 10 della direttiva 69/335/CEE».
La prima parte della questione pregiudiziale
9 La questione pregiudiziale delinea in effetti due problemi successivi, il primo dei quali ha portata più vasta del secondo. Se, da un lato, il Pretore interroga la Corte di giustizia sul rapporto tra l'incompatibilità della norma nazionale con il diritto comunitario e la disapplicazione della medesima, in seguito si mette in rilievo un aspetto specifico di detta disapplicazione, vale a dire la sua incidenza sulla qualificazione di un determinato rapporto giuridico.
10 La soluzione della prima parte della questione è già stata ripetutamente fornita dalla Corte di giustizia: la norma nazionale incompatibile con il diritto comunitario non può venir applicata e quindi i giudici nazionali devono disapplicarla nella controversia specifica dinanzi ad essi pendente.
11 In realtà, l'applicazione uniforme del diritto comunitario non sarebbe garantita se gli Stati membri rivendicassero la prevalenza delle proprie norme nazionali su quelle comunitarie, vale a dire se potessero far prevalere l'applicazione del diritto nazionale sul diritto comunitario in caso di divergenza tra l'uno e l'altro.
12 Dopo la classica sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978 (7) questa affermazione è stata formulata in termini sufficientemente categorici. Ricorderò che le questioni pregiudiziali a suo tempo sottoposte dal Pretore di Susa vertevano, come quella odierna, sul rimborso di taluni tributi riscossi dall'amministrazione italiana conformemente alle norme nazionali incompatibili con il diritto comunitario (in concreto si trattava di diritti di ispezione sanitaria percepiti sull'importazione di carne bovina).
13 Già vent'anni fa il Pretore di Susa chiedeva quali fossero le conseguenze dell'applicabilità diretta di una disposizione di diritto comunitario in caso di incompatibilità con una disposizione posteriore della normativa di uno Stato membro. La soluzione della Corte, poi divenuta quasi una clausola di stile della sua giurisprudenza in materia, fu che i giudici nazionali che devono applicare, nell'ambito della loro competenza, le disposizioni del diritto comunitario, sono obbligati a garantire la piena efficacia di dette norme, disapplicando, se del caso, di propria iniziativa tutte le disposizioni incompatibili del diritto nazionale, anche se posteriori, senza essere vincolati a chiedere o ad attendere che in precedenza venga elaborata una deroga a dette norme mediante l'iter legislativo oppure con altro procedimento costituzionale.
14 Questo principio giurisprudenziale, che si è affermato nella realtà giuridica degli Stati membri non senza polemiche (8), è stato confermato ripetutamente dalla Corte di giustizia (9). Indubbiamente è applicabile alla tassa in questione nella fattispecie e di fatto lo hanno riconosciuto le massime autorità giurisdizionali italiane (10). Del resto, non è contestato da nessuna delle parti del processo a quo.
15 La soluzione alla prima parte della questione pregiudiziale deve quindi confermare che, constatata l'incompatibilità di una norma nazionale con il diritto comunitario, il giudice nazionale deve disapplicarla.
La seconda parte della questione pregiudiziale: le conseguenze della disapplicazione del diritto nazionale alla luce della definizione di taluni rapporti giuridici
16 Sebbene la Corte di giustizia abbia sempre decisamente ribadito il principio della prevalenza della norma comunitaria, si è però dimostrata prudente evitando di pronunciarsi sulle categorie giuridiche che formano il substrato dell'obbligo di disapplicare la norma nazionale in conflitto con quella comunitaria.
17 Infatti, come ho testé ricordato, la Corte di giustizia si è limitata a dichiarare che dette disposizioni nazionali non possono venir applicate, giacché altrimenti ne soffrirebbe la stessa realizzazione della Comunità europea come comunità di diritto. Si è però astenuta - e direi giustamente - dal pronunciarsi sulla nozione astratta e generale, vale a dire sulla categoria giuridica, per la quale vale l'obbligo di disapplicare la legge.
18 La giurisprudenza della Corte di giustizia potrebbe, ipoteticamente, essersi avvalsa di talune delle categorie giuridiche ben note nella teoria generale del diritto (come ad esempio l'inesistenza, l'invalidità, la nullità, l'inefficacia, la decadenza e l'illegittimità ed altre analoghe) per richiamarsi al vizio che inficia la norma nazionale che entra in collisione con l'ordinamento comunitario.
19 Comunque, nella sua giurisprudenza in materia la Corte di giustizia ha accuratamente evitato di avvalersi di quelle nozioni, senza dubbio per mettere in evidenza che la scelta di una di esse - il cui significato per di più varia a seconda dei diversi sistemi giuridici - rientra in quei sistemi giuridici specifici. Nell'ambito delle soluzioni adottate da ciascuno di detti sistemi saranno i giudici nazionali, e più specialmente quelli ai quali è affidato, in ciascuno degli Stati membri, il sindacato sulla «regolarità» dell'emanazione delle leggi, coloro che dovranno pronunciarsi in materia (11).
20 Nella sentenza 4 aprile 1968, Lück (12), la Corte di giustizia si è pronunciata espressamente in materia: verteva su una questione pregiudiziale, con la quale si chiedeva di precisare se, in forza della prevalenza di una norma comunitaria - nella fattispecie l'art. 95 del Trattato CE -, le disposizioni del diritto nazionale che sono con questa in contrasto dovessero considerarsi (a decorrere dall'entrata in vigore del n. 3 di detto art. 95) nulle o semplicemente derogate.
21 La soluzione della sentenza Lück è stata che, pur se l'effetto riconosciuto all'art. 95 del Trattato esclude l'applicazione di qualsiasi misura di carattere nazionale incompatibile con detta norma, detto articolo non limita la facoltà dei giudici nazionali di applicare, tra i vari metodi del proprio ordinamento giuridico interno, quelli idonei a salvaguardare i diritti soggettivi attribuiti dal diritto comunitario. Di conseguenza, ha aggiunto la Corte di giustizia, «la scelta tra le alternative indicate dalla questione [pregiudiziale], ed anche fra qualunque altra, spetta (...) al giudice proponente».
22 Per salvaguardare la prevalenza del diritto comunitario sulle norme nazionali con esso incompatibili, l'elemento decisivo è che queste ultime norme non vengano applicate nell'ordinamento giuridico interno: in questo modo si garantisce tanto il rispetto del diritto comunitario quanto la sua applicazione uniforme in tutti gli Stati membri.
i) L'asserita «inesistenza» della norma nazionale incompatibile col diritto comunitario
23 Nelle osservazioni scritte (13) la Commissione sostiene che la Corte di giustizia, dovendo esaminare una norma nazionale che istituisce un tributo incompatibile col diritto comunitario, è tenuta ad accertare se detta disposizione «debba considerarsi inesistente con effetto ex tunc» oppure, al contrario, «derogata con effetto ex nunc, in esito alla dichiarazione d'illegittimità sotto il profilo comunitario». In altri passi della stessa memoria si limita a sostenere, in questi casi, la carenza di potere legislativo dello Stato oppure la mera inesistenza dell'obbligazione tributaria come fattori che dovrebbero essere determinanti per la soluzione da fornire al giudice a quo.
24 Sotto questo titolo inizierò con l'analisi dei problemi che sorgono se ci si orienta per la dichiarazione d'inesistenza della norma nazionale data la sua incompatibilità col diritto comunitario. Nel titolo seguente esaminerò l'asserita carenza di potere impositivo dello Stato, nella fattispecie, giacché il giudice a quo si richiama a detta questione sorta dalle argomentazioni circa la qualificazione del rapporto giuridico-tributario.
25 A mio parere, la Corte di giustizia non dovrebbe discostarsi dall'atteggiamento prudenziale a cui mi sono riferito in precedenza per avventurarsi in una pericolosa elaborazione, o scelta, di categorie dogmatiche specifiche in questa materia oppure per risolvere la questione, d'indole prettamente dottrinale, circa quale delle categorie summenzionate sia applicabile. Detta elaborazione non risulta necessaria - infatti, seguendo il criterio della disapplicazione della norma nazionale, si garantisce la prevalenza del diritto comunitario - né forse opportuna, dati i vari orientamenti plausibili in materia.
26 E' comunque certo che un passo del punto 17 della sentenza Simmenthal potrebbe interpretarsi - ed è stato interpretato - in senso contrario a quanto ho testé esposto. Mi riferisco al passo nel quale la Corte di giustizia ha affermato: «(...) in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l'effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere ipso jure inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche - in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell'ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri - d'impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie (14)».
27 Una corrente interpretativa di questo passo, minoritaria in dottrina, sostiene che se ne può dedurre «l'inesistenza» della legge nazionale posteriore, incompatibile col diritto comunitario. La Commissione, nelle sue osservazioni, pare tenda verso questo punto di vista in quanto, dopo aver ricordato il punto 17 della sentenza Simmenthal, ne desume che l'incompatibilità della norma nazionale con il diritto comunitario implica la carenza assoluta del potere impositivo dello Stato membro e, nel n. 20 di quella memoria, si domanda se la Corte di giustizia debba dichiarare l'inesistenza di detta norma nazionale.
28 Pur riconoscendo l'importanza degli argomenti di questa corrente interpretativa, non la condivido.
29 L'atteggiamento della Commissione, che prospetta come uniche alternative valide l'inesistenza e la deroga, mi pare, da un lato, eccessivamente semplicistico e, dall'altro, confuso, in quanto accomuna i problemi temporali con i problemi sostanziali, tutti relativi a dette alternative.
30 Infatti è possibile - e sino ad un certo punto frequente in taluni sistemi giuridici - dichiarare l'invalidità di una disposizione nazionale ed attribuire a questa dichiarazione effetti ex tunc, senza che ciò equivalga giuridicamente a dichiarare «l'inesistenza» di detta disposizione.
31 Analogamente, nulla impedirebbe che la deroga di una norma fosse accompagnata da una disposizione che conferisca effetti retroattivi a detta deroga. Certo è che ciò supporrebbe un'eccezione al principio generale secondo cui le deroghe hanno effetto ex nunc, tuttavia il legislatore può attribuire efficacia retroattiva anche alle sue decisioni d'abrogazione. Altro problema sarà disciplinare il regime giuridico delle situazioni sorte nell'ambito della norma derogata nel periodo in cui di fatto era ancora vigente.
32 Non si devono dunque accomunare i problemi temporali alla natura e agli effetti specifici delle varie categorie giuridiche in questione. Si tratta di problemi diversi, che devono venire studiati sotto ottiche diverse.
33 A parte ciò, il punto di vista della Commissione quanto all'alternativa tra inesistenza e deroga (l'unica che essa ritiene possa proporsi alla Corte di giustizia) mi pare eccessivamente semplicistico. In realtà la Corte non ha ritenuto necessario pronunciarsi in materia, poiché ha scelto una soluzione (la disapplicazione) che evita i problemi connessi alle due possibilità presentate in alternativa.
34 Quanto all'asserita «inesistenza» della norma nazionale incompatibile con il diritto comunitario, sostengo in primo luogo che una finzione di questo genere - dal momento che indubbiamente si tratta di una fictio juris, in quanto la legge è esistita e, in casi come la fattispecie, ha avuto in realtà effetti nel corso degli anni - non appare richiesta nemmeno dal punto 17 della sentenza Simmenthal, che si riferisce soltanto all'impossibilità di valida formazione delle leggi nazionali incompatibili con le norme comunitarie. Il problema reale sarebbe quindi piuttosto d'invalidità che d'inesistenza.
35 D'altro canto, ritengo che, dovendo analizzare gli effetti che, nei confronti di una legge nazionale effettivamente applicata esercita la dichiarazione a posteriori della sua incompatibilità con il diritto comunitario, non ha senso parlare d'inesistenza della legge in termini strettamente giuridici.
36 La dichiarazione d'inesistenza, come soluzione, o sanzione, dell'ordinamento giuridico di fronte alla gravità inusitata dei vizi che colpiscono un atto, è impiegata dai sistemi giuridici di taluni Stati membri per qualificare determinati atti amministrativi. Allineandosi al diritto di detti sistemi giuridici, la Corte di giustizia ha riconosciuto che un atto amministrativo comunitario, inficiato da vizi particolarmente gravi ed evidenti, potrebbe anche qualificarsi «inesistente» (15).
37 Al contrario, negli stessi sistemi giuridici nazionali - cioè in quelli che riconoscono la categoria dell'inesistenza come sanzione affatto eccezionale nei confronti di vizi manifesti di particolare rilevanza - non si suole qualificare inesistenti le disposizioni di legge emanate dai rispettivi parlamenti nazionali, pubblicate ed in vigore, anche se sono inficiate da vizi d'invalidità.
38 In questo schema argomentativo si colloca il fenomeno, ben noto a vari ordinamenti giuridici, della dichiarazione di antigiuridicità delle norme (uso del termine «antigiuridicità» nel senso più vasto, che comprende tutte le ipotesi, variabili a seconda dei diversi sistemi giuridici, in cui una disposizione è priva di forza vincolante, normalmente a causa della sua non conformità a norme giuridiche superiori). Dunque, allorché in forza di una sentenza di incostituzionalità o di un procedimento analogo a posteriori si dichiara che una legge è inficiata da un vizio che la priva di validità, non si afferma automaticamente nel contempo che detta legge è stata inesistente (16).
39 Sempre seguendo l'orientamento di cui parlavo sopra, nemmeno nel diritto comunitario si parla di «inesistenza» di una disposizione legislativa comunitaria, per il fatto che contenga elementi che ne determinano l'invalidità. Come ho chiarito in precedenza, questo tipo di dichiarazioni è riservato agli atti e non alle disposizioni legislative (17).
40 Per il resto, l'analisi delle sentenze della Corte di giustizia che hanno constatato in pratica l'eventuale incompatibilità delle leggi nazionali in materia tributaria con il diritto comunitario mette in luce quanto sia improprio parlare di «inesistenza» in questo caso. Questa categoria giuridica si opporrebbe alle pronunce giurisprudenziali che riconoscono addirittura la sussistenza di taluni effetti della legge nazionale, nonostante questa sia stata incompatibile con l'ordinamento comunitario.
41 Valgano due esempi significativi. Il primo è facilmente reperibile nella consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di restituzione, da parte degli Stati membri, dei tributi percepiti indebitamente. Questa giurisprudenza ha riconosciuto che le azioni di ripetizione (allorché si tratta di tributi esatti in forza di una norma nazionale incompatibile col diritto comunitario) possono essere soggette al termine di prescrizione di cinque anni, fissato dalla legge nazionale, anche allorché detta norma impedisca totalmente o parzialmente la restituzione di detti tributi (18).
42 Detta giurisprudenza mette in rilievo implicitamente che la norma nazionale, benché confliggente con il diritto comunitario, è esistita ed ha spiegato effetti nel tempo che, in considerazione del fatto che le situazioni sono giuridicamente «esaurite», non possono venire modificati con una pronuncia giurisdizionale. Il riconoscimento di tali effetti non sarebbe possibile se dovesse considerarsi quella legge nazionale assolutamente inesistente.
43 Il secondo esempio si riferisce a talune pronunce della Corte di giustizia sugli aspetti temporali della dichiarazione d'incompatibilità di norme tributarie nazionali con il diritto comunitario. Come è noto, in taluni casi si è verificato che, per motivi di certezza del diritto, la Corte abbia limitato gli effetti nel tempo delle sue sentenze (19), che quindi nemmeno risultano applicabili alle situazioni giuridiche che possono ancora venir modificate con provvedimenti del giudice.
44 Ciò vuol dire riconoscere quindi, anche se in via eccezionale, non solo l'esistenza, bensì anche l'applicabilità della norma nazionale incompatibile col diritto comunitario. Il ricorso a questa tecnica di limitazione nel tempo degli effetti delle sentenze non sarebbe concepibile se si partisse dall'idea che sia inesistente la legge nazionale tributaria che stride col diritto comunitario.
ii) La qualificazione dei rapporti giuridici esistenti nel processo a quo
45 Come sostengono il governo italiano, quello francese e quello britannico, la definizione dei rapporti giuridici esistenti tra le parti nel processo a quo spetta al giudice nazionale e non alla Corte di giustizia. Al giudice nazionale spetta decidere se si tratti di rapporti di natura tributaria o di rapporti che non esulano dal diritto civile, e quali siano le conseguenze di questo fatto ai fini della causa.
46 Il giudice a quo tuttavia espone i suoi dubbi circa l'eventuale incidenza che la dichiarazione d'incompatibilità di una norma col diritto comunitario potrebbe avere sotto il profilo della qualificazione giuridica di quei rapporti. Sotto questo aspetto la domanda non risulta irricevibile; infatti la Corte di giustizia può fornire utili indicazioni per precisare le conseguenze del principio della disapplicazione della norma nazionale.
47 Per conto mio, a rischio di apparire ovvio, comincerò dicendo che, allorché l'amministrazione tributaria percepisce da un soggetto passivo d'imposta, che agisce in quanto tale, l'ammontare di un tributo, versato a soddisfacimento di un debito tributario determinato in precedenza, difficilmente può negarsi che il rapporto giuridico instaurato abbia avuto anch'esso natura tributaria.
48 Diverso è allorché il presupposto giuridico assunto come fondamento per l'esazione del tributo (cioè la norma che lo disciplina) venga successivamente dichiarato inficiato da un vizio d'invalidità. Detto vizio, nonché l'invalidità della stessa obbligazione, produrranno indubbiamente taluni effetti giuridici (tra l'altro, di norma, la ripetizione dell'indebito), ma non consente di ignorare che il rapporto nel cui ambito si è effettuato il pagamento fin dall'origine ha avuto indole tributaria.
49 La Commissione, che già nelle osservazioni scritte aveva sostenuto l'inesistenza dell'obbligazione fiscale sorta da una norma di questo genere, all'udienza ha ribadito lo stesso argomento, citando varie sentenze della Corte di giustizia in materia (20).
50 A mio avviso, è necessario sfumare leggermente questa logica. E' in realtà indubbio che l'incompatibilità di una norma tributaria nazionale col diritto comunitario fa sì che i soggetti passivi non siano obbligati a versare detto tributo e, se lo hanno versato, spetti loro la restituzione. Orbene, in quest'ultimo caso, l'invalidità dell'obbligazione tributaria non implica necessariamente che si classifichi in questo o in quel modo il rapporto giuridico precedente: spetterà ai vari giudici nazionali pronunciarsi in merito. Può verificarsi che, per motivi di certezza del diritto, taluni rapporti tributari, anche se fondati su norme dichiarate nulle, non possano venir riqualificati e si siano consolidate le situazioni giuridiche così sorte, che non possono più venir modificate sotto il profilo giuridico.
51 Situazioni di questo genere esistono non solo nei diritti nazionali, ma anche nel diritto comunitario: la Commissione, all'udienza, ha corroborato il suo punto di vista sull'inesistenza del rapporto giuridico tributario derivato da una norma dichiarata nulla, citando un passo della sentenza della Corte 8 febbraio 1996, FMC e a. (21), secondo il quale l'invalidità di un regolamento comunitario in base al quale hanno dovuto versare una determinata prestazione patrimoniale può essere invocata dagli interessati fin dal momento dell'entrata in vigore e non solo dalla data alla quale è stato impugnato in giudizio detto regolamento (22). Tuttavia, nella stessa sentenza, in seguito si riconosce che il diritto comunitario non osta «all'applicazione di una norma di diritto nazionale relativa alla prescrizione che circoscriva il periodo, anteriore alla presentazione della domanda, per il quale possa essere ottenuto il rimborso di versamenti non dovuti (...)» (23). La Corte di giustizia riconosce così che le situazioni giuridiche conseguenti ad una norma comunitaria dichiarata nulla possono essersi consolidate e risultare immutabili, nonostante l'invalidità dell'obbligazione che ha dato loro origine.
52 Nella maggioranza degli Stati membri, la dichiarazione d'invalidità delle norme che prescrivono l'obbligo di versare un tributo implica una pronuncia del giudice, vuoi susseguente ad una dichiarazione di incostituzionalità da parte del giudice costituzionale o di un organo analogo (24) in caso di legge, vuoi da parte di organi analoghi, a seconda del livello della disposizione nella scala gerarchica normativa, pronunciata dagli organi giurisdizionali competenti (25).
53 A seconda dei casi, detta dichiarazione d'invalidità di una norma può presupporre o meno la riqualificazione di situazioni giuridiche sorte nel suo ambito; in caso positivo la riqualificazione può incidere o solo sulle situazioni che ancora sono pendenti oppure anche (ma raramente) su quelle che già esercitano tutti i loro effetti.
54 Spetta agli ordinamenti nazionali risolvere tutte le questioni di tal genere e precisare, nel caso delle norme tributarie, gli effetti giuridici di un'eventuale dichiarazione d'incompatibilità con la norma giuridica superiore. Nulla impedisce al legislatore o al giudice nazionale di dichiarare che tra questi effetti vi è anche quello di riqualificare i rapporti giuridici sorti nell'ambito della norma, sicché quello che prima era un rapporto tributario venga definito in seguito come rapporto esclusivamente di diritto civile.
55 Il giudice a quo sa che la Corte suprema di cassazione ha risolto in Italia il problema in esame, dichiarando che il rapporto originario era di natura tributaria e che quindi vanno applicate le norme che disciplinano, in particolare, il rimborso delle imposte indebitamente pagate. Aggiunge comunque che detta soluzione giurisprudenziale non lo «convince» e insiste sul fatto che la disapplicazione della norma tributaria nazionale incompatibile col diritto comunitario presuppone una «carenza assoluta del potere impositivo da parte dello Stato nazionale di fronte alla (o, rectius, in violazione della) preesistente legislazione comunitaria».
56 In precedenza ho esposto come la Commissione si avvalga del pari in modo espresso e reiteratamente dell'espressione «carenza assoluta di potere impositivo dello Stato» riferendosi allo stesso fenomeno.
57 A mio parere questo inquadramento non è adeguato. Gli Stati membri conservano in linea di massima la facoltà di istituire tributi nazionali. Allorché si tratta di tributi indiretti sulla raccolta di capitali, devono attenersi ai dettami della direttiva 69/335, che mira ad armonizzare le normative nazionali in materia. Detta direttiva consente loro tra l'altro di riscuotere «diritti di carattere remunerativo», vale a dire che retribuiscano il costo di un determinato servizio, come avviene con l'iscrizione delle imprese e degli atti societari in un registro pubblico.
58 Può verificarsi che, nell'esercizio della potestà legislativa per fissare e definire detti tributi (che è in definitiva ciò che si definisce potere impositivo), uno Stato membro contravvenga alla direttiva, ad esempio imponendo una tassa annua sull'iscrizione nel pubblico registro il cui importo non corrisponda al costo del servizio e quindi non abbia in verità carattere remunerativo. Questa era per l'appunto la situazione della tassa italiana controversa.
59 Il fatto che uno Stato membro, nell'emanare una legge inerente ad un tributo armonizzato a livello comunitario, contravvenga alle norme armonizzatrici non provoca alcuna perdita di potere impositivo a danno dello Stato contravventore. Significa semplicemente che la norma nazionale difforme deve inclinarsi alla prevalenza del diritto comunitario e non può quindi venir applicata.
60 Non si deve confondere inoltre la carenza assoluta di potere impositivo con l'esercizio irregolare o lo sviamento di detta potestà. La prima nozione implica l'incompetenza di un organo - o, nella fattispecie, di uno Stato - a disciplinare una determinata materia, giacché detta disciplina è prerogativa di altre istanze (26). L'esercizio irregolare invece presuppone che il titolare della competenza legislativa se ne avvalga in modo irregolare, emanando una disposizione di legge che, data la prevalenza della norma comunitaria, va disapplicata da parte dei giudici nazionali.
61 Allorché uno Stato membro, avvalendosi della propria competenza, come ad esempio quella di fissare tributi indiretti sull'attività societaria, contravviene a un dettame della norma comunitaria armonizzatrice, non potrà pretendere l'applicazione delle proprie norme - anzi, dovrà provvedere a derogarle -, ma non per questo si può negare che conservi la potestà o competenza di cui dispone ad istituire e disciplinare tributi.
62 Contesto quindi l'orientamento prospettato su questo punto tanto dall'ordinanza di rinvio quanto dalle osservazioni della Commissione. E, in base a detta contestazione, ribadisco che il giudice nazionale è competente a qualificare i rapporti giuridici esistenti tra le parti processuali della causa di cui deve conoscere e concluderò negando che l'applicazione del principio della prevalenza della norma comunitaria abbia incidenza diretta su detta questione.
63 Di conseguenza, nell'ambito dei sistemi giuridici che glielo consentono, il giudice nazionale potrà riqualificare tali situazioni se la norma nel cui ambito sono sorte viene dichiarata in seguito incompatibile con una norma giuridica di rango superiore. Sotto l'aspetto del diritto comunitario, il principio della disapplicazione della norma nazionale difforme né prescrive né impedisce la riqualificazione dei rapporti giuridici preesistenti.
64 Il principio di equivalenza tra l'esercizio delle azioni processuali volte ad ottenere il rimborso di tributi indebiti, a seconda che si fondino su motivi di diritto comunitario o su motivi di diritto nazionale, impedirebbe comunque di applicare a questo problema soluzioni diverse da quelle che nell'ordinamento nazionale sono previste per l'inosservanza delle proprie norme. In altri termini, se la riqualificazione del rapporto giuridico precedente (che da tributario verrebbe declassato a rapporto di diritto civile, e quindi sarebbe disciplinato dalle norme di diritto privato) fosse una conseguenza inevitabile dell'incompatibilità di una norma tributaria nazionale con una norma di diritto nazionale di rango superiore - ad esempio di ordine costituzionale - la stessa conseguenza dovrebbe aversi per l'incompatibilità con il diritto comunitario (27).
65 Non risulta tuttavia, in base alle informazioni desumibili dagli atti, che ciò avvenga nel caso italiano. Come ho ricordato nelle conclusioni EDIS (paragrafi 58-64), la giurisprudenza della Corte di cassazione italiana (28) sulle conseguenze della dichiarazione d'incostituzionalità di una legge di contenuto tributario rispetto ai tributi già versati in base a detta legge è la seguente:
- le sentenze della Corte costituzionale che dichiarano l'illegittimità delle norme aventi indole di legge le escludono dall'ordinamento giuridico, con effetti ex tunc, nel senso che non possono più venir applicate ai rapporti giuridici in corso mentre nessuna incidenza hanno quelle pronunce sui rapporti giuridici già conclusi, vale a dire su quelli i cui effetti costitutivi si sono cristallizzati fino a divenire intangibili.
- In pratica dette sentenze non producono effetti nei confronti dei rapporti giuridici tributari che, per diversi motivi, devono considerarsi conclusi. Tra detti motivi possono annoverarsi o l'esistenza di una precedente sentenza del giudice o il fatto che la liquidazione tributaria sia divenuta definitiva (per non esser stata impugnata o perché il giudice si è pronunciato negativamente sull'impugnazione), oppure per la decorrenza dei termini di prescrizione o di decadenza fissati dalle norme che disciplinano il tributo.
- Sono quindi immodificabili i pagamenti fatti a soddisfazione di obbligazioni tributarie fondate su norme impositive dichiarate incostituzionali, allorché il consolidamento del rapporto giuridico corrispondente è imputabile ai soggetti che li hanno effettuati.
- Si deve disattendere espressamente il punto di vista secondo il quale, data l'efficacia retroattiva della dichiarazione di incostituzionalità, l'obbligazione tributaria sarebbe inesistente ab initio e quindi avrebbe efficacia immediata e diretta la norma generale in materia di restituzione d'indebito (cioè l'art. 2033 del codice civile), che lascia intendere che l'azione potrebbe esercitarsi prescindendo dai sistemi d'impugnazione delle liquidazioni tributarie e prescindendo dai termini di decadenza contemplati dalle norme tributarie.
- In conclusione, deve ritenersi privo di fondamento l'assunto secondo il quale in questi casi (anche sostenendo l'inesistenza, originaria o sopraggiunta, di un valido rapporto tributario) sarebbe applicabile l'azione per la ripetizione d'indebito prevista dal codice civile invece delle norme specifiche sul contenzioso tributario, tanto sostanziali quanto processuali.
66 Non risulta poi che in questa materia l'applicazione dell'ordinamento giuridico italiano, come è stata effettuata dai massimi organi giurisdizionali, presupponga una differenza di trattamento tra le conseguenze della dichiarazione d'incompatibilità di una legge tributaria con il diritto comunitario e quelle derivanti dalla dichiarazione d'incostituzionalità di detta legge, per motivi puramente interni.
Conclusione
67 Propongo quindi alla Corte di giustizia di risolvere nel modo seguente la questione pregiudiziale sottopostale dal Pretore di Roma:
«Il giudice nazionale che deve applicare, nell'ambito della sua competenza, le disposizioni di diritto comunitario è obbligato a garantire la piena efficacia delle stesse disapplicando, se del caso, le confliggenti norme della legislazione nazionale. Nel caso in cui la normativa nazionale abbia istituito un tributo incompatibile con le disposizioni di una direttiva e quindi vada disapplicata, il diritto comunitario non vieta né prescrive una determinata qualificazione o riqualificazione delle situazioni giuridiche preesistenti, sorte nell'ambito d'applicazione della norma nazionale».
(1) - Per un'esposizione più particolareggiata delle cronistoria della tassa mi richiamo ai paragrafi 7 e ss. delle conclusioni già presentate nella causa C-231/96, EDIS.
(2) - Cause riunite C-71/91 e C-178/91 (Racc. pag. I-1915).
(3) - GU L 249, pag. 25.
(4) - Così disposto nel decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito nella legge 29 ottobre 1993, n. 427.
(5) - In questo senso vedansi sentenze della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, 23 novembre 1994, n. 9990, e 23 febbraio 1996, n. 4468 e n. 3458, quest'ultima pronunciata a sezioni riunite. Analogamente, nel secondo `considerando' della sentenza n. 56 del 1995, del 24 febbraio, la Corte costituzionale, dopo aver ricordato la cronistoria della tassa, così dichiarava per quel che riguarda gli anni precedenti alla sua soppressione (1993): «Tuttavia, poiché per gli anni precedenti è stata indebitamente riscossa dallo Stato italiano in violazione dell'art. 1 della direttiva 17 luglio 1969, 69/335/CEE, come interpretato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con sentenza 20 aprile 1993, cause C-71/91 e C-178/91, le somme pagate sono ripetibili in base al diritto comunitario, direttamente applicabile nell'ordinamento italiano».
(6) - L'art. 663 del codice di procedura civile consente ai giudici, se sussistono determinati presupposti (debito certo, liquido ed esigibile, comprovato da documenti facenti fede) di emanare un decreto ingiuntivo con il quale si impone al debitore, in via esecutiva, pur se non definitiva, di corrispondere la somma rivendicata.
(7) - Causa 106/77 (Racc. pag. 629).
(8) - Per quel che riguarda l'Italia v. A. Barav: Cour constitutionnelle italienne et droit communautaire: le fantôme de Simmenthal, in Revue trimestrielle de droit européen, 1985, pagg. 313-341.
(9) - V., recentemente, sentenza 5 marzo 1998, causa C-347/96, Solred (Racc. pag. I-937, punto 30).
(10) - V. il paragrafo 4 e nota 5 di cui sopra.
(11) - Tutto ciò senza pregiudicare che il legislatore nazionale debba, per motivi di certezza del diritto, procedere all'abrogazione della legge nazionale incompatibile col diritto comunitario.
(12) - Causa 34/67 (Racc. pag. 325).
(13) - In realtà si tratta del n. 20 delle osservazioni presentate nella causa C-231/96, EDIS, alla quale la Commissione fa riferimento anche in questa causa.
(14) - Senza corsivo nell'originale.
(15) - In questo senso la sentenza 26 febbraio 1987, causa 15/87, Consorzio Cooperative d'Abruzzo/Commissione (Racc. pag. 1005, punto 10). La distinzione tra inesistenza e pura invalidità di un atto comunitario è stata analizzata dalla Corte di giustizia nella pronuncia conseguente al ricorso per cassazione promosso dalla Commissione avverso la sentenza del Tribunale di primo grado 27 febbraio 1992, cause riunite T-79/89 e altre, BASF e a. (Racc. pag. II-315). La sentenza della Corte di giustizia 15 giugno 1994, causa C-137/92 P, Commissione/BASF e a. (Racc. pag. I-2555) ha annullato la sentenza di primo grado osservando che la dichiarazione d'inesistenza contenuta nella pronuncia quanto alla decisione della Commissione 89/190/CEE non era conforme al diritto. Sarebbe stato invece opportuno dichiarare semplicemente la nullità.
(16) - Ipoteticamente potrebbe ammettersi che questo aggettivo valga per leggi colpite da gravissime irregolarità, nel corso dell'iter legislativo o nella fase di adozione, per effetto delle quali esse hanno solo l'apparenza di leggi o sono leggi de facto: dette disposizioni sarebbero inesistenti, giuridicamente parlando. Quindi, ad esempio, una legge approvata da una sola camera nell'ipotesi di Stati con sistema legislativo bicamerale o pubblicata senza la promulgazione dell'autorità costituzionalmente competente.
(17) - Nella sentenza 21 febbraio 1974, cause riunite 15/73 e altre, Schots-Kortner/Consiglio, Commissione e Parlamento (Racc. pag. 177) la Corte ha negato espressamente che potesse qualificarsi inesistente una disposizione comunitaria (nel caso specifico il punto 3 dell'art. 4 dell'allegato VII dello Statuto del personale delle Comunità europee) per il fatto che contenesse elementi discriminatori che avevano determinato la sua dichiarazione di nullità, in modo indiretto, in una precedente sentenza. Le conclusioni dell'avvocato generale Trabucchi in quella causa riflettono lo stesso punto di vista che ho espresso in precedenza: «in un sistema come il nostro del diritto comunitario, non si vede alcuna ragione per allontanarsi dal criterio seguito nei vari diritti nazionali, secondo il quale un atto normativo idoneo ad essere applicato, e che risponda agli essenziali requisiti di procedura, di forma e di competenza per quanto riguarda la sua formazione e la sua pubblicazione, è un atto che, per un'eventuale incompatibilità di contenuto con norme o principi superiori, può essere inficiato nella sua validità, ma non può mai essere disconosciuto come inesistente».
(18) - Esamino questo problema nonché le recenti sentenze 17 luglio 1997, cause riunite C-114/95 e C-115/95, Texaco e Olieselskabet Danmark (Racc. pag. I-4263); causa C-90/94, Haahr Petroleum (Racc. pag. I-4085), e 2 dicembre 1997, causa C-188/95, Fantask (Racc. pag. I-6783), nelle conclusioni che presento nelle cause EDIS, SPAC e Ansaldo e altri.
(19) - Nelle mie conclusioni nella causa EDIS esamino l'applicazione di questa figura, in rapporto alla normale efficacia nel tempo delle sentenze emanate su questioni pregiudiziali d'interpretazione.
(20) - In particolare si è richiamata al punto 28 della sentenza 9 giugno 1992, causa C-228/90, Simba e a. (Racc. pag. I-3713), in base al quale «(...) nel caso in cui i giudici nazionali fossero indotti a ritenere una legge nazionale, che introduce un tributo quale l'imposta nazionale di consumo, incompatibile con disposizioni del diritto comunitario convenzionale che conferiscono diritti ai singoli, gli interessati non sarebbero tenuti a versare un tale tributo».
(21) - Causa C-212/94 (Racc. pag. I-389).
(22) - Si tratta del punto 62, in virtù del quale gli operatori interessati potevano invocare l'invalidità di un regolamento comunitario invalido «per periodi non solamente successivi, ma anche precedenti alla proposizione dell'azione giudiziale o alla presentazione di un reclamo equivalente, in principio sin dall'entrata in vigore delle disposizioni dichiarate invalide dalla Corte».
(23) - Punto 64.
(24) - La dichiarazione d'incostituzionalità di una legge di contenuto tributario non ne implica necessariamente la nullità, con il conseguente effetto ex tunc. In questo senso vedasi l'articolo di E. García de Enterría: Un paso importante para el desarrollo de nuestra justicia constitucional: la doctrina prospectiva en la declaración de ineficacia de las leyes inconstitucionales, Revista Española de Derecho Administrativo, 1989, n. 61, pagg. 5 e seguenti.
(25) - In alcuni Stati membri, come ad esempio in Spagna, la facoltà di revisione del giudice ordinario giunge a comprendere decreti legislativi, onde sindacare se il potere esecutivo ha commesso un eccesso di potere rispetto alla delega ricevuta dal potere legislativo. R. Alonso García, nella sua opera Derecho Comunitario: sistema constitucional y administrativo de la Comunidad Europea (Madrid, 1994, pag. 476), sostiene che, se la delega conferita dal legislatore nazionale consente al potere esecutivo di elaborare una disciplina partendo dalle norme comunitarie, il giudice ordinario sarebbe competente a valutare in modo diretto il risultato di questo sviluppo normativo.
(26) - Quindi, ad esempio, gli Stati membri non hanno competenza ad istituire un dazio doganale nei rapporti con i paesi terzi, giacché hanno trasferito alla Comunità la facoltà di adottare un siffatto strumento normativo comune.
(27) - A questo problema si era riferita la Commissione nelle osservazioni nella causa EDIS, proponendo la riformulazione della questione del giudice a quo. Mi richiamo ai paragrafi 51 e seguenti delle mie conclusioni in quella causa.
(28) - Sentenze 9 giugno 1989, n. 2876, e 21 giugno 1996, n. 5731.