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Document 61987CC0380
Opinion of Mr Advocate General Jacobs delivered on 16 March 1989. # Enichem Base and others v Comune di Cinisello Balsamo. # Reference for a preliminary ruling: Tribunale amministrativo regionale della Lombardia - Italy. # Approximation of laws - Prevention and disposal of waste - Plastic bags. # Case 380/87.
Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 16 marzo 1989.
Enichem Base e altri contro Comune di Cinisello Balsamo.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - Italia.
Prevenzione ed eliminazione dei rifiuti - Sacchetti di plastica.
Causa 380/87.
Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 16 marzo 1989.
Enichem Base e altri contro Comune di Cinisello Balsamo.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - Italia.
Prevenzione ed eliminazione dei rifiuti - Sacchetti di plastica.
Causa 380/87.
Raccolta della Giurisprudenza 1989 -02491
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1989:135
Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 16 marzo 1989. - ENICHEM BASE SPA ED ALTRI CONTRO COMUNE DI CINISELLO BALSAMO. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA LOMBARDIA - ITALIA. - RAVVICINAMENTO DELLE LEGISLAZIONI - PREVENZIONE E SMALTIMENTO DEI RIFIUTI. - CAUSA 380/87.
raccolta della giurisprudenza 1989 pagina 02491
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Signor Presidente,
Signori Giudici,
1 . Con decisione 16 febbraio 1987, n . 25, il sindaco di Cinisello Balsamo ha così disposto fra l' altro :
"E' fatto divieto, a decorrere dal 1° settembre 1987 e fino all' entrata in vigore ed applicazione di analoghi provvedimenti a livello regionale o statale, di fornire ai consumatori per l' asporto delle merci acquistate, sacchetti, buste ed altri contenitori non biodegradabili, ed altresì di vendere o diffondere in qualsiasi modo sacchetti di plastica, fatta eccezione per quelli destinati al conferimento dei rifiuti ".
Questo provvedimento è stato impugnato dinanzi al tribunale amministrativo regionale per la Lombardia dai ricorrenti, i quali appaiono tutti aver interessi nella produzione di sacchetti di plastica . L' impugnazione si fondava tra l' altro sul motivo che il provvedimento contrasta con tre direttive del Consiglio sui rifiuti : la direttiva 75/442 del Consiglio del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti ( GU L 194, pag . 47 ), la direttiva 76/403 del Consiglio del 6 aprile 1976, concernente lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili ( GU L 108, pag . 41 ), e la direttiva 78/309 del Consiglio del 20 marzo 1978, relativa ai rifiuti tossici e nocivi ( GU L 84, pag . 43 ). E' stata concessa la provvisoria sospensione dell' esecuzione del provvedimento l' 8 luglio 1987 ed il 30 novembre 1987 il tribunale amministrativo regionale ha sottoposto la questione pregiudiziale, pervenuta alla cancelleria della Corte il 21 dicembre 1987 .
2 . Con la prima questione si chiede se le direttive di cui sopra "(...) attribuiscano ai singoli cittadini della CEE il diritto soggettivo comunitario che i giudici nazionali debbono tutelare anche nei confronti degli Stati membri ( e che quindi gli Stati membri non possono limitare ) di vendere o di usare i prodotti presi in considerazione dalle predette direttive, dato che queste ( direttive ) hanno previsto il principio dell' osservanza di specifiche regole per il relativo smaltimento, non il divieto di vendita o di uso dei prodotti in esame ".
3 . Con la seconda e la terza questione si chiede in sostanza se la mancata osservanza dell' obbligo derivante dal diritto comunitario di notificare previamente alla Commissione i provvedimenti di cui trattasi faccia sorgere diritti soggettivi; con la quarta questione si chiede in sostanza se il diritto comunitario richieda il pagamento da parte dell' amministrazione di un risarcimento conseguentemente alla violazione da parte dell' amministrazione stessa dei diritti tutelati dall' ordinamento comunitario anche quando la normativa nazionale non contempli tale risarcimento .
Prima questione
4 . Bisogna osservare in primo luogo che, delle tre direttive su cui si fondano i ricorrenti nei procedimenti nazionali, solo la prima, quella relativa ai rifiuti, può applicarsi al presente caso . Come riconoscono i ricorrenti stessi nelle osservazioni scritte presentate alla Corte, la seconda e la terza direttiva citate non sono rilevanti, in quanto i sacchetti di plastica di cui trattasi non contengono policlorodifenili o policlorotrifenili e non sono tossici e nocivi .
5 . La direttiva relativa ai rifiuti è di ampia portata . Come indica il primo considerando, essa è in parte intesa a ravvicinare le legislazioni degli Stati membri sullo smaltimento dei rifiuti in quanto una disparità tra le disposizioni nazionali può creare disuguaglianza nelle condizioni di concorrenza e avere perciò un' incidenza diretta sul funzionamento del mercato comune . Ai sensi del secondo considerando, essa era anche intesa a raggiungere uno degli obiettivi della Comunità nel settore della protezione dell' ambiente e del miglioramento della qualità di vita . I successivi considerando fanno riferimento all' obiettivo della protezione della salute umana e dell' ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell' ammasso e del deposito di rifiuti, nonché alla preservazione delle risorse naturali mediante il recupero dei rifiuti e l' utilizzazione dei materiali di recupero . La nozione di "rifiuto" è ampiamente definita all' art . 1, lett . a ), della direttiva come "qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l' obbligo di disfarsi secondo le disposizioni nazionali vigenti (...)". Ai sensi dell' art . 2, n . 1, "fatta salva la presente direttiva, gli Stati membri possono adottare specifiche regolamentazioni per categorie particolari di rifiuti ". L' art . 2, n . 2, esclude dal campo d' applicazione della direttiva taluni tipi di rifiuti, fra cui quelli soggetti a specifiche regolamentazioni comunitarie . Il tenore dell' art . 3 è il seguente :
"1 . Gli Stati membri adottano le misure atte a promuovere la prevenzione, il riciclo, la trasformazione dei rifiuti e l' estrazione dai medesimi di materie prime ed eventualmente di energia, nonché ogni altro metodo che consenta il riutilizzo dei rifiuti .
2 . Essi informano in tempo utile la Commissione di ogni progetto avente per oggetto tali misure, in particolare qualsiasi progetto di regolamento relativo :
a ) all' impiego dei prodotti che possono causare difficoltà tecniche di smaltimento o comportare costi di smaltimento eccessivi;
b ) all' incoraggiamento :
- della diminuzione della quantità di taluni rifiuti;
- del trattamento dei rifiuti per il riciclo e il riutilizzo;
- del recupero di materie prime e/o della produzione di energia da alcuni rifiuti;
c ) all' impiego di certe risorse naturali, ivi comprese le risorse energetiche, per usi in cui è possibile sostituirle con materiali di recupero ".
6 . L' argomento dei ricorrenti consiste in sostanza nel sostenere che, poiché la direttiva non proibisce la vendita e l' uso dei prodotti di cui trattasi, ma dispone solo in merito al ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative allo smaltimento, ecc ., essa va interpretata nel senso che gli Stati membri devono consentire la vendita e l' uso di questi prodotti . Partendo dal presupposto che i sacchetti di plastica di cui trattasi costituiscono rifiuto ai sensi della direttiva, questo argomento è a mio parere azzardato . E' chiaro che la direttiva non preclude agli Stati membri l' emanazione di provvedimenti che limitano la vendita o l' uso di prodotti idonei a costituire rifiuti . Al contrario, come sottolineato dalla Commissione, la direttiva concerne tra l' altro "la prevenzione dei rifiuti" e l' art . 3, n . 1, stabilisce che gli Stati membri devono adottare le misure atte a promuoverne la prevenzione e l' art . 3, n . 2, che essi devono informare in tempo utile la Commissione di ogni progetto avente per oggetto tali misure . E' chiaro che la direttiva non conferisce ai singoli il diritto di vendere o di utilizzare i prodotti di cui essa tratta .
7 . Questa conclusione è naturalmente subordinata all' osservanza delle norme generali del trattato ed in particolare dell' art . 30 . I ricorrenti si fondano sull' art . 30 a sostegno del loro argomento, ma il giudice nazionale non ha sottoposto alcuna questione in riferimento all' art . 30 ed i problemi che da essa sarebbero sorti non sono stati discussi nelle altre osservazioni presentate alla Corte . In queste circostanze, la Corte non può a mio parere decidere su tale punto; ma qualora si ritenesse che la questione sia sorta, sarebbe allora necessario far riferimento agli antefatti del procedimento per verificare se il provvedimento di cui trattasi sia idoneo a costituire una restrizione del commercio tra Stati membri e, in caso affermativo, se possa essere giustificato ai sensi dell' art . 36 del trattato o mediante i principi posti nella causa 120/78, Rewe (( (" Cassis de Dijon "), Racc . 1979, pag . 649 )). In particolare, si porrebbe la questione se in ogni caso il provvedimento possa dar luogo ad una restrizione del commercio tra Stati membri sproporzionata agli obiettivi del provvedimento stesso : vedasi, fra i casi più recenti, la sentenza della Corte 20 settembre 1988 nella causa 302/86, Commissione / Danimarca . Alla luce in particolare di tale decisione, potrebbe ben verificarsi che il provvedimento, sebbene possa altrimenti costituire una restrizione in contrasto con l' art . 30, sia giustificato dallo scopo di tutela dell' ambiente . All' udienza i ricorrenti hanno sostenuto che il presente caso differisce da quello della causa Commissione / Danimarca : qui è più incerta la giustificazione relativa all' ambiente ed il provvedimento in esame, in quanto comporta un divieto assoluto di commercializzazione, è a loro parere in ogni caso sproporzionato . Tuttavia, in assenza di ulteriori elementi di fatto e di osservazioni più complete, non ritengo opportuno esprimere un' opinione definitiva a tal proposito .
Seconda e terza questione
8 . I ricorrenti si fondano sull' obbligo di cui all' art . 3, n . 2, della direttiva di informare in tempo utile la Commissione di ogni progetto, per contestare l' efficacia del provvedimento di cui trattasi in quanto esso non è stato comunicato alla Commissione . I ricorrenti fanno riferimento per analogia alla direttiva 83/189, che prevede una procedura d' informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche ( GU L 109, pag . 8 ), ed all' art . 93, n . 3, del trattato .
9 . Il tenore della seconda questione è il seguente :
"a ) Se dalle direttive comunitarie indicate sopra o comunque dal diritto comunitario si ricavi il principio per cui qualsiasi progetto di regolamento o di atto normativo generale ( relativo all' impiego, alla vendita o all' uso dei prodotti de quibus ) che possa causare difficoltà tecniche di smaltimento o comportare costi di smaltimento eccessivi debba essere portato in tempo utile a conoscenza della Commissione .
b ) Se l' obbligo enunciato alla lett . a ) sia posto a carico dello Stato e dei comuni i quali, pertanto, non avrebbero il potere di disporre in merito all' impiego, alla vendita o all' uso di prodotti diversi da quelli che la direttiva 76/403 ha inserito nell' elenco tassativo dei prodotti ritenuti nocivi, in assenza della previa verifica comunitaria che la misura non crei disuguaglianze nelle condizioni di concorrenza ".
10 . Va osservato in primo luogo che l' obbligo di informare in tempo utile la Commissione di ogni progetto è posto solo nella prima direttiva, quella relativa ai rifiuti . La Commissione osserva che, sebbene un' analoga disposizione non compaia nelle altre direttive, l' art . 3 della direttiva relativa ai rifiuti si applica anche a progetti in materia di rifiuti trattati dalle altre direttive . Ciò appare dubbio in quanto, come si è visto, l' art . 2, n . 2, della direttiva relativa ai rifiuti esclude dal campo d' applicazione della direttiva stessa i rifiuti soggetti a specifiche regolamentazioni comunitarie . Il punto non va risolto in questo caso, in quanto in ogni caso le altre direttive non sono rilevanti . Sulla questione se vada applicata la direttiva relativa ai rifiuti, il Regno Unito ritiene che sacchetti di plastica forniti al fine di trasportare merci a casa non costituiscano rifiuti . I governi del Regno Unito e del Portogallo ritengono anche che il commercio dei sacchetti di plastica esuli dallo scopo della direttiva, sicché anche l' intento di impedirne il commercio esula dal suo scopo . Il governo italiano e la Commissione osservano che può sussistere l' obbligo di informare la Commissione ai sensi dell' art . 3, n . 2, della direttiva, ma che, in risposta alla seconda parte della questione, l' inosservanza di tale obbligo non rende il provvedimento illegittimo .
11 . A mio parere, pur ammettendo che i sacchetti di plastica non costituiscano rifiuti nel momento in cui sono forniti ai compratori, ritengo che vada preso in considerazione il fatto che essi sono normalmente gettati via dopo il trasporto a casa del loro contenuto . Conseguentemente, secondo me, un provvedimento quale quello di cui trattasi nella fattispecie può rettamente essere considerato una misura atta a promuovere la prevenzione dei rifiuti ai sensi dell' art . 3, n . 1, della direttiva, ed il progetto di esso avrebbe quindi dovuto essere comunicato alla Commissione ai sensi dell' art . 3, n . 2 . Il fatto che il provvedimento riguarda tutti i contenitori non biodegradabili è un' indicazione sufficiente che il suo obiettivo è quello di promuovere la prevenzione dei rifiuti .
12 . Non fa differenza, a mio parere, la circostanza che il provvedimento sia adottato da un' autorità comunale . Il governo italiano ha sostenuto all' udienza che l' art . 3 della direttiva si applica solo a provvedimenti di una certa importanza e non a quelli adottati da un comune molto piccolo; la soluzione potrebbe essere diversa se il provvedimento fosse adottato a Milano, Roma o Napoli . Tendo a respingere tale argomento, in primo luogo poiché, come avviene nel caso presente secondo i ricorrenti, provvedimenti analoghi possono essere adottati da molti comuni con lo stesso effetto di un provvedimento di larga applicazione; in secondo luogo, in quanto non sarebbe possibile distinguere fra provvedimenti comunali a seconda dell' area o della popolazione interessata, in assenza di criteri legislativi; in terzo luogo in quanto, come mi appresto ad osservare, la normativa comunitaria prevede una specifica eccezione per i provvedimenti emanati da autorità locali quando ciò è opportuno, ed in questo caso non sussiste siffatta eccezione .
13 . La questione è quindi quella se sussista un obbligo di comunicazione ai sensi dell' ordinamento comunitario in generale, e la Commissione fa a tal proposito riferimento alla citata direttiva 83/189, che prevede una procedura d' informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche . L' art . 8 di questa direttiva stabilisce che gli Stati membri comunicano immediatamente alla Commissione qualsiasi progetto in tale settore . Non mi pare, qualora sia necessario decidere tale aspetto, che il provvedimento di cui trattasi rientri nell' ambito d' applicazione della direttiva . La Commissione ritiene che il provvedimento possa rientrare nella nozione di "regola tecnica", come definita all' art . 1, n . 5, della direttiva, ma sottolinea che in ogni caso tale definizione esclude provvedimenti emanati da autorità locali . Non è pertanto necessario analizzare oltre tale direttiva a questo proposito .
14 . Sulla seconda parte della seconda questione, in cui si pone il problema se l' inosservanza dell' obbligo di informare la Commissione possa rendere illegittimi i provvedimenti, è utile una comparazione tra la direttiva 83/189 e quella relativa ai rifiuti . La prima direttiva contiene disposizioni dettagliate che consentono alla Commissione e ad altri Stati membri di presentare osservazioni sui progetti comunicati e stabilisce che in alcuni casi gli Stati membri debbono rinviare l' adozione dei progetti per un certo periodo . Non esistono disposizioni anologhe nella direttiva relativa ai rifiuti che, a tal proposito, tratta solo dell' obbligo di informare la Commissione . Conseguentemente, in assenza di una prescritta procedura relativa alla sospensione dell' emanazione del provvedimento, o al controllo comunitario, non può sostenersi che l' inosservanza dell' obbligo di informare la Commissione abbia la conseguenza di rendere i provvedimenti illegittimi . Ciò non significa che la comunicazione non abbia conseguenze pratiche : come l' agente della Commissione ha sottolineato in udienza, la comunicazione può indurre la Commissione a proporre provvedimenti per l' armonizzazione delle normative nazionali qualora nel caso contrario possa crearsi un ostacolo al funzionamento del mercato comune o può indurre la Commissione ad invitare lo Stato membro a rimandare l' applicazione del provvedimento . Ma ciò è completamente diverso dai casi in cui sussiste un obbligo di sospendere l' applicazione o in cui dall' omessa comunicazione alla Commissione discende l' illegittimità del provvedimento .
15 . Va parimenti respinto il tentativo dei ricorrenti di fondarsi analogicamente sull' art . 93, n . 3, del trattato CEE . I ricorrenti sostengono che l' art . 93 ha l' effetto di rendere illegittima l' introduzione di un nuovo aiuto che non sia stato comunicato alla Commissione o che sia stato attuato prima dello scadere del periodo stabilito per la valutazione della Commissione, nonostante l' assenza di dettagliate disposizioni procedurali nell' art . 93 . Tuttavia, all' art . 93, n . 2, del trattato è definita una procedura per l' esame da parte della Commissione degli aiuti proposti e l' ultima frase dell' art . 93, n . 3, provvede espressamente che lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto ad una decisione finale .
16 . Il tenore della terza questione è il seguente :
"Tenuto presente il primo 'considerando' delle tre direttive indicate nella prima 'questione' e soprattutto la parte in cui si afferma che una disparità tra le disposizioni in applicazione o in preparazione nei vari Stati membri per lo smaltimento dei prodotti considerati può creare disuguaglianza nelle condizioni di concorrenza ed avere perciò un' incidenza diretta sul funzionamento del mercato comune :
a ) se questo considerando e, comunque, le tre direttive citate prevedano il diritto soggettivo comunitario in capo ai cittadini della CEE - con relativo vincolo per tutti gli Stati membri - per cui qualsiasi progetto di regolamento relativo all' impiego dei prodotti in esame, quando possa causare difficoltà tecniche di smaltimento o comportare costi di smaltimento eccessivi, debba essere portato a previa conoscenza in tempo utile della Commissione ( art . 3, n . 2, direttiva 75/442 );
b ) se il diritto soggettivo di cui alla lett . a ) (( relativo all' obbligo di portare alla previa conoscenza della Commissione qualsiasi progetto di regolamento, ecc ., come alla lett . a ) )) - ove esista - concerna anche gli atti generali che sono emessi dai comuni e che, quindi, hanno efficacia territoriale limitata ".
17 . Consegue da quanto da me espresso in relazione alla seconda questione che l' obbligo degli Stati membri di informare la Commissione dei progetti di misure ai sensi dell' art . 3, n . 2, della direttiva relativa ai rifiuti non ha effetto sospensivo, a differenza dell' obbligo di cui all' art . 8 della direttiva 83/189 e di quello di cui all' art . 93, n . 3, del trattato . La soluzione alla terza questione, lett . a ), è quindi che l' art . 3, n . 2, della direttiva relativa ai rifiuti non conferisce ai singoli diritti tutelabili dinanzi ai giudici nazionali . L' obbligo in esame sorge solo fra gli Stati membri e la Comunità . La terza questione, lett . b ), perde quindi il suo oggetto . Qualora essa vada risolta, allora, a mio parere, ogni obbligo ed ogni corrispondente diritto, per i motivi già esposti, dovrebbero riferirsi in egual modo a provvedimenti presi dalle autorità comunali e con limitato ambito di applicazione territoriale .
Quarta questione
18 . Con la quarta questione si chiede in sostanza se il diritto comunitario stabilisca che l' amministrazione debba pagare un risarcimento conseguentemente alla violazione di diritti tutelati dal diritto comunitario anche qualora la legge nazionale non contempli un tale risarcimento . Vista la risoluzione data alle questioni precedenti, non è necessario rispondere alla presente .
19 . Il giudice nazionale chiarisce che la questione viene posta perché l' esecuzione della decisione può essere sospesa secondo la legge italiana solo se essa può causare un danno grave ed irreparabile; ma il danno non sarebbe irreparabile se potessero essere risarciti i danni per le perdite causate dalla decisione . In quanto non appare altrimenti esperibile alcuna domanda per danni secondo la legge italiana, al giudice nazionale è parso necessario verificare se, in sostanza, l' ordinamento comunitario imponga ai giudici nazionali di accordare il risarcimento dei danni qualora la normativa comunitaria sia violata dalle autorità nazionali . Sono stati avanzati argomenti in tal senso dai ricorrenti e dal governo del Regno Unito . Ritengo che possa contestarsi, in base alla giurisprudenza della Corte, che quando la normativa comunitaria conferisce diritti ai singoli, i giudici nazionali debbano fornire una tutela appropriata ed effettiva rispetto alla violazione di tali diritti da parte delle autorità nazionali . Tuttavia, poiché, secondo l' orientamento da me espresso, la sola violazione che può rilevarsi in dipendenza delle questioni poste nella fattispecie è la mancata comunicazione alla Commissione ai sensi dell' art . 3, n . 2, della direttiva relativa ai rifiuti, omissione che non fa sorgere diritti soggettivi, non si pone in questo caso il problema della possibilità di proporre una domanda di risarcimento basata sul diritto comunitario .
Conclusione
20 . Pertanto, a mio parere le questioni poste dal tribunale amministrativo regionale della Lombardia vanno risolte nel modo seguente :
"1 ) La direttiva del Consiglio 75/442, relativa ai rifiuti, non conferisce ai singoli diritti di vendere o di utilizzare i prodotti di cui alla direttiva stessa .
2 ) L' art . 3, n . 2, della direttiva relativa ai rifiuti va interpretato nel senso che gli Stati membri devono informare in tempo utile la Commissione di ogni progetto avente per oggetto la prevenzione dei rifiuti; ciononostante, l' omessa comunicazione alla Commissione non conferisce ai singoli diritti su cui essi possano fondarsi dinanzi ai giudici nazionali ."
(*) Lingua originale : l' inglese .