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Document 61994TJ0167

    Sentenza del Tribunale di primo grado (Prima Sezione ampliata) del 18 settembre 1995.
    Detlef Nölle contro Consiglio dell'Unione europea e Commissione delle Comunità europee.
    Ricorso per risarcimento danni - Ricevibilità - Regolamento antidumping di base n. 2423/88 - Violazione - Regolamento antidumping n. 725/89 - Invalidità - Responsabilità per atti normativi - Principio di sollecitudine - Diritto alla difesa - Violazione sufficientemente grave e manifesta.
    Causa T-167/94.

    Raccolta della Giurisprudenza 1995 II-02589

    ECLI identifier: ECLI:EU:T:1995:169

    61994A0167

    SENTENZA DEL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO (PRIMA SEZIONE AMPLIATA) DEL 18 SETTEMBRE 1995. - DETLEF NOELLE CONTRO CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA E COMMISSIONE DELLE COMUNITA EUROPEE. - RICORSO PER RESPONSABILITA EXTRACONTRATTUALE - RICEVIBILITA - REGOLAMENTO ANTIDUMPING DI BASE N. 2423/88 - VIOLAZIONE - REGOLAMENTO ANTIDUMPING N. 725/89 - INVALIDITA - RESPONSABILITA PER ATTI NORMATIVI - PRINCIPIO DI SOLLECITUDINE - DIRITTI DELLA DIFESA - VIOLAZIONE SUFFICIENTEMENTE CARATTERIZZATA. - CAUSA T-167/94.

    raccolta della giurisprudenza 1995 pagina II-02589


    Massima
    Parti
    Motivazione della sentenza
    Decisione relativa alle spese
    Dispositivo

    Parole chiave


    ++++

    1. Ricorso per risarcimento danni ° Termini di ricorso ° Prescrizione quinquennale ° Domanda di risarcimento danni presentata alle istituzioni e non seguita da un ricorso di annullamento o per carenza ° Irrilevanza

    (Trattato CEE, artt. 173 e 175; Statuto CEE della Corte di giustizia, art. 43)

    2. Ricorso per risarcimento danni ° Previo esaurimento dei rimedi giurisdizionali nazionali ° Ulteriore ricorso proposto dinanzi al giudice comunitario per il risarcimento del danno derivante dall' asserita insufficienza dell' importo ottenuto a titolo di spese dinanzi al giudice nazionale ° Competenza esclusiva del giudice nazionale che applica il diritto nazionale ° Irricevibilità

    (Trattato CEE, artt. 178 e 215, secondo comma; regolamento di procedura della Corte, art. 104, n. 5)

    3. Ricorso per risarcimento danni ° Previo esaurimento dei rimedi giurisdizionali nazionali ° Eccezione ° Impossibilità di ottenere riparazione dinanzi al giudice nazionale ° Domanda di risarcimento del danno derivante dal ricorso a mutui per assolvere i dazi antidumping istituiti da un regolamento dichiarato invalido ° Ricevibilità

    (Trattato CEE, artt. 178 e 215, secondo comma)

    4. Responsabilità extracontrattuale ° Presupposti ° Atto normativo che implica scelte di politica economica ° Atto di un procedimento antidumping ° Violazione sufficientemente grave e manifesta di una norma giuridica superiore che tutela i singoli

    (Trattato CEE, art. 215, secondo comma)

    5. Responsabilità extracontrattuale ° Presupposti ° Atto normativo ° Insufficienza di motivazione ° Insussistenza della responsabilità

    (Trattato CEE, artt. 190 e 215, secondo comma)

    6. Diritto comunitario ° Principi ° Diritto alla difesa ° Rispetto nell' ambito dei procedimenti amministrativi ° Antidumping ° Soggetti legittimati ad invocarne la violazione dinanzi al giudice ° Importatore indipendente ° Esclusione

    7. Diritto comunitario ° Principi ° Principio di sollecitudine ° Rispetto nell' ambito dei procedimenti amministrativi ° Antidumping ° Obbligo della Commissione di esaminare in modo serio e approfondito gli argomenti proposti da un importatore indipendente cui è consentito prendere parte al procedimento in quanto "parte interessata"

    8. Responsabilità extracontrattuale ° Presupposti ° Atto normativo che implica scelte di politica economica ° Violazione sufficientemente grave e manifesta di una norma giuridica superiore che tutela i singoli ° Errata valutazione della portata degli obblighi derivanti in un procedimento antidumping dal dovere di sollecitudine ° Insussistenza della responsabilità

    (Trattato CEE, art. 215, secondo comma)

    Massima


    1. Qualora una domanda di risarcimento di un danno presentata alle istituzioni comunitarie non sia seguita da un ricorso di annullamento o da un ricorso per carenza nei termini a tal fine previsti dagli artt. 173 e 175 del Trattato, il ricorso per risarcimento danni rimane ricevibile a condizione che sia stato proposto entro il termine di cinque anni stabilito dall' art. 43 dello Statuto CEE della Corte, poiché tale norma ha lo scopo di prorogare il termine di cinque anni e non quello di ridurre la prescrizione quinquennale di cui al detto articolo.

    2. Il singolo che, ritenendo illegittimo un regolamento comunitario che istituisce dazi antidumping, abbia legittimamente contestato l' applicazione operatane nei suoi confronti dalle autorità nazionali dinanzi al giudice nazionale, il quale, dopo essersi avvalso del procedimento di rinvio pregiudiziale, abbia accolto le sue pretese, senza però riconoscergli a titolo di spese l' importo che egli riteneva gli fosse dovuto, non può, avvalendosi del carattere illecito presentato dall' adozione del detto regolamento, proporre un ricorso per risarcimento danni diretto ad ottenere tale importo.

    In primo luogo, infatti, quando la tutela dei diritti del singolo può essere efficacemente garantita dal giudice nazionale, è dinanzi a quest' ultimo che egli deve anzitutto proporre il proprio ricorso, e la lite nonché le relative questioni accessorie, come quella delle spese, devono essere risolte applicando il diritto nazionale, purché il diritto comunitario non abbia disposto in materia.

    In secondo luogo, ai sensi dell' art. 104, n. 5, del regolamento di procedura della Corte, spetta al giudice nazionale che si è avvalso del procedimento pregiudiziale statuire sulle spese derivate da quest' ultimo.

    3. Nei limiti in cui non vi è alcun rimedio giurisdizionale interno che consenta ad un' impresa di ottenere il risarcimento del danno costituito dagli interessi bancari pagati sulle somme da essa prese in prestito per assolvere i dazi antidumping istituiti da un regolamento comunitario dichiarato invalido, a causa del fatto che l' invalidità del detto regolamento deriva dal comportamento illecito delle istituzioni comunitarie e che l' insorgere della responsabilità delle autorità pubbliche nazionali è subordinato all' esistenza di un illecito addebitabile all' autorità nazionale, il ricorso al giudice nazionale, il quale non può nel caso di specie garantire in modo efficace la tutela dei diritti soggettivi conferiti all' interessata dal diritto comunitario, non può essere imposto a quest' ultima.

    E' pertanto ricevibile il ricorso proposto dall' interessata dinanzi al Tribunale al fine di ottenere dalla Comunità il risarcimento del preteso danno sopra menzionato subito a causa del detto regolamento.

    4. Gli atti adottati dal Consiglio e dalla Commissione nell' ambito di un procedimento volto all' eventuale adozione di provvedimenti antidumping sono atti normativi che implicano scelte di politica economica. La responsabilità della Comunità per tali atti sussiste unicamente in caso di violazione sufficientemente grave e manifesta di una norma giuridica superiore intesa a tutelare i singoli.

    5. L' eventuale insufficienza di motivazione di un regolamento non dà luogo a responsabilità della Comunità.

    6. Il procedimento antidumping nonché le eventuali misure di salvaguardia adottate alla sua conclusione sono diretti soltanto contro produttori ed esportatori di paesi terzi e, se del caso, importatori collegati e non contro importatori indipendenti. Ne consegue che un importatore indipendente non può rivendicare le prerogative della difesa, facendo valere dinanzi al giudice un motivo tratto dalla loro violazione, possibilità questa che è riservata a coloro per i quali il procedimento possa sfociare in un atto arrecante pregiudizio.

    7. Il rispetto nei procedimenti amministrativi delle garanzie offerte dall' ordinamento giuridico comunitario è tanto più di fondamentale importanza quanto più le istituzioni comunitarie dispongano di un ampio potere discrezionale. Tra le dette garanzie si annoverano in particolare l' obbligo dell' istituzione competente di esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie, il diritto dell' interessato a far conoscere il proprio punto di vista e il diritto ad una decisione sufficientemente motivata.

    A tale riguardo e benché i diritti conferiti alle parti coinvolte in un procedimento antidumping dipendano dalla fase del procedimento, dalla posizione in cui esse vi partecipano, nonché dalle diverse disposizioni del regolamento di base, si deve nondimeno considerare che, quando un importatore indipendente fa valere con successo un interesse sufficiente, in quanto "parte interessata", ai fini della propria partecipazione ad un procedimento antidumping, e la Commissione, malgrado i dubbi che l' argomentazione di quest' ultimo solleva in merito alla scelta del paese di riferimento adeguato, omette, violando l' obbligo che le incombe, di esaminare in modo serio e approfondito la fondatezza degli argomenti o delle proposte da lui formulate, essa commette una violazione del principio di sollecitudine, che è una norma posta a tutela dei singoli.

    8. Nel contesto dell' ampio potere discrezionale di cui dispongono le istituzioni comunitarie per l' attuazione della politica commerciale comune, il fatto che esse non abbiano, nel corso di un procedimento antidumping, completamente trasgredito il loro dovere di sollecitudine e di buona amministrazione nei confronti di un importatore indipendente, parte interessata a tale procedimento, ma abbiano soltanto mal valutato, nella scelta del paese di riferimento, la portata degli obblighi derivanti loro dal detto principio, non può essere considerato come una violazione sufficientemente grave e manifesta dello stesso principio e non può quindi far sorgere la responsabilità della Comunità.

    Parti


    Nella causa T-167/94,

    Detlef Noelle, operante con la denominazione commerciale "Eugen Noelle", residente in Remscheid (Repubblica federale di Germania), con gli avv.ti Frank Montag e Hans-Joachim Priess, Bruxelles,

    ricorrente,

    contro

    Consiglio dell' Unione europea, rappresentato dai signori Jorge Monteiro e Juergen Huber, membri del servizio giuridico, in qualità di agenti, assistiti dagli avv.ti Hans-Juergen Rabe e Georg Berrisch, del foro di Amburgo e del foro di Bruxelles, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Bruno Eynard, direttore della direzione affari giuridici della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,

    e

    Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal signor Eric White, membro del servizio giuridico, assistito dal signor Claus-Michael Happe, funzionario nazionale distaccato presso la Commissione, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,

    convenuti,

    avente ad oggetto la domanda, proposta ai sensi degli artt. 178 e 215, secondo comma, del Trattato CEE, diretta al risarcimento del danno che l' impresa ricorrente sostiene di aver subito a causa dell' adozione del regolamento (CEE) del Consiglio 20 marzo 1989, n. 725, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di spazzole e pennelli per dipingere, imbiancare, verniciare e simili originari della Repubblica popolare cinese e riscuote definitivamente il dazio antidumping provvisorio istituito su queste importazioni, dichiarato invalido dalla sentenza della Corte 22 ottobre 1991, causa C-16/90, Noelle (Racc. pag. I-5163),

    IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

    DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione ampliata),

    composto dai signori J.L. Cruz Vilaça, presidente, D.P.M. Barrington, H. Kirschner, A. Kalogeropoulos e dalla signora V. Tiili, giudici,

    cancelliere: H. Jung

    vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 18 maggio 1995,

    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Motivazione della sentenza


    I fatti all' origine della controversia

    1 In seguito ad una denuncia presentata nell' aprile 1986 dalla Fédération européenne de l' industrie de la brosse et de la pinceauterie (in prosieguo: la "FEIBP") è stato avviato un procedimento antidumping riguardante le importazioni di taluni tipi di spazzole e pennelli originari della Repubblica popolare cinese. L' inchiesta effettuata dalla Commissione è stata provvisoriamente chiusa a seguito dell' impegno a limitare le esportazioni nella Comunità assunto dall' impresa cinese China National Native Produce & Animal By-Products Import & Export Corporation (in prosieguo: la "China National"). Tale impegno è stato accettato con la decisione del Consiglio 9 febbraio 1987, 87/104/CEE (GU L 46, pag. 45; in prosieguo: la "decisione 87/104").

    2 Il procedimento così provvisoriamente chiuso è stato riaperto dalla Commissione a seguito di una nuova denuncia presentata dalla FEIBP a motivo dell' inosservanza dei termini dell' impegno assunto dalla China National. Gli interessati ne sono stati informati con la pubblicazione di una comunicazione con la quale si annunciava la riapertura di un procedimento antidumping vertente sulle importazioni nella Comunità di talune spazzole per dipingere, imbiancare, verniciare e simili originarie della Repubblica popolare cinese (GU 1988, C 257, pag. 5). Avendo constatato che le importazioni nella Repubblica federale di Germania e nel Regno Unito dei prodotti interessati provenienti dalla Repubblica popolare cinese avevano notevolmente superato, da sole, il quantitativo globale di importazioni fissato nell' impegno, la Commissione, con il regolamento (CEE) 29 settembre 1988, n. 3052, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di spazzole per dipingere, imbiancare, verniciare e simili originarie della Repubblica popolare cinese (GU L 272, pag. 16; in prosieguo: il "regolamento n. 3052/88"), ha istituito un dazio antidumping provvisorio nella misura di un' aliquota ad valorem del 69% sul prezzo netto unitario dei prodotti di cui trattasi.

    3 Il 20 marzo 1989 il Consiglio ha confermato il dazio antidumping provvisorio istituito dalla Commissione e, in pari data, con regolamento (CEE) n. 725/89, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di spazzole e pennelli per dipingere, imbiancare, verniciare e simili originari della Repubblica popolare cinese e riscuote definitivamente il dazio antidumping provvisorio istituito su queste importazioni (GU L 79, pag. 24; in prosieguo: il "regolamento n. 725/89"), ha istituito un dazio definitivo alla stessa aliquota del dazio provvisorio.

    4 In data 21 novembre 1988, 8 febbraio e 14 febbraio 1989 l' impresa Eugen Noelle (in prosieguo: la "Noelle") ha immesso in commercio nella Comunità tre partite di spazzole e pennelli per dipingere e pulire sulle quali lo Hauptzollamt di Brema-Freihafen (in prosieguo: lo "Hauptzollamt") ha reclamato il pagamento del dazio antidumping provvisorio di cui al regolamento n. 3052/88. In conformità all' art. 1, n. 4, del detto regolamento, la Noelle ha costituito una garanzia pari all' importo dovuto, cioè 52 400 DM. Con tre decisioni 14 aprile 1989 lo Hauptzollamt ha preteso dalla Noelle il pagamento di un importo di 51 217,40 DM, corrispondenti al dazio antidumping definitivo istituito dal regolamento n. 725/89.

    5 Ritenendo le tre decisioni illegittime in quanto il regolamento su cui si basavano era stato emanato in violazione di norme comunitarie superiori, la Noelle ha anzitutto presentato reclamo presso lo Hauptzollamt, che l' ha respinto, e in secondo luogo ha proposto ricorso per l' annullamento di tali decisioni presso il Finanzgericht di Brema.

    6 Il 22 gennaio 1990 il giudice nazionale ha sottoposto alla Corte una questione pregiudiziale vertente sulla validità del regolamento n. 725/89. Questa richiesta alla Corte ai sensi dell' art. 177 del Trattato CEE è stata accompagnata da un provvedimento di sospensione dell' esecuzione delle decisioni impugnate.

    7 Nella sentenza pronunciata il 22 ottobre 1991 la Corte ha dichiarato invalido il regolamento n. 725/89, a causa del fatto che il valore normale dei prodotti in causa non era stato determinato "in maniera appropriata ed equa", ai sensi dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento (CEE) del Consiglio 11 luglio 1988, n. 2423, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU L 209, pag. 1; in prosieguo: il "regolamento di base"). Nella detta sentenza la Corte ha considerato che la Noelle aveva fornito nel corso del procedimento antidumping elementi sufficienti "atti a far sorgere dubbi quanto all' idoneità e alla ragionevolezza della scelta dello Sri Lanka quale paese di riferimento" per la determinazione del valore normale e che la Commissione e il Consiglio non si erano "prodigati seriamente e sufficientemente per verificare se Taiwan potesse essere considerato paese di riferimento idoneo", come aveva proposto la Noelle (sentenza Noelle, causa C-16/90, Racc. pag. I-5163).

    8 A seguito della sentenza della Corte, il Finanzgericht di Brema ha, con ordinanza 21 gennaio 1992, posto fine al procedimento e, con ordinanza 31 luglio 1992, condannato lo Hauptzollamt alle spese processuali. Tali spese sono state fissate, conformemente alle vigenti disposizioni del diritto tedesco, a 10 941,40 DM, più gli interessi in ragione del 4%, a decorrere dal giorno della presentazione della domanda.

    9 Con lettera 30 giugno 1992, inviata al Consiglio e alla Commissione, la Noelle ha chiesto il risarcimento del danno che le sarebbe stato causato dall' adozione del regolamento n. 725/89, dichiarato invalido. Il danno asserito consisterebbe, da un lato, nel pagamento di interessi bancari per 50 188,15 DM sugli importi presi a prestito per assolvere il dazio antidumping, a seguito di altre decisioni dell' amministrazione doganale che l' interessata non ha dedotto in giudizio, e, dall' altro, in spese legali stimate in 39 424,88 DM. Con lettere datate rispettivamente 22 luglio e 30 novembre 1992 il Consiglio e la Commissione hanno respinto tale domanda.

    10 Stando così le cose, il 25 giugno 1993 la Noelle ha proposto il presente ricorso dinanzi alla Corte, registrato con il n. C-326/93.

    11 In applicazione dell' art. 4 della decisione del Consiglio 8 giugno 1993, 93/350/Euratom, CECA, CEE, che modifica la decisione 88/591/CECA, CEE, Euratom che istituisce il Tribunale di primo grado delle Comunità europee (GU L 144, pag. 21), la causa è stata rinviata, con ordinanza della Corte 18 aprile 1994, dinanzi al Tribunale, presso il quale è stata registrata con il n. T-167/94.

    12 Con decisione del Tribunale 2 giugno 1994 il giudice relatore è stato assegnato alla Prima Sezione ampliata cui di conseguenza è stata attribuita la causa. Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Prima Sezione ampliata) ha deciso di passare alla trattazione orale senza procedere ad istruttoria. Tuttavia, le parti sono state invitate dal Tribunale a rispondere a taluni quesiti scritti. Le parti hanno accolto l' invito del Tribunale; la ricorrente ha depositato le proprie risposte il 19 aprile 1994 e le istituzioni convenute il 20 aprile 1994. Le parti sono state sentite nelle loro conclusioni e nelle loro risposte ai quesiti orali del Tribunale nel corso dell' udienza pubblica che si è svolta il 18 maggio 1995.

    Conclusioni delle parti

    13 La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

    ° condannare la Comunità economica europea a versarle una somma pari a 79 834,45 DM, più gli interessi nella misura dell' 8% a decorrere dal 3 luglio 1992;

    ° condannare le istituzioni convenute alle spese.

    14 Il Consiglio conclude che il Tribunale voglia:

    ° respingere il ricorso;

    ° condannare la ricorrente alle spese.

    15 La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

    ° dichiarare il ricorso irricevibile;

    ° in subordine, respingere il ricorso perché infondato;

    ° condannare la ricorrente alle spese del procedimento.

    Sulla ricevibilità

    Esposizione sommaria degli argomenti delle parti

    16 Nei rispettivi controricorsi la Commissione e il Consiglio sostengono che il ricorso è irricevibile.

    17 Secondo il Consiglio l' atto introduttivo del procedimento non soddisfa i requisiti posti dall' art. 19 dello Statuto CEE della Corte e dall' art. 38, n. 1, lett. c), del suo regolamento di procedura, che prevedono che il ricorso deve contenere, tra l' altro, l' oggetto della controversia e l' esposizione sommaria dei motivi dedotti.

    18 Il Consiglio cita la sentenza del Tribunale 10 luglio 1990, causa T-64/89, Automec/Commissione (Racc. pag. II-367), nella quale il Tribunale ha dichiarato che un ricorso inteso al risarcimento del danno causato da un' istituzione comunitaria deve contenere elementi che consentano di identificare il comportamento che il ricorrente addebita all' istituzione, nonché le ragioni per le quali egli ritiene che sussista un nesso di causalità tra il comportamento ed il danno che asserisce di aver subito. Il Consiglio osserva che il presente ricorso non fa emergere in modo chiaro né il comportamento attivo od omissivo delle istituzioni comunitarie sul quale la ricorrente fonda la propria domanda di risarcimento danni né il nesso di causalità tra la presunta azione od omissione dedotta e il danno subito. Più in particolare, il ricorso non indicherebbe in maniera chiara e precisa se il danno addotto è dovuto all' emanazione del regolamento annullato o alla scelta errata dello Sri Lanka come paese di riferimento o ancora al fatto che la Commissione ha omesso di verificare se Taiwan potesse eventualmente costituire un paese di riferimento più appropriato.

    19 Il Consiglio ritiene infine che il ricorso non contenga il minimo elemento diretto a dimostrare la sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento delle istituzioni comunitarie e il presunto danno subito e che soltanto in fase di replica, in violazione dell' art. 42, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura della Corte, la ricorrente abbia dedotto circostanze a sostegno della presenza di un siffatto nesso, di modo che il presente ricorso dovrebbe essere dichiarato irricevibile.

    20 La Commissione considera anch' essa che il ricorso non risponde ai requisiti posti dall' art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte. Secondo la Commissione, la ricorrente non spiega in nessuna parte dell' atto introduttivo in che modo sia stata proprio la violazione della norma giuridica alla base della dichiarazione d' invalidità del regolamento n. 725/89 da parte della Corte a causare il danno esposto. Essa rileva che la ricorrente ha invocato circostanze a sostegno dell' esistenza di un nesso di causalità tra il danno asserito e gli illeciti contestati alle istituzioni convenute solo in fase di replica, in contrasto con quanto previsto dall' art. 42, n. 2, del regolamento di procedura della Corte.

    21 La Commissione deduce un secondo motivo di irricevibilità del ricorso, facendo valere che gli importi esposti dalla ricorrente come danni subiti non possono essere reclamati nell' ambito di un ricorso ai sensi dell' art. 215, secondo comma, del Trattato CEE. Secondo la Commissione, un ricorso per risarcimento danni basato su tale articolo non può essere ricevibile, a meno che la ricorrente non abbia prima esaurito i rimedi previsti dall' ordinamento giuridico nazionale. La Commissione ritiene che ciò debba valere, a fortiori, quando il diritto comunitario rinvia in ultima analisi al diritto nazionale, come avviene nel caso di specie.

    22 Più in particolare, per quanto riguarda l' istanza di rimborso delle spese sostenute dalla Noelle dinanzi al tribunale nazionale, la Commissione fa valere l' art. 104, n. 5, del regolamento di procedura della Corte, secondo il quale spetta al giudice nazionale statuire sulle spese del procedimento pregiudiziale. La Commissione sostiene che la questione delle spese è stata dunque definitivamente risolta dal tribunale tedesco. Essa sottolinea che, come emerge dagli atti di causa, la ricorrente ha ottenuto dallo Hauptzollamt un rimborso delle spese pari a 10 941,40 DM, di modo che le rimanenti spese, non rimborsate secondo la normativa applicabile nel procedimento nazionale, non possono configurare un danno che possa essere dedotto nell' ambito di un ricorso di risarcimento fondato sull' art. 215 del Trattato, a meno di vanificare l' art. 104, n. 5, del regolamento di procedura della Corte.

    23 La Commissione osserva che lo stesso ragionamento si applica anche al danno rappresentato dagli interessi che la ricorrente ha dovuto corrispondere alla propria banca per le agevolazioni creditizie messe a disposizione da quest' ultima per l' assolvimento del dazio antidumping istituito dal regolamento n. 725/89. Come emerge dal regolamento (CEE) del Consiglio 2 luglio 1979, n. 1430, relativo al rimborso o allo sgravio dei dazi all' importazione o all' esportazione (GU L 175, pag. 1; in prosieguo: il "regolamento n. 1430/79"), è il diritto nazionale a disciplinare, in via esclusiva, ogni questione legata al pagamento degli interessi relativi al rimborso delle somme riscosse illegalmente. Secondo la Commissione, questa disposizione normativa fondamentale costituisce un esempio del caso in cui l' esercizio dello stesso diritto a livello comunitario è precluso. Poiché il regolamento n. 1430/79 non prevede il pagamento di interessi, la Commissione ritiene che, in assenza di disposizioni specifiche del diritto comunitario, nel caso di specie vadano applicate le disposizioni del diritto nazionale (sentenza della Corte 12 giugno 1980, causa 130/79, Express Dairy Foods, Racc. pag. 1887).

    24 Infine, secondo la Commissione, l' interesse generale osterebbe a che la ricorrente possa agire in giudizio nel caso di specie. Il fatto che la domanda di risarcimento sia stata proposta il 25 giugno 1993, vale a dire quasi sei mesi dopo il rigetto da parte della Commissione della domanda di risarcimento del danno dedotto (lettera pervenuta il 17 dicembre 1992), solleverebbe in effetti dubbi quanto alla sua ricevibilità, alla luce dell' art. 43 dello Statuto CEE della Corte. La Commissione sottolinea che, anche se in passato la Corte ha interpretato il detto art. 43 in modo diverso (sentenza 5 aprile 1973, causa 11/72, Giordano/Commissione, Racc. pag. 417), una giurisprudenza più recente ha tuttavia sottolineato con forza il carattere formale e regolamentare delle norme relative al termine per la proposizione dei ricorsi (ordinanza 15 maggio 1991, causa C-122/90, Emsland-Staerke/Commissione, non pubblicata nella Raccolta, e 5 febbraio 1992, causa C-59/91, Francia/Commissione, Racc. pag. I-525). Essa osserva che il combinato disposto dell' art. 43 dello Statuto CEE della Corte e dell' art. 173, secondo comma, del Trattato CEE, che prevede per i ricorsi d' annullamento un termine di due mesi, comporta la decadenza della ricorrente dal diritto di ricorso. Questa soluzione è conforme al principio della certezza del diritto, ponendo la ricorrente su un piano di parità con tutti gli altri importatori che si sono visti rifiutare una domanda di rimborso dei dazi antidumping da parte della Commissione sulla base dell' art. 16 del regolamento di base, i quali possono impugnare la decisione di rigetto che li riguarda dinanzi al giudice comunitario solo entro il termine di due mesi di cui all' art. 173, terzo comma, del Trattato.

    25 La ricorrente sostiene che il proprio ricorso non presenta alcuna ambiguità in merito alla determinazione dell' illecito commesso dalle autorità comunitarie. Emergerebbe chiaramente dall' atto introduttivo che l' asserito illecito concerne l' adozione del regolamento n. 725/89, dichiarato invalido dalla Corte. Per quanto riguarda il nesso di causalità, la ricorrente fa valere di aver esposto in maniera chiara e non ambigua nell' atto introduttivo l' esistenza di un nesso di causalità tra l' asserito illecito e il danno subito.

    26 Inoltre, la questione se le circostanze illustrate nell' atto introduttivo siano sufficienti a provare l' esistenza di un nesso di causalità è una questione di merito e non di ricevibilità.

    27 Per quanto riguarda il motivo dedotto dalla Commissione, diretto a far dichiarare irricevibile la domanda di rimborso delle spese sostenute e degli interessi bancari pagati dalla ricorrente in quanto il giudice nazionale si sarebbe già pronunciato su tale punto, la ricorrente ribatte che si tratta, nel caso di specie, di una questione di merito e non di ricevibilità. In ogni caso, il diritto nazionale non può disciplinare in maniera definitiva i diritti attribuiti alla ricorrente dall' art. 215, secondo comma, del Trattato.

    28 Inoltre, nella replica, la ricorrente sottolinea che gli importi di cui chiede il risarcimento non possono in alcun modo essere definiti esclusivamente spese legali, nei limiti in cui risulta dalle fatture unite all' atto introduttivo che i suoi legali sono anche intervenuti presso numerosi uffici doganali.

    29 Quanto al motivo attinente alla proposizione tardiva del ricorso, la ricorrente ricorda che, come la stessa Commissione ha riconosciuto, tale motivo è in contraddizione con la giurisprudenza della Corte in materia e va dunque respinto.

    Giudizio del Tribunale

    30 Per quanto riguarda, in primo luogo, il motivo di irricevibilità dedotto dalla Commissione, relativo al fatto che la ricorrente non poteva proporre il presente ricorso sei mesi dopo il rigetto della domanda di risarcimento del danno che sosteneva di aver subito, il Tribunale ricorda che, ai sensi dell' art. 43 dello Statuto CEE della Corte, le azioni contro la Comunità in materia di responsabilità extracontrattuale si prescrivono in cinque anni a decorrere dal momento in cui avviene il fatto che dà loro origine. La prescrizione è interrotta vuoi dall' istanza presentata alla Corte, vuoi dalla previa domanda che il danneggiato può rivolgere all' istituzione competente della Comunità. In quest' ultimo caso l' istanza dev' essere proposta nel termine di due mesi previsto dall' art. 173 o di quattro mesi previsto dall' art. 175 del Trattato CEE. Per giurisprudenza costante della Corte, l' art. 43 ha il solo scopo, infatti, di rinviare la scadenza del termine di cinque anni, quando un' istanza o una previa domanda, presentate entro tale termine, fanno scattare i termini previsti dagli artt. 173 o 175 e non quello di ridurre la prescrizione quinquennale di cui al detto articolo quando, come nel caso di specie, la domanda di risarcimento di un danno presentata alle istituzioni comunitarie non è stata seguita da un ricorso di annullamento o da un ricorso per carenza nei termini a tal fine previsti dagli artt. 173 e 175 del Trattato (sentenze della Corte 14 luglio 1967, cause riunite 5/66, 7/66 e 13/66-24/66, Kampffmeyer e a./Commissione, Racc. pag. 287, e Giordano/Commissione, già citata).

    31 Poiché il fatto che sta alla base del presente ricorso risale al 20 marzo 1989, data dell' adozione del regolamento n. 725/89, vale a dire a meno di cinque anni prima della sua proposizione, esso è ricevibile per quanto riguarda il termine entro cui è stato proposto (sentenze Kampffmeyer e a./Commissione, già citata, pag. 306, e Giordano/Commissione, già citata, punto 6).

    32 Per quanto riguarda, in secondo luogo, il motivo attinente alla violazione dell' art. 19, primo comma, dello Statuto CEE della Corte, applicabile al Tribunale in forza dell' art. 46, primo comma, del detto Statuto oltre che dell' art. 38, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della Corte, il Tribunale ricorda che, ai sensi di tale norma, l' atto introduttivo deve, tra l' altro, indicare l' oggetto della controversia e contenere un' esposizione sommaria dei motivi dedotti. In particolare, per soddisfare i detti requisiti, un ricorso diretto al risarcimento del danno causato da un' istituzione comunitaria deve contenere elementi che consentano di identificare il comportamento che il ricorrente addebita all' istituzione, le ragioni per le quali egli ritiene che esista un nesso di causalità tra il comportamento e il danno che asserisce di aver subito, nonché la natura e l' entità di tale danno (sentenza della Corte 2 dicembre 1971, causa 5/71, Zuckerfabrik Schoeppenstedt/Consiglio, Racc. pag. 975, sentenza Automec/Commissione, già citata, punto 73).

    33 Il Tribunale osserva che nel caso di specie la ricorrente ha adeguatamente dimostrato nell' atto introduttivo che il comportamento illegittimo contestato alle istituzioni convenute trova origine nell' adozione del regolamento n. 725/89, dichiarato invalido dalla Corte, e che era quest' ultimo a costituire la causa del danno dedotto. In effetti, si deve osservare che la ricorrente ha fatto valere nell' atto introduttivo che il regolamento di cui trattasi ha costituito la causa effettiva del danno asserito. In questo modo essa ha spiegato, ancorché in maniera sommaria, quale sia il nesso di causalità dedotto a giustificazione della domanda di risarcimento. Di conseguenza, il motivo di irricevibilità opposto dal Consiglio e attinente al fatto che, da un lato, la ricorrente non ha precisato a quale azione od omissione delle istituzioni comunitarie sia dovuto il danno asserito e, dall' altro, non ha fornito il minimo elemento che consenta di dimostrare la sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento contestato e il danno subito va disatteso.

    34 Per quanto riguarda, in terzo luogo, il motivo dedotto dalla Commissione a sostegno dell' irricevibilità del ricorso, attinente al fatto che gli importi pretesi dalla ricorrente in riferimento al danno subito non possono essere risarciti nell' ambito dell' art. 215, secondo comma, del Trattato, il Tribunale reputa che si deve distinguere tra il danno causato alla ricorrente dal pagamento di spese di giudizio rimborsate solo parzialmente a seguito della pronuncia del giudice nazionale che ha posto fine all' istanza dinanzi ad esso e il danno originato dal pagamento di interessi bancari sulle somme che essa sostiene di aver preso a prestito per assolvere il dazio antidumping istituito dal regolamento n. 725/89.

    35 Per quanto riguarda la ricevibilità della domanda di risarcimento del danno rappresentato dalle spese di giudizio rimaste a carico della ricorrente a seguito della decisione del giudice nazionale adito della controversia che la opponeva allo Hauptzollamt, il Tribunale ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte, pur se l' azione di risarcimento ai sensi degli artt. 178 e 215 del Trattato è stata istituita come un rimedio autonomo, con una sua funzione particolare nell' ambito del sistema dei mezzi di ricorso e subordinata a condizioni di esercizio concepite nell' ottica del suo scopo specifico, essa va nondimeno valutata alla luce del complesso del sistema della tutela giurisdizionale dei singoli istituito dal Trattato. Nel caso in cui il singolo si ritiene leso dall' applicazione di un atto normativo comunitario che ritenga illegittimo, egli ha la possibilità, qualora l' attuazione dell' atto sia lasciata alle autorità nazionali, di contestare, in occasione di tale attuazione, la validità dell' atto dinanzi ad un giudice nazionale nell' ambito di una controversia che lo opponga all' autorità nazionale. Tale giudice può, o addirittura deve, se sussistono le condizioni di cui all' art. 177 del Trattato, sottoporre alla Corte una questione in merito alla validità dell' atto comunitario interessato. Tuttavia, la presenza di tale rimedio è idonea a garantire in maniera efficace la tutela dei privati interessati solo se può sfociare nel risarcimento del danno dedotto (sentenze della Corte 25 ottobre 1972, causa 96/71, Haegeman/Commissione, Racc. pag. 1005, 12 aprile 1984, causa 281/82, Unifrex/Commissione e Consiglio, Racc. pag. 1969, 29 settembre 1987, causa 81/86, De Boer Buizen/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 3677, e 13 marzo 1992, causa C-282/90, Vreugdenhil/Commissione, Racc. pag. I-1937).

    36 A questo proposito il Tribunale ricorda che la Corte ha dichiarato che, allorché l' azione di risarcimento dinanzi al giudice comunitario può trovarsi in taluni casi subordinata al previo esaurimento delle vie di ricorso interne disponibili per contestare la validità di una decisione comunitaria, le controversie che rientrano nella competenza dei giudici nazionali vanno risolte da questi ultimi a norma del rispettivo diritto nazionale, ove il diritto comunitario non abbia disposto in materia, e, in mancanza di disposizioni comunitarie su questo punto, spetta alle autorità nazionali disciplinare tutte le questioni accessorie relative alla lite principale (sentenza della Corte 21 maggio 1976, causa 26/74, Roquette frères/Commissione, Racc. pag. 677).

    37 Si desume dalla giurisprudenza citata che la questione del rimborso delle spese, che è una questione accessoria rispetto alla lite principale che ha opposto la ricorrente allo Hauptzollamt a proposito del pagamento del dazio antidumping istituito dal regolamento n. 725/89, dichiarato invalido, appartiene alla competenza esclusiva del giudice nazionale, il quale deve, in mancanza di misure comunitarie di armonizzazione nel settore, decidere tale questione, come peraltro ha fatto nel caso di specie, a norma delle vigenti disposizioni nazionali.

    38 Va aggiunto che in ogni caso, ai sensi dell' art. 104, n. 5, del regolamento di procedura della Corte, spetta al giudice nazionale statuire sulle spese del procedimento pregiudiziale. Nel caso di specie, si tratta di una domanda di risarcimento di un danno che consiste nella quota delle spese non rimborsate, conformemente alla decisione del giudice nazionale che ha posto fine al procedimento dinanzi ad esso pendente, a seguito della soluzione data dalla Corte al quesito pregiudiziale sottopostole ai sensi dell' art. 177 del Trattato. Il Tribunale considera dunque che, poiché la ricorrente non ha fatto valere che il ricorso ai rimedi di diritto nazionale non è stato in grado di offrirle una tutela efficace dei diritti conferitile dal diritto comunitario, non è compito suo mettere in discussione, mediante l' espediente di un ricorso per danni proposto dinanzi ad esso, l' esistenza e l' esercizio della competenza esclusiva di cui gode in materia il giudice nazionale in forza dell' art. 104, n. 5, del regolamento di procedura della Corte, privando dunque tale disposizione di ogni effetto utile.

    39 Di conseguenza, nella parte in cui mira al risarcimento del danno rappresentato dalla quota di spese non rimborsate a seguito della decisione del Finanzgericht di Brema che ha posto fine alla controversia vertente sulla legittimità del regolamento n. 725/89, il ricorso della ricorrente è irricevibile poiché il Tribunale non è competente a statuire su tale domanda a norma dell' art. 215, secondo comma, del Trattato.

    40 Quanto alle spese sostenute dalla ricorrente nell' ambito di vari interventi dei propri legali presso numerosi uffici doganali, sempre che la ricorrente possa legittimamente chiedere il risarcimento di un tale danno in fase di replica, il Tribunale ritiene che è opportuno riservare l' esame di tale domanda all' esame del merito del presente ricorso.

    41 Per quanto riguarda la domanda della ricorrente diretta al risarcimento del danno rappresentato dagli interessi bancari pagati sulle somme che essa afferma di aver preso in prestito per assolvere il dazio antidumping istituito dal regolamento n. 725/89, il Tribunale rileva che, come la ricorrente ha illustrato nell' atto introduttivo e nell' udienza del 18 maggio 1995, senza essere contraddetta a questo proposito dalle istituzioni convenute, nessun rimedio di diritto interno le avrebbe consentito di ottenere il risarcimento del danno di cui è causa. Infatti, il sorgere della responsabilità delle autorità pubbliche nella Repubblica federale di Germania è subordinato alla dimostrazione di un illecito compiuto dall' autorità responsabile e poiché la declaratoria dell' invalidità del regolamento n. 725/89 da parte della Corte è dovuta al comportamento colpevole delle istituzioni comunitarie e non a quello delle autorità pubbliche tedesche, il previo esaurimento dei rimedi interni non può, nel caso di specie, garantire in modo efficace la tutela dei diritti soggettivi conferiti alla ricorrente dal diritto comunitario (v. sentenze della Corte Unifrex/Commissione e Consiglio, già citata, punto 12, e 6 giugno 1990, causa C-119/88, AERPO e a./Commissione, Racc. pag. I-2189, punto 13).

    42 Stando così le cose, come la Corte ha dichiarato nella sentenza Vreugdenhil/Commissione (già citata, punti 11-15), poiché è il Consiglio l' autore del regolamento dichiarato invalido, che è all' origine del danno asserito, il Tribunale ha competenza esclusiva per pronunciarsi ai sensi degli artt. 178 e 215 del Trattato su un ricorso per il risarcimento di un danno addebitabile alla Comunità. Pertanto, il ricorso della ricorrente, nella parte in cui è diretto ad ottenere il risarcimento del danno consistente negli interessi bancari pagati sulle somme prese a prestito nell' ambito dell' applicazione del regolamento n. 725/89, dichiarato invalido, va considerato ricevibile (v. anche sentenza della Corte 8 aprile 1992, causa C-55/90, Cato/Commissione, Racc. pag. 2533, punto 17).

    43 Emerge da quanto precede che il ricorso va dichiarato ricevibile nella parte in cui è diretto ad ottenere il risarcimento del danno che la ricorrente sostiene di aver subito a causa degli interessi bancari che afferma di aver pagato per assolvere il dazio antidumping istituito dal regolamento n. 725/89 e va dichiarato irricevibile per il resto.

    Nel merito

    Sull' origine della responsabilità extracontrattuale della Comunità

    Esposizione sommaria degli argomenti delle parti

    44 La ricorrente distingue tra atti comunitari di natura legislativa e atti comunitari di natura amministrativa e osserva che le misure antidumping, anche se emanate in forma di regolamento, di fatto si situano tra queste due categorie. Secondo la ricorrente una distinzione analoga andrebbe fatta anche per quanto riguarda l' origine della responsabilità della Comunità per l' adozione di misure antidumping illegittime. La ricorrente fa dunque valere che, quando l' illegittimità di un regolamento antidumping deriva dalla violazione di regole inerenti alla valutazione di fatti economici complessi, sono applicabili le condizioni più restrittive della responsabilità della Comunità, vale a dire quelle che disciplinano la responsabilità per atti normativi. Di contro, quando l' illegittimità discende dalla violazione di norme di procedura o di carattere amministrativo, si dovrebbero applicare le condizioni dette "semplici". Secondo la ricorrente la presente causa appartiene, in via di principio, alla seconda fattispecie. L' illecito della Commissione sarebbe consistito nella violazione della norma procedurale di cui all' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base, relativo alla determinazione del paese di riferimento.

    45 A questo proposito la ricorrente sottolinea che, anche se secondo la sentenza della Corte 29 novembre 1989, causa C-122/86, Epicheiriseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon e a./Commissione e Consiglio (Racc. pag. I-3959), sono le condizioni più restrittive della responsabilità della Commissione per la propria attività normativa, implicante scelte di politica economica, a doversi applicare in occasione dell' attuazione del regolamento di base, resta pur vero che la causa menzionata verteva sulla decisione della Commissione di porre fine ad un procedimento antidumping, la cui natura di atto comportante una scelta di politica economica non può essere negata. In questa causa, invece, l' applicazione dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base non comportava affatto l' esercizio di un potere discrezionale in materia di politica economica, ma soltanto l' osservanza di norme procedurali amministrative, quali il principio di diligenza, l' obbligo di motivazione di cui all' art. 190 del Trattato CEE e il divieto di sviamento di potere.

    46 Muovendo da questi rilievi la ricorrente esamina le condizioni di responsabilità della Comunità per un suo atto normativo solo in via subordinata.

    47 La Commissione fa notare che la ricorrente tenta di dimostrare che, in materia di responsabilità extracontrattuale, vige un criterio diverso da quello prevalente nel caso degli atti normativi. Secondo la Commissione, nel campo delle misure antidumping, le ricorrenti sono interessate solo dal regolamento antidumping definitivo e un errore nell' elaborazione di tale regolamento deve riflettersi in quest' ultimo affinché si possa proporre con successo un ricorso per risarcimento (sentenza della Corte 5 ottobre 1988, cause riunite 294/86 e 77/87, Technointorg/Commissione e Consiglio, Racc. pag. 6077). Dal momento che soltanto il regolamento definitivo può essere causa di un danno, nel caso di specie la responsabilità della Comunità può essere soltanto responsabilità per un atto normativo.

    48 Il Consiglio spiega che, dal momento che la ricorrente chiede il risarcimento del danno che sostiene di aver subito a causa dell' adozione del regolamento n. 725/89, la questione della responsabilità della Comunità può valutarsi soltanto alla luce dei principi alla base della responsabilità per atti normativi. Esso sottolinea che la tesi della ricorrente, secondo cui la responsabilità della Comunità non va determinata in base alla natura dell' atto che ha causato il presunto danno, bensì in base alla natura del danno stesso, è in contrasto con la giurisprudenza della Corte (sentenza 19 maggio 1992, cause riunite C-104/89 e C-37/90, Mulder e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-3061). Il Consiglio ammette tuttavia che, qualora nell' ambito del procedimento amministrativo che precede l' adozione di un regolamento antidumping le istituzioni comunitarie commettano una violazione specifica delle norme applicabili, chi ne risulta danneggiato ha la facoltà di proporre un ricorso per risarcimento danni, a condizione però che il comportamento irregolare abbia causato, da solo, il danno dedotto. Secondo il Consiglio la ricorrente non ha, nel caso di specie, sostenuto che a causare il danno asserito siano stati la stessa scelta dello Sri Lanka come paese di riferimento o il comportamento delle istituzioni comunitarie che hanno omesso di esaminare in maniera più attenta se Taiwan potesse costituire un paese di riferimento più adeguato.

    49 Infine il Consiglio sottolinea che, se nel caso di specie si dovesse ammettere la responsabilità della Comunità alla luce dei principi alla base della responsabilità per un atto amministrativo, si tratterebbe di un comportamento illegittimo addebitabile unicamente alla Commissione, di modo che il presente ricorso non avrebbe dovuto essere proposto contro di esso.

    Giudizio del Tribunale

    50 Il Tribunale rileva che la ricorrente chiede riparazione del danno che sostiene di aver subito a causa dell' adozione del regolamento n. 725/89, dichiarato invalido dalla Corte.

    51 A questo proposito, va ricordato che, come la Corte ha dichiarato nella sentenza Epicheiriseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon e a./Commissione e Consiglio, già citata, gli atti del Consiglio e della Commissione riferentisi ad un procedimento diretto all' eventuale adozione di misure antidumping sono atti normativi che implicano scelte di politica economica e che, per giurisprudenza costante, la responsabilità della Comunità per atti di tal genere sussiste solo in caso di violazione grave di una norma giuridica superiore posta a tutela dei singoli (sentenze della Corte Suckerfabrik Schoeppenstedt/Consiglio, già citata, 2 giugno 1976, Kampffmeyer e a./Consiglio e Commissione, cause riunite 56/74-60/74, Racc. pag. 711, punto 13, 25 maggio 1978, cause riunite 83/76 e 94/76, 4/77, 15/77 e 40/77, HNL e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. 1209, punto 4, e 4 ottobre 1979, causa 238/78, Ireks-Arkady/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 2955, punto 9; sentenze del Tribunale 15 dicembre 1994, causa T-489/93, Unifruit Hellas/Commissione, Racc. pag. II-1201, punto 35, e 21 febbraio 1995, causa T-472/93, Campo Ebro e a./Consiglio, Racc. pag. II-421).

    52 Stando così le cose, il Tribunale considera che la tesi della ricorrente, secondo cui nel caso di specie la responsabilità della Commissione andrebbe determinata in base alla natura della violazione dedotta (violazione delle norme procedurali) e non in base alla natura dell' atto comunitario all' origine del danno asserito, è infondata e si deve quindi verificare se le istituzioni convenute abbiano commesso una violazione sufficientemente grave di una norma giuridica superiore posta a tutela dei singoli.

    Sull' intervento della responsabilità della Comunità per atti normativi

    Sull' illecito

    53 La ricorrente contesta alle istituzioni comunitarie di aver commesso, nell' applicazione dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base, quattro illeciti idonei a far intervenire la responsabilità della Comunità, cioè in primo luogo una violazione dell' art. 190 del Trattato, in secondo luogo una violazione dei diritti della difesa, in terzo luogo uno sviamento di potere e in quarto luogo una violazione dei principi di sollecitudine e di buona amministrazione.

    Sull' asserita violazione dell' art. 190 del Trattato

    ° Esposizione sommaria degli argomenti delle parti

    54 La ricorrente rileva che nella sentenza Noelle, già citata, la Corte ha dichiarato che le affermazioni delle istituzioni in merito alle caratteristiche del mercato di Taiwan non sono state suffragate da alcuna precisazione né dalla presentazione di alcun elemento di fatto. La ricorrente fa altresì riferimento alle conclusioni dell' avvocato generale nella medesima causa, in cui quest' ultimo aveva inoltre rilevato che il regolamento n. 725/89 non era sufficientemente motivato in quanto non si pronunciava sulla questione se i produttori comunitari non avessero contribuito anch' essi al danno arrecato all' industria comunitaria smerciando spazzole provenienti dalla Repubblica cinese.

    55 La Commissione sostiene che l' argomento della ricorrente non è fondato, in quanto, per giurisprudenza consolidata della Corte, una violazione dell' art. 190 del Trattato non è idonea a far intervenire la responsabilità della Comunità (sentenza della Corte 15 settembre 1982, causa 106/81, Kind/CEE, Racc. pag. 2885).

    56 Il Consiglio afferma che nella sentenza Noelle, già citata, la Corte non ha dichiarato, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, né che il regolamento n. 725/89 violasse l' art. 190 del Trattato né che non fosse sufficientemente motivato.

    ° Giudizio del Tribunale

    57 Il Tribunale rileva che nella sentenza Noelle, già citata, la Corte non ha dichiarato che le istituzioni comunitarie avessero violato l' art. 190 del Trattato o che il regolamento controverso non fosse sufficientemente motivato. Inoltre, anche supponendo che dalla sentenza citata si possa desumere una tale violazione, il Tribunale ricorda che, in ogni caso, per giurisprudenza costante della Corte e del Tribunale, l' insufficiente motivazione di un atto regolamentare non è idonea a far sorgere la responsabilità della Comunità (sentenze della Corte Kind/CEE, già citata, punto 14, AERPO e a./Commissione, già citata, punto 20, e sentenza del Tribunale Unifruit Hellas/Commissione, già citata, punto 41).

    58 Pertanto, il primo motivo, attinente alla carenza di motivazione del regolamento n. 725/89, va disatteso.

    Sulla presunta violazione dei diritti della difesa

    ° Esposizione sommaria degli argomenti delle parti

    59 Secondo la ricorrente, risulta chiaramente dalle conclusioni dell' avvocato generale per la sentenza Noelle, già citata, che le violazioni del principio di sollecitudine, dell' art. 190 del Trattato e del divieto di sviamento di potere costituiscono, in ultima analisi, una violazione del diritto dei singoli ad una difesa equa, disposizione fondamentale sancita dall' art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell' uomo e delle libertà fondamentali. Essa fa notare in proposito che, secondo la giurisprudenza della Corte, i diritti fondamentali formano parte integrante dei principi giuridici generali di cui la Corte garantisce l' osservanza (sentenza 27 giugno 1991, causa C-49/88, Al Jubail Fertilizer/Consiglio, Racc. pag. I-3187).

    60 La Commissione sostiene che non tutte le parti interessate da un procedimento antidumping fruiscono della stessa tutela dei diritti della difesa, in quanto la portata di tale tutela è strettamente connessa alla rispettiva posizione processuale. Essa ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte, solo coloro ai quali un atto arreca pregiudizio possono avvalersi della tutela di tali diritti. Orbene, in un procedimento antidumping, atti del genere sono emanati solo nei confronti degli esportatori e non nei confronti degli importatori come la ricorrente.

    61 Il Consiglio nega che alla ricorrente spettassero diritti della difesa e sostiene che l' obbligo delle istituzioni comunitarie di osservare i principi generali di buona amministrazione non è inteso, nel caso di specie, a tutelare gli interessi della ricorrente, bensì quelli della collettività. Esso aggiunge che il fatto che la violazione di tale principio possa condurre all' annullamento di un atto non significa che i detti principi abbiano per oggetto la tutela dei singoli.

    ° Giudizio del Tribunale

    62 Il Tribunale ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte, il procedimento antidumping e le eventuali misure di difesa adottate al suo esito sono rivolti soltanto a produttori ed esportatori stranieri o di paesi terzi oltre che, se del caso, a importatori collegati, e non a importatori indipendenti, come la ricorrente (sentenza della Corte 28 novembre 1991, causa C-170/89, BEUC/Commissione, Racc. pag. I-5709).

    63 Il Tribunale constata che nel caso di specie il procedimento antidumping non era stato avviato nei confronti della ricorrente e non era di conseguenza idoneo a sfociare in un atto arrecantele pregiudizio, in quanto nei suoi confronti non era stata formulata nessuna accusa. Pertanto, il motivo dedotto dalla ricorrente attinente ad una presunta violazione dei diritti della difesa nei suoi confronti non è fondato e va, di conseguenza, disatteso (sentenze della Corte BEUC/Commissione, già citata, punti 20-23, 10 luglio 1986, causa 234/84, Belgio/Commissione, Racc. pag. 2263, e causa 40/85, Racc. pag. 2321, punto 28).

    Sul presunto sviamento di potere

    ° Esposizione sommaria dell' opinione delle parti

    64 La ricorrente sostiene che, poiché la Corte ha constatato al punto 36 della sentenza Noelle, già citata, che le istituzioni comunitarie, nell' ambito della scelta del paese di riferimento, hanno operato una scelta non ragionevole e non idonea, risulterebbe del pari dimostrato che il medesimo comportamento delle istituzioni comunitarie configura anche uno sviamento di potere.

    65 Le convenute non hanno presentato osservazioni in proposito.

    ° Giudizio del Tribunale

    66 Il Tribunale ricorda che, per giurisprudenza costante, una decisione o un atto comunitario è viziato da sviamento di potere soltanto se risulta, sulla base di indizi obiettivi, pertinenti e concordanti, che sono stati adottati per conseguire scopi diversi da quelli in essi indicati (sentenze della Corte 4 luglio 1989, causa 198/87, Kerzmann/Corte dei conti, Racc. pag. 2083, massime della sentenza, punto 2, e 11 luglio 1990, causa C-323/88, Sermes, Racc. pag. I-3027, punto 33).

    67 Il Tribunale rileva che la ricorrente si è limitata ad un' unica e semplice affermazione, senza neppure tentare di dimostrare la sua fondatezza e senza suffragarla con argomenti o prove di alcun genere. Di conseguenza il Tribunale considera che il motivo attinente ad uno sviamento di potere è infondato e va quindi disatteso (v. sentenza Sermes, già citata, punti 35 e 36).

    Sulla presunta violazione del principio di sollecitudine e dei principi di buona amministrazione

    ° Esposizione sommaria degli argomenti delle parti

    68 La ricorrente ricorda che nella sentenza Noelle, già citata, la Corte ha dichiarato che le istituzioni comunitarie avevano omesso di prendere in considerazione elementi essenziali e non avevano esaminato il fascicolo con la necessaria diligenza. Secondo la ricorrente un siffatto comportamento costituisce una violazione del principio di sollecitudine, che fa parte delle garanzie previste dall' ordinamento giuridico comunitario per i procedimenti amministrativi (sentenza 21 novembre 1991, causa C-269/90, Technische Universitaet Muenchen, Racc. pag. I-5469), e una violazione del principio detto "Offizialmaxime", noto al diritto tedesco, secondo cui è l' autorità interessata a decidere in merito alla procedura, di modo che, nel caso di specie, la Commissione avrebbe dovuto, in occasione dell' attuazione dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base, rispettare le garanzie procedurali poste a tutela dei singoli. Inoltre, la violazione del principio di sollecitudine avrebbe costituito, nel caso di specie, una violazione del diritto al contraddittorio, previsto dall' art. 7, nn. 1, lett. b), 2, lett. a), 4 e 5, del regolamento di base, in quanto la Commissione ha ignorato l' argomentazione della ricorrente riguardo alla scelta del paese di riferimento.

    69 Quanto alla portata della tutela conferita dai principi che si asserisce siano stati violati, la ricorrente cita segnatamente la giurisprudenza della Corte e del Tribunale (sentenze della Corte 4 febbraio 1987, causa 324/85, Bouteiller/Commissione, Racc. pag. 529, 11 ottobre 1990, causa C-200/89, FUNOC/Commissione, Racc. pag. I-3669; sentenza del Tribunale 27 febbraio 1992, cause riunite T-79/89, da T-84/89 a T-86/89, T-89/89, T-91/89, T-92/89, T-94/89, T-96/89, T-98/89, T-102/89 e T-104/89, BASF e a./Commissione, Racc. pag. II-315) secondo cui le norme del diritto comunitario che non si limitano a disciplinare le modalità di funzionamento interno delle istituzioni, ma garantiscono anche il rispetto dei principi di legalità, di certezza del diritto e di buona amministrazione, che possono essere invocati dalle persone fisiche e giuridiche, sono "fonte di diritti" e fattore di certezza del diritto per le persone interessate e ne conclude che le istituzioni comunitarie, applicando in maniera errata l' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base, hanno infranto norme che riguardano il rispetto delle garanzie procedurali a tutela dei singoli (principio di sollecitudine) e che costituiscono il fondamento dei diritti soggettivi che i singoli possono far valere nei confronti dell' amministrazione.

    70 La Commissione nega che l' asserita violazione del principio di sollecitudine configuri una violazione di una norma giuridica che protegga individualmente la ricorrente e osserva che il riferimento della ricorrente alla sentenza Technische Universitaet Muenchen, già citata, nel caso di specie non è pertinente, in quanto il ruolo rivestito da un importatore al momento della determinazione del paese di riferimento è diverso da quello dell' importatore di apparecchiature scientifiche, poiché l' importatore indipendente non ha un ruolo determinante nel procedimento antidumping e non è direttamente interessato dalla decisione adottata.

    71 La Commissione ammette che il principio "Offizialmaxime" implica che essa è tenuta ad osservare il dovere di sollecitudine, ma fa valere che, perché il principio del rispetto del dovere di sollecitudine possa far sorgere diritti soggettivi, occorre esaminare se, nell' ambito dell' applicazione dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base, il singolo abbia il diritto di presentare una domanda che lo autorizzi ad orientare l' attività dell' amministrazione nel senso richiesto, oppure se è l' amministrazione stessa a decidere dello svolgimento del procedimento di cui trattasi ("Offizialmaxime"). Secondo la Commissione, è l' autorità amministrativa a decidere, da sola, l' attuazione della disposizione di cui trattasi, di modo che la ricorrente, nel caso di specie, non godrebbe di nessun diritto soggettivo. La Commissione nega anche che l' art. 7 del regolamento di base offra alla ricorrente garanzie procedurali e sottolinea che la detta disposizione si limita ad enunciare, peraltro in maniera non esaustiva, le fonti di informazione di cui possono avvalersi le istituzioni comunitarie all' atto dell' avvio e dello svolgimento di un' indagine antidumping, e che gli importatori sono, a questo proposito, soltanto una di tali fonti e beneficiano quindi soltanto dei diritti previsti dal regolamento di base (sentenza BEUC/Commissione, già citata).

    72 Il Consiglio si allinea agli argomenti della Commissione e sostiene che, anche ammettendo che la Corte abbia riconosciuto che le istituzioni hanno infranto il principio di sollecitudine, ciò non comporterebbe la violazione da parte loro di una norma giuridica posta a tutela degli interessi della ricorrente. A questo proposito il Consiglio fa valere che, per determinare se il principio di sollecitudine sia una norma posta a tutela dei singoli, va determinato anzitutto se la disposizione la cui applicazione è all' origine dell' asserita violazione di tale principio abbia una funzione garantista. Ne conclude che, nei limiti in cui l' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base, che è la disposizione in causa, non tutela gli interessi della ricorrente, non lo fa neppure il principio di sollecitudine.

    ° Giudizio del Tribunale

    73 Il Tribunale ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte, il rispetto nei procedimenti amministrativi delle garanzie offerte dall' ordinamento giuridico comunitario è tanto più di fondamentale importanza quanto più le istituzioni comunitarie dispongano di un ampio potere discrezionale e che tra le dette garanzie si annoverano in particolare l' obbligo dell' istituzione competente di esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie, il diritto dell' interessato a far conoscere il proprio punto di vista e il diritto ad una decisione sufficientemente motivata (sentenza Technische Universitaet Muenchen, già citata, punto 14).

    74 Il Tribunale osserva che si desume dai punti 30-32 della sentenza Noelle, già citata, che la Corte ha dichiarato invalido il regolamento n. 725/89 perché la Commissione non aveva preso in considerazione alcuni elementi essenziali per valutare l' adeguatezza del paese di riferimento prescelto e non aveva esaminato in modo più approfondito la proposta formulata dalla ricorrente in ordine alla scelta di Taiwan, nonché gli argomenti di questa in merito all' erroneità della scelta dello Sri Lanka come paese di riferimento. In particolare la Corte ha constatato, al punto 34 della sentenza citata, che le affermazioni della Commissione, secondo cui Taiwan non è stato preso in considerazione come paese di riferimento in base al rilievo che le caratteristiche fisiche e i costi di produzione dei prodotti di cui trattavasi erano diversi e che i produttori di Taiwan con cui erano stati avviati contatti si erano rifiutati di collaborare, non erano state suffragate da alcuna precisazione né dalla deduzione di alcun elemento di fatto.

    75 Alla luce di questi rilievi il Tribunale giudica che il comportamento delle istituzioni comunitarie nella determinazione del paese di riferimento, sanzionato dalla Corte nella sentenza Noelle, citata, con la declaratoria dell' invalidità del regolamento n. 725/89, può essere considerato costitutivo di una violazione del principio di sollecitudine.

    76 Il Tribunale reputa peraltro che il fine garantista del principio così infranto non può essere messo in dubbio nel caso di specie. Infatti, anche se i diritti conferiti alle parti coinvolte in un procedimento antidumping dipendono dalla fase del procedimento, dalla posizione in cui esse vi partecipano (esportatore interessato, importatore collegato, importatore indipendente) nonché dalle diverse disposizioni del regolamento di base, rimane vero che ° quando un importatore indipendente fa valere con successo un interesse sufficiente, in quanto "parte interessata", ai fini della propria partecipazione a un procedimento antidumping, e la Commissione, malgrado i dubbi che l' argomentazione di quest' ultimo solleva in merito alla scelta del paese di riferimento adeguato, omette, violando l' obbligo che le incombe, di esaminare in modo serio e approfondito la fondatezza degli argomenti proposti ° essa commette una violazione del principio di sollecitudine che è una norma posta a tutela dei singoli.

    77 Il Tribunale ritiene che occorre esaminare poi la questione se, nel caso di specie, si sia trattato di una violazione grave e manifesta di tale norma, senza che si debba esaminare se il principio di sollecitudine costituisca una norma giuridica superiore.

    Sul carattere grave e manifesto della violazione del principio di sollecitudine e dei principi di buona amministrazione

    ° Esposizione sommaria degli argomenti delle parti

    78 La ricorrente ricorda che, nella sentenza Noelle, citata, la Corte ha constatato che, nel processo di determinazione del paese di riferimento, essa aveva fornito alla Commissione elementi idonei a far sorgere chiari dubbi in merito alla scelta dello Sri Lanka come paese di riferimento. Nella misura in cui la Commissione ha preferito ignorare tali informazioni senza fornire un' adeguata giustificazione, l' atteggiamento delle istituzioni comunitarie che ne è conseguito è stato errato e inescusabile ed ha costituito un eccesso di potere flagrante, in quanto la gravità di una siffatta violazione deriva dal fatto che i principi violati costituiscono principi fondamentali (sentenza del Tribunale 27 giugno 1991, causa T-120/89, Stahlwerke Peine-Salzgitter/Commissione, Racc. pag. II-279, punto 111).

    79 Inoltre, secondo la ricorrente, la gravità della violazione risulterebbe anche dalla portata del potere discrezionale di cui le istituzioni comunitarie dispongono nell' ambito dell' attuazione dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base, dato che il rispetto delle norme procedurali, di cui fanno parte i principi di sollecitudine e di buona amministrazione, si impone a maggior ragione per il fatto che le istituzioni comunitarie godono, nel caso di specie, di un esteso potere discrezionale. Se si doveva dunque attribuire alle norme infrante con l' adozione del regolamento n. 725/89 un rango particolarmente elevato in quanto l' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base conferisce alle istituzioni comunitarie un ampio potere discrezionale, secondo la ricorrente ne discende che le violazioni dei principi di sollecitudine e di buona amministrazione andrebbero considerate gravi. Infine la ricorrente sostiene che, secondo una giurisprudenza più recente della Corte, il fatto che l' infrazione in esame si trovi al limite dell' arbitrario non costituisce una condizione necessaria per il sorgere della responsabilità della Comunità (sentenza 18 maggio 1993, causa C-220/91 P, Commissione/Stahlwerke Peine-Salzgitter, Racc. pag. I-2393).

    80 La Commissione precisa che nella sentenza Noelle la Corte ha menzionato soltanto il fatto che la Noelle aveva comunicato alla Commissione elementi sufficienti per far emergere dubbi in merito al carattere idoneo e ragionevole della scelta dello Sri Lanka come paese di riferimento. Perché vi sia responsabilità della Comunità per un atto normativo, secondo la Commissione sarebbe necessaria la presenza di una violazione sufficientemente grave, vale a dire grave e manifesta e ai limiti dell' arbitrario. Orbene, secondo la Commissione, una cosa dubbia è l' opposto di una cosa manifesta e arbitraria.

    81 La Commissione si oppone del pari al fatto che venga definita grave l' asserita violazione dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base. Essa ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte, la portata della tutela dei diritti processuali offerti ai singoli coinvolti in un procedimento antidumping dipende dalla loro posizione processuale. La Commissione considera che la ricorrente non può far valere una violazione grave dei propri diritti processuali affermando l' esistenza di uno stretto nesso tra i margini di valutazione di cui gode la Commissione nell' attuazione delle disposizioni del regolamento di base e la stretta osservanza che essa deve ai diritti processuali delle parti interessate, in quanto la ricorrente non deve essere considerata una parte interessata secondo la giurisprudenza della Corte (sentenza BEUC/Commissione, già citata).

    82 Il Consiglio sostiene che la tesi della ricorrente, secondo cui un comportamento ai limiti dell' arbitrario non è più un presupposto necessario perché sorga la responsabilità della Comunità, non trova, di fatto, alcun sostegno nella giurisprudenza.

    83 Il Consiglio fa notare che le istituzioni comunitarie non hanno agito in modo arbitrario, ma hanno semplicemente mal valutato la portata dei loro doveri d' indagine in occasione dell' attuazione dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base.

    84 Il Consiglio respinge anche la tesi della ricorrente secondo cui la violazione di una norma giuridica implicante l' esercizio di un potere discrezionale relativamente ampio è, automaticamente, considerata grave. Secondo il Consiglio un tale giudizio dipende dalle circostanze particolari del caso di specie. Orbene, la ricorrente non avrebbe spiegato per quale motivo la violazione dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base andrebbe considerata grave. Infine, il Consiglio spiega che non si può neanche concludere per la gravità della violazione della disposizione di cui trattasi a causa della violazione dei principi fondamentali sottesi alla sua attuazione in quanto, nel caso di specie, non vi è stata alcuna violazione di tali principi.

    ° Giudizio del Tribunale

    85 Il Tribunale ricorda che, per giurisprudenza consolidata, una violazione sufficientemente grave di una disposizione implica, in un contesto normativo come quello in esame, caratterizzato dall' esercizio di un ampio potere discrezionale, indispensabile per l' attuazione della politica commerciale comune, che la responsabilità della Comunità può sorgere solo se l' istituzione di cui trattasi ha disconosciuto, in modo palese e grave, i limiti che si impongono all' esercizio dei suoi poteri (v. sentenze HNL e a./Consiglio e Commissione, Mulder e a./Consiglio e Commissione, Campo Ebro Industrial e a./Consiglio, già citate).

    86 Il Tribunale rileva che nella sentenza Noelle, già citata, la Corte ha constatato che "la Noelle ha fornito elementi sufficienti, già noti alla Commissione e al Consiglio nel corso del procedimento antidumping, atti a far sorgere dubbi quanto all' idoneità ed alla ragionevolezza della scelta dello Sri Lanka quale paese di riferimento" e che "se è pur vero che le istituzioni non sono tenute a prendere in considerazione tutti i paesi di riferimento proposti dalle parti nell' ambito di un procedimento antidumping, i dubbi delineatesi nella specie in ordine alla scelta dello Sri Lanka avrebbero dovuto indurre la Commissione ad esaminare in modo più approfondito la proposta formulata dalla ricorrente" (punti 30 e 32 della sentenza citata).

    87 Si deve dunque constatare che, come emerge dalle osservazioni della Corte nella sentenza Noelle, già citata, essa non ha dichiarato che la scelta dello Sri Lanka come paese di riferimento fosse errata di per sé e si è limitata a constatare che, dinanzi ai dubbi sollevati dalla ricorrente, la Commissione avrebbe dovuto procedere ad un' indagine più approfondita per esaminare se, come sosteneva la ricorrente, Taiwan potesse costituire una scelta più idonea. Orbene, come la Commissione sottolinea peraltro giustamente, ciò che è dubbio è lungi dall' essere palese e arbitrario.

    88 Infatti, occorre osservare in proposito che, dinanzi ai dubbi sollevati dagli argomenti della ricorrente in ordine alla scelta appropriata dello Sri Lanka come paese di riferimento, la Commissione non ha omesso di esaminare se Taiwan potesse, invece, costituire un paese di riferimento più idoneo, comportamento che, in tal caso, avrebbe potuto costituire un' inosservanza grave del proprio dovere di buona amministrazione nei confronti delle parti del procedimento, ma non si è adoperata in maniera seria e sufficiente a questo proposito. Questo emerge chiaramente dal punto 34 della sentenza Noelle, in cui la Corte ha constatato che la lettera inviata dalla Commissione ai due principali produttori di Taiwan nell' ambito della scelta del paese di riferimento non poteva essere considerata come tentativo sufficiente al fine di ottenere informazioni, considerato il suo tenore e l' estrema esiguità del termine di risposta concesso, fattori che rendevano praticamente impossibile la cooperazione dei produttori di cui trattavasi.

    89 Ne consegue che, nei limiti in cui le istituzioni comunitarie non hanno completamente trasgredito il loro dovere di sollecitudine e di buona amministrazione nei confronti della ricorrente ma hanno, semplicemente, mal valutato la portata degli obblighi derivanti loro dal detto principio, nel caso di specie la violazione del principio di sollecitudine non può essere considerata una violazione sufficientemente grave o una violazione grave e manifesta ai sensi della giurisprudenza della Corte (v. sentenze HNL e a./Consiglio e Commissione, già citata, 5 dicembre 1979, cause riunite 116/77 e 124/77, Amylum e Tunnel Refineries/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 3497, e causa 143/77, Koninklijke Scholten-Honig/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 3583).

    90 In ogni caso si deve aggiungere che, anche qualora la Commissione avesse effettuato un esame più serio della questione se Taiwan potesse costituire un paese di riferimento adeguato, nulla poteva impedire che in esito ad un tale esame lo Sri Lanka si rivelasse una scelta appropriata e ragionevole ai sensi dell' art. 2, n. 5, lett. a), del regolamento di base.

    91 Pertanto, non sussistendo una violazione sufficientemente grave di una norma giuridica posta a tutela della ricorrente, senza che si debba esaminare se gli altri presupposti per il sorgere della responsabilità della Comunità siano verificati nel caso di specie, il ricorso va respinto perché infondato, sia nella parte in cui riguarda la domanda di risarcimento degli interessi bancari che la ricorrente ha dovuto pagare sugli importi presi a prestito per assolvere il dazio antidumping istituito dal regolamento n. 725/89, sia nella parte in cui riguarda la domanda di risarcimento delle spese sostenute nell' ambito dei vari interventi dei propri legali presso gli uffici doganali.

    Decisione relativa alle spese


    Sulle spese

    92 Ai sensi dell' art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, va condannata alle spese, ivi comprese quelle sostenute dal Consiglio e dalla Commissione, che ne hanno fatto domanda.

    Dispositivo


    Per questi motivi,

    IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

    dichiara e statuisce:

    1) Il ricorso è respinto.

    2) La ricorrente è condannata alle spese.

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