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Document 52018DC0370

    RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO RELAZIONE SULLA CONVERGENZA 2018 (elaborata a norma dell’articolo 140, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea)

    COM/2018/370 final

    Bruxelles, 23.5.2018

    COM(2018) 370 final

    RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO

    RELAZIONE SULLA CONVERGENZA 2018

    (elaborata a norma dell’articolo 140, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea)

    {SWD(2018) 350 final}


    1.SCOPO DELLA RELAZIONE

    L’euro è destinato ad essere la moneta unica dell’Unione europea nel suo complesso. Oggi è usato tutti i giorni da circa 342 milioni di persone in 19 Stati membri (“zona euro”). L’euro è diventato la seconda moneta più usata al mondo. Altri 60 paesi e territori in tutto il mondo, in cui vivono 175 milioni di persone, hanno scelto l’euro come propria moneta o hanno deciso di ancorarvi la moneta nazionale.

    L’articolo 140, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in appresso TFUE) dispone che almeno una volta ogni due anni o a richiesta di uno Stato membro con deroga 1 , la Commissione e la Banca centrale europea (BCE) riferiscano al Consiglio sui progressi compiuti dagli Stati membri nell’adempimento degli obblighi relativi alla realizzazione dell’Unione economica e monetaria. Le ultime relazioni sulla convergenza della Commissione e della BCE sono state adottate nel giugno 2016.

    La relazione sulla convergenza 2018 riguarda i seguenti sette Stati membri con deroga: Bulgaria, Repubblica ceca, Croazia, Ungheria, Polonia, Romania e Svezia 2 . Una valutazione più dettagliata dello stato della convergenza nei predetti paesi è contenuta nell’allegato tecnico della presente relazione.

    Il contenuto delle relazioni predisposte dalla Commissione e dalla BCE è disciplinato dall’articolo 140, paragrafo 1, TFUE. Ai sensi di tale articolo, le relazioni esaminano tra l’altro se la legislazione nazionale, incluso lo statuto della banca centrale, sia compatibile con gli articoli 130 e 131 TFUE e con lo statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea (di seguito, Statuto del SEBC e della BCE). Le relazioni devono inoltre esaminare se è stato raggiunto un alto grado di convergenza sostenibile nello Stato membro interessato sulla base dei criteri di convergenza (stabilità dei prezzi, situazione della finanza pubblica, stabilità del tasso di cambio, tassi di interesse a lungo termine) e tenendo conto di altri fattori menzionati all’articolo 140, paragrafo 1, ultimo comma, TFUE. I quattro criteri di convergenza sono precisati in un protocollo allegato ai trattati (protocollo n. 13 sui criteri di convergenza).

    La crisi finanziaria ed economica, unitamente alla crisi del debito sovrano nella zona euro, ha messo in luce l’esistenza di lacune nel sistema di governance economica dell’Unione economica e monetaria (UEM), evidenziando la necessità di un ricorso più ampio ai suoi strumenti. È stato intrapreso un generale rafforzamento della governance economica nell’Unione, con l’obiettivo di garantire un funzionamento sostenibile dell’UEM. La valutazione della convergenza è pertanto allineata con il più ampio approccio del semestre europeo, che esamina in modo integrato le sfide di politica economica cui l’UEM deve far fronte nell’assicurare la sostenibilità dei conti pubblici, la competitività, la stabilità dei mercati finanziari e la crescita economica. Le principali novità introdotte con la riforma della governance, per rafforzare la valutazione del processo di convergenza di ciascuno Stato membro e della sua sostenibilità, riguardano tra l’altro la procedura per i disavanzi eccessivi, rafforzata dalla riforma del patto di stabilità e crescita del 2011, e i nuovi strumenti nel quadro della sorveglianza degli squilibri macroeconomici. La presente relazione tiene conto, in particolare, dei risultati della procedura per gli squilibri macroeconomici 3 .

    Tali crisi hanno anche rivelato l’esistenza di legami inopportuni tra i settori bancari nazionali e i relativi emittenti sovrani, innescando una potente forza di frammentazione nei mercati finanziari. L’Unione bancaria è stata creata per rompere questi legami e invertire la frammentazione, nonché per garantire una migliore diversificazione del rischio tra gli Stati membri e un finanziamento adeguato dell’economia. Alcuni elementi chiave dell’Unione bancaria sono stati già definiti, ossia il codice unico, il meccanismo di vigilanza unico e il Fondo di risoluzione unico. Gli Stati membri che adottano l’euro parteciperanno anche all’Unione bancaria. La partecipazione è indipendente dalla valutazione dei criteri di convergenza intrapresa nella presente relazione.

    Quale parte del pacchetto per il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria europea presentato il 6 dicembre 2017, la Commissione europea ha proposto di istituire un filone di attività dedicato (nel quadro delle proprie attività di assistenza tecnica) finalizzato a fornire sostegno mirato agli Stati membri nel processo di adozione dell’euro 4 . La proposta è stata accolta nella modifica del regolamento che istituisce il programma di sostegno alle riforme strutturali 5 . La Commissione ha inoltre annunciato che per il periodo successivo al 2020 proporrà uno specifico strumento di convergenza per sostenere gli Stati membri nella preparazione concreta a un’ordinata partecipazione alla zona euro, indipendentemente dall’iter ufficiale di adozione dell’euro, attuato mediante le relazioni sulla convergenza.

    Criteri di convergenza

    L’esame della compatibilità della legislazione nazionale, incluso lo statuto della banca centrale, con l’articolo 130 TFUE e con l’obbligo di adempimento di cui all’articolo 131 TFUE include una valutazione del rispetto del divieto di finanziamento monetario (articolo 123 TFUE) e di accesso privilegiato (articolo 124 TFUE), della coerenza con gli obiettivi (articolo 127, paragrafo 1, TFUE) e i compiti (articolo 127, paragrafo 2, TFUE) del SEBC e di altri aspetti connessi all’integrazione della banca centrale nazionale nel SEBC.

    Il criterio relativo alla stabilità dei prezzi è definito all’articolo 140, paragrafo 1, primo trattino, TFUE: “il raggiungimento di un alto grado di stabilità dei prezzi […] risulterà da un tasso d’inflazione prossimo a quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi”.

    L’articolo 1 del protocollo sui criteri di convergenza stabilisce inoltre che “il criterio relativo alla stabilità dei prezzi […] significa che gli Stati membri hanno un andamento dei prezzi che è sostenibile ed un tasso medio d’inflazione che, osservato per un periodo di un anno anteriormente all’esame, non supera di oltre 1,5 punti percentuali quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi. L’inflazione si misura mediante l’indice dei prezzi al consumo (IPC) calcolato su base comparabile, tenendo conto delle differenze delle definizioni nazionali” 6 . La condizione della sostenibilità implica che risultati soddisfacenti in materia di inflazione debbano essere essenzialmente attribuibili all’andamento dei costi dei fattori di produzione e degli altri fattori che incidono sull’evoluzione dei prezzi in modo strutturale, anziché all’influenza di fattori temporanei. L’esame della convergenza include pertanto una valutazione dei fattori che influiscono sulle prospettive di inflazione ed è accompagnato da un riferimento alle più recenti previsioni sull’inflazione formulate dai servizi della Commissione 7 . A questo proposito, la relazione valuta altresì la probabilità che il paese raggiunga il valore di riferimento nei mesi successivi.

    Nel mese di marzo 2018 8 il valore di riferimento per l’inflazione era, secondo i calcoli, pari all’1,9% e i tre “Stati membri che hanno conseguito i migliori risultati” erano Cipro, l’Irlanda e la Finlandia 9 .

    Il criterio di convergenza relativo alle finanze pubbliche è definito all’articolo 140, paragrafo 1, secondo trattino, TFUE in questi termini “la sostenibilità della situazione della finanza pubblica; questa risulterà dal conseguimento di una situazione di bilancio pubblico non caratterizzata da un disavanzo eccessivo secondo la definizione di cui all’articolo 126, paragrafo 6”. Inoltre, secondo l’articolo 2 del protocollo sui criteri di convergenza, tale criterio significa che “al momento dell’esame, lo Stato membro non è oggetto di una decisione del Consiglio di cui all’articolo 126, paragrafo 6, di detto trattato, circa l’esistenza di un disavanzo eccessivo”. Nel quadro del generale rafforzamento della governance economica nell’UEM, la normativa secondaria in materia di finanze pubbliche è stata migliorata nel 2011, tra l’altro con l’introduzione di nuovi regolamenti che hanno modificato il patto di stabilità e crescita 10 .

    Il TFUE definisce il criterio relativo al tasso di cambio all’articolo 140, paragrafo 1, terzo trattino, come “il rispetto dei margini normali di fluttuazione previsti dal meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo per almeno due anni, senza svalutazioni nei confronti dell’euro”.

    L’articolo 3 del protocollo sui criteri di convergenza precisa: “Il criterio relativo alla partecipazione al meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo […] significa che lo Stato membro ha rispettato i normali margini di fluttuazione stabiliti dal meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo senza gravi tensioni per almeno due anni prima dell’esame. In particolare, e, per lo stesso periodo, non deve aver svalutato di propria iniziativa il tasso di cambio centrale bilaterale della sua moneta nei confronti dell’euro” 11 .

    Il periodo di due anni al quale la presente relazione fa riferimento per la valutazione della stabilità del tasso di cambio è quello compreso fra il 24 aprile 2016 e il 23 aprile 2018. Nell’analisi del criterio relativo alla stabilità del tasso di cambio, la Commissione tiene conto dell’andamento di indicatori ausiliari, quali le riserve valutarie e i tassi di interesse a breve termine, e del ruolo delle misure ufficiali, compresi gli interventi sui mercati valutari e, se del caso, l’assistenza finanziaria internazionale, nel mantenimento della stabilità del tasso di cambio. Attualmente nessuno degli Stati membri oggetto della valutazione della presente relazione sulla convergenza partecipa all’ERM II. L’adesione all’ERM II è decisa su richiesta di uno Stato membro con il consenso di tutti i partecipanti all’ERM II 12 .

    L’articolo 140, paragrafo 1, quarto trattino, TFUE prevede che i livelli dei tassi di interesse a lungo termine […] riflettano la stabilità della convergenza raggiunta dallo Stato membro con deroga e della sua partecipazione al meccanismo di cambio”. L’articolo 4 del protocollo sui criteri di convergenza stabilisce che “il criterio relativo alla convergenza dei tassi d’interesse […] significa che il tasso d’interesse nominale a lungo termine di uno Stato membro osservato in media nell’arco di un anno prima dell’esame non ha ecceduto di oltre 2 punti percentuali quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi. I tassi di interesse si misurano sulla base delle obbligazioni a lungo termine emesse dallo Stato o sulla base di titoli analoghi, tenendo conto delle differenze nelle definizioni nazionali”.

    Il valore di riferimento per il tasso di interesse è stato fissato al 3,2% nel marzo 2018 13 .

    L’articolo 140, paragrafo 1, TFUE richiede anche l’esame di altri fattori pertinenti per l’integrazione economica e la convergenza. Fra tali fattori aggiuntivi rientrano l’integrazione dei mercati, l’andamento delle partite correnti della bilancia dei pagamenti e l’evoluzione del costo unitario del lavoro e di altri indici di prezzo. Questi ultimi sono esaminati nella valutazione della stabilità dei prezzi. I fattori aggiuntivi forniscono indicazioni importanti circa la possibilità che l’integrazione di uno Stato membro nella zona euro proceda senza difficoltà e consentono di ampliare l’analisi relativa alla sostenibilità della convergenza.

    2.BULGARIA

    Alla luce della valutazione della compatibilità della legislazione e del soddisfacimento dei criteri di convergenza, e tenendo conto dei fattori aggiuntivi pertinenti, la Commissione conclude che la Bulgaria non soddisfa le condizioni per l’adozione dell’euro.

    La legislazione bulgara, in particolare la legge sulla banca nazionale di Bulgaria, non è pienamente compatibile con l’obbligo di conformità di cui all’articolo 131 TFUE. Le incompatibilità e le imperfezioni riguardano l’indipendenza della banca centrale, il divieto di finanziamento monetario e l’integrazione della banca centrale nel SEBC al momento dell’adozione dell’euro per quanto attiene ai compiti indicati all’articolo 127, paragrafo 2, TFUE e all’articolo 3 dello statuto del SEBC e della BCE.

    La Bulgaria soddisfa il criterio relativo alla stabilità dei prezzi. Il tasso medio di inflazione registrato in Bulgaria nei 12 mesi fino al marzo 2018 è pari all’1,4%, inferiore al valore di riferimento dell’1,9%, e si prevede che rimanga a tale livello nei prossimi mesi.

    Il tasso annuale di inflazione IPCA è stato negativo tra la metà del 2013 e l’inizio del 2017, a causa della combinazione di vari fattori: il calo dei prezzi delle materie prime importate, la debolezza della domanda interna e le riduzioni dei prezzi amministrati. Nel 2016 è sceso dal -0,4% di gennaio a circa il -2,5% della metà del 2016, quando ha iniziato a salire. A dicembre 2016 il tasso è arrivato al -0,5%, continuando a salire fino ad aprile 2017 e attestandosi all’1,7%. Nel periodo maggio-luglio 2017 l’inflazione è tornata temporaneamente a scendere, tornando però poco dopo a salire e arrivando all’1,9% a novembre 2017. La ripresa dell’inflazione annuale nel 2017 riflette i maggiori contributi provenienti dai prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari. L’inflazione è tornata a scendere all’inizio del 2018, per tornare poi all’1,9% nel mese di marzo dello stesso anno.

    Secondo le previsioni l’inflazione continuerà a salire per effetto di fattori interni, come ad esempio il sostegno alla domanda privata alimentato dal previsto aumento dei redditi disponibili delle famiglie, e di forze esterne, come l’atteso rincaro dei prezzi mondiali del petrolio e le relative ricadute sui prezzi dell’energia. Di conseguenza, secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, l’inflazione IPCA dovrebbe attestarsi in media all’1,8% nel 2018 e nel 2019. Il livello dei prezzi relativamente basso in Bulgaria (il 47% circa della media della zona euro nel 2016) lascia prevedere una significativa possibilità di convergenza del livello dei prezzi a lungo termine.

    La Bulgaria soddisfa il criterio relativo alla situazione della finanza pubblica. Inoltre, sulla base della valutazione del programma di convergenza 2018, la Bulgaria dovrebbe conformarsi al patto di stabilità e crescita nel 2018 e 2019. La Bulgaria non è oggetto di una decisione del Consiglio sull’esistenza di un disavanzo eccessivo. Il saldo del bilancio pubblico nel 2016 e 2017 è stato pari, rispettivamente, allo 0,2% e allo 0,9% del PIL. Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, resterà positivo attestandosi allo 0,6% del PIL sia nel 2018 che nel 2019, nell’ipotesi di politiche invariate. Il rapporto debito pubblico lordo/PIL è diminuito al 25,4% del PIL nel 2017 e dovrebbe scendere ulteriormente al 23,3% del PIL nel 2018 e al 21,4% nel 2019. Il quadro di bilancio della Bulgaria è stato recentemente rafforzato con successivi interventi legislativi che devono ora essere attuati.

    La Bulgaria non soddisfa il criterio relativo al tasso di cambio. Il lev bulgaro non partecipa all’ERM II. La banca nazionale di Bulgaria persegue l’obiettivo principale della stabilità dei prezzi mediante l’ancoraggio del tasso di cambio nel contesto del regime di currency board. La Bulgaria ha introdotto tale regime nel 1997, ancorando il lev bulgaro al marco tedesco e in seguito all’euro. Altri indicatori, quali l’evoluzione delle riserve valutarie e dei tassi di interesse a breve termine, segnalano che la percezione del rischio della Bulgaria da parte degli investitori è rimasta favorevole. Le consistenti riserve ufficiali continuano a rafforzare la tenuta del regime di currency board. Nel biennio al quale si riferisce la valutazione il lev bulgaro è rimasto pienamente stabile rispetto all’euro, in linea con il regime di currency board.

    La Bulgaria soddisfa il criterio della convergenza dei tassi di interesse a lungo termine. Nei 12 mesi fino a marzo 2018 il tasso di interesse medio a lungo termine in Bulgaria era pari all’1,4%, ossia al di sotto del valore di riferimento del 3,2%. I tassi di interesse a lungo termine in Bulgaria sono diminuiti dal 2,4% di gennaio 2016 allo 0,9% di gennaio 2018. I differenziali di rendimento rispetto alle obbligazioni di riferimento tedesche sono saliti di circa 50 punti base nella prima metà del 2016, per arrivare a quota 250 punti base circa a luglio 2016. Da allora, tuttavia, hanno seguito una traiettoria discendente. Alla fine del 2017 il differenziale è arrivato a 72 punti base, continuando a scendere fino a meno di 40 punti base all’inizio del 2018.

    Sono stati esaminati anche fattori aggiuntivi, quali l’evoluzione della bilancia dei pagamenti e l’integrazione dei mercati. Il saldo esterno della Bulgaria ha registrato un avanzo consistente, attestatosi al 4,5% e 5,5% rispettivamente nel 2016 e 2017. L’economia bulgara è ben integrata con quella della zona euro, grazie all’esistenza di legami sul piano degli scambi commerciali e degli investimenti. Per quanto riguarda il contesto imprenditoriale, una selezione di indicatori mostra che la Bulgaria ottiene risultati meno buoni rispetto alla maggior parte degli Stati membri appartenenti alla zona euro. Le sfide principali dipendono anche dai problemi del quadro istituzionale, fra cui la corruzione e l’inefficienza delle amministrazioni. Il settore finanziario della Bulgaria è ben integrato in quello dell’UE, in particolare grazie all’elevata presenza di soggetti esteri nella proprietà del sistema bancario. Nel 2018, nel quadro della procedura per gli squilibri macroeconomici, la Bulgaria è stata oggetto di un esame approfondito, dal quale è emerso che il paese presenta squilibri macroeconomici (rivedendo quindi la precedente conclusione di eccessivi squilibri) connessi alle vulnerabilità del settore finanziario unitamente all’alto livello di indebitamento e ai prestiti in sofferenza nel settore delle imprese. Il persistere delle debolezze strutturali impedisce un rapido miglioramento del mercato del lavoro.

    3.REPUBBLICA CECA

    Alla luce della valutazione della compatibilità della legislazione e del soddisfacimento dei criteri di convergenza, e tenendo conto dei fattori aggiuntivi pertinenti, la Commissione conclude che la Repubblica ceca non soddisfa le condizioni per l’adozione dell’euro.

    La legislazione della Repubblica ceca, in particolare la legge n. 6/1993 Coll. del Consiglio nazionale ceco sulla banca nazionale ceca (legge ČNB), non è pienamente compatibile con l’obbligo di conformità di cui all’articolo 131 TFUE. Le incompatibilità riguardano l’indipendenza della banca centrale e l’integrazione della banca centrale nel SEBC al momento dell’adozione dell’euro per quanto attiene agli obiettivi della ČNB e ai compiti del SEBC indicati all’articolo 127, paragrafo 2, TFUE e all’articolo 3 dello statuto del SEBC e della BCE. La legge sulla ČNB contiene inoltre imperfezioni concernenti il divieto di finanziamento monetario e i compiti del SEBC.

    La Repubblica ceca non soddisfa il criterio relativo alla stabilità dei prezzi. Nel corso dei 12 mesi fino a marzo 2018 il tasso medio di inflazione nella Repubblica ceca è stato pari al 2,2%, ossia al di sopra del valore di riferimento dell’1,9%, e si prevede che scenderà sotto il valore di riferimento nei prossimi mesi.

    Il tasso annuale di inflazione IPCA è sceso dallo 0,5% di inizio 2016 al -0,1% di giugno 2016, prima di salire sopra il 2% alla fine del 2016. Nel corso del 2017 è oscillato tra il 2% e il 3%. Pertanto, secondo le previsioni, il tasso annuale di inflazione IPCA si è attestato in media allo 0,6% nel 2016 e al 2,4% nel 2017. La ripresa dell’inflazione annuale nel 2017 riflette i maggiori contributi provenienti dai prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari, nonché dai maggiori rincari nel settore dei servizi. L’inflazione annuale è diminuita all’inizio del 2018 e si è attestata all’1,6% a marzo 2018.

    Secondo le previsioni nel 2018 l’inflazione annua IPCA dovrebbe scendere, principalmente a causa del probabile calo del contributo all’inflazione proveniente dai prezzi dei prodotti alimentari (sia trasformati che non trasformati). Allo stesso tempo si prevede anche che i prezzi dell’energia e dei servizi forniranno un contributo all’inflazione maggiore rispetto agli anni passati. Per questo, secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, l’inflazione IPCA annua dovrebbe attestarsi in media al 2,1% nel 2018 e all’1,8% nel 2019. Il livello dei prezzi nella Repubblica ceca (64% circa della media della zona euro nel 2016) lascia prevedere una possibilità di ulteriore convergenza del livello dei prezzi a lungo termine.

    La Repubblica ceca soddisfa il criterio relativo alla situazione della finanza pubblica. Inoltre, sulla base della valutazione del programma di convergenza 2018, la Repubblica ceca dovrebbe conformarsi al patto di stabilità e crescita nel 2018 e 2019. La Repubblica ceca non è oggetto di una decisione del Consiglio sull’esistenza di un disavanzo eccessivo. Il saldo della pubblica amministrazione è migliorato in misura considerevole, passando dal -2,1% del PIL nel 2014 a un avanzo dell’1,6% nel 2017. Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, il saldo della pubblica amministrazione dovrebbe essere pari all’1,4% del PIL nel 2018 e allo 0,8% del PIL nel 2019, nell’ipotesi di politiche invariate. Il rapporto debito pubblico lordo/PIL è diminuito dal suo massimo del 44,9% del PIL, raggiunto nel 2013, a meno del 35% nel 2017, e dovrebbe scendere sotto il 32% del PIL nel 2019. Il quadro di bilancio della Repubblica ceca è stato rafforzato dall’adozione della legge sulla responsabilità di bilancio all’inizio del 2017, tuttavia la sua efficacia dipenderà dall’attuazione delle nuove norme.

    La Repubblica ceca non soddisfa il criterio relativo al tasso di cambio. La corona ceca non partecipa all’ERM II. La Repubblica ceca applica un regime di tassi di cambio flessibili, che consente alla banca centrale di intervenire sui mercati valutari. Tra novembre 2013 e aprile 2017 la ČNB ha usato il tasso di cambio come strumento aggiuntivo per l’allentamento delle condizioni monetarie, permettendo al tasso di cambio della corona con l’euro di oscillare liberamente solo dal lato più debole del livello 27 CZK/EUR. Nel corso del 2016 e all’inizio del 2017 la corona è stata scambiata solo di poco sopra i 27 CZK/EUR, poiché gli interventi sui mercati valutari della ČNB hanno precluso un ulteriore apprezzamento del tasso di cambio. Dopo la scadenza ad aprile 2017 dell’impegno della ČNB in materia di tasso di cambio, la corona ha registrato un trend di graduale apprezzamento, che l’ha portata a rafforzarsi nei confronti dell’euro passando dai più di 27 CZK/EUR di inizio aprile 2017 a meno di 25,5 CZK/EUR a inizio 2018. Nei due anni precedenti la presente valutazione, la corona si è apprezzata di più del 6% nei confronti dell’euro.

    La Repubblica ceca soddisfa il criterio della convergenza dei tassi di interesse a lungo termine. Nei dodici mesi fino a marzo 2018 il tasso di interesse medio a lungo termine nella Repubblica ceca è stato pari all’1,3%, ossia inferiore al valore di riferimento del 3,2%. Il tasso di interesse a lungo termine della Repubblica ceca è oscillato intorno allo 0,4% nel 2016, dopodiché è lentamente salito all’1,5% circa alla fine del 2017, quando la ČNB ha gradualmente inasprito la politica monetaria. All’inizio del 2018 il differenziale rispetto alle obbligazioni di riferimento tedesche oscillava intorno a 120 punti base. 

    Sono stati esaminati anche fattori aggiuntivi, quali l’evoluzione della bilancia dei pagamenti e l’integrazione dei mercati. Il saldo esterno della Repubblica ceca ha registrato un avanzo del 2,7% del PIL nel 2016 e del 2% del PIL nel 2017. L’economia ceca è fortemente integrata con quella della zona euro grazie all’esistenza di legami sul piano degli scambi commerciali e degli investimenti. Per quanto riguarda il contesto imprenditoriale, una selezione di indicatori mostra che i punteggi assegnati alla Repubblica ceca nelle classifiche internazionali sembrano essersi stabilizzati al di sotto della media della zona euro negli ultimi anni. Il settore finanziario ceco è fortemente integrato in quello dell’UE, in particolare grazie all’elevato grado di presenza di soggetti esteri nella proprietà degli intermediari finanziari.

    4.CROAZIA

    Alla luce della valutazione della compatibilità della legislazione e del soddisfacimento dei criteri di convergenza, e tenendo conto dei fattori aggiuntivi pertinenti, la Commissione conclude che la Croazia non soddisfa le condizioni per l’adozione dell’euro.

    La legislazione croata è pienamente compatibile con l’obbligo di conformità di cui all’articolo 131 TFUE.

    La Croazia soddisfa il criterio relativo alla stabilità dei prezzi. Il tasso medio di inflazione registrato in Croazia nei 12 mesi fino al marzo 2018 è pari all’1,3%, inferiore al valore di riferimento dell’1,9%, e si prevede che rimanga a tale livello nei prossimi mesi.

    L’inflazione IPCA annuale è rimasta negativa per la maggior parte del 2016 a causa del calo dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari non trasformati, attestandosi così sul valore medio del -0,6% per l’intero anno. I tassi annui d’inflazione sono tornati positivi alla fine del 2016, salendo poi fin sopra l’1% all’inizio del 2017 grazie ai maggiori contributi all’inflazione forniti da tutte le componenti principali. In seguito hanno oscillato intorno all’1,3% fino all’inizio del 2018. A marzo 2018 l’inflazione annua era all’1,2%.

    Secondo le previsioni della primavera 2018 dei servizi della Commissione, l’inflazione IPCA annua dovrebbe rimanere sostanzialmente stabile, in quanto la ripresa dei prezzi dell’energia compenserà probabilmente il minore contributo all’inflazione dei prodotti alimentari non trasformati. L’inflazione di fondo, stando alle previsioni, registrerà una lieve accelerazione nel 2019, in linea con il procedere dell’espansione economica. Pertanto, secondo le previsioni, l’inflazione IPCA annua dovrebbe essere in media pari all’1,4% nel 2018 e all’1,5% nel 2019. Il livello dei prezzi in Croazia (65% circa della media della zona euro nel 2016) lascia prevedere una possibilità di convergenza del livello dei prezzi a lungo termine.

    La Croazia soddisfa il criterio relativo alla situazione della finanza pubblica. Inoltre, sulla base della valutazione del programma di convergenza 2018, la Croazia dovrebbe conformarsi al patto di stabilità e crescita nel 2018 e 2019. La Croazia non è oggetto di una decisione del Consiglio sull’esistenza di un disavanzo eccessivo. Il saldo della pubblica amministrazione ha registrato un avanzo dello 0,8% del PIL nel 2017. Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, il saldo della pubblica amministrazione dovrebbe rimanere sostanzialmente stabile allo 0,7% del PIL nel 2018 e allo 0,8% del PIL nel 2019. Il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe scendere, secondo le previsioni, intorno al 70% del PIL entro il 2019. A seguito dei continui ritardi nell’adozione delle leggi di riforma programmate, il quadro di bilancio croato è rimasto relativamente debole sotto tutti i principali aspetti, soprattutto quanto alla definizione di regole numeriche, al potere vincolante dei piani a medio termine e all’istituzione del consiglio di bilancio nazionale.

    La Croazia non soddisfa il criterio relativo al tasso di cambio. La kuna croata non partecipa all’ERM II. L’HNB, la banca nazionale croata, applica un regime di tassi di cambio flessibili con fluttuazione rigidamente controllata e utilizza il tasso di cambio come principale fattore nominale per conseguire l’obiettivo prioritario della stabilità dei prezzi. Tra l’inizio del 2016 e l’inizio del 2018 la kuna ha registrato alcune spinte verso l’apprezzamento che hanno richiesto acquisti di valute straniere presso le banche da parte dell’HNB, allo scopo di stabilizzarne il tasso di cambio con l’euro. Il tasso di cambio della kuna con l’euro ha continuato a mostrare uno schema stagionale di apprezzamento temporaneo in primavera grazie all’afflusso di valuta straniera generato dal settore del turismo. Nei due anni precedenti alla presente valutazione la kuna si è rivalutata di quasi il 2% rispetto all’euro.

    La Croazia soddisfa il criterio relativo alla convergenza dei tassi d’interesse a lungo termine. Nei 12 mesi fino a marzo 2018 il tasso di interesse medio a lungo termine in Croazia era pari al 2,6%, ossia al di sotto del valore di riferimento del 3,2%. Il tasso di interesse a lungo termine della Croazia è rimasto sostanzialmente stabile da agosto 2015 ad agosto 2016, oscillando tra il 3,5% e il 4%. Sceso intorno al 3% alla fine del 2016 ha poi oscillato perlopiù sotto il 3% nel corso del 2017. All’inizio del 2018 il tasso di interesse a lungo termine è sceso sotto il 2,4% e il differenziale rispetto alle obbligazioni di riferimento tedesche sotto i 200 punti base, contestualmente alla prima revisione al rialzo del rating della Croazia dal 2004.

    Sono stati esaminati anche fattori aggiuntivi, quali l’evoluzione della bilancia dei pagamenti e l’integrazione dei mercati. L’avanzo esterno della Croazia è salito dal 3,6% del PIL nel 2016 al 4,2% del PIL nel 2017, beneficiando del miglioramento del saldo dei ricavi. L’economia croata è ben integrata con quella della zona euro, grazie all’esistenza di legami sul piano degli scambi commerciali e degli investimenti. Una selezione di indicatori relativi al contesto economico mostra che la Croazia ottiene risultati peggiori rispetto alla maggior parte degli Stati membri appartenenti alla zona euro. Le sfide principali dipendono anche dai problemi del quadro istituzionale, come ad esempio la qualità normativa. Il settore finanziario è fortemente integrato con il sistema finanziario dell’UE, grazie alla presenza di soggetti esteri nella proprietà del sistema bancario. Nel 2018, nell’ambito della procedura per gli squilibri macroeconomici, la Croazia è stata oggetto di un esame approfondito. Dall’esame è emerso che il paese continua a presentare squilibri macroeconomici eccessivi connessi agli alti livelli di debito pubblico, privato ed estero, denominato perlopiù in valuta estera, in un contesto di crescita potenziale debole.

    5.UNGHERIA

    Alla luce della valutazione della compatibilità della legislazione e del soddisfacimento dei criteri di convergenza, e tenendo conto dei fattori aggiuntivi pertinenti, la Commissione conclude che l’Ungheria non soddisfa le condizioni per l’adozione dell’euro.

    La legislazione ungherese, in particolare la legge sulla banca nazionale ungherese, Magyar Nemzeti Bank (MNB), non è pienamente compatibile con l’obbligo di conformità di cui all’articolo 131 TFUE. Le incompatibilità riguardano in particolare l’indipendenza della MNB, il divieto di finanziamento monetario e l’integrazione della banca centrale nel SEBC al momento dell’adozione dell’euro per quanto attiene ai compiti del SEBC stabiliti dall’articolo 127, paragrafo 2, TFUE e dall’articolo 3 dello statuto del SEBC e della BCE. Inoltre, la legge sulla MNB presenta ulteriori imperfezioni concernenti l’integrazione della MNB nel SEBC.

    L’Ungheria non soddisfa il criterio relativo alla stabilità dei prezzi. Nei dodici mesi fino a marzo 2018 il tasso medio di inflazione è stato del 2,2%, superiore al valore di riferimento dell’1,9%, e si prevede che rimarrà sopra tale livello nei prossimi mesi.

    L’inflazione IPCA annua in Ungheria negli ultimi due anni è uscita da un periodo di livelli molto bassi, inclusi i valori negativi di metà 2016. In seguito l’inflazione ha preso a salire rapidamente, raggiungendo il 2,9% a febbraio 2017 prima di frenare, a causa soprattutto delle oscillazioni dei prezzi dell’energia. Dalla primavera del 2017 i prezzi dei prodotti alimentari non trasformati hanno esercitato una pressione al rialzo sempre maggiore sull’inflazione IPCA, mantenendo l’inflazione primaria sopra il 2% nel 2017. All’inizio del 2018 l’inflazione è tornata a scendere, grazie soprattutto ai prezzi dell’energia e dei beni durevoli. A marzo 2018 si è attestata al 2,0%.

    Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, l’inflazione dovrebbe scendere leggermente al 2,3% nel 2018 e salire al 3,0% nel 2019, poiché si prevede un aumento dell’inflazione dei servizi sulla scia della forte crescita dei salari. Il livello dei prezzi relativamente basso in Ungheria (58% circa della media della zona euro nel 2016) lascia prevedere una concreta possibilità di ulteriore convergenza del livello dei prezzi a lungo termine.

    L’Ungheria soddisfa il criterio relativo alla situazione della finanza pubblica. L’Ungheria non è oggetto di una decisione del Consiglio sull’esistenza di un disavanzo eccessivo. La Commissione, tuttavia, raccomanda di aprire una procedura per deviazione significativa alla luce della deviazione significativa dai requisiti del patto di stabilità e crescita osservata nel 2017. Sulla base della valutazione del programma di convergenza 2018 vi è il rischio di una deviazione significativa dai requisiti anche nel 2018 e nel 2019. Pertanto, ai fini della conformità alle disposizioni del patto di stabilità e crescita, dal 2018 saranno necessarie ulteriori misure significative. Il disavanzo pubblico è sceso all’1,7% del PIL nel 2016, rispetto all’1,9% del 2015, per poi rimbalzare al 2,0% nel 2017. Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, dovrebbe salire al 2,4% del PIL nel 2018 per poi scendere al 2,1% del PIL nel 2019, nell’ipotesi di politiche invariate. Il rapporto debito pubblico lordo/PIL è diminuito al 73,6% del PIL nel 2017 e dovrebbe scendere ulteriormente al 73,3% del PIL nel 2018 e al 71,0% del PIL nel 2019. Il quadro di bilancio ungherese è ben sviluppato attorno a severe norme e procedure di controllo del debito a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica; tuttavia alcuni punti deboli non trascurabili (in particolare il debole ruolo della programmazione di bilancio a medio termine) permangono tuttora.

    L’Ungheria non soddisfa il criterio relativo al tasso di cambio. Il fiorino ungherese non partecipa all’ERM II. L’Ungheria applica un regime di tasso di cambio flessibile, che consente alla banca centrale di intervenire sui mercati valutari. La valuta ungherese si è indebolita, passando da circa 311 HUF/EUR a marzo 2016 a 314 HUF/EUR a metà del 2016, prima di rafforzarsi a 307 HUF/EUR a ottobre 2016, quando la MNB ha introdotto limiti sui volumi delle operazioni di deposito trimestrali. Il fiorino è stato poi scambiato intorno a 310 HUF/EUR fino alla metà del 2017, quando una nuova ondata di apprezzamento lo ha spinto a quota 304 HUF/EUR nel mese di agosto 2017. A seguito dell’intervento verbale della MNB, che ha accennato alla possibile introduzione di nuovi strumenti e al taglio del tasso dei depositi a vista a -15 punti base, il fiorino è tornato un po’ sotto i 310 HUF/EUR dopo settembre 2017. A marzo 2018 si è attestato sostanzialmente allo stesso livello di due anni prima nei confronti dell’euro.

    L’Ungheria soddisfa il criterio della convergenza dei tassi di interesse a lungo termine. Nei 12 mesi fino a marzo 2018 il tasso di interesse medio a lungo termine è stato pari al 2,7%, un livello inferiore al valore di riferimento del 3,2%. Il tasso di interesse medio mensile a lungo termine è sceso attorno al 2,8% ad agosto 2016, prima di salire al 3,5% a febbraio 2017. È poi tornato a scendere raggiungendo il 2,1% a dicembre del 2017; un riflesso degli sforzi della MNB volti a estendere ancora di più lo stimolo monetario ai tassi a lungo termine. Il tasso di interesse a lungo termine ungherese è salito a circa il 2,6% a febbraio 2018 in un contesto internazionale di rendimenti in rialzo. Il differenziale a lungo termine rispetto alle obbligazioni di riferimento tedesche si è attestato intorno a 200 punti base all’inizio del 2018.

    Sono stati esaminati anche fattori aggiuntivi, quali l’evoluzione della bilancia dei pagamenti e l’integrazione dei mercati. Il saldo esterno ha registrato ampi avanzi nel corso degli ultimi due anni, pur essendosi deteriorato nel 2017, a causa in primo luogo della bilancia commerciale. L’economia ungherese è fortemente integrata con quella della zona euro grazie all’esistenza di legami sul piano degli scambi commerciali e degli investimenti. Una selezione di indicatori relativi al contesto economico mostra che l’Ungheria ottiene risultati peggiori rispetto alla maggior parte degli Stati membri appartenenti alla zona euro. Il settore finanziario ungherese è ben integrato in quello dell’UE.

    6.POLONIA

    Alla luce della valutazione della compatibilità della legislazione e del soddisfacimento dei criteri di convergenza, e tenendo conto dei fattori aggiuntivi pertinenti, la Commissione conclude che la Polonia non soddisfa le condizioni per l’adozione dell’euro.

    La legislazione polacca, in particolare la legge sulla banca nazionale polacca, la Narodowy Bank Polski (NBP), e la Costituzione della Repubblica di Polonia, non è pienamente compatibile con l’obbligo di conformità di cui all’articolo 131 TFUE. Le incompatibilità riguardano l’indipendenza della banca centrale, il divieto di finanziamento monetario e l’integrazione della banca centrale nel SEBC al momento dell’adozione dell’euro. La legge sulla NBP contiene inoltre alcune imperfezioni concernenti l’indipendenza della banca centrale e l’integrazione della NBP nel SEBC al momento dell’adozione dell’euro.

    La Polonia soddisfa il criterio relativo alla stabilità dei prezzi. Il tasso medio di inflazione registrato in Polonia nei 12 mesi fino al marzo 2018 è pari all’1,4%, inferiore al valore di riferimento dell’1,9%, e si prevede che rimanga a tale livello nei prossimi mesi.

    L’inflazione IPCA annua è diventata positiva a ottobre 2016 ed è poi salita rapidamente al record nazionale dell’1,9% a febbraio 2017, prima di scendere all’1,3% a giugno 2017. La seconda metà del 2017 è stata contrassegnata da un graduale aumento dell’inflazione, prima del balzo al 2% nel mese di novembre e della contrazione all’1,7% a dicembre 2017. Nel mese di febbraio 2018 la tendenza al ribasso è proseguita, con un brusco calo fino allo 0,7%. Questo schema piuttosto volatile si spiega con le forti oscillazioni nelle dinamiche dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari non trasformati. A marzo 2018 si è attestata allo 0,7%.

    Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, l’inflazione dovrebbe scendere all’1,3% nel 2018 e salire al 2,5% nel 2019, principalmente a causa del rafforzarsi delle pressioni derivanti dall’accelerazione dei salari nel contesto dell’ulteriore contrazione del mercato del lavoro. Il livello dei prezzi relativamente basso in Polonia (il 52% circa della media della zona euro nel 2016) lascia prevedere una significativa possibilità di convergenza del livello dei prezzi a lungo termine.

    La Polonia soddisfa il criterio relativo alla situazione della finanza pubblica. La Polonia non è oggetto di una decisione del Consiglio sull’esistenza di un disavanzo eccessivo. Tuttavia, sulla base della valutazione del programma di convergenza 2018, esiste il rischio di una deviazione significativa dai requisiti del patto di stabilità e crescita nel 2018, per cui, ai fini della conformità alle disposizioni del patto, dal 2018 saranno necessarie ulteriori misure. Il disavanzo pubblico del paese è sceso dal 2,6% nel 2015 al 2,3% del PIL nel 2016. Il rapporto disavanzo/PIL è migliorato fino all’1,7% nel 2017, e secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, dovrebbe migliorare ulteriormente fino all’1,4% sia nel 2018 che nel 2019, nell’ipotesi di politiche invariate. Il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe scendere dal 50,6% del PIL nel 2017 al 49,1% nel 2019. Il quadro di bilancio nazionale polacco è nel complesso forte, con debolezze soprattutto nelle aree della programmazione finanziaria, delle procedure di bilancio e del monitoraggio indipendente.

    La Polonia non soddisfa il criterio relativo al tasso di cambio. Lo zloty polacco non partecipa all’ERM II. La Polonia applica un regime di tassi di cambio flessibili, che consente alla banca centrale di intervenire sui mercati valutari. Lo zloty è stato scambiato a circa 4,4 con l’euro tra aprile 2016 e la fine del 2016. Nel periodo tra dicembre 2016 e maggio 2017 si è apprezzato nel complesso di quasi il 6%. In seguito si è un po’ indebolito fino all’inizio di ottobre 2017 (attestandosi attorno a 4,3 PLN/EUR), per poi tornare a rafforzarsi nel resto del 2017. La Polonia è uscita gradualmente dalla linea di credito flessibile che aveva con l’FMI dal 2009, terminando l’accesso a novembre 2017. Nei due anni precedenti la presente valutazione lo zloty si è rivalutato di circa il 2% rispetto all’euro.

    La Polonia non soddisfa pertanto il criterio della convergenza dei tassi di interesse a lungo termine. Nei 12 mesi fino a marzo 2018 il tasso di interesse medio a lungo termine è stato pari al 3,3%, un livello superiore al valore di riferimento del 3,2%. Il tasso di interesse medio mensile a lungo termine è salito da meno del 3% ad aprile 2016 al 3,8% circa all’inizio del 2017. I tassi di interesse a lungo termine sono poi scesi attorno al 3,2% a giugno 2017, prima di tornare a salire leggermente. Il differenziale del tasso di interesse a lungo termine rispetto alle obbligazioni di riferimento tedesche si è attestato intorno a 270 punti base all’inizio del 2018.

    Sono stati esaminati anche fattori aggiuntivi, quali l’evoluzione della bilancia dei pagamenti e l’integrazione dei mercati. Il saldo esterno della Polonia è in avanzo dal 2013, sostenuto dal continuo miglioramento della bilancia commerciale. L’economia polacca è ben integrata con quella della zona euro, grazie all’esistenza di legami sul piano degli scambi commerciali e degli investimenti. Una selezione di indicatori relativi al contesto economico mostra che la Polonia si colloca intorno alla media degli Stati membri appartenenti alla zona euro. Il settore finanziario polacco è ben integrato con quello dell’UE.

    7.ROMANIA

    Alla luce della valutazione della compatibilità della legislazione e del soddisfacimento dei criteri di convergenza, e tenendo conto dei fattori aggiuntivi pertinenti, la Commissione conclude che la Romania non soddisfa le condizioni per l’adozione dell’euro.

    La legislazione rumena, in particolare la legge n. 312 sullo statuto della Banca di Romania (legge BNR), non è pienamente compatibile con l’obbligo di conformità di cui all’articolo 131 TFUE. Le incompatibilità riguardano l’indipendenza della banca centrale, il divieto di finanziamento monetario e l’integrazione della banca centrale nel SEBC al momento dell’adozione dell’euro. Inoltre la legge sulla BNR contiene imperfezioni riguardo l’indipendenza della banca centrale e l’integrazione della banca centrale nel SEBC al momento dell’adozione dell’euro per quanto attiene agli obiettivi della BNR e ai compiti del SEBC indicati all’articolo 127, paragrafo 2, TFUE e all’articolo 3 dello statuto del SEBC e della BCE.

    La Romania non soddisfa il criterio relativo alla stabilità dei prezzi. Il tasso medio di inflazione registrato in Romania nel periodo di 12 mesi fino al marzo 2018 è dell’1,9%, pari al valore di riferimento dell’1,9%. Si prevede tuttavia un aumento ben al di sopra di tale livello nei prossimi mesi.

    L’inflazione IPCA annua ha registrato un andamento al ribasso nel 2016, trascinata soprattutto da successivi tagli dell’IVA e dai bassi prezzi mondiali del petrolio. Dopo aver raggiunto il livello minimo con quasi il -3% a maggio del 2016, è rimasta in territorio negativo per la maggior parte dell’anno. Nel 2017 l’inflazione è progressivamente aumentata, restando tuttavia contenuta per effetto del taglio di 1 ulteriore punto percentuale dell’aliquota IVA standard e della riduzione delle accise sul carburante a gennaio 2017. L’inflazione ha preso ad accelerare nella seconda metà del 2017, per effetto soprattutto del rincaro dei prodotti alimentari e della revoca dei tagli delle accise a ottobre, passando dallo 0,6% di agosto al 2,6% di dicembre 2017. All’inizio del 2018 ha continuato a salire parallelamente al venir meno dell’effetto degli sgravi fiscali del 2017, raggiungendo il 4,0% a marzo 2018.

    Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, l’inflazione IPCA annua dovrebbe salire al 4,2% nel 2018 e scendere poi al 3,4% nel 2019, in linea con il calo dell’inflazione dei prezzi dell’energia. Il livello dei prezzi relativamente basso in Romania (pari al 51% circa della media della zona euro nel 2016) lascia prevedere una buona possibilità di convergenza del livello dei prezzi a lungo termine.

    La Romania soddisfa il criterio relativo alla situazione della finanza pubblica. La Romania non è oggetto di una decisione del Consiglio sull’esistenza di un disavanzo eccessivo. Tuttavia, la Romania è oggetto di una procedura per deviazione significativa a seguito dell’osservazione di una deviazione significativa dall’obiettivo di bilancio a medio termine registrata nel 2016. Nell’autunno del 2017 gli sforzi del paese nell’ambito della procedura per deviazione significativa sono stati ritenuti inefficaci ed è stata emessa una raccomandazione rivista. La Commissione, inoltre, raccomanda di aprire una procedura per deviazione significativa alla luce della deviazione significativa dai requisiti del patto di stabilità e crescita osservata anche nel 2017. Sulla base della valutazione del programma di convergenza 2018 vi è il rischio di una deviazione significativa dai requisiti anche nel 2018 e nel 2019. Pertanto, ai fini della conformità alle disposizioni del patto di stabilità e crescita, saranno necessarie ulteriori misure di rilievo dal 2018 alla luce del netto deterioramento delle prospettive di bilancio. Il disavanzo nominale è aumentato dallo 0,8% del PIL nel 2015 al 3,0% e al 2,9% del PIL rispettivamente nel 2016 e nel 2017, nel quadro della politica di bilancio prociclica espansiva perseguita dalle autorità e trainata dai tagli delle imposte indirette e dagli aumenti delle retribuzioni del settore pubblico e delle pensioni di vecchiaia. Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, il disavanzo pubblico dovrebbe scendere al 3,4% del PIL nel 2018 e al 3,8% nel 2019, nell’ipotesi di politiche invariate. Il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe continuare ad aumentare fino al 35,3% nel 2018 e al 36,4% nel 2019. Le disposizioni del quadro di bilancio della Romania sono solide. Tuttavia, l’efficacia storica dell’attuazione del quadro di bilancio rumeno è venuta sostanzialmente meno negli ultimi anni, come dimostra il peggioramento del saldo strutturale e l’elusione della normativa applicabile all’ammissibilità della spesa attraverso modifiche di bilancio infra-annuali.

    La Romania non soddisfa il criterio relativo al tasso di cambio. Il leu rumeno non partecipa all’ERM II. La Romania applica un regime di tassi di cambio flessibili, che consente alla banca centrale di intervenire sui mercati valutari. Il tasso di cambio del leu con l’euro ha mostrato un andamento stabile fino a settembre 2016, quando ha iniziato a svalutarsi moderatamente. I fattori principali della svalutazione sono stati la politica di bilancio prociclica, che ha sostenuto i disavanzi commerciali e delle partite correnti, e le maggiori aspettative di inflazione. Il tasso di cambio ha raggiunto i 4,63 RON/EUR alla fine del 2017, e ha continuato a svalutarsi all’inizio del 2018 arrivando fino a 4,66 RON/EUR a marzo 2018. Rispetto alle controparti regionali, che operano in un quadro di tassi di cambio flessibili, il tasso di cambio del leu con l’euro è stato relativamente meno volatile. Nei due anni precedenti la presente valutazione il leu si è svalutato di quasi il 4% rispetto all’euro.

    La Romania non soddisfa il criterio relativo alla convergenza dei tassi di interesse a lungo termine. Nei 12 mesi fino a marzo 2018 il tasso di interesse medio a lungo termine è stato pari al 4,1%, un livello superiore al valore di riferimento del 3,2%. I tassi di interesse a lungo termine sono gradualmente scesi al 3% circa a ottobre 2016, quando sono tornati a salire. Ad oggi è confermata la tendenza al rialzo dei tassi, che si attestano al 4,5% all’inizio del 2018. Il differenziale a lungo termine rispetto alle obbligazioni di riferimento tedesche è sceso dai circa 340 punti base di aprile 2016 a meno di 300 punti base a ottobre 2016, quando è tornato a salire. A marzo 2018 era pari a 400 punti base. 

    Sono stati esaminati anche fattori aggiuntivi, quali l’evoluzione della bilancia dei pagamenti e l’integrazione dei mercati. Il saldo esterno della Romania si è progressivamente deteriorato dal 2015, e nel 2017 è tornato ad essere negativo per la prima volta dopo cinque anni. Per quanto riguarda il contesto imprenditoriale, una selezione di indicatori mostra che la Romania ottiene risultati meno buoni rispetto alla maggior parte degli Stati membri appartenenti alla zona euro. Le sfide principali dipendono anche dai problemi del quadro istituzionale, fra cui la corruzione e l’inefficienza delle amministrazioni. Il settore finanziario della Romania è ben integrato con quello dell’UE, in particolare grazie all’elevata presenza di soggetti esteri nella proprietà del sistema bancario.

    8.SVEZIA

    Alla luce della valutazione della compatibilità della legislazione e del soddisfacimento dei criteri di convergenza, e tenendo conto dei fattori aggiuntivi pertinenti, la Commissione conclude che la Svezia non soddisfa le condizioni per l’adozione dell’euro.

    La legislazione svedese, in particolare la legge sulla Sveriges Riksbank, lo Strumento di governo e la legge sulla politica valutaria, non è pienamente compatibile con l’obbligo di conformità di cui all’articolo 131 TFUE. Si rilevano incompatibilità e imperfezioni per quanto riguarda l’indipendenza della banca centrale, il divieto di finanziamento monetario e l’integrazione della banca centrale nel SEBC al momento dell’adozione dell’euro.

    La Svezia soddisfa il criterio relativo alla stabilità dei prezzi. Il tasso medio di inflazione registrato in Svezia nel periodo di 12 mesi fino al marzo 2018 è dell’1,9%, pari al valore di riferimento dell’1,9%, e si prevede che scenderà sotto il valore di riferimento nei prossimi mesi.

    Il tasso medio di inflazione svedese ha raggiunto l’1,9% nel 2017, in aumento rispetto all’1,1% del 2016, con i principali aumenti nei prezzi dei servizi e dell’energia per effetto soprattutto della svalutazione della corona e dell’aumento della domanda interna sostenuta dalla politica monetaria accomodante della Riksbank. A marzo 2018 si è attestata al 2,0%.

    L’inflazione IPCA dovrebbe rimanere sostanzialmente stabile nel corso del 2018. Stando alle previsioni, nel 2018 i prezzi del petrolio eserciteranno una pressione al rialzo sull’IPCA. Tuttavia, la crescita modesta dei salari, che secondo le previsioni resterà moderata ed è stata limitata a causa delle pressioni concorrenziali globali, delle aspettative basse in materia di salari e della forza lavoro inutilizzata, si prevede limiterà alquanto l’effetto del rincaro del petrolio. Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, l’inflazione media annua dovrebbe attestarsi all’1,9% nel 2018 e all’1,7% nel 2019. Il livello dei prezzi è relativamente alto in Svezia (circa il 122% della media della zona euro nel 2016).

    La Svezia soddisfa il criterio relativo alla situazione della finanza pubblica. La Svezia non è oggetto di una decisione del Consiglio sull’esistenza di un disavanzo eccessivo. Inoltre, sulla base della valutazione del programma di convergenza 2018, la Svezia dovrebbe continuare a conformarsi alle disposizioni del patto di stabilità e crescita nel 2018 e 2019. L’avanzo pubblico ha registrato un lieve aumento dall’1,2% del PIL nel 2016 all’1,3% del PIL nel 2017, quando ha continuato a beneficiare dell’andamento dei ricavi; un dato che, sulla scia della solida crescita economica, ha sorpreso al rialzo. In controtendenza, la spesa per l’accoglienza e l’integrazione dei richiedenti asilo è stata inferiore alle attese nel 2016-2017. Secondo le previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione, l’avanzo pubblico dovrebbe raggiungere lo 0,8% del PIL nel 2018 e lo 0,9% nel 2019. Il rapporto debito pubblico lordo/PIL è sceso al 40,6% del PIL nel 2017 e secondo le previsioni dovrebbe gradualmente continuare a scendere al 38,0% del PIL nel 2018 e al 35,5% del PIL nel 2019. La Svezia ha un quadro di bilancio solido, che alla fine del 2017 è stato oggetto di riforme, fra cui l’abbassamento dell’obiettivo di avanzo allo 0,33% del PIL (dal precedente 1%), l’introduzione di un nuovo ancoraggio del debito e il rafforzamento del mandato del consiglio per la politica di bilancio.

    La Svezia non soddisfa il criterio relativo al tasso di cambio. La corona svedese non partecipa all’ERM II. La Svezia applica un regime di tassi di cambio flessibili, che consente alla banca centrale di intervenire sui mercati valutari. La tendenza al deprezzamento della corona iniziata nel 2013 è proseguita. Il deprezzamento è avvenuto nel contesto della prosecuzione dell’allentamento monetario e dell’ampliamento del differenziale STIBOR-EURIBOR nel periodo 2016-2017, con oscillazioni tra circa -30 punti base e -10 punti base. A inizio 2018 il differenziale era all’incirca di -10 punti base. Nei due anni precedenti la presente valutazione il tasso di cambio medio della corona è stato di 9,6, con una svalutazione di quasi il 10% rispetto all’euro.

    La Svezia soddisfa il criterio relativo alla convergenza dei tassi di interesse a lungo termine. Nei dodici mesi fino a marzo 2018 il tasso di interesse medio a lungo termine in Svezia è stato dello 0,7%, ossia ben al di sotto del valore di riferimento del 3,2%. I tassi di interesse a lungo termine su base mensile della Svezia hanno iniziato a riprendersi dal minimo storico dello 0,1% di agosto 2016, e a inizio 2018 hanno raggiunto lo 0,9%, un dato comunque molto basso rispetto agli standard storici. Il differenziale rispetto alle obbligazioni di riferimento tedesche è rimasto estremamente basso, anche se i tassi sono saliti dai valori negativi dell’estate 2016. Sono rimasti tra 20 e 40 punti base fino all’ultimo trimestre del 2017, quando sono saliti lievemente al di sopra di tale intervallo. A marzo 2018 erano a 53 punti base.

    Sono stati esaminati anche fattori aggiuntivi, quali l’evoluzione della bilancia dei pagamenti e l’integrazione dei mercati. Il saldo esterno della Svezia è rimasto in avanzo, registrando il 4,2% del PIL nel 2016 e il 3,2% nel 2017. L’economia svedese è ben integrata con quella della zona euro, grazie all’esistenza di legami sul piano commerciale e degli investimenti. Per quanto riguarda il contesto imprenditoriale, una selezione di indicatori mostra che la Svezia ottiene risultati migliori rispetto alla maggior parte degli Stati membri appartenenti alla zona euro. Il settore finanziario svedese è ben integrato con quello dell’UE. Nel quadro della procedura per gli squilibri macroeconomici, per la Svezia è stato ritenuto necessario un ulteriore esame approfondito. Ne è emerso che il paese continua a presentare squilibri macroeconomici, poiché i livelli eccessivi dei prezzi delle abitazioni, insieme al debito delle famiglie, pongono rischi di una correzione disordinata. Le autorità svedesi sono ampiamente consapevoli dell’aumento dei rischi, e sono stati presi provvedimenti per contenere la crescita dei mutui ipotecari e incentivare la costruzione di alloggi. Le misure adottate finora, tuttavia, non sono bastate a porre rimedio agli squilibri.

    (1)    Gli Stati membri che non hanno ancora soddisfatto le condizioni necessarie per l’adozione dell’euro sono definiti “Stati membri con deroga”. La Danimarca e il Regno Unito hanno negoziato delle deroghe prima dell’adozione del trattato di Maastricht e non partecipano alla terza fase dell’UEM.
    (2)    La Danimarca e il Regno Unito non hanno espresso l’intenzione di adottare l’euro e non sono pertanto inclusi in questo esame.
    (3)    La Commissione ha pubblicato la sua settima relazione sul meccanismo di allerta a novembre 2017 e le conclusioni dei corrispondenti esami approfonditi a marzo 2018.
    (4)      Commissione europea, comunicazione sui nuovi strumenti di bilancio per una zona euro stabile nel quadro dell’Unione (COM(2017) 0822 final del 6 dicembre 2017).
    (5)      Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2017/825 (COM(2017) 825 final 2017/0334(COD) del 6 dicembre 2017).
    (6)    Ai fini del criterio relativo alla stabilità dei prezzi, l’inflazione viene misurata dall’Indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) definito nel regolamento (CE) n. 2494/95 del Consiglio.
    (7)    Tutte le previsioni sull’inflazione e le altre variabili contenute nella presente relazione sono tratte dalle previsioni di primavera 2018 dei servizi della Commissione. Le previsioni dei servizi della Commissione sono basate su un insieme di ipotesi comuni sulle variabili esterne e sull’ipotesi di politiche invariate, prendendo tuttavia in considerazione misure di cui si conoscono sufficienti dettagli.
    (8)    La data ultima di aggiornamento dei dati utilizzati nella presente relazione è il 23 aprile 2018.
    (9)    I tassi medi di inflazione su 12 mesi dei tre paesi sono stati rispettivamente 0,2%, 0,3% e 0,8%.
    (10)    Una direttiva sui requisiti minimi per i quadri di bilancio nazionali, due nuovi regolamenti sulla sorveglianza macroeconomica e tre regolamenti recanti modifica al patto di stabilità e crescita (PSC) entrati in vigore il 13 dicembre 2011 (uno dei due nuovi regolamenti sulla sorveglianza macroeconomica e uno dei tre regolamenti che modificano il PSC includono nuovi meccanismi esecutivi per gli Stati membri appartenenti all’area dell’euro). Oltre a rendere operativo il criterio relativo al debito nella procedura per i disavanzi eccessivi, gli emendamenti hanno introdotto una serie di importanti novità nel PSC e in particolare un parametro di spesa per integrare la valutazione dei progressi compiuti dal paese verso il raggiungimento del proprio obiettivo di bilancio a medio termine.
    (11)    Nel valutare il rispetto del criterio relativo al tasso di cambio, la Commissione esamina se il tasso di cambio è rimasto prossimo alla parità centrale dell’ERM II; comunque possono essere presi in considerazione i motivi dell’apprezzamento, conformemente alla dichiarazione comune sui paesi candidati all’adesione e l’ERM2 del Consiglio ECOFIN informale di Atene del 5 aprile 2003.
    (12)    I partecipanti all’ERM II sono i ministeri delle finanze della zona euro, la BCE e i ministeri delle finanze dei paesi partecipanti all’ERM II non appartenenti alla zona euro.
    (13)    Il valore di riferimento per marzo 2018 viene calcolato come media aritmetica semplice del livello medio dei tassi d’interesse a lungo termine di Cipro (2,2%), Irlanda (0,8%) e Finlandia (0,6%), più 2 punti percentuali.
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