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Document 61975CC0023

Conclusioni dell'avvocato generale Mayras del 1 ottobre 1975.
Rey Soda contro Cassa Conguaglio Zucchero.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura di Abbiategrasso - Italia.
Causa 23-75.

Raccolta della Giurisprudenza 1975 -01279

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1975:121

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE HENRI MAYRAS

DEL 1O OTTOBRE 1975 ( 1 )

Signor presidente,

signori giudici,

Introduzione

La presente domanda di pronunzia pregiudiziale, proposta dal pretore di Abbiategrasso, trova origine nell'incontro delle decisioni comunitarie relative al mercato italiano dello zucchero e dei provvedimenti emanati sotto forma di decretolegge dal governo italiano in esecuzione delle misure adottate dalla Commissione con l'art, 6 del suo regolamento n. 834/74.

Le predette disposizioni si proponevano di evitare le perturbazioni che, secondo la Commissione, avrebbe potuto provocare sul mercato italiano un notevole aumento del prezzo dello zucchero espresso in lire, aumento che avrebbe dovuto avere effetto dal 1o luglio 1974, data d'apertura della campagna saccarifera 1974/1975.

L'aumento in questione aveva due cause:

da una parte, la decisione con cui, nel marzo precedente, il Consiglio aveva aumentato del 7 %, con riferimento alla nuova campagna, il prezzo d'intervento dello zucchero rispetto al prezzo valevole nella campagna in corso;

d'altra parte e soprattutto, la svalutazione della lira italiana, le cui fluttuazioni sul mercato dei cambi non erano più, a partire dal 15 febbraio 1973, contenute nell'ambito del «serpente monetario» ed il cui valore effettivo era calato di circa il 30 % in meno di 18 mesi.

I prezzi dei prodotti agricoli sottoposti alle organizzazioni comuni di mercato sono espressi in unità di conto; essi devono essere convertiti nella moneta di ciascuno Stato membro sulla base d'un tasso di conversione fissato in funzione delle parità ufficiali dichiarate al Fondo monetario internazionale.

L'ampiezza della svalutazione della lira imponeva di fissare per il settore agricolo un tasso di conversione che tenesse conto della realtà economica.

A ciò provvide il Consiglio, in tappe successive, a partire dal 1o novembre 1973. Il controvalore dell'unità di conto, precedentemente fissato in lire 625, raggiunse così nel luglio 1974 la cifra di lire 801.

In tali circostanze, il livello dei prezzi agricoli in Italia avrebbe dovuto aumentare nella stessa proporzione. Tuttavia, per ragioni di politica congiunturale, il Consiglio ritenne di non poter procedere immediatamente a tale aumento.

L'entrata in vigore dell'aumento fu differita al 1o luglio 1974. Fino a tale data, in forza dell'art. 4 ter del regolamento del Consiglio n. 974/71 — disposizione introdotta dal regolamento 17 dicembre 1973, n. 3450 — il prezzo d'intervento per lo zucchero ed i prezzi minimi della barbabietola rimanevano in Italia al livello da essi raggiunto il 31 ottobre 1973.

Perciò non era solamente previdibile, ma addirittura certo, che all'apertura della nuova campagna lo zucchero prodotto con le barbabietole raccolte nel 1973 e venduto dopo il 1o luglio 1974 avrebbe subito un notevole aumento di prezzo (l'aumento risultò poi, infatti, di circa il 37 %). Tale prospettiva non poteva restare ignota alle autorità comunitarie o nazionali, né tanto meno agli operatori economici.

Era facile immaginare le reazioni ch'essa avrebbe potuto provocare da parte degli interessati. Si poteva giustamente temere che, in tali circostanze, i detentori di zucchero avrebbero costituito delle riserve speculative e non le avrebbero immesse sul mercato che dopo l'entrata in vigore dell'aumento per lucrare il notevole plusvalore. Al contrario, i produttori di barbabietole, merce che non può essere conservata a lungo in magazzino, avrebbero dovuto venderle agli zuccherieri al prezzo ninimo valevole per la campagna precedente.

Sulla base del regolamento del Consiglio n. 2959/73 relativo a taluni provvedimenti congiunturali da adottare nel settore dello zucchero in Italia, fu allora emanata una prima serie di decisioni miranti a ridurre gli importi compensativi applicabili allo zucchero importato dagli altri Stati membri anteriormente al 1o luglio 1974, ma posto in commercio solo dopo tale data.

Ulteriori misure furono adottate dalla Commissione sulla base del medesimo regolamento per correggere l'importo, espresso in lire, dei contributi per spese di magazzinaggio, delle sovvenzioni ai bieticoltori, previste dall'art. 34 del regolamento di base, e del contributo alla produzione. L'azione specificamente destinata ad impedire la creazione di eccessive riserve in Italia fu però decisa dalla Commissione con l'art. 6 del regolamento 5 aprile 1974, n. 834.

Il testo del suddetto articolo è il seguente.

«1.

L'Italia adotta le misure nazionali [atte] ad evitare perturbazioni sul mercato provocate dall'aumento in lire italiane del prezzo dello zucchero al 1o luglio 1974. Tali misure consistono particolarmente in un pagamento ai produttori di barbabietole del plusvalore sulle giacenze.

2.

Le misure adottate e da adottare di cui al § 1 sono comunicate per iscritto alla Commissione anteriormente al 5 giugno 1974.»

In realtà, le autorità italiane, paralizzate da una crisi governativa, non assunsero, entro la predetta data, alcuna iniziativa per dare esecuzione all'invito della Commissione.

Quest'ultima, che aveva previsto, in caso di necessità, un intervento comunitario diretto, adottava perciò con regolamento 14 giugno 1974, n. 1495, una disposizione complementare all'art. 6 del regolamento n. 834/74 ed ordinava la denuncia alle autorità italiane delle giacenze di zucchero bianco, di zucchero greggio o di sciroppo di zucchero, superiori a 500 kg, esistenti al 1o luglio 1974, chiunque ne fosse il detentore.

Il termine entro il quale doveva essere presentata la denuncia, fissato inizialmente al 10 luglio, veniva in seguito prorogato fino al 30 agosto 1974 con regolamento modificativo n. 2106/74.

Da parte sua, nell'intento di dare infine esecuzione alle misure della Commissione, il governo italiano stabiliva con decreto-legge 8 luglio 1974, n. 255, che tutti i detentori di zucchero bianco, di zucchero greggio o di sciroppo di zucchero, in quantità superiore a 500 kg, dovevano versare entro il 30 settembre 1974 alle Cassa conguaglio zucchero una tassa pari al plusvalore risultante dall'aumento del prezzo dello zucchero. L'ammontare della tassa veniva precisato in una tabella annessa. Il suo gettito doveva essere distribuito dalla Cassa conguaglio ai produttori di barbabietole.

È proprio in applicazione di questo testo che la società Rey Soda, utilizzatrice industriale di zucchero per la fabbricazione di bevande gasate, veniva costretta a versare alla Cassa la somma di lire 366910 per le scorte di zucchero in suo possesso.

Essa presentava allora al pretore di Abbiategrasso un'istanza di sequestro conservativo sui beni della Cassa. Con la predetta azione essa intendeva, in realtà, contestare, la legittimità dell'imposta tanto sul piano del diritto nazionale quanto sul piano del diritto comunitario.

Dopo che il giudice italiano ebbe disposto il sequestro chiesto dalla ricorrente, il procedimento di convalida che, come previsto dalla legge, si svolse in contraddittorio, offrì a tre associazioni industriali la possibilità di intervenire in appoggio alla Rey Soda. Le predette associazioni sono precisamente quelle delle industrie dolciarie (AIDI), quella dei fabbricanti di prodotti alimentari (AIPA) e quella dei produttori di acque minerali e di bevande gasate (ABG).

Il pretore ha sospeso il procedimento e vi ha sottoposto, in via pregiudiziale, una lunga serie di questioni delle quali ci sembra inutile riportare qui il testo, già riprodotto nella relazione d'udienza.

Alcune delle questioni attengono, sia alla validità dell'art. 6 del regolamento della Commissione n. 834/74, sia alla validità del regolamento complementare n. 1495/74. Altre concernono invece l'interpretazione del primo dei suddetti testi o quella di alcune norme del trattato, come gli artt 85 e 86, oppure ancora quella dei principi generali del diritto comunitario.

C'è sembrato giusto esaminare in primo luogo i problemi concernenti la validità, problemi da cui dipende del resto la soluzione delle altre questioni che vi sono state sottoposte.

I — Validità dell'articolo 6 del regolamento n. 834/74 in relazione alla competenza della Commissione

Affronteremo quindi per prima la questione n. 2 che interessa la competenza stessa della Commissione ad imporre agli utilizzatori industriali di zucchero oneri pecuniari a beneficio dei bieticoltori.

Occorre innanzitutto esaminare la tesi, sostenuta tanto dalla ricorrente nella causa principale quanto dalle associazioni intervenute nel procedimento, secondo cui il recupero del plusvalore sulle giacenze avrebbe natura d'imposizione fiscale.

Spetta soltanto al giudice italiano competente il compito di qualificare, sul piano del diritto interno, i prelievi istituiti dal decreto-legge n. 255.

Per quanto riguarda il diritto comunitario, il recupero del plusvalore sulle giacenze rappresenta uno strumento di gestione, di regolazione del mercato dello zucchero, il cui fondamento giuridico va ricercato nell'art. 37, n. 2, del regolamento di base.

Il provvedimento controverso intende però imporre agli operatori economici assoggettati al pagamento del plusvalore oneri pecuniari che vanno a profitto di un'altra categoria: i produttori di barbabietole.

Questa considerazione ha un'importanza determinante, come vedremo in seguito, quando si tratterà d'accertare se invitando, anzi obbligando, lo Stato italiano ad imporre questa tassa, la Commissione potesse limitarsi a stabilirne il principio, senza precisare l'imponibile dell'imposta, né i contribuenti, e quindi di determinare se essa abbia fatto un uso legittimo dei poteri che le erano stati attribuiti.

Per rimanere nell'ambito del problema relativo alla competenza della Commissione, conviene citare il dettato dell'art. 37, n. 2, del regolamento di base:

«Possono essere adottate, secondo la procedura prevista dall'art. 40, le disposizioni necessarie per evitare che il mercato dello zucchero subisca perturbazioni a causa d'una modifica del livello dei prezzi al momento del passaggio da una campagna saccarifera all'altra.»

Diverse considerazioni ci inducono a pensare che tale norma abbia conferito alla Commissione una delega di potere sufficientemente ampia per poter legittimamente disporre il recupero del plusvalore sulle giacenze.

La prima considerazione è fondata sul carattere assai generico dell'espressione «disposizioni necessarie per evitare le perturbazioni del mercato».

Se, in linea di principio, la Commissione non può evidentemente arrogarsi alcun potere che non le sia espressamente stato delegato dal Consiglio, ciò non significa affatto che la Commissione possa ricevere soltanto la delega di poteri di semplice esecuzione, il cui esercizio sarebbe strettamente subordinato ai criteri fondamentali fissati dal Consiglio.

Se l'art. 155, 4o comma, del trattato stabilisce che «la Commissione … esercita le competenze che le sono conferite dal Consiglio per l'attuazione delle norme da esso stabilite», si ricava nondimeno dalla vostra giurisprudenza che il predetto testo non va interpretato alla lettera, cioè in senso restrittivo; voi avete infatti ammesso che le deleghe di competenza operate a norma dell'art. 155 permettono il trasferimento d'un vero e proprio potere regolamentare (sentenza del 15 luglio 1970, causa 41-69, Chemiefarma, Racc. 1970, pag. 661). Del resto, la prassi instaurata e seguita da lungo tempo dalla Comunità permette ugualmente d'affermare che i poteri delegati alla Commissione in forza della norma sopra enunciata non si limitano alla formulazione di regole tecniche o procedurali. Le competenze attribuite alla Commissione le permettono assai spesso di definire nozioni cui il Consiglio s'è limitato ad accennare, senza meglio precisarne il contenuto, e di determinare dei criteri o addirittura d'imporre degli obblighi agli operatori economici.

Questa concezione giurisprudenziale e questa prassi estensiva dei poteri della Commissione hanno trovato il loro campo d'applicazione ideale nel settore del funzionamento dell'organizzazione comune del mercato agricolo per ragioni facilmente comprensibili, in quanto dipendenti dalla natura stessa delle cose. Solo la Commissione è infatti in grado di seguire con costante attenzione lo sviluppo di questi mercati; solo essa può agire con l'urgenza richiesta da una situazione di crisi; solo essa può nella maggior parte dei casi, ma sempre nell'ambito di principi fissati dal Consiglio, adottare misure di politica congiunturale.

Ne consegue che il Consiglio è necessariamente portato a delegare, in questo settore, alla Commissione dei poteri comportanti una certa libertà di valutazione discrezionale, in particolare per quanto concerne la scelta dei mezzi necessari per fronteggiare determinate situazioni.

La legittimità della competenza spettante alla Commissione va allora giudicata non tanto alla stregua della stretta conformità dell'uso di questi poteri a determinati principi direttivi, quanto piuttosto con riferimento agli obiettivi generali fondamentali dell'organizzazione di mercato.

L'obiettivo fondamentale, che nella fattispecie la Commissione doveva cercare di conseguire mediante l'esercizio dei poteri attribuitile dall'art. 37, n. 2, del regolamento di base, consisteva nel prevenire le perturbazioni che una importante modifica del prezzo dello zucchero rischiava di provocare sul mercato italiano, mercato estremamente sensibile, come voi ben sapete, per il fatto che l'Italia è la regione più deficitaria del mercato comune e che il pericolo di accaparramento e d'immagazzinamento di notevoli scorte a fini speculativi era, tenuto conto delle circostanze, tutt'altro che trascurabile.

L'inversione di tendenza constatata sul mercato mondiale, in cui il prezzo dello zucchero aveva letteralmente «preso il volo» ed aveva raggiunto livelli assai superori al prezzo comunitario, rendeva praticamente impossibili le importazioni dai paesi terzi. Era stato anzi necessario penalizzare pesantemente le esportazioni di zucchero comunitario verso i paesi terzi.

Infine, si sarebbe giustamente potuto temere che i produttori di Stati membri, nei quali tradizionalmente si registrava un'eccedenza di produzione, ad esempio Francia e Belgio, avrebbero esitato, tenuto conto della situazione del mercato europeo, ad inviare in Italia quantità sufficienti ad assicurare un regolare rifornimento. Del pari, voi non ignorate che le importazioni di zucchero comunitario in Italia erano disciplinate da un rigido sistema di aste bandite dalla Cassa conguaglio zucchero e che in pratica le forniture avvenivano, nella maggior parte dei casi, direttamente dal gruppo dei produttori francesi e belgi al gruppo dei produttori italiani, raccolto intorno alla società Eridania. Si poteva dunque pensare che, anche se le importazioni si fossero mantenute ad un livello compatibile con le esigenze dei consumatori italiani, l'immagazzinamento di scorte eccessive da parte dei suddetti produttori, oppure dei commercianti e degli utilizzatori industriali, nell'attesa dell'aumento dei prezzi interni, non avrebbe permesso di garantire il rifornimento normale e regolare dei consumatori.

Il giudice nazionale dubita che la situazione sopra illustrata potesse realmente presentare tali rischi. Trattandosi di misurare, «a posteriori», le implicazioni probabili o possibili d'una situazione economica complessa, che esigeva un intervento comunitario ai sensi dell'art. 37, n. 2, del regolamento di base, non ci sembra che voi possiate sostituire una vostra valutazione a quella della Commissione. Il controllo da voi esercitato sui provvedimenti di politica congiunturale è limitato: solo nell'ipotesi in cui l'intervento comunitario sia viziato da un errore manifesto o da sviamento di potere, vi sarebbe possibile, nell'ambito d'un ricorso d'annullamento, pronunciarvi sulle misure congiunturali adottate dalle autorità comunitarie. La stessa soluzione va accolta quando di tali misure si discuta con riferimento ad una domanda di pronuncia pregiudiziale.

Ora, noi non pensiamo che, nel caso di specie, l'analisi della situazione del mercato italiano (settore del mercato comune) effettuata dalla Commissione fosse manifestamente erronea. Non vi è d'altra parte alcun elemento che consenta di pensare ad uno sviamento di potere.

La Commissione, incaricata di adottare «le misure necessarie» per fronteggiare la inquietante congiuntura, poteva legittimamente, nell'ambito degli ampi poteri di cui disponeva, scegliere i mezzi più efficaci, purchè adeguati al fine perseguito.

Per assicurare il normale approvvigionamento del mercato italiano, essa doveva dissuadere gli operatori economici dal costituire scorte a fini speculativi anteriormente al 1o luglio 1974. Il mezzo più efficace per far ciò consisteva proprio nel privare i suddetti operatori del vantaggio che essi avrebbero potuto ricavare da eventuali manovre speculative, vale a dire nell'esigere il pagamento del plusvalore realizzato di fatto con l'aumento del prezzo dello zucchero.

L'attrice nella causa principale e le associazioni intervenute invocano la violazione del principio di proporzionalità, ma l'efficacia dei provvedimenti che, secondo loro, avrebbero potuto evitare il rischio dell'interruzione dei rifornimenti ci appare alquanto dubbia.

Esse sostengono infatti che sarebbero state sufficienti delle disposizioni volte a vietare od ostacolare le esportazioni al di fuori della Comunità.

In effetti, simili misure sono state adottate sul piano comunitario. Esse non potevano tuttavia costringere i detentori italiani di zucchero ad immettere il prodotto sul mercato.

Per quanto riguarda i provvedimenti in materia di controllo e di pubblicità dei prezzi dei prodotti di grande consumo, non vediamo quale portata essi avrebbero potuto avere nel caso di specie, dal momento che si era già deciso l'aumento del prezzo dello zucchero per il primo giorno della nuova campagna saccarifera e che tale aumento era, fra l'altro, ineluttabilmente legato tanto alla svalutazione della lira verde quanto all'aumento del prezzo d'intervento.

Una seconda considerazione rinforza la tesi che abbiamo or ora esposto. Essa si fonda sul fatto che i poteri delegati a norma dell'art. 37, n. 2, del regolamento di base devono essere esercitati secondo la procedura prevista dall'art. 40 dello stesso regolamento, vale a dire dopo aver chiesto il parere del comitato di gestione dello zucchero.

Una simile procedura, che voi avete riconosciuto conforme al trattato con le sentenze da voi pronunziate il 17 dicembre 1970 (cause 25-70, Köster, e 30-70, Scheer, Racc. 1970, pagg. 1161-1212) tiene precisamente conto della necessità in cui sempre più spesso si trovano le autorità comunitarie di adottare provvedimenti, che, per la loro natura, rientrerebbero in linea di principio nella competenza del Consiglio, ma la cui urgenza non permetterebbe al Consiglio d'intraprendere un'azione tempestiva.

È dunque alla Commissione che il Consiglio delega un vero e proprio potere decisionale, pur riservandosi la facoltà d'intervenire nel caso in cui il parere del comitato di gestione non dovesse concordare con la proposta della Commissione. Tale situazione si è però prodotta soltanto in casi eccezionali.

Una terza considerazione è legata all'interpretazione dell'art. 37, n. 2, del regolamento di base. Il predetto articolo prospetta l'ipotesi in cui delle perturbazioni minaccino l'equilibrio del mercato, ed in particolare la sicurezza dell'approvvigionamento dei consumatori, a causa di una modifica dei prezzi intervenuta durante il passaggio da una campagna a quella successiva.

Se si interpretasse tale disposizione in senso restrittivo, si potrebbe credere che il Consiglio abbia inteso riferirsi, nel momento in cui ha emanato tale norma, alle sole modifiche dei prezzi comunitari d'intervento espressi in unità di conto che esso stesso deve fissare all'inizio di ogni campagna saccarifera e non invece alle variazioni che, riguardando i prezzi interni espressi nelle singole monete nazionali, sarebbero dovute a fluttazioni monetarie indipendenti dalla volontà del Consiglio.

La logica stessa delle organizzazioni comuni dei mercati dei prodotti agricoli, e dunque in particolare del mercato dello zucchero, implica tuttavia che le variazioni dei prezzi espressi in moneta nazionale devono ugualmente essere prese in considerazione per l'applicazione dell'art. 37, n. 2.

In effetti, a causa del funzionamento dei tassi di conversione rappresentativi, i prezzi interni derivano direttamente dai prezzi comunitari. Quando, come è successo nel caso di specie, la moneta d'uno Stato membro subisce una notevole svalutazione, il Consiglio non può sottrarsi alla necessità di fissare un nuovo tasso di conversione che tenga conto della realtà economica. Esso prende con ciò atto delle conseguenze della svalutazione. L'aumento dei prezzi interni dei prodotti agricoli costituisce quindi una «modifica del livello dei prezzi» ai sensi dell'art. 37, n. 2. Ora, come s'è visto, una simile modifica doveva, per quanto concerne il prezzo dello zucchero in Italia, entrare in vigore in occasione del passaggio dalla campagna 1973/74 alla successiva.

Il Consiglio aveva tracciato esso stesso, già nel 1971, con il regolamento n. 974, lo schema dei provvedimenti di politica congiunturale' da adottare nel settore agricolo in seguito all'ampliamento del margine di oscillazione delle monete di alcuni Stati membri.

La Commissione non ha mancato di riferirsi anch'essa a questo testo nel suo regolamento n. 834/74.

Possiamo dunque pensare che la Commissione fosse effettivamente competente a stabilire il principio del recupero del plusvalore sulle scorte a carattere speculativo create dai detentori di zucchero, e ciò al fine di prevenire i rischi d'una interruzione dell'approvvigionamento del mercato.

II — Validità della disposizione del regolamento n. 834/74 che riserva il gettito della tassa sul plusvalore delle giacenze ai produttori di barbabietole

Una seconda questione, anch'essa concernente la validità dell'art. 6 del regolamento n. 834/74, si presenta con riferimento al fatto che la Commissione ha attribuito il gettito dell'imposta ai produttori di barbabietole.

Non riteniamo di poter condividere l'opinione del rappresentante della Commissione, il quale, durante la fase orale del procedimento, ha negato la pertinenza della predetta questione.

Secondo la Commissione infatti, essendo scontata la validità della tassa sulle giacenze, l'attrice nella causa principale non avrebbe alcun interesse a contestare la destinazione attribuita al ricavato della tassa medesima. Posto che l'attrice doveva in ogni caso versare la somma controversa, sarebbe per essa indifferente che tale somma vada a beneficio dei bieticoltori oppure dell'erario.

Nell'ambito di un ricorso d'annullamento, la tesi anzidetta solleverebbe la questione del se un mezzo tratto dall'illegittimità della disposizione impugnata non sia irricevibile per mancanza d'interesse ad agire. Nel presente caso, ci troviamo però di fronte ad una domanda di pronunzia pregiudiziale e la costante giurisprudenza di questa Corte è nel senso che non si debba accertare se una questione sottoposta alla Corte da un giudice nazionale sia pertinente o meno ai fini della definizione della controversia principale. Il pretore di Abbiategrasso ha messo in dubbio la validità dell'art. 6 del regolamento n. 834/74 in tutti i suoi elementi; voi dovete pertanto fornirgli una risposta anche su questo pùnto.

La ditta Rey Soda sostiene che, riservando il gettito della tassa sulle giacenze ai produttori di barbabietole, la Commissione ha violato l'art 34 del regolamento n. 1009/67 che, pur autorizzando l'Italia ad accordare ai bieticoltori degli aiuti di adattamento, limita l'ammontare di questi aiuti ad un determinato massimale, d'altronde aumentato a più riprese. Gli aiuti cui si riferisce l'attrice nella causa principale sono gli aiuti nazionali contemplati dagli artt. 92-94 del trattato. Orbene, non è su questo terreno che si situa l'art. 6 del regolamento n. 834/74. Esso costituisce infatti una misura di perequazione destinata in qualche modo a restituire ai produttori di barbabietole il plusvalore che i detentori di scorte di zucchero avrebbero realizzato vendendo, dopo il 1o luglio 1974, ad un prezzo aumentato del 37 % lo zucchero prodotto con barbabietole acquistate nell'autunno precedente al prezzo minimo valevole prima del 31 ottobre 1973, prezzo il cui livello era stato bloccato in funzione del prezzo d'intervento per lo zucchero allora in vigore.

La decisione di far beneficiare i bieticoltori del plusvalore era conforme all'obiettivo previsto dall'art. 39, lettera b), del trattato; essa tendeva ad assicurare a questa categoria della popolazione agricola un equo tenore di vita.

Ma la validità dell'art. 6 del regolamento n. 834/74 va ancora esaminata sotto un altro aspetto.

III — Validità dell'art. 6 del regolamento n. 834/74 con riferimento alla subdelegazione di potere conferita al governo italiano

Occorre in effetti accertare tale validità con riferimento non più ai beneficiari della tassa sulle giacenze, bensì agli operatori economici cui la tassa è stata imposta. Sotto questo aspetto, l'esame dei precedenti in materia di tassazione delle giacenze di zucchero fornisce interessanti indicazioni.

In primo luogo, l'art. 37, n. 1, del regolamento di base contiene esso stesso una disposizione volta a regolare la situazione che si sarebbe certamente prodotta all'apertura della prima campagna saccarifera comunitaria 1968/1969 a motivo della differenza tra i prezzi nazionali dello zucchero ed il livello dei prezzi che sarebbe entrato in vigore l'11 luglio 1968. Con la predetta disposizione il Consiglio s'è autoattribuita la competenza ad adottare le necessarie misure di compensazione.

A tale scopo, esso ha emanato il 18 giugno 1968 il regolamento n. 769/68 che, se da una parte sottopone alla tassa gli utilizzatori di zucchero acquistato ad un prezzo nazionale inferiore prima dell'aumento entrato in vigore il 1o luglio 1968, d'altra parte, tiene conto del fatto che gli utilizzatori dovevano, per la natura stessa e per le caratteristiche della loro attività, immagazzinare dello zucchero, anche se questo immagazzinamento, assolutamente normale, costituiva, in determinate circostanze, una buona operazione sul piano finanziario. Pur senza ignorare il pericolo di una distorsione della concorrenza, il Consiglio ha perciò escluso dalla tassa le quantità di zucchero necessarie alle industrie saccarifere per un'attività normale di quattro settimane. Tali quantità sono state infatti considerate come scorte di esercizio.

Un secondo esempio ci è fornito dalla riscossione, sulle giacenze esistenti in Francia al 1o agosto 1970, d'una tassa di conguaglio avente lo scopo «di evitare perturbazioni nel mercato dello zucchero» che si sarebbero potute produrre in seguito alla svalutazione del franco francese. Il regolamento n. 1507/70, con cui la Commissione istituì la predetta tassa, era fondato sul regolamento del Consiglio 11 agosto 1969, n. 1586, relativo ad alcune misure di politica congiunturale da adottare nel settore agricolo in seguito alla svalutazione del franco francese.

Il predetto regolamento non si riferiva espressamente alle giacenze in possesso degli utilizzatori industriali, ma il decreto francese d'esecuzione, recante la data del 30 luglio 1970, pur assoggettando alla tassa le scorte eccedenti i 5000 kg, ne esenta espressamente le scorte di esercizio, vale a dire le quantità necessarie ad un utilizzatore per una produzione normale di quattro settimane al massimo.

Una situazione assai simile a quella che ora ci interessa si è verificata nuovamente nel 1971. Con regolamento n. 1344/71 la Commissione ha istituito, sempre al fine di evitare perturbazioni sul mercato comunitario, una tassa sulle giacenze esistenti al 1o luglio 1971.

Le scorte in possesso delgi utilizzatori erano assoggettate alla predetta tassa, ma ne erano esentate le scorte considerate come necessarie alla produzione fino ad un ammontare massimo di 20000 tonnellate. La Francia doveva adottare, per la ripartizione di questo tonnellaggio, tutti i provvedimenti che apparissero necessari per evitare differenze di trattamento fra gli interessati. Il citato regolamento della Commissione si fondava tanto sul regolamento del Consiglio n. 1586/69 quanto sul regolamento del Consiglio n. 1432/70 relativo all'adattamento dei prezzi d'intervento o d'acquisto da pagare in Francia.

Tenuto conto dei suddetti precedenti, ci sembra possibile giungere alle seguenti conclusioni:

1.

La Commissione s'è limitata a prevedere — lasciando al governo italiano l'incombenza d'adottare i necessari provvedimenti — il principio del pagamento ai bieticoltori del plusvalore sulle giacenze, senza determinare quali categorie d'operatori economici (produttori di zucchero, commercianti, utilizzatori industriali) sarebbero state soggette a questa tassazione del plusvalore. Il rappresentante della Commissione ha affermato, in udienza, che tuttavia l'art. 6 si riferiva implicatamente a tutti i detentori di scorte di zucchero, non esclusi gli utilizzatori industriali.

Una simile interpretazione sarebbe senz'altro conforme ad una necessità pratica. Perché si sarebbero dovuti esentare questi industriali che, anche se non intervengono sul mercato dello zucchero come venditori di tale prodotto, ne sono tuttavia acquirenti e lo utilizzano nei loro prodotti? In una situazione congiunturale di prezzi stabili, essi non hanno interesse ad approvvigionarsi al di là delle quantità corrispondenti al loro normale fabbisogno, in altre parole essi si limitano a mantenere scorte di esercizio sufficienti per qualche settimana di normale attività.

Ma, nella situazione congiunturale prodottasi sul mercato italiano nella primavera del 1974, la sola prospettiva di dover pagare lo zucchero, dopo il 1o luglio 1974, ad un prezzo assai più elevato spingeva necessariamente gli utilizzatori industriali a costituire scorte assai più ingenti di quanto non richiedessero le esigenze immediate della produzione.

È vero che lo zucchero cristallino utilizzato dagli industriali in questione non può, in linea di principio, essere immesso sul mercato dello zucchero d'alimentazione. Ma non è del tutto impensabile che in un periodo, se non di penuria almeno di psicosi di penuria, qualche partita di zucchero cirstallino finisca, in ultima analisi, per essere venduta al dettaglio dopo l'aumento dei prezzi.

Pur ammettendo che l'ipotesi appena esposta sia alquanto inverosimile, la costituzione da parte degli industriali di scorte eccessive avrebbe anche potuto proporsi lo scopo di consentir loro di incorporare nel prezzo dei loro prodotti il plusvalore realizzato a partire dal 1o luglio 1974.

L'argomentazione svolta dalla Rey Soda e dalle associazioni intervenute, argomentazione fondata sull'affermazione che gli utilizzatori industriali sono vincolati da contratti di fornitura la cui esecuzione è scaglionata in vari mesi e non avrebbero pertanto potuto lucrare il plusvalore reaizzato sulle loro giacenze di zucchero, non ci è parsa del tutto convincente.

Ci sarebbe inoltre un altro indizio dal quale si può ricavare che la Commissione intendeva, in ogni modo, sottoporre i predetti utilizzatori al pagamento della tassa sulla parte in eccesso delle loro scorte. Questo indizio si desume dalla formulazione stessa del regolamento n. 1495/74, il quale impone a chiunque, a qualunque titolo, detenga in Italia, alla data del 1o luglio 1974, scorte di zucchero bianco, di zucchero greggio o di sciroppo di zucchero … superiori a 500 kg di presentare una dichiarazione alle competenti autorità italiane.

Ma l'obbligo imposto in termini assai generici a tutti i detentori di zucchero di denunciare le loro scorte all'amministrazione nazionale non implica affatto che essi fossero assoggettati al pagamento del plusvalore. Anche se la Commissione disponeva, come noi riteniamo in base al dettato dell'art. 37, n. 2, del regolamento di base, del potere d'ordinare il recupero del plusvalore sulle giacenze eccessive detenute, per quanto qui ci interessa, dagli utilizzatori industriali, essa avrebbe tuttavia dovuto adottare al riguardo una decisione espressa e priva di ambiguità.

2.

In secondo luogo, la portata dell'art. 6 del regolamento n. 834/74 non può, a nostro parere, venire dissociata dalla motivazione del predetto regolamento, nella quale viene definito l'obiettivo che le disposizioni in questione si propongono di conseguire. Si trattava, a quanto risulta dal settimo considerando della motivazione, di eliminare «ogni interesse ad un immagazzinamento eccessivo di zucchero anteriormente al 1o luglio 1974».

Dopo aver così definito lo scopo dei provvedimenti che le autorità italiane erano invitate ad adottare, la Commissione lasciava a queste ultime la cura di precisare, per ciascuna categoria d'operatori economici e tenuto conto dell'importanza delle imprese, la quantità minima al di sopra della quale le scorte di zucchero dovevano essere considerate come eccessive rispetto alle normali esigenze produttive. A nostro parere, la Commissione avrebbe agito meglio se avesse fissato essa stessa criteri obiettivi tali da inalveare l'azione del governo italiano in un ambito meglio precisato.

Il regolamento n. 1495/74 che imponeva la denuncia di tutte le scorte superiori a 500 kg, da chiunque ed a qualunque titolo detenute, rispondeva certamente alla necessità d'operare il censimento più completo ed esatto possibile delle scorte in possesso dei produttori, dei commercianti e degli utilizzatori industriali. Tuttavia, proprio come il regolamento iniziale, anche il regolamento aggiuntivo non definisce in alcun modo la nozione di «scorte eccessive».

Si può allora affermare che il suddetto regolamento va annullato perché non precisa il contenuto della nozione di «scorte eccessive»?

Abbiamo in un primo momento pensato di poter risolvere la questione interpretando il citato regolamento nel senso che non possano essere considerate eccessive, per limitarci al caso degli utilizzatori industriali, scorte tali da permettere a ciascuna impresa di svolgere la propria normale attività per un periodo massimo di quattro settimane.

Partendo da una simile interpretazione, sarebbe spettato al governo italiano, come già avevano fatto nel 1970 le autorità francesi, il compito di esonerare dalla tassa sul plusvalore le scorte di esercizio in possesso dei suddetti industriali.

Ma sorge allora una questione che ci appare determinante: «Tenuto conto della formulazione generica dell'autorizzazione concessa al governo italiano, l'art. 6 del regolamento non è forse illegittimo per il fatto che né il trattato né il regolamento di base consentono alla Commissione di delegare ad uno Stato membro l'emanazione di provvedimenti che sarebbe toccato alla Commissione stessa emanare nell'ambito dell'organizzazione comune del mercato dello zucchero?».

Un argomento analogo era stato sostenuto, nella causa pregiudiziale n. 30-70, dal ricorrente nella causa principale Otto Scheer per contestare la legittimità del regolamento n. 87/62, adottato secondo la procedura del comitato di gestione, con il quale la Commissione lasciava agli Stati membri il compito di fissare le norme relative al deposito, all'ammontare ed alla perdita della cauzione richiesta in occasione del rilascio di certificati d'importazione e d'esportazione di cereali.

Negando valore a questo argomento, voi avete invece ritenuto che l'azione degli Stati membri rappresentasse semplicemente l'attuazione dell'obbligo generale formulato dall'art. 5 del trattato, norma secondo la quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure atte ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dagli atti delle istituzioni comunitarie e, da un punto di vista più generale, a facilitare la Comunità nell'adempimento della propria missione.

Bisogna però osservare che voi avete così deciso in considerazione delle circostanze particolari che giustificavano, nel caso di specie, l'assai ampia delega di potere effettuata dal regolamento in questione a favore degli Stati membri. Voi avete nondimeno precisato che il delegare temporaneamente agli Stati membri funzioni che in uno stadio più avanzato di sviluppo sono state assunte dalle istituzioni comunitarie era allora legittimo, nell'interesse di una rapida realizzazione dell'organizzazione di mercato, solo in considerazione del carattere sperimentale del primo sistema d'organizzazione del mercato dei cereali e del breve periodo intercorso tra l'entrata in vigore del regolamento di base e quella del regolamento di applicazione n. 87/62.

Tali sono pertanto i motivi per cui voi avete, nelle predette circostanze, ritenuto legittimo che la Commissione avesse incaricato gli Stati membri di emanare provvedimenti che, nell'ambito normale del funzionamento di un'organizzazione comune di mercato, essa sola avrebbe potuto adottare.

Considerazioni analoghe non possono tuttavia esser fatte valere nel presente caso.

Noi siamo ora in presenza d'un'organizzazione comune non già provvisoria, bensì definitiva e completa, quantunque il regolamento di base contenesse talune disposizioni transitorie che avrebbero dovuto essere applicate fino alla campagna 1974/1975. L'art 37, n. 2, che nella fattispecie costituisce il fondamento giuridico dei poteri attribuiti alla Commissione, figura del resto sotto il titolo IV, relativo alle disposizioni generali. L'esercizio dei poteri di cui ora si tratta è stato conferito dal Consiglio alla Commissione, e ad essa sola.

L'urgenza, di cui s'è tenuto conto nella causa Scheer per giustificare l'intervento degli Stati membri, non ha più ragione d'essere invocata nel presente procedimento. Infatti il Consiglio aveva già deciso fin dal 1o novembre 1973 di differire al 1o luglio dell'anno successivo l'entrata in vigore dell'aumento dei prezzi dello zucchero che la svalutazione della lira aveva reso necessario in Italia.

L'aumento dei prezzi d'intervento comunitari valevoli per la campagna 1974/75 è stato, è vero, reso noto soltanto in marzo, ma si tratta di un elemento che nel caso di specie ha valore marginale. Ad ogni modo, la Commissione s'era già preoccupata anteriormente, fin dagli inizi dell'anno 1974, d'evitare un eccessivo immagazzinamento di zucchero in Italia. Già a tale data, infatti, un primo progetto di regolamento era stato preparato dai suoi servizi. In tali condizioni aveva essa, in ultima analisi, il diritto di scaricare sul governo italiano una responsabilità che invece era sua? Ciò ha, in realtà, fatto la Commissione col limitarsi ad autorizzare l'adozione di misure nazionali in vista di evitare perturbazioni sul mercato e ad indicare che «queste misure consistono particolarmente nel pagamento ai produttori di barbabietole del plusvalore sulle giacenze».

Comportandosi in tal modo, la Commissione ha delegato di propria iniziativa ad uno Stato membro un potere discrezionale che le era stato conferito dal Consiglio. Una simile subdelegazione non è affatto prevista dall'art. 37, n. 2, del regolamento di base. Essa non ha, a nostro parere, alcun fondamento giuridico nel trattato, il cui art. 5, che obbliga gli Stati a provvedere all'esecuzione degli obblighi derivanti dagli atti delle istituzioni, non può certamente essere interpretato come una norma che autorizzi, in mancanza di circostanze eccezionali, le istituzioni comunitarie a scaricare sugli Stati compiti che agli Stati non appartengono.

Da ultimo, l'ammettere la subdelegazione operata dalla Commissione sarebbe contrario alla vostra giurisprudenza dalla quale si evince il principio che, nel settore coperto dalle organizzazioni comuni di mercato dei prodotti agricoli, gli Stati membri non hanno conservato altra competenza se non quella di fissare determinate modalità d'applicazione dei regolamenti comunitari, ai quali essi nulla possono aggiungere o togliere, e di garantirne l'esecuzione mediante taluni ben determinati interventi quali, ad esempio, la riscossione dei prelievi, il pagamento delle restituzioni, l'incasso o il pagamento degli importi compensativi; essi possono altresì essere autorizzati, mediante speciali deleghe concesse dall'autorità comunitaria, ad adottare misure complementari ai regolamenti.

I poteri, attribuiti all'Italia dal regolamento n. 834/74 vanno ben al di là di tali autorizzazioni. Essi equivalgono invece ad una vera e propria «procura in bianco».

Dobbiamo perciò concludere che, se la Commissione poteva da una parte incaricare le autorità italiane di garantire l'esecuzione delle misure necessarie per evitare le perturbazioni che un eccessivo immagazzinamento dello zucchero avrebbe potuto provocare sul mercato, essa aveva tuttavia l'obbligo non solo di definire l'obiettivo generale di tali misure e di fissare il principio del pagamento ai bieticoltori del plusvalore sulle giacenze, ma altresì di determinare essa stessa con precisione le norme fondamentali di cui il governo italiano era chiamato ad assicurare l'esecuzione. In altre parole, essa avrebbe dovuto: enumerare le categorie d'operatori economici assoggettate all'imposta; definire, per ciascuna di esse, la nozione di scorte eccedenti il normale fabbisogno; determinare infine l'imponibile della tassa e, se non fissarne l'aliquota, perlomeno indicare chiaramente su quale base andava calcolato il plusvalore.

È pacifico che la Commissione ha scaricato tale incombenza sulle autorità italiane.

Ora, delle due l'una:

o (come noi pensiamo) il pagamento ai produttori di barbabietole del plusvalore sulle giacenze di zucchero poteva, nell'ambito dell'organizzazione comune di mercato, risultare esclusivamente da una decisione comunitaria, adottata in applicazione del regolamento di base ed in conformità all'art. 37, n. 2, il che in altri termini significa che il governo italiano poteva essere autorizzato a curare l'esecuzione di detto provvedimento, ma non poteva fissarne esso stesso le norme essenziali;

oppure, l'Italia aveva conservato, nonostante l'esistenza dell'organizzazione comune, poteri autonomi che le permettevano di adottare, per proprio conto, provvedimenti nazionali di natura legislativa atti a prevenire o a reprimere l'immagazzinamento dello zucchero a fini speculativi. Occorre tuttavia osservare che il mercato italiano dello zucchero fa parte integrante del mercato comunitario. Accogliere la tesi sopra esposta significherebbe allora negare che la gestione del predetto mercato spetti, come risulta dalla ripartizione dei poteri operata dal regolamento di base, rispettivamente al Consiglio ed alla Commissione.

È per questi motivi che vi proponiamo di dichiarare illegittimo l'art. 6 del regolamento n. 834/74.

Se voi condividete questo punto di vista, non avrete più bisogno di pronunciarvi sulla maggior parte delle questioni sussidiarie sottopostevi dal giudice nazionale. Fra le suddette questioni ve ne è tuttavia una cui crediamo sia in ogni caso necessario dare una risposta. Con essa si chiede in quale misura il decreto-legge n. 255, adottato sulla base di' una disposizione comunitaria non valida, possa risultare esso stesso — per questa sola ragione — illegittimo.

Osserviamo innanzitutto che il predetto decreto-legge, approvato dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica, è stato in tal modo convertito in legge, secondo la procedura di ratifica prevista dalla costituzione italiana.

Non si tratterebbe dunque dell'illegittimità del decreto-legge, bensì dell'incostituzionalità del provvedimento legislativo adottato dal Parlamento. La competenza a risolvere questo problema spetterebbe perciò esclusivamente alla Corte costituzionale italiana su eventuale rinvio da parte del giudice nazionale.

Infine, dobbiamo rispondere brevemente alla questione n. 4 che mette in causa la validità del regolamento n. 1495/74, disposizione che, pur essendo complementare al regolamento n. 834/74, se ne distacca, a nostro parere, in quanto si limita ad imporre la denuncia delle giacenze di zucchero da chinque detenute in Italia alla data del 1o luglio 1974. Come abbiamo detto, in effetti l'obbligo così imposto ai possessori di zucchero non implica, «ipso facto», l'assoggettamento alla tassa sul plusvalore, della quale s'è visto che solo il principio e la destinazione erano stati fissati dalla Commissione.

Il predetto regolamento costituisce in realta un atto preparatorio, indispensabile dal punto di vista tecnico per consentire un censimento esatto delle quantità di zucchero in possesso degli operatori economici all'apertura della nuova campagna ed al momento dell'entrata in vigore dell'aumento del prezzo dello zucchero.

Il governo italiano aveva, ci sembra, il potere di disporre esso stesso un tale censimento.

Se la Commissione ha deciso di scavalcarlo e di intervenire direttamente, è stato, lo sappiamo bene, perché essa temeva che il governo italiano, in crisi, non fosse in grado d'adottare tempestivamente il suddetto provvedimento.

Secondo il giudice italiano, il suddetto testo potrebbe essere illegittimo per mancanza o insufficienza di motivazione.

Noi non comprendiamo però, innanzitutto, in che modo il richiamo al regolamento n. 834/74 potrebbe invalidare la disposizione concernente la denuncia delle giacenze, atto che costituiva un preliminare necessario a qualsiasi tassa sul plusvalore.

In secondo luogo, la menzione della necessità «di permettere all'Italia d'adottare assai rapidamente le misure d'applicazione» deve essere considerata come una motivazione sovrabbondante, soprattutto se si considera che le autorità nazionali avrebbero potuto, di propria iniziativa, obbligare i detentori di zucchero a denunciare le loro giacenze. Tale motivo non può viziare la validità del provvedimento adottato dalla Commissione stessa.

Da ultimo, la Commissione non avrebbe precisato perchè la quantità minima di zucchero soggetta all'obbligo di denuncia sia stata fissata in 500 kg.

Anche questa circostanza ci sembra irrilevante per quanto riguarda la validità del regolamento. Come abbiamo già detto, l'obbligo di denuncia, da una parte, e l'assoggettamento alla tassa sul plusvalore, dall'altra, sono due nozioni distinte. L'aver fissato a 500 kg la quantità minima assoggettata all'obbligo di denuncia non implicava assolutamente che la tassa dovesse gravare su tutte le giacenze superiori al predetto minimo. L'imponibile della tassa sul plusvalore che la Commissione avrebbe, a nostro parere, dovuto determinare in rapporto alla nozione di scorte eccessive, non poteva desumersi dal solo obbligo di denuncia delle giacenze esistenti.

Vi proponiamo perciò di risolvere le questioni che vi sono state sottoposte come segue:

Le disposizioni dell'art. 6 del regolamento della Commissione n. 834/74 non sono valide nella misura in cui intendono attribuire alla Repubblica italiana il potere, che l'art. 37, n. 2, del regolamento del Consiglio n. 1009/67 delega alla sola Commissione, di adottare i provvedimenti atti ad evitare che il mercato dello zucchero subisca perturbazioni a causa di una variazione del livello dei prezzi al momento del passaggio da una campagna saccarifera alla successiva, e precisamente il potere di determinare l'imponibile di una tassa sul plusvalore riscossa sulle giacenze di zucchero nel territorio italiano, di stabilire a quali categorie di operatori economici si applichi la suddetta tassa e di fissare i criteri secondo cui ne va determinato l'ammontare.


( 1 ) Traduzione dal francese.

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