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Document 61996CJ0207

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 4 dicembre 1997.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
Inadempimento di uno Stato - Parità di trattamento tra uomini e donne - Divieto del lavoro notturno.
Causa C-207/96.

Raccolta della Giurisprudenza 1997 I-06869

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1997:583

61996J0207

Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 4 dicembre 1997. - Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana. - Inadempimento di uno Stato - Parità di trattamento tra uomini e donne - Divieto del lavoro notturno. - Causa C-207/96.

raccolta della giurisprudenza 1997 pagina I-06869


Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parole chiave


1 Ricorso per inadempimento - Procedimento precontenzioso - Oggetto - Parere motivato - Contenuto - Delimitazione dell'oggetto della controversia

(Trattato CE, art. 169)

2 Stati membri - Obblighi - Inadempimento - Mantenimento in vigore di una disposizione nazionale incompatibile con il diritto comunitario - Inammissibilità a prescindere dal fatto se la norma di diritto comunitario di cui trattasi abbia o meno effetti diretti

3 Atti delle istituzioni - Direttive - Attuazione da parte degli Stati membri - Direttiva volta ad attribuire diritti ai singoli - Trasposizione senza azione legislativa - Inammissibilità

(Trattato CE, art. 189, terzo comma)

Massima


4 Nell'ambito del ricorso per inadempimento, il procedimento precontenzioso ha lo scopo di dare allo Stato membro interessato l'opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi che gli derivano dal diritto comunitario e, dall'altro, di sviluppare un'utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione.

Di conseguenza, l'oggetto del ricorso ai sensi dell'art. 169 del Trattato è determinato dal procedimento precontenzioso previsto dallo stesso articolo. Pertanto, l'atto introduttivo del ricorso non può essere basato su addebiti diversi da quelli formulati nel parere motivato, che deve contenere un'esposizione coerente e dettagliata delle ragioni che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato membro interessato ha mancato a uno degli obblighi impostigli dal Trattato.

5 L'incompatibilità di una normativa nazionale con le disposizioni comunitarie, anche se munite di effetti diretti, può essere definitivamente eliminata solo tramite disposizioni interne vincolanti che abbiano lo stesso valore giuridico di quelle da modificare.

6 Le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto, la quale esige che, qualora la direttiva miri ad attribuire diritti ai singoli, i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti.

Tali requisiti non sono soddisfatti quando, a causa del mantenimento in vigore, in uno Stato membro, di una norma di legge incompatibile con una disposizione di una direttiva, gli interessati si trovino in uno stato di incertezza riguardo alla loro situazione giuridica e siano esposti ad azioni penali ingiustificate. Infatti, l'obbligo del giudice nazionale di garantire la piena efficacia della disposizione della direttiva di cui trattasi, disapplicando qualsiasi disposizione nazionale contraria, non può avere l'effetto di modificare una norma legislativa.

Parti


Nella causa C-207/96,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla signora Marie Wolfcarius, membro del servizio giuridico, e dal signor Enrico Altieri, funzionario nazionale messo a disposizione del detto servizio, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal professor Umberto Leanza, capo del servizio del contenzioso diplomatico del Ministero degli Affari esteri, in qualità di agente, assistito dall'avvocato dello Stato Oscar Fiumara, con domicilio eletto in Lussemburgo presso l'ambasciata d'Italia, 5, rue Marie-Adélaïde,

convenuta,

avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo emanato entro il termine stabilito le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), e avendo mantenuto in vigore nel proprio ordinamento giuridico norme che stabiliscono il divieto del lavoro notturno per le donne in violazione dell'art. 5 della detta direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto comunitario,

LA CORTE

(Quinta Sezione),

composta dai signori M. Wathelet, presidente della Prima Sezione, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, J.C. Moitinho de Almeida, D.A.O. Edward (relatore), P. Jann e L. Sevón, giudici,

avvocato generale: C.O. Lenz

cancelliere: R. Grass

vista la relazione del giudice relatore,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 30 settembre 1997,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 19 giugno 1996, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE, un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo emanato entro il termine stabilito le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40; in prosieguo: la «direttiva»), e avendo mantenuto in vigore nel proprio ordinamento giuridico disposizioni che stabiliscono il divieto del lavoro notturno per le donne in violazione dell'art. 5 della detta direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto comunitario.

2 Ai sensi dell'art. 5 della direttiva, l'applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni basate sul sesso (n. 1). A tal fine, gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché siano soppresse le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento [n. 2, lett. a)] o riesaminate allorché i motivi di protezione che le hanno originariamente ispirate non sono più giustificati [n. 2, lett. c)]. Tuttavia, ai sensi dell'art. 2, n. 3, la direttiva non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità.

3 A norma dell'art. 9, n. 1, della direttiva, gli Stati membri erano tenuti a mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro trenta mesi a decorrere dalla notifica e, per quanto riguarda l'art. 5, n. 2, lett. c), nel termine di quattro anni, vale a dire prima del 14 febbraio 1980.

4 Al riguardo, nella sentenza 25 luglio 1991, causa C-345/89, Stoeckel (Racc. pag. I-4047), la Corte ha dichiarato che l'art. 5 della direttiva è sufficientemente preciso per creare a carico degli Stati membri l'obbligo di non stabilire come principio legislativo il divieto del lavoro notturno delle donne, anche se tale obbligo comporta deroghe, mentre non vige alcun divieto di lavoro notturno per gli uomini. Inoltre, essa ha affermato in più occasioni che tale disposizione è adeguatamente precisa e incondizionata per essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, onde ottenere la disapplicazione di qualsiasi disposizione nazionale non conforme al suddetto art. 5, n. 1, che sancisce il principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro (sentenze Stoeckel, citata, punto 12, e 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall, Racc. pag. 723, punto 55).

5 In Italia, l'art. 5, primo comma, della legge 9 dicembre 1977, n. 903, relativa alla parità di trattamento tra uomini e donne nel lavoro (in prosieguo: la «legge italiana») dispone quanto segue:

«Nelle aziende manifatturiere, anche artigianali, è vietato adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6. Tale divieto non si applica alle donne che svolgono mansioni direttive, nonché alle addette ai servizi sanitari aziendali».

6 A tenore del secondo e del terzo comma dell'art. 5 della stessa disposizione, in taluni casi tale divieto può essere diversamente disciplinato o rimosso mediante contrattazione collettiva, anche aziendale, ma esso non ammette deroghe per le donne in stato di gravidanza e in puerperio.

7 La legge italiana mantiene così in vigore il divieto di lavoro notturno per le donne previsto dalla legge 22 ottobre 1952, n. 1305, che ha ratificato la convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (in prosieguo: la «convenzione OIL») 9 luglio 1948, n. 89, riguardante il lavoro notturno delle donne nell'industria.

8 L'art. 3 di questa convenzione dispone che le donne, senza distinzione di età, non possono essere addette al lavoro notturno in nessuna impresa industriale, pubblica o privata, né in alcuna filiale di una di queste imprese, fatta eccezione per le imprese in cui prestano attività lavorativa solo i membri di una stessa famiglia.

9 Riguardo all'esistenza della convenzione OIL n. 89, nella sentenza 2 agosto 1993, causa C-158/91, Levy (Racc. pag. I-4287), la Corte ha precisato che il giudice nazionale ha l'obbligo di garantire la piena osservanza dell'art. 5 della direttiva disapplicando ogni contraria disposizione della normativa nazionale, a meno che l'applicazione di tale disposizione sia necessaria per consentire allo Stato membro interessato di adempiere obblighi imposti da una convenzione stipulata con Stati terzi prima dell'entrata in vigore del Trattato CEE.

10 In seguito alla citata sentenza Stoeckel, la Repubblica italiana aveva denunciato la convenzione OIL n. 89 nel febbraio 1992. Tale denuncia è divenuta effettiva dal febbraio 1993.

11 Tenuto conto delle citate sentenze Stoeckel e Levy e della denuncia, da parte della Repubblica italiana, della convenzione OIL n. 89, la Commissione ha ritenuto che incombesse alla Repubblica italiana emanare i provvedimenti necessari per porre fine all'incompatibilità della legge italiana con l'art. 5 della direttiva. Di conseguenza, con lettera 2 marzo 1994, essa ha invitato il governo italiano a presentare le sue osservazioni entro due mesi, ai sensi dell'art. 169, primo comma, del Trattato.

12 Essendo tale lettera rimasta senza risposta, il 19 giugno 1995 la Commissione ha emanato un parere motivato con cui invitava la Repubblica italiana ad emanare i provvedimenti necessari per conformarsi al parere medesimo entro il termine di due mesi a decorrere dalla notifica.

13 Non avendo ricevuto alcuna risposta, la Commissione ha proposto il presente ricorso.

14 Il ricorso della Commissione, così come formulato nelle conclusioni dell'atto introduttivo del ricorso, si basa su due addebiti mossi nei confronti della Repubblica italiana: il primo riguarda la mancata emanazione, entro il termine stabilito, delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva e il secondo attiene alla violazione dell'art. 5 della stessa direttiva conseguente al mantenimento in vigore della legge italiana dopo la denuncia della convenzione OIL n. 89.

Sul primo addebito

15 Senza sollevare eccezioni di irricevibilità nel senso formale del termine, la Repubblica italiana sottolinea che il primo addebito è stato formulato solo in sede di conclusioni dell'atto introduttivo.

16 Va rilevato che tale addebito presuppone che, anche anteriormente alla denuncia della convenzione OIL n. 89, la Repubblica italiana era tenuta a conformarsi, per quanto attiene al lavoro notturno delle donne, alle disposizioni della direttiva.

17 A questo proposito, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il procedimento precontenzioso ha lo scopo di dare allo Stato membro interessato l'opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi che gli derivano dal diritto comunitario e, dall'altro, di sviluppare un'utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione. Di conseguenza, l'oggetto del ricorso ai sensi dell'art. 169 del Trattato è determinato dal procedimento precontenzioso previsto dallo stesso articolo. Pertanto, l'atto introduttivo del ricorso non può essere basato su addebiti diversi da quelli formulati nel parere motivato (sentenza 20 marzo 1997, causa C-96/95, Commissione/Germania, Racc. pag. I-1653, punti 22 e 23).

18 La Corte ha inoltre affermato che il parere motivato deve contenere un'esposizione coerente e dettagliata delle ragioni che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato membro interessato ha mancato a uno degli obblighi impostigli dal Trattato (sentenza Commissione/Germania, citata, punto 24).

19 Nella fattispecie, benché nella lettera di diffida e nel parere motivato venisse ricordato che la Repubblica italiana era tenuta ad emanare i provvedimenti necessari per rendere la propria normativa interna conforme al diritto comunitario, la Commissione ha dichiarato che quest'obbligo è sorto solo dopo che la Repubblica italiana ha cessato di essere vincolata alla convenzione OIL n. 89.

20 Tuttavia, nell'atto introduttivo la Commissione ha asserito che la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva non avendo emanato, entro il termine da essa stabilito, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarvisi.

21 In mancanza di un'esposizione coerente e dettagliata, sia nel procedimento precontenzioso sia nell'atto introduttivo, degli elementi che hanno indotto la Commissione a considerare che, anche anteriormente alla denuncia della convenzione OIL n. 89, la Repubblica italiana avrebbe dovuto conformarsi, per quanto attiene al lavoro notturno delle donne, alle disposizioni della direttiva, la Repubblica italiana non poteva sviluppare un'utile difesa contro tale addebito.

22 Pertanto, il primo addebito deve essere dichiarato irricevibile.

Sul secondo addebito

23 La Commissione fa valere che, a decorrere dal febbraio 1993, la Repubblica italiana, non essendo più vincolata alla convenzione OIL n. 89, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 5 della direttiva, avendo mantenuto in vigore nel proprio ordinamento giuridico disposizioni che stabiliscono il divieto del lavoro notturno per le donne.

24 Nel controricorso la Repubblica italiana sostiene, da un lato, che il divieto di lavoro notturno previsto dalla legge italiana, che in taluni casi può essere diversamente disciplinato o rimosso, è stato mantenuto in vigore al fine di garantire il rispetto di quelle esigenze di ordine personale e familiare di cui l'art. 2, n. 3, della direttiva e la Costituzione italiana pongono in risalto l'importanza decisiva e, dall'altro, che i singoli sono legittimati a far valere direttamente l'art. 5 della direttiva dinanzi ai giudici italiani perché sia disapplicata la legge italiana.

25 Occorre anzitutto rilevare che, anche se il divieto di lavoro notturno di cui all'art. 5 della legge italiana può in taluni casi essere mitigato o addirittura disapplicato, la Repubblica italiana non contesta che, in seguito alla sua denuncia della convenzione OIL n. 89, il diritto comunitario ostava al suo mantenimento in vigore nell'ordinamento giuridico italiano. Peraltro essa dichiara che verrà posto rimedio quanto prima a questa incompatibilità.

26 Si deve poi ricordare, da un lato, che, secondo una costante giurisprudenza, l'incompatibilità di una normativa nazionale con le disposizioni comunitarie, anche se direttamente applicabili, può essere definitivamente eliminata solo tramite disposizioni interne vincolanti che abbiano lo stesso valore giuridico di quelle da modificare e, dall'altro, che le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto, la quale esige che, qualora la direttiva miri ad attribuire diritti ai singoli, i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti (sentenza 13 marzo 1997, causa C-197/96, Commissione/Francia, Racc. pag. I-1489, punti 14 e 15).

27 Nella fattispecie, a causa del mantenimento in vigore della legge italiana, gli interessati si trovano in uno stato d'incertezza riguardo alla loro situazione giuridica e sono esposti ad azioni penali ingiustificate. Infatti, l'obbligo del giudice nazionale di garantire la piena efficacia dell'art. 5 della direttiva, disapplicando qualsiasi disposizione nazionale contraria, non può avere l'effetto di modificare una norma legislativa.

28 Si deve pertanto dichiarare che la Repubblica italiana, avendo mantenuto in vigore nel proprio ordinamento giuridico disposizioni che stabiliscono il divieto di lavoro notturno per le donne in violazione dell'art. 5 della direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto comunitario.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

29 Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese. La Repubblica italiana è risultata soccombente e va quindi condannata alle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE

(Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1) La Repubblica italiana, avendo mantenuto in vigore nel proprio ordinamento giuridico disposizioni che stabiliscono il divieto di lavoro notturno per le donne in violazione dell'art. 5, della direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto comunitario.

2) Per il resto, il ricorso è respinto.

3) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

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