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Document 61983CC0135
Opinion of Mr Advocate General Sir Gordon Slynn delivered on 8 November 1984. # The Administrative Board of the Bedrijfsvereniging voor de Metaalindustrie en de Electrotechnische Industrie. # Reference for a preliminary ruling: Raad van Beroep Zwolle - Netherlands. # Safeguarding of employees rights in the event of transfers of undertakings. # Case 135/83.
Conclusioni dell'avvocato generale Sir Gordon Slynn del 8 novembre 1984.
H.B.M. Abels contro Direzione della Bedrijfsvereniging voor de Metaalindustrie en de Electrotechnische Industrie.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Raad van Beroep Zwolle - Paesi Bassi.
Conservazione dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese.
Causa 135/83.
Conclusioni dell'avvocato generale Sir Gordon Slynn del 8 novembre 1984.
H.B.M. Abels contro Direzione della Bedrijfsvereniging voor de Metaalindustrie en de Electrotechnische Industrie.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Raad van Beroep Zwolle - Paesi Bassi.
Conservazione dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese.
Causa 135/83.
Raccolta della Giurisprudenza 1985 -00469
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1984:338
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
SIR GORDON SLYNN
dell'8 novembre 1984 ( 1 )
Signor Presidente,
signori Giudici,
Il rinvio pregiudiziale del Raad van Beroep (Tribunale competente in materia di previdenza sociale) di Zwolle, nei Paesi Bassi, effettuato a norma dell'art. 177 del trattato CEE, pone sul tappeto questioni di notevole importanza e difficoltà, sulle quali sono state espresse opinioni ampiamente discordanti tanto dinanzi al giudice quanto nella stampa specializzata. Dette questioni riguardano l'interpretazione della direttiva del Consiglio n. 77/187 (concernente il-rawicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti) e sono sorte nel modo seguente.
Il sig. Abels, attore nella causa principale, dal 1961 lavorava nei Paesi Bassi per la Machinefabriek Thole BV (in prosieguo: «Thole»). Nel 1981 pare che detta società si trovasse in difficoltà finanziarie. Il 2 settembre 1981 l'Arrondissementsrechtbank (tribunale) di Almelo accoglieva in via provvisoria l'istanza della Thole di essere autorizzata a sospendere il pagamento dei debiti. L'ordinanza diveniva definitiva il 17 marzo 1982. Il 9 giugno 1982, dopo che diversi dipendenti erano già stati licenziati, lo stesso tribunale dichiarava il fallimento della Thole e nominava un curatore. Questo stipulava un accordo con la Transport Toepassing en Produktie BV (in prosieguo: «TTP») società privata a responsabilità limitata, in base al quale questa avrebbe continuato l'attività della Thole dal 10 giugno 1982. L'Abels e la maggior parte degli altri dipendenti che lavoravano per la Thole al momento del fallimento venivano assunti dalla TTP il 10 giugno 1982. Né la Thole né la TTP avevano versato all'Abels tanto lo stipendio dal 1o al 9 giugno 1982 quanto gli arretrati per le ferie pagate relative all'anno iniziatosi il 1o luglio 1981, nonché la quota proporzionale della gratifica di fine anno che l'Abels sosteneva spettargli. Di conseguenza, l'Abels chiedeva il versamento di questi importi all'associazione professionale che — a suo parere — secondo la legge olandese era tenuta a versarli qualora egli non li avesse percepiti da altra fonte. L'associazione professionale contestava questa obbligazione allegando che, a norma dell'art. 1639 aa-bb del codice civile olandese, aggiunto con legge del 15 maggio 1981 per l'attuazione della direttiva n. 77/187, la TTP era debitrice di detti importi.
A norma dell'art. 3 della direttiva « i diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento ai sensi dell'art. 1, n. 1, sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario ».
La prima questione solleva il problema del se « il campo d'applicazione dell'art. 1, n. 1, della direttiva n. 77/187/CEE si estenda sino a comprendere il caso in cui il cedente dell'impresa è dichiarato fallito o ad esso è concessa la sospensione dei pagamenti ».
La stessa questione viene sollevata in due altre cause pendenti dinanzi alla Corte, la 179/83, Industriebond FNV e Federatie Nederlandse Vakbeweging I Stato olandese e la 186/83, Botzen I Rotterdamsebe Droogdok Maatschappij. Pare opportuno esaminare in questa causa tutti gli argomenti svolti in proposito (e nelle altre due richiamarsi alle presenti conclusioni) giacché tutte e tre le cause sono state discusse nello stesso giorno.
La versione inglese dell'art. 1, n. 1, recita: « This Directive shall apply to the transfer of an undertaking, business or part of a business to another employer as a result of a legal transfer or merger ». Alla lettera, ciò chiaramente comprende i trasferimenti diversi da quelli effettuati mediante contratto. La versione francese, tuttavia, si richiama ai trasferimenti mediante « cession conventionnelle » (cessione per contratto) benché la motivazione parli semplicemente di « cessions » e, se non erro, le versioni olandese, tedesca ed italiana hanno lo stesso senso (« overdracht krachtens overeenkomst », « vertragliche Übertragung », « cessione contrattuale »). La versione danese (« overdragelse ») a quanto pare è una via di mezzo, giacché comprende i trasferimenti tanto mediante donazione, quanto mediante contratto, ma non in forza di un provvedimento del giudice o per successione, benché includa l'acquisto dell'impresa dalla massa fallimentare (konkursbo). La versione danese mi pare sia al limite più vicina alla versiona francese che non all'inglese. In ogni caso, giacché non mi sembra che vi siano ragioni cogenti relative ai termini ed agli scopi della direttiva considerati nel loro complesso, per cui debba prevalere la versione inglese più ampia, la norma si dovrebbe intendere limitata ai trasferimenti mediante contratto, d'accordo con la maggioranza delle versioni (cause 49/81 e 50/81, Kaders /Hauptzollamt Hamburg-Waltershof e Hauptzollamt Hambiirg-Ericus, Race. 1982, pagg. 1917 e 1941, in ambedue i casi punto n. 9).
Ciò, sfortunatamente, complica il problema invece di semplificarlo, giacché stando alla versione inglese, la soluzione letterale, almeno, sarebbe semplice. Partendo dal principio che si deve trattare solo di un trasferimento per contratto, la Commissione sostiene che i trasferimenti risultanti da procedimenti fallimentari vanno esclusi, giacché non vi è un trasferimento consensuale vero e proprio. Il trasferimento dell'impresa fallita nell'ambito del procedimento concorsuale è una vendita forzata anziché una vendita stipulata liberamente dal venditore col compratore.
L'argomento contrario è che, giacché il fallimento non è espressamente escluso dalla definizione, si dovrebbe considerarlo incluso. Se, perciò, in una determinata fase vi è una vendita da parte della massa fallimentare (konkursbo) (come ad esempio in Danimarca) oppure da parte del curatore (come ad esempio in Inghilterra) il trasferimento effettuato con detta vendita è disciplinato dalla direttiva.
Non mi pare che l'uno o l'altro di questi argomenti letterali sia decisivo, benché siano entrambi plausibili.
Da un lato, la classificazione della vendita effettuata dai creditori o dal curatore come vendita « forzata » ignora il fatto che essi possono essere non solo disposti, ma anche ansiosi di vendere, la vendita può essere l'oggetto principale della liquidazione, fra l'altro se, come in Inghilterra, si tratta di una liquidazione voluta dagli azionisti. In base agli argomenti svolti, pare non sia chiaro fino a che punto, a norma dei vari diritti nazionali, si possa considerare realmente contrattuale la vendita effettuata nell'ambito di un procedimento di liquidazione.
L'argomento opposto pare che non tenga conto dell'intervento del giudice né degli atti di disposizione che questo può compiere o che possono essere imposti dalla legge in caso di liquidazione, anche se in una fase successiva vi è un trasferimento mediante contratto. Esso ignora pure il fatto che il procedimento di liquidazione è normalmente disciplinato da speciali norme, tanto in sede nazionale quanto nelle direttive comunitarie e ad esempio è escluso dalla convenzione sulle decisioni del 1968. Quindi non è linguisticamente corretto chiamare il passaggio in ultima istanza di un'impresa o di un'azienda dal proprietario ad un altro proprietario, in sede di liquidazione, una « cessione contrattuale ».
Non mi pare che l'argomento della Commissione, secondo cui gli artt. 3, n. 1, § 2, 4, n. 1 e 6, n. 1, dimostrano che il procedimento di liquidazione è escluso, corrobori irrefutabilmente o adeguatamente la tesi che essa adotta basandosi su considerazioni puramente letterali.
A norma del secondo comma dell'art. 3, n. 1, gli Stati membri possono disporre che, dopo il trasferimento, il cedente, come pure il cessionario, continueranno a rispondere delle obbligazioni sorte da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro. È stato sostenuto che ciò è irrilevante per il procedimento di liquidazione, giacché normalmente il cedente cesserà di esistere dopo la cessione. Tuttavia, questo articolo non è necessariamente di applicazione universale e, in ogni caso, anche una società solvibile può venir posta in liquidazione dopo la vendita dell'azienda o di una parte di questa.
A norma dell'art. 4, n. 1, il trasferimento dell'impresa non costituisce di per sé un motivo di licenziamento dei dipendenti da parte del cessionario o del cedente, pur se detti licenziamenti possono effettuarsi « per motivi economici, tecnici o di organizzazione che comportano variazioni sul piano dell'occupazione ». È stato sostenuto che questa deroga potrà sempre venir applicata per motivi economici in una liquidazione, cosicché la prima frase dell'art. 4, n. 1, è superflua. Questa non mi pare sia una conclusione logica, giacché se viene posta in vendita la parte attiva di un'impresa in liquidazione, non ci può essere un motivo economico valido per licenziare i dipendenti di quel settore dell'impresa.
Nemmeno mi pare che siano necessariamente superflue le disposizioni dell'art. 6, n. 1, a norma delle quali i rappresentanti del personale devono venir informati dei motivi del trasferimento, anche se i dipendenti possono essere in grado di comprendere in concreto i motivi del trasferimento.
Se ci rifacciamo alla cronistoria del provvedimento, noteremo che, a proposito del progetto originale (i cui am. 1, n. 1 e 3, n. 1, erano molto diversi dalla direttiva finale), il Comitato economico e sociale commentava:
« 1.7. Il Comitato suppone che la Commissione abbia preferito considerare tali problemi (ivi compresa l'ulteriore responsabilità del cedente per i debiti preesistenti) come originati essenzialmente in situazioni di insolvenza o di fallimento e che preferisca risolverli nel quadro del vasto lavoro che la Commissione stessa sta svolgendo in questo importante settore ».
Ciò mi pare indicare che la Commissione non intendeva comprendere la liquidazione nella proposta di direttiva. D'altro canto, il secondo comma dell'art. 3, n. 1, è nuovo e si può sostenere che comprenda la liquidazione — implicando la responsabilità tanto del cessionario quanto del cedente, pure se è discutibile se si riferisca alla liquidazione del primo o del secondo. Tuttavia mi pare più probabile che, se la Commissione avesse mutato parere, o il Consiglio avesse deciso di comprendere la liquidazione, ciò sarebbe risultato espressamente dalla direttiva.
Allorché è stata elaborata questa direttiva, vigeva la direttiva n. 75/129 (sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai licenziamenti collettivi, GU 1975, L 48, pag. 29). L'art. 1, n. 2, leu. d) stabilisce che la direttiva non si applica ai lavoratori colpiti dalla cessazione dell'attività dell'azienda allorché viene disposta mediante un provvedimento del giudice. Ciò pare escluda dalla direttiva le ipotesi in cui all'attività di una società viene posto termine con un provvedimento giurisdizionale in sede di liquidazione. Non mi pare che questa direttiva sia di alcuna utilità per accertare i propositi della direttiva n. 77/187.
Un'ulteriore direttiva (che doveva entrare in vigore solo dopo che erano accaduti tutti gli antefatti della presente causa e delle cause 179/83 e 186/83) è quella n. 80/987. Il sottotitolo recita « concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro » (GU 1980, L 283, pag. 23). Ciò implica che gli Stati membri devono istituire, salvo eccezioni, sistemi di garanzia affinché, in caso di insolvenza, i dipendenti possano percepire determinate somme loro spettanti. Ciò chiaramente comprende imprese in liquidazione per insolvenza, benché, come dimostra l'art. 2, n. 1, includa una gamma di procedimenti per insolvenza che va oltre la liquidazione in senso tecnico. Salvo indicare che si adottano provvedimenti speciali per quel che riguarda l'insolvenza, non mi pare che questo fornisca lumi diretti per la questione di cui ci occupiamo ora. Non c'è alcun riferimento espresso in questa, o in alcuna delle tre direttive, alle altre due. Nemmeno vi è alcuna forma di precisazione nella terza direttiva per quel che riguarda le aziende trasferite ad un'altra impresa, come sarebbe logico aspettarsi se la direttiva n. 77/187 fosse stata considerata pertinente alle imprese in liquidazione per insolvenza pur se la direttiva n. 80/987 mira a disciplinare soprattutto le situazioni nelle quali l'impresa è stata liquidata o ha cessato la sua attività senza trasferimento dell'azienda ad un'altra impresa. Il fatto che la direttiva n. 80/987 contempli una forma di tutela per i lavoratori i cui datori di lavoro sono insolventi potrebbe indurre a pensare che la direttiva n. 77/187 non si applica. Non credo che questo punto abbia gran peso, giacché può del pari venir considerato come mezzo supplementare di ricorso per il lavoratore se il cedente o il cessionario non gli paga la retribuzione o altre somme dovutegli.
È stato fatto richiamo alle normative nazionali degli Stati membri. Pur se è giusto tenerne conto per interpretare la direttiva, non direi che esse siano di grande utilità. Vi sono troppe divergenze e troppi dubbi. Infatti, mentre il Regno Unito e la Danimarca includono la liquidazione nelle loro leggi di attuazione, la Francia esclude i trasferimenti « dans le cadre d'une procedure de règlement judiciaire ou de liquidation des biens ». Il Lussemburgo include i trasferimenti diversi da quelli mediante contratto, ma esclude specificamente l'ipotesi della « déclaration en état de faillite ». I Paesi Bassi in un primo tempo hanno considerato le liquidazioni incluse nella normativa di attuazione, ma con un memorandum del 6 aprile 1983 il ministro della giustizia ha espresso il parere che dovrebbero venir considerate escluse. La legislazione belga ha dato origine a vivaci discussioni, pur se — a quanto risulta — l'opinione predominante è che le liquidazioni ne siano escluse. Le legislazioni tedesca ed italiana già in vigore andavano oltre la direttiva, pur se il paragrafo 613 (a) del codice civile tedesco è stato interpretato nel senso che esso include in linea di massima le insolvenze, ma non trasferisce al cessionario dell'impresa la responsabilità per debiti esistenti alla data del trasferimento.
Su questo sfondo piuttosto incerto, bisogna tener conto degli scopi della direttiva. La motivazione mette in evidenza che lo scopo è quello di tutelare i dipendenti ed in particolare di salvaguardare i loro diritti in caso di trasferimento. L'origine di questa esigenza è che « l'evoluzione economica implica, sul piano nazionale e comunitario, modifiche delle strutture delle imprese effettuate, tra l'altro, con trasferimenti di imprese, di stabilimenti o diparti di stabilimenti a nuovi imprenditori in seguito a cessioni contrattuali o a fusioni ».
Il governo danese sostiene che i dipendenti che hanno maggior bisogno di tutela solo quelli i cui datori di lavoro sono insolventi, e quindi la direttiva dovrebbe applicarsi alle liquidazioni. La Commissione e il governo olandese giungono invece alla conclusione diametralmente opposta. Essi sostengono che l'acquirente potenziale può venir distolto dall'acquisto di aziende insolventi, ma che si potrebbero salvare, se è obbligato ad accollarsi tutto il personale. L'unico modo di sanare l'azienda può essere quello di ridurre l'organico. È nell'interesse dei lavoratori complessivamente considerati che vengono compiuti questi tentativi di salvataggio, anche a costo di licenziare una parte dei dipendenti. In realtà, anche se non in teoria, il numero di posti che vengono meno può essere maggiore se gli acquirenti sono scoraggiati da una norma che impone loro di assumere il personale e rispondere di tutte le obbligazioni nei loro confronti. Per di più, la chiusura totale di un'azienda può far aumentare gli oneri per i fondi di garanzia. Nell'ipotesi opposta, cioè qualora il personale debba rimanere in servizio, si sostiene che altri creditori possono venir danneggiati, giacché il prezzo corrisposto per l'azienda sarà ridotto, lasciando un minor importo a disposizione dei creditori.
Anche se non è inevitabile che le vendite siano impedite qualora le aziende in liquidazione debbano venir trasferite con tutto il personale, mi pare probabile che ciò sia un rischio effettivo in molte ipotesi, o quantomeno potenziale. L'applicazione della direttiva ad imprese in buone condizioni può di per sé causare difficoltà, ma non mi pare probabile che queste siano così grandi come nell'ipotesi di imprese insolventi in liquidazione. Il risultato controproducente dell'applicazione della direttiva, che si profila come una reale possibilità, è talmente lontano dai suoi scopi che, in mancanza di altre chiare indicazioni, mi pare che l'intento non fosse di applicarla alle imprese in liquidazione. Il fatto che i trasferimenti di dette imprese non debbano essere inclusi mi pare coerente con la circostanza che la liquidazione è normalmente disciplinata da leggi speciali. Inoltre, il fatto che le norme e i procedimenti di liquidazione variano da uno Stato membro all'altro (come abbiamo visto in corso di causa) fa pure apparire piuttosto probabile l'adozione di un'apposita direttiva per quel che riguarda i trasferimenti ad opera di imprese soggette a dette procedure.
Si può ribattere che l'art. 4 può venir usato per giustificare licenziamenti di tutto o di parte del personale per motivi economici. Questo tuttavia mi pare un modo così tortuoso di affrontare il problema, che non penso si possa ammettere. Ancora una volta mi pare più probabile che questo tipo di questioni debba trattarsi, per quel che riguarda le liquidazioni, mediante un'apposita direttiva, come è stato per la direttiva n. 80/987.
La direttiva, se avesse stabilito espressamente che dei debiti preesistenti non doveva rispondere il cessionario, avrebbe compiuto un passo forse decisivo, nel senso che il rischio che l'acquirente potenziale fosse dissuaso dall'acquisto sarebbe stato ridotto. L'effetto limitato attribuito al trasferimento dai giudici tedeschi nell'interpretare l'art. 613 (a) del codice civile si rifletterebbe così nella direttiva. Per le ragioni esposte esaminando la seconda questione, non ritengo che un siffatto risultato scaturisca dall'art. 3, n. 1, della direttiva.
E stato sostenuto che, se le liquidazioni sono escluse dal campo d'applicazione della direttiva, sarà possibile alle imprese « costruire » l'insolvenza, in modo che i dipendenti possano venir licenziati prima del trasferimento dell'impresa cosicché nessuna obbligazione viene trasferita all'acquirente. Questo rischio esiste. Spetterà comunque ai giudici nazionali garantire che le imprese non eludano le disposizioni della direttiva, a meno che esse siano realmente insolventi. A questo scopo, un semplice provvedimento di liquidazione nel senso inglese, o il suo equivalente, non sarà sufficiente giacché la liquidazione può avvenire per motivi diversi dall'insolvenza. Se l'insolvenza di una società è controversa, la direttiva dovrebbe venir considerata non applicabile solo nei casi in cui il giudice competente ha formalmente accertato, a norma del diritto nazionale, che l'impresa in liquidazione è insolvente e che il trasferimento dell'azienda avviene come conseguenza.
A questo proposito è pure importante ricordare che l'art. 7 della direttiva fa espressamente salvo il diritto degli Stati membri di applicare o adottare leggi e regolamenti o norme amministrative più favorevoli ai dipendenti. A meno che e finché non vengano adottati provvedimenti particolari per tutelare la posizione dei dipendenti in caso di trasferimento di aziende dovuto ad insolvenza, gli Stati membri hanno quindi la facoltà di emanare norme nazionali che, secondo il loro giudizio, sono necessarie per tutelare i dipendenti. Questa norma mi pare sminuisca molto il valore dell'argomento secondo cui è impensabile, giacché devono essere protetti, che i dipendenti di imprese insolventi non possano essere stati compresi nella direttiva. Mi pare più probabile che improbabile, date le differenze tra le normative degli Stati membri in fatto di insolvenza e date le norme speciali che valgono in proposito, e non per le imprese in buone condizioni, che il trasferimento in questa situazione vada disciplinato da un'apposita direttiva, mentre nel frattempo gli Stati membri sono liberi di adottare i provvedimenti resi opportuni dalle circostanze in atto in ciascuno di essi.
La prima questione inoltre si riferisce alla sospensione dei pagamenti jussu judieis (« surséance van betaling ») benché la questione non sorga veramente nella presente causa, giacché la liquidazione è successiva al provvedimento in questo senso. Se non erro, questo provvedimento viene adottato dal giudice in via provvisoria a richiesta del debitore che ritiene di non essere in grado di pagare i debiti. Si nomina un amministratore e, nel frattempo, non si può chiedere il pagamento dei debiti (salvo quelli privilegiati o garantiti, ivi compresi quelli verso i dipendenti). L'amministratore deve approvare tutti gli atti amministrativi, ivi compreso il trasferimento di parti dell'impresa e il licenziamento di personale. Questo provvedimento provvisorio viene adottato senza istruttoria approfondita da parte del giudice, ma, dopo una nuova udienza alla quale i creditori vanno convocati, il giudice può adottare un provvedimento finale o definitivo. Pare che in molti casi, se le difficoltà finanziarie non sono superate, il provvedimento di sospensione finale è seguito dalla dichiarazione di fallimento.
Nel nostro caso, l'impresa è stata trasferita solo dopo l'emanazione di un provvedimento finale. La descrizione che ci è stata fatta dei diritti del proprietario dell'azienda, salvo assenso dell'amministratore, dimostra che la situazione è diversa da quella esistente in caso di liquidazione ed è molto più facile considerare la vendita dell'impresa da parte del proprietario come un trasferimento consensuale. Ciononostante mi pare che, una volta emesso il provvedimento finale, la portata del controllo giurisdizionale e la natura del procedimento, benché diverse dalla liquidazione, sono tali che le due cose dovrebbero essere trattate nello stesso modo, come sostiene il governo olandese. La vendita di un'impresa o di parte di essa può presentare gli stessi problemi della vendita in sede di liquidazione, se tutto il personale deve rimaner in servizio. Di conseguenza, per i motivi che mi pare inducano ad escludere i trasferimenti in caso di liquidazione per insolvenza, ritengo che il trasferimento conseguente ad un provvedimento finale di « surséance van betaling » esuli dalla direttiva. In proposito si deve ricordare che il progetto della Commissione per la convenzione in fatto di fallimento e di liquidazione comprende questo procedimento come uno degli « accordi, transazioni ed altri procedimenti » contemplati dall'atto.
E stato sostenuto che vi è il pericolo che il debitore ottenga un provvedimento provvisorio, trasferisca l'impresa, licenzi il personale e poi chieda la revoca del provvedimento stesso. Tenuto conto del fatto che non vi è istruttoria nella fase preliminare si può essere di opinione diversa per quel che riguarda il periodo fra il provvedimento provvisorio e quello definitivo. Giacché tuttavia il problema non si pone in alcuna di questa cause, e non è stato esaminato a fondo, lascerei aperta la questione se il trasferimento effettuato dopo un provvedimento semplicemente provvisorio ricada sotto la direttiva.
La seconda questione, nell'ipotesi in cui la prima venga risolta affermativamente, verte sul se l'art. 3, n. 1, della direttiva debba interpretarsi nel senso che le obbligazioni del cedente, che passano all'acquirente a motivo del trasferimento dell'impresa, includano anche i debiti derivanti dal contratto di lavoro o dal rapporto di lavoro anteriormente alla data del trasferimento ai sensi dell'art. l,n. 1.
Mi pare necessario considerare la questione in ogni caso in relazione con la soluzione data alla prima questione, anche se, a rigor di logica, data l'opinione che ho espresso, non sarebbe necessario risolverla.
Mi pare che se « esistente al momento del trasferimento » si riferisce « ai diritti e alle obbligazioni » o « al contratto di lavoro o al rapporto di lavoro » (e direi che si riferisce a quest'ultimo), esso comprende le obbligazioni del cedente nei confronti del personale alla data del trasferimento. L'intenzione è certamente di garantire per il futuro che l'acquirente abbia gli stessi diritti e le stesse responsabilità che incombevano al cedente nei confronti del personale, ma si intende pure che i diritti e le obbligazioni esistenti saranno trasferiti al nuovo proprietario. Se si fosse inteso soltanto sostituire l'acquirente al cedente ex nunc (cosicché il personale poteva pretendere di aver ad esempio lo stesso stipendio e la stessa anzianità) ed escludere i debiti già insorti (« vecchi ») si sarebbe dovuto usare un linguaggio completamente diverso. Come stanno le cose, non solo i debiti dell'acquirente che diventa il datore di lavoro per effetto del trasferimento (art. 2), ma anche quelli del cedente passano all'acquirente.
Questo modo di vedere mi pare confortato dalla versione inglese del secondo comma dell'art. 3, n. 1, che recita:
« Member States may provide that after the date of transfer within the meaning of article 1 (1) and in addition to the transferee, the transferor shall continue to be liable in respect of obligations which arose from a contract of employment or an employment relationship ».
L'uso dell'espressione « arose » indica chiaramente che delle obbligazioni esistenti al momento del trasferimento può venir reso responsabile il cedente, oltre al cessionario. Il secondo comma, in ogni caso, attribuisce agli Stati membri solo il potere discrezionale di addossare la responsabilità al cedente. Ciò conferma che l'acquirente è già responsabile (a mio parere) a norma del primo comma. Ad ogni modo sarebbe strano addossare alla società insolvente la responsabilità per debiti futuri dell'acquirente a meno che non si intendesse provvedere anche per l'eventuale insolvenza della società acquirente. Senza indicazioni specifiche nella motivazione o nel testo della direttiva, ciò mi pare improbabile.
L'interpretazione di questo comma ha naturalmente maggiore importanza di quanta ne abbia nei procedimenti di liquidazione giacché si applica in ogni caso ai trasferimenti tra imprese in buone condizioni. Se il cedente non ha versato lo stipendio dovuto alla data del trasferimento, o le spettanze per le ferie o simili, mi pare che l'intenzione sia che il dipendente abbia il diritto di rivolgersi al nuovo datore di lavoro piuttosto che agire nei confronti del vecchio datore di lavoro che può, anche se solvibile, essersi ritirato dagli affari o aver liquidato il proprio patrimonio, dopo il trasferimento. Lo scopo di tutelare il personale, a mio parere, impone che questo possa rivolgersi al nuovo datore di lavoro; il prezzo di vendita del trasferimento deve rispecchiare ogni potenziale o effettiva responsabilità dell'acquirente per effetto del trasferimento.
Aggiungo che, per le ragioni esposte nelle mie conclusioni 19/83, le obbligazioni trasferite si'riferiscono solo al personale che è alle dipendenze dell'impresa al momento del trasferimento.
In ogni caso, direi che le questioni sollevate dovrebbero venir così risolte:
1) |
La direttiva del Consiglio n. 77/187 non si applica al trasferimento di un'impresa, stabilimento o parte di esso allorché l'impresa o il proprietario dell'azienda o di parte di questa è stato dichiarato fallito o ha ottenuto un provvedimento finale che lo autorizza a sospendere i pagamenti (« surséance van betaling»). |
2) |
L'art. 3, n. 1, della direttiva n. 77/187 va interpretato nel senso che le obbligazioni del cedente nei confronti del personale in servizio alla data del trasferimento, che viene riassunto dall'acquirente a motivo del trasferimento dell'impresa, include i debiti che esistevano prima della data del trasferimento ai sensi dell'art. 1, n. 1, e che sono insorti dal contratto di lavoro o dal rapporto di lavoro con il cedente. |
Spetta al giudice nazionale pronunciarsi sulle spese delle parti nella causa principale; la Commissione e gli Stati membri, che hanno presentato osservazioni dovranno sopportare le spese rispettivamente incontrate.
( 1 ) Traduzione dall'inglese.