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Document 61976CC0021

Conclusioni dell'avvocato generale Capotorti del 10 novembre 1976.
Handelskwekerij G. J. Bier BV contro Mines de potasse d'Alsace SA.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Gerechtshof 's-Gravenhage - Paesi Bassi.
Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale - Art. 5, 3º (responsabilità ex delicto).
Causa 21-76.

Raccolta della Giurisprudenza 1976 -01735

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1976:147

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

FRANCESCO CAPOTORTI

DEL 10 NOVEMBRE 1976

Signor presidente,

signori giudici,

1. 

Il caso Bier/Mines de potasse d'Alsace rientra nella categoria di quelli che sollevano problemi d'interpretazione della convenzione di Bruxelles, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. La norma che si tratta d'interpretare è l'articolo 5, n. 3, della convenzione: secondo la quale «Il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente … in materia di delitti o quasi-delitti, davanti al giudice del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto». Voi siete, in sostanza, chiamati a decidere come si debba intendere l'espressione «luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto»; espressione che nell'articolo citato ha il valore e la funzione di un criterio di competenza speciale.

I fatti essenziali possono così riassumersi:

La società olandese Bier, che ha in prossimità di Rotterdam importanti vivai di piante irrigati con le acque del Reno, e la fondazione Reinwater di Amsterdam, hanno convenuto davanti al tribunale di Rotterdam la società Mines de potasse d'Alsace avente sede a Mulhouse, chiedendo il risarcimento dei danni provocati dall'inquinamento delle acque del Reno, per effetto degli scarichi effettuati dall'impresa alsaziana di circa 11000 tonnellate di cloruro al giorno in un canale che sbocca in quel fiume. È il caso di ricordare che la fondazione Reinwater ha come compito statutario di favorire ogni possibile miglioramento della qualità d'acqua del bacino del Reno e ciò anche esperendo azioni civili a tutela dei diritti soggettivi di coloro il cui ambiente di vita ha a che fare con la qualità di tali acque, e in ispecie di coloro che dal Reno traggono i mezzi di sostentamento.

Il comportamento della convenuta, da cui si afferma essere risultato il danno, è stato dunque tenuto in Francia, mentre il pregiudizio si è verificato nei Paesi Bassi. Gli attori hanno proposto la domanda innanzi al giudice olandese ritenendo che Rotterdam sia, ai sensi del citato articolo 5, n. 3, della convenzione, «il luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto». Dal canto suo, la convenuta ha eccepito l'incompetenza della giurisdizione olandese poiché a suo avviso l'eventuale fatto illecito deve reputarsi localizzato in Francia, nella circoscrizione del giudice di Mulhouse, il quale sarebbe pertanto la sola giurisdizione competente, anche in base al citato articolo 5, n. 3, della convenzione, a giudicare sulla domanda di risarcimento.

Con sentenza del 12 maggio 1975, il tribunale di Rotterdam ha accolto l'eccezione d'incompetenza per il fatto che «l'evento dannoso oggetto del procedimento di merito può essere costituito solo dallo scarico dei rifiuti nel Reno effettuato in Francia». La corte d'appello dell'Aia, davanti a cui le attrici hanno impugnato questa decisione, ha posto alla Corte, sulla base dell'articolo 3 del protocollo in data 3 giugno 1971 relativo all'interpretazione della convenzione del 27 settembre 1968, la seguente domanda pregiudiziale:

«Se l'espressione “luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto” di cui all'articolo 5, n. 3, di detta convenzione vada interpretata nel senso di “luogo in cui il danno è insorto” oppure nel senso di “luogo dove è stato commesso il fatto che ha avuto conseguenze dannose”».

2. 

Occorre esaminare anzitutto se l'espressione adoperata nell'articolo 5, n. 3, della convenzione debba essere considerata autonoma rispetto ai diritti degli Stati membri, oppure come implicante un rinvio alle regole materiali di diritto applicabili, in ciascuno caso di specie, sulla base delle regole di diritto internazionale privato proprie dell'ordinamento statale in cui si colloca il giudice adito. Questa è, come ricorderete, l'opzione preliminare messa in luce dalla vostra sentenza nel caso 12-76 (Società industrie tessili italiana/Dunlop), dove fu sottolineato che la scelta non può essere fatta se non a proposito di ciascuna delle disposizioni della convenzione, in modo tuttavia da assicurare a questa la sua piena efficacia, nelle prospettive degli obiettivi dell'articolo 220 del trattato.

Nella specie, né la giurisdizione richiedente né alcuna delle parti hanno sollevato riserve circa la possibilità che alla espressione di cui si tratta sia riconosciuto un significato autonomo.

Anche noi riteniamo che non possano esservi dubbi a questo riguardo.

Le difficoltà che la Corte, nella ricordata sentenza nella causa 12-76, ha ravvisato sussistere per una definizione autonoma del luogo di esecuzione dell'obbligazione nascente da contratto, non ci pare che ricorrano invece per la definizione del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto. L'individuazione di quest'ultimo luogo non è infatti legata ad alcun contesto contrattuale nè è influenzata in nessun modo dalla diversità fra vari tipi di contratto: il concetto di fatto dannoso extracontrattuale, anche se copre un certo numero di ipotesi, ha un'impronta molto più unitaria del concetto di obbligazione contrattuale. D'altro canto, le divergenze sussistenti fra i diritti nazionali in relazione alla disciplina materiale della responsabilità extracontrattuale non possono ritenersi d'ostacolo a una definizione autonoma della nozione impiegata dall'articolo 5, n. 3: non si dimentichi che già nella sentenza sopra citata la Corte ha posto in luce la indipendenza della interpretazione delle nozioni contenute nella convenzione rispetto alle regole materiali applicabili alla situazione litigiosa.

A ciò si può aggiungere che una definizione autonoma, laddove è possibile, delle espressioni usate dalla convenzione ai fini della determinazione della competenza giudiziaria, contribuisce indubbiamente a facilitare il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni giudiziarie degli Stati partecipanti conformemente agli scopi essenziali della convenzione medesima e alle finalità dell'articolo 220 del trattato CEE a cui essa si ricollega.

Infine, non potrebbe opporsi a un'autonoma definizione la circostanza che gli autori della convenzione abbiano intenzionalmente dato una formulazione imprecisa a talune norme, fra cui l'articolo del quale discutiamo. Anche di fronte a norme del genere, è responsabilità dell'interprete determinarne la portata con tutti i mezzi sistematici e logici a sua disposizione.

3. 

L'imprecisione sopra rilevata del testo all'esame non è casuale.

Risulta in effetti dai lavori preparatori che gli autori della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, utilizzando l'espressione dell'articolo 5, n. 3, per consentire a chi si pretenda vittima di un illecito extracontrattuale l'impiego di un criterio di competenza alternativo in aggiunta a quello generale dell'articolo 2, hanno voluto lasciare impregiudicata la soluzione della questione relativa al significato da attribuire a tale nozione, preferendo evidentemente affidare all'interpretazione giurisprudenziale il compito di tale definizione. Nella relazione Jenard si afferma a questo proposito: «Il comitato non ha ritenuto opportuno stabilire in maniera espressa se si debba tener conto del luogo in cui è stato commesso il fatto che ha provocato il danno, o invece del luogo in cui il danno si è verificato; esso ha invece giudicato preferibile adottare una formulazione ormai ripresa da diverse legislazioni (Germania, Francia)». La Commissione e i due Stati intervenuti nella presente procedura hanno confermato tale asserzione.

La stessa espressione «fait dommageable» di cui all'articolo 5, n. 3 della convenzione è stata più tardi ripresa nell'articolo 10 del progetto preliminare di convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali, elaborato nel 1972 nell'ambito della Comunità. Nella relazione che l'accompagna, il prof. Giuliano, considerando l'ipotesi in cui il fatto generatore del danno sia sopravvenuto in uno Stato diverso da quello in cui se ne è manifestato l'effetto lesivo, afferma che il progetto lascia impregiudicata la questione se per luogo del «fait dommageable» si debba intendere l'uno o l'altro paese, e ciò al fine di non intralciare gli sviluppi in corso nella giurisprudenza.

Ci troviamo dunque in presenza di un caso in cui il carattere integrativo della pronuncia della Corte, in relazione alle norme convenzionali, appare particolarmente evidente.

4. 

L'accenno contenuto nella relazione Jenard alla coincidenza fra l'espressione usata nell'articolo 5, n. 3 della convenzione e le formulazioni adottate da talune legislazioni interne rende di particolare interesse l'indagine mirante a stabilire quale significato sia stato attribuito all' espressione di cui trattasi nei sistemi giuridici degli Stati indicati. Vogliamo tuttavia avvertire che, a nostro avviso, la coincidenza terminologica con una norma giuridica propria di uno degli Stati contraenti non è sufficiente a far interpretare le norme della convenzione alla luce degli orientamenti interpretativi affermati in quello Stato. L'interpretazione è operazione strettamente legata al contesto di un atto e al sistema in cui esso opera: sembra dunque evidente che, una volta inserita in un trattato internazionale multilaterale, un'espressione desunta da uno o più diritti interni deve essere intesa secondo la portata e le finalità di quel trattato, e non del diritto statale dal quale essa eventualmente provenga.

Ciò ha tanta maggiore importanza nel nostro caso, in quanto l'espressione in esame è fra quelle che trovano impiego all'interno di uno Stato, sia nel diritto materiale della responsabilità extracontrattuale sia nel diritto internazionale privato sia nel diritto processuale civile; inoltre, nell'ambito di quest'ultimo, essa può riguardare così la ripartizione delle competenze territoriali come la determinazione della competenza giurisdizionale nei confronti degli stranieri. Anche se ci si limita a quest'ultima utilizzazione dell' espressione non va dimenticato che le giurisdizioni nazionali mostrano una certa tendenza a intendere i criteri di competenza in un modo che consenta loro di riconoscersi competenti a risolvere la controversia sottoposta al loro esame. Tale esigenza di attrazione nazionale, suscettibile di condurre talora a conflitti positivi di competenza, non può evidentemente avere alcuna funzione nell'interpretazione di una convenzione come quella di Bruxelles per il fatto stesso che questa detta una disciplina uniforme per tutti gli Stati contraenti, e mira a prevenire i conflitti di competenza.

Ciò detto, bisogna constatare che né gli orientamenti interpretativi formatisi nel sistema giuridico francese, né quelli che si sono manifestati nella Repubblica federale tedesca, danno una soluzione univoca al problema. In Francia, la competenza del giudice del luogo «où le fait dommageable s'est produit» era prevista dall'articolo 59, ultimo comma, del codice di procedura civile in vigore fino al 31 dicembre 1975. La giurisprudenza era divisa sull'interpretazione di questa disposizione, taluni ravvisandovi un riferimento al luogo dell'atto generatore del danno, altri, al luogo in cui il danno si era realizzato (v. le sentenze della corte di cassazione in data 8. 3. 1937, Dalloz 1938, I, 76; 6. 12. 1939, Dalloz 1940, I, 40; 28. 3. 1968, Bull. arrêts cass. civ. 1968, II, n. 100). La facoltà di scelta, a beneficio dell'attore, fra il giudice del luogo del comportamento e quello del luogo del danno è stata espressamente prevista dal legislatore nel nuovo articolo 46 del c.p.c. entrato in vigore il 1o gennaio scorso; articolo che distingue il luogo del «fait dommageable» da quello dove il danno è subito. La convenuta nel giudizio interno ha cercato di trarre argomento da questa distinzione, sostenendo che se l'articolo 46 ha aggiunto un esplicito riferimento al danno, ciò significa che la nozione di «fait dommageable» si limita al comportamento che provoca il danno. Ma questa deduzione è esatta rispetto alla nuova norma, mentre, se si volesse chiarire la volontà degli autori della convenzione in base all'esperienza giuridica francese, bisognerebbe evidentemente tener conto della norma e della giurisprudenza dell'epoca in cui la convenzione è stata stipulata.

Nel senso di una possibilità di scelta, a vantaggio dell'attore, fra luogo del comportamento (Tatort) e luogo dove si verificano le conseguenze dell atto (Erfolgsort) si sono pronunciate anche la giurisprudenza e la dottrina della Repubblica federale tedesca, sia per quanto riguarda la competenza interna che quella internazionale (in materia di contaminazione dell'ambiente, v. sentenza dell'Oberlandesgericht Saarbrücken, del 22 ottobre 1957, in Neue Juristische Wochenschrift, 1958, p. 752, e la sentenza dell'Oberlandesgericht Hamm, del 3 luglio 1958, nella stessa rivista, 1958, p. 1831). Va notato peraltro che l'articolo 32 del codice di procedura civile tedesco, nel determinare i criteri di competenza, che secondo la giurisprudenza della suprema corte federale sono i medesimi sia all'interno che nei confronti degli stranieri, si riferisce al luogo in cui l'atto («die unerlaubte Handlung») è stato commesso. Manca perciò la coincidenza testuale con la formula adoperata nella convenzione, in quanto l'articolo 5, n. 3, del testo tedesco dispone che una persona può essere convenuta «vor dem Gericht des Ortes, an dem das schädigende Ereignis eingetreten ist».

Una piena coincidenza testuale tra l'espressione dell'articolo 5, n. 3, e i termini adoperati in funzione del criterio di competenza, sul piano di un diritto interno, si verifica, dunque, soltanto nel quadro del diritto francese anteriore al 1976, ed è difficile ricavarne una soluzione sicura, anche se si volesse prescindere dalle considerazioni svolte circa le inopportunità di basarsi sugli orientamenti interpretativi di un singolo Stato. L'espressione in sé e per sé si presta in realtà ad almeno tre interpretazioni: luogo del comportamento, luogo del danno, alternativa fra l'uno e l'altro luogo a scelta dell'attore. Per scrupolo di completezza, converrà comunque aggiungere qualche riferimento ai diritti di taluni altri Stati contraenti, ed anche di due Stati membri che non sono ancora parti della convenzione: essi confermano la impossibilità di giustificare una scelta sulla base di tendenze consolidate a livello di diritto interno.

5. 

Prima di esaminare le indicazioni che la giurisprudenza e la dottrina italiana possono fornire, sul punto che stiamo discutendo, è opportuno richiamare l'attenzione sul fatto che il testo italiano dell'articolo 5, n. 3, della convenzione attribuisce competenza al giudice «del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto». La nozione di «evento dannoso», interpretata alla lettera, si identifica con quella del danno, del pregiudizio; ed infatti nella dottrina italiana il problema della localizzazione del fatto illecito è presentato da qualche autore in termine di scelta fra luogo del comportamento e luogo dell'evento. Tuttavia non crediamo che la presenza, in uno dei testi della convenzione, di una formula così redatta sia sufficiente a risolvere l'ambiguità degli altri: essa conferma soltanto la impossibilità di intendere «fait dommageable» come puro e semplice equivalente di comportamento produttivo del danno. Quanto all'ordinamento giuridico italiano, il punto di partenza è dato dal concetto di «luogo in cui è sorta l'obbligazione» accolto dall'articolo 20 e dall'articolo 4, n. 2, del codice di procedura civile (rispettivamente per la competenza territoriale e per quella internazionale) anche con riferimento alle obbligazioni extracontrattuali. La giurisprudenza e la dottrina sono in prevalenza orientate nel senso di localizzare la nascita dell'obbligazione non contrattuale nel luogo dove il danno si è verificato: v. in particolare, nella giurisprudenza della corte di cassazione italiana, la sentenza da questa pronunciata a sezioni unite il 27. 2. 1962, n. 390 (British Petroleum Co./EPIMO), in Foro italiano, 1962, I. p. 1810, e la sentenza del 25. 6. 1971, n. 2011, in Riv. internaz. priv. e proc., 1972, p. 292. Tuttavia non mancano scrittori autorevoli come Morelli, i quali suggeriscono di considerare ugualmente rilevanti ai fini della competenza il luogo dell'azione e quello dell'evento.

In Belgio, la situazione legislativa si presenta simile a quella italiana: infatti l'articolo 624 del «code judiciaire» prevede la competenza territoriale del giudice del luogo in cui le obbligazioni dedotte in giudizio siano sorte o in cui debbano essere eseguite. Questa norma, applicata anche agli obblighi risultanti da illeciti extracontrattuali, ha suscitato controversie in dottrina e in giurisprudenza, con una certa preferenza della prima per il luogo dell'atto, mentre la seconda si basa con larghezza anche sul luogo del danno. Nell'articolo 635, lo stesso «code judiciaire» disciplina la competenza dei giudici belgi nei confronti degli stranieri, e parimenti la riconosce nei casi in cui l'obbligazione che è alla base della domanda sia sorta, sia stata o debba essere eseguita in Belgio.

Dal diritto olandese non può trarsi alcuna indicazione utile sul punto. Esso prescinde da un criterio speciale in materia di fatto illecito, basandosi invece sul criterio generale del domicilio: il domicilio del convenuto, ovvero, qualora questi non abbia né domicilio né residenza noti nello Stato, quello dell'attore (articolo 126 del codice di procedura civile, paragrafi 2 e 3).

Nella giurisprudenza inglese è talvolta espressamente preferito il criterio del luogo in cui è stata commessa un'azione negligente (v. George Monro Ltd. V. American Cyanamid and Chemical Corporation, 1944, KB 432), altre volte la soluzione sembra inclinare verso il criterio del luogo in cui il danno si è verificato (Bata V. Bata, 1948, WN 366. Si noti però che in questo caso si trattava di un'azione di diffamazione e che si è attribuito competenza al giudice del luogo in cui le frasi diffamatorie erano state pubblicate). Di quest'ultima tendenza si trovano precedenti anche nella giurisprudenza scozzese (cf. Smith V. Rosenbloom, 1915, 2 SLT 18).

Nel diritto danese infine, in tema di competenza territoriale interna, è ammessa la possibilità di scelta fra luogo dell'atto e luogo del danno in base al paragrafo 244 della «retsplejelov»; quanto alla competenza internazionale, si sono riconosciuti competenti i tribunali nazionali anche quando l'atto che è all'origine del pregiudizio sia stato commesso all'estero, purché il danno si sia manifestato in Danimarca (v. UfR 1940.454 H e UfR 1947.187 Ø).

6. 

È lecito chiederci se sia il caso di pensare ad altre soluzioni, diverse dalle tre che sono state sopra indicate come possibili. La domanda è tanto più giustificata in quanto, diversamente dal giudice richiedente il quale si attiene all'alternativa prospettata dalla relazione Jenard, il governo dei Paesi Bassi e la Commissione ritengono che il testo dell'articolo 5, n. 3, consentirebbe anche di far ricorso al criterio della connessione prevalente («most significant relationship») che la situazione risultante dall'evento dannoso abbia con uno Stato, il quale potrebbe eventualmente esser diverso sia da quello dell'atto sia da quello dell'effetto dannoso. Non ci è chiaro se, nell'idea della Commissione, ciò dovrebbe essere in via alternativa o cumulativa.

Entrare in quest'ordine di idee significherebbe prendere in considerazione una concezione flessibile, elaborata soprattutto in funzione della scelta del diritto materiale, e in quest'ambito nota come la teoria della «proper law of the tort». Questa dottrina, originaria da paesi con tradizioni giuridiche basate sul Common Law, è stata proposta, come si osserva in una sentenza della House of Lords del 1951, onde consentire al giudice la scelta del diritto materiale che «on policy grounds, seems to have the most significant connection with the chain of acts and circumstances in the particular situation» (cit. da Cheshire, Private International Law, 1974, p. 264).

Essa non intende sostituire il tradizionale criterio del «locus delicti commissi», ma soltanto integrarlo e correggerlo quando, in casi particolari, esso condurrebbe a risultati poco ragionevoli. In tal senso, essa ha anche trovato espressione sia nell'articolo 3 della risoluzione sulle obbligazioni ex delicto in diritto internazionale privato, approvata dall'Institut de droit international nella sessione di Edimburgo (1969), sia nell'articolo 10, secondo comma, del già menzionato progetto preliminare di convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni, elaborato nel 1972 nell'ambito della CEE. Questo carattere suppletivo rimane fermo anche quando si voglia estendere tale criterio alla scelta della giurisdizione competente, per farla coincidere con quella dello Stato di cui si ritiene applicabile il diritto materiale (v. a questo riguardo, per il sistema statunitense, i paragrafi 36 e 37 del Restatement of the Law Second, Conflict of Law, adottato dall'American Law Institute a Washington il 23 maggio 1969).

Nel nostro caso, peraltro, l'estensione alla determinazione della competenza giurisdizionale, anche se soltanto in via sussidiaria, di un criterio del genere, che può condurre a prescindere sia dal luogo del comportamento sia dal luogo del danno, significherebbe distaccarsi totalmente dal testo dell'articolo 5, n. 3 e rischiare di ottenere risultati incompatibili con tale norma.

L'accoglimento di un criterio di «most significant connection» sarebbe anche difficilmente conciliabile con l'intento della convenzione di consentire un'agevole determinazione del foro competente in base a criteri chiari, precisi, forniti di un sufficiente grado di obiettività e, pertanto, tali da poter essere uniformemente applicati in tutti gli Stati aderenti alla convenzione. A questo riguardo non potrebbe dare sufficienti garanzie un criterio che, come quello sopra considerato, non si presta bene ad essere precisato in astratto e che fa piuttosto affidamento su una valutazione discrezionale del giudice.

Infine stabilire uno stretto parallelismo fra la questione del diritto materiale applicabile e la questione della competenza non sarebbe conforme allo scopo, a cui tende la convenzione di Bruxelles, di semplificare i problemi relativi alla determinazione del foro nazionale competente. La convenzione sottoposta alla vostra interpretazione, così come non intende in nessun modo influire sull'applicazione delle norme di diritto internazionale privato delle parti contraenti, così pure non ha inteso far dipendere la determinazione della competenza da quella del diritto materiale.

7. 

Scartata dunque la teoria della «most significant connection», dobbiamo ammettere che la soluzione cumulativa, la quale lascerebbe all'attore la scelta fra il tribunale del luogo del comportamento e quello del luogo dell'evento, può apparire, per la sua stessa larghezza, quella più equa e meglio in grado di tener conto delle caratteristiche dei vari tipi di fatto illecito. Si è visto, infatti, come a livello di diritto interno questa soluzione sia oggi largamente accolta. Ciò nonostante essa non ci sembra conforme alla lettera e allo spirito della convenzione. Non alla lettera, perché l'articolo 5, n. 3, si riferisce al giudice del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto — un solo giudice, un solo luogo —, e parrebbe dunque escludere l'eventualità di una pluralità sia di luoghi suscettibili di entrare in considerazione, sia di tribunali che possano ritenersi competenti, in base al suo disposto, in relazione allo stesso evento dannoso. Non allo spirito — e questo conta certamente di più — per la finalità, che la convenzione persegue, di realizzare una ripartizione della competenza internazionale fra i vari Stati secondo un criterio distributivo, così da ridurre e non da accrescere l'estensione della competenza di ciascuno là dove esiste già un fondamento obbiettivo per attribuire competenza ad un altro. Nella vostra sentenza nel caso 14-76, De Bloos/Bouyer, voi avete giustamente affermato che gli obbiettivi della convenzione «implicano la necessità di evitare, nella misura del possibile, la molteplicità dei criteri di competenza giudiziaria relativamente al medesimo contratto». A nostro avviso, quest'orientamento deve valere anche se si è in presenza di un fatto illecito, e non di un contratto.

Il governo francese e la convenuta sembrano partire dall'idea che si debba ravvisare nell'articolo 5 una disposizione eccezionale di carattere derogatorio al principio generale della competenza del foro del domicilio del convenuto, e come tale di stretta interpretazione. Noi non condividiamo questo punto di vista: consideriamo quell'articolo come una norma che per i casi da essa previsti cumula al criterio generale di competenza dell'articolo 2 altri criteri di carattere speciale in relazione a ipotesi determinate, e ci sembra che ciò si possa dedurre dalla stessa ubicazione dell articolo 5, situato in una sezione distinta da quella in cui figura la regola generale dell'articolo 2. Ciò nonostante ci sembra buona regola evitare di interpretare in maniera ampia una norma che istituisce una competenza speciale addizionale, a meno che positivi argomenti in tal senso non potessero trarsi dalla convenzione; e non ci sembra che ve ne siano.

8. 

Secondo il governo francese e la società convenuta, l'espressione adoperata nell'articolo 5, n. 3, starebbe a indicare esclusivamente il luogo in cui è stato tenuto il comportamento che è all'origine del danno. Ciò soprattutto per la considerazione che, se si riconoscesse competenza al giudice del luogo dove il danno si è verificato, il fine di evitare sentenze contraddittorie, perseguito dalla convenzione, non potrebbe essere raggiunto nei casi in cui da uno stesso atto siano risultati danni in più Stati. In tali casi, localizzare la competenza in ciascuno degli Stati dove si siano prodotti tali danni comporterebbe una moltiplicazione di competenze che potrebbe condurre a una situazione contraria all'equità, un pregiudizio sia degli attori, i quali potrebbero essere trattati diversamente a seconda del luogo in cui avrebbero subito il danno, sia del convenuto il quale per lo stesso fatto, si troverebbe esposto a una molteplicità di procedure con possibilità di soluzioni contraddittorie.

A questa considerazione si potrebbe replicare che anche il criterio del luogo dove è stato tenuto il comportamento può dar luogo allo stesso inconveniente della dispersione delle competenze e del rischio di sentenze contraddittorie, nell'ipotesi che un unico effetto dannoso sia provocato da una serie di comportamenti tenuti da più soggetti in diversi Stati. Ciò può accadere nella stessa materia dell'inquinamento dell'ambiente, ed anzi in casi identici a quello di specie. Oltre alla convenuta, esistono infatti anche imprese tedesche che effettuano scarichi di analoghe materie inquinanti nel Reno. In tali ipotesi, la giustizia imporrebbe che tutti gli autori dello stesso danno fossero giudicati secondo un identico criterio. Ciò potrebbe ottenersi riconoscendo la competenza del giudice del luogo del danno; il quale sarebbe anche meglio in grado dei giudici di altri paesi di stabilire il nesso causale fra i vari comportamenti e il danno lamentato, e di valutare la misura in cui ciascuna delle imprese che contribuiscono alla contaminazione sia responsabile del danno che ne risulta all'attore.

Nel corso del dibattito, sono state evocate anche circostanze relative al merito della causa — in particolare, il fatto che gli scarichi di cloro nel Reno erano stati autorizzati dall'autorità prefettizia francese — e se ne sono dedotte considerazioni di opportunità circa la scelta del giudice effettuata dall'attore (il giudice di Mulhouse, si è detto, sarebbe in grado più del giudice olandese di valutare la rilevanza dell'atto amministrativo di autorizzazione). Ma siamo convinti che nell'interpretazione di una norma di pura competenza sia necessario evitare di lasciarsi influenzare dalle particolarità relative al merito del caso di specie. Lo stesso convincimento ci induce a negare ogni rilievo al paventato pericolo delle difficoltà che potrebbe incontrare l'esecuzione in Francia di una sentenza olandese che condannasse la convenuta senza tenere in debito conto la circostanza sopra ricordata.

Spetta in realtà al danneggiato di valutare l'opportunità della scelta di uno dei fori (quello generale del domicilio del convenuto e quello speciale di cui discutiamo) davanti ai quali egli ha facoltà di convenire l'autore del danno. Sappiamo d'altra parte che, nell'ambito d'applicazione di una convenzione sulla competenza giurisdizionale del genere di quella di cui ora ci occupiamo, le difficoltà che potrebbero insorgere in sede d'esecuzione della sentenza non potrebbero mai riguardare questioni di competenza. Eventuali difficoltà d'esecuzione potrebbero certo derivare dalla riserva d'ordine pubblico prevista dall'articolo 27, n. 1, della convenzione di Bruxelles, ma questo è altro discorso. Ci limitiamo ad auspicare che la competenza d'interpretazione conferita a questa Corte possa valere anche a chiarire la portata di tale clausola, evitando difformità d'interpretazione e rischi di abusi.

Non riteniamo di poter attribuire gran peso neppure all'argomento secondo cui il criterio del luogo dell'atto sarebbe più conforme a una sana amministrazione della giustizia, garantendo la sicurezza giuridica per l'autore dell'atto illecito al quale basterebbe conoscere, per regolare il proprio comportamento, il diritto in vigore nel luogo in cui si trova ad agire. Quest'argomento rischia di condurre a confondere l'aspetto della competenza, che qui sola entra in rilievo, con quello del diritto materiale applicabile. La determinazione di quest'ultimo non è necessariamente pregiudicata dal riconoscimento della competenza al giudice del luogo in cui il danno si è verificato. Invero, anche se questo luogo si trova in uno Stato diverso da quello in cui il comportamento è stato tenuto, non risulta per ciò solo esclusa l'applicabilità del diritto materiale del luogo del comportamento ai fini della determinazione della responsabilità. Né, d'altra parte, si può stabilire a priori se, qualora fosse riconosciuta la competenza del giudice del luogo del comportamento, questi, in base alle norme del diritto internazionale privato del proprio Stato, non sarà invece condotto ad applicare il diritto materiale di un altro Stato in cui si fosse eventualmente prodotto il danno, o con cui la controversia presenti una connessione più stretta in base al criterio sopra menzionato della «proper law of the tort».

9. 

Da quanto si è detto risulta che non sono convincenti gli argomenti avanzati a favore di una interpretazione dell'articolo 5, n. 3, nel senso di identificare il «fait dommageable» con il comportamento dell'autore del danno. Esistono invece, a nostro avviso, delle buone ragioni che fanno propendere per il criterio del luogo in cui si verifica il danno, e ne giustificano l'accoglimento in via esclusiva.

Osserviamo anzitutto che l'obbligazione legale di riparazione, conseguenza del fatto illecito civile, presuppone necessariamente per la sua stessa esistenza il verificarsi del danno. Mentre nell'illecito penale l'obbligo del reo di patire la pena nasce con il comportamento contrario alla norma penale, giacché questa ha finalità punitiva, nell'illecito civile invece l'obbligazione nasce soltanto se e quando c'è stato danno, giacché la norma civile, diversamente da quella penale, ha finalità essenzialmente risarcitoria. Una negligenza che non provochi danno, anche se costituisce un fatto socialmente e moralmente riprovevole, non dà luogo ad obbligazione di risarcimento né quindi ad alcuna azione giudiziaria.

Da ciò consegue che un criterio di competenza basato sul fatto generatore dell'obbligazione legale di risarcimento, qual è quello dell'articolo 5, n. 3, non può prescindere dalla considerazione del danno, senza del quale tale fatto non presenterebbe tutti gli elementi necessari per la sua rilevanza giuridica. Il criterio in questione non può dunque essere localizzato se non là dove avviene il perfezionamento del fatto giuridico, ossia là dove si produce l'evento dannoso nella sfera giuridica del soggetto passivo. Nel momento stesso in cui ciò avviene, sorge la pretesa al risarcimento, fondamento dell azione giudiziaria.

Questa soluzione ha anche il vantaggio di armonizzarsi con quella adottata in altre norme della stessa convenzione, sotto il profilo dell'esigenza a cui si sono indubbiamente ispirati i suoi autori, e che risulta positivamente da varie sue disposizioni, di tutelare la parte più debole di un rapporto giuridico. Ci riferiamo all'articolo 5, n. 2, in materia d'obbligazione alimentare, in relazione alla quale si riconosce la competenza del giudice del luogo in cui il creditore di alimenti, che sarà quindi normalmente l'attore, ha il domicilio o la residenza abituale; agli articoli 7 e seguenti, in materia di assicurazioni, che conferiscono competenza anche al giudice del luogo in cui è domiciliato l'assicurato; all'articolo 14, in materia di vendita a rate o di prestito con rimborso rateizzato, che prevede la competenza del giudice dello Stato nel cui territorio sono domiciliati l'acquirente o il mutuatario. La parte lesa, nel rapporto a cui dà luogo il verificarsi del fatto illecito, va senz'altro reputata la parte più debole; come tale essa appare degna di tutela nella scelta del foro competente.

Anche a prescindere dal caso di specie, riteniamo che fra i due criteri del luogo del comportamento e del luogo del danno, quello che in linea generale potrà meglio soddisfare la parte lesa sia il secondo, giacché esso tenderà a coincidere con lo Stato in cui quella parte si trova normalmente a risiedere; mentre il luogo del comportamento, nella gran parte dei casi, tenderà a coincidere con il luogo del domicilio dell'autore del danno (fanno eccezione gli incidenti automobilistici, nei quali peraltro luogo del comportamento e luogo del danno normalmente coincidono). Se dunque si riferisse il criterio dell'articolo 5, n. 3, al luogo del comportamento, tale criterio speciale farebbe il più delle volte doppio impiego rispetto al criterio generale dell'articolo 2, e la norma considerata finirebbe con l'avere scarsa utilità.

10. 

Per tutte queste ragioni, concludiamo proponendo alla Corte di rispondere al quesito posto dall'ordinanza 27 febbraio 1976 della corte d'appello dell'Aia interpretando la disposizione dell'articolo 5, n. 3, della convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 nel senso che l'espressione «luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto» designa il luogo in cui si è prodotto il danno del quale viene chiesta la riparazione.

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