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Document 61979CC0814

Conclusioni dell'avvocato generale Warner del 8 ottobre 1980.
Stato olandese contro Reinhold Rüffer.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Hoge Raad - Paesi Bassi.
Convenzione di Bruxelles 1968.
Causa 814/79.

Raccolta della Giurisprudenza 1980 -03807

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1980:229

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

JEAN-PIERRE WARNER

DELL'8 OTTOBRE 1980 ( 1 )

Indice

 

Introduzione

 

Questione A

 

Questione B

 

Questione

 

Questione

 

Questione E

Signor Presidente,

signori Giudici,

Introduzione

La presidente causa è stata sottoposta alla Corte in via pregiudiziale dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi a norma del protocollo 3 giugno 1971 relativo all'interpretazione, da parte della Corte, della Convenzione del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Come sapete, l'efficacia di detta Convenzione, si estende attualmente solo ai primi sei Stati aderenti alla Comunità economica europea e le sole versioni autentiche sono quella tedesca, francese, italiana e olandese. D'altra parte non ignorate nemmeno che una Convenzione relativa all'adesione dei nuovi Stati membri alla Convenzione del 1968 e al Protocollo del 1971 è stata stipulata il 9 ottobre 1978 e attualmente si trova in fase di ratifica. Designerò questo atto come «la Convenzione di adesione». Ad essa sono allegate le versioni della Convenzione del 1968 e del Protocollo 1971 in danese, inglese e gaelico e all'art. 37 vi si stabilisce che dette versioni fanno fede al pari dei testi originali della Convenzione del 1968 e del Protocollo del 1971. Stando così le cose propongo di citare, ove e quando sarà necessario, anticipando gli effetti del procedimento di ratifica, le versioni autentiche danese, inglese e gaelica.

Il ricorrente nel procedimento dinanzi allo Hoge Raad è lo Stato dei Paesi Bassi, che abbrevierò definendolo «lo Stato». La controparte è indicata nel provvedimento di rinvio come «Reinhold Ruffler», ma ci è stato detto in seguito che il suo vero cognome è «Ruffer». È cittadino tedesco «avente il domicilio» (nell'accezione del termine secondo la Convenzione del 1968) nella Repubblica federale di Germania. Egli era armatore e capitano del natante tedesco «Otrate», che nella notte del 26 ottobre 1971, dopo essere entrato in collisione con il battello olandese «Vechtborg» è affondato nella baia di Watum, nell'estuario dell'Ems, e lì è rimasto come relitto. Lo Stato sostiene che la collisione è imputabile, interamente o parzialmente, alla negligente condotta dell'«Otrate», pur se in quel momento era al timone un pilota locale.

Alla base dei problemi che sono insorti nell'ambito della controversia sta lo strano fatto che la frontiera tra Olanda e Repubblica federale di Germania nell'estuario dell'Ems è controversa. La baia di Watum si trova in una zona sulla quale entrambe le nazioni rivendicano la sovranità. Poiché il problema non deve essere risolto da questa Corte, non starò a farne la cronistoria, pur se potrebbe essere interessante.

L'8 aprile 1960 l'Olanda e la Repubblica federale di Germania stipulavano all'Aia il «trattato Ems-Dollart», integrato successivamente con altri atti le cui disposizioni in questa sede non ci interessano; con detto accordo i due Stati si impegnavano a cooperare nell'estuario dell'Ems, senza pregiudicare le loro rispettive rivendicazioni territoriali. Le disposizioni del trattato Ems-Dollart che ci interessano possono venire così riassunte.

L'art. 16 stabilisce che «ciascuna delle parti contraenti sopporterà le spese delle opere e dei provvedimenti che essa potrà o dovrà mettere in atto oppure promuovere a norma del presente trattato».

L'art. 19 definisce le zone in cui ciascuna delle parti contraenti ha competenza a svolgere le operazioni che il trattato definisce di «polizia fluviale». L'Olanda è incaricata di questo controllo nella baia di Watum. L'art. 20 stabilisce che «l'attività di polizia fluviale» comprende tra l'altro anche i «provvedimenti per l'individuazione, la segnalazione e la rimozione dei relitti». L'art. 21 stabilisce che «nell'assol-vere le funzioni di polizia fluviale, ciascuna delle parti contraenti applicherà le disposizioni di legge e i regolamenti nazionali vigenti».

L'art. 32 stabilisce quali criteri si debbano seguire «qualora l'applicazione di una norma di legge dipenda dal territorio in cui si trova un'imbarcazione o attraverso il quale passa la sua rotta». In questo caso, «se non è disposto diversamente dai trattati internazionali sottoscritti da entrambe le parti contraenti ... si presume che le navi tedesche si trovino nel territorio della Repubblica federale, mentre le navi olandesi si presume si trovino nel territorio del Regno dei Paesi Bassi». La posizione di un'imbarcazione di un paese terzo va determinata in funzione del suo porto di destinazione o di partenza all'interno dell'estuario. L'art. 33 stabilisce che «l'art. 32 si applica, mutatis mutandis, in funzione della competenza delle autorità di polizia, dei pubblici ministeri e dei giudici».

L'art. 46, n. 1, stabilisce: «Le disposizioni del presente trattato non pregiudicano il problema della determinazione della linea di demarcazione nell'estuario dell'Ems. Ciascuna delle parti contraenti rimane libera di avanzare le proprie rivendicazioni in merito». L'art. 46, n. 2, autorizza ciascuna delle parti contraenti a sottoporre detto problema alla Corte internazionale di giustizia o ad un tribunale arbitrale, però non risulta che alcuna finora si sia avvalsa di questa facoltà.

Quindi, a norma degli artt. 19 e 21 del Trattato, spettava all'autorità olandese competente, cioè lo Stato nella persona del «Ministerie van Verkeer en Waterstaat» (ministero dei trasporti e delle vie d'acqua) occuparsi del relitto dell'Otrate secondo la vigente legislazione olandese, che è la «Wrakkenwet» (legge sui relitti) del 19 giugno 1934. Avvalendosi delle facoltà conferitegli da detta legge, ed in particolar modo dall'art. 6, il ministero disponeva che il relitto e il suo carico fossero disincagliati e rimorchiati al porto di Delfzijl, ove sono stati messi all'incanto dal Burgemeester. Le spese di rimozione sono state di 113944,55 fiorini e il ricavato netto dell'incanto è stato di 6530,37 fiorini. Il saldo di 107564,18 fiorini è stato reclamato dallo Stato nei confronti del Rüffer a norma dell'art. 10 della legge sui relitti che stabilisce.

«Le spese incontrate nella messa in atto della presente legge, qualora non ne sia possibile il recupero nei confronti degli interessati o non siano state recuperate vendendo gli articoli in questione come prescritto dall'art. 6, andranno a carico della pubblica amministrazione salvo il diritto di rivalsa di quest'ultima, a norma del presente articolo, nei confronti di coloro che, giuridicamente, devono rispondere delle spese di cui sopra».

Da quanto ha esposto lo Hoge Raad nel provvedimento di rinvio di cui sopra ed ha poi dichiarato lo Stato nelle osservazioni che ha presentato durante il procedimento pregiudiziale, risulta che la responsabilità cui si richiama l'art. 10 in fine, è la responsabilità generica a norma del diritto privato, e nel caso specifico, come ha indicato lo Stato nella sua domanda, è una responsabilità scaturente dal combinato disposto dell'art. 780 del «Wetboek van Koophandel» (Codice di commercio olandese) che dichiara l'armatore di una nave oggettivamente responsabile per i danni causati dal comportamento colposo del personale in servizio sulla nave, in via permanente o temporanea, nell'esercizio delle loro funzioni, e degli artt. 1401 e 1403 del «Burgerlijk Wetboek» (Codice civile olandese), che disciplinano i fatti illeciti. Ad ogni modo, lo Hoge Raad dichiara espressamente che l'azione intentata dallo Stato contro il Rüffer va classificata secondo il diritto olandese come un'azione da illecita («als verbintenis uit onrechtmatige daad»).

Poiché il Rüffer ha negato la sua responsabilità, lo Stato lo ha citato dinanzi all'Arrondissementsrechtbank dell'Aia, chiedendo che fosse data esecuzione al provvedimento ingiuntivo. Il Rüffer si difendeva eccependo l'incompetenza di detto giudice. Con sentenza 20 febbraio 1976 l' Arrondissementsrechtbank si dichiarava incompetente a pronunciarsi in materia. Lo Stato interponeva appello dinanzi al Gerechtshof dell'Aia, che con sentenza 16 marzo 1978 confermava la sentenza dell'Arrondissementsrechtbank. Ritengo sia superfluo riesporvi gli argomenti svolti dalle parti nelle due fasi del giudizio principale o ripetere i motivi per cui i giudici summenzionati si sono pronunziati nel senso sopra descritto.

Lo Stato ha ora adito lo Hoge Raad. Il ricorso per cassazione si impernia essenzialmente sull'art. 5, n. 3, della Convenzione del 1968, articolo che recita:

«Il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente:

...

(3)

in materia di delitti o quasi delitti, davanti al giudice del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto;

... ».

Dinanzi allo Hoge Raad lo Stato ha svolto quattro argomenti. Anzitutto esso ha sostenuto che, dal momento che, secondo il Governo olandese, la baia di Watum è ricompresa nel territorio dei Paesi Bassi, un tribunale olandese dovrebbe dichiarare che il luogo in cui è affondato l'Otrate e da cui è stato rimosso il relitto, se detto luogo costituisce «il luogo in cui si è verificato l'evento dannoso» ai sensi dell'art. 5, n. 3, si trova in territorio olandese. In subordine esso ha sostenuto che, in un'ipotesi come la presente, nella quale lo Stato dei Paesi Bassi, a norma degli artt. 19 e 21 del trattato Ems-Dollart e a norma della legge olandese sui relitti, ha rimosso il relitto da un punto dell'estuario dell'Ems per il quale i Paesi Bassi hanno, secondo il trattato Ems-Dollart, competenza per le operazioni di polizia fluviale, una corretta e razionale («redelijke en doelmatige») interpretazione dell'art. 5, n. 3, implica che, ai fini di detta disposizione, il punto da cui il relitto è stato rimosso va considerato ubicato nel territorio olandese. In ulteriore subordine lo Stato ha sostenuto che la collisione fra l'Otrate e il Verchtborg rientrava nell'«evento dannoso» ai sensi dell'art. 5, n. 3 e che, mentre l'Otrate, imbarcazione tedesca, poteva ritenersi a norma dell'art. 32 del trattato Ems-Dollart in navigazione nelle acque tedesche, il Vechtborg, imbarcazione olandese, per gli stessi motivi poteva ritenersi in acque olandesi, cosicché l'evento dannoso si è verificado anche in territorio olandese. Infine lo Stato ha sostenuto che il luogo in cui si è verificato l'evento dannoso ai sensi dell'art. 5, n. 3, non è quello in cui è affondato l'Otrate, ma il luogo in cui lo Stato ha patito il danno, danno che è costituito dalle spese di rimozione del relitto, giacché non è stato possibile recuperare la somma spesa mettendo in vendita il relitto e il suo carico; territorialmente quindi il danno è stato inferto o all'Aia, dove ha sede il Governo olandese o a Delfzijl, dove si è constatato che il procedimento di vendita all'asta era insufficiente a coprire le spese di rimozione del relitto.

In sostanza il Rüffer obietta che l'art. 5, n. 3, non può venire applicato e che egli può venire citato solo dinanzi ad un tribunale tedesco. Egli invoca anzitutto (per quanto ci interessa in questa sede) gli artt. 32 e 33 del trattato Ems-Dollart e l'art. 57 della Convenzione del 1968 che stabilisce.

«La presente Convenzione non deroga alle convenzioni cui gli Stati contraenti sono o saranno parti e che, in materie particolari, disciplinano la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni».

Il Rüffer sostiene che il trattato Ems-Dollart e in particolare gli artt. 32 e 33 dello stesso, è una convenzione che disciplina la competenza «circa materie particolari», sicché, in forza dell'art. 57, va disapplicata la Convenzione del 1968. Egli sostiene, se ho ben compreso, in subordine, che in forza dell'art. 32, l'evento dannoso, cioè l'affondamento dell'Otrate, si presume avvenuto in Germania, quindi l'art. 5, n. 3, non può conferire alcuna competenza al giudice olandese.

Da questi antefatti sono insorte le cinque questioni sottoposte dallo Hoge Raad alla Corte di giustizia.

Questione A

Essa è così formulata:

«Se un'azione come quella esperita dallo Stato contro il Rüffer rientri nella nozione di materia “civile e commerciale” di cui all'art. 1 della Convenzione».

Tutti coloro che hanno presentato osservazioni alla Corte (cioè lo Stato, il Ruffer, il Governo del Regno Unito, la Commissione) concordano nel proporre una soluzione affermativa a questo punto. Nelle osservazioni scritte presentate dal Rüffer si sosteneva che, nella fattispecie, la nostra Corte non avrebbe dovuto risolvere la questione, ma all'udienza il patrono del Rüffer, pur insistendo sulla sua non pertinenza a causa dell'art. 57, ha convenuto che si trattava di una causa di diritto «civile». Il Governo del Regno Unito, pur condividendo questo punto di vista, ha sostenuto che intendeva sottoporre osservazioni solo sulla questione B; esso non ha presentato osservazioni sulla questione A. Quindi solo lo Stato e la Commissione hanno espresso il loro punto di vista sulla questione A.

L'argomento svolto dallo Stato era che, in sostanza, l'ente che amministra una via d'acqua non deve automaticamente venire identificato con la pubblica autorità. In passato in Olanda alcuni canali erano posseduti e gestiti da compagnie private. Per di più l'azione esperita nella fattispecie era un'azione da illecito, perciò la causa era tipicamente «civile». Lo Stato quindi ha agito non come pubblica autorità che esercita la sua potestà d'imperio, cosicché la fattispecie ricade nel principio sancito da questa Corte nella causa 29/76, LTU e/ Eurocontrol, Race. 1976-2, pag. 1541.

L'argomento della Commissione è leggermente diverso, in quanto essa ha ammesso che, operando la rimozione di un relitto da una pubblica via d'acqua, una pubblica autorità esercitava la potestà d'imperio nel senso attribuito a questo termine dalla Corte nella causa LTU e/ Eurocontrol. Ciò però non consente l'illazione, ha osservato la Commissione, che un'azione fondata sull'art. 10 della legge sui relitti sia un'azione esperita nell'esercizio della potestà d'imperio. Si tratta di un'azione da illecito, esperita per farsi rimborsare dai responsabili dell'affondamento la somma spesa a causa del loro comportamento colposo. Detta azione può considerarsi analoga a qualsiasi altra azione intentata dalle vittime di una collisione in mare nei confronti dei responsabili della collisione.

Dal canto mio, non penso che la soluzione sia così semplice. A mio parere si deve ricordare che le espressioni usate nell'art. 1, che definisce la portata della Convenzione, delimitano nozioni che sono «indipendenti» dalla disciplina di ciascuno Stato membro specifico e che «vanno interpretate avendo riguardo anzitutto agli obietivi e al sistema della Convenzione e in secondo luogo ai pricipi generali desumibili dal complesso degli ordinamenti giuridici nazionali» (vedi LTU c/Eurocontrol, cause 9-10/77 Bavaria Fluggesellschaft e Germanair c/ Eurocontrol, Race. 1977-2, pag. 1517 e cause 133/78 Gourdain c/ Nodier, Race. 1979, pag. 733). Come la Corte ha dichiarato in tutte queste cause, questo modo di procedere «è necessario allo scopo di garantire, per quanto possibile, l'uguaglianza e l'uniformità dei diritti e degli obblighi da questi derivanti agli Stati contraenti ed ai soggetti interessati». Nella causa LTU zi Eurocontrol la Corte ha continuato dicendo che «procedendo in tal modo all'interpretazione della suddetta nozione ... (questioni civili e commerciali), talune categorie di decisioni giurisdizionali devono considerarsi escluse dal campo d'applicazione di tale atto in ragione degli elementi che caratterizzano i rapporti giuridici fra le parti in causa e l'oggetto della lite». E partendo da questa base che la Corte ha sostenuto che «benché talune decisioni emesse nelle cause tra la pubblica amministrazione e un soggetto di diritto privato possano essere comprese nell'ambito d'applicazione della Convenzione, la situazione è diversa qualora la pubblica amministrazione abbia agito nell'esercizio della sua potestà diretta» ( 2 ).

Quindi, per stabilire se un'azione del tipo di quella intentata dallo Stato nei confronti del Rüffer rientri nella materia disciplinata dalla Convenzione, non è sufficiente considerare come essa è classificata secondo la legge olandese. E necessario considerare gli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri per vedere se si può ritenere che da essi sia desumibile un principio generale secondo cui un'azione di questo tipo si deve considerare come materia «civile» o «commerciale».

L'esame dei diritti dei sei Stati membri che per primi hanno aderito alla Comunità mette in luce che il diritto olandese è l'unico di essi che legittimi all'esercizio di un'azione da illecito di questo genere l'ente preposto alla sorveglianza di un porto o di una via d'acqua.

In Belgio la materia è disciplinata dagli artt. 49, 102 e 109, n. 4, di un «Regio decreto» del 15 ottobre 1935 che ha dato origine ad un «Reglement général des voies navigables du royaume», il quale si pone in relazione con gli artt. 220, 221 e 224, del «Code des droits d'enregistrement, d'hypothèque et de greffe». In sostanza l'effetto di queste disposizioni è quello di conferire la facoltà all'«Ufficio della nagivazione», qualora un relitto non sia stato rimosso dal proprietario, di rimuoverlo e di rivalersi nei confronti del proprietario delle spese di rimozione. In caso di mancata rifusione da parte del proprietario, può intervenire nei confronti di quest'ultimo l'«Administration de l'enregistrement et des domaines», che emette nei suoi confronti una «contrainte», alla cui esecuzione può opporsi soltanto il proprietario del relitto se instaura un procedimento contraddittorio dinanzi al tribunale competente. Il procedimento è quindi tipicamente amministrativo. Pare che la pubblica autorita non sia legittimata, qualora il ricorso a questo procedimento non consenta un rimborso totale della spesa effettuata, a citare il proprietario del relitto o qualsiasi altro terzo con un'azione di risarcimento.

In Germania vi sono due leggi in materia, una del 18 maggio 1974, la «Stran-dungsordnung» (regolamento in materia di relitti) e una del 2 aprile 1968, la «Bundeswasserstraßengesetz» (legge sulle vie d'acqua federali). Particolarmente interessanti sono i nn. 25 e segg. del primo (nella versione modificata) e i nn. 24 (1), 25, 28 e 30 della seconda. Il loro combinato disposto consente due possibilità:

(i)

L'autorità competente può, mediante atto amministrativo impugnabile dinanzi ai tribunali amministrativi, ingiungere al proprietario del relitto o a chiunque possa venir imputata la presenza del relitto, di rimuoverlo a sue spese. Se la persona interessata non ottempera all'ingiunzione nei termini prescritti, l'autorità può procedere alla rimozione di sua iniziativa accollando le spese al responsabile, mediante atto amministrativo anch'esso impugnabile dinanzi ai tribunali amministrativi.

(ii)

In caso d'urgenza l'autorità può procedere di sua iniziativa alla rimozione del relitto senza prevenirne il proprietario o altri terzi. In questo caso essa acquista un privilegio sul relitto per quel che riguarda i costi di rimozione. Esercitando questo privilegio essa può promuovere un procedimento amministrativo per rifarsi delle spese sostenute, procedimento noto come «Verwaltungszwangsverfahren». Se i costi superano il valore del relitto, non vi è alcun mezzo giuridico che consenta di recuperare il resto della somma (vedi sentenza del Bundesverwaltungsgericht del 22 agosto 1975, citata nel «Die öffentliche Verwaltung», Race. 1976, pag. 100).

Ancora una volta, quindi, la causa rientra nell'ambito amministrativo, ma non è sempre stato così. Fino all'entrata in vigore della legge del 1968, vi erano casi in cui un'azione analoga a quelle di cui trattasi ora poteva venir intentata in forza delle disposizioni del codice civile tedesco in materia di «Geschäftsführung ohne Auftrag» (negotiorum gestio), ma non per illecito.

In Francia la disciplina dei relitti in mare è contenuta in una legge del 24 novembre 1961 vertente su «la police des épaves maritimes» e in due ulteriori atti che la integrano, cioè un «Décret» del 26 dicembre 1961 e un «Arrêté» del 4 febbraio 1965. Quanto ai relitti che si trovano nei corsi d'acqua interni, vige il «Règlement general de police de la navigation intérieure» promulgato mediante un «Décret» del 21 settembre 1973. La sostanza della disciplina è che, se il proprietario non rimuove il relitto, l'autorità competente può farlo rimuovere di propria iniziativa ed emettere poi un «titre exécutoire» che autorizza l'autorità stessa a rivalersi nei confronti del proprietario per recuperare l'eventuale differenza passiva tra le spese di rimozione e il ricavato della vendita del relitto. Il proprietario ha facoltà di impugnare detto «titre exécutoire», qualora lo ritenga opportuno, dinanzi ai tribunali amministrativi. Pare che non sia concesso alcun mezzo giuridico alla competente autorità per citare il proprietario o altri terzi dinanzi al giudice ordinario.

In Italia il «Codice della navigazione» approvato e posto in vigore da un «Decreto reale» del 30 marzo 1942, n. 327, autorizza l'autorità competente, qualora il proprietario non proceda alla rimozione di un relitto o in caso di urgenza, a disporne la rimozione di propria iniziativa. In questo caso la proprietà del relitto è trasferita all'autorità. Se le spese di rimozione sono superiori al ricavato della vendita del relitto e il relitto supera le 300 tonnellate di stazza, l'autorità ha facoltà, a norma degli artt. 73 e 84 del Codice, di emettere un'ingiunzione, con cui si richiede al proprietario (ma solo a questo) di corrispondere la differenza. Detta ingiunzione viene resa esecutoria con decreto del pretore competente. Pare che ci siano state alcune divergenze negli ambienti forensi italiani quanto al se l'obbligo di apposizione del decreto da parte del pretore trasformi un atto originariamente amministrativo in un atto giudiziario, però l'orientamento corretto pare essere quello favorevole alla negativa, specie dal momento che, allorché l'ingiunzione è diventata esecutiva, il proprietario ha facoltà di impugnarla, se lo ritiene opportuno, dinanzi al giudice competente, che non deve essere necessariamente il pretore. Pare che l'autorità competente non abbia alcun mezzo per intentare un'azione di diritto privato ordinario nei confronti dei singoli, per illecito o per altri motivi, anche se la nave era di stazza inferiore alle 300 tonnellate o se il proprietario non ha risorse sufficienti per rifondere le spese di rimozione.

In Lussemburgo il problema si pone logicamente solo per la navigazione sulla Moselia. L'unica legge che disciplina la materia è il «Reglement de police pour la navigation de la Moselle» emanato mediante «Arrêté grand-ducal» del 18 giugno 1971. Questa disciplina impone al comandante di un natante affondato l'obbligo di rimuovere il relitto, però conferisce all'autorità competente la facoltà di procedere alla rimozione in caso di urgenza. Le spese relative sostenute dall'autorità che ha proceduto alla rimozione possono venire ricuperate nei confronti del proprietario del relitto o, se il relitto è effetto di una collisione, nei confronti del proprietario del natante che l'autorità ritiene responsabile della collisione. L'autorità comunque non ha alcuna facoltà di vendere il relitto o di emettere «titre exécutoire». Qualora l'autorità intenda far valere i suoi diritti in via contenziosa, deve intentare un'azione dinanzi al tribunale competente. Pare che in pratica questa esigenza sia solo teorica in quanto tutti i natanti che circolano sulla Moselia sono assicurati. Quindi la casistica è piuttosto scarsa.

Il problema è quello del se, supposto che il quadro che ho tracciato riproduca fedelmente la disciplina dei primi sei Stati membri della Communità, si possa attribuire agli autori della Convenzione del 1968 l'intenzione di includere nell'espressione «materia civile e commerciale» di cui all'art. 1 di detta Convenzione anche un'azione come quella di cui ci stiamo occupando. Mi pare impossibile risolvere il quesito in modo affermativo. Questa è un'azione esperita da una pubblica autorità nei confronti di un singolo, che trova le sue radici in quello che si ritiene, secondo la disciplina di tutti i primi sei Stati membri, salvo forse l'Olanda, come esercizio, da parte dell'autorità, della propria facoltà d'imperio. Per di più è un'azione di un tipo virtualmente sconosciuto nella disciplina di ciascuno dei primi sei Stati membri, salvo in Olanda. Stando così le cose, l'unico vero motivo per cui si potrebbe sostenere che si tratta di una questione civile o commerciale sarebbe che la controversia è considerata tale secondo la' legge olandese. Ma ciò sarebbe incompatibile, mi pare, coi principi sanciti dalla Corte nella causa LTU e/ Eurocontrol e incompatibile anche con la nozione di reciprocità che è insita nel preambolo della Convenzione.

Non so se, su questo punto, le discipline dei nuovi Stati membri o le disposizioni della Convenzione di adessione possano avere rilevanza, però per amor di completezza vi farò un breve accenno.

La disciplina danese pare allineata con quelle vigenti nella maggior parte dei primi sei Stati membri. La disciplina irlandese e quella del Regno Unito, d'altra parte, corrispondono ampiamente alla disciplina olandese; esse legittimano una autorità portuale o preposta alle vie d'acqua, indipendentemente dalle facoltà che loro conferisce la legge scritta, ad esperire un'azione di risarcimento, per recuperare le spese relative alla rimozione di un relitto, nei confronti di chi, durante la navigazione, ha provocato — o di chi è oggettivamente responsabile del comportamento del proprio personale — l'affondamento del relitto che si è trasformato in ostacolo (per la disciplina irlandese vedasi The Edith (1883), 11 L.R. Ir. 270, e per la legge inglese The Ella, 1915, p. 111 e Dee Conservancy Board c/ McConnell 1928, 2 K.B. 159 e per la legge scozzese la pronunzia di Lord Murray in Clyde Navigation Trustees c/ Kelvin Shipping Co., Race. 1927, S.C., pag. 626).

La Convenzione di adesione «adegua» l'art. 1 della Convenzione del 1968 mediante l'aggiunta al primo paragrafo di una frase che stabilisce che la Convenzione «non concerne, in particolare, la materia fiscale e doganale ed amministrativa». Nella sua relazione sul progetto di detta Convenzione il prof. Peter Schlosser, relatore del gruppo di lavoro responsabile per l'elaborazione del progetto, espone quanto segue circa gli elementi di fatto in vista dei quali è stato suggerito questo emendamento (GU n. C 159 del 5 marzo 1969, pag. 82):

«Nelle legislazioni degli Stati membri originari è ben nota la distinzione tra materia civile e commerciale e materia di diritto pubblico e tale distinzione, nonostante importanti differenze, viene effettuata in generale in base a criteri analoghi. La nozione di “diritto civile” comprende, ad esempio, anche importanti materie particolari che non sono di diritto pubblico, come soprattutto parti del diritto del lavoro. Ecco perché in sede di redazione del testo originario della convenzione d'esecuzione e della relazione Jenard si è rinunciato a concretare con maggior precisione la materia civile e commerciale e ci si è limitati a chiarire che anche le decisioni dei tribunali penali e amministrativi sono assoggettate alla convenzione, sempreché tali organi decidano in materia civile e commerciale, come occasionalmente accade. Sotto quest'ultimo aspetto l'adesione dei tre nuovi Stati membri non comporta ulteriori problemi. Però questi problemi sono di più difficile soluzione a causa della distinzione principale che ne costituisce il presupposto.

La Gran Bretagna e l'Irlanda ignorano quasi totalmente la distinzione, corrente nella CEE originaria, tra diritto privato e pubblico. Non è stato quindi possibile risolvere i problemi d'adattamento tramite un rinvio a principi qualificativi. Durante la fase finale dei negoziati la Corte di giustizia delle Comunità europee ha pronunciato la sentenza del 14 ottobre 1976 (vedasi sentenza LTU e/ Eurocontrol) nella quale essa si è espressa in favore di un'interpretazione che non si orienti su un dato diritto nazionale. Pertanto il gruppo si è limitato a precisare nell'art. 1, primo comma, che la materia fiscale, doganale ed amministrativa non rientra nella materia civile e commerciale».

In questo testo non ravviso alcunché che possa contraddire le conclusioni che ho tratto esaminando il tenore della Convenzione del 1968, precedente all'emendamento, nonché analizzando le discipline dei primi sei Stati membri.

In conclusione, per risolvere il punto A direi che un'azione come quella cui si riferisce la questione in esame non rientra nella nozione di «materia civile e commerciale» di cui all'art. 1 della Convenzione del 1968.

Se il mio modo di vedere è esatto, le successive questioni sottoposte dallo Hoge Raad possono anche rimanere irrisolte, semprechè naturalmente non preferiate seguire un criterio diverso da quello da me proposto sul primo punto, caso nel quale si dovrà procedere nell'esame.

Questione B

Il punto Β che lo Hoge Raad sottopone solo nell'ipotesi in cui venisse risolto affermativamente il punto A, verte sul problema del se un'azione del tipo di cui trattasi rientri nella nozione di «materia di delitti o quasi delitti» di cui all'art. 5, n. 3, della Convenzione.

Gli argomenti svolti dallo Stato e dal Rüffer su questo punto sono piuttosto scarsi. Lo Stato si è limitato a dire, se ho ben capito, che la soluzione dev'essere affermativa in quanto secondo la legge olandese l'azione rientra in questo settore. Il Rüffer ha osservato in primo luogo che la questione era irrilevante, in quanto l'Otrate di fatto aveva offervato le relative norme in materia di navigazione, cosicché non era stato commesso alcun illecito, in secondo luogo che la questione era non pertinente sotto il profilo dell'art. 57 e delle disposizioni del trattato Ems-Dollart, ma in terzo luogo che, se e nella misura in cui la questione fosse stata rilevante, si doveva affermare senza ombra di dubbio che l'azione era un'azione da illecito.

Il Governo del Regno Unito, richiamandosi alla sentenza della Corte nella causa 12/76, Tessili zi Dunlop, Racc. 1976, pag. 1473, ha osservato che si deve anzitutto stabilire se la frase «in materia di delitti o quasi delitti» di cui all'art. 5, n. 3, (secondo il tenore del n. 10 della motivazione di detta sentenza), vada interpretata nel senso che «tali espressioni e nozioni siano da considerarsi come autonome, e perciò comuni all'insieme degli Stati membri, ovvero come effettuanti un rinvio al diritto sostanziale che risulta applicabile, in ogni singolo caso, in forza del diritto internazionale privato del giudice investito per primo della causa»; e il Governo del Regno Unito ha osservato che quest'ultima era l'interpretazione corretta. Infatti, in flagrante contraddizione con quanto ha affermato la Corte nella causa 33/78, Somafer zi Saar-Ferngas, 1978, pag. 2183 (nn. 5 e 8 della motivazione), il Governo del Regno Unito è giunto a sostenere che siffatta conclusione imperniata sul principio della lex fori dovrebbe venir adottata nell'interpre-tare tutti i problemi circa le competenze speciali di cui all'art. 5 della Convenzione, a meno che non vi siano particolari motivi per fare diversamente.

Non starò a tediarvi con la ripetizione di tutti i particolari degli argomenti svolti dal Governo del Regno Unito per suffragare il suo punto di vista. Ne avete preso visione e sono stati riassunti nella relazione d'udienza. A mio parere alcuni di essi hanno peso, altri meno. Ad esempio il fatto che, a meno che nell'interpretare le nozioni che ricorrono nella Convenzione un giudice nazionale applichi le norme interne, scaturiranno discordanze tra il senso attribuito ad un vocabolo nella Convenzione e nella legge interna, mi pare una considerazione di molto minore importanza rispetto all'esigenza, sottolineata dalla Corte nelle cause sopra citate, di garantire per quanto possibile che diritti e obblighi derivanti della Convenzione nei confronti degli Stati membri e dei soggetti cui essa si applica siano uguali ed uniformi. Gli autori della Convenzione hanno chiaramente accettato l'idea che i termini usati nell'accordo stesso potessero avere in quella sede un senso diverso da quello che hanno nella rispettiva disciplina nazionale. Ad esempio la versione inglese della Convenzione usa il termine «domiciled» in un senso manifestamente diverso da quello che ha lo stesso termine nell'ordinamento giuridico irlandese o nell'ordinamento britannico.

A mio parere, comunque, ci sono due ragioni evidenti per disattendere le considerazioni del Governo del Regno Unito.

La prima è che quanto espone il Regno Unito à incompatibile con i principi sui quali questa Corte si è orientata dopo la sentenza Tessili zi Dunlop. È vero che, in quella causa, la prima controversia vertente sulla Convenzione risolta dalla Corte, questa ha affermato che «il luogo di esecuzione delle obbligazioni contrattuali» cui fa riferimento l'art. 5, n. 1, della Convenzione, va determinato in funzione della disciplina che regge detta obbligazione, secondo le norme di diritto internazionale privato che deve applicare il giudice competente a conoscere della controversia. La Corte si è pronuniciata in questo senso in quanto «tenuto conto delle divergenze esistenti fra le legislazioni nazionali sui contratti e dell'assenza, nell'attuale stadio dell'evoluzione giuridica, di qualsiasi unificazione del diritto sostanziale da applicarsi, pare impossibile fornire indicazioni più ampie per l'interpretazione del concetto di luogo di esecuzione delle obbligazioni contrattuali» (n. 14 della motivazione). La Corte ha aggiunto: «tanto più che la determinazione del luogo di esecuzione delle obbligazioni dipende dal tipo di contratto cui esse appartengono». La sentenza Tessili d Dunlop è comunque una pronuncia a sé stante, e probabilmente ciò si spiega con la situazione particolarmente complessa che esiste nel settore dei contratti. Ogniqualvolta in seguito si è trattato di stabilire se un'espressione usata nella Convenzione avesse un senso indipendente o andasse intesa in relazione alle nozioni accolte nell'ordinamento interno, la Corte o si è pronunziata presumendo tacitamente che il primo modo di vedere era quello giusto — come nella causa 14/76, De Bloos d Bouyer, Racc. 1976, pag. 1497 e causa 21/76, Bier c/ Mines de Potasse d'Alsace, ibidem, pag. 1735, in ognuna delle quali tuttavia la questione è stata discussa dall'avvocato generale — o si è espressamente pronunciata in favore di detto orientamento (come nelle LTU d Eurocontrol (già citata), causa 43/77 , Industrial Diamond Supplies c/Riva, Race. 1977, pag. 2175, causa 140/77, Bertrand d Ott, Race. 1978, pag. 1431, Somafer d Saar-Ferngas (già citata) e Gourdain d Nadler (già citata). Nelle ultime cause la Corte ha ribadito che l'idea dominante è quella della necessità di un'uguale ed uniforme applicazione della Convenzione in tutti gli Stati membri ed inoltre, in relazione all'art. 5, l'esigenza di evitare una proliferazione di giudici speciali che impedirebbe di conseguire uno degli scopi fondamentali della Convenzione. In una di dette causa (Industriai Diamond Supplies d Riva e Bertrand d Ott) sono state invocate le divergenze tra le nozioni giuridiche accolte negli ordinamenti interni per affermare che un'espressione della Convenzione deve andare interpretata in modo indipendente. Ne traggo la conclusione che detti termini vanno interpretati facendo riferimento alle nozioni nazionali solo allorché vi è una ragione che impedisce di conferire loro un senso indipendente. Pur se alcune delle considerazioni esposte dal Governo britannico hanno un indiscutibile peso, non mi pare tuttavia che facciano insorgere l'impossibilità di cui sopra.

Il secondo motivo per cui propongo di disattendere gli argomenti svolti dal Governo britannico — e questa mi pare la ragione decisiva — è il fatto che il considerare la frase «in materia di delitti o quasi-delitti» come referimento a una nozione giuridica accolta nell'ordinamento interno sarebbe solo possibile se la frase corrispondente nella versione autentica della Convenzione nella lingua o lingue ufficiali di ciascuno Stato membro delimitasse una nozione accolta dall'ordinamento giuridico di detto Stato. Ma in realtà la situazione è diversa.

Le versioni facenti fede nelle lingue dei primi sei Stati membri sono le seguenti:

Tedesco:«wenn eine unerlaubte Handlung oder eine Handlung, die einer unerlaubten Handlung gleichgestellt ist, oder wenn Ansprüche aus einer solchen Handlung den Gegenstand des Verfahrens bilden»;

Francese:«en matière délictuelle ou qua-si-délictuelle»;

Italiano:«in materia di delitti o quasi-delitti»;

Olandese:«ten aanzien van verbintenissen uit onrechtmatige daad».

Non vi sono difficoltà quanto alle versioni francese e olandese. «En matière délictuelle ou quasi-delictuelle» è una frase idonea a circoscrivere la nozione di diritto francese che corrisponde all'illecito ed inoltre corrisponde a nozione analoghe contenute nella versione francese della legislazione belga e lussemburghese. Analogamente «ten aanzien van verbintenissen uit onrechtmatige daad» è una frase idonea a determinare la nozione corrispondente di diritto olandese e la stessa nella versione fiamminga della legislazione belga. In tedesco invece, mentre la frase «eine unerlaubte Handlung» definisce la nozione tedesca di illecito, la circonlocuzione «eine Handlung, die einer unerlaubten Handlung gleichgestellt ist» mi pare che non si riferisca ad alcuna nozione corrente nell'ordinamento tedesco. Dal canto suo la frase italiana «in materia di delitti o quasi-de-litti», mentre è di facile comprensione per un giurista italiano familiare con Giustiniano, con il Codice di Napoleone e con il vecchio Codice civile italiano, non corrisponde alla nozione accolta dal diritto italiano vigente, ove si parla di «fatti illeciti».

Ancora una volta non credo che la disciplina dei nuovi Stati membri sia di grande importanza, comunque tengo a farne accenno. Nella legislazione inglese il vocabolo «tort» è logicamente il vocabolo esatto, perché si ritrova nel diritto britannico e nel diritto irlandese, mentre «delict or quasi-delict» corrisponde alla legislazione scozzese. La versione gaelica è «in ábhair a bhaineann le tort, míghníomh no samhail mhíghnímh» che mi pare sia una traduzione letterale della versione inglese. Le ultime quattro parole, che corrispondono a «delitto o qua-si-delitto» non circoscrivono alcuna nozione accolta nel diritto irlandese. Infine la versione danese è la seguente: «i sager om erstatning uden for kontrakt» che letteralmente significa in «cause relative al risarcimento per causa extracontrattuale». Se non vado errato, questa frase o frasi analoghe sono usate in Danimarca solo in determinate leggi processuali nelle quali esse sono state introdotte per contraddistinguere un'ampia e piuttosto vaga categoria di azioni che hanno un fondamento extracontrattuale.

Ritengo quindi che sia impossibile interpretare la frase «in materia di delitti o quasi-delitti» che compare nell'art. 5, n. 3, nel senso che si riferisce a nozioni giuridiche accolte nei vari ordinamenti interni, mentre invece la si deve considerare come espressione avente senso indipendente.

La Commissione, che condivide questo punto di vista, ha tentato di definire questa nozione indipendente. Come però si arguisce dall'introduzione del professore André Tunc al volume XI dell'enciclopedia internazionale di diritto comparato, volume che riguarda gli illeciti, nessuno è mai riuscito, nemmeno nel contesto di un ordinamento giuridico nazionale, a dare una esatta definizione dell'illecito, scevra da qualsiasi interrogativo. Come il proverbiale elefante, l'illecito è più facile da riconoscere che da definire.

Non penso sia il caso ora di accingerci a definire la nozione di illecito ai sensi della Convenzione. Mi basterà osservare che, nei tre Stati membri in cui la materia che dà origine ad azioni del tipo di cui ci occupiamo non è considerata facente parte esclusivamente della sfera del diritto pubblico o amministrativo (Olanda, Irlanda e Regno Unito), si ritiene che essa rientri nella sfera dell'illecito.

Per questi motivi propongo di affermare che tale azione, se rientra nella sfera disciplinata dalla Convenzione, rientra indubbiamente nella sfera di applicazione dell'art. 5, n. 3.

Vediamo ora la questione C, sulla quale sarò molto più conciso.

Questione C

La questione è la seguente:

«Quali siano gli effetti dell'art. 5, n. 3, nell'ipotesi in cui l'evento dannoso sia avvenuto nella zona che, a quanto risulta dal trattato relativo all'Ems-Dollart, è rivendicata come parte del rispettivo territorio dal Regno dei Paesi Bassi e dalla Repubblica federale di Germania. In particolare, se l'art. 5, n. 3, implichi che il giudice olandese deve considerare detto luogo come situato nei Paesi Bassi. Se, inoltre, in considerazione della natura della presente controversia, abbia relievo la circostanza che detto luogo è compreso nella zona per il quale il Regno dei Paesi Bassi è responsabile della polizia fluviale ai sensi del trattato relativo all'Ems-Dollart, e nella quale esso è pertanto tenuto a provvedere al recupero dei relitti».

L'interrogativo è sollevato naturalmente nel presupposto che la materia-oggetto della presente azione rientri nella sfera della Convenzione e nella sfera d'applicazione dell'art. 5, n. 3. Esso scaturisce dai primi due argomenti svolti dallo Stato dinanzi allo Hoge Raad, ai quali mi sono riferito.

Alla radice della questione, comunque, almeno mi pare, sta l'erroneo presupposto che, se in un determinato caso «la località in cui si è verificato l'evento dannoso» ai sensi dell'art. 5, n. 3, si trova in una zona sulla quale due Stati membri rivendicano entrambi la sovranità, il problema del se detta località, ai fini della soluzione di quella determinata controversia, debba considerarsi ubicata nel territorio dell'uno o dell'altro di detti Stati, possa risolversi come problema d'interpretazione dell'art. 5, n. 3. A mio parere la Convenzione del 1968 non ha la funzione di dar soluzione ad interrogativi di questo genere. Le sue disposizioni, per dirla con la Commissione, sono «neutrali» rispetto a detti problemi. La Convenzione è fondata sull'assunto che l'appartenenza di una determinata località al territorio di questo o di quello Stato membro è stata o sarà determinata in altra sede. Penso che ciò sia tutto quanto si può dire per risolvere la questione C, sempreché sia necessario risolverla a seguito delle soluzioni che darete ai punti AeB.

Questione D

La questione D, che è stata pur'essa sottoposta per l'ipotesi che i punti A e B debbano venire risolti in senso affermativo, è la seguente:

«Se per “luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto” debba intendersi il luogo in cui si è verificato il danno come sostenuto dallo Stato, vale a dire l'Aia, in quanto foro dello Stato, oppure il luogo in cui il relitto è stato venduto e dove, quindi, è stato accertato in quale misura le spese sostenute dallo Stato per il recupero del relitto sono rimaste a carico dello Stato stesso, vale a dire Delfzijl (provincia di Groninga)».

Questo interrogativo palesemente rispecchia il quarto argomento esposto dallo Stato dinanzi allo Hoge Raad, ma á mio avviso l'argomento è infondato. Lo Stato ha fondato sulla sentenza della Corte nella causa Bier c/ Mines de Potasse d'Alsace (già citata). Però questo precedente a mio parere non corrobora la tesi. In quell'occasione si era detto che l'espressione «il luogo in cui si è verficato l'evento dannoso» contenuta nell'art. 5, n. 3, poteva riferirsi sia «al luogo in cui si era verificato il danno» come «al luogo in cui si era verificato l'evento che lo aveva causato». Però il danno in questione in quell'occasione era il pregiudizio arrecato alle colture della società attrice in Olanda, danneggiata dall'inquinamento del Reno. Il luogo in cui si era verificato l'evento causale era l'Alsazia, ove il convenuto scaricava rifiuti acidi nel Reno. Mai è stato prospettato in quell'occasione, e tanto meno la Corte lo ha affermato, che il luogo in cui l'evento dannoso si era verificato poteva essere il luogo in cui la società attrice aveva la sua sede o il luogo in cui veniva quantificato il danno alla sua attività. Come ci è stato fatto notare negli argomenti svolti sia dal Rüffer che dalla Commissione, sostenere nel nostro caso che il luogo in cui lo Stato ha la sua sede, possa considerarsi il luogo in cui si è verificato l'evento dannoso corrisponderebbe a sostenere che, secondo la Convenzione, chi esperisce un'azione da illecito, avrebbe il diritto di adire il tribunale della località in cui ha la residenza, il che è assolutamente inconciliabile con l'impostazione degli artt. 2 e successivi della Convenzione. Quanto all'idea che «l'evento dannoso» nella fattispecie si potrebbe considerare verificatosi in Delfzijl, penso che basti sottolineare che la vendita del relitto ad opera del Burgemeester non costituisce un evento dannoso bensì un mezzo per rimediare, nei limiti del possibile, al danno patito dallo Stato.

Supponendo che la questione D sia pertinente, proporrei di risolverla in senso negativo.

E vediamo la questione E.

Questione E

Essa è così redatta:

«Qualora il trattato relativo all'Ems-Dollart vada interpretato nel senso che esso attribuisce al giudice olandese la competenza a conoscere di controversie come quella di cui trattasi (punto sul quale non si chiede alla Corte di pronunziarsi), se l'art. 57 della Convenzione di Bruxelles ammetta, quanto all'individuazione del giudice competente, l'applicazione dell'art. 5, n. 3».

Confesso che non ho ben compreso dove si voglia giungere con una questione di questo tipo. Non mi pare che essa derivi da uno degli argomenti del Rüffer, in quanto egli ha sostenuto che il trattato Ems-Dollart conferisce competenza ai tribunali tedeschi. Forse è il terzo argomento svolto dallo Stato, per sostenere che il fatto che nella collisione fosse stato coinvolto il natante Vechtborg significava che, secondo il trattato Ems-Dollart, l'evento dannoso si doveva considerare come avvenuto in territorio olandese e in territorio tedesco.

Ad ogni modo, il Rüffer ha sostenuto che il trattato Ems-Dollart costituiva una «legge speciale» disciplinante le rispettive competenze dei tribunali olandesi e tedeschi in una materia come quella in esame, cosicché in forza dell'art. 57, era esclusa qualsiasi applicazione della Convenzione del 1968. Da parte dello Stato e della Commissione, d'altro canto, è stato sostenuto che detta conseguenza si sarebbe potuta trarre solo se le disposizioni del trattato Ems-Dollart quanto alla competenza si dovessero intendere nel senso che escludono l'applicazione di ogni altra norma possibile in materia.

Ne ho tratto la conclusione che, su questo punto, lo Stato e la Commissione hanno ragione. L'art. 57 costituisce parte del Titolo VII della Convenzione, che reca il titolo «Relazione con le altre convenzioni». Questo titolo inizia con l'art. 55, che elenca uno per uno gli accordi stipulati tra due o più Stati membri, che vengono sostituiti dalla Convenzione del 1968. Viene poi l'art. 56, che stabilisce che, tuttavia, questi precedenti accordi devono «continuare a produrre i loro effetti nelle materie alle quali la presente Convenzione non è applicabile» come pure, per farla breve, non vengono meno gli effetti di sentenze e di altri atti di data anteriore all'entrata in vigore della Convenzione. Quindi l'art. 57 e l'art. 58 stabiliscono che la Convenzione non deve pregiudicare determinate altre convenzioni. Nelle altre versioni si hanno i seguenti termini: in tedesco: «läßt ... unberührt» nell'art. 57, «Berührt ... nicht» nell'art. 58; in francese: «ne deroge pas aux» nell'art. 57, «ne porte pas préjudice aux» nell'art. 58; in italiano: «non deroga alle» nell'art. 57, «non pregiudicano i» nell'art. 58; nell'olandese: «laat onverlet» nell'art. 57, «maken geen inbreuk» nell'art. 58. I testi danese ed irlandese, come l'inglese, usano la stessa espressione in entrambi gli articoli: «Berører ikke» e «Ni dhéanfaidh ... seo di-fear» (respettivamente). Se una convenzione relativa a «materie particolari», ai sensi dell'art. 57, come il trattato Ems-Dollart contiene norme di competenza che si ritiene disciplinino la materia in senso esclusivo rispetto a qualsiasi altra norma, i suoi effetti saranno evidentemente pregiudicati se dovesse risultare che le norme della Convenzione del 1968 costituiscono una disciplina alternativa, la cui scelta dipende dall'attore. Ciò però è escluso, comunque, se l'accordo particolare contempla la possibilità che vengano applicate norme diverse da quelle che esso contiene.

Propongo quindi di risolvere il punto E, sempreché lo riteniate rilevante, affermando che l'esistenza di un accordo che disciplina la competenza su materie particolari non impedisce l'applicazione, in via alternativa, delle norme in materia di competenza contenute nella Convenzione del 1968, a meno che l'accordo stesso vada inteso nel senso che esso pone norme da applicarsi ad esclusione di ogni altra possibile disciplina.


( 1 ) Traduzione dall'inglese.

( 2 ) Segue un'osservazione sulla versione inglese della sentenza che è superflua in italiano.

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