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Document 61990CC0261

    Conclusioni dell'avvocato generale Gulmann del 20 febbraio 1992.
    Mario Reichert e altri contro Dresdner Bank AG.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour d'appel d'Aix-en-Provence - Francia.
    Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 - Azione pauliana - Artt. 5, punto 3), 16, punto 5), e 24 della Convenzione.
    Causa C-261/90.

    Raccolta della Giurisprudenza 1992 I-02149

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1992:78

    61990C0261

    Conclusioni dell'avvocato generale Gulmann del 20 febbraio 1992. - MARIO REICHERT, HANS-HEINZ REICHERT E INGEBORG KOCKLER CONTRO DRESDNER BANK AG. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: COUR D'APPEL D'AIX-EN-PROVENCE - FRANCIA. - CONVENZIONE DI BRUXELLES 27 SETTEMBRE 1968 - AZIONE PAULIANA - ARTICOLI 5, N. 3, 16, N. 5, E 24 DELLA CONVENZIONE. - CAUSA C-261/90.

    raccolta della giurisprudenza 1992 pagina I-02149


    Conclusioni dell avvocato generale


    ++++

    Signor Presidente,

    Signori Giudici,

    La Cour d' appel di Aix-en-Provence ha una volta ancora deferito una questione pregiudiziale relativa all' interpretazione della Convenzione 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l' esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosieguo: la "Convenzione di Bruxelles"), nell' ambito della causa, dinanzi ad essa pendente, che oppone Mario Reichert e altri alla Dresdner Bank. La prima questione pregiudiziale è stata oggetto della sentenza 10 gennaio 1990, Reichert (1).

    Possiamo sintetizzare come segue la controversia in sospeso dinanzi alla Cour d' appel di Aix-en-Provence:

    I coniugi Reichert, cittadini tedeschi residenti in Germania, in una data alla quale risultavano aver contratto un mutuo di ammontare rilevante presso la Dresdner Bank, donavano la nuda proprietà di un immobile situato in Francia al figlio, anch' egli residente in Germania. Di tale immobile essi si riservavano l' usufrutto.

    La Dresdner Bank impugnava la donazione con azione revocatoria presentata dinanzi al Tribunal de grande instance di Grasse, nella circoscrizione del quale si trova l' immobile di cui trattasi. La banca si fondava sull' art. 1167 del codice civile francese, ai sensi del quale i creditori "possono, in loro nome personale, impugnare gli atti compiuti dal loro debitore in frode ai loro diritti". Nel diritto francese, tale azione è denominata "azione pauliana".

    La Dresdner Bank sosteneva che il Tribunal de grande instance di Grasse era il giudice competente, in forza degli artt. 16, punto 1), e 5, punto 3), della Convenzione di Bruxelles. Il Tribunal di Grasse riteneva applicabile alla fattispecie l' art. 16, punto 1), della Convenzione di Bruxelles relativo alla competenza in materia di diritti reali immobiliari. Pertanto, esso non aveva alcuna ragione di pronunciarsi in merito all' applicabilità dell' art. 5, punto 3), della convenzione stessa. Contro la sentenza emessa dal Tribunal di Grasse veniva interposto appello dinanzi alla Cour d' appel di Aix-en-Provence, la quale deferiva alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale relativa all' interpretazione dell' art. 16, punto 1).

    La Corte risolveva la questione suddetta con la citata sentenza 10 gennaio 1990 (in prosieguo: la "sentenza Reichert I"). In essa, la Corte così statuiva:

    "Non appartiene al campo di applicazione dell' art. 16, punto 1 , della convenzione, l' azione che, intentata da un creditore, tende a rendere non opponibile nei suoi confronti un atto di disposizione relativo ad un diritto reale immobiliare che egli sostenga essere stato compiuto dal suo debitore in frode ai suoi diritti".

    Prima che la Corte pronunciasse la sua sentenza, la Dresdner Bank - certo sulla base delle osservazioni presentate nella causa Reichert I - aveva richiesto alla Cour d' appel di Aix-en-Provence di sottoporre alla Corte di giustizia un' ulteriore questione pregiudiziale. La Cour d' appel ha accolto tale domanda ed ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione:

    "Se, nell' ipotesi in cui sia esclusa l' applicazione dell' art. 16, punto 1), della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, un' azione basata sull' art. 1167 del codice civile francese, con cui un creditore miri ad ottenere la revoca nei suoi confronti di un atto traslativo di diritti reali immobiliari compiuto dal suo debitore in un modo che egli ritiene in frode ai suoi diritti, rientri nella sfera di applicazione delle norme sulla competenza sancite dagli artt. 5, punto 3), o 24, o 16, punto 5), della suddetta Convenzione internazionale, ove si consideri la natura di 'delitto' o di 'quasi delitto' della frode dedotta, o anche l' esistenza di provvedimenti cautelari che la decisione nel merito deve consentire di trasformare in provvedimenti esecutivi sull' immobile oggetto dei diritti reali trasferiti dal debitore".

    Mentre la questione relativa all' interpretazione dell' art. 16, punto 1), della Convenzione di Bruxelles aveva indotto diversi Stati membri a presentare osservazioni nella causa Reichert I, sulla questione pregiudiziale oggetto della presente causa sono state depositate osservazioni unicamente da parte della Dresdner Bank e della Commissione.

    Prima di prendere posizione sulla questione relativa all' interpretazione delle tre norme della Convenzione di Bruxelles di cui è causa, mi soffermerò brevemente sia sui problemi che si pongono alla Dresdner Bank relativamente alla prosecuzione dell' azione revocatoria, sia sulla particolare figura giuridica nota in diritto francese col nome di azione pauliana.

    Considerazioni alla base dell' azione della Dresdner Bank

    La Dresdner Bank si è basata sulla considerazione che il miglior modo per ottenere la revoca della donazione, e di veder quindi aumentare le possibilità di recuperare il credito dai coniugi Reichert, fosse quello di proporre l' azione dinanzi al giudice nella cui circoscrizione è situato l' immobile di cui la coppia è proprietaria. A tal fine, la banca è partita dal presupposto che la decisione del giudice del merito avrebbe avuto a fondamento il diritto francese, vale a dire l' azione pauliana, e che essa avrebbe ottenuto senza intoppi l' esecuzione forzata di una sentenza a lei favorevole dinanzi al giudice nella circoscrizione nel quale l' immobile è situato.

    La banca sostiene che essa potrebbe incontrare difficoltà nell' ottenere siffatta esecuzione, qualora fosse costretta ad adire il foro del domicilio del convenuto, vale a dire un giudice tedesco. La banca, forse giustamente, ricorda che esistono perplessità in ordine al contenuto delle norme tedesche circa la scelta del diritto applicabile nella fattispecie. E' assai probabile, secondo le indicazioni fornite dalla Dresdner Bank, che le norme tedesche di diritto internazionale privato condurrebbero vuoi a dichiarare applicabile il diritto tedesco vuoi alla necessità, imposta dal giudice tedesco, che siano soddisfatte, ai fini della revoca dell' atto controverso, le condizioni contemplate, oltre che dal diritto tedesco, anche da quello francese, dal momento che l' atto ha ad oggetto un immobile sito in Francia. E' meno probabile che le norme tedesche di diritto internazionale privato conducano ad un' applicazione del diritto francese. Sembra emergere dalla presente causa che le norme tedesche in materia di azione revocatoria differiscano dalle corrispondenti norme francesi e che, forse, è più difficile ottenere una revocatoria nel diritto tedesco che nel diritto francese.

    La Dresdner Bank sostiene del pari che può sussistere il rischio di un rifiuto da parte del giudice francese, per motivi di ordine pubblico interno, di delibare una sentenza tedesca di revoca di un atto traslativo di proprietà di un immobile sito in Francia e di disporre esecuzione forzata della medesima.

    La Dresdner Bank, in modo più generale, sottolinea poi quanto sia importante la circostanza che la revoca da essa richiesta verta su un bene immobile e argomenta, tra l' altro, che tale bene immobile è soggetto in modo esclusivo al diritto dello Stato nel cui territorio esso è ubicato.

    A parere della banca, la Corte di giustizia, nel procedere all' interpretazione richiestale delle norme della Convenzione di Bruxelles, deve tener conto delle suddette considerazioni.

    Per parte mia, non posso nascondere una certa comprensione del desiderio della banca di ottenere appoggio di fronte alle difficoltà, in cui essa si trova, nel tentare di far evocare la donazione stipulata tra i coniugi Reichert e il figlio sul presupposto che essa limita le possibilità satisfattorie dei creditori. Comprendo anche che, prima facie, sembrano esistere argomenti in favore dell' idea che la soluzione più opportuna sia quella di far giudicare da un tribunale francese, applicando il diritto francese, un' azione revocatoria di una donazione avente ad oggetto un immobile sito in Francia. Sennonché, gli argomenti addotti a favore di una conclusione siffatta hanno soprattutto rilievo in tema di interpretazione dell' art. 16, punto 1), della Convenzione di Bruxelles. Nella sentenza Reichert I, la Corte di giustizia ha statuito, a mio avviso giustamente, che non vi erano argomenti sufficienti per interpretare l' art. 16, punto 1), nel senso desiderato dalla Dresdner Bank. E' dubbio che il fatto che la presente azione revocatoria abbia ad oggetto un bene immobile possa avere un' incidenza sulle norme di competenza applicabili alla causa in esame.

    Sebbene da un principio interpretativo di carattere generale delle norme sulla competenza della convenzione indubbiamente risulti che tali norme devono fondare la competenza dei giudici "meglio dislocati" per decidere, in diritto e in fatto, le controversie, e pur essendo possibile che in qualche modo rilevino gli orientamenti sulle norme di diritto internazionale privato esistenti negli ordinamenti giuridici interessati, occorre pure dire che ai fini dell' interpretazione delle norme della Convenzione di Bruxelles non può considerarsi rilevante il fatto che nella presente causa potrebbero sussistere divergenze tra le norme francesi e quelle tedesche in tema di azione revocatoria.

    Azione pauliana in diritto francese

    La Dresdner Bank basa la sua azione, come abbiamo già ricordato, sull' art. 1167 del codice civile francese, ai sensi del quale i creditori "possono, in loro nome personale, impugnare gli atti compiuti dal loro debitore in frode ai loro diritti". La questione che si pone nella causa presente è conseguentemente quella se uno o più articoli della Convenzione di Bruxelles, richiamati nella sentenza di rinvio, si applichino all' azione revocatoria di diritto francese nota come "azione pauliana". Siffatta azione è stata illustrata dettagliatamente nella causa Reichert I (2). La circostanza che, a quanto sembra, nel diritto francese tale azione continua a sollevare dubbi non ha importanza determinante ai fini della decisione della Corte. Nella sentenza Reichert I, la Corte di giustizia ha sottolineato che essa può essere caratterizzata nel modo seguente:

    "Ora, l' azione detta 'pauliana' ha il suo fondamento nel diritto di credito, diritto personale del creditore nei confronti del debitore, e mira a proteggere il diritto di garanzia di cui il primo può disporre sul patrimonio del secondo. Se essa ha successo, la sua conseguenza è di rendere inopponibile al solo creditore l' atto di disposizione stipulato dal debitore in frode ai diritti del primo (...)" (punto 12 della motivazione).

    E' importante rilevare che la revoca della cessione del bene spiega i suoi effetti unicamente nei confronti del creditore attore, che essa è volta unicamente al soddisfacimento di un credito personale del creditore, e che il cessionario può impedire la revocatoria pagando il creditore.

    Oltre a ciò, nella causa presente mi sembrano importanti le seguenti considerazioni:

    - l' azione di cui trattasi trae la sua origine in atti del debitore che si assumono lesivi; essa però, per evidenti ragioni, è diretta vuoi contro il terzo acquirente dei diritti sul bene vuoi, simultaneamente, contro il terzo e il debitore;

    - trattandosi di donazione tra un debitore e un terzo, il creditore non ha l' onere di provare la mala fede del terzo acquirente, che invece gli incomberebbe se l' atto traslativo non avesse carattere di liberalità;

    - il creditore deve provare che il suo credito era anteriore al trasferimento della proprietà operato dal debitore; non è però necessario che il credito sia scaduto;

    - l' azione revocatoria è esperibile a prescindere dalla natura del bene trasferito.

    Da ultimo, occorre rilevare che non sarebbe probabilmente né corretto né utile considerare siffatta azione ex contracto, a prescindere dal fatto che il credito trovi la sua giustificazione in un contratto, come nella fattispecie, e che l' atto dispositivo impugnato consista nel trasferimento di un bene patrimoniale.

    Interpretazione dell' art. 16, punto 5), della Convenzione di Bruxelles

    L' art. 16, punto 5), della convenzione così dispone:

    "Indipendentemente dal domicilio, hanno competenza esclusiva:

    (...)

    5) in materia di esecuzione delle sentenze, i giudici dello Stato contraente nel cui territorio ha luogo l' esecuzione".

    La Dresdner Bank sostiene che tale norma non va interpretata in modo restrittivo e che essa può applicarsi all' azione pauliana, in quanto finalità di quest' azione è quella di preparare il terreno ad un' esecuzione forzata del credito vantato dal creditore sul bene patrimoniale oggetto della revocatoria stessa.

    Tale interpretazione non può condividersi. Né dal tenore della norma, né dai lavori preparatori e nemmeno dai diversi pareri sostenuti in dottrina può trarsi argomento a sostegno di una tale interpretazione estensiva (3). La Corte di giustizia ha sottolineato in varie occasioni, e più recentemente nella sentenza Reichert I, che

    "(...) l' art. 16 non dev' essere interpretato in senso più largo di quanto non richieda la finalità da esso perseguita, dal momento che per effetto di privare le parti della scelta, che altrimenti spetterebbe loro, del foro competente, e, in taluni casi, di portarle davanti ad un giudice che non è quello proprio del domicilio di alcuna di esse" (punto 9 della motivazione).

    I lavori preparatori alla norma in esame, come risulta dalla relazione Jenard (4), mostrano che per controversia relativa all' esecuzione delle sentenze occorre intendere

    "(...) le vertenze a cui può dar luogo 'il ricorso alla forza, alla coercizione o alla espropriazione di beni mobili e immobili per assicurare l' esecuzione materiale delle decisioni e degli atti' ".

    Indubbiamente occorre basarsi sul presupposto che i tribunali del luogo di esecuzione, ai sensi dell' art. 16, punto 5), della convenzione, abbiano competenza esclusiva unicamente nelle cause in diretto rapporto con l' esecuzione di sentenze già emanate o di altri titoli esecutivi. Orbene, un' azione quale la pauliana non ha ad oggetto né l' esecuzione di una sentenza già emanata né quella di alcun altro titolo esecutivo, e nemmeno ha natura di controversia insorta in tale ambito. Essa, come ha segnalato la Commissione, è volta ad ottenere una modifica sostanziale dei rapporti intercorrenti tra creditore e terzo beneficiario.

    Interpretazione dell' art. 24 della Convenzione di Bruxelles

    L' art. 24, ultima delle norme della Convenzione di Bruxelles in tema di competenza giurisdizionale, figurante nel titolo II, sezione 9, "Provvedimenti provvisori e cautelari", così dispone:

    "I provvedimenti provvisori o cautelari, previsti dalla legge di uno Stato contraente, possono essere richiesti all' autorità giudiziaria di detto Stato anche se, in forza della presente convenzione, la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta al giudice di un altro Stato contraente".

    Dalla collocazione della norma, dal suo tenore e dai lavori preparatori emerge come essa abbia solo una finalità limitata, consistente nel salvaguardare per ciascuno Stato la possibilità di continuare ad applicare le proprie norme nazionali in tema di competenza, onde adottare provvedimenti provvisori quali il sequestro conservativo e il decreto ingiuntivo. Tali provvedimenti possono essere adottati a prescindere dal fatto che il foro dichiarato competente per la causa principale in forza della convenzione appartenga ad un altro Stato membro (5).

    I provvedimenti di cui all' art. 24 sono solo quelli volti a garantire una tutela giuridica provvisoria per taluni crediti, nell' attesa di una successiva sentenza che accerti la fondatezza del credito (6).

    A nostro avviso, è chiaro che l' art. 24 non trova applicazione nei riguardi di un' azione quale la pauliana. La finalità di quest' ultima è infatti quella di far riconoscere l' atto traslativo come privo di effetti nei confronti di uno dei creditori del cedente. Come la Commissione ha sottolineato, non si tratta di un procedimento volto a garantire la conservazione di una situazione giuridica o di una situazione di fatto determinata salvaguardando diritti che spetterà poi successivamente al giudice del merito accertare.

    Tale interpretazione dell' art. 24 va accolta, anche se nella relazione Jenard si rileva che "per quanto riguarda il carattere dei provvedimenti che potranno essere presi, bisognerà riferirsi alla legislazione interna del paese interessato", e pur se, da un certo punto di vista, si potrebbe a buon diritto evidenziare la natura cautelare di un' azione come la pauliana (7). L' art. 24, consideratone il tenore e la finalità, ha ad oggetto unicamente provvedimenti cautelari propriamente detti, che presuppongono in ogni caso una successiva decisione sul merito.

    Interpretazione dell' art. 5, punto 3), della Convenzione di Bruxelles

    L' art. 5, punto 3), recita:

    "Il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente:

    (...)

    3) in materia di delitti o quasi delitti, davanti al giudice del luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto".

    Non è agevole prendere posizione sul punto se un' azione quale la pauliana rientri o meno nell' ambito di applicazione dell' art. 5, punto 3).

    Se pure ci vengono in aiuto utili elementi interpretativi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, nessuno di essi apporta una soluzione certa al quesito. Né può condurci ad una risposta sicura il tenore della norma, in ispecie per il fatto che sussistono rilevanti differenze tra le sue versioni linguistiche, ognuna delle quali facente fede. I lavori preparatori contengono taluni spunti interpretativi, ma nessuno decisivo. La dottrina si è occupata limitatamente di tale problema, dando peraltro origine ad opinioni divergenti (8). Nella presente causa s' impone quindi l' esigenza, tutta particolare, di interpretare la norma in esame alla luce del suo contesto e della sua finalità.

    A mo' di premessa è necessario aver presente come dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si possa in ogni caso desumere che l' art. 5, punto 3), va interpretato autonomamente e, al pari degli altri punti facenti parte dell' articolo, in modo restrittivo.

    Così, nella sentenza Kalfelis (9), la Corte di giustizia ha statuito che la "nozione di 'materia di delitto o quasi delitto' va considerata come una nozione autonoma" (punto 16 della motivazione), poiché

    "tenuto conto degli scopi e della struttura generale della convenzione, è necessario, al fine di garantire per quanto possibile la parità e l' uniformità dei diritti e degli obblighi che derivano dalla convenzione per gli Stati contraenti e le persone interessate, evitare di interpretare detta nozione come un semplice rinvio al diritto nazionale dell' uno o dell' altro Stato di cui trattasi" (punto 15 della motivazione) (10).

    La Corte di giustizia, nella medesima sentenza, ha statuito che

    "(...) le 'competenze speciali' elencate negli artt. 5 e 6 della convenzione costituiscono deroghe al principio della competenza del giudice dello Stato in cui è domiciliato il convenuto, che vanno interpretate restrittivamente" (punto 19 della motivazione).

    L' art. 5, punto 3), offre lo spunto per due questioni, tra loro indipendenti ma connesse: quella della caratterizzazione giuridica del tipo di cause rientranti nelle competenze speciali e quella della determinazione del "luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto". Nella presente causa occorre pronunziarsi sulla prima delle due questioni.

    I lavori preparatori alla norma in parola contengono, come si è già rilevato, pochi elementi relativi al punto 3) dell' art. 5, discusso insieme con il successivo punto 4), che ha ad oggetto il foro competente "qualora si tratti di un' azione di risarcimento di danni o di restituzione, nascente da reato, (...)". Nella relazione Jenard, i due fori vengono denominati "forum delicti commissi". Essa precisa che il tribunale del luogo del danno è quello competente nella maggior parte degli ordinamenti degli Stati membri e che una serie di convenzioni bilaterali istituiscono un foro di questo tipo. Su tale punto, la relazione precisa:

    "Il fatto che questo foro è riconosciuto dalla maggior parte delle legislazioni nazionali e previsto dalla maggior parte delle convenzioni bilaterali militava, unitamente alla circostanza che sono assai frequenti gli incidenti stradali, a favore della sua inclusione nella convenzione".

    Il tenore di tale norma suscita difficoltà interpretative in quanto, tra l' altro, si riscontrano talune differenze tra le versioni linguistiche, tutte facenti fede.

    Riteniamo opportuno riprodurre la norma così come essa è formulata nelle sue diverse versioni linguistiche. L' art. 5 incomincia così:

    "Il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente (...)"

    Il punto 3) prevede poi:

    "en matière délictuelle ou quasi délictuelle, devant le tribunal du lieu où le fait dommageable s' est produit";

    "wenn eine unerlaubte Handlung oder eine Handlung, die einer unerlaubten Handlung gleichgestellt ist, oder wenn Ansprueche aus einer solchen Handlung den Gegenstand des Verfahrens bilden, vor dem Gericht des Ortes, an dem das schaedigende Ereignis eingetreten ist";

    "in materia di delitti o quasi delitti, davanti al giudice del luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto";

    "ten aanzien van verbintenissen uit onrechtmatige daad: voor het gerecht van de plaats waar het schadebrengende feit zich heeft voorgedaan";

    "in matters relating to tort, delict or quasi-delict, in the courts for the place where the harmful event occurred";

    "in ábhair a bhaineann le tort, míghníomh nó samhail mhíghnímh, sna cúrteanna don áit inar tharla an teagmhas díobhálach";

    "i sager om erstatning uden for kontrakt, ved retten pa det sted, hvor skadetilfcjelsen er foregaet";

    "************************** ** **** ****** ** ***** * ****** ************ ******* *** *********** *** ***** **** ****** ** ********* *******";

    "en materia delictual o cuasidelictual, ante el tribunal del lugar donde se hubiere producido el hecho dañoso";

    "em matéria excontratual, perante o tribunal do lugar onde ocorreu o facto danoso".

    Da una giurisprudenza costante della Corte emerge che una norma non va interpretata isolatamente, tenendo conto unicamente del suo testo nella lingua processuale, ma è necessario, ai fini di un' uniforme interpretazione, procedere ad un' interpretazione che tenga conto del tenore della norma in tutte le sue versioni linguistiche.

    Nelle conclusioni presentate nelle cause Mines de potasse d' Alsace (11) e Rueffer (12), l' avvocato generale Warner ha avuto modo di analizzare le diverse versioni linguistiche della norma in esame. Nella seconda delle due cause, tra l' altro, egli ha precisato che

    "Come però si arguisce dall' introduzione del prof. André Tunc al volume XI dell' Enciclopedia internazionale di diritto comparato, volume che riguarda gli illeciti, nessuno è mai riuscito, nemmeno nel contesto di un ordinamento giuridico nazionale, a dare una esatta definizione dell' illecito, scevra da qualsiasi interrogativo. Come il proverbiale elefante, l' illecito è più facile da riconoscere che da definire".

    L' avvocato generale Darmon ha poi citato l' avvocato generale Warner al punto 20 delle sue conclusioni nella causa Kalfelis e, al punto 21, ha del pari sottolineato la grande prudenza alla quale la dottrina ritiene opportuno attenersi in tema di delimitazione dell' ambito d' applicazione dell' art. 5, punto 3) (13). Egli ne ha tratto la conclusione che nella fattispecie questa prudenza "impone semplicemente di astenersi dal formulare un parametro astratto (...)".

    Non possiamo che concordare con tale punto di vista. E' rischioso tentare di dare una definizione generale ed astratta dell' ambito d' applicazione dell' art. 5, punto 3).

    Vi è un ambito d' applicazione principale in cui l' art. 5, punto 3), può incontestabilmente essere applicato senza che sorgano particolari problemi (ad eccezione di quelli eventualmente connessi con l' individuazione del luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto). Tale ambito fondamentale è costituito dalle controversie in tema di responsabilità, nelle quali la parte lesa ha subito un danno economico per colpa d' altri e tra le parti, manifestamente, non sussiste alcun vincolo contrattuale. Tuttavia, la delimitazione nell' ambito di applicazione della norma in esame pone problemi almeno sotto due punti di vista.

    Da un lato, può risultare difficile tracciare una linea di demarcazione tra azioni riconducibili alla competenza giurisdizionale in materia contrattuale ex art. 5, punto 1), ed azioni ex art. 5, punto 3). Tracciare confini tra la responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale è senza alcun dubbio fonte di problemi in tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, e tali problemi incontestabilmente si accentuano in sede di applicazione della Convenzione di Bruxelles, soprattutto per il motivo che la configurazione giuridica di un medesimo fatto può presentare differenze all' interno degli ordinamenti giuridici degli Stati membri i cui tribunali potrebbero essere aditi (14).

    Dall' altro, può anche riuscire difficile tracciare una linea di confine tra le azioni per responsabilità ex art. 5, punto 1), oppure ex art. 5, punto 3), e quelle che non possono invece considerarsi azioni per responsabilità ex contracto o ex delicto. In tali casi, da una siffatta demarcazione può scaturire la conseguenza che non sussiste un foro specificamente competente per l' azione di cui trattasi, e che quest' ultima deve di conseguenza proporsi unicamente dinanzi al tribunale del domicilio del convenuto. La causa di cui stiamo trattando verte su un problema del genere.

    Le varie versioni linguistiche dell' art. 5, punto 3), hanno almeno due elementi in comune. Il primo è che deve sussistere un comportamento "illecito", e l' altro, che tale comportamento abbia causato un "evento dannoso".

    Se tali considerazioni sono esatte, da esse consegue pure che l' ambito di applicazione dell' art. 5, punto 3), è potenzialmente assai vasto. Nella sentenza Mines de potasse d' Alsace, la Corte di giustizia ha anche affermato che

    "(...) con la sua ampia formulazione, l' art. 5, punto 3 , della convenzione comprende più svariati casi di responsabilità" (punto 18 della motivazione).

    Pertanto, si può senz' altro sostenere, come hanno fatto la Dresdner Bank e la Commissione nella causa Reichert I, che il tenore dell' art. 5, punto 3), non impedisce di considerare l' azione pauliana un' azione conseguente ad un atto illecito che ha cagionato un danno. A ciò si è probabilmente riferita la Cour d' appel di Aix-en-Provence, allorché, nella richiesta di rinvio pregiudiziale, ha ricordato come la risoluzione della questione in oggetto non possa prescindere dalla

    "(...) natura di 'delitto' o di 'quasi delitto' della frode dedotta".

    Se analizziamo la giurisprudenza della Corte per cercare di rinvenire in essa elementi utili a risolvere il problema della demarcazione, solo la sentenza Kalfelis sembra avere diretta pertinenza. La Corte, in tale sentenza, ha così statuito:

    "Per garantire una soluzione uniforme in tutti gli Stati, è opportuno riconoscere che la nozione di 'materia di delitto o quasi delitto' comprende qualsiasi domanda mirante a coinvolgere la responsabilità di un convenuto e che non si ricollega alla materia contrattuale di cui all' art. 5, punto 1" (punto 17 della motivazione) (15).

    La Corte ha pertanto attribuito rilevanza alla nozione di "responsabilità", la quale, nella versione originale tedesca della sentenza, viene designata come "Schadenshaftung" (16). E' senza dubbio giustificato affermare che l' azione pauliana non può considerarsi azione tale da chiamare in causa la "Schadenshaftung" o la responsabilità del convenuto (17).

    E' tuttavia opportuno sottolineare che la Corte di giustizia si è pronunciata, nella sentenza Kalfelis, in merito ad un problema interpretativo diverso da quello sul quale verte la presente causa. La Corte si è in quella sentenza pronunciata sulla questione

    "(...) se nell' ipotesi di una domanda fondata cumulativamente sulla responsabilità da illecito, sull' inadempimento di un' obbligazione contrattuale e sull' arricchimento senza causa, il giudice competente a norma dell' art. 5, punto 3, possa conoscere dei punti di questa domanda che si fondano su fatti o atti diversi dall' illecito" (punto 14 della motivazione).

    Così era pacifico, nella causa principale, che la domanda rientrasse sia nella sfera della responsabilità contrattuale che di quella aquiliana, sicché il citato punto 17 della motivazione della sentenza Kalfelis non mira a demarcare esattamente l' ambito di applicazione dell' art. 5, punto 3), e a pronunciarsi in modo determinante sul quesito controverso nella presente causa. In ogni caso, non ritengo corretto partire dal presupposto che il quesito relativo alla demarcazione di cui stiamo trattando possa essere definitivamente risolto prendendo per base la sentenza Kalfelis.

    A mio avviso, tale questione va analizzata nel quadro della finalità e del contesto dell' art. 5, punto 3).

    Sotto tale profilo, la giurisprudenza della Corte contiene, ad ogni buon conto, due elementi importanti.

    Innanzitutto la Corte, come già abbiamo ricordato, ha statuito che le norme di competenza previste all' art. 5, e in particolare al punto 3), vanno interpretate restrittivamente, in quanto hanno carattere derogatorio rispetto alla norma generale sulla competenza del foro del domicilio del convenuto di cui all' art. 2 della Convenzione di Bruxelles. Per altro verso, essa, nella sentenza Mines de potasse d' Alsace, ha dichiarato che:

    "tale norma ((l' art. 5, punto 3) )) va interpretata sistematicamente, nell' ambito delle attribuzioni di competenza che costituiscono oggetto del titolo II della convenzione.

    Questo è fondato sull' istituzione di un foro generale ai sensi dell' art. 2, il quale dichiara competenti gli organi giurisdizionali dello Stato in cui è domiciliato il convenuto.

    L' art. 5 contempla tuttavia vari fori speciali, con facoltà di scelta per l' attore.

    Questa possibilità di opzione è stata ammessa in considerazione del fatto che esiste, in certi casi ben determinati, un collegamento particolarmente stretto fra una data controversia e il giudice che può essere adito, circostanza rilevante ai fini dell' economia processuale" (punti 8-11 della motivazione).

    Tale orientamento è stato approfondito dalla Corte nella sentenza Dumez France (18) laddove leggasi che:

    "(...) queste competenze speciali ((tra le altre, quelle di cui all' art. 5, punto 3) )), la cui scelta dipende da un' opzione dell' attore, trovano il loro fondamento nell' esistenza di un collegamento particolarmente stretto tra una data controversia e giudici diversi da quelli dello Stato del domicilio del convenuto, che giustifica un' attribuzione di competenza a detti giudici ai fini della buona amministrazione della giustizia e dell' economia processuale.

    Per soddisfare questo obiettivo, che riveste un' importanza fondamentale in una convenzione diretta essenzialmente a favorire il riconoscimento e l' esecuzione di decisioni giudiziarie al di fuori dello Stato nel quale sono state pronunciate, è indispensabile evitare il moltiplicarsi dei fori competenti con conseguente accentuazione dei rischi di contrasto di decisioni, che, secondo l' art. 27, punto 3, della convenzione, è motivo di rifiuto di riconoscimento o di delibazione" (punti 17 e 18 della motivazione).

    Tenendosi poi presente che:

    - il disposto dell' art. 5, punto 3), non esclude che l' azione pauliana possa rientrare nell' ambito di applicazione di quest' articolo, mentre la sentenza Kalfelis offre piuttosto argomento alla tesi contraria;

    - la norma in questione va interpretata restrittivamente;

    - secondo la giurisprudenza della Corte, deve ricorrere un collegamento stretto tra la controversia de qua ed il foro competente;

    assume rilievo, ai fini dell' interpretazione dell' art. 5, punto 3), in relazione all' azione detta azione pauliana, il punto se ricorrano motivi i quali giustifichino, in via generale, l' opzione rimessa all' attore di intentare un' azione dinanzi ad un foro diverso da quello del domicilio del convenuto.

    Poiché la norma sulla competenza contenuta nell' art. 5, punto 3), trova la sua ragion d' essere nel fatto che il tribunale del luogo del danno sarà nella normalità dei casi quello in cui meglio e più facilmente potrà statuirsi in tema di "azioni per responsabilità" (19), è opportuno esaminare la questione se il foro del luogo in cui si è verificato il danno sia maggiormente indicato per istruire un' azione pauliana e statuire su di essa, rispetto al foro del domicilio del convenuto. A nostro parere, questo caso non si dà.

    Il "luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto" non è tale da rivestire particolare importanza in sede di determinazione degli elementi fattuali e di diritto rilevanti ai fini della decisione sull' azione pauliana. Il luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto, in una fattispecie come quella in esame, può ben essere anche quello in cui è stato stipulato l' atto traslativo di proprietà, come pure quello in cui è situato il bene patrimoniale in questione. Nessuno di essi, però, assume un particolare significato con riguardo alla questione se si erano soddisfatti i presupposti per l' azione pauliana. Tra questi ultimi, rivestono maggiore importanza quelli riguardanti l' esistenza di un credito in capo al creditore, nonché l' intenzione del debitore di limitare dolosamente le possibilità del creditore di avvalersi dell' esecuzione forzata (20).

    A mio avviso, non esistono motivi particolari per ritenere che esista un' esigenza generale di stabilire fori speciali per azioni quali le pauliane. Il tribunale del domicilio del convenuto può pronunciarsi su di esse senza gravi difficoltà sul piano processuale. Nella causa presente, una tale soluzione non presenta inconvenienti, in quanto l' alienante e l' acquirente dell' immobile hanno domicilio nella circoscrizione del medesimo tribunale. Se tale ipotesi ricorresse, l' attore potrebbe introdurre un' azione simultaneamente contro l' alienante e l' acquirente, dinanzi allo stesso giudice (v., a tal proposito, l' art. 6, punto 1), della Convenzione di Bruxelles, così come interpretato nella sentenza Kalfelis).

    Il fatto, poi, che la conclusione da me proposta presenti il vantaggio di limitare il numero di giurisdizioni teoricamente competenti, nonché di evitare di pronunciarsi su dove l' evento dannoso, nella fattispecie, sia avvenuto, è, a mio avviso, da tenersi necessariamente in una certa considerazione. Com' è noto, la Corte di giustizia, nella sentenza Mines de potasse d' Alsace, ha dichiarato che l' espressione "luogo in cui l' evento dannoso è avvenuto" va intesa nel senso che

    "essa si riferisce tanto al luogo ove è insorto il danno, quanto al luogo ove si è verificato l' evento generatore dello stesso"; (punto 24 della motivazione) (21).

    Qualora l' art. 5, punto 3), fosse applicabile in una causa quale la presente, risulterebbe probabilmente dalla sentenza Mines de potasse d' Alsace che l' attore potrebbe sempre scegliere di adire

    - il foro del luogo in cui la donazione è stata sottoscritta (nella fattispecie il Tribunal de grande instance di Sarreguemines, dipartimento della Mosella); oppure

    - il foro del luogo in cui l' evento dannoso si è verificato (nel nostro caso, in ogni modo, il Tribunal de grande instance di Grasse, nella circoscrizione del quale è ubicato l' immobile) (22).

    Tuttavia, non occorre in alcun modo addentrarsi in un' analisi più minuziosa di questo problema, in quanto ho già ritenuto di dover proporre alla Corte, per i motivi sopra esposti, di risolverlo dichiarando che l' art. 5, punto 3), non si applica ad un' azione quale l' azione pauliana.

    La Commissione è pervenuta alla stessa conclusione limitandola apparentemente ai casi in cui la revoca ha ad oggetto una donazione. Essa ha sottolineato che il contesto giuridico tipico dell' azione pauliana è più complicato di quello di una generica azione per responsabilità, visto che nella pauliana sono necessariamente coinvolte tre parti: il creditore, il debitore ed il terzo acquirente. Per la Commissione è molto importante la circostanza che una donazione possa essere annullata anche nei confronti dell' acquirente in buona fede, ragion per cui nella fattispecie non ci si troverà di fronte ad un "delitto", nel senso di cui all' art. 5, punto 3). Si può certo ritenere corretto l' argomentare della Commissione, il quale però presenta un punto debole: quello di far dipendere l' applicazione dell' art. 5, punto 3), dal punto se l' atto traslativo impugnato sia o meno una donazione. A mio avviso, non è opportuno interpretare l' art. 5, punto 3), nel senso di farne dipendere l' applicazione da una distinzione non attinente ai criteri sulla base dei quali una tale norma, attributiva di competenza, si fonda.

    Conclusione

    Propongo pertanto alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale proposta dalla Cour d' appel di Aix-en-Provence nel modo seguente:

    "Un' azione revocatoria quale l' azione pauliana non rientra nell' ambito di applicazione dell' art. 5, punto 3), né in quelli dell' art. 16, punto 5), e dell' art. 24 della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l' esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale".

    (*) Lingua originale: il danese.

    (1) Racc. pag. I-27.

    (2) V. osservazioni della Commissione 28 giugno 1988 (punti 10 e 12) e osservazioni del governo francese 1 luglio 1988 (punto 8).

    (3) La Corte di giustizia si è pronunciata in merito all' interpretazione dell' art. 16, punto 5), in una sola sentenza (sentenza 4 luglio 1985, Malhé, causa 220/84, Racc. pag. 2267). Tale sentenza non rileva nella causa presente.

    (4) Relazione del sig. P. Jenard in merito alla Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l' esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 1979, C 59, pag. 1-65).

    (5) La relazione Jenard contiene a tale proposito le seguenti osservazioni:

    "L' art. 24, che dispone che all' autorità giudiziaria di ciascuno Stato possono essere richiesti i provvedimenti provvisori e cautelari previsti da ognuna delle legislazioni nazionali, qualunque sia il giudice competente a conoscere del merito, ha l' equivalente in quasi tutti i trattati in materia di esecuzione.

    In ognuno degli Stati i provvedimenti provvisori e cautelari nonché ogni decisione sulla validità e sulla sospensione di questi potranno dunque essere richiesti alle autorità competenti senza che sia necessario tener conto delle norme di competenza fissate dalla convenzione.

    Per quanto riguarda il carattere dei provvedimenti che potranno essere presi, bisognerà riferirsi alla legislazione interna del paese interessato".

    (6) V. al riguardo sentenze 27 marzo 1979, De Cavel (causa 143/78, Racc. pag. 1055), e 31 marzo 1982, CHW (causa 25/81, Racc. pag. 1189), interpretative dell' art. 24, in cui la Corte di giustizia, rispettivamente ai punti 9 e 12 della motivazione, sottolinea come tale norma abbia ad oggetto casi in cui, in forza della convenzione, competente a conoscere del merito sia il giudice di un altro Stato contraente.

    (7) Ad esempio, non rileva nell' ambito dell' art. 24 che, stando alle osservazioni svolte dalla Commissione nella causa Reichert I, taluni autori francesi considerano l' azione pauliana come un procedimento cautelare in quanto è preparatoria di successivi procedimenti esecutivi, impedendo che parti del patrimonio pignorabile vengano sottratte all' azione creditoria. A tal proposito, non rileva nemmeno la circostanza che la Corte, al punto 12 della motivazione della sentenza Reichert I, abbia statuito che "(...) tale azione mira a proteggere il diritto di garanzia di cui il primo può disporre sul patrimonio del secondo" (il corsivo è mio) o che la Cour d' appel di Aix-en-Provence nel rinvio pregiudiziale abbia accennato all' "esistenza di provvedimenti cautelari che la decisione nel merito deve consentire di trasformare in provvedimenti esecutivi sull' immobile oggetto dei diritti reali trasferiti dal debitore".

    (8) Schlosser ritiene che tale azione non rientri nell' ambito di applicazione dell' art. 5, punto 3), IPRax 1/91, pagg. 29 e 30. Tagaras sostiene un' opinione opposta in Cahiers de droit européen, 1990, pagg. 658, 687.

    (9) Sentenza 27 settembre 1988 (causa 189/87, Racc. pag. 5565).

    (10) Per più ampi dettagli a sostegno dell' interpretazione autonoma dell' art. 5, punto 3), si fa rinvio alle conclusioni dell' avvocato generale Darmon nella causa precitata, che rinviano a loro volta alle conclusioni dell' avvocato generale Warner nella sentenza 16 dicembre 1980, Rueffer (causa 814/79, Racc. pag. 3807, in particolare pag. 3834 e seguenti).

    (11) Sentenza 30 novembre 1976 (causa 21/76, Racc. pag. 1735).

    (12) Sentenza citata (causa 814/79, Racc. 1980, pag. 3807, in particolare pag. 3834 e seguenti).

    (13) Alla nota a piè di pagina n. 22 delle conclusioni, egli ha citato la seguente opinione di Gothot e Holleaux in La convention de Bruxelles 27 septembre 1968, edizione Jupiter, 1985, pagg. 47 e 48, punto 86: "(...) è altrettanto verosimile che la Corte non potrà, in un' unica sentenza, formulare una definizione complessiva della 'materia di delitto o quasi delitto' ai sensi dell' art. 5, punto 3). Ammettendo che siffatta definizione sia possibile, il che è dubbio, essa rischierebbe di provocare nuove difficoltà per eccesso d' astrazione (...). La definizione comunitaria sarà quindi probabilmente elaborata in modo progressivo, secondo un metodo basato sulla casistica e pagandola con un periodo di incertezza inevitabile".

    (14) Ad esempio, potrebbero esservi degli Stati membri i cui ordinamenti configurano l' azione per responsabilità intentata dal malato contro il medico che ha sbagliato la terapia come di natura extracontrattuale, mentre ordinamenti giuridici di altri Stati membri la considerano un' azione derivante da responsabilità contrattuale.

    (15) Nella versione originale della sentenza tale punto è formulato come segue: "Um eine einheitliche Loesung in allen Mitgliedstaaten zu gewaehrleisten, ist davon auszugehen, dass sich der Begriff 'unerlaubte Handlung' auf alle Klagen bezieht, mit denen eine Schadenshaftung des Beklagten geltend gemacht wird und die nicht an einen 'Vertrag' im Sinne von Artikel 5 Nr. 1 anknuepfen".

    (16) Nella versione inglese della medesima sentenza, il termine utilizzato è "the liability".

    (17) A tal proposito, scrive Schlosser nel commento alla sentenza Reichert I in IPRax 1/91, pag. 30: "La definizione data dalla Corte, nella sentenza Kalfelis, di un domanda basata sulla 'materia di delitto' , volta a chiamare in causa la responsabilità di un convenuto, non riguarda, in ogni caso, l' azione pauliana. E' però dubbio se la Corte, con ciò, abbia voluto escludere che il foro competente in materia di illeciti extracontrattuali possa adirsi anche nell' ambito di azioni diverse da quella per responsabilità. Ciononostante, sembra che in tutti i paesi le norme sull' azione pauliana siano considerate come norme speciali rispetto a quelle disciplinanti la 'materia di delitto' . La definizione data dalla Corte della nozione di materia di illecito extracontrattuale può verosimilmente estendersi solo fino a comprendervi controversie volte ad impedire il verificarsi di un evento dannoso. Essa non può essere estesa ad ogni tipo di causa in materia di azioni non derivanti da inadempimento contrattuale, salvo attribuire al tribunale che conosce in materia di illecito extracontrattuale un ambito di competenze troppo vasto".

    (18) Sentenza 11 gennaio 1990 (causa C-220/88, Racc. pag. I-49).

    (19) A tal proposito v. del pari, nella relazione Jenard, l' indicazione secondo la quale una delle ragioni alla base di tale norma particolare di competenza era costituita dalla frequenza degli incidenti automobilistici.

    (20) Come abbiamo già ricordato in precedenza, si possono avanzare taluni argomenti a favore della possibilità di presentare un' azione pauliana relativa a diritti reali immobiliari dinanzi al giudice del luogo in cui è situato l' immobile. Trattasi però soprattutto di argomenti atti a giustificare la competenza in tema di diritti reali immobiliari ex art. 16, punto 1). Poiché nella sentenza Reichert I la Corte ha negato tale competenza, non possiamo considerare i suddetti motivi come sufficientemente cogenti per giustificare una competenza quale quella contemplata all' art. 5, punto 3). A tal proposito occorre ricordare in particolar modo il punto 13 della motivazione della sentenza sopra citata, il cui tenore è il seguente:

    "Infine, se le norme relative alla pubblicità fondiaria in vigore in certi Stati membri esigono che siano rese pubbliche le azioni giudiziarie tendenti alla revoca o alla dichiarazione di inopponibilità a terzi degli atti relativi ai diritti soggetti a tale forma di pubblicità, nonché le decisioni giudiziarie pronunciate in seguito alle azioni medesime, questa circostanza non basta da sola per giustificare la competenza esclusiva dei giudici dello Stato contraente ove l' immobile oggetto di quei diritti è ubicato. In effetti la protezione giuridica dei terzi che è all' origine di tali norme di diritto nazionale può essere garantita, in caso di bisogno, dalla pubblicazione secondo le forme e nel luogo previsti dalla legge dello Stato contraente ove si trova l' immobile".

    E' peraltro importante che l' azione pauliana possa vertere sia su beni immobili che su beni mobili. Di primo acchito, è difficile immaginare che l' art. 5, punto 3), possa essere interpretato diversamente, a seconda che l' azione revocatoria verta su beni mobili o beni immobili. A mio avviso, sarebbe chiaramente inopportuno ammettere che delle azioni revocatorie di un atto traslativo di proprietà vertente su beni mobili possano proporsi secondo le norme di competenza definite all' art. 5, punto 3), soprattutto se si ammette che l' evento dannoso si è verificato nel luogo in cui il bene mobile è ubicato al momento del trasferimento della proprietà e/o dell' introduzione della domanda giudiziale.

    (21) Tale interpretazione la Corte ha poi precisato nella sentenza di Dumez France: "(...) la norma di competenza giurisdizionale di cui all' art. 5, punto 3 (...) non può essere interpretata nel senso che autorizzi chi agisce per il risarcimento di un danno che asserisce essere la conseguenza del pregiudizio subito da altre persone, vittime dirette del fatto dannoso, a citare l' autore di questo fatto dinanzi ai giudici ove egli stesso ha constatato il danno nel proprio patrimonio" (punto 22 della motivazione).

    (22) Non ci dilungheremo sul punto se il foro del domicilio dell' attore sia competente nel caso in cui l' azione pauliana rientri nell' ambito d' applicazione dell' art. 5, punto 3). Ci limiteremo a ricordare che la sentenza Dumez France appalesa la perplessità della Corte nell' accettare soluzioni che conducano ad una tale conseguenza, soprattutto in cause non vertenti su danni arrecati a persone o cose.

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