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Document 61959CC0036

Conclusioni dell'avvocato generale Lagrange del 24 maggio 1960.
Gli uffici di vendita del carbone della Ruhr "Präsident", "Geitling", "Mausegatt" e I. Nold KG contro l'Alta Autorità della Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio.
Cause riunite 36, 37, 38-59 e 40-59.

edizione speciale inglese 1960 00829

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1960:27

Conclusioni dell'avvocato generale

MAURICE LAGRANGE

24 maggio 1960

Traduzione dal francese

INDICE

 

I — Gli antefatti e le conclusioni dello parti

 

II — Sulla ricevibilità

 

III — Le conclusioni in subordino nella causa 40-59

 

IV — Le conclusioni in via principale dei ricorsi

 

1) Considerazioni generali

 

2) Esame dei tre criteri

 

A. Soppressione del criterio riguardante lo smercio di 60 mila tonnellate di carbone della Comunità

 

B. Secondo criterio: smercio di un quantitativo minimo di carbone della Comunità nella propria zona di vendita

 

a) Esame alla luce dell'art. 65, n. 2 lett. a) e b)

 

b) Esame sotto il profilo dell'art. 65, n. 2, lett. c)

 

C. Terzo criterio: smercio di un minimo di 6000 tonnellate di carbone dell'Ufficio di vendita

 

V — Conclusioni finali

Signor Presidente, signori giudici,

devo concludere nelle cause riunite 36, 37 e 38-59, promosse dagli Uffici di vendita per il carbone della Ruhr, Präsident, Geitling e Mausegatt, e le società minerarie raggruppate nel loro seno contro determinate disposizioni della decisione dell'Alta Autorità 36-59, in data 17 giugno 1959, concernente la disciplina commerciale degli Uffici di vendita, come pure nella causa 40-59 promossa dalla ditta Nold — commercio all'ingrosso di carbone e di materiale da costruzione, Darmstadt — contro la stessa decisione.

Benchè la Corte non abbia ritenuto opportuno disporre la riunione di dette cause, nemmeno per quanto concerne la fase orale, Vi chiedo licenza di trattarne congiuntamente per maggiore chiarezza. Infatti, le conclusioni degli Uffici di vendita e quella della Nold riguardano le stesse disposizioni della decisione impugnata, cioè quelle concernenti i criteri quantitativi per l'ammissione dei grossisti al rifornimento diretto presso gli Uffici di vendita. Tali criteri, benchè siano stati già notevolmente ridotti, vengono ritenuti ancora troppo restrittivi dalla ditta Nold, mentre gli Uffici di vendita lamentano che l'Alta Autorità si sia rifiutata di approvare il mantenimento dei vecchi criteri. Inoltre le due controversie vertono, essenzialmente, sulla legittimità della decisione impugnata alla luce delle medesime disposizioni del Trattato, in ispecie dell' art. 65, n. 2.

I — GLI ANTEFATTI E LE CONCLUSIONI DELLE PARTI

Farò a meno di esporre gli antefatti, dato che Vi sono già perfettamente noti, sia in seguito alle pronunzie su precedenti controversie, sia, qualora fosse stato necessario, grazie alle esaurienti relazioni d'udienza.

Ricorderò soltanto che l'oggetto della decisione impugnata è nei suoi tratti essenziali il seguente (art. 6 nuovo) :

1o

Viene soppresso il primo criterio precedentemente in vigore, cioè la vendita durante l'annata carboniera precedente di 60 mila tonnellate di carbone della Comunità (esso non è più compreso nel dispositivo della decisione, il che significa che gli Uffici di vendita non hanno più il diritto di esigere tale requisito).

2o

Il secondo ed il terzo criterio (aver smerciato un quantitativo minimo di carbone della Comunità nella zona di vendila nella quale il commerciante dev'essere ammesso ad operare; aver smerciato, parimenti nella zona di vendita, un quantitativo minimo di carbone dell'Ufficio di vendita presso il quale il commerciante è iscritto) vengono mantenuti, ma i minimi sono ridotti rispettivamente da 30 mila a 20 mila tonnellate nel primo caso e da 9 mila a 6 mila tonnellate nel secondo (art. 6, nn. 1 e 2).

L'articolo 11 nuovo respinge

«le più ampie richieste formulate dalle imprese minerarie interessate e relativo alla disciplina commerciale,»

il che significa che i requisiti imposti dalla disciplina commerciale elaborata dagli Uffici di vendita non sono approvati nei limiti in cui sono più restrittivi di quelli esposti nella decisione. Tale parziale rifiuto costituisce l'oggetto della domanda di annullamento degli Uffici di vendita.

Per quanto concerne la ditta Nold, essa ha chiesto, in via principale, l'annullamento dell'art. 6, nn. 1 e 2, il quale mantiene in vigore il secondo ed il terzo criterio quantitativo, pur riducendone l'ampiezza.

In via subordinata, egli ha chiesto alla Corte di «dichiarare nullo o comunque non applicabile» lo stesso art. 6, nn. 1 e 2,

«nella misura in cui comporta l'esclusione dal novero dei grossisti di prima mano di quei commercianti i quali, prima dell'adozione della decisione stessa, erano considerati negozianti all'ingrosso di prima mano.»

II — SULLA RICEVIBILITA

Per quanto concerne la ricevibilità, non vi è nulla da dire circa i ricorsi degli Uffici di vendita e ben poco circa il ricorso Nold.

Risulta infatti dalla giurisprudenza (Sent Nold, 20 marzo 1959) che le decisioni d'autorizzazione adottate in forza dell'art. 65, n. 2, hanno carattere individuale non soltanto nei confronti dei richiedenti l'autorizzazione, ma anche rispetto ai terzi, come pure qualora si riferiscano ad un complesso di norme di diritto privato. È sufficiente che il terzo ricorrente abbia un interesse diretto all'annullamento: senza dichiararlo esplicitamente, è chiaro che la sentenza si è informata a questo concetto. Ora, non è contestato, nè contestabile, che la ditta Nold abbia un interesse siffatto.

Cionondimeno, nella controreplica l'Alta Autorità /eccepisce la ricevibilità delle conclusioni in subordine della Nold nella loro nuova formulazione contenuta nella replica. Nold avrebbe invertito l'ordine delle proprie conclusioni e chiesto in via principale alle Corte di

«dichiarare nulli i nn. 1 e 2 dell'art. 6 della decisione impugnata nei limiti in cui dette disposizioni escludono determinati commercianti dal rifornimento diretto.»

oppure

«dichiarare détta disposizione non applicabile a determinati commercianti.»

Orbene, nella sua prima formulazione una domanda siffatta costituirebbe in realtà un ricorso per carenza — mentre non è stata osservata la procedura di cui all'art. 35 — e nella sua seconda formulazione essa esorbiterebbe dall'ambito proprio del ricorso di annullamento.

Per dire la verità, la ricorrente non ha preso nuove conclusioni nella replica e nemmeno ha modificato il tenore delle conclusioni in un primo tempo formulate; essa si è limitata a far osservare (come è chiaro) che, qualora la sua domanda in subordine fosse stata accolta, non avrebbe ravvisato alcun inconveniente nel mantenimento in vigore dei requisiti imposti dall'art. 6, dato che questi riguardavano solo l'avvenire.

Sono d'opinione che le conclusioni in subordine siano ricevibili. Infatti esse consistono nel sostenere che l'Alta Autorità non poteva legittimamente concedere il proprio benestare all'introduzione di una disciplina commerciale implicante determinati limiti quantitativi (quelli stabiliti dall'art. 6, nn. 1 e 2), in quanto detti limiti ostano al mantenimento nella categoria dei grossisti di prima mano di tutti i commercianti che vi erano precedentemente compresi. In altre parole, una disciplina commerciale più restrittiva di quella anteriormente in vigore potrebbe essere legittimamente autorizzata soltanto qualora facesse salvi i diritti quesiti di coloro i quali possedevano i requisiti anteriormente prescritti. Non si tratta di un ricorso per carenza: oggetto delle critiche è sempre la concessa autorizzazione — atto positivo — in quanto essa non conterrebbe una disposizione che il ricorrente ritiene essenziale per la sua validità.

III — LE CONCLUSIONI IN SUBORDINE NELLA CAUSA 40-59

Se le conclusioni di cui trattasi devono essere ritenute ricevibili, ciò non toglie che esse siano infondate e appunto per questo motivo incomincerò l'esame del merito partendo da esse, per non doverne più trattare in seguito, anche se ciò non è perfettamente ortodosso dal punto di vista logico.

È opportuno innanzitutto rilevare che la decisione impugnata riduce — ed in misura considerevole — i requisiti quantitativi imposti dalle decisioni precedentemente in vigore. Orbene, è comprensibile vengano emanate delle disposizioni transitorie qualora una nuova disciplina, più restrittiva di quella precedente, introduca nuovi oneri, ma non nel caso inverso. Per dire la verità, se la ricorrente conserva ancora la qualifica di grossista di prima mano ciò è dovuto unicamente alla sospensione dell'esecuzione delle decisioni 16, 17 e 18-57 — successivamente annullate — ordinata dalla Corte in occasione del primo ricorso da essa presentato. In precedenza essa aveva fruito della disciplina transitoria approvata, per l'anno 1956-1957, con le decisioni 5, 6 e 7-56: a proposito di questa disciplina va detto che le disposizioni transitorie erano giustificate, se non addirittura necessarie, in quanto essa rendeva notevolmente più gravosi i requisiti imposti per il rifornimento diretto dei grossisti. La situazione è del tutto diversa per quanto concerne la decisione impugnata. La ricorrente non può perciò affermare che l'autorizzazione poteva essere legittimamente concessa solo a condizione che vi fossero delle disposizioni transitorie, senza contare che la validità di disposizioni siffatte è di per sé stessa necessariamente limitata nel tempo.

In realtà la ricorrente accampa un preteso «diritto quesito» che risulterebbe dalla sua precedente qualità di commerciante di prima mano. Essa invoca a sostegno le norme del diritto tedesco in materia di protezione del diritto di proprietà — ivi compresa la proprietà commerciale — sancito dall'art. 14 della Legge fondamentale.

A questo argomento si deve ribattere che spetta alla ricorrente promuovere davanti ai tribunali del suo paese qualunque azione, ritenga opportuna contro una disciplina commerciale di natura privata, ma non spetta alla Corte, chiamata a sindacare la legittimità delle autorizzazioni, di applicare, almeno direttamente, le norme di diritto interno — anche se si tratta di norme di diritto costituzionale — vigenti in questo o in quello stato membro (Sent. Stork, 4 febbraio 1959). Essa può soltanto informarsi ad esse, qualora ne sia il caso, in quanto vi ravvisi l'applicazione di un principio giuridico generale di cui si può tener conto nell'interpretare il Trattato.

Ora, se si può senz'altro ammettere che la tutela del diritto di proprietà e l'obbligo di circondare qualunque menomazione di tale diritto — quale ad esempio l'espropriazione — di opportune cautele costituiscano norme giuridiche vigenti in tutti e sei i paesi, è certo che nella specie non si tratta di questo. Non vi è stata alcuna menomazione da parte dell'Alta Autorità del diritto di proprietà, anche volendola intendere in senso molto ampio.

Inoltre non vi è stata alcuna discriminazione, dal momento che le condizioni di ammissione sono state obiettivamente stabilite. Al contrario, si avrebbe una discriminazione qualora, anche dopo la fine di un periodo transitorio di durata limitata, continuasse a susistere una diversità di requisiti basata unicamente sulla data di fondazione delle singole imprese commerciali.

IV — LE CONCLUSIONI IN VIA PRINCIPALE DEI RICORSI

Passo ora a trattare delle conclusioni in via principale della ditta Nold e delle conclusioni degli Uffici di vendita concernenti la fissazione dei criteri quantitativi. Ciascuno dei ricorrenti fa valere tre mezzi: violazione di forme essenziali per mancanza o insufficienza di motivazione, violazione del Trattato e sviamento di potere.

1 — Considerazioni generali

Vorrei innanzitutto esporre qualche considerazione generale sulla mancanza o insufficienza di motivazione, in ispecie per quanto concerne le decisioni di autorizzazione che l'Alta Autorità deve adottare a norma dell'art. 65, n. 2.

L'obbligo dell'Alta Autorità di motivare le proprie decisioni, raccomandazioni e pareri, quale è sancito nell'art. 15 del Trattato, deriva da una duplice esigenza. In primo luogo esso costituisce, nei confronti dell'opinione pubblica, una garanzia contro l'arbitrio, in quanto permette di comprendere e di controllare la condotta di un organo esecutivo dotato di ampi poteri. Ciò è necessario in ispecie nei riguardi dell'Assemblea e questo spiega e giustifica il fatto che tutte le decisioni dell'Alta Autorità vanno motivate, anche quelle che vengono adottate in forza di poteri discrezionali.

L'obbligo di motivare è in secondo luogo necessario per consentire il controllo giurisdizionale delle decisioni, nel caso in cui vengano impugnate davanti alla Corte. Trattandosi di un sindacato di legittimità, i poteri del giudice sono limitati ed inoltre il confine fra le attribuzioni del potere giudiziario e quelle del potere esecutivo non è sempre chiaramente segnato, il che rende indispensabile che la decisione faccia chiaramente apparire tutti gli elementi atti a consentire al giudice di controllarne la legittimità. Ciò è quanto la Corte ha affermato nella sentenza Nold del 20 marzo 1959, nella quale è detto :

«Tuttavia l'obbligo di motivare che l'art. 15 del Trattato C.E.C.A. impone all'Alta Autorità non è stabilito nel solo interesse degli eventuali ricorrenti, ma anche per consentire alla Corte di esercitare in pieno il controllo giurisdizionale' che il Trattato le affida.»

La sentenza perciò conclude

«che un difetto di motivazione, il quale ostacoli tale controllo, può e deve essere rilevato d'ufficio.»

Ciò presuppone evidentemente che sia stata impugnata la legittimità del provvedimento, poichè in caso contrario il ricorso sarebbe infondato, ma ciò non significa che il ricorrente debba necessariamente dedurre expressis ver bis il mezzo di violazione di forme essenziali: qualora, vista la motivazione del provvedimento, la Corte non sia in grado di pronunziarsi sulla legittimità di esso alla luce del Trattato, essa «può e deve» annullarlo per insufficienza di motivazione.

Resta con ciò dimostrato che i requisiti della motivazione variano in base alla natura ed all'oggetto del provvedimento: nel caso in cui questo sia stato adottato in forza di un potere di valutazione più o meno discrezionale essi sono necessariamente ridotti: è sufficiente che la motivazione consenta di accertare, almeno prima facie (e salvo prova contraria, ad esempio tale da dimostrare l'esistenza di uno sviamento di potere), che il provvedimento e stato adottato in forza di un determinato potere, in conformità all'interesse generale e senza arbitrio. Viceversa, qualora l'esercizio del potere di cui trattasi sia subordinato dalla legge (che nel nostro caso è il Trattato) a determinate condizioni, è necessario che la motivazione mostri chiaramente che tutte dette condizioni sono state soddisfatte e per quali motivi di diritto e di fatto l'Alta Autorità ha ritenuto che lo fossero.

Orbene, Signori, è sufficiente leggere l'art. 65 per convincersi che i requisiti della motivazione sono particolarmente severi per quanto riguarda le decisioni di autorizzazione adottate in forza dèi n. 2. L'importanza che il Trattato attribuisce, ai' fini del buon funzionamento del mercato comune, all'osservanza del divieto di intese stabilito all'inizio dell'articolo, il carattere eccezionale del l'autorizzazione, (eccezionale in senso giuridico, cioè non tanto «di infrequente applicazione», quanto «derogatorio ad un principio fondamentale», infine lo stesso tenore del n. 2 il quale enumera le tre condizioni necessarie perchè l'autorizzazione sia legittima, ed in tal caso essa deve essere concessa), tutto ciò lascia all'Alta Autorità ben poche alternative e la obbliga ad esprimersi in modo particolarmente preciso e concreto.

La motivazione di un'autorizzazione a norma dell'art. 65, n. 2, deve perciò vertere essenzialmente sull'effettiva esistenza delle condizioni contemplate nelle lettere a, b e c) di detto numero, dopo aver eventualmente trattato del sussistere di un'intesa ai sensi del n. 1. Tale requisito vale anche nel caso in cui la decisione modifichi soltanto una decisione precedente e ciò in quanto si tratti di giustificare le modifiche; anche se queste sono in senso liberale, la motivazione può ancora essere necessaria nel caso in cui la motivazione delle decisioni precedenti venga ritenuta insufficiente: l'Alta Autorità ha molto opportunamente opposto ciò agli argomenti dei tre Uffici di vendita.

Non occorre poi dire che anche le decisioni più liberali — mi riferisco alle decisioni che rifiutano di approvare, perchè troppo restrittivi, degli accordi o parti di accordi precedentemente autorizzati — devono del pari essere motivate sotto questo profilo, per non apparire arbitrarie: ne avevo già parlato nelle mie conclusioni nelle cause 16, 17 e 18-59, là dove affermavo che i «considerandi» molto generici delle decisioni impugnate, nell'inconcessa ipotesi che avessero dovuto essere considerati essi stessi come una decisione, sarebbero stati insufficienti, in altre parole, se l'Alta Autorità muta d'opinione, anche in senso meno restrittivo, essa deve dichiararne il perchè.

Vorrei ora fare un'ultima osservazione di carattere generale e tuttavia, a mio parere, importantissima.

Leggendo il n. 2 dell'art. 65 ci si rende conto che in realtà le due prime condizioni (lett. ae lett. b) si contrappongono alla terza, formulata sub c. Occorre in primo luogo che l'Alta Autorità si accerti che l'accordo che le viene sottoposto si; deve trattare di un accordo di specializzazione o di un accordò di acquisto o di vendita in comune — «contribuirà ad un considerevole miglioramento della produzione o della distribuzione dei prodotti di cui trattasi», che esso è necessario a tal fine e che non ha carattere più restrittivo di quanto non richieda il suo scopo (queste sarebbero già veramente tre condizioni). Dopo aver risolto in senso affermativo queste tre questioni è però necessario accertare ancora (è questa la lettera c) che l'accordo di cui trattasi non sia

«tale da consentire alle imprese partecipanti di fissare i prezzi, controllare o limitare la produzione o lo smercio di una parte rilevante dei prodotti di cui trattasi nel mercato comune o da porle al riparo da un'effettiva concorrenza di altre imprese nel mercato comune.»

Come l'avvocato von Simson ha giustamente rilevato al termine della discussione, il Trattato contrappone lo scopo puramente economico che un'intesa può legittimamente perseguire, ad esempio il miglioramento della distribuzione, alla libertà della concorrenza. Finchè si tratta di stabilire se siano soddisfatte le condizioni sub a) e sub b), l'accordo va esaminato nel suo insieme e nelle sue varie parti e si deve accertare se esso sia tale ad esempio da migliorare la distribuzione, senza essere più restrittivo di quanto è necessario in vista di detto scopo, anche se determinati interessi possono rimanerne lesi. Vi è tuttavia un limite, cioè la menomazione della concorrenza sul mercato derivante dalla posizione di predominio che l'accordo, pur consentendo eventualmente di raggiungere l'optimum nella produzione o nella distribuzione, rischierebbe di attribuire alle imprese partecipanti: in tal caso la tutela della concorrenza deve prevalere.

Ritroviamo qui il punto cruciale dell'applicazione di qualsivoglia legislazione sulle intese, sia essa fondata sul semplice «abuso» oppure sulla teoria delle «buone» e delle «cattive» intese e indipendentemente dal regime giuridico adottato: nullità assoluta salvo autorizzazione, libertà salvo intervento amministrativo o repressione giudiziaria, ecc. Viene sempre il momento in cui l'autorità competente, sia essa amministrativa o giudiziaria, è chiamata, qualora voglia risolvere il problema, a porre a raffronto i vantaggi e gli svantaggi dell'intesa ed a stabilire le condizioni necessarie perchè i vantaggi possano avere la prevalenza.

Durante la fase scritta e nel corso della discussione ci si e richiamati ad interessanti decisioni dell'Ufficio federale tedesco per i cartelli. Mi sia lecito citare a mia volta un parere (uno fra quelli resi pubblici) della Commission technique des ententes la quale, benchè abbia soltanto funzioni consultive, costituisce in Francia lo strumento essenziale per l'applicazione della legislazione sulle intese. Si trattava di un'intesa nell'industria o nel commercio del lievito da pane :

«Considerando — dice il parere ( 1 ) — che oltre a dette disposizioni (riguardanti in ispecie la fissazione dei prezzi e dei contingenti di vendita) è prevista una organizzazione della distribuzione la quale non costituisce un'intesa a parte, bensì deriva necessariamente dagli accordi stipulati fra i produttori, e che consiste essenzialmente nel limitare il numero dei commercianti, di guisa che ognuno di essi sia, salvo eccezioni, il solo autorizzato a vendere il lievito in un determinato settore…»

Dopo essersi espressa in senso contrario all'intesa per quanto concerne gli effetti di essa sul prezzo di vendita, la Commissione prosegue :

«Considerando, per quanto riguarda la distribuzione, che, nonostante l'attuale organizzazione permetta il regolare rifornimento dei panettieri e la limitazione del numero dei commercianti autorizzati a vendere il lievito appaia atta a consentire un certo risparmio nelle spese di trasporto ed in quelle relative alla rete commerciale, le conseguenze dannose di detta organizzazione prevalgono tuttavia sui vantaggi; in ispecie, il monopolio di fatto determinato dall'intesa a favore del distributore unico di ciascun settore fa sì che i consi matori debbano dipendere da un solo commerciante ed impedisca loro praticamente di trattare sul prezzo e sulla qualità della merce…»,

dopo di che il parere espone numerose considerazioni di fatto e termina con una serie di raccomandazioni le quali indicano le condizioni che, secondo la Commissione, l'intesa dovrebbe soddisfare per essere in armonia con le norme di legge.

Senza dubbio vi sono soltanto delle lontane analogie fra il commercio francese del lievito da pane e quello del carbone della Ruhr, ed anche le clausole degli accordi sono molto diverse nei due casi: ho tuttavia ritenuto opportuno citare questo parere per mostrare a quali principi dovrebbe a mio avviso essere informato l'esame di una domanda di autorizzazione in base alle disposizioni anti-cartello del Trattato : esame comparativo, il più circostanziato ed il più concreto possibile, dei vantaggi dell'intesa, ai fini dello scopo perseguito — nella specie il miglioramento della distribuzione — e degli svantaggi dell'intesa stessa sotto l'aspetto della limitazione della concorrenza che essa provoca. Nei casi dubbi il Trattato stesso dispone, sub c), che se l'accordo appare atto ad attribuire una posizione di predominio alle imprese partecipanti, esso non può essere autorizzato.

2 — Esame dei tre criteri

Giungo ora all'esame dei tre criteri che costituiscono oggetto delle controversie. Esaminerò la decisione impugnata, in ciascuno di detti tre punti, sia sotto il profilo dell'insufficienza di motivazione, sia sotto il profilo della violazione del Trattato.

A — SOPPRESSIONE DEL CRITERIO RIGUARDANTE LO SMERCIO DI 60 MILA TONNELLATE DI CARBÓNE DELLA COMUNITÀ

Naturalmente la decisione viene criticata su questo punto soltanto dagli Uffici di vendita.

La motivazione della decisione a questo proposito è contenuta nei due considerandi della pagina 738/59, Ia . colónna, della Gazzetta Ufficiale : il primo di essi motiva in via generale l'allargamento dei criteri, mentre il secondo concerne specificamente la soppressione del criterio delle 60 mila tonnellate.

Analizzando detti considerandi s'incontrano in primo luogo due constatazioni di fatto :

1o

Il requisito imposto ha avuto la conseguenza di escludere dal rifornimento diretto presso gli Uffici di vendita un numero relativamente elevato di grossisti indipendenti, di medie dimensioni. Infatti, benchè vi siano degli indipendenti «grandi» e dei non-indipendenti (cioè dei commercianti legati alle miniere) soltanto «medi», questi sono da considerarsi come eccezioni ed è certo che i criteri quantitativi elevati favoriscono i non-indipendenti. Ciò risulta dai documenti prodotti e non è contestato.

2o

Il criterio delle 60 mila tonnellate ha in pratica l'effetto di costringere la maggior parte dei commercianti desiderosi di rifornirsi direttamente ad iscriversi presso tutti tre gli Uffici di vendita e ciò in conseguenza del fatto che in moltissimi casi, ed in ispecie in determinate zone di vendita, viene consumato soltanto carbone della Ruhr. Ne deriva che il terzo criterio (smercio di 9 mila tonnellate di carbone dell'Ufficio di vendita presso il quale il commerciante vuole iscriversi) diviene praticamente privo di oggetto.

Quali sono le conseguenze di queste due constatazioni?

a)

Per quanto concerne la prima (diminuzione ritenuta eccessiva del numero di indipendenti), l'Alta Autorità osserva

«che prima dell'istituzione del mercato comune le organizzazioni di vendita del bacino della Ruhr applicavano un tonnellaggio limite notevolmente inferiore.»

(la parola «notevolmente» è un eufemismo: erano sufficienti 6 mila tonnellate!), e ne trae la conseguenza che

«questo cirterio (quello delle 60 mila tonnellate) rende l'accesso diretto agli Uffici di vendita assai più difficile di quanto non richieda il progettato miglioramento della ripartizione»

(la parola «ripartizione» è sfuggita, a quanto pare, per errore dalla penna dell'Alta Autorità: è evidente che si deve leggere «distribuzione»).

A mio parere questo ragionamento è incompleto: l'Alta Autorità non pretende (come avrebbe forse potuto fare) che il nuovo criterio non abbia rilevante influenza sul miglioramento della distribuzione, che non contribuisca ad un miglioramento siffatto; essa afferma soltanto che il miglioramento perseguito non richiedeva una limitazione tanto considerevole delle possibilità di accesso diretto agli Uffici di vendita — limitazione che implica l'esclusione di un gran numero di indipendenti — ma non dice perchè. In realtà, l'Alta Autorità ha tenuto presenti soltanto le lettere a e b dell'art. 65, n. 2, mentre avrebbe dovuto procedere ad un esame dèlia questione in relazione alle disposizioni della lettera c, vale a dire confrontare i vantaggi derivanti dal miglioramento della distribuzione (dato che essa non ne contestava l'esistenza) con gli svantaggi, sotto l'aspetto della concorrenza, impliciti nel nuovo criterio. La diminuzione del numero degli indipendenti non è di per sé in contrasto con il miglioramento della distribuzione: anzi, è vero forse il contrario. Viceversa, sono certe le sue conseguenze dal punto di vista della limitazione della concorrenza e della posizione di predominio nel campo commerciale che essa consente alle imprese di acquistare.

È vero che questo concetto viene espresso, in modo molto generico, alla fine dell'ultimo considerando della pagina 737 — il quale termina in capo alla prima colonna della pagina 738 — là dove è detto che le esperienze acquisite hanno

«dimostrato che i criteri quantitativi finora applicati dagli Uffici di vendita producevano sul piano commerciale effetti più restrittivi di quanto non esigesse il miglioramento della ripartizione.»

(anche qui la parola «ripartizione» sta in luogo della parola «distribuzione !»). Tuttavia tale affermazione, che è di importanza fondamentale, avrebbe dovuto essere ripetuta e motivata a proposito del criterio delle 60 mila tonnellate.

b)

Viceversa, la seconda constatazione (obbligo per la maggior parte dei commercianti di prima mano di iscriversi presso i tre Uffici di vendita) è corredata da un ragionamento pertinente il quale motiva in modo perfettamente adeguato la soppressione del criterio: questo criterio, dichiara l'Alta Autorità

«porta d'altra parte a restringere l'indipendenza degli Uffici di vendita.»

Infatti, l'indipendenza degli Uffici di vendita, i quali avrebbero dovuto in ispecie «seguire una politica delle vendite indipendente», è stata una delle condizioni fondamentali poste dall'Alta Autorità per poter prendere in considerazione il principio stesso dell'autorizzazione del cartello di vendita delle miniere della Ruhr. La Corte ha riconosciuto tale esigenza nella sentenza Geitling, 2-56 [Racc. vol. III, pag. 42, ultimo capoverso) ed il mio collega Roemer vi ha insistito nella sue conclusioni (ibid. pag. 75-76). Ora è evidente che un sistema in base al quale la maggior parte dei commercianti di prima mano sono o addirittura devono essere iscritti presso i tre Uffici di vendita compromette in partenza qualunque possibilità che detti Uffici seguano una politica indipendente; essi sono rappresentati in ciascuna zona dagli stessi agenti! Come potrebbe ciascuno di questi avere interesse a favorire lo smercio dei prodotti di uno piuttosto che di un altro Ufficio di vendita?

È vero, ed i ricorrenti non mancano di farlo rilevare, che non si tratta di un mutamento della situazione economica intervenuto successivamente alla prima decisione con la quale era stato approvato il criterio, ed anzi un criterio più restrittivo, dato che il quantitativo minimo era di 75 mila tonnellate. È vero anche che non occorreva affatto «l'esperienza» di parecchi anni per scoprire una conseguenza che avrebbe potuto essere prevista con certezza eseguendo una semplice moltiplicazione (tre per nove fa sempre ventisette), dato che l'Alta Autorità non poteva evidentemente ignorare il quasi-monopolio di cui gode il carbone della Ruhr in una vasta zona della Comunità — in ispecie in Germania — semplicemente per cause naturali. Ma un errore siffatto, del resto fondamentalmente riconosciuto dall'Alta Autorità, rendeva tanto più necessaria una riparazione in occasione di un successivo benestare; l'articolo 65, n. 2, 4o comma, le avrebbe anzi consentito di revocare l'autorizzazione prima della scadenza, una volta accertato che

«le conseguenze effettive dell'accordo o della sua applicazione erano in contrasto con le condizioni poste per la sua approvazione.»

La soppressione del primo criterio e perciò non soltanto adeguatamente motivata, bensì giuridicamente giustificata, alla luce dell'art. 65, in base alla stessa autorizzazione alla vendita in comune.

B — SECONDO CRITERIO: SMERCIO DI UN QUANTITATIVO MINIMO DI CARBONE DELLA COMUNITÀ NELLA PROPRIA ZONA DI VENDITA

Questo criterio è rimasto, ma il limite è stato abbassato da 30 mila a 20 mila tonnellate.

Sotto l'aspetto della insufficienza di motivazione, ritengo si debba essere più severi in fatto di giustificazione del criterio in sé che per quanto concerne la fissazione del limite, la quale è rimessa essenzialmente alla valutazione discrezionale dell'Alta Autorità. Circa tale valutazione la Corte, come ho detto, dispone di poteri di controllo più ristretti.

La questione essenziale è quindi se tale criterio sia legittimo in linea di principio, posto che la necessità del terzo criterio (eccezion fatta per il suo ammontare) non è stata contestata.

a) Esame alla luce dell'art. 65, n. 2, lett. a) e b)

Secondo la decisione impugnata (pag. 738, colonna destra, primo considerando), il criterio di cui trattasi

«si prefigge di delimitare l'ampiezza dell'attività di un commerciante all'ingrosso di prima mano; che gli Uffici di vendita possono esigere da un commerciante all'ingrosso di prima mano che il suo smercio comprenda una vasta gamma di categorie e pezzature; che all'uopo occorre che lo smercio di carbone del commerciante all'ingrosso raggiunga complessivamente un quantitativo determinato; che inoltre questo criterio è tale da stabilire una delimitazione tra i commercianti all'ingrosso di prima mano e i commercianti al minuto importanti, i quali svolgono una funzione diversa nella distribuzione.»

Vengono indicate due ragioni: 1) necessità per il grossista di prima mano di svolgere un'attività sufficientemente «ampia» e di trattare una «vasta gamma di categorie e pezzature» ; 2) necessità di distinguerlo dal dettagliante.

Sul primo punto, l'Alta Autorità ha lungamente insistito, sia nelle comparse, sia nelle risposte ai quesiti posti dalla Corte nella causa Nold, e gli Uffici di vendita, dal canto loro, vi hanno dedicato diffuse argomentazioni. Al requisito della gamma di categorie e di pezzature sono stati aggiunti quelli della capacità finanziaria, delle possibilità di immagazzinamento, di una vasta clientela, i quali tutti sarebbero indispensabili affinchè il grossista di prima mano sia in grado di svolgere il compito che gli spetta nella distribuzione. Inoltre, gli Uffici di vendita sostengono che una buona organizzazione commerciale implica che essi debbano rifornire direttamente soltanto un numero relativamente esiguo di commercianti, sotto pena di appesantire inutilmente il sistema di distribuzione.

Signori, confesso francamente di non essere rimasto persuaso da tutte queste argomentazioni, per quanto abilmente presentate e diffusamente svolte.

Mi rendo conto perfettamente della necessità in cui si trovano le imprese minerarie di affidare ad un organismo comune la cura dello smercio, per non essere costrette a costituire ed a mantenere in vita un apparato commerciale individuale: è senza dubbio necessario razionalizzare in questo campo e ciò giustifica il principio degli organismi per la vendita in comune, la cui esistenza è del resto tradizionale nella Ruhr e la cui legittimità non è inoltre contestata.

Comprendo anche che tale necessità sia stata considerata più importante degli svantaggi inerenti alla limitazione della concorrenza provocata da un'organizzazione del genere.

Capisco ancora, almeno in linea di principio, i requisiti imposti per l'acquisto diretto presso le miniere di determinati consumatori (gli acquirenti di grandi quantità, le vendite dette «locali», ecc…), benchè — non dimentichiamolo — essi sottraggano ai commercianti la maggior parte del carbone estratto nella Ruhr.

Comprendo infine la distinzione fra grossisti e dettaglianti, la quale è nella natura delle cose.

Ma non riesco ad afferrare la necessità di operare, tra i grossisti, una specie di sotto-distinzione fra i grossisti detti «di prima mano» e quelli detti «di seconda mano» : una distinzione del genere, infatti, è priva di senso: la stessa Alta Autorità (nella risposta al quinto quesito posto dalla Corte) afferma che

«nel commercio all'ingrosso — cioè commercio all'ingrosso di prima e di seconda mano — non vi è alcuna delimitazione per quanto concerne la clientela.»

Stando così le cose — e l'Alta Autorità lo riconosce — la distinzione ha soltanto lo scopo di limitare il numero dei grossisti ammessi ad acquistare direttamente presso gli Uffici di vendita.

Ora i motivi invocati a sostegno di una siffatta limitazione (necessità di un'ampia gamma di categorie e pezzature, capacità finanziaria, ecc.) consistono in criteri i quali sono gli stessi che valgono normalmente a distinguere i grossisti dai dettaglianti: per sincerarsene è sufficiente rileggere l'art. 6, n. 3, della decisione impugnata, la validità del quale non è stata contestata nè dagli Uffici di vendita, nè da Nold e che del resto figurava già nelle decisioni precedenti :

«Il commerciante — dice la disposizione in parola — (si tratta del commerciante che chiede di essere ammesso al rifornimento diretto) deve soddisfare le condizioni abitualmente richieste per un commerciante all'ingrosso (ad esempio: solvibilità, cauzione sufficiente, uffici posti nella zona di vendita, possibilità di stoccaggio, conoscenza del mercato e dei prodotti, larga clientela, vasta gamma di categorie e pezzature vendute).»

Indi l'articolo precisa la portata del requisito dello stoccaggio, la quale pare corrisponda con molta esattezza alle limitate esigenze in materia di cui è stata fatta parola durante la discussione orale, dato che il carbone viene in linea di massima consegnato direttamente al consumatore o al dettagliante.

Che si vuole di più?

Stando così le cose, le esigenze della «razionalizzazione» sembra si riducano al vantaggio che gli Uffici di vendita traggono dal trattare col minor numero possibile di grossisti: è ben poca cosa di fronte alla limitazione che viene imposta, dal momento che gli Uffici di vendita sono stati creati proprio per togliere alle miniere il peso dell'organizzazione commerciale ed il loro compito specifico è quello di rifornire i grossisti.

Inoltre, il timore di veder aumentare esageratamente il numero dei grossisti di prima mano non sembra in realtà fondato, dato che la recente esperienza ha mostrato che, dopo la riduzione dei criteri, solo una parte dei grossisti che possedevano i nuovi requisiti ma non i vecchi ha chiesto di essere ammessa fra i grossisti di prima mano. Ciò dimostrerebbe, secondo l'Alta Autorità, che il limite di 20 mila tonnellate è equo e corrisponde il più esattamente possibile alla distinzione fra grossisti di prima e grossisti di seconda mano. Ma perchè fissare d'imperio un limite che, come abbiamo visto, non risponde ad un'esigenza del commercio? Il fenomeno osservato dall'Alta Autorità sta a dimostrare che la libertà è senza dubbio il miglior fattore d'ordine in questo campo dato che, se è vero che gli Uffici di vendita hanno il diritto di pretendere che commercianti da essi riforniti direttamente possiedano i requisiti abituali di un grossista (ed abbiamo visto che su questo punto la loro richiesta è stata accolta), è vero anche che nessun grossista è obbligato a chiedere l'iscrizione. Ci si può limitare a soddisfare il fabbisogno dei propri clienti, ricevendo in cambio dal grossista di prima mano una parte della sua commissione, come ci è stato spiegato.

Per quanto concerne la pretesa necessità di fissare un limite corrispondente al quantitativo massimo che può essere raggiunto dai dettaglianti, la trovo ancora meno comprensibile, posto che, indipendentemente dal suo giro d'affari o dalle quantità vendute annualmente, il dettagliante non avrà mai diritto al rifornimento diretto.

Ricordo, infine, che prima dell'instaurazione del Mercato comune ci si accontentava (ad eccezione della Germania meridionale, dove vigeva un regime speciale) del requisito della vendita di 6 mila tonnellate di carbone della Ruhr, mentre oggi si esige lo smercio di 6 mila tonnellate di carbone dell'Ufficio di vendila nella zona di vendita.

Riassumendo, non mi pare dimostrato che la fissazione di un limite inferiore relativo alla quantità di carbone della Comunità smerciato annualmente nella zona di vendita, il quale andrebbe ad aggiungersi ai requisiti abitualmente pretesi da un grossista,. sia atta a «migliorare notevolmente» la distribuzione. Già su questo punto la decisione impugnata non mi sembra giuridicamente giustificata.

b) Esame sotto il profilo dell'art. 65, n. 2, lett. c)

Ma altrettanto poco fondata essa mi sembra sotto altri due aspetti, di diversa rilevanza.

1.

Il primo riguarda la menomazione che il criterio può rappresentare per l'indipendenza degli Uffici di vendita, per la «politica indipendente» che essi avrebbero dovuto seguire, come ho già ricordato trattando del primo criterio, Infatti, anche se detto primo criterio (le 60.000 tonnellate) è stato soppresso, il primo è stato ridotto da 9.000 a 6.000 tonnellate, cosicchè il secondo, di cui stiamo trattando, per quanto ridotto anch'esso (da 30 mila a 20 mila tonnellate) è ancora pari a un pò più del triplo del terzo. In altre parole, se il commerciante dipendesse solo dal carbone proveniente dalle miniere rappresentate dagli Uffici di vendita, in pratica dovrebbe iscriversi presso tutti tre per poter raggiungere il limite (tre per sei = diciotto ed occorrono 20 mila tonnellate). È vero che in realtà la situazione non è sempre questa, giacchè fra le 20 mila tonnellate possono essere compresi prodotti diversi dal carbone, in ispecie la lignite ed il coke da gas; la tabella prodotta dall'Alta Autorità come allegato II alla risposta ad uno dei quesiti mostra che una parte considerevole dei commercianti ultimamente ammessi alla prima mano hanno chiesto di iscriversi presso un solo Ufficio di vendita, nonostante avessero venduto quantità spesso molto inferiori alle 20 mila tonnellate di carbone di detto Ufficio di vendita: essi raggiungevano ciononostante il limite delle 20 mila tonnellate in virtù della lignite o del coke da gas.

Tuttavia, benché meno restrittivo del criterio precedente, il requisito delle 20 mila tonnellate presenta ancora, anche se in minor misura, l'inconveniente rilevato, come del resto l'Alta Autorità riconosce (controreplica nella causa Nold, n. 25) : è certo che un determinato numero di commercianti sarà ancora costretto a smerciare carbone di due o anche di tre Uffici di vendita onde potersi iscrivere presso uno di essi. Inoltre, non si capisce come il fatto di vendere della lignite o del coke da gas, cioè dei prodotti che non sono trattati dagli Uffici di vendita, possa contribuire al miglioramento della distribuzione dei prodotti degli Uffici stessi.

L'argomento ha perciò senza dubbio rilevanza, dal momento che, nel sistema originariamente approvato dall'Alta Autorità (decisioni 5, 6 e 7-56) il quale è pur sempre il sistema della decisione impugnata, l'indipendenza degli Uffici di vendita costituiva una delle condizioni essenziali per l'approvazione della vendita in comune. Quindi, qualunque restrizione che violi tale condizione è radicalmente illegittima; è questo lo stesso motivo che ho ritenuto atto a giustificare la soppressione del criterio delle 60 mila tonnellate.

2.

Cionondimeno si deve ammettere che, di fatto, queste considerazioni sono ormai quasi prive di importanza, dato che è altrettanto certo oggi che la «politica delle vendite indipendente» degli Uffici di vendita non è mai esistita — come l'Alta Autorità ha formalmente dichiarato nella motivazione della decisione 17-59 — ed è molto dubbio che l'ammissione di qualche nuovo grossista di prima mano possa improvvisamente darle vita.

Per questo ritengo opportuno prendere in considerazione un altro aspetto il quale concerne invece direttamente il nocciolo della questione. Esso è espressamente trattato nella causa Nold (ricorso, n. 3, c) sotto il profilo del difetto di motivazione, e lett. ƒ, in fine, sotto il profilo della violazione del Trattato). Nella replica, al n. 9, viene ampiamente esposto. Si tratta di stabilire se la decisione impugnata si giustifichi alla luce della lett. c dell'art. 65, n. 2, problema questo, come abbiamo visto, d'importanza fondamentale ai fini del corretto esercizio del potere di autorizzazione. L'intesa, anche se soddisfa le condizioni poste dalle lett. a) e b), non deve essere tale da attribuire alle imprese partecipanti una posizione di predominio che consenta loro, in ispecie, di controllare o limitare la produzione o lo smercio dei prodotti di cui trattasi. Tale esigenza è del resto stata riconosciuta dall'Alta Autorità nella decisione impugnata (pag. 739, Ia colonna, in alto).

Ora, l'esistenza di una disciplina commerciale adeguata costituisce la necessaria contropartita dell'approvazione del cartello di vendita dei produttori. Il mio collega Roemer, nelle sue conclusioni nella causa Nold 18-57, lo ha posto in evidenza nei seguenti termini :

«Tuttavia, ammettendo che la vendita in comune del carbone della Ruhr attraverso tre Uffici di vendita sia legittima — non ho nessun motivo per indagare più a fondo il problema nel corso della presente causa — rimane l'imprescindibile esigenza che la vendita sia disciplinata in modo da escludere ogni arbitrio da parte degli Uffici di vendita stessi. In altre parole, con l'introduzione della disciplina commerciale non s'intendeva affatto consentire la continuazione degli usi invalsi in fatto di vendita di carbone, bensì colmare una lacuna dato che, senza un simile ordinamento, gli Uffici di vendita si sarebbero trovati liberi di predisporre e di mutare a loro piacimento le condizioni di vendita.»

A tal fine è assolutamente necessario che il commercio del carbone sia nelle mani di operatori indipendenti dagli Uffici di vendita, almeno per la maggior parte: altrimenti i produttori i quali, per il fatto stesso dell'esistenza del cartello di vendita, sono in grado di organizzare la produzione e di influire sui prezzi (se non di «fissarli», il che è vietato) controllerebbero pure lo smercio per mezzo dei commercianti, ad essi legati.

L'Alta Autorità si rende perfettamente conto di questo pericolo. Ad esempio, al numero 26 della comparsa di risposta nelle cause degli Uffici di vendita, è dato leggere il seguente brano, particolarmente significativo :

«I ricorrenti ritengono sia necessario proteggere le grandi imprese commerciali — le quali occupano già una forte posizione sul mercato del carbone in conseguenza del loro rilevante giro d'affari e della loro potenza finanziaria — contro i grossisti di medie dimensioni, escludendo questi ultimi dal rifornimento diretto. Se si tiene conto che le grandi imprese commerciali sono, per la maggior parte, legate alle miniere, diventa evidente che si tende a favorire le società minerarie. Le imprese minerarie del bacino della Ruhr, raggruppate nei tre Uffici di vendita, vorrebbero concentrare le vendite effettuate tramite i commercianti nelle grandi società commerciali ad esse legate ed in tal modo aumentare senza limiti la loro influenza, senza dubbio già notevole, sul mercato, anche al primo stadio della distribuzione ( 2 ).»

Stando così le cose, il problema è di stabilire cosa di debba pensare dell'affermazione contenuta nel considerando della decisione impugnata al quale ho fatto cenno testé (pag. 738, in fine, e 739) :

«… che, stante il numero dei commercianti all'ingrosso ammessi all'approvvigionamento diretto, la possibilità di controllare e di limitare lo smercio per una parte importante dei combustibili non è data alle società minerarie e neppure a taluni commercianti all'ingrosso.»

Innanzitutto, vi si tratta soltanto del numero di grossisti, ma ciò non basta, giacchè è molto più importante il numero dei grossisti indipendenti. Oltracciò, il numero non è sufficiente: ancora più importante è il rapporto fra le quantità vendute tramite i grossisti indipendenti e quelle vendute attraverso i grossisti legati alle miniere: su questi due punti capitali la decisione tace. Essa è quindi inficiata da un'evidente insufficienza di motivazione sotto l'aspetto dell'art. 65, n. 2, c).

Ritengo poi, sempre allo stesso proposito, che non si tratti di un semplice difetto di motivazione formale, bensì che, in base alle osservazioni della stessa Alta Autorità ed ai documenti raccolti dalla Corte, la decisione impugnata debba considerarsi in contrasto con l'art. 65.

I principali elementi di cui dispongo sono i seguenti; essi riguardano la situazione successiva all'applicazione della decisione impugnata e tengono conto della rettifica effettuata in seguito alla scoperta da parte dell'Alta Autorità — che lo ha ammesso apertamente — di un errore nella classificazione di un cospicuo commerciante non tedesco :

1o

Per quanto concerne il numero degli indipendenti, esso è, secondo l'Alta Autorità, di 205 contro 181 grossisti legati alle miniere, vale a dire che i primi prevalgono con la percentuale del 53 %. All'udienza le cifre sono state leggermente modificate: 204 indipendenti, contro 175 legati alle miniere, i totali non corrispondono. Osservo che si tratta, per necessità di cose, di dati approssimativi; tuttavia nella comparsa di risposta nelle cause degli Uffici di vendita (n. 14), l'Alta Autorità ha dichiarato :

«sono state comprese nel computo solo le imprese per le quali i legami con le miniere sono provati in modo irrefutabile.»

2o

Per quanto riguarda le quantità rispettivamente vendute da ciascuna delle due categorie, la percentuale di consegne ai grossisti indipendenti è del 43 %, contro un 57 % di consegne ai non indipendenti. (Quando vigevano le decisioni precedenti, le percentuali erano rispettivamente il 39 % ed il 61 %). All'udienza, il patrono dell'Alta Autorità è giunto ad affermare :

«due terzi delle vendite si svolgono attraverso imprese commerciali legate alle miniere.»

3o

I commercianti non tedeschi indipendenti vendono 375.000 tonnellate di carbone della Ruhr, mentre i grossisti non tedeschi legati alle miniere vendono circa 1.160.000 tonnellate.

Signori, come si suol dire, queste cifre parlano da sole. Esse mostrano non solo che la maggior parte delle vendite viene effettuata attraverso i grossisti legati alle miniere, ma anche che questi sono,, in media, più «grossi» degli indipendenti. Ne risulta pure che, per quanto concerne i commercianti non tedeschi, il rifornimento diretto presso gli Uffici di vendita, già di limitata entità, è per oltre tre quarti di spettanza dei grossisti legati alle miniere, uno dei quali è inoltre di dimensioni particolarmente rilevanti, dato che smercia da solo 1.102.800 tonnellate!

Oltracciò, se si tien conto del fatto che, come ho già ricordato, la parte di produzione della Ruhr venduta attraverso i commercianti è molto minore di quella ad essi sottratta — anche a prescindere dalla circostanza che l'industria mineraria è in gran parte controllata dalla siderurgia, e che inoltre fra le stesse imprese minerarie esistono legami di grande momento — appare chiaro che, contrariamente a quanto affermato nella decisione impugnata, le imprese minerarie sono in grado di controllare e di limitare lo smercio di una parte rilevante dei combustibili di loro produzione: ne consegue che la decisione viola l'art. 65, n. 2, c. Lo stesso si dica per quanto concerne l'articolo 2 b del Trattato, il quale prescrive alle istituzioni della Comunità di garantire a tutti i consumatori del mercato comune posti in situazioni comparabili un uguale accesso alle fonti della produzione.

È vero che l'Alta Autorità sostiene di non avere il potere di imporre alle imprese delle modifiche di struttura. Ciò è del tutto esatto e d'altro lato la Corte, nella sentenza 2-56 [Raccolta, vol. III, pag. 43) ha affermato che :

«l'Alta Autorità non era comunque tenuta ad apportare alla convenzione sottopostale delle modifiche che ne rendessero possibile l'approvazione.»

L'Alta Autorità ha però il diritto di subordinare il propria benestare a determinate condizioni (art. 65, n. 2, 3o comma) ; essa se ne è del resto valsa frequentemente. Ove risulti che l'indipendenza dei commercianti è condizione indispensabile di qualsivoglia autorizzazione, è suo compito l'esigerla, salvo stabilire le modalità secondo le quali tale condizione dev'essere soddisfatta, tenuto conto dello scopo di essa che è di impedire all'intesa autorizzata di collocarsi, con la complicità di commercianti strettamente legati ai produttori, in posizione tale da poter controllare le vendite. Se gli interessati accettano tali condizioni, è loro dovere imporle ai loro clienti, ed in tal caso la situazione è abbastanza simile a quella contemplata nell'art. 63. Se viceversa essi non le accettano, l'Alta Autorità non ha altra alternativa che il rifiutare l'autorizzazione.

Soggiungo, per finire, che la ragione per la quale ho ritenuto di dover insistere tanto sull'indipendenza dei commercianti è che essa mi pare una delle condizioni fondamentali di qualsiasi autorizzazione, soprattutto nel caso in cui (cosa di cui non devo occuparmi oggi), in conseguenza della crisi, venisse autorizzato un cartello unico: l'indipendenza dei commercianti è essenziale tanto in una situazione di crisi, quanto in una situazione di penuria.

C — TERZO CRITERIO: SMERCIO DI UN MINIMO DI 6.000 TONNELLATE DI CARBONE DELL'UFFICIO DI VENDITA

Su questo punto vi è poco da dire. Il principio di questo requisito non è stato contestato. Quanto al suo livello, esso pare equo, dato che il requisito delle 6.000 tonnellate era imposto in passato, prima dell'instaurazione del Mercato comune.

Nold afferma che esso dovrebbe essere abbassato a 4 o 5.000 tonnellate, in considerazione dell'attuale crisi e delle difficoltà che si frappongono alla vendita del carbone, ma questo argomentò non ha importanza decisiva, giacchè la soppressione degli altri due criteri può legittimare, entro determinati limiti, un aumento del minimo destinato a migliorare la distribuzione e ciò può forse giustificare, in ultima analisi, il mantenimento del livello attuale. Ci troviamo qui di fronte ad una valutazione discrezionale sottratta per sua natura al sindacato della Corte.

Cionondimeno, se Voi adotterete il mio punto di vista sulle altre questioni ed in ispecie sulla necessità di esigere in primo luogo l'indipendenza dei commercianti, è possibile che il problema muti di aspetto. Infatti se, come ritengo, l'effettiva indipendenza dei commercianti costituisce la conditio sine qua non di qualsiasi autorizzazione, sarà forse possibile — una volta soddisfatta questa condizione — spingersi più innanzi con le misure di razionalizzazione destinate a migliorare la distribuzione. Supponendo, ad esempio, che tutti i grossisti ammessi direttamente presso gli Uffici di vendita siano interamente sciolti da qualunque legame con le società minerarie (ipotesi estrema, senza dubbio), la riduzione del numero di essi — naturalmente entro limiti ragionevoli e tenendo conto dell'art. 65, n. 2, lett. a e b — implicherebbe solo dei vantaggi.

Per questo motivo ritengo sia opportuno annullare la decisione anche su questo punto.

V — CONCLUSIONI FINALI

Nel concludere, mi trovo alquanto imbarazzato. Infatti, dato che la Corte non ha ordinato la riunione delle cause e che è poco probabile che essa intenda pronunziare una sola sentenza, tutto dipende dall'ordine nel quale verranno pronunziate le due sentenze.

Devo tuttavia presumere che esse verranno rese pubbliche in base all'ordine di presentazione dei ricorsi, vale a dire prima quella riguardante gli Uffici di vendita. In tal caso i ricorsi di questi ultimi devono essere respinti, giacchè i mezzi e gli argomenti sui quali mi sono basato nel chiedervi l'annullamento sono diametralmente opposti a quelli dedotti dagli Uffici di vendita e, oltre a non essere stati da essi proposti, non potrebbero essere fatti valere d'ufficio. Va soltanto osservato, ma tale osservazione non può in alcun modo influire sul dispositivo della sentenza, che l'annullamento pronunziato nella successiva sentenza Nold potrebbe eventualmente giovare agli Uffici di vendita su questo punto, cioè nel caso che, col rispetto delle condizioni che ho ritenuto indispensabili, il limite inferiore di 6.000 tonnellate, giustificato in linea di principio, venisse elevato.

Concludo perciò :

1o

nelle cause 36, 37 e 38-59 promosse dagli Uffici di vendita e dalle società in essi raggruppate :

che i ricorsi siano respinti,

e che le spese siano poste a carico dei ricorrenti ;

2o

nella causa 40-59 intentata dalla Ditta Nold :

che l'art. 6, nn. 1 e 2, della decisione 17-59, modificata dalla decisione impugnanta, venga annullato,

e che le spese vengano poste a carico dell'Alta Autorità.


( 1 ) Journal officici de la République française, édition des documents administratifs, 1960, p. 9.

( 2 ) Le parole in corsivo sono dell'originale.

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