Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 61978CC0253

    Conclusioni dell'avvocato generale Reischl del 22 novembre 1979.
    Procureur de la République ed altri contro Bruno Giry e Guerlain SA ed altri.
    Domande di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de grande instance de Paris - Francia.
    Concorrenza - Profumi.
    Cause riunite 253/78 e 1 a 3/79.

    Raccolta della Giurisprudenza 1980 -02327

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1979:261

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    GERHARD REISCHL

    DEL 22 NOVEMBRE 1979 ( 1 )

    Signor Presidente,

    signori Giudici,

    Le quattro cause pregiudiziali di cui ci occupiamo oggi vertono sui sistemi di distribuzione selettiva praticati dai quattro produttori francesi di profumi coinvolti nel procedimento penale pendente dinanzi al Tribunal de grande instance di Parigi, nonché, a quanto pare, dalla maggior parte dei più rinomati produttori di profumi.

    Questi sistemi, nella loro struttura odierna, si possono descrivere come segue:

    La distribuzione nel paese di produzione, la Francia, si effettua, se i produtori non hanno propri negozi di vendita al minuto, escludendo i grossisti ed affidando i prodotti a determinati rivenditori al minuto, scelti dai produttori secondo criteri qualitativi (ubicazione ed arredamento dei locali, personale specializzato) e secondo criteri quantitativi (in proposito conta fra l'altro il potere di acquisto della popolazione di una determinata zona). La distribuzione negli altri Stati membri, se il produttore non ha affiliate locali, avviene tramite esclusivisti, che in ogni Stato operano su scala nazionale. A loro volta gli esclusivisti ricalcano le tracce seguite dai produttori per la distribuzione in Francia, vale a dire stipulano contratti-tipo elaborati dai produttori, scelgono determinati rivenditori secondo criteri qualitativi e quantitativi e forniscono solo a questi ultimi oppure a rivenditori che negli altri Stati membri fanno parte della rete di distribuzione. I rivenditori autorizzati possono vendere solo ai consumatori o ad altri rivenditori espressamente autorizzati.

    Questi sistemi di distribuzione — che in origine comprendevano altri fattori sui quali dovrò tornare in seguito — venivano in varia epoca notificati alla Commissione, la quale tentava di trovare una soluzione globale per l'intero settore (cfr. la 4a Relazione sulla politica della concorrenza, nn. 35 e 97, nonché la 5o Relazione sulla politica della concorrenza, nn. 57, 58 e 59).

    Quanto al procedimento amministrativo svoltosi per ogni produttore dinanzi alla Commissione, si può osservare quanto segue:

    Il 31 gennaio 1963 la Guerlain SA notificava alla Commissione il contratto-tipo vigente per la distribuzione in Francia, nonché i contratti stipulati con i rappresentanti generali per gli altri Stati membri allora facenti parte della Comunità, come pure — il 20 giugno 1973 — i contratti stipulati con i rappresentanti generali per il Regno Unito e per la Danimarca.

    Il 30 gennaio 1963 la Rochas SA notificava alla Commissione due contratti-tipo, uno per la distribuzione in Francia ed uno per i rapprensentanti generali per gli Stati allora membri della Comunità, come pure — il 29 giugno 1973 — il contratto stipulato con i rappresentanti generali per l'Irlanda e per la Danimarca, nonché i contratti che la sua affiliata inglese aveva stipulato con rivenditori autorizzati, ed infine — il 14 settembre 1973 — il contratto-tipo che il rappresentante generale per la Danimarca aveva elaborato per i dettaglianti di questo paese.

    Il 30 gennaio 1963 la società Lanvin notificava alla Commissione i contratti stipulati con i rappresentanti generali per gli Stati allora membri della Comunità e, il 31 gennaio 1963, ¡1 contratto-tipo elaborato per la distribuzione in Francia.

    Infine, la società Ņina Ricci notificava il 31 gennaio 1963 il contratto-tipo per la distribuzione in Francia, nonché i contratti stipulati con i rappresentanti generali per il Belgio, i Paesi Bassi e la Germania; il 12 settembre 1972, il contratto stipulato con un'impresa italiana ed infine, il 3 agosto 1973, i contratti stipulati con i rappresentanti generali per il Regno Unito, per l'Irlanda e per la Danimarca.

    Nel corso del procedimento amministrativo instaurato dalla Commissione venivano inoltre resi noti i contratti (eventualmente non ancora notificati ritualmente) stipulati dai rapprensentanti generali o dalle affiliate, nei singoli Stati membri, con determinati rivenditori.

    La maggior parte dei sistemi distributivi praticati dalla industria dei profumi — ivi compresi quelli delle quattro società coinvolte nei procedimenti principali — implicavano clausole che la Commissione giudicava incompatibili con l'art. 85, n. 1, del Trattato CEE. Tali clausole erano quelle riguardanti in primo luogo l'obbligo dei rivenditori di fornire solo ai consumatori — obbligo nel quale la Commissione ravvisava un indiretto divieto di esportazione —; inoltre, l'obbligo dei rivenditori di acquistare solo dal rappresentante generale per il proprio paese o, in Francia, solo dal produttore — obbligo che veniva considerato come un indiretto divieto di importazione —; infine, l'obbligo dei rivenditori di rispettare i prezzi imposti, anche per i prodotti reimportati o riesportati.

    Il 27 aprile 1972 la Commissione procedeva perciò in via amministrativa nei confronti di tre imprese, che avevano notificato un sistema distributivo di questo tipo (Rochas, Dior e Lancôme). Nell'ambito di detti procedimenti, gli addebiti venivano notificati il 24 luglio 1972, dopodiché aveva luogo un'audizione delle interessate ed infine, il 25 maggio 1973, si notificavano altri addebiti alla società Rochas e si procedeva ad un'altra audizione. Su tale base, la Commissione concludeva che era superfluo procedere a norma dell'art. 85, n. 1, qualora fossero stati eliminati dai contratti tutti i divieti, diretti o indiretti, di esportazione o di importazione, nonché l'obbligo imposto ai rivenditori di attenersi ai prezzi imposti anche nel caso di prodotti reimportati o riesportati. Risulta che tale condizione veniva accettata, il 17 settembre 1974, dal Comité de liaison des syndicats européens de la parfumerie, al quale aderiscono le associazioni nazionali di categoria dei profumieri, restando inteso che questa soluzione doveva valere per tutte le imprese del ramo. Le tre imprese nei cui confronti erano stati promossi i procedimenti si dichiaravano quindi disposte a modificare in questo senso il loro sistema distributivo. In seguito a tale dichiarazione, la Commissione comunicava loro di non avere più motivo di procedere nei loro confronti a norma dell'art. 85, n. 1. A conclusione dei procedimenti nei confronti dei tre summenzionati produttori di profumi, la Commissione — il 24 dicembre 1974 — pubblicava un comunicato stampa, in base al quale, dalla condotta della Commissione nei tre casi di cui sopra, si potevano desumere i principi ed i criteri seguiti per la valutazione di analoghi sistemi di distribuzione nel settore in questione. Una corrispondente dichiarazione era contenuta nella quarta relazione sulla politica della concorrenza, pubblicata dalla Commissione nell'aprile 1975. Da questa dichiarazione si desume che la Commissione, in considerazione della struttura del mercato — gran numero di imprese concorrenti e modeste quote di mercato detenute da ciascuna impresa — e a condizione che fossero soppresse le limitazioni che provocano un isolamento dei mercati, non ravvisava alcun motivo di intervenire, a norma dell'art. 85, n. 1, nei confronti dei sistemi di distribuzione selettivi esistenti nel settore della profumeria.

    La Commissione invitava perciò anche le altre imprese ad abolire le clausole restrittive degli scambi o le clausole aventi effetto analogo. A tutte le imprese che avevano effettuato detti emendamenti, e ne avevano dato notizia alla Commissione, si comunicava per iscritto che i loro sistemi di distribuzione non presentavano alcuna irregolarità sotto il profilo del diritto della concorrenza e non vi era quindi ragione di procedere nei loro confronti a norma dell'art. 85, n. 1. Il 28 ottobre 1975 la società Guerlain riceveva una lettera in tal senso. Inoltre, la stessa società, che aveva comunicato alla Commissione un contratto di questo tipo stipulato in data 1o settembre 1976, veniva informata, con lettera 13 settembre 1976, del fatto che la sua organizzazione di vendita per il Belgio, i Paesi Bassi ed il Lussemburgo non presentava anomalie sotto il profilo delle norme comunitarie sulla concorrenza. Lettere come quella inviata alla Guerlain il 28 ottobre 1975 venivano pure inviate alla Rochas, il 26 marzo 1976, e alla Lanvin, il 23 settembre 1976. Per la società Nina Ricci, in una lettera del 16 marzo 1976 si dichiarava che i contratti-tipo elaborati per i rivenditori tedeschi risultavano compatibili con il diritto comunitario della concorrenza. Lo stesso parere veniva espresso in una lettera del 7 febbraio 1977 per i contratti con i rivenditori italiani ed olandesi, il 6 aprile 1977 per il contratto di distribuzione esclusiva per la Danimarca e per i contratti coi rivenditori francesi, nonché, il 5 agosto 1977, quanto ai contratti con i rappresentanti generali per il Belgio, il Lussemburgo, il Regno Unito e l'Irlanda. Il 20 gennaio 1978, infine, la Nina Ricci riceveva una lettera che, in complesso, ricalcava quella inviata sulla Guerlain il 28 ottobre 1975.

    Nei procedimenti principali, i sistemi di distribuzione valutati dalla Commissione hanno rilevanza per le seguenti ragioni:

    Gli attori del primo procedimento (nell'ambito del quale è stata formulata la domanda di pronunzia pregiudiziale 253/78) possiedono tre profumerie in Aix-en-Provence. Da tempo essi cercano di ottenere forniture anche dalla Guerlain. Tali forniture, e in particolare l'esecuzione di un ordine del giugno 1975, venivano rifiutate dal direttore commerciale della società (imputato nel procedimento principale), il quale adduceva il motivo che in Aix-en-Provence la Guerlain è già vincolata da un contratto di distribuzione con un'altra profumeria. Poiché ciò può equivalere ad un rifiuto di vendita, che costituisce reato a norma dell'art. 37 del decreto francese 30 giugno 1945, n. 1483, nella versione del decreto 24 giugno 1958, nonché a norma del decreto 30 giugno 1945, n. 1484, gli interessati promuovevano un procedimento penale nei confronti del direttore commerciale di cui sopra. Costituendosi parte civile nello stesso procedimento, gli interessati chiedevano, inoltre, che la Guerlain SA e il suo direttore commerciale venissero condannati in solido al risarcimento dei danni.

    Una delle parti, attrice nei due procedimenti riuniti che hanno dato luogo alla domanda di pronunzia pregiudiziale 1/79, è proprietaria di una profumeria a Strasburgo. Invano essa ha cercato di entrare a far parte della rete distributiva dei prodotti Rochas. Poiché nel periodo marzo 1973-febbraio 1976 le veniva rifiutata l'esecuzione di ordini per il fatto che esistevano già contratti di distribuzione con altre sei profumerie di Strasburgo, essa promuoveva un procedimento penale nei confronti del direttore commerciale della società Rochas e chiedeva inoltre, nello stesso procedimento, la condanna in solido del direttore e della società Rochas al risarcimento dei danni.

    L'attrice nell'altro procedimento di cui dobbiamo occuparci è proprietaria di una profumeria a Tolone. Nemmeno i suoi ordini venivano eseguiti, in ragione di pretesi contratti di distribuzione esclusiva esistenti tra la Rochas e altri cinque rivenditori di Tolone. In questo caso, però, veniva promosso soltanto un procedimento penale; la domanda di risarcimento, connessa ad una iniziale costituzione di parte civile, veniva in un secondo tempo revocata.

    La summenzionata proprietaria della profumeria di Strasburgo è inoltre attrice in altri due procedimenti pendenti dinanzi al Tribunal de grande instance di Parigi. Il primo verte sul fatto che il direttore commerciale della società Lanvin rifiutava di fornire prodotti all'attrice nel periodo tra il novembre 1972 e il giugno 1975, in quanto sarebbero già esistiti contratti di distribuzione con altre undici profumerie di Strasburgo. Il secondo riguarda il fatto che, nel periodo febbraio 1973-giugno 1975, il direttore commerciale della società Nina Ricci respingeva le ordinazioni dell'attrice in quanto sarebbero già esistiti contratti di distribuzione con altre undici profumerie di Strasburgo, alcune delle quali ubicate nelle vicinanze della profumeria dell'attrice. Anche in questi due casi si giungeva all'azione penale e si chiedeva il risarcimento dei danni, analogamente a quanto avvenuto nei casi ricordati in precedenza.

    In tutte queste cause, gli imputati-convenuti si difendevano osservando che la Commissione delle Comunità europee aveva dato il suo assenso ai sistemi di distribuzione praticati dai produttori di profumi, per alcuni dei quali erano state emanate addirittura decisioni a norma dell'art. 85, n. 3, del Trattato CEE; questa situazione non poteva più venire rimessa in forse per effetto dell'applicazione di norme nazionali di orientamento diverso, nei cui confronti il diritto comunitario ha preminenza. Qualcuna ha anche accennato ad un presunto riconoscimento dei sistemi di distribuzione selettiva fatto dalla giurisprudenza di questa Corte. Oltre a ciò, in alcuni casi è stato anche obiettato che i locali delle attrici non possedevano i requisiti necessari, valido motivo per non ammetterli alla rete di vendita selettiva. In considerazione degli argomenti svolti dalla difesa e non ritenendosi sufficientemente informato, il giudice del merito sospendeva i procedimenti con sentenze 5 luglio 1978; come si desume dal provvedimento di rinvio nella causa 253/78, esso disponeva

    «la consultazione in via pregiudiziale, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, della Corte di giustizia delle CC.EE. ed in particolare la trasmissione dei contratti di esclusiva della società Guerlain, con cui si crea una rete di vendita basata su criteri selettivi non solo qualitativamente, ma anche quantitativamente, affinché la Corte specifichi se determinati prodotti di lusso, per i quali la rinomanza della marca ha una funzione importante, possano fruire delle disposizioni di esenzione di cui all'art 85, n. 3, del Trattato CEE e, nella fattispecie, la società Guerlain possa fruirne sotto il profilo del diritto comunitario».

    Analogo è il dispositivo delle sentenze con le quali viene effettuato il rinvio pregiudiziale nelle cause I-3/79.

    Su questi problemi faccio le seguenti considerazioni.

    I — Ritengo opportuno presentare alcune osservazioni preliminari.

    1.

    Poiché nella parte essenziale dei provvedimenti di rinvio si dispone la trasmissione alla Corte dei contratti di esclusiva dei diversi produttori di profumi interessati e poiché si chiede se dette imprese possano invocare l'art. 85, n. 3, del Trattato CEE, è opportuno anzitutto ricordare che la Corte, nei procedimenti a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, non può — come invece pare si chieda — applicare il diritto comunitario al caso singolo. Sempreché non si tratti della validità degli atti della Comunità, essa può solo interpretare il diritto comunitario, cioè estrinsecare il suo contenuto, tenendo conto naturalmente — onde poter dare un logico contributo, limitato a quanto è necessario per facilitare la soluzione della controversia — della particolarità del procedimento di merito. Perciò, come la Corte può fare ed ha sovente già fatto, le questioni ad essa sottoposte vanno rielaborate. Come ha proposto la Commissione, esse potrebbero quindi formularsi in questo modo:

    Se l'art. 85, n. 3, del Trattato CEE vada inteso nel senso che accordi relativi ad un'organizzazione di vendita impostata su criteri non solo qualitativi, ma anche quantitativi, per la distribuzione di determinati prodotti di lusso, per i quali la rinomanza del marchio ha una funzione importante, possono fruire di una decisione di esenzione.

    2.

    Si deve poi sottolineare che una siffatta questione pregiudiziale è perfettamente ammissibile, anche se dall'art. 9 del regolamento n. 17 si può desumere che i giudici nazionali e le autorità amministrative nazionali non hanno alcuna competenza ad applicare l'art. 85, n. 3, e che quindi il giudice proponente non potrebbe accertare l'esistenza di presupposti per l'applicazione dell'art. 85, n. 3, nei casi concreti sui quali deve pronunziarsi.

    In proposito si può infatti richiamare la vostra sentenza 6 febbraio 1973 (causa 48/72, SA Brasserie de Haecht contro Wilkin e Janssen, Race. 1973, pag. 77), nella quale si dichiarava, da un lato, che il giudice nazionale, qualora nel corso di un procedimento dinanzi ad esso pendente una delle parti faccia valere l'art. 85, n. 1, norma avente efficacia immediata, non è dispensato dall'obbligo di pronunziarsi sull'eventuale nullità di un accordo e, dall'altro, che spetta al giudice adito decidere se sia opportuno sospendere il procedimento, affinché le parti possano chiedere alla Commissione un'eventuale dichiarazione ai sensi dell'art. 85, n. 3, sempreché egli non accerti che l'accordo non influisce in misura rilevante sulla concorrenza ovvero che è indubbia la sua incompatibilità con l'art. 85. Nell'ultima ipotesi, però, può essere effettivamente importante una domanda di interpretazione dell'art. 85, n. 3. Ne può infatti risultare che questa norma va disapplicata in determinate fattispecie, il che facilita al giudice il compito di emettere una chiara sentenza con riguardo all'art 85, n. 1, e consente l'accertamento della nullità di un accordo a norma dell'art 85; n. 2.

    Nonostante quanto disposto dall'art. 9 del regolamento n. 17, si deve quindi ritenere ammissibile il fatto che il giudice nazionale sottoponga alla Corte anche questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 85, n. 3.

    3.

    Se il Tribunal de grande instance di Parigi solleva una siffatta questione, è chiaro che esso presume — e questo è il logico presupposto per l'applicazione dell'art. 85, n. 3 — che nel caso sottopostogli si debba applicare l'art. 85, n. 1. E però necessario controllare se tale presunzione sia fondata. Nel corso del procedimento è infatti apparso chiaramente che, secondo la Commissione, dopo l'eliminazione di alcune clàusole originariamente figuranti nei contratti di distribuzione, vale a dire se ci si basa sulla versione odierna dei contratti stessi, il divieto di cui all'art. 85, n. 1, non trova più applicazione. Questo punto va sottolineato chiaramente nel rispondere al giudice proponente, ed in proposito è certamente opportuno aggiungere alcune parole di chiarimento circa l'art. 85, n. 1. Come ha proposto la Commissione, al riguardo si potrebbe formulare la seguente questione, che si può considerare implicita nella domanda d'interpretazione:

    «Se l'art. 85, n. 1, del Trattato CEE vada inteso nel senso che gli accordi relativi ad un'organizzazione di vendita impostata su criteri non solo qualitativi, ma anche quantitativi, per la distribuzione di determinati prodotti di lusso, per i quali la rinomanza del marchio ha una funzione importante, siano incompatibili con il mercato comune, e quindi vietati, ai sensi della norma summenzionata».

    4.

    Infine, mi pare che il problema fondamentale nella controversia di merito sia quello del se, dopo la valutazione dei sistemi di distribuzione di cui trattasi da parte della Commissione, resti ancora spazio per l'applicazione delle — più severe — norme francesi sul rifiuto di vendita, che manifestamente escludono la possibilità di qualsiasi giustificazione basata sul carattere selettivo di siffatti sistemi di distribuzione.

    In proposito si deve stabilire se effettivamente, secondo il diritto comunitario (art. 85, n. 3), fosse stata concessa una esenzione, la quale, in quanto atto positivo di diritto comunitario, non può venire privata della sua efficacia da norme interne divergenti. Resta poi da vedere se, anche qualora non fosse stata concessa una siffatta esenzione, considerazioni di diritto comunitario non si oppongano all'applicazione del diritto interno. Così dicendo mi riferisco, ad esempio, — ma non soltanto — all'applicazione del regolamento n. 67/67 sull' esenzione per gruppi (GU n. 57, del 25 marzo 1967, pag. 849) oppure, agli effetti giuridici degli accordi tempestivamente notificati alla Commissione.

    II — Ciò premesso, vengo ora all'esame delle singole questioni che vanno risolte per fornire una risposta al giudice di merito.

    1.

    Preminente è logicamente la questione del se l'art. 85, n. 1, possa applicarsi a sistemi di distribuzione secondo cui i prodotti vengono forniti non già a qualsiasi rivenditore interessato, ma solo a quelli scelti in base a criteri qualitativi e quantitativi.

    In proposito, per quel che riguarda i criteri qualitativi, si può far richiamo alla sentenza 25 ottobre 1977 (causa 26/76, Metro SB-Großmärkte GmbH & Co. KG contro Commissione, Race. 1977, pag. 1875). In questa sentenza à stato genericamente sottolineato che nell'applicazione dell'art. 85 si deve tener conto del fatto che la natura e l'intensità della concorrenza possono variare a seconda dei prodotti considerati e a seconda della struttura del settore commerciale di cui trattasi. I sistemi di distribuzione selettiva potrebbero quindi esser compatibili con l'art. 85, n. 1 — il che varrebbe quindi anche per le restrizioni ad essi connesse — se la scelta dei rivenditori si effettuasse in base a criteri oggettivi d'indole qualitativa. Appare perfettamente logico che questo criterio si applichi anche nel settore della profumeria, nel quale nulla vieta ai produttori di scegliere la loro clientela e nel quale il prestigio di determinate marche implicanti un'idea di raffinatezza ha la sua importanza. Se in questo settore si dà peso a certe caratteristiche qualitative dei rivenditori, ciò può giustificarsi in base alla natura dei prodotti — devono essere garantiti il loro valore e la loro freschezza e si deve anche fornire la consulenza tecnica — come nel caso dei prodotti di alto livello tecnico di cui si trattava nella causa Metro e per i quali il prestigio del marchio aveva pure notevole importanza.

    Se poi ài criteri di selezione qualitativa si aggiungono dei parametri quantitativi — limitazione del numero dei rivenditori in una determinata zona in funzione del potere d'acquisto della popolazione, affinché ogni punto di vendita possa disporre di un certo margine di utile — non si può certo negare che in questo modo si giunge ad una limitazione della concorrenza nell'ambito del gruppo dei rivenditori che soddisfano le condizioni qualitative. Inoltre una limitazione della concorrenza ai sensi dell'art. 85, n. 1, lett. b), può ravvisarsi nel fatto che i rivenditori autorizzati non sono pienamente liberi di agire, in quanto è loro vietato rifornire commercianti che non facciano parte della rete ufficiale.

    Tuttavia, ciò non è sufficiente per concludere necessariamente che deve in effetti applicarsi l'art. 85, n. 1. Secondo la giurisprudenza (sentenza 30 giugno 1966, causa 56/65, Société technique minière contro Maschinenbau Ulm GmbH, Race. 1966, pag. 261; e sentenza 25 novembre 1971, causa 22/71, Béguelin Import Co. e altri contro SAGL Import Export e altri, Race. 1971, pag. 949) resta da vedere infatti se il commercio tra gli Stati membri e la concorrenza vengano pregiudicati in misura rilevante. Per questa valutazione è determinante il contesto economico e giuridico in cui viene ad inserirsi l'accordo (sentenze 12 dicembre 1967, causa 23/67, Aktiengesellschaft Brasserie de Haeclit contro Wilkin e Janssen, Race. 1967, pag. 479, e 25 novembre 1971, causa 22/71, Béguelin). Sotto questo profilo bisogna esaminare il complesso delle circostanze obiettive di diritto e di fatto e si deve tener conto di tutti gli elementi concomitanti d'indole economica connessi all'esecuzione dell'accordo (sentenza 56/65, già citata, e sentenza 6 maggio 1971, causa 1/71, SA Cadillon contro Ditta Höss Maschinenbau KG, Race. 1971, pag. 351). Sotto questo aspetto è pure decisiva l'esistenza di analoghi accordi stipulati dallo stesso produttore con concessionari stabiliti in altri Stati membri (sentenze 23/67 e 22/71). Importante è pure l'eventuale analoga condotta tenuta da altri produttori concorrenti. Inoltre, bisogna tener conto della posizione degli interessati sul mercato (sentenze 9 luglio 1969, causa5/69, Race. 1969, pag. 295, e 1/71, già citata). Infine, è anche importante vedere se, per i prodotti in questione, si costituiscano ostacoli agli scambi (causa 56/65).

    In base a quanto abbiamo appreso, nel corso del procedimento, dalle dichiarazioni della Commissione relative al modesto volume delle quote di mercato dei singoli produttori di profumi, all'estensione della rete dei rispettivi rivenditori autorizzati, al notevole numero dei produttori concorrenti, ma anche al fatto che i rivenditori autorizzati effettuano forniture anche in altri Stati membri ed hanno piena libertà di determinazione dei prezzi di vendita, non è difficile immaginare che i sistemi di distribuzione di cui trattasi nei procedimenti principali non abbiano alcuna incidenza rilevante, secondo i criteri elaborati nella menzionata giurisprudenza. Questa è comunque la conclusione cui sono giunti — come hanno espressamente dichiarato — gli uffici della Commissione. D'altra parte, questa conclusione non è vincolante per il giudice a quo. Anzi, a questo proposito, poiché l'art. 85, n. 1, del Trattato CEE ha efficacia diretta e per il settore in questione non è stata dichiarata la competenza esclusiva degli organi della Comunità, il giudice a quo deve formarsi un proprio convincimento, e non è certo escluso — pur essendo improbabile — che, esaminando a fondo tutti i fattori, i quali nel frattempo possono essere mutati, egli giunga ad una valutazione diversa.

    2.

    Se il giudice a quo, fondandosi su siffatte considerazioni, giungesse alla conclusione che i sistemi distributivi ricadono sotto la disciplina dell'art. 85, n. 1, si dovrebbe poi stabilire se si possa applicare l'esenzione per gruppi di cui al regolamento n. 67/67, se non si debba in realtà presumere che la Commissione abbia emanato una decisione di esenzione a norma dell'art. 85, n. 3, e se, infine, si debba tener conto dell'art. 85, n. 3, oppure, in casi del genere, l'applicazione di questa norma si debba radicalmente escludere.

    a)

    Dei tre problemi summenzionati, il primo è quello che presenta minori difficoltà. In effetti, l'applicazione della esenzione per gruppi si potrebbe prendere in considerazione al massimo per i contratti stipulati fra i produttori ed i rappresentanti generali per i vari Staţi membri; ora, questi atti esulano manifestamente dalla materia del contendere nei procedimenti principali. Quanto agli accordi con i rivenditori autorizzati, in primo luogo essi non soddisfano la condizione posta dall'art. 1 del regolamento n. 67/67, secondo cui un contraente si impegna, nei confronti dell'altro, a fornire solo a questi determinati prodotti per la rivendita entro una determinata zona del mercato comune; inoltre, alla luce degli artt. 2 e 3 del regolamento n. 67/67, suscita per- plessità il divieto, imposto ai rivenditori, di fornire prodotti a distributori non facenti parte della rete ufficiale. L'istituto dell'esenzione per gruppi risulta quindi poco utile nei casi in esame.

    b)

    Molto discussa è la questione — sulla quale anche nella fase orale il dibattito è stato molto acceso — della possibilità di ritenere che la Commissione abbia emesso, per i sistemi di distribuzione di cui trattasi, una dichiarazione di esenzione a norma dell'art. 85, n. 3.

    I produttori di profumi sostengono che un'esenzione di questo tipo si possa ravvisare nella lettera, da me ricordata all' inizio, inviata loro dalla Commissione a conclusione del procedimento di notifica, pur se la Commissione nega ora che lo scritto avesse questo carattere. Detta lettera dovrebbe cioè venire interpretata tenendo conto dell'intero procedimento seguito per i sistemi di distribuzione applicati dai produttori di profumi. In particolare, nella comunicazione degli addebiti mossi a tre produttori di profumi, ma che in realtà avrebbero potuto essere rivolti a tutta la categoria, sarebbe stato espressamente dichiarato che in contratti di distribuzione esclusiva per prodotti di lusso, fondati su criteri di scelta non solo qualitativi, ma anche quantitativi, sarebbero potuti rientrare — come si era già fatto per altri prodotti nella decisione Omega (GU 1970, n. L 242, pag. 22) — nella sfera d'applicazione dell'art. 85, n. 3, qualora fossero state loro apportate alcune modifiche che in effetti venivano poi apportate. Inoltre essi osservano che in una delle frasi conclusive di detta lettera si ricorda che la Commissione avrebbe vegliato affinché l'ammissione di rivenditori qualificati alla rete distributiva non venisse effettuata in modo arbitrano e non costituisse un mezzo dissimulato per soffocare la libertà di scambio fra distributori autorizzati. Siffatte condizioni e prescrizioni sarebbero contemplate dall'art. 8 del regolamento n. 17 per le dichiarazioni di cui al n. 3 dell'art. 85, mentre in un attestato negativo non avrebbero alcun senso. Inoltre, in casi come quelli di specie si potrebbe parlare di abuso di un diritto, idea che potrebbe essere suggerita dall'ultima frase di detta lettera soltanto qualora il diritto stesso sia stato in precedenza riconosciuto dalle autorità competenti. Per contro, non si potrebbe criticare l'inosservanza di determinate formalità previste per le decisioni di esenzione (pubblicazione del contenuto della domanda in tal senso a norma dell'art. 19 del regolamento n. 17, con l'invito ai terzi a presentare le loro eventuali osservazioni alla Commissione; pubblicazione della decisione stessa a norma dell'art. 21 del regolamento n. 17). La Commissione avrebbe infatti reso pubbliche le soluzioni adottate in un primo tempo per la Dior e per la Láncomé, mediante comunicati-stampa, nel bollettino mensile della Comunità e nella sua Relazione sulla politica della concorrenza, cosicché i terzi interessati, ancora prima della conclusione del procedimento nei confronti dei produttori di profumo interessati, avrebbero potuto presentare le loro osservazioni alla Commissione.

    Premetterò subito di non condividere questo punto di vista, mentre invece mi associo a quello sostenuto dalla Commissione nel corso del procedimento. In proposito è inutile stare a discutere se una lettera firmata solo da un direttore generale o da un direttore possa costituire una decisione della Commissione. Le lettere di cui trattasi, infatti, si differenziano radicalmente dalle decisioni formali che vengono adottate a norma dell'art. 85, n. 3. È poi importante ricordare che — pur volendo considerare adempiuto, nel caso degli atti fatti valere dai produttori di profumi, l'obbligo della pubblicazione sancito dall'art. 19 del regolamento n. 17 — non è comunque seguita alcuna pubblicazione di quelli che gli interessati definiscono provvedimenti di esecuzione, nei quali, per di più — benché l'art. 6 del regolamento n. 17 lo prescriva — non è nemmeno indicata la data da cui la dichiarazione avrebbe dovuto avere effetto. Soprattutto, però, è importante osservare che dal contenuto delle lettere inviate ai produttori di prafturii non si può desumere che si sia fatta applicazione dell'art. 85, n. 3. In dette lettere si afferma infatti chiaramente :

    «La Commission estime qu'il n'y a plus lieu pour elle, en fonction des éléments dont elle a connaissance, d'intervenir à l'égard des contrats précités en vertu des dispositions de l'article 85 paragraphe 1 du Traité de Rome. Cette affaire peut dès lors être classée».

    Si usa dunque una forma che, alla luce dell'art. 2 del regolamento n. 17, potrebbe al massimo essere idonea per un attestato negativo. Per me non esiste quindi alcun dubbio sul fatto che si tratta solo di un parere circa l'applicazione dell'art. 85, n. 1, che è parso opportuno comunicare agli interessati dopo l'eliminazione di determinate clausole dai contratti di esclusiva, e in nessun caso di una decisione di esenzione. Questa convinzione non può essere scalfita nemmeno dai richiami dei produttori di profumi al contenuto della comunicazione degli addebiti inviata a tre imprese, nonché alla frase conclusiva delle lettere. In primo luogo basterà dire che gli addebiti si riferiscono agli accordi prima dell'eliminazione di determinate clausole che ostacolavano gli scambi fra Stati membri e che essi costituiscono solo una valutazione provvisoria, di pugno del commissario competente per la concorrenza, che naturalmente non può pregiudicare il giudizio definitivo, che, a norma dell'art. 85, n. 3, può venir formulato solo dalla Commissione. Inoltre si deve osservare che la frase conclusiva delle lettere può venire intesa anche nel senso che la Commissione, la quale a suo tempo non aveva ravvisato alcun motivo di procedere a norma dell'art. 85, n. 1, si riservava di continuare a sorvegliare la situazione e, se avesse rilevato mutamenti, che potevano derivare anche da un determinato modo di applicare il sistema da parte dei produttori di profumo, di intervenire, se del caso, a norma dell'art. 85, n. 1.

    e)

    Ne consegue, quindi, che il giudice proponente non può partire dal presupposto dell'applicazione del regolamento sulla esenzione per gruppi, né della sussistenza di decisioni di esenzione individuale. Tuttavia, prima di applicare l'art. 85, n. 1, e giungere alla dichiarazione di nullità a norma dell'art. 85, n. 2, egli deve analizzare ancora due aspetti del problema, ai quali si è accennato nel corso del procedimento.

    aa)

    Il primb è quello relativo agli effetti giuridici della notifica alla Commissione dei contratti di distribuzione.

    Per il caso dei cosiddetti vecchi contratti, stipulati prima dell'entrata in vigore del regolamento n. 17 (13 marzo 1962), e di tempestiva notifica ovvero di dispensa dall'obbligo di notifica — di cui fruiscono, a norma degli artt. 4 e 5 del regolamento n. 17, i contratti stipulati con rivenditori — si deve anzitutto tener conto della sentenza 14 dicembre 1977 (causa 59/77, De Bloos contro Bouyer, Race. 1977, pag. 2359). Secondo questa pronunzia, siffatti accordi sono perfettamente efficaci, e cioè producono tutti gli effetti giuridici loro attribuiti dalle norme di diritto interno da cui sono retti; il giudice nazionale può dichiararne la nullità a norma dell'art. 85, n. 1, solo dopo che la Commissione abbia adottato una decisione a norma del regolamento n. 17. Ora, nel nostro caso, manifestamente non si può ritenere che ciò sia avvenuto, neppure in considerazione della comunicazione degli addebiti. Inoltre, sotto questo aspetto, dovrebbe essere irrilevante anche il fatto che, durante il procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione, siano state apportate modifiche agli accordi, in quanto ciò è avvenuto su proposta della Commissione ed è servito solo a mitigare determinate clausole.

    D'altro canto, si deve ricordare che secondo la sentenza 30 giugno 1970 (causa 1/70, Parfums Marcel Rochas-Vertriebs GmbH contro Helmut Bitsch, Race. 1970, pag. 515) è sufficiente la notifica di un contratto-tipo, che vale per tutti gli accordi analoghi stipulati dalla stessa impresa. Anche qualora il contratto-tipo sia stato stipulato prima dell'entrata in vigore del regolamento n. 17, mentre gli accordi di contenuto analogo sono posteriori a questa data, questi ultimi fruiscono — è stato espressamente affermato —, purché il contratto-tipo sia stato tempestivamente notificato, degli effetti giuridici della notifica, e cioè vanno considerati validi alla stessa stregua del contratto-tipo.

    bb)

    L'altro aspetto del problema riguarda l'eventuale applicazione dell'art. 85, n.3. Come abbiamo già detto, essa è preclusa ai giudici nazionali in quanto, a norma dell'art. 9 del regolamento n. 17, la competenza esclusiva in questa materia è riservata alla Commissione. Tuttavia — come si desume dalla già citata giurisprudenza— il giudice nazionale può prendere in considerazione l'ipotesi di sospendere il procedimento per interpellare eventualmente la Commissione circa l'art. 85, n. 3, ma nel contempo può porsi il problema del se l'esenzione a norma dell'art. 85, n. 3, non vada scartata senza esitazione per un dato accordo, il che l'autorizzerebbe allora ad applicare l'art. 85, n. 1, e a dichiarare la nullità dell'accordo stesso.

    Quanto all'applicazione dell'art. 85, n. 3, nel caso di sistemi di distribuzione selettivi come quelli praticati dai produttori di profumi, non è necessario aggiungere nulla a quanto è stato già diffusamente esposto dagli stessi produttori di profumi sulla possibilità di ravvisare la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 85, n. 3, in quanto detti sistemi consentono un miglioramento della produzione e della distribuzione che torna a vantaggio degli acquirenti. Questo problema, infatti, è ormai fuori discussione, mentre l'unico punto controverso è rimasto quello del se le limitazioni derivanti dalla costituzione di un sistema di distribuzione selettivo in base a criteri quantitativi possano considerarsi effettivamente come inammissibili.

    In proposito i fabbricanti di profumi sostengono che è assolutamente impossibile rinunciare alla selezione quantitativa, anzitutto in considerazione della necessità di garantire un margine di utile adeguato ai rivenditori autorizzati, che hanno impegni pubblicitari e debbono fornire consulenza alla clientela, ma anche perché, altrimenti, si avrebbe un aumento dei costi di distribuzione, e quindi dei prezzi di vendita, per effetto dell'obbligo di fornire materiale pubblicitario indiscriminatamente a tutti i punti di vendita, ed in quanto la moltiplicazione eccessiva dei punti di vendita ufficiali, sui quali non si potrebbe più esercitare un'oculata sorveglianza, nuocerebbe al prestigio del marchio. La Commissione invece, pur riconoscendo la validità generale di queste considerazioni, ritiene che un sistema di selezione quantitativa possa venir esentato solo eccezionalmente, ad esempio se il tipo di prodotto richiede una stretta collaborazione tra produttore e commerciante. A suo avviso, però, il carattere di lusso dei prodotti di profumeria e l'obbligo, incombente al produttore, di ritirare i prodotti scaduti non possono giustificare un'esenzione. In ogni caso, essa ritiene possibile l'applicazione di criteri meno restrittivi di quello applicato attualmente, come, ad esempio, il fatto che l'ammissione alla rete ufficiale di vendita sia subordinata all'impegno di vendere un quantitativo minimo di prodotti. A ciò i produttori di profumo replicano ribadendo che un simile sistema comporterebbe pericoli per le loro imprese. Ad esempio, è molto probabile che al termine di un periodo di prova la maggior parte dei nuovi rivenditori dovrebbe essere nuovamente esclusa dalla rete, il che provocherebbe disordine e confusione nel sistema di distribuzione. I rivenditori esclusi non renderebbero al produttore i prodotti invenduti, ma tenterebbero — a scapito del marchio — di venderli ugualmente al di fuori della rete ufficiale, anche se di qualità divenuta scadente e in assortimento ridotto. Essi potrebbero essere inoltre tentati, onde non essere esclusi dalla rete di distribuzione, di raggiungere il quantitativo minimo di vendite cedendo i prodotti a rivenditori non autorizzati, il che porterebbe necessariamente all'annientamento del sistema di distribuzione selettivo. Inoltre, anche se venisse applicato il criterio suggerito dalla Commissione, rimarrebbe il problema della determinazione dei minimi, che indubbiamente è di competenza esclusiva dei produttori e che logicamente — come già ora avviene — si impernia sulle effettive possibilità di vendita dei singoli rivenditori.

    Visti gli argomenti delle parti, non si può a mio avviso sostenere, in modo per così dire astratto, che l'art. 85, n. 3, non entra assolutamente in linea di conto per un sistema di distribuzione selettivo come quello seguito dai produttori di profumi. In effetti, anche la Commissione si è limitata a constatare che gli argomenti finora svolti dalle imprese non sono sufficienti per giustificare l'esenzione, ed ha inoltre giustamente sottolineato che un' esatta valutazione è possibile solo dopo aver soppesato a fondo le circostanze di ogni singola fattispecie, come del resto è stato fatto nei procedimenti Omega e Junghans, cui si è fatto cenno in corso di causa. Perciò, nei casi ora in esame, non si può senz'altro rispondere al giudice^ a quo che — ammessa l'applicabilità dell'art. 85, n. 1 — è esclusa ogni possibilità di ricorrere all'art. 85, n. 3, e che quindi non vi è alcun motivo per sospendere eventualmente il procedimento al fine di interpellare la Commissione su questo punto.

    3.

    Vengo ora ad un ultimo gruppo di questioni formulate nella domanda pregiudiziale, e cioè a quelle che hanno maggior importanza per il giudice proponente. Si tratta della possibilità di applicare le norme di diritto francese sul rifiuto di vendita, che andrebbero prese in considerazione — con le relative sanzioni penali — pur se i sistemi di distribuzione selettivi, nell'ambito dei quali il rifiuto di vendita dovrebbe essere giustificato, sono stati vagliati dalla Commissione alla luce del diritto comunitario.

    In questo contesto, tenuto conto di quanto ho già detto finora, si pone in primo piano il problema del se, qualora, per insussistenza dei presupposti di cui all'art. 85, n. 1, non trovi applicazione il diritto comunitario, possa applicarsi il diritto interno (più restrittivo). In secondo luogo si può esaminare il problema dell'orientamento da assumere, qualora debba invece applicarsi l'art. 85, n. 1. In proposito si deve tener conto non solo delle conseguenze derivanti dalla nullità ai sensi dell'art. 85, n. 2, ma anche degli effetti giuridici di vecchi accordi tempestivamente notificati, nonché della eventuale necessità di sospendere il procedimento in sede nazionale qualora si ravvisi la possibilità che la Commissione adotti una decisione d'esenzione.

    a)

    Il punto di partenza è costituito da quanto affermato dalla Corte nella sentenza 13 febbraio 1969 (causa 14/68, Walt Wilhelm e altri contro Bundeskartellamt, Racc. 1969, pag. 1) in merito ai rapporti tra diritto comunitario e diritto interno: l'applicazione del diritto interno in materia di concorrenza può aver luogo solo «in quanto non pregiudichi l'uniforme applicazione, nell'intero mercato comune, delle norme comunitarie sulle intese e il pieno effetto dei provvedimenti adottati in applicazione delle stesse». Inoltre sarebbe in contrasto con il carattere essenziale del diritto comunitario, che «gli Stati membri potessero adottare o mantenere i vigore misure atte a menomare gravemente l'effetto utile del Trattato». Qualora nel corso di un procedimento in sede nazionale risultasse che la Commissione probabilmente concluderà un procedimento dinanzi ad essa pendente riguardo alla stessa intesa con una decisione incompatibile con gli effetti di una decisione adottata dalle autorità nazionali, queste dovrebbero provvedere in modo adeguato. Ciò vale, naturalmente, a prescindere dal fatto che il diritto interno venga applicato da organi giurisdizionali o amministrativi, poiché la norma di competenza, costituita dall'art. 9 del regolamento n. 17, per la quale è determinante la questione del se anche gli organi giurisdizionali siano «autorità», riguarda l'applicazione del solo diritto comunitario, non già del diritto interno.

    b)

    Se dovesse risultare — come pare essere il caso nei procedimenti principali — clie l'art. 85, n. 1, non può venire applicato ai sistemi distributivi di cui trattasi, poiché non sussistono i presupposti del divieto di cui al n. 1 dell'articolo stesso (rilevanti limitazioni della concorrenza e rilevanti ostacoli per gli scambi intracomunitari), nulla impedisce in linea di massima, come giustamente ha sottolineato la Commissione, che a detti sistemi di vendita si possa applicare il diritto interno, più restrittivo.

    Inoltre, a mio avviso, la Commissione è pur nel giusto allorché sostiene che una soluzione diversa si potrebbe al massimo prendere in considerazione se una siffatta condotta delle imprese, cioè l'applicazione di sistemi di distribuzione selettivi, contribuisse alla realizzazione delle finalità del Trattato, giacché in questo caso è evidente che sarebbero in gioco interessi comunitari. Ma nel nostro caso mi pare che questa ipotesi debba venire scartata.

    Per contro non si può obiettare — come fanno i produttori di profumi — che gli uffici della Commissione abbiano cercato, come risulterebbe dai relativi Rapporti sulla politica della concorrenza, di giungere ad una soluzione globale per tutto questo settore economico in un unico procedimento, con la conseguenza che detta soluzione sarebbe vincolante anche per le autorità nazionali. In proposito non si deve dimenticare che, nell'ambito di tale procedimento, la Commissione è riuscita ad ottenere una modifica dei sistemi distributivi grazie alla quale è ormai escluso che essi ricadano sotto il divieto sancito dall'art. 85, n. 1.

    Analogamente ritengo irrilevante il richiamo fatto dai fabbricanti di profumo al fatto che solo nel diritto francese si incontrino norme così severe intese a vietare il rifiuto di vendita, mentre nel diritto tedesco, olandese, britannico e lussemburghese lo stesso divieto vige solo in casi particolari. Se si ammettesse senz'altro la possibilità di applicare le norme francesi, ciò provocherebbe — secondo i produttori di profumi — distorsioni della concorrenza rispetto ai produttori degli altri Stati membri, giacché solo i produttori francesi — in ragione dell'aumento dei costi di distribuzione che farebbe seguito alla scomparsa del sistema selettivo — incontrerebbero ostacoli nello sviluppo armonico della loro attività. In proposito la Commissione ha già giustamente ricordato che siffatte conseguenze non si possono evitare facendo ricorso al principio di cui all'art. 3, lett. f), del Trattato CEE, mentre si deve cercare una soluzione a questo problema armonizzando le norme nazionali che disciplinano la materia specifica. Mi pare anche il caso di ricordare che la Corte di giustizia, nella summenzionata sentenza 1468, vertente su un problema analogo (violazione del divieto di discriminazione di cui all'art. 7 del Trattato CEE), ha affermato che questa norma non riguarda le disparità di trattamento e le distorsioni derivanti, per le persone e le imprese soggette al diritto comunitario, dalle divergenze fra le legislazioni dei vari Stati membri, dal momento che dette legislazioni si applicano a chiunque sia loro soggetto secondo criteri oggettivi e indipendentemente dalla nazionalità.

    e)

    Se invece il giudice nazionale dovesse giungere alla conclusione che l'art. 85, n. 1, deve applicarsi alla fattispecie, sarà opportuno ricordare anzitutto quanto la giurisprudenza ha stabilito circa gli effetti degli accordi tempestivamente notificati. Ciò può implicare la necessità di considerare validi gli accordi in questione, con la conseguenza che l'applicazione del diritto interno, avente risultati opposti, non sarebbe conciliabile col principio secondo cui il diritto interno si deve applicare solo in modo da non fare ostacolo agli effetti del diritto comunitario.

    Inoltre, anche a prescindere da quanto sopra, non bisogna dimenticare la possibilità che la Commissione, qualora in un secondo tempo venisse a condividere l'orientamento del giudice nazionale quanto all'applicabilità dell'art. 85, n. 1, potrebbe emanare una decisione a norma dell'art. 85, n. 3. In questa ipotesi le autorità nazionali, com'è stato rilevato nella sentenza 14/68, dovrebbero adottare provvedimenti idonei, come ad esempio la sospensione del procedimento, onde evitare che la loro decisione venga a trovarsi in conflitto con l'eventuale decisione adottata dalla Commissione.

    Infine la Commissione ha giustamente sottolineato che, qualora il giudice nazionale dovesse trarre la conclusione che l'accordo è nullo a norma dell'art. 85, n. 2, è necessario vegliare a che gli effetti scaturenti da questa norma non vengano paralizzati. In effetti, ciò potrebbe avvenire in caso di applicazione delle norme francesi sul rifiuto di vendita, qualora l'invalidità derivante dalle norme interne avesse ripercussioni più vaste delle conseguenze giuridiche del diritto comunitario, che — come si è dimosrato — nel caso dei prodotti di profumeria lascia praticamente impregiudicato il criterio della selezione qualitativa. Le esigenze del diritto comunitario e della sua applicazione uniforme porterebbero quindi in ogni caso ad escludere l'applicazione delle norme francesi sul rifiuto di vendita ogniqualvolta, contrariamente a quanto stabilito dal diritto comunitario, esse implicassero la completa abolizione dei sistemi selettivi.

    Sotto il profilo del diritto comunitario non posso dire altro quanto al problema — che dovrà essere risolto dal giudice a quo — dei rapporti fra diritto comunitario e diritto interno.

    III — In definitiva, propongo quindi di risolvere come segue le questioni sottopostevi dal Tribunal de grande instance di Parigi:

    1.

    Le lettere, indirizzate ai produttori idi profumo coinvolti nei procedimenti penali pendenti dinanzi al Tribunal de grande instance di Parigi, in data 28 ottobre 1975, 26 marzo 1976, 22 settembre 1976 e 20 gennaio 1978, firmate dal direttore generale per la concorrenza e, rispettivamente, da un direttore di detta direzione generale, non contengono decisioni di esenzione ai sensi dell'art. 85, n. 3, del Trattato CEE, bensì esprimono solo l'opinione che, in base ai dati allora noti, non vi era motivo di procedere a norma dell'art. 85, n. 1, del Trattato CEE.

    2.

    L'eventuale applicazione dell'art. 85, n. 1, ad una organizzazione di vendita che si fonda su criteri di selezione non solo qualitativi, ma anche quantitativi, va decisa in base al complesso degli elementi giuridici ed economici concomitanti (tipo di prodotto, quota di mercato del produttore, numero dei concorrenti e posizione di questi sul mercato, esistenza di contratti di distribuzione analoghi, esistenza di clausole che ostacolano gli scambi intracomunitari e che impediscono la libera determinazione dei prezzi); in base a questi elementi si deve stabilire se sia ravvisabile un rilevante pregiudizio per la concorrenza e per gli scambi intracomunitari.

    3.

    Se sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 85, n. 1, un'organizzazione di vendita di questo tipo può venir dichiarata nulla dai giudici nazionali, a norma del diritto comunitario, solo qualora non si possa applicare il regolamento 22 marzo 1967, n. 67/67, non si tratti di vecchi accordi provvisoriamente validi e sia fuori dubbio che l'art. 85, n. 3, non può venire applicato, cioè non vi sia alcun ragionevole motivo di chiedere al riguardo una pronunzia della Commissione.

    4.

    Se non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 85, n. 1, nei confronti di un'organizzazione di vendita selettiva, nulla vieta di applicare nella fattispecie le disposizioni di diritto interno.

    Se invece sussistono i presupposti per l'applicazione dell'art. 85, n. 1, il diritto interno può venire applicato ad accordi del genere solo se e in quanto non ne derivino intralci all'applicazione uniforme del diritto comunitario e non ne risulti pregiudicata l'efficacia di provvedimenti eventualmente adottati per l'attuazione dello stesso.


    ( 1 ) Traduzione dal tedesco.

    Top