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Document 61993CC0346
Opinion of Mr Advocate General Tesauro delivered on 31 January 1995. # Kleinwort Benson Ltd v City of Glasgow District Council. # Reference for a preliminary ruling: Court of Appeal (England) - United Kingdom. # Brussels Convention - National legislation modelled on it - Interpretation - Questions submitted for a preliminary ruling - Lack of jurisdiction of the Court. # Case C-346/93.
Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 31 gennaio 1995.
Kleinwort Benson Ltd contro City of Glasgow District Council.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal - Regno Unito.
Convenzione di Bruxelles - Diritto nazionale che la prende a modello - Interpretazione - Domanda di pronuncia pregiudiziale - Incompetenza della Corte.
Causa C-346/93.
Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 31 gennaio 1995.
Kleinwort Benson Ltd contro City of Glasgow District Council.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal - Regno Unito.
Convenzione di Bruxelles - Diritto nazionale che la prende a modello - Interpretazione - Domanda di pronuncia pregiudiziale - Incompetenza della Corte.
Causa C-346/93.
Raccolta della Giurisprudenza 1995 I-00615
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1995:17
Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 31 gennaio 1995. - KLEINWORT BENSON LTD CONTRO CITY OF GLASGOW DISTRICT COUNCIL. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: COURT OF APPEAL (ENGLAND) - REGNO UNITO. - CONVENZIONE DI BRUXELLES - DIRITTO NAZIONALE CHE LA PRENDE A MODELLO - INTERPRETAZIONE - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE - INCOMPETENZA DELLA CORTE. - CAUSA C-346/93.
raccolta della giurisprudenza 1995 pagina I-00615
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1. I quesiti sottoposti a questa Corte dalla Court of Appeal vertono sull' interpretazione dell' art. 5, punti 1 e 3, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l' esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (nel prosieguo: la "Convenzione"), così come modificata dalla Convenzione di adesione del Regno di Danimarca, dell' Irlanda e del Regno Unito del 1978.
Più precisamente, il giudice nazionale chiede se, nel caso di un' azione intentata per ottenere il rimborso di somme versate dall' attore al convenuto in virtù di un contratto risultato in seguito nullo per incapacità di una delle parti a concluderlo, il convenuto debba essere citato in giudizio davanti al giudice del luogo in cui l' obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita, in quanto la questione afferisce alla materia contrattuale, ai sensi dell' art. 5, punto 1, della Convenzione; ovvero davanti al giudice del luogo in cui l' evento dannoso si è verificato, in quanto si verte in materia di delitti o quasi delitti ai sensi dell' art. 5, punto 3, della stessa Convenzione.
2. Va subito sottolineato che, sebbene il giudice di rinvio chieda a questa Corte di pronunciarsi sull' interpretazione delle citate disposizioni della Convenzione, nel caso all' origine del rinvio si tratta di stabilire se la competenza spetti ad un giudice di Londra ovvero ad un giudice di Glasgow, dunque il conflitto di competenza per territorio si pone tra giudici di uno stesso Stato contraente: il Regno Unito.
Per apprezzare le ragioni che hanno indotto il giudice nazionale ad operare il rinvio in questione, è utile richiamare brevemente la normativa nazionale rilevante in materia, nonché i fatti di cui alla causa principale.
Normativa nazionale
3. La Sezione 2 del Civil Jurisdiction and Judgments Act 1982 (legge del 1982 sulla giurisdizione e sulle sentenze in materia civile) dispone che la Convenzione di Bruxelles, che figura quale allegato 1 alla legge stessa, ha piena efficacia nel Regno Unito (art. 2, n. 1) e che ogni questione concernente il significato o gli effetti di una sua disposizione, se non costituisce oggetto di rinvio alla Corte di giustizia, deve comunque essere risolta conformemente ai principi stabiliti ed alle decisioni rese dalla stessa Corte (art. 3, n. 1), oltre che con l' ausilio delle relazioni Jenard e Schlosser (art. 3, n. 3).
La Convenzione si applica evidentemente ai soli Stati membri. Per risolvere i problemi derivanti dal fatto che nel Regno Unito in materia civile rilevano giurisdizioni distinte (in Inghilterra e Galles, in Scozia ed in Irlanda del Nord), la stessa legge del 1982 prevede una disciplina concernente i possibili conflitti interlocali di competenza all' interno del Regno Unito.
4. Tale disciplina è contenuta nella sezione 16 della legge in questione. Per quanto qui rileva, essa dispone che:
"(1) le disposizioni di cui all' allegato 4 (contenente una versione modificata del titolo II della Convenzione del 1968) si applicano ai fini della determinazione, per ogni parte del Regno Unito, della competenza giurisdizionale dei giudici ordinari o speciali di quella parte, nei procedimenti in cui:
(a) la materia oggetto del procedimento rientri nell' ambito di applicazione della Convenzione del 1968, quale è stabilito dall' art. 1 della medesima (applicabilità o no della Convenzione al procedimento); e
(b) il convenuto o resistente sia domiciliato nel Regno Unito, ovvero il procedimento rientri nelle previsioni dell' art. 16 (giurisdizione esclusiva senza riguardo al domicilio).
(2) ...
(3) Per ogni questione relativa al significato o agli effetti di una disposizione di cui all' allegato 4:
(a) è opportuno far riferimento a ogni principio pertinente posto dalla Corte di giustizia delle Comunità europee relativamente al titolo II della Convenzione del 1968 e ad ogni sentenza pertinente della stessa Corte quanto al significato o gli effetti di ogni disposizione di tale titolo; e
(b) senza pregiudizio del carattere generale del punto (a), possono essere presi in considerazione i rapporti citati all' articolo 3, n. 3, cui sarà accordata, nella misura in cui si rivelino pertinenti, l' importanza considerata appropriata a seconda delle circostanze".
Quanto poi, al citato allegato 4, va anzitutto ricordato l' art. 2, in base al quale:
"salve le disposizioni del presente titolo, le persone aventi il domicilio in una parte del Regno Unito devono (...) essere citate davanti agli organi giurisdizionali di quella parte del Regno Unito".
L' art. 5 dello stesso allegato 4 dispone inoltre che:
"il convenuto domiciliato in una parte del Regno Unito può essere citato in un' altra parte del medesimo:
(1) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l' obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita;
(2) ...
(3) in materia di delitti e quasi delitti, davanti al giudice del luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto, o, se del caso, in cui tale evento dannoso è suscettibile di verificarsi".
5. L' art. 2 e l' art. 5, punti 1 e 3, dell' allegato 4 riproducono dunque, in modo pressoché testuale, i corrispondenti articoli della Convenzione di Bruxelles, nella versione risultante dalla Convenzione di adesione del 1978 (1). Anche se la circostanza non risulta dagli atti di causa, va precisato che mentre le modifiche all' art. 5, punto 1 (2), apportate dalla Convenzione di adesione del 1989, sono entrate in vigore nel Regno Unito il 1º dicembre 1991, l' allegato 4 è stato modificato per quanto di ragione con effetto dal 1º aprile 1993. Una tale circostanza merita di essere sottolineata, in quanto ben mostra che le disposizioni di cui all' allegato 4 riproducono sì il testo delle corrispondenti disposizioni della Convenzione, ma in modo rigido e non dinamico, nel senso che il testo del primo, quale in vigore in un determinato momento, ben può non corrispondere al testo della Convenzione.
Al riguardo, va peraltro ricordato che la stessa legge del 1982 prevede la possibilità di apportare modifiche all' allegato 4, "tenuto conto dei principi enunciati dalla Corte di giustizia delle Comunità europee relativamente al titolo II della Convenzione del 1968 e ad ogni decisione della Corte sul significato o l' effetto delle disposizioni di tale titolo" (art. 47, n. 1, lett. b). Non manca, poi, la precisazione che in tal modo possono essere adottate anche "modifiche destinate a produrre delle divergenze tra le disposizioni dell' allegato 4 (...) e le corrispondenti disposizioni del titolo II della Convenzione del 1968", quali risultanti dall' interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia (art. 47, n. 3).
I fatti
6. E veniamo ai fatti all' origine del presente procedimento. La Kleinwort Benson Ltd (nel prosieguo: la "Kleinwort"), istituto bancario con sede in Inghilterra, ed il District Council della città di Glasgow (amministrazione locale, nel prosieguo: il "District Council") concludevano nel settembre 1982 sette contratti di scambio differenziale di interessi (3). In esecuzione di tali contratti, la Kleinwort ha versato a favore del District Council, nel periodo 9 marzo 1983 - 10 settembre 1987, 807 230,31 UKL.
A seguito di una sentenza del 24 gennaio 1991 della House of Lords (4), in cui quest' ultima ha ritenuto illegittimi i contratti di scambio differenziale di interessi, allorché effettuati da enti locali quali il District Council, per il fatto che tali enti non dispongono di alcun potere che li abiliti a stipulare contratti di tale tipo, è sorto un consistente contenzioso tra gli enti locali in questione e le banche, interessate a trattenere le somme non ancora erogate o comunque a recuperare i pagamenti effettuati in esecuzione di tutti i contratti stipulati ultra vires. Un tale contenzioso ha coinvolto anche il District Council.
7. Contro quest' ultimo, la Kleinwort ha infatti introdotto il 6 settembre 1991, dinanzi alla High Court of Justice, Queen' s Bench Division, Commercial Court, un' azione di restituzione fondata sul principio dell' arricchimento senza causa. Il District Council ha tuttavia eccepito l' incompetenza del giudice londinese, sostenendo che competente a conoscere della controversia in questione sarebbe invece, conformemente all' art. 2 dell' allegato 4, il giudice del foro in cui esso convenuto ha sede, dunque il giudice di Glasgow. Tale posizione è stata accolta dal primo giudice, ma la Kleinwort ha impugnato la sentenza dinanzi alla Court of Appeal.
Ed è appunto allo scopo di stabilire quale sia, all' interno del Regno Unito, la giurisdizione competente a conoscere della controversia in questione, che la Court of Appeal ha effettuato un rinvio a questa Corte. Essa chiede se l' azione di restituzione, tenuto conto che afferisce a contratti nulli ab initio, vada configurata come una azione contrattuale ai sensi dell' art. 5, punto 1, della Convenzione, ovvero sia riferibile al punto 3 dello stesso art. 5, che disciplina gli illeciti extracontrattuali.
8. Essendo incontestato tra le parti che i contratti in questione, conclusi a Londra, sono disciplinati dal diritto inglese e che l' Inghilterra è sia il "luogo in cui l' obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita" (art. 5, n. 1, dell' allegato 4), sia il "luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto o, se del caso, in cui l' evento dannoso è suscettibile di verificarsi" (art. 5, n. 3, dell' allegato 4), è fin troppo evidente che nell' uno come nell' altro caso, si tratti cioè di materia contrattuale o di materia relativa ai delitti e quasi-delitti, competente a conoscere della controversia è comunque il giudice inglese. Ne consegue che la pretesa del District Council di essere citato dinanzi al foro generale del convenuto, dunque davanti al giudice scozzese, sarà accolta solo nel caso in cui si giunga alla conclusione che un' azione di restituzione fondata sul principio dell' arricchimento senza causa, quale quella in discussione nella causa principale, non si collega né all' art. 5, punto 1, né al punto 3 dello stesso articolo.
Sulla competenza della Corte
9. In via preliminare, rilevo che al conflitto di competenza oggetto della causa principale non si applica la Convenzione di Bruxelles, come del resto è pacificamente riconosciuto dalle parti e dal giudice a quo. D' altra parte, la stessa Convenzione afferma nel suo preambolo di afferire alla materia della competenza internazionale dei giudici degli Stati contraenti ("determinare la competenza dei rispettivi organi giurisdizionali nell' ordinamento internazionale") e non ai conflitti interni di competenza per territorio.
Pertanto, pur considerando al giusto le peculiarità del sistema processuale britannico (in particolare l' articolazione in tre sistemi giudiziari, salva la competenza della House of Lords per la materia civile), una diversa conclusione, quanto all' applicabilità della Convenzione come tale al caso oggetto del giudizio dinanzi al giudice a quo, non è ragionevolmente ipotizzabile (5). In ogni caso, infatti, è escluso che il Regno Unito, sia pure limitatamente ai fini della Convenzione di Bruxelles, possa non essere considerato come un solo ed unico Stato contraente; e che i conflitti interlocali di competenza per territorio rientrino nella sfera di applicazione della Convenzione.
10. Nella specie che ci occupa, dunque, la controversia è regolata da una norma nazionale e non da un norma della Convenzione di Bruxelles. Ne consegue che, preliminarmente, va stabilito se sussiste la competenza della Corte a fornire l' interpretazione di una disposizione della Convenzione quando la norma nazionale, sola applicabile, riproduce pressoché testualmente il tenore delle corrispondenti norme della Convenzione; e quando il giudice nazionale, sulla base delle stessa legge, è obbligato a tener conto della giurisprudenza della Corte in materia (art. 16, n. 3, lett. b), ma non è obbligato a farne applicazione.
Tale problema è nuovo solo per quanto concerne l' interpretazione della Convenzione; più volte, invece, è stato chiesto in passato alla Corte, con rinvio pregiudiziale ex art. 177 del Trattato, di interpretare il diritto comunitario rispetto a fattispecie non regolate da tale diritto, ma dal diritto nazionale, quando quest' ultimo operi un rinvio a disposizioni di diritto comunitario per determinare le norme applicabili ad una situazione puramente interna. In tali precedenti occasioni la Corte si è dichiarata competente a pronunciarsi (6).
11. Le parti nella causa principale, nonché i governi tedesco e spagnolo, al fine di affermare la competenza della Corte, hanno fatto riferimento proprio a quelle sentenze in cui quest' ultima, sebbene fosse pacifico che si trattava di situazioni puramente interne, non regolate dal diritto comunitario ma dal diritto nazionale, si è dichiarata competente a interpretare il diritto comunitario. I governi francese e britannico, nonché la Commissione, hanno invece sostenuto, sottolineando la diversità del caso che ci occupa rispetto a quelli decisi nelle precedenti occasioni, l' incompetenza della Corte.
Ritengo pertanto opportuna una breve ricognizione di tale giurisprudenza.
12. Si tratta di un filone avviato con la sentenza Thomasduenger del 26 settembre 1985 (7). La Corte riaffermò in primo luogo il principio secondo cui spetta al giudice nazionale "valutare, in relazione ai fatti di ogni singola causa, la necessità della soluzione della questione pregiudiziale sollevata ai fini della decisione della controversia di cui è investito". Essa fornì quindi al giudice nazionale l' interpretazione di talune voci della tariffa doganale comune, sebbene fosse pacifico che si fosse al di fuori dell' ambito di applicazione del diritto comunitario e che le voci doganali di cui era richiesta l' interpretazione erano state assunte dall' autorità nazionale competente come punto di riferimento per regolare fattispecie diverse, cioè l' importazione di merci non da paesi terzi ma tra Stati membri.
Più complesso ed articolato è stato il ragionamento della Corte nelle successive sentenze Dzodzi (8) e Gmurzynska-Bscher (9), in cui si è dichiarata competente a pronunciarsi sull' interpretazione di norme comunitarie al cui contenuto rinviava il diritto nazionale di uno Stato membro per determinare le regole da applicare a situazioni puramente interne a tale Stato. Più precisamente, nella sentenza Dzodzi la Corte ha fornito al giudice nazionale l' interpretazione di talune disposizioni della direttiva 64/221/CEE (10), nonostante l' art. 2 della stessa direttiva escluda espressamente dal suo campo di applicazione una situazione quale quella della ricorrente nella causa principale. Nella sentenza Gmurzynska-Bscher, poi, essa si è pronunciata sull' interpretazione di talune voci della tariffa doganale comune in relazione ad una controversia riguardante non direttamente tale tariffa, ma una norma del diritto nazionale di uno Stato membro che rinviava espressamente alla nomenclatura doganale comunitaria al fine di stabilire l' importo della tassa sulla cifra d' affari (11).
13. In entrambe le cause, la Corte, ricordato che l' art. 177 costituisce uno strumento di cooperazione tra giudice comunitario e giudice nazionale e che spetta pur sempre a quest' ultimo valutare la rilevanza e la pertinenza delle questioni da esso sottoposte, ha giustificato la sua competenza facendo leva essenzialmente su due argomenti. Da un lato, essa ha infatti posto l' accento sulla circostanza che "l' ordinamento giuridico comunitario ha (...) manifestamente interesse, per evitare future divergenze d' interpretazione, a garantire un' interpretazione uniforme di tutte le norme di diritto comunitario, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate" (12). Dall' altro, essa ha rilevato che l' art. 177 del Trattato non esclude dal suo campo di applicazione ipotesi quali quelle in discorso; più precisamente che "non risulta dal dettato dell' art. 177 né dalle finalità del procedimento istituito da questo articolo che gli autori del Trattato abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte i rinvii pregiudiziali vertenti su di una norma comunitaria nel caso specifico in cui il diritto nazionale di uno Stato membro rinvia al contenuto della norma in parola per determinare le norme da applicare ad una situazione puramente interna a detto Stato" (13).
La stessa motivazione ha peraltro condotto la Corte a dichiararsi competente a pronunciarsi in via pregiudiziale su una disposizione di diritto comunitario alla quale rinviava non una norma nazionale ma una norma contrattuale: e ciò al fine di determinare il limite entro il quale poteva essere implicata la responsabilità finanziaria di una delle parti del contratto (14).
14. Un cenno a parte merita poi la sentenza Fournier (15), in cui la Corte si è pronunciata sull' interpretazione della nozione di "stazionamento abituale" contenuta in una direttiva comunitaria (16), pur essendo pacifico che nella specie non era la direttiva ad applicarsi ma un accordo tra uffici centrali assicurativi, accordo che riproduce testualmente alcune disposizioni della direttiva, tra cui quella concernente la nozione in questione (17). Il giudice di rinvio, peraltro, chiedeva alla Corte l' interpretazione di tale nozione al fine di stabilire quale degli uffici assicurativi interessati fosse tenuto al pagamento dei danni, questione del tutto estranea all' ambito di applicazione della direttiva.
La Corte, senza neppure verificare la sua competenza a pronunciarsi in un caso del genere (18) e pur rilevando che "i termini utilizzati dall' accordo non devono essere necessariamente interpretati con lo stesso significato di quelli utilizzati dalla direttiva", ha nondimeno fornito al giudice nazionale l' interpretazione richiesta. In ragione del fatto che lo scopo della direttiva e quello dell' accordo non sono coincidenti, essa ha tuttavia avuto cura di precisare che, in definitiva, "appartiene al giudice nazionale, che è il solo competente per interpretare l' accordo tra uffici nazionali, dare ai termini di tale accordo il senso che ritenga più adeguato, senza che sia vincolato dal significato che deve essere riconosciuto alla identica espressione figurante nella direttiva" (punto 23).
15. In breve, nei casi esaminati è stato sufficiente che le questioni sollevate dal giudice nazionale afferissero in qualche modo all' interpretazione del diritto comunitario perché la Corte si dichiarasse competente a pronunciarsi. E lo ha fatto ben consapevole sia dell' utilità solo eventuale e futura, per l' ordinamento giuridico comunitario, della sua interpretazione (19), che persino della possibile mancanza di utilità per lo stesso giudice a quo (20).
16. Il caso che ci occupa non è precisamente contemplato dalla ricordata giurisprudenza. In primo luogo, si tratta di un rinvio operato non in base all' art. 177 del Trattato CE, bensí in base al Protocollo del 1971 relativo all' interpretazione della Convenzione di Bruxelles. In secondo luogo, nella maggior parte dei casi prima ricordati si trattava di un mero rinvio operato dal diritto nazionale al diritto comunitario, mentre nel caso che ci occupa siamo di fronte ad una riproduzione quasi testuale delle norme della Convenzione.
Occorre pertanto chiedersi se questi due elementi siano tali da rendere i termini del problema diversi e dunque, come sostenuto dai governi britannico e francese, nonché dalla stessa Commissione, da condurre ad una diversa soluzione.
17. Tenuto conto dei criteri e delle motivazioni alla base della giurisprudenza finora richiamata, ritengo che la risposta debba essere negativa. Anzitutto, la differenza tra le due ipotesi di rinvio pregiudiziale, quella fondata sul Protocollo del 1971 e quella fondata sull' art. 177, appare piuttosto formale che sostanziale, fino a sembrare pretestuosa. Riesce invero difficile comprendere il perché di una soluzione diversa a seconda che si sia al di fuori dell' ambito di applicazione della Convenzione, come nel caso che ci occupa, oppure al di fuori della sfera di applicazione del diritto comunitario, come nel caso Dzodzi. Nell' un caso come nell' altro, infatti, i presupposti logici e il fondamento giuridico del rinvio pregiudiziale sono gli stessi: fornire al giudice nazionale l' interpretazione da esso richiesta, al fine di garantire l' uniforme interpretazione e applicazione del diritto comunitario così come della Convenzione, allorché necessaria per emanare una sentenza che applica la norma (di diritto comunitario in senso stretto o della Convenzione) di cui si tratta.
Né mi sembra che assuma, ai nostri fini, una particolare rilevanza la circostanza che nel caso che ci occupa non si tratta di un semplice rinvio al diritto comunitario, bensì di una riproduzione di alcune norme della Convenzione. Ciò che rileva, infatti, non è il contenuto della norma o il suo tenore letterale, bensì la sua natura di norma comunitaria o non (sia essa interna, contrattuale o convenzionale). Peraltro, la stessa Corte, come si è visto a proposito del già richiamato caso Fournier, non ha colto alcuna differenza tra l' ipotesi del rinvio al contenuto di una norma comunitaria e quella della riproduzione testuale di una norma comunitaria.
18. Ciò premesso, dirò subito che non intendo proporre alla Corte di estendere la soluzione Dzodzi al caso che ci occupa, ma la soluzione esattamente contraria. L' argomentazione che segue, pur focalizzata sulla fattispecie che ci occupa, comprende nella sostanza, come si vedrà, anche l' ipotesi del rinvio pregiudiziale ex art. 177.
E passo dunque alle ragioni, ognuna decisiva, che mi inducono a ritenere che la Corte non dovrebbe rispondere al quesito posto dal giudice a quo.
19. In primo luogo, la Convenzione non vuole essere applicata ai conflitti di competenza per territorio tra giudici di uno stesso Stato contraente; né è stata stipulata a questo fine. La Convenzione, come già sottolineato, è applicabile solo ai conflitti di competenza internazionale, espressione con la quale nella letteratura specializzata, com' è noto, sono comunemente denominati i conflitti di competenza tra giudici di Paesi diversi.
Nella specie, la norma conferente della Convenzione non si applica in quanto tale, ma è il modello sul quale è stata formulata la norma nazionale in ipotesi applicabile. Si tratta in ogni caso di due norme ° quella nazionale e il suo modello della Convenzione ° assolutamente diverse. Non solo diversi sono l' origine e il contesto in cui operano, ma addirittura diverse sono le fattispecie che regolano. Ora, la competenza della Corte a pronunciarsi in via pregiudiziale sull' interpretazione della Convenzione, in forza del Protocollo del 1971, non può che essere misurata sulla sfera di applicazione della Convenzione. A tutti dovrebbe esser chiaro che quando non si applica la Convenzione non sussiste neppure la competenza della Corte in ordine alla sua interpretazione (21).
20. Non solo la competenza della Corte non sussiste, ma non avrebbe senso. Infatti, il meccanismo dell' interpretazione "centralizzata" in capo al giudice comunitario risponde alla ben nota esigenza di un' applicazione delle regole di conflitto e di riconoscimento delle sentenze uniforme in tutti i Paesi aderenti alla Convenzione e alla Comunità. A sua volta, l' uniformità risponde all' esigenza di complementarità della circolazione delle sentenze all' interno del mercato comune rispetto alle libertà fondamentali che lo caratterizzano, l' una e le altre funzionali all' unico disegno di integrazione.
Quello che conta è che il conflitto tra il giudice di Heidelberg e il giudice di Napoli sia regolato allo stesso modo del conflitto tra il giudice di Trier e il giudice di Venezia, in quanto all' interno dell' area comunitaria è utile e necessario che simili conflitti siano risolti allo stesso modo. Quando, tuttavia, non c' è la ricordata esigenza da soddisfare, viene meno anche la necessità e persino l' utilità dell' interpretazione uniforme e centralizzata. Quando si tratta di risolvere un conflitto di competenza per territorio tra il giudice di Heidelberg e il giudice di Trier, non sussiste alcuna esigenza di trovare una soluzione uguale a quella che regola il conflitto tra il giudice di Napoli e quello di Venezia. Ne consegue che in tal caso, non applicandosi la Convenzione di Bruxelles, non c' è neppure spazio per la competenza interpretativa del giudice comunitario. Ciò vale anche quando la regola di conflitto tedesca o italiana fosse formulata negli stessi termini della conferente disposizione della Convenzione, non sorgendo neppure l' esigenza che uno stesso modello di norma debba essere necessariamente interpretato allo stesso modo. Il "sistema" della Convenzione globalmente inteso, in altri termini, si disinteressa delle situazioni puramente interne, quale è un conflitto di competenza per territorio tra giudici dello stesso paese.
21. Con ciò non intendo certo negare che anche all' interno di uno stesso Stato, per regolare l' ipotesi dei conflitti di competenza per territorio, la soluzione migliore possa essere individuata in quella adottata a livello internazionale o comunitario per i conflitti di competenza internazionale. E' ben possibile, peraltro, che ciò possa più frequentemente verificarsi in paesi che hanno un sistema giudiziario articolato in maniera diversa nelle diverse regioni geografiche o aree amministrative. Ma tutto ciò non richiede affatto che la normativa presa a modello riceva la stessa interpretazione che ha nel suo sistema. Al contrario, quando un legislatore assume a modello una norma già esistente in altro ordinamento, di certo non può volere che la "sua" norma riceva a tutti i costi nel "suo" paese la stessa interpretazione data nello Stato d' origine della norma-modello (si pensi al Code Napoléon), fino a pretenderne addirittura l' interpretazione dai giudici di quest' ultimo.
In definitiva, mi pare del tutto normale che in sistemi giuridici di paesi diversi vi siano regole diverse quanto ai conflitti di competenza per territorio. Altrettanto normale è che, pur avendo paesi diversi adottato una stessa soluzione normativa al riguardo, con una disposizione dal tenore uguale, in ciascuno di essi si possa arrivare ad una come a più interpretazioni di quella stessa disposizione.
22. La stessa giurisprudenza della Corte conferma la fondatezza dei rilievi appena svolti. L' esigenza e comunque la possibilità di una interpretazione diversa di norme del Trattato CE rispetto a norme di accordi stipulati con Stati terzi e che abbiano lo stesso contenuto, persino letterale, sono state a più riprese affermate dalla Corte (22).
Ed è significativo che tale orientamento sia stato ribadito proprio rispetto ad una fattispecie analoga a quella che ci occupa. Nella già citata sentenza Fournier (23), come si ricorderà, nel fornire l' interpretazione di una disposizione di una direttiva riprodotta in un accordo privatistico tra gli uffici assicurativi centrali degli Stati membri, la Corte ha infatti avuto cura di precisare che "i termini utilizzati dall' accordo non devono essere necessariamente interpretati con lo stesso significato di quelli utilizzati dalla direttiva".
23. La seconda ragione che mi fa propendere per l' incompetenza della Corte è che la richiesta d' interpretazione dell' art. 5 della Convenzione non solo non risponde alla condizione prefigurata dall' art. 3 del Protocollo del 1971, in quanto non è necessaria all' emanazione della sentenza nella causa principale, ma neppure sarebbe vincolante.
La circostanza è già chiara alla lettura della stessa normativa nazionale conferente, che, come accennato, da un lato, prevede espressamente la possibilità di adottare modifiche destinate a produrre delle divergenze tra le disposizioni dell' allegato 4 e le corrispondenti disposizioni della Convenzione, quali risultanti dall' interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia; dall' altro, comunque non sancisce alcun obbligo del giudice nazionale di risolvere la controversia con l' interpretazione fornitagli dal giudice comunitario. D' altronde, anche se una norma nazionale sancisse tale vincolo, sarebbe tamquam non esset, in quanto non si tratta di una prescrizione che possa o debba sancire il legislatore nazionale. Il vincolo, in definitiva, non può che derivare da una norma del Protocollo o della Convenzione, che nella specie non esiste.
24. E' singolare, poi, che in un' occasione la stessa Corte abbia affermato la non obbligatorietà della sua interpretazione quando la disposizione che ne costituisce l' oggetto non è come tale applicabile alla controversia pendente dinanzi al giudice a quo. Nel caso Fournier prima ricordato, la Corte ha infatti fornito al giudice nazionale l' interpretazione da questo richiesta e che le parti avevano convenzionalmente demandato ad un collegio arbitrale; al contempo, la Corte ha ammesso che una siffatta interpretazione poteva non essere vincolante per lo stesso giudice, atteso che l' identità dei termini utilizzati nella direttiva e nell' accordo può non avere lo stesso significato e che, in definitiva, "appartiene al giudice nazionale, che è il solo competente per interpretare l' accordo tra uffici nazionali, dare ai termini utilizzati da tale accordo il senso che ritenga più adeguato, senza che sia vincolato dal significato che deve essere riconosciuto alla identica espressione figurante nella direttiva" (24). In tal modo la Corte ha dunque riconosciuto il carattere non vincolante della sua sentenza ex art. 177.
La circostanza che la Corte abbia fornito nella specie l' interpretazione richiesta, pur avendone riconosciuto il carattere non vincolante per il giudice nazionale, non può che destare gravi perplessità. Infatti, è contrario alla stessa logica del meccanismo pregiudiziale l' ammettere che l' interpretazione richiesta e fornita della Convenzione o del diritto comunitario non sia vincolante per il giudice nazionale. Tanto ciò è vero che, meno di un anno prima e in una riflessione rivolta a questioni di principio, la Corte aveva giustamente rilevato al riguardo che "non si può ammettere che le soluzioni fornite dalla Corte di giustizia ai giudici degli Stati dell' EFTA abbiano valore puramente consultivo e siano prive di efficacia vincolante. Tale situazione snaturerebbe la funzione della Corte di giustizia, quale è concepita dal Trattato CEE, vale a dire quella di un organo giurisdizionale che pronuncia sentenze vincolanti" (25).
25. D' altra parte, ammettere che la Corte fornisca un' interpretazione a futura memoria ("per evitare future divergenze d' interpretazione" (26)) di una norma, non necessaria alla soluzione della controversia principale e non vincolante per il giudice, mi sembra in aperta contraddizione con la giurisprudenza ben consolidata della Corte sulle questioni ipotetiche aut similia (27). La cooperazione tra giudice nazionale e giudice comunitario e il meccanismo del rinvio pregiudiziale non possono essere utilizzati per scopi diversi da quello di emanare la sentenza in un caso concreto. L' ausilio tecnico, diciamo pure la consulenza giuridica, sono evidentemente fuori del sistema adottato dal Protocollo del 1971, così come dall' art. 177 del Trattato.
A tale ultimo riguardo, ritengo non fondato il rilievo della Corte secondo cui da una lettura dell' art. 177, anche alla luce delle sue finalità, non risulterebbe che gli autori del Trattato abbiano inteso sottrarre alla competenza della Corte l' interpretazione di una norma comunitaria quando essa non sia come tale applicabile alla fattispecie (28), quando cioè si sia, in definitiva, al di fuori dell' ambito di applicazione del diritto comunitario. Le ipotesi non espressamente escluse sono infatti numerose: non per questo vanno considerate incluse; e ciò è tanto più vero nel sistema comunitario, che, è appena il caso di ricordarlo, è ispirato al principio delle competenze di attribuzione.
26. Infine, non possono essere taciuti, ove si pensi alle diverse normative che si ispirano al diritto comunitario o anche alla stessa Convenzione, ormai non più eccezionali, i rischi cui condurrebbe una giurisprudenza che pervenisse a conclusione diversa da quella sin qui prospettata. Proprio in relazione alla materia che ci occupa, basti qui pensare alla Convenzione di Lugano (29), conclusa tra gli Stati mebri dell' EFTA e gli Stati membri delle Comunità: la maggior parte degli articoli di tale Convenzione è infatti ripresa testualmente da quelli della Convenzione di Bruxelles. Non per questo deve ritenersi che il giudice comunitario sia diventato automaticamente competente ad interpretare le norme della Convenzione quando un giudice di uno Stato membro sottoponga quesiti in materia, allorché il conflitto di giurisdizione è tra un giudice comunitario ed un giudice di un Paese dell' EFTA (30). E si pensi anche, per un' ipotesi relativa al diritto comunitario in senso stretto, all' art. 85 del Trattato, che è servito da modello, ad esempio, alla legge italiana sulla concorrenza, che riproduce (art. 2) mutatis mutandis il modello e contiene persino un espresso rinvio ai principi della giurisprudenza comunitaria (31): non credo che il giudice italiano possa chiedere al giudice comunitario l' interpretazione dell' art. 85 del Trattato per applicare la corrispondente norma nazionale; e sono ancora più certo che in ogni caso non riceverebbe la risposta della Corte.
27. Le considerazioni fin qui svolte mi portano pertanto a suggerire alla Corte di non fornire al giudice a quo le risposte richieste. Non essendo applicabile la Convenzione, non è applicabile neppure il Protocollo, sì che non c' è base giuridica per la competenza della Corte.
E' fin troppo chiaro, peraltro, che la prospettiva nella quale mi muovo comprende non solo l' ipotesi di rinvio in forza del Protocollo del 1971 ma anche l' ipotesi di rinvio pregiudiziale ex art. 177 del Trattato. In termini ancor più chiari, suggerisco alla Corte di rivisitare ° nella sostanza e quale che sia l' ampiezza della risposta ° la giurisprudenza Dzodzi nel suo insieme, giurisprudenza che non riesco a sottoscrivere, soprattutto perché sul piano della teoria giuridica generale tradisce la logica del meccanismo del rinvio pregiudiziale (32), esaurendosi in un vero e proprio ° perché tacerlo? ° sviamento di procedura (33); ma anche perché, più modestamente ma con altrettanta evidenza, contraddice la più recente giurisprudenza della Corte in tema di rinvio pregiudiziale (34).
28. In conclusione, per tutti i motivi finora esposti, sono del parere che la Corte debba dichiararsi incompetente a pronunciarsi sui quesiti pregiudiziali ad essa sottoposti dalla Court of Appeal. Ritengo peraltro, tenuto conto di quanto precede, che sarebbe ultroneo affrontarne il merito.
29. Alla luce delle considerazioni che precedono, suggeriso pertanto alla Corte di rispondere come segue al giudice nazionale:
"Le disposizioni della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l' esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale non sono applicabili ai fini della soluzione dei conflitti di competenza per territorio tra organi giurisdizionali appartenenti ad uno stesso Stato contraente; ne consegue che il Protocollo 3 giugno 1971 relativo all' interpretazione di detta Convenzione non è applicabile e che i quesiti sollevati ai sensi dell' art. 3 di detto Protocollo esulano dalla competenza della Corte".
(*) Lingua originale: l' italiano.
(1) ° Oltre agli adattamenti del caso, la disciplina nazionale qui in discussione si discosta infatti dalla Convenzione, quale modificata nel 1978, in relazione ad aspetti solo marginali. Per quanto qui rileva, ad esempio, va segnalato che l' art. 5, n. 3, della Convenzione si riferisce unicamente al luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto e non anche, come invece la corrispondente norma dell' allegato 4, al luogo in cui tale evento dannoso è suscettibile di verificarsi.
(2) ° Tale disposizione, nella versione attualmente in vigore, dispone infatti: in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l' obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita; in materia di contratto individuale di lavoro, il luogo è quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività; qualora il lavoratore non svolga abitualmente la propria attività in un solo paese, il datore di lavoro può essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui è situato o era situato lo stabilimento presso il quale è stato assunto .
(3) ° Tale tipo di contratto consiste in un accordo tra due parti in forza del quale l' una paga all' altra, decorso un certo periodo di tempo e ad intervalli regolari, somme calcolate in riferimento alla differenza tra un tasso di interesse fisso ed il tasso di interesse corrente di mercato. Il contratto non comporta alcun prestito, essendo l' importo principale puramente teorico, nel senso che esiste solo per le finalità connesse al computo dell' obbligo delle parti al pagamento delle differenze. La caratteristica essenziale di tale tipo di contratto risiede dunque nel fatto che si tratta di un contratto aleatorio, atteso che il suo esito finanziario dipende dalla dinamica futura dei tassi d' interesse.
(4) ° V. causa Hazell/Hammersmith and Fulham London Borough Council (1992, 2 A.C.1).
(5) ° V., al riguardo, Cheshire and North' s: Private International Law , pag. 335; Anton e Beaumont: Civil Jurisdiction in Scotland , Supplement, 1987, in particolare pag. 7; nonché O' Malley e Layton: European Civil Practice , 1989, paragrafi 41.09 e 36.04. V. inoltre, a proposito dell' incompetenza della Corte in merito all' interpretazione della legge britannica che ha reso applicabili ai conflitti interni al Regno Unito le disposizioni della convenzione di Roma sulle obbligazioni contrattuali, Jayme e Kohler: Das internationale Privat- und Verfahrensrecht der EG auf dem Wege zum Binnenmarkt in Praxis des Internationalen Privat- und Verfahrensrecht, 1990, pag. 353.
(6) ° V. sentenza 18 ottobre 1990, cause riunite C-297/88 e C-197/89, Dzodzi (Racc. pag. I-3763); sentenza 8 novembre 1990, causa C-231/89, Gmurzynska-Bscher (Racc. pag. I-4003); nonché sentenza 24 gennaio 1991, causa C-384/89, Tomatis e Fulchiron (Racc. pag. I-127, pub. somm.). V. inoltre sentenza 25 giugno 1992, causa C-88/91, Federconsorzi (Racc. pag. I-4035).
(7) ° Causa 166/84, Thomasduenger, (Racc. pag. 3001, punto 11).
(8) ° Sentenza 18 ottobre 1990, citata, punti 26-43.
(9) ° Sentenza 8 novembre 1990, citata, punti 15-25.
(10) ° Direttiva del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento ed il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d' ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850).
(11) ° Più o meno analoga è la fattispecie all' origine della sentenza Tomatis e Fulchiron, citata.
(12) ° Sentenza Dzodzi, citata, punto 37; sentenza Gmurzynska-Bscher, citata, punto 24.
(13) ° Sentenza Dzodzi, citata, punto 36; sentenza Gmurzynska-Bscher, citata, punto 25.
(14) ° Sentenza Federconsorzi, citata, punti 7-10.
(15) ° Sentenza 12 novembre 1992, causa C-73/89, Fournier (Racc. pag. I-5621).
(16) ° Più precisamente, all' art. 1, quarto comma, della direttiva del Consiglio 24 aprile 1972, 72/166/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in fatto di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e di controllo dell' obbligo di assicurare tale responsabilità (GU L 103, pag. 1), così come modificata dalla direttiva del Consiglio 30 dicembre 1983, 84/5/CEE (GU 1984, L 8, pag. 17).
(17) ° Elemento singolare da sottolineare è che, in virtù dell' art. 2, lett. d), della convenzione complementare all' accordo in parola, qualsiasi controversia relativa all' interpretazione della nozione di stazionamento abituale sarà sottoposta ad un collegio di tre arbitri .
(18) ° Tengo a ricordare che in una precedente occasione, chiamata a pronunciarsi direttamente su una disposizione dell' accordo in questione, la Corte aveva declinato la sua competenza per il fatto che tale accordo non può considerarsi un atto adottato da un' istituzione comunitaria, in quanto nessuna istituzione od organo comunitario ha partecipato alla stipulazione di quest' atto (sentenza 6 ottobre 1987, causa 152/83, Demouche, Racc. pag. 3833, punto 19).
(19) ° Sentenza Dzodzi, citata, punto 37. Peraltro, nella stessa sentenza, essa non ha mancato di precisare che i limiti fissati dal legislatore nazionale all' applicazione del diritto comunitario a situazioni puramente interne, cui si applica solo per il tramite della legge nazionale, vanno presi in considerazione giusta il diritto interno e sono pertanto di esclusiva competenza dei giudici dello Stato membro (punto 42). V., inoltre, per rilievi analoghi, sentenza Federconsorzi, citata, punto 10.
(20) ° Sentenza Fournier, citata, punto 23.
(21) ° Nello stesso senso, ma in relazione alla richiesta d' interpretazione di norme comunitarie al cui contenuto rinvia il diritto nazionale per regolare una situazione puramente interna, estremo interesse rivestono le conclusioni dell' avv. gen. Darmon relative al già citato caso Dzodzi. In particolare, va sottolineata la considerazione, tanto evidente e incontestabile sul piano degli elementi fondamentali della teoria giuridica generale, quanto illuminante e incisiva, che non vi è diritto comunitario al di fuori del suo ambito di applicazione: per la sua corretta applicazione è quindi determinante la sua unità ratione personae e ratione materiae come da esso definito. Il fatto che le nozioni da esso sancite in quest' ambito possano essere utilizzate unilateralmente per disciplinare questo o quell' aspetto di una normativa nazionale non può estendere l' ambito di applicazione del diritto comunitario e pertanto la competenza della Corte (Racc. 1990, pag. I-3778, punto 11).
(22) ° V. sentenza 9 febbraio 1982, causa 270/80, Polydor (Racc. pag. 329); nonché sentenza 26 ottobre 1982, causa 104/81, Kupferberg (Racc. pag. 3641, punto 30). V., inoltre, parere 1/91, 14 dicembre 1991 (Racc. pag. I-6084), in cui la Corte ha ribadito che l' identico tenore letterale delle norme dell' accordo e delle corrispondenti disposizioni comunitarie non implica che le une e le altre debbano necessariamente venire interpretate nello stesso modo. Infatti, un trattato internazionale va interpretato non solo in funzione dei termini nei quali è redatto, ma altresí alla luce delle sue finalità (punto 14).
(23) ° Sentenza 12 novembre 1992, citata, punto 22.
(24) ° Sentenza Fournier, citata, punto 23; il corsivo è mio.
(25) ° Parere 1/91, citato, punto, 61.
(26) ° Sentenza Dzodzi, citata, punto 37.
(27) ° Mi riferisco, in particolare, alle sentenze 16 luglio 1992: causa C-343/90, Lourenço Dias (Racc. pag. I-4673), e causa C-83/91, Meilicke (Racc. pag. I-4871, punti 31-33); nonché all' ordinanza 16 maggio 1994, causa C-428/93, Monin Automobiles II (Racc. pag. I-1707, punti 13-16). Peraltro, non è mancato chi ha sottolineato che, nella prospettiva indicata dalla Corte (evitare future divergenze di interpretazione), sarebbe senz' altro più utile fornire al giudice nazionale l' interpretazione richiesta in ipotesi del tipo Foglia/Novello (sentenza 11 marzo 1980, causa 104/79, Racc. pag. 745) piuttosto che in casi quale quello che ci occupa. E ciò essenzialmente perché nella prima ipotesi si tratta di casi sicuramente regolati dal diritto comunitario e che, per quanto costruiti e forse proprio perché costruiti, sono suscettibili di verificarsi nel futuro, allorché nella seconda ipotesi si tratta di situazioni puramente interne e che, pertanto, non presentano alcun reale legame con il diritto comunitario. V. Rodière: Sur les effets directifs du droit (social) communautaire in RTDE, 1991, pag. 565, in particolare pag. 569 ss.
(28) ° Sentenza Dzodzi, citata, punto 36; sentenza Gmurzynska-Bscher, citata, punto 25.
(29) ° V. in GU L 319 del 25 novembre 1988, pag. 1.
(30) ° Sul punto v. Kohler: Ein internationales Zivilverfahrensrecht fuer Gesamteuropa in Jayme (ed.), Heidelberg, 1992, pag. 24 e ss..
(31) ° Legge 10 ottobre 1990, n. 287, relativa alle norme per la tutela della concorrenza e del mercato (GURI del 13 ottobre 1990, n. 240). La legge in questione prevede infatti, all' art. 1, n. 4, che l' interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell' ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza .
(32) ° V., in tal senso, le conclusioni dell' avv. gen. Mancini relative alla già citata sentenza Thomasduenger (Racc. 1985, pag. 3002).
(33) ° Al riguardo, è stato peraltro sostenuto che, affermando la sua competenza nel caso Dzodzi, la Corte avrebbe dimenticato qu' elle ne dispose que de compétences d' attribution e, pertanto, elle a excédé sa competence ou elle a admis qu' une compétence pouvait lui être attribuée par une législation nationale, ce qui dans les deux cas est incorrect (Martin Denis: Du bon usage de l' article 177 in Revue de jurisprudence de Liège, Mons et Bruxelles, 1991, pag. 189 ss.).
(34) ° Mi riferisco agli ultimi sviluppi in materia, in particolare a quelle pronunce in cui la Corte ha considerato irricevibili i rinvii pregiudiziali ad essa sottoposti in quanto il contesto fattuale e normativo nazionale non era sufficientemente chiaro e definito: sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite C-320/90, C-321/90 e C-322/90, Telemarsicabruzzo (Racc. pag. I-393, punto 6); ordinanza 19 marzo 1993, causa C-157/92, Banchero (Racc. pag. I-1085, punto 4); ordinanza 26 aprile 1993, causa C-386/92, Monin Automobiles I (Racc. pag. I-2049, punto 6); nonché ordinanza 9 agosto 1994, causa C-378/93, La Pyramide (Racc. pag. I-3999, punto 14). Le condizioni restrittive così poste dalla Corte quanto all' ammissibilità di rinvii pregiudiziali in ipotesi incontestabilmente regolate dal diritto comunitario rendono fin troppo evidente la contraddizione esistente con la giurisprudenza che ci occupa. In particolare, è lecito chiedersi in che modo il rifiuto di fornire al giudice nazionale le risposte ai quesiti posti, in ragione dell' assenza di un quadro fattuale e normativo ben definito che consenta una risposta utile rispetto al caso concreto, sia conciliabile con l' affermata competenza rispetto a richieste d' interpretazione collegate a fattispecie non regolate dal diritto comunitario, allorché in quest' ultimo caso alla Corte è preclusa e comunque inutile una conoscenza del contesto nazionale: la sua intepretazione, pertanto, non potrà che essere ° per definizione ° astratta, scollegata cioè dal caso pratico che ne è alla base, appunto perché si tratta di una situazione puramente interna.