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Document 61990CC0362

    Conclusioni dell'avvocato generale Lenz del 26 febbraio 1992.
    Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana.
    Inadempimento di uno Stato - Appalti pubblici di forniture - Ricevibilità.
    Causa C-362/90.

    Raccolta della Giurisprudenza 1992 I-02353

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1992:95

    61990C0362

    Conclusioni dell'avvocato generale Lenz del 26 febbraio 1992. - COMMISSIONE DELLE COMUNITA EUROPEE CONTRO REPUBBLICA ITALIANA. - INADEMPIMENTO DA PARTE DI UNO STATO - APPALTI PUBBLICI DI FORNITURE - RICEVIBILITA. - CAUSA C-362/90.

    raccolta della giurisprudenza 1992 pagina I-02353


    Conclusioni dell avvocato generale


    ++++

    Signor Presidente,

    Signori Giudici,

    A - Introduzione

    1. Con l' azione per inadempimento del Trattato che ha dato origine al presente procedimento la Commissione fa carico all' Unità sanitaria locale n. 11 di Genova 2 (in prosieguo: l' "USL") di aver contravvenuto alla direttiva 77/62/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (1). Il 10 ottobre 1988 l' USL pubblicava un bando di gara per diverse forniture da effettuarsi nel corso del 1989, tra l' altro per forniture di carne bovina per un valore di 5 800 000 000 di LIT. Nel bando si poneva una condizione minima per partecipare alla gara - condizione che la Commissione ha giudicato illegittima - vale a dire i candidati alle aggiudicazioni dovevano comprovare la fornitura di prodotti identici, nell' ultimo triennio, almeno pari a 6 volte il valore delle singole forniture da aggiudicare, di cui il 50% ad amministrazioni pubbliche.

    2. Il governo italiano ribatte alla censura con vari argomenti. Anzitutto, nel controricorso, ha chiesto alla controparte di rinunciare agli atti, in quanto la clausola controversa non esercita più alcun effetto dopo la scadenza del periodo di validità della gara, avvenuta il 31 dicembre 1989, e non è stata ripresa nei bandi successivi. Nella successiva fase processuale scritta, il governo convenuto ha formalmente eccepito l' irricevibilità del ricorso, dato che al momento dell' adozione del parere motivato (marzo 1990) e quindi prima della scadenza del termine ivi prescritto, la turbativa non sussisteva più.

    3. Il governo italiano sostiene poi che non si può addebitare ad uno Stato membro l' inosservanza di una direttiva da parte di un organo od ente pubblico, se la direttiva è stata debitamente trasposta nell' ordinamento giuridico nazionale. Lo Stato membro ha puntualmente assolto agli obblighi dell' art. 189 del Trattato CEE. D' altra parte le norme nazionali di attuazione prevalgono sulla direttiva, cosicché contro eventuali violazioni si possono invocare solo i rimedi giuridici previsti dal diritto interno dello Stato.

    4. Quanto alla sostanza del ricorso, il governo italiano fa osservare che la clausola controversa non costituisce un illecito crietrio di esclusione, ma semplicemente un elemento di valutazione delle prove che i potenziali concorrenti devono presentare, ai sensi della direttiva, per dimostrare le loro capacità tecniche.

    5. La Commissione chiede che la Corte voglia:

    - constatare che, avendo l' Unità sanitaria locale n. 11 (Genova 2) imposto che il 50% dell' importo minimo di forniture richiesto per poter partecipare ad un appalto di forniture sia stato effettuato in favore di amministrazioni pubbliche, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, 77/62/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture;

    - condannare la Repubblica italiana alle spese.

    6. Il governo italiano chiede che la Corte voglia:

    - rigettare il ricorso;

    - porre le spese del giudizio a carico della Commissione.

    Nella controreplica chiede che la Corte voglia:

    - dichiarare irricevibile il ricorso, ovvero, in subordine respingerlo.

    7. Quanto agli antefatti, nonché ai mezzi ed argomenti delle parti, si fa richiamo alla relazione d' udienza.

    B - Esame giuridico

    1. Sulla ricevibilità

    8. Il governo italiano solo nella controreplica ha eccepito formalmente l' irricevibilità del ricorso, sicché sorge il problema della tempestività dell' eccezione onde poterne tener conto come domanda regolare.

    9. Da un lato, il governo convenuto ha svolto già nel controricorso gli argomenti che ritiene idonei a far dichiarare irricevibile il ricorso. D' altra parte nel controricorso ha chiesto la reiezione del ricorso, cosa che implica anche la richiesta di reiezione per irricevibilità. Nella replica la ricorrente ha potuto ribattere agli argomenti del convenuto. In fondo la ricevibilità di un ricorso è un presupposto che la Corte può esaminare anche d' ufficio. Per questi motivi non vedo alcuna ragione di disattendere, perché tardiva, un' eccezione di irricevibilità.

    10. L' irricevibilità del ricorso nella fattispecie potrebbe conseguire dal fatto che - come ha dichiarato la Commissione nella fase scritta - il parere motivato della fase precontenziosa è stato adottato solo nel marzo 1990, cosicché alla scadenza da esso fissata per porre termine alla violazione del Trattato non poteva più sussistere una trasgressione che sarebbe stata causata dalla gara bandita per il 1989. Per di più la clausola era stata soppressa nei bandi per il 1990 e 1991.

    11. A norma dell' art. 169, n. 2, del Trattato CEE, presupposto per l' esercizio dell' azione è la sussistenza di un' inosservanza del Trattato alla scadenza del termine fissato nel parere motivato. Secondo la giurisprudenza in materia (2) non vi è nessun interesse giuridico tutelabile alla declaratoria di inadempimento da parte della Corte se la turbativa è venuta meno nel frattempo. Questa giurisprudenza appare logica alla luce dello spirito della fase precontenziosa, che mira a far venire meno la turbativa prima di giungere dinanzi al giudice. Si deve perciò, in via di massima, negare un interesse alla declaratoria in caso di inadempimento, se questo è venuto meno entro i termini imposti nel parere motivato allo Stato membro inadempiente per porvi rimedio.

    12. La giurisprudenza in tema di accertamento di un interesse giuridico tutelabile nel procedimento per violazione del Trattato (3) - ad esempio in caso di possibili obblighi di risarcimento dello Stato membro responsabile nei confronti di altri Stati o di privati terzi interessati - entra in gioco solo allorché l' asserito inadempimento agli obblighi del Trattato viene meno dopo la scadenza del termine fissato nel parere motivato. Qualora invece la turbativa venga meno prima di questa scadenza, non vi è perciò ragione, in linea di massima, di riconoscere un interesse tutelabile.

    13. Deroghe a questo principio possono essere necessarie solo in caso di trasgressione "stagionale" (4), allorché l' inadempienza - data la sua finalità e la sua natura giuridica - può esser solo commessa in determinati periodi (ad es. in caso di limitazioni stagionali delle importazioni o delle esportazioni per tutelare gli operatori locali) e l' instaurazione del procedimento precontenzioso diventa una lotta contro il tempo, se non un atto impossibile.

    14. Nella fattispecie non mi pare vi sia motivo di cercare se sussistessero i presupposti per la deroga di cui sopra, sebbene la clausola controversa nel bando di gara avesse vigore per un periodo limitato fissato fin dall' inizio, poiché questo periodo era calcolato in modo tale che sarebbe stato possibile instaurare la fase precontenziosa senza incorrere in difficoltà per mancanza di tempo: la pubblicazione del bando è avvenuta il 10 ottobre 1988 e la condizione è venuta meno alla fine del 1989. Vi erano ben 15 mesi a disposizione per una soluzione extragiudiziale del problema.

    15. Considerato il fatto che la Commissione ogni volta ha concesso solo 14 giorni allo Stato convenuto per rispondere alla corrispondenza precontenziosa (messa in mora del 10 settembre 1989 e parere motivato del 27 marzo 1990), non si può sostenere che l' espletamento della pratica avrebbe richiesto tempo eccessivo - ad esempio per eventuali necessarie indagini o per la complessità del problema.

    16. Se quindi vi era tempo sufficiente per portare a termine un procedimento precontenzioso nei 15 mesi circa di vigenza della condizione, non si vede perché si dovrebbe derogare al principio secondo cui la violazione deve ancora sussistere alla scadenza del termine posto dal parere motivato. Il ricorso appare quindi irricevibile.

    17. Il 16 gennaio 1992, nel corso della fase orale, la Commissione ha dichiarato che il parere motivato del 27 marzo 1990 era in realtà un secondo parere. Il primo recava la data del 17 agosto 1989. Poiché il governo convenuto aveva risposto alla lettera di messa in mora solo il 30 giugno 1989, cioè con notevole ritardo, e la risposta era giunta alla Commissione solo il 6 luglio 1989, non era stato possibile tenerne conto nella redazione del parere del 17 agosto 1989 ed era quindi stato opportuno redigere un secondo parere, onde prendere in esame tutti gli argomenti del governo italiano. Le more della fase precontenziosa sono perciò imputabili al governo convenuto.

    18. La prima questione che sorge nell' esaminare questo argomento è se gli elementi di fatto posti sul tappeto solo nella fase orale possono venir presi in considerazione.

    19. L' art. 42 del regolamento di procedura della Corte recita:

    "Le parti possono, anche nella replica e controreplica, proporre nuovi mezzi di prova a sostegno della loro argomentazione, giustificando il ritardo nella presentazione dei mezzi suddetti. E' vietata la deduzione di mezzi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante la fase scritta.

    20. Il parere motivato indirizzato allo Stato membro convenuto il 17 agosto 1989 non è certo un elemento nuovo emerso nel corso della fase processuale. Il regolare svolgimento della fase precontenziosa è anzi un presupposto di ricevibilità di un ricorso per inadempimento a norma dell' art. 169 del Trattato, per il quale incombe alla Commissione l' obbligo di esporre e di provare i fatti. La Commissione, fin dall' inizio, si è richiamata unicamente al parere del 27 marzo 1990. Solo allorché la Corte ha posto domande sull' oggetto del ricorso alla luce del parere motivato del 27 marzo 1990 e del ricorso promosso l' 11 dicembre 1990, la Commissione ha ritenuto opportuno far menzione del parere precedente. La domanda della Corte non si può classificare "elemento di diritto" ai sensi dell' art. 45, n. 2, del regolamento di procedura, che giustifichi una nuova linea di difesa.

    21. Penso dunque che tutto quello che è stato detto relativamente al presunto primo parere vada disatteso come mezzo tardivo e perciò irricevibile, il che lascia impregiudicata la mia anteriore conclusione che il ricorso è irricevibile.

    22. Se si considera poi, ai fini di un' ipotetica analisi, l' assunto della Commissione come argomento fondamentale invocato a difesa, risulta incomprensibile il fatto che le controdeduzioni del governo italiano, contenute nella lettera del 30 giugno 1989, giunta alla Commissione il 6 luglio 1989, non potessero venir prese in considerazione nel parere del 17 agosto 1989, che è quindi rimasto in gestazione per altre 6 settimane, mentre al governo italiano non sono stati concessi più di 14 giorni per rispondere alla lettera di messa in mora e al parere motivato. Non riesco a capire perché si debba addebitare, così stando le cose, al governo italiano la redazione di un secondo parere nel marzo 1990. A mio avviso i ritardi nel disbrigo della pratica in generale e quello nell' adozione del parere del 27 marzo in particolare sono imputabili alla Commissione soltanto, sicché essendo venuta meno la turbativa prima della scadenza del termine posto nel parere motivato, non vi era più alcun interesse giuridico tutelabile all' esperimento dell' azione.

    23. Poiché quindi il ricorso va dichiarato irricevibile, le seguenti considerazioni sul merito vengono presentate solo a titolo subordinato.

    2. Nel merito

    a) Portata degli obblighi di uno Stato membro nella trasposizione e nell' applicazione delle direttive

    24. Il governo italiano si difende dalla critica mossagli osservando che dopo la rituale trasposizione di una direttiva nell' ordinamento interno, il diritto nazionale prevale sulla direttiva, tanto per quel che riguarda le norme di diritto sostanziale quanto per le norme relative alla tutela giuridica.

    25. Nella fase precontenziosa, il governo convenuto si è difeso osservando, nella lettera del 30 giugno 1989, che la clausola litigiosa era conforme alle norme di attuazione relative alla direttiva 77/62. Anche nel successivo corso del procedimento si è sempre data per scontata la regolare trasposizione della direttiva.

    26. Le obiezioni del governo italiano richiedono un chiarimento sulla portata degli obblighi degli Stati membri nel trasporre e nell' applicare le direttive. Il governo convenuto è sicuramente in errore se è convinto che uno Stato membro, dopo aver correttamente trasposto la direttiva nel proprio ordinamento, abbia assolto tutti gli obblighi che gli incombono in virtù dell' art. 189 per quel che riguarda la messa in atto del diritto comunitario. La trasposizione formale è solo uno degli obblighi imposti dal diritto comunitario allo Stato membro. A questo si affianca l' obbligo di perseguire le finalità della direttiva non solo in astratto adottando misure legislative, ma anche in concreto, dando loro applicazione pratica nel proprio ordinamento giuridico. Questo obbligo, di "garantire la piena efficacia" (5) di una direttiva, incombe a tutti gli organi dello Stato in via diretta. E' immediato corollario di un altro, scaturente dall' art. 189 del Trattato CEE nonché dall' art. 5 dello stesso Trattato, che prescrive agli Stati membri di adottare tutte le misure idonee, di carattere generale o speciale, per adempiere ai loro obblighi, che scaturiscono nei loro confronti dal Trattato o dagli atti delle istituzioni comunitarie.

    27. Su questo sfondo di obblighi, va discussa l' obiezione del governo italiano secondo cui la Commissione solo nella replica ha fatto osservare che il governo convenuto non solo avrebbe dovuto trasporre nel suo ordinamento la direttiva 77/62, ma avrebbe dovuto darle anche piena efficacia. E' però questo un addebito diverso da quello mosso nel parere motivato e nel ricorso, cosicché si chiede di respingere l' argomento perché tardivo.

    28. Per la Commissione fin dal primo momento la vera irregolarità oggetto della controversia era quella commessa nel bando di gara dell' USL n. 11 (Genova 2). Solo dopo aver preso atto della controdeduzione del governo italiano in sede giudiziale, che sosteneva di aver esaurito i suoi obblighi con la trasposizione della direttiva, la Commissione ha ricordato che - a suo giudizio - uno Stato membro aveva ulteriori obblighi di garanzia.

    29. Questo argomento è solo un riflesso del preconcetto giuridico della Commissione, che l' ha determinata a perseguire questo presunto inadempimento. E' quindi escluso che si estenda la materia del contendere oppure si ammettano nuove censure.

    30. Le direttive sono fondamentalmente compartecipi della prevalenza del diritto comunitario (6). Se sono correttamente trasposte, in caso di dubbio sull' interpretazione dell' atto giuridico nazionale la direttiva è sempre determinante. In caso di trasposizione tardiva o lacunosa la Corte ha addirittura, nei limiti che essa stessa ha posto (7), riconosciuto l' applicabilità immediata delle disposizioni delle direttive (8).

    31. Se a questo punto - come si è lasciato intendere nella fase precontenziosa - una discrepanza tra atto di trasposizione e direttiva potesse dar origine ad una violazione del Trattato, l' unico parametro della situazione sarebbe la direttiva. In questo caso la trasgressione del diritto comunitario - indipendentemente dal fatto che sia constatata nell' ambito di un procedimento per inadempimento - è costituita tanto dalla erronea trasposizione quanto dall' applicazione del diritto in contrasto con la direttiva.

    32. Se invece la trasposizione è stata ineccepibile, il parametro interpretativo per l' accertamento di un' eventuale infrazione al Trattato sarebbe ancora la direttiva. In ogni caso si tratta perciò di accertare se nel bando di gara litigioso dell' USL le norme della direttiva 77/62 sono state correttamente applicate.

    33. Una questione completamente diversa - che non deve essere risolta ora - è quella delle conseguenze giuridiche di una semplice inosservanza delle norme nazionali di attuazione da parte di soggetti di diritto indipendenti. Se è in gioco un atto di un organo dello Stato si deve ammettere tanto l' imputabilità formale del provvedimento, nell' ambito di un procedimento per inadempimento, alla sfera di responsabilità dello Stato membro (9) quanto presupporre l' obbligo sostanziale delle autorità nazionali e degli organi dello Stato a porre in atto il diritto comunitario (10).

    34. Se già in un procedimento per inadempimento in linea generale il comportamento degli organi nazionali è sottoposto a sindacato, poiché lo Stato membro risponde alla Comunità anche della condotta dei suoi organi, pur se godono di autonomia amministrativa, ciò vale ancor più nella sfera d' applicazione della direttiva in materia di bandi di gara per pubbliche forniture e appalti pubblici (11).

    35. La direttiva 77/62, all' art. 1, lett. b), stabilisce espressamente che per "amministrazioni aggiudicatrici" si intendono "lo Stato, gli enti pubblici territoriali e le persone giuridiche di diritto pubblico oppure, negli Stati membri che non conoscono tale concetto, gli enti equivalenti enumerati nell' allegato I".

    36. L' USL n. 11 di Genova 2 che ha bandito l' appalto è un organo comunale, la cui indole di amministrazione aggiudicatrice ai sensi della direttiva è innegabile.

    37. Nella sentenza 31/87 (12), alla quale si sono richiamate entrambe le parti in causa, si esamina per l' appunto la questione se l' ente che aveva agito in quell' occasione dovesse considerarsi organo statale, ricadendo così nella sfera d' applicazione rationae personae della direttiva 71/305/CEE sul coordinamento della procedura per l' assegnazione di pubblici appalti. Bisogna riconoscere con il governo italiano che il procedimento 31/87 era una causa pregiudiziale, sicché la Corte non si è pronunciata per inadempimento vertente su una presunta inosservanza delle norme comunitarie in materia di gare. Tuttavia, tenuto conto del summenzionato obbligo dello Stato membro di garantire alla Comunità l' attuazione delle direttive, bisogna presumere fondamentalmente che gli atti di un organo nazionale ai sensi della direttiva rientrino nella sfera di responsabilità comunitaria dello Stato membro. Questo collegamento consegue alla definizione della sfera di applicazione rationae personae della direttiva sull' assegnazione dei pubblici appalti.

    38. Vanno quindi disattesi gli argomenti del governo convenuto contro l' applicabilità della direttiva come parametro di giudizio per una eventuale inosservanza del Trattato.

    b) Sul rapporto tra i mezzi di impugnazione del diritto comunitario e quelli del diritto nazionale

    39. Esamino infine l' argomento del governo italiano secondo il quale la tutela giuridica rispetto ad un' eventuale infrazione alle norme comunitarie in materia di pubblici appalti va chiesta al giudice nazionale, mentre il sistema dei rimedi comunitari in questi casi ha solo funzione sussidiaria.

    40. A questo proposito bisogna osservare che non vi è alcun mezzo d' impugnazione del diritto nazionale che prevalga sull' azione per inadempimento. Nella causa per inadempimento entrano sempre in gioco i rapporti obbligatori che vincolano Stato membro e Comunità. Non è nemmeno ravvisabile una norma generale che ponga generalmente in seconda linea il diritto comunitario. Al massimo per le domande di risarcimento si possono immaginare situazioni nelle quali si può ammettere una subordinazione. Una declaratoria di inadempimento può anche, al di là della fattispecie singola, ove si constata astrattamente l' inadempimento, avere effetti collaterali in una causa per risarcimento promossa dalle parti lese (13).

    41. Nulla ci impedisce quindi di vedere se in pratica la clasuola litigiosa stride con il diritto comunitario. La questione si riduce ad accertare se il presupposto che il 50% delle forniture da comprovare devono essere state effettuate ad enti pubblici costituisce una condizione illecita per essere ammessi alla gara.

    c) Inosservanza della direttiva 77/62

    42. L' art. 14 della direttiva 77/62 recita

    "Nelle procedure ristrette, il bando di gara specifica almeno:

    (...)

    d) (...) le informazioni e formalità necessarie per la valutazione delle condizioni minime di carattere economico e tecnico richieste dalle amministrazioni aggiudicatrici ai fornitori in vista della loro selezione; queste informazioni e formalità possono essere solo quelle di cui agli articoli 20, 22 e 23".

    43. In virtù dell' art. 23 della direttiva, che verte sulla prova delle capacità tecniche dell' impresa, gli elementi che l' impresa può produrre sono:

    "(...)

    a) l' elenco delle principali forniture effettuate durante gli ultimi tre anni, con il relativo importo, la data e il destinatario, pubblico o privato:

    - se si tratta di forniture per amministrazioni ed enti pubblici, le consegne sono provate da certificati rilasciati o vistati dall' autorità competente;

    - se si tratta di forniture a privati, i certificati sono rilasciati dall' acquirente; quando ciò non sia possibile, è ammessa una semplice dichiarazione del fornitore".

    44. La norma contiene un elenco degli elementi di prova atti a dimostrare l' entità delle forniture di un' impresa durante un determinato periodo, per poterne trarre le necessarie conclusioni sulle capacità tecniche dell' impresa. La formulazione dell' art. 14 della direttiva in relazione con l' art. 23 consente di concludere che l' elenco degli elementi di prova della capacità tecnica è esauriente. Diversa è la situazione per quel che riguarda la prova della capacità finanziaria ed economica dell' impresa, come si desume dal tenore dell' art. 22; ciò è tuttavia irrilevante nella fattispecie.

    45. Nell' art. 23, n. 1, lett. a), della direttiva si pone l' accento sul volume delle forniture. La distinzione tra forniture ad enti pubblici e a privati pare quindi intenzionale, poiché per le due categorie sono contemplati diversi mezzi di prova.

    46. Ciascun quantitativo minimo prefissato da fornire ad enti pubblici o a privati costituisce un ulteriore criterio e quindi un ampliamento delle condizioni di prova fissate dalla direttiva. Questa constatazione vale tanto per un volume minimo di forniture ad una categoria di committenti quanto per la prova di un quantitativo minimo assoluto di forniture a dimostrazione della capacità tecnica, anche se è talvolta possibile fornire tale prova nell' ambito delle prove sulla capacità finanziaria ed economica a norma dell' art. 22, n. 1, lett. a), il che però nel nostro caso ha, tutto sommato, poca importanza.

    47. La fissazione di una determinata quota di forniture agli enti pubblici non costituisce - come sostiene il governo italiano - un problema di valutazione delle prove. Infatti vengono esclusi ab initio i candidati che non hanno raggiunto la quota minima di forniture agli enti pubblici. La valutazione delle prove si opera un po' più tardi, cioè quando i candidati ammessi hanno fornito la prova delle forniture e nella selezione si tiene conto di chi è stato l' acquirente.

    48. In conclusione la clausola litigiosa è dunque da ritenersi parametro di esclusione, non contemplato dalla direttiva.

    C - Conclusioni finali

    49. Propongo perciò:

    1) di respingere il ricorso,

    2) di porre le spese a carico della Commissione.

    (*) Lingua originale: il tedesco.

    (1) Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, 77/62/CEE (GU 13.1.1977, L 13, pag. 1).

    (2) Sentenza 15 gennaio 1986, causa 52/84, Commissione/Belgio (Racc. 1986, pag. 89); sentenza 5 giugno 1986, causa 103/84, Commissione/Italia (Racc. 1986, pag. 1759, punto 6 e segg. della motivazione); v. inoltre le mie conclusioni nella stessa causa, lett. B.1.a); sentenza 10 marzo 1987, causa 199/85, Commissione/Italia (Racc. 1987, pag. 1039, punto 7 e segg. della motivazione); sentenza 24 marzo 1988, causa 240/86, Commissione/Grecia (Racc. 1988, pag. 1835, punti 15 e 16 della motivazione); v. anche le mie conclusioni nella stessa causa, n. 7 e segg.

    (3) La prima sentenza a questo riguardo fu pronunciata il 9 luglio 1970 nella causa 26/69, Commissione/Francia (Racc. 1970, pag. 565); v. anche le sentenze 30 maggio 1991 nelle cause C-361/88 e C-59/89, Commissione/Germania, la sentenza 25 luglio 1991, causa C-353/89, Commissione/Paesi Bassi e la sentenza nella causa C-103/84, già citata.

    (4) Causa 240/86, loc. cit.; sentenza 30 maggio 1991, nella causa C-110/89, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-2659).

    (5) Sentenza 10 aprile 1984, causa C-14/85, van Colson e Kamann (Racc. 1984, pag. 1891, n. 15).

    (6) Vedi conclusioni dell' avvocato generale Van Gerven del 12 luglio 1990 nella causa C-106/89, n. 9.

    (7) Per le norme assolute e sufficienti v. sentenza 5 aprile 1979, causa C-148/78, Ratti (Racc. 1979, pag. 1629), e sentenza 19 gennaio 1982, causa C-8/81, Becker (Racc. 1982, pag. 53).

    (8) Quanto agli effetti giuridici di una direttiva nell' ordinamento nazionale si veda la sentenza della Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht) 28 gennaio 1992 sul divieto di lavoro notturno delle donne 1 BvR 1025/82 - 1 BvL 16/83 - 1 BvL 10/91.

    (9) V. conclusioni 13 marzo 1991 nella causa C-247/89, Commissione/Repubblica portoghese, n. 10 e segg. (sentenza 10 luglio 1991), e 6 febbraio 1992 nella causa C-24/91, Commissione/Regno di Spagna, n. 9.

    (10) V. causa 103/88, Costanzo (Racc. 1989, pag. 1839).

    (11) Direttiva 71/305/CEE del Consiglio 26 luglio 1971 (GU L 185 del 16.8.1971, pag. 5).

    (12) Sentenza 20 settembre 1988, causa 31/87, Beentjes/Paesi Bassi (Racc. 1988, pag. 4635).

    (13) V., in materia di azione per risarcimento promossa da un singolo nei confronti di uno Stato membro per mancata trasposizione di una direttiva, la sentenza 19 novembre 1991 nelle cause riunite C-6/90 e C9/90, Francovich e Bonifaci/Italia (Racc. pag. I-5357).

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