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Document 61981CC0054

    Conclusioni dell'avvocato generale VerLoren van Themaat del 21 gennaio 1982.
    Firma Wilhelm Fromme contro Bundesanstalt für landwirtschaftliche Marktordnung.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Verwaltungsgericht Frankfurt am Main - Germania.
    Premi di denaturazione indebitamente versati - Interessi di mora.
    Causa 54/81.

    Raccolta della Giurisprudenza 1982 -01449

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1982:15

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    PIETER VERLOREN VAN THEMAAT

    DEL 21 GENNAIO 1982 ( 1 )

    Signor Presidente,

    signori Giudici,

    1. Introduzione

    La causa Fromme, della quale oggi ci occupiamo, presenta un certo numero di aspetti che dovrebbero contrastare con il comune senso della giustizia. Manifestamente, anche il giudice di rinvio ha visto nelle domande di interessi di cui trattasi taluni elementi che stridono col suo senso della giustizia. Non tutti i contrasti col senso di equità possono tuttavia essere risolti in base al diritto comunitario. La stessa attrice nella causa principale, durante il procedimento dinanzi a questa Corte, ha ammesso che il giudice di rinvio, nelle sue questioni e nel relativo commento, ha fatto troppo affidamento sul diritto comunitario. In caso di possibili violazioni del sentimento di giustizia, come nella fattispecie, si tratta di operare una netta distinzione tra:

    a)

    la violazione dei principi giuridici del diritto nazionale, su cui questa Corte non può pronunziarsi nell'ambito di un procedimento ai sensi dell'art. 177 del Trattato;

    b)

    la violazione delle norme scritte e dei principi non scritti del diritto comunitario, compresi i limiti che esso pone alla validità o al contenuto delle norme giuridiche nazionali. La soluzione che darete alle questioni sottopostevi dovrà in particolare riferirsi a tale aspetto. Non solo l'attrice nella causa principale, ma anche la Commissione hanno, al riguardo, insistito affinché forniate a dette questioni una soluzione abbastanza precisa perchè il giudice di rinvio, in base ad essa, possa pronunciarsi su tutte le questioni pertinenti di diritto comunitario così sollevate;

    e)

    gli aspetti delle cause che non soddisfano il senso della giustizia e che solo il legislatore nazionale o comunitario potranno risolvere.

    Gli antefatti per Voi rilevanti sono i seguenti.

    Nel 1970 l'impresa Fromme riceveva dalla Bundesanstalt für landwirtschaftliche Marktordnung (BALM), un premio di DM 128497,62. Il pagamento dello stesso era effettuato in forza del regolamento del Consiglio n. 172/67 (GU 1967, pag. 2602), che stabilisce le norme generali in materia di denaturazione. Poiché dal controllo dei relativi documenti risultava che la Fromme aveva aggiunto, per la denaturazione, una quantità di coloranti blu inferiore a quella prescritta dal regolamento di attuazione (CEE) della Commissione n. 1403/69 (GU 1969, n. L 180, pag. 3), veniva chiesta, alla fine del 1977, la restituzione del premio. È pacifico che lo scopo della normativa sulla denaturazione, cioè l'esclusiva destinazione del frumento denaturato all'alimentazione del bestiame, era stato raggiunto nella fattispecie. Nondimeno, con decisione 8 dicembre 1977, veniva chiesta la restituzione del premio, e la Fromme ottemperava a tale richiesta. Per questo motivo, il procedimento che è all'origine del presente rinvio non concerne detta domanda principale. Nel 1980, la BALM esigeva inoltre gli interessi sul premio indebilamente pagato, i quali, in ragione del periodo di tempo intanto trascorso, ammontano complessivamente, secondo l'attrice nella causa principale, al 70-80 % della somma principale. Le questioni sottopostevi dal giudice di rinvio si riferiscono esclusivamente alla domanda di interessi.

    Quest'ultima si basa sull'art. 11, n. 1, 2o comma, del decreto 8 agosto 1968 del ministro tedesco dell'agricoltura, concernente il premio per la denaturazione dei cereali, modificato dal decreto 14 febbraio 1973 dello stesso Ministro, relativo all'adeguamento delle norme in materia di interessi contenute nei decreti di attuazione delle organizzazioni comuni di mercato. Quest'ultimo decreto si basa sulla legge 31 ottobre 1972, relativa all'attazione delle organizzazioni comuni di mercato (OCM).

    La questione essenziale che siete chiamati a risolvere nel presente procedimento è se una normativa come quella vigente nella Repubblica federale di Germania sia compatible con il diritto comunitario. Il suddetto decreto sugli interessi contempla, in caso di ripetizione di premi indebitamente pagati, come nella fattispecie, un tasso fisso di interesse, per il periodo dal versamento del premio alla sua restituzione (nel caso di specie, circa 7 anni), superiore del 3 % al tasso di sconto della Deutsche Bundesbank e pari almeno al 6,5 %.

    Le norme tedesche di cui trattasi sono a loro volta basate sul — o quanto meno devono essere valutate con riguardo al — regolamento del Consiglio n. 729/70 (GU 1970, L 94, pag. 16), che recita, in particolare, all'art. 8:

    1.

    Gli Stati membri adottano, in conformità delle disposizioni legislative, regolementari ed amministrative nazionali, le misure necessarie per:

    accertare se le operazioni del Fondo siano reali e regolari,

    prevenire e perseguire la irregolarità,

    recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o di negligenze.

    Gli Stati membri informano la Commissione delle misure adottate a tal fine e in particolare dello stato delle procedure amministrative e giudiziarie.

    2.

    In mancanza di recupero totale, le conseguenze finanziarie delle irregolarità ó negligenze sono sopportate dalla Comunità, salvo quelle risultanti da irregolarità o negligenze imputabili alle amministrazioni o agli organismi degli Stati membri.

    Le somme recuperate sono versate ai servizi o agli organismi pagatori e da questi detratte dalle spese finanziate dal Fondo.

    3.

    Il Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, adotta le norme generali di applicazione del presente articolo».

    Nessuna norma di attuazione ai sensi del n. 3 di questo articolo è stata ancora adottata, il che deve essere fermamente deplorato dal punto di vista dell'efficacia e dell'uniformità della lotta alle frodi in tutti gli Stati membri. Ritornerò ancora

    su questo punto in relazione a determinati aspetti della normativa sugli interessi di cui trattasi. Il regolamento (CEE) della Commissione n. 1403/69 (GU 1969, L 180, pag. 3) contiene, è vero, norme per l'attuazione del regolamento del Consiglio, ma su punti diversi da quelli in causa.

    Il Tribunale amministrativo di Francoforte sul Meno ha sospeso il procedimento nella causa principale per sottoporvi le seguenti questioni:

    1)

    Se sia compatibile con il Trattato che istituisce la Comunità economica europea il fatto che la Repubblica federale di Germania, senza esservi autorizzata da una norma di diritto comunitario, riscuota, su premi di denaturazione indebitamente pagati, interessi che vengono calcolati dal giorno del pagamento e il cui tasso è uguale al vigente tasso di sconto della Deutsche Bundesbandk più 3 %, ma non inferiore a 6,5 %.

    2)

    In caso di soluzione negativa:

    Se la Repubblica federale possa riscuotere interessi come quelli menzionati sub 1) in base all'art. 8, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 21.4. 1970, n. 729, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU L 94 del 28. 4. 1970, pag. 13).

    3)

    In caso di soluzione negativa:

    Se esista un'altra disposizione o un principio generale di diritto comunitario da cui risulti un'autorizzazione in tal senso.

    2. Analisi delle questioni

    L'attrice nella causa principale, il Governo federale tedesco e la Commissione, nelle loro osservazioni scritte, rilevano concordemente che dalle questioni sottopostevi e dalle considerazioni giuridiche svolte in proposito dal giudice di rinvio ed esposte nella relazione d'udienza emerge un equivoco di fondo circa il rapporto generale tra il diritto comunitario e quello nazionale nel campo dell'organizzazione dei mercati agricoli. Nello stato attuale del diritto comunitario non si può definire tale rapporto affermando che il legislatore nazionale è esclusivamente competente in questo campo purché sia stato all'uopo espressamente autorizzato dal diritto comunitario. Nel risolvere le questioni, bisognerà tener conto di tale equivoco. Poiché quest'ultimo è alla base di tutte le questioni sottopostevi, i criteri interpretativi per il giudice di rinvio dovranno essere formulati in modo più o meno indipendente dalle questioni. In questa occasione si dovranno tuttavia esaminare tutte le questioni di diritto comunitario emerse nel corso del procedimento e rilevanti per il giudice di rinvio.

    Per poter fornire un'utile soluzione al giudice di rinvio, le questioni possono pertanto essere così riformulate:

    «Se la competenza degli Stati membri a riscuotere, in caso di ripetizione, su premi di denaturazione indebitamente pagati, interessi calcolati dal giorno del pagamento del premio ad un tasso superiore del 3 % al vigente tasso di sconto della banca centrale di cui trattasi, ma non inferiore al 6,5 %, possa essere limitata:

    1.

    dal Trattato che istituisce la Comunità economica europea;

    2.

    dall'art. 8, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU 1970, L 94, 28. 4. 1970, pag. 13), ovvero

    3.

    da altre norme o principi generali del diritto comunitario».

    Tratterò tali questioni nell'ordine seguente. Dato l'equivoco che emerge, su questo punto, da tutte le questioni, esaminerò innanzitutto taluni principi fondamentali del diritto comunitario concernenti l'attuazione della politica agricola comune da parte delle autorità nazionali. Quindi accerterò in che misura l'art. 8 del regolamento n. 729/70 porti, al riguardo, a conclusioni diverse.

    Successivamente mi soffermerò sui due limiti più importanti che, in tutte le osservazioni scritte, sono stati ricavati dalla Vostra giurisprudenza, anche se con risultati divergenti per la presente causa. Infine, relativamente alla terza questione, valuterò se da norme o principi generali del diritto comunitario diversi da quelli considerati nella Vostra giurisprudenza precedentemente analizzata risultino ulteriori limiti per le autorità nazionali. In particolare, affronterò a tale proposito la questione dell'applicazione, nel caso di specie, del principio di proporzionalità elaborato in altri contesti dalla Vostra giurisprudenza.

    3. I principi fondamentali del diritto comunitario in materia di attuazione della politica agricola comune da parte delle autorità nazionali

    In tutte le osservazione scritte è stato rilevato che il giudice di rinvio, stando alla formulazione delle questioni proposte, parte, erroneamente, dall'idea che gli Stati membri possano riscuotere interessi, in caso di ripetizione di premi indebitamente pagati, soltanto se espressamente a ciò autorizzati dal diritto comunitario.

    In generale, si può già desumere dall'art. 5, prima frase, del Trattato CEE l'obbligo degli Stati membri da adottare i provvedimenti di carattere generale o particolare atti a garantire l'attuazione dei regolamenti in materia di politica agricola comune. In proposito non occorre alcuna autorizzazione.

    Già nelle sentenze nelle cause Bollmann (causa 40/69, Racc. 1970, pag. 69), e Krohn (causa 74/69, Racc. 1970, pag. 451), la Corte ha chiarito che tali provvedimenti nazionali di attuazione non possono compromettere, modificare o ampliare la portata dei regolamenti comunitari. Nella sentenza in causa Balkan-Import-Export (causa 118/76, Racc. 1977, pag. 1177) avete ribadito tale limitazione alla competenza nazionale. Essa può essere considerata come una precisazione del 2o comma dell'art. 5 del Trattato CEE.

    Per quanto riguarda la problematica in esame, avete concretizzato tale principio nella sentenza Lippische Hauptgenossenschaft (cause 119 e 126/79, Racc. 1980, pag. 1863) dichiarando che, per quanto concerne la concessione di premi, spetta alle autorità nazionali chiedere la restituzione di qualsiasi premio indebitamente pagato (punto 7 della motivazione). Dalla parte successiva della Vostra sentenza si deve desumere che questa competenza degli Stati membri non riguarda solo l'adozione di misure procedurali per le richieste di restituzioni, mentre sarebbe riservata esclusivamente alla Comunità le fissazione di condizioni sostanziali. Voi avete specificato solo che le autorità nazionali devono procedere in materia con la stessa diligenza impiegata nella messa in opera di legislazioni nazionali corrispondenti, così da evitare qualsiasi pregiudizio all'efficacia del diritto comunitario (punto 8). L'imposizione di termini di prescrizione o di decadenza è stata ritenuta dalla Corte, in proposito, ammissibile. Richiamandovi al principio, contenuto nell'art. 5 del Trattato, secondo cui i provvedimenti nazionali di attuazione non possono compromettere il diritto comunitario, avete dichiarato nella sentenza Ferwerda (causa 265/78, Racc. 1980, pag. 617) che è compito degli Stati membri designare il giudice competente e stabilire le modalità procedurali, le quali non possono tuttavia essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni nazionali né, in alcun caso, essere tali da rendere praticamente impossibile l'esercizio dei diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare (punto 10). Nel punto 17 della Vostra sentenza Express Dairy Foods (causa 130/79, Racc. 1980, pag. 1887) avete dichiarato, mantenendo la stessa rotta, che spetta agli Stati membri, ed in particolare ai giudici nazionali, risolvere le questioni accessorie al problema dei pagamenti indebiti, comprese quelle relative al pagamento di interessi.

    Nella Vostra giurisprudenza è tuttavia enunciato, accanto all'imperativo dell'efficacia ed al divieto di compromettere, modificare o ampliare la portata del diritto comunitario, anche un divieto di discriminazione. Quest'ultimo ha chiaramente un carattere più specifico del divieto di «qualsiasi discriminazione fra produttori o consumatori della Comunità», di cui all'art. 40, n. 3, 2o comma, del Trattato CEE. È vero che tale divieto di discriminazione, inteso a garantire la tutela giuridica di tutti gli operatori economici della Comunità, si applica anche ai provvedimenti nazionali di attuazione dell'organizzazione comune dei mercati agricoli. Nella giurisprudenza qui considerata, il divieto di discriminazione si traduce nell'equiparazione dei provvedimenti di attuazione del diritto comunitario ad altre norme nazionali analoghe. Nella sentenza Ferwerda (causa 265/78, Racc. 1980, pag. 617), al punto 12, Vi siete così espressi: «il rinvio espresso alle legislazioni nazionali è soggetto agli stessi limiti posti al rinvio implicito riconosciuto necessario in mancanza di normativa comunitaria, nel senso che la legislazione nazionale deve essere applicata in modo non discriminatorio rispetto ai procedimenti di risoluzione delle controversie dello stesso genere, ma puramente nazionali». Inoltre, al punto 8 della stessa sentenza avete già enunciato un divieto di discriminazione per quanto riguarda i presupposti di forma e di sostanza a cui è subordinata la possibilità per le amministrazioni degli Stati membri di riscuotere le imposizioni di cui trattasi e, se del caso, di ottenere la restituzione dei benefici finanziari concessi irregolarmente. Nella sentenza Express Dairy Foods (causa 130/79, Racc. 1980, pag. 1887), al punto 12, avete del pari dichiarato «che l'applicazione delle norme interne deve avvenire in modo non discriminatorio rispetto ai procedimenti puramente nazionali, intesi alla definizione di controversie dello stesso tipo». Nella sentenza Lippische Hauptgenossenschaft (cause 119 e 126/79, Race. 1980, pag. 1863) avete invece affermato: «Spetta ... alle autorità nazionali valutare, secondo le norme ed i principi del proprio diritto nazionale, una situazione del genere di quella sottoposta all'apprezzamento del Verwaltungsgericht, rimanendo comunque fermo che esse non possono trattare diversamente situazioni disciplinate dal diritto comunitario e situazioni analoghe cui si applichi il solo diritto nazionale».

    Dalla Vostra giurisprudenza deduco pertanto, in primo luogo, che la prassi nazionale di attuazione non può compromettere l'efficacia del diritto comunitario e non può quindi essere meno efficace della prassi di attuazione relativa ad analoghe normative nazionali. Ciò risulta, in particolare, dal punto 8 della sentenza Lippische Hauptgenossenschaft. Dall'altro lato, mi sembra che dalle citate considerazioni svolte nelle sentenze Ferwerda, Express Dairy Foods, Lippische Hauptgenossenschaft derivi che gli amministrati non possono essere trattati in modo più sfavorevole rispetto al caso in cui si applichino norme analoghe puramente nazionali. Poiché sussistono notevoli divergenze di opinione sull'esatto significato del divieto di discriminazione nel caso di specie, esaminerò ancora, nel contesto della terza questione a Voi sottoposta, in quale misura siano qui possibili ulteriori precisazioni. Inoltre, mi soffermerò nuovamente sul problema dell'efficacia, tenendo conto degli argomenti dedotti nel corso del procedimento.

    4. Le norme di competenza di cui all'art. 8 del regolamento (CEE) n. 729/70

    I principi suddetti, che risultano dalla Vostra precedente giurisprudenza, valgono naturalmente purché il diritto comunitario non disponga diversamente. Pertanto, esaminerò adesso in quale misura l'art. 8 del regolamento (CEE) n. 729/70 consenta di pervenire a conclusioni diverse oppure di precisare i principi finora analizzati.

    Nelle cause 146, 192 e 193/81 (BayWa e Raiffeisenbankgenossenschaft) lo stesso giudice di rinvio ha al riguardo sollevato, tra l'altro, la seguente questione: «Se l'art. 8 del regolamento (CEE) n. 729/70 ... imponga agli Stati membri l'obbligo di ripetere in ogni caso i premi di denaturazione illegittimamente attribuiti, ovvero detto regolamento lasci agli Stati membri la possibilità di rimettere, mediante norme nazionali, alla discrezione delle competenti autorità la ripetizione nel caso singolo».

    Poiché la trattazione orale di queste cause più recenti non aveva ancora avuto luogo al momento della stesura di queste conclusioni, non si può tener qui alcun conto di quanto risulterà in quella sede. Per contro, la sentenza nella presente causa potrà forse tenerne conto. La questione proposta nella presente causa riguardo all'art. 8 è basata sullo stesso equivoco circa la ripartizione delle competenze che ho già rilevato in precedenza. Non si tratta del se l'art. 8 contenga un'autorizzazione, bensì del se esso comporti limitazioni della competenza nazionale che si allontanano dai suddetti principi generali risultanti dalla Vostra giurisprudenza.

    Il testo dell'art. 8 precisa comunque il già citato obbligo generale sancito dall'art. 5 del Trattato CEE. In base allo art. 8, gli Stati membri devono adottare, fra l'altro, in conformità alle disposizioni legislative nazionali, «le misure necessarie» per ...

    «...

    ...

    recuperare le somme perse a seguito di irregolarità o di negligenze».

    Lo stesso articolo dispone inoltre, al n. 2, che le somme recuperate devono essere versate agli uffici o agli enti che hanno effettuato il pagamento, mentre tali uffici o enti detraggono detti importi dalle spese finanziate dal Fondo.

    Il Consiglio non ha fatto uso della facoltà, di cui al n. 3, di adottare norme generali di attuazione dell'art. 8, nonostante la Commissione gli abbia presentato una proposta concernente, per l'appunto, la questione del calcolo degli interessi, di cui trattasi nella presente causa.

    Al pari della Commissione, non mi è possibile riscontrare nel testo dell'art. 8 alcun elemento che escluda la competenza degli Stati membri, risultante dalla giurisprudenza sopra citata, a disciplinare anche il pagamento di interessi in caso di ripetizione di quanto pagato. Giustamente la Commissione rileva, inoltre, che neanche il regolamento del Consiglio 7 febbraio 1972, n. 283 (GU 1972, L 36, pag. 1), relativo alle irregolarità ed al recupero, che si applica del pari nella fattispecie, contiene alcuna norma restrittiva. Dalla Vostra giurisprudenza, in particolare dalle sentenze Roquette (causa 26/74, Racc. 1976, pag. 677) ed Express Dairy Foods (causa 131/77, Race. 1980, pag. 1887), si può pertanto dedurre che gli Stati membri sono, in via di principio, competenti a disciplinare il pagamento degli interessi. Anche al riguardo valgono quindi i già citati limiti, nel senso che tale disciplina non può pregiudicare, modificare o ampliare la portata delle norme comunitarie, in questo caso dell'art. 8 del regolamento (CEE) n. 729/70. Come la Commissione, sono del parere che l'attrice nella causa principale ed il giudice di rinvio, nella sua ordinanza, diano erroneamente, sotto questo profilo, un'interpretazione restrittiva e letterale all'art. 8. In base a tale interpretazione potrebbe essere chiesta la restituzione dei soli importi indebitamente pagati.

    Già nella causa Paesi Bassi e/Commissione (causa 11/76, Race. 1979, pag. 245) la Corte ha dichiarato (punto 6) che «il testo dell'art. 8, nelle sue varie versioni linguistiche, risulta ... sotto vari aspetti troppo contraddittorio ed equivoco per poter fornire la soluzione delle questioni [allora] controverse». Nel punto successivo ha affermato «che l'art. 8 stabilisce i principi secondo cui la Comunità e gli Stati membri debbono organizzare la lotta contro le frodi e le altre irregolarità relative alle operazioni finanziate dal FEAOG; esso contempla tanto misure intese al recupero degli importi indebitamente corrisposti, quanto procedimenti amministrativi e giudiziari a carico dei responsabili».

    A questo proposito, la Commissione sostiene giustamente, a mio parere, che in sede di valutazione dei provvedimenti di attuazione nazionali, assume rilievo, in primo luogo, la loro efficacia dal punto di vista degli scopi dell'art. 8 quali sono stati precisati dalla Corte.

    Infine, l'attrice nella causa principale, soprattutto nel corso della fase orale, ha sottolineato particolarmente la constatazione del giudice di rinvio secondo cui gli interessi richiesti non vengono versati alla Comunità, ma sono incassati dalla Repubblica federale. Ci si potrebbe, effettivamente, chiedere se ciò sia compatibile con quanto disposto, al n. 2, dall'art. 8. Ciononostante, condivido l'opinione del Governo federale tedesco e della Commissione, secondo cui questo punto non ha alcuna importanza per quanto concerne i rapporti tra l'attrice nella causa principale e la BALM. Per tale rapporto ha rilevanza solo la prima parte del suddetto n. 2, e non anche le relazioni, disciplinate alla fine di tale paragrafo, tra gli enti esecutivi nazionali ed il FEAOG.

    L'art. 8 non getta alcuna nuova luce sui due limiti generali imposti dal diritto comunitario relativamente ai provvedimenti nazionali di attuazione, limiti riconosciuti in via di principio in tutte le osservazioni scritte (divieto di compromettere la portata del diritto comunitario e non discriminazione). A tale proposito l'art. 8 lascia inalterati i principi generali contenuti nella Vostra giurisprudenza. Come già annunciato, ritorno ancora sulla questione della misura in cui tali principi generali devono essere precisati per una situazione quale la presente.

    A parte, nelle considerazioni sulla terza questione, da me modificata, del Verwaltungsgericht, esaminerò inoltre in quale misura dal testo dell'art. 8 si possa dedurre che il principio di proporzionalità, illustrato in altre parti della Vostra giurisprudenza, deve essere del pari applicato al caso di specie e quale importanza possa essegli attribuita.

    5. Puntualizzazione dei limiti generali, stabiliti nella giurisprudenza, per la situazione in esame

    5.1.

    Relativamente alla questione se i provvedimenti tedeschi di attuazione pregiudichino, modifichino o amplino la portata dell'art. 8 del regolamento (CEE) n. 729/70, che si applica alla fattispecie, affronterò ancora, dopo quanto già detto, solo l'importante questione se dal citato art. 8 si possa dedurre un qualunque limite massimo per gli interessi da richiedere. Il rappresentante del Governo federale tedesco lo ha escluso in termini abbastanza decisi, nel corso della fase orale. A suo avviso, dal punto di vista della prevenzione, gli interessi potrebbero non essere abbastanza elevati. La Commissione si è limitata a sostenere che la normativa sugli interessi deve essere efficace («wirksam») e che, comunque sia concepita, essa è indispensabile per l'efficace applicazione dell'art. 8. Alla fine della fase orale, il rappresentante della Commissione ha tuttavia ammesso che il tasso di interesse non può essere fissato in misura eccessivamente elevata, per esempio al 30 %. Un tasso di interesse che si discostasse notevolmente dal livello generale degli interessi nello Stato membro interessato comporterebbe, anche a mio parere, pericoli per la pace giuridica, nonché l'eventualità che gli operatori economici, a causa dei rischi eccessivi, rinuncino alla denaturazione. Sotto questo profilo il tasso di interesse è così limitato, a mio parere, dal divieto di discriminazione di cui devo ancora trattare.

    L'attrice nella causa principale ha tuttavia sostenuto un'altra tesi, cioè che gli interessi possono essere chiesti solo qualora l'interessato abbia tratto un vantaggio dal premio indebitamente percepito, e che si deve inoltre tener conto di altri aspetti particolari del caso concreto. Al riguardo bisognerebbe pensare alla mancanza di dolo o al carattere minimo e puramente formale dell'irregolarità di cui trattasi.

    Ora, la Corte ha effettivamente dichiarato ammissibile, nella causa Balkan-Import-Export, la clausola nazionale di equità e, nella causa Ferwerda, l'applicazione di un principio della certezza del diritto in base al quale non può essere chiesta la restituzione di somme percepite in buona fede.

    Al punto 10 della sentenza Lippische Hauptgenossenschaft, relativamente al principio della prescrizione, avete inoltre affermato che il diritto comunitario non limita la facoltà delle autorità nazionali competenti di applicare al recupero di benefici indebitamente concessi in forza di una normativa comunitaria i limiti che possono eventualmente risultare dall'applicazione di principi generali riconosciuti dal diritto nel paese interessato. A questa affermazione, tenuto conto di quanto dichiarato nelle cause Balkan e Ferwerda, si potrebbe senz'altro attribuire, a mio parere, un significato più generale, che va al di là del campo della prescrizione.

    In tutte queste cause precedenti si trattava però della declaratoria di ammissibilità di normative nazionali. Qualora in diritto tedesco vigessero siffatti principi generali, sarebbe forse possibile richiamarvisi in base al principio di non discriminazione. I principi di cui alle suddette sentenze non sono tuttavia principi di diritto comunitario, bensì principi di diritto nazionale considerati ammissibili.

    Ciò che deve essere ancora esaminato nella presente causa, oltre al significato da attribuire nella fattispecie al divieto di discriminazione, è la questione se nel caso specifico si possa anche far ricorso al principio di proporzionalità elaborato nella Vostra giurisprudenza relativa ad altri settori della politica agricola comune. Come già detto, ritornerò su tale questione nelle parti successive di questo paragrafo delle mie conclusioni.

    5.2.

    Relativamente al principio di non discriminazione, dalla Vostra giurisprudenza ho dedotto che, in sede di applicazione del diritto comunitario e quindi anche in sede di ripetizione di somme indebitamente pagate in base al diritto comunitario, gli amministrati non possono essere trattati né più favorevolmente, né più sfavorevolmente di quanto lo siano di solito in sede di applicazione di disposizioni puramente nazionali. Non è certo compito di questa Corte fornire al giudice di rinvio chiarimenti sulla questione, dibattuta durante il procedimento, delle norme nazionali con le quali si dovrebbe fare il confronto nel caso presente. Si tratta di una questione che dovrà essere risolta in base al diritto nazionale. Mi sembra tuttavia del tutto possibile, prendendo lo spunto dalle considerazioni sistematiche esposte dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte ed orali, fornire taluni ulteriori chiarimenti astratti basati sulla Vostra giurisprudenza.

    Per cominciare, mi sembra che l'opinione della Commissione, secondo cui la natura propria del diritto comunitario ed i particolari problemi di controllo che si pongono nel caso presente giustificano una normativa più rigorosa in materia di interessi, non sia del tutto conciliabile con il principio di non discriminazione che avete formulato con la massima chiarezza nelle cause Express Dairy Foods e Lippische Hauptgenossenschaft.

    All'udienza il rappresentante della Commissione ha articolato il suo punto di vista in quattro parti.

    In primo luogo, il diritto comunitario osterebbe a che gli sia riservato un trattamento peggiore di quello accordato dal diritto nazionale che si applica ad analoghi fatti nazionali. Per contro, un trattamento più favorevole di quello contemplato da analoghe norme puramente nazionali in materia di interessi non potrebbe essere affatto criticato dal punto di vista del diritto comunitario. Questo primo elemento della tesi della Commissione mi sembra, come già detto, incompatibile con le Vostre sentenze da ultimo citate. Anche l'argomento addotto a sostegno di tale elemento, cioè che in tal modo potrebbe essere favorita un'armonizzazione con il diritto degli altri Stati membri, mi sembra insostenibile. In primo luogo, in una sentenza relativa all'art. 92 (cause 6 e 11/69, tassi di risconto francesi, Racc. 1969, pag. 523) avete respinto tale armonizzazione dei tassi di interesse in quanto falserebbe la concorrenza. Anche se allora si trattava di una armonizzazione verso il basso, ciò vale anche per quanto concerne l'allineamento dei tassi di interesse sui tassi più elevati in vigore in altri Stati membri. Delle differenze nei tassi di interesse specifici che si discostino dalle differenze dei tassi d'interesse generali tra gli Stati membri, portano a distorsioni della concorrenza ai sensi dell'art. 92 (allineamento verso il basso) o dell'art. 101 (allineamento verso l'alto) del Trattato CEE. Infatti, benché l'armonizzazione delle norme sugli interessi sia auspicabile, gli Stati membri non sono in grado di effettuarla, come risulta dalle dichiarazioni fatte in corso di causa dal Governo federale e dalla Commissione a proposito della mancanza di chiare direttive generali. Del resto, questo non è neanche loro compito. Solo il Consiglio, in base all'art. 8, n. 3, del regolamento di cui trattasi, sarebbe in grado ed avrebbe il potere di farlo. A questo proposito rinvio anche al punto 12 della Vostra già citata sentenza in causa Express Dairy Foods. Il Consiglio dovrebbe inoltre, in sede di armonizzazione dei tassi di interesse specifici di cui trattasi, evitare specifiche distorsioni, derivanti dalle divergenze, variabili da uno Stato membro all'altro, rispetto al tasso d'interesse generale. La misura di un aumento uniforme del tasso d'interesse normale, eventualmente ritenuto necessario, in caso di domande di restituzione del genere, sarebbe limitata dalle esigenze dell'interesse comunitario.

    Come seconda precisazione, la Commissione ha dedotto, in udienza, che un motivo per una differenziazione obiettiva dei tassi di interesse potrebbe risiedere nel fatto che l'applicazione del diritto comunitario è essenzialmente più difficile e solleva problemi di controllo più gravi rispetto all'attuazione del diritto amministrativo nazionale, poiché implica la collaborazione di due autorità appartenenti a ordinamenti giuridici differenti. Relativamente a tali precisazioni, io dubito innanzitutto che la ripetizione di premi di denaturazione pagati in contrasto col diritto comunitario sia effettivamente più difficile della ripetizione di sussidi, spesso molto più elevati, pagati ad imprese industriali in violazione del diritto comunitario o del diritto nazionale. Dagli atti sembra tuttavia risultare che nella Repubblica federale di Germania, per quanto concerne la ripetizione di sussidi di quest'ultimo tipo, indebitamente pagati, sono in vigore norme sugli interessi meno rigorose. A parte ciò l'idea che l'osservanza del diritto comunitario debba, essere garantita, per i citati motivi istituzionali, mediante sanzioni più severe rispetto a quelle stabilite per assicurare il rispetto del corrispondente diritto economico nazionale, mi sembra in via di principio criticabile e tale da non favorire il recepimento del diritto comunitario negli Stati membri. Anche qui va sottolineato che, in quanto differenze di contenuto o interessi comunitari particolari richiedano sanzioni più severe in caso di irregolarità, ciò dovrebbe trovare espressione in un regolamento di attuazione ai sensi dell'art. 8, n. 3.

    Nemmeno la terza precisazione che la Commissione ha fatto nel corso della fase orale, cioè che sarebbe ammissibile l'allineamento su tassi di interesse dall'8 % al 12 %, che lo stesso diritto comunitario stabilisce in altri settori, mi sembra compatibile con i principi formulati nella Vostra giurisprudenza.

    Infine, lo stesso vale, a mio parere, anche per il quarto elemento — menzionato dalla Commissione — del divieto di discriminazione sancito dalla Vostra giurisprudenza, ammesso che tale elemento aggiunga ancora qualcosa di nuovo ai primi tre. La Commissione ha sostenuto al riguardo che un tasso di interesse fisso o fittizio, stabilito nell'ambito di una particolare normativa di attuazione del diritto comunitario e che si discosti dal livello generalmente vigente nell'ordinamento nazionale, non crea alcuna diseriminazione.

    Ciascuna delle precisazioni che la Commissione ha suggerito ai fini della soluzione da fornire al Verwaltungsgericht di Francoforte, mi sembra quindi incompatibile con la Vostra giurisprudenza. Del resto, precisazioni così dettagliate nella Vostra risposta non mi sembrano né indispensabili, né auspicabili. Tuttavia, poiché la Vostra giurisprudenza sembra rendere possibili tali interpretazioni criticabili, credo che essa abbisogni di talune precisazioni. Così, potreste precisare che gli amministrati, in caso di ripetizione di importi da essi indebitamente percepiti e per quanto concerne il calcolo dei relativi interessi, non possono essere trattati in modo né più favorevole, né più sfavorevole rispetto a quanto avverrebbe in base alle norme giuridiche nazionali ed ai principi generali del diritto che si applicano a fattispecie sostanzialmente analoghe, rientranti nella sfera del diritto puramente nazionale.

    5.3.

    Affronto ora, come già enunciato, la questione se il principio di proporzionalità, elaborato nella Vostra giurisprudenza i relazione a vari campi del diritto comunitario, possa essere rilevante anche per la presente problematica in quanto principio generale di diritto comunitario. A parte numerose sentenze relative al settore della politica agricola, tale principio è stato elaborato, in particolare, nella Vostra giurisprudenza concernente l'applicazione delle clausole di salvaguardia. Inoltre esso viene applicato regolarmente dalla Commissione nell'ambito della politica della concorrenza, condotta in base all'art. 85, n. 3, lett. a), e all'art. 92, n. 3, del Trattato CEE.

    Si trattava sempre, in detti contesti, dell'applicazione di disposizioni comunitarie il cui testo o la cui interpretazione, datane nella Vostra giurisprudenza o nella prassi della Commissione conteneva la limitazione che gli interventi di cui trattavasi dovessero essere «necessari» (art. 40, n. 3, Ia frase), «indispensabili» (art. 85, n. 3), o «giustificati e necessari per raggiungere lo scopo perseguito» (clausole di salvaguardia di ordine pubblico). Anche la parte iniziale dell'art. 8 del regolamento (CEE) del Consiglio n. 729/70, che si applica nella fattispecie, contiene una clausola del genere. Ritengo perciò

    che anche il principio di proporzionalità, quale da Voi elaborato in un gran numero di sentenze, costituisca nella fattispecie un principio generale di diritto comunitario che pone dei limiti all'attuazione nazionale dell'articolo precitato.

    A mio parere, dal principio suddetto deriva in particolare che tra gli interessi chiesti ed il vantaggio ottenuto deve sussistere un sufficiente rapporto di proporzionalità, mentre l'applicazione di una clausola nazionale di equità o di un altro potere di mitigazione di un rigore eccessivo, che si applicano in casi del genere, potrebbe essere giustificata quando risulti che lo scopo della normativa sulla denaturazione — cioè l'impiego come foraggio del quantitativo di grano tenero di cui trattasi — nonostante una infrazione marginale delle norme di diritto comunitario in materia, è stato raggiunto nel caso concreto.

    Poiché nel presente procedimento non è stato menzionato, o almeno non lo è stato espressamente, il principio di proporzionalità di cui si discute, non Vi suggerisco di andare così lontano nella soluzione che fornirete al giudice di rinvio. La fase orale delle cause 146, 192 e 193/81 chiarirà forse questo punto in misura tale da consentirvi senz'altro di fornire, nella sentenza che pronuncerete nell'ambito del presente procedimento, maggiori precisazioni. Ulteriori chiarimenti al riguardo dovrebbero apportare, in particulare, la discussione sulla terza questione nelle suddette cause Baywa e altri.

    6. Proposta per la soluzione delle questioni sottoposte alle Corte

    Espongo adesso una proposta concreta per la soluzione delle questioni sottopostevi nella presente causa. Queste soluzioni possono essere parallele, come ho indicato nell'introduzione, alle tre questioni e fornire al giudice di rinvio direttive di interpretazione sufficienti, á mio avviso, per tutte le questioni di diritto comunitario emerse in corso di causa. Vi ricordo che ho modificato il testo delle questioni come segue:

    «Se la competenza degli Stati membri a riscuotere, in caso di ripetizione, su premi di denaturazione indebitamente pagati, interessi calcolati dal giorno del pagamento del premio ad un tasso superiore del 3o/o al vigente tasso di sconto della banca centrale di cui trattasi, ma non inferiori al 6,5 %, possa essere limitata :

    1.

    dal Trattato che istituisce la Comunità economica europea;

    2.

    dall'art. 8, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 21 aprile 1970, n. 729, relativo al finanziamento della politica agricola comune (GU 1970, L 94, 28. 4. 1970, pag. 13), ovvero

    3.

    da altre norme o principi generali del diritto comunitario».

    Per le questioni così riformulate propongo le seguenti soluzioni:

    1.

    In quanto il diritto comunitario non contenga alcuna disposizione derogatoria o limitazione, gli Stati membri sono non solo competenti, ma anche obbligati, ai sensi dell'art. 5, 1o comma, del Trattato CEE, ad adottare tutti i provvedimenti di carattere generale o particolare atti a garantire l'esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato o dall'organizzazione comune dei mercati agricoli. Nello stato generale attuale del diritto comunitario, ciò vale, in via di principio, anche per le norme in materia di interessi in caso di ripetizione di somme indebitamente pagate come quelle di cui trattasi nelle fattispecie.

    2.

    L'obbligo già derivante dall'art. 5, Io comma, del Trattato CEE, è certo precisato dall'art. 8 del regolamento (CEE) n. 729/70 (GU 1970, L 94, pag. 13), ma non è limitato dallo stesso articolo per quanto concerne normative in materia di interessi come quella di cui alla fattispecie, almeno fintantoché non verrà data attuazione al n. 3 di detto articolo, e salvi restando i principi interpretativi qui di seguito indicati.

    3.

    Il potere degli Stati membri di adottare ed applicare norme in materia di interessi come quelle di cui trattasi è limitato, in particolare, dai seguenti principi generali di diritto comunitario, risultanti, fra l'altro, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia:

    a)

    il divieto di pregiudicare, modificare o ampliare, con i provvedimenti nazionali di attuazione, la portata dei regolamenti comunitari di cui è causa;

    b)

    il divieto di trattare gli amministrati, in caso di ripetizione di somme da essi indebitamente percepite, o per quanto concerne il calcolo dei relativi interessi, in modo più favorevole o più sfavorevole rispetto a quanto avverrebbe in base alle norme giuridiche nazionali ed ai principi generali del diritto nazionale che si applicano a fattispecie sostanzialmente analoghe, rientranti nella sfera del diritto puramente nazionale;

    e)

    il principio di proporzionalità vigente nel diritto comunitario ed elaborato dalla giurisprudenza comunitaria.


    ( 1 ) Traduzione dall'olandese.

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