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Document 52006DC0044

    Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni concernente una consultazione su un’azione da realizzare a livello comunitario per promuovere il coinvolgimento attivo delle persone più lontane dal mercato del lavoro

    /* COM/2006/0044 def. */

    52006DC0044




    [pic] | COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE |

    Bruxelles, 8.2.2006

    COM(2006)44 definitivo

    COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUROPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

    concernente una consultazione su un’azione da realizzare a livello comunitario per promuovere il coinvolgimento attivo delle persone più lontane dal mercato del lavoro

    .

    OBIETTIVO DELLA COMUNICAZIONE

    Il Consiglio europeo del marzo 2005 ha rilanciato la strategia di Lisbona concentrandosi sulla crescita e sull’occupazione per contribuire alla coesione sociale. Se è vero che la strategia europea per l’occupazione svolge un ruolo centrale nella realizzazione degli obiettivi in materia di occupazione fissati dalla strategia di Lisbona, una maggiore coesione sociale costituisce un altro elemento chiave per la riuscita di questa strategia. D’altro canto, la riuscita della strategia europea per l’occupazione è essenziale per raggiungere una maggiore coesione sociale.[1]

    La lotta contro la povertà e l’esclusione sociale è al centro delle preoccupazioni dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Al momento del lancio della strategia di Lisbona del marzo 2000, il Consiglio ha invitato gli Stati membri e la Commissione europea ad adottare misure destinate ad avere un effetto decisivo sull’eliminazione della povertà all’orizzonte del 2010. Gli Stati membri hanno manifestato una forte determinazione politica e sono state avviate numerose azioni, sia a livello dell'Unione che sul piano nazionale. La lotta contro la povertà e l'integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro rimangono tuttavia una vera e propria sfida per l’Unione europea allargata. Gli obiettivi della strategia modificata di Lisbona non potranno essere realizzati se continueremo a “sprecare” la maggior parte della nostra risorsa più preziosa: il capitale umano.

    Vaste politiche di assistenza sociale sono attuate nella maggior parte degli Stati membri e vengono realizzate politiche di attivazione al fine di riportare sul mercato del lavoro quelli che ne sono esclusi, ma sussiste un importante “nocciolo duro” di persone che hanno poche speranze di trovare un lavoro e che, per questo motivo, rimangono estremamente esposte alla povertà e all’esclusione sociale. Per le persone più lontane dal mercato del lavoro, i regimi di reddito minimo (RM) sono a volte l’unica barriera di protezione contro l’estrema povertà; ma tali regimi, pur svolgendo questa funzione indispensabile, devono anche promuovere l’inserimento professionale delle persone in grado di lavorare. La principale sfida è quindi di garantire che i sistemi di protezione sociale contribuiscano in modo efficace a mobilitare le persone in grado di lavorare, perseguendo al tempo stesso il più ampio obiettivo di garantire un livello di vita decente a coloro che sono o rimarranno al di fuori del mercato del lavoro.

    La presente comunicazione ha quindi un duplice obiettivo:

    - in primo luogo, fare un bilancio dei progressi compiuti dall’Unione allargata sulla via di un migliore accesso al mercato del lavoro per le persone che ne sono escluse (Parte 1);

    - in secondo luogo, a partire da questo bilancio, lanciare una consultazione pubblica sui possibili orientamenti di un’azione a livello dell’Unione al fine di promuovere il coinvolgimento attivo delle persone più lontane dal mercato del lavoro (Parte 2). Questa consultazione si basa sull’articolo 138 del trattato.

    La presente comunicazione fa seguito alla nuova Agenda sociale per il periodo 2005-2010, che ha confermato che la Commissione avrebbe lanciato un’iniziativa comunitaria riguardante i regimi di reddito minimo e l’integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro, dopo aver applicato le procedure di valutazione d'impatto necessarie. La comunicazione intende inoltre rispondere alle preoccupazioni espresse regolarmente dal Parlamento europeo al momento di sottoporre ad analisi l’attuazione della strategia di Lisbona.

    1. LOTTARE CONTRO LA POVERTÀ E L’ESCLUSIONE DAL MERCATO DEL LAVORO: UNA SFIDA COSTANTE PER L’UNIONE.

    1.1. Azione realizzata al livello degli Stati membri

    Gli Stati membri dell’Unione si sono dotati di regimi di protezione sociale estremamente elaborati al fine di garantire un’assicurazione contro i rischi sociali come la malattia e la disoccupazione e prevenire e combattere la povertà e l’esclusione sociale. Coerentemente con il cambiamento strategico realizzato nel corso degli anni ’90 a livello comunitario verso sistemi attivi, i regimi di assistenza al reddito sono stati sempre più soggetti a criteri di attivazione al fine di ridurre i fattori che scoraggiano il lavoro retribuito ed evitare le trappole di povertà.[2] La coerenza tra i regimi di sostegno al reddito e le politiche di attivazione si è in tal modo rafforzata. In molti Stati membri è ormai necessario, per aver diritto a prestazioni, ricercare attivamente un impiego, essere disponibili per lavorare o seguire corsi di formazione. In alcuni casi, queste condizioni sono enunciate in un contratto individuale che definisce le modalità di un percorso di reinserimento professionale che il beneficiario è tenuto a seguire. Un numero crescente di paesi sta attualmente migliorando le misure di incoraggiamento finanziario al fine di rafforzare l'incitazione al lavoro. Ad esempio, vengono offerti crediti di imposta ai lavoratori che occupano posti di lavoro scarsamente retribuiti come reddito complementare subordinato all’occupazione di tale posto di lavoro e, ai livelli in cui le prestazioni sarebbero normalmente soppresse, i pagamenti sono ora diminuiti progressivamente in modo da non scoraggiare lo sforzo di lavoro. Sono state inoltre elaborate ed attuate misure specifiche volte a favorire l'inserimento sociale delle persone sfavorite agevolando loro l'accesso ai servizi e ai beni di base, come le cure sanitarie, i servizi di custodia dei figli, un alloggio decente o anche l'alimentazione (nei casi più estremi di indigenza materiale).

    A tale scopo gli Stati membri dell’Unione hanno in generale attuato vari regimi di reddito minimo al fine di compensare la differenza tra il reddito personale e familiare - prodotto dal lavoro o altre prestazioni sociali -, da un lato, e il minimo garantito, dall’altro. È possibile individuare alcune caratteristiche comuni a questi regimi:

    - essi garantiscono la soddisfazione dei bisogni fondamentali corrispondenti a un livello di vita minimi, assistendo i beneficiari e i loro aventi diritto quando non è disponibile alcuna altra fonte di sostegno finanziario;

    - hanno carattere non contributivo e sono finanziati mediante imposte;

    - la maggior parte non prevedono limiti di tempo, anche se sono considerati temporanei;

    - richiedono che i beneficiari che ne sono in grado si tengano disponibili per svolgere attività lavorative;

    - sono soggetti a condizioni di reddito e lasciano un certo margine di valutazione alle autorità;

    - l’ammissibilità dipende dall’età e da una durata minima di residenza;

    - le prestazioni dipendono abitualmente dalla situazione generale della famiglia e sono spesso accompagnate da altre prestazioni sociali (alloggio, riscaldamento, assegni per i figli).

    Nell’ambito di questo contesto comune, esistono nei vari paesi dell’Unione regimi di reddito minimo diversificati. Le differenze riguardano i livelli di prestazione, il grado di decentramento del dispositivo di esecuzione, il margine di valutazione consentito per l’interpretazione delle norme legali, i criteri di residenza e l’equilibrio tra un approccio universale e un approccio basato su categorie sociali. Un'altra importante differenza riguarda la misura in cui il sostegno al reddito di base è collegato ad altre componenti dell’azione pubblica, come le politiche del mercato del lavoro e l’accesso ai servizi. Tutti i sistemi svolgono tuttavia, con vari gradi di successo, un compito essenziale per il corretto funzionamento della società e del mercato del lavoro.

    È opportuno riconoscere chiaramente i buoni risultati dei sistemi di protezione sociale: senza questi ultimi, il rischio di povertà avrebbe raggiunto livelli insostenibili nella maggior parte degli Stati membri e a livello dell’Unione. In mancanza di trasferimenti sociali,[3] (ad esclusione delle pensioni), il tasso di rischio di povertà negli Stati membri dell’UE-25 nel 2003, sulla base di cifre provvisorie[4], sarebbe stato del 25%, vale a dire 9 punti percentuali del rischio di povertà effettivo. La situazione d’insieme, dal punto di vista delle povertà e dell'accesso al lavoro dei più vulnerabili, rimane tuttavia estremamente preoccupante. Nel 2003, il 16% della popolazione dell’UE a 25 (circa 72 milioni di persone) era esposto al rischio di povertà finanziaria.[5] Queste cifre mostrano sino a che punto è difficile progredire nella lotta contro la povertà e l’esclusione: dal 1997, data nella quale queste inchieste hanno avuto inizio, più della metà della quota di popolazione minacciata dalla povertà è effettivamente vissuta costantemente (vale a dire tre anni sugli ultimi quattro) con un reddito relativo basso[6]. Disporre di un reddito inferiore alla soglia convenzionale non è di per sé una condizione né necessaria né sufficiente per essere in situazioni di povertà, ma non è nemmeno vero che il rischio di povertà relativa comporta un accesso ai beni e ai servizi considerati come necessari ad una partecipazione piena alla vita sociale. Il rischio di ricadere al di sotto del livello del rischio di povertà è più elevato per i disoccupati, gli inattivi, i genitori soli, i disabili e i malati cronici. Un numero indeterminato di persone rischia pertanto di subire forme gravi di indigenza e di esclusione sociale, come la mancanza di un domicilio fisso, la tossicomania, l'alcolismo, la privazione delle cure sanitarie di base e l'analfabetismo, aggravati in taluni casi dalla discriminazione etnica e/o dal fatto di abitare in una zona che cumula vari inconvenienti. Nel 2003, l’UE-25 comprendeva circa 31,7 milioni di persone, vale a dire l’8,5% della sua popolazione in età di lavoro (15-64 anni), che potevano essere considerati come esclusi dal mercato del lavoro. Questa cifra comprende sia i disoccupati di lunga durata che gli inattivi scoraggiati dopo ripetuti insuccessi nella ricerca di un’occupazione o che intendono svolgere attività lavorative ma non ne sono in grado per vari motivi: disabilità o malattia cronica, mancanza di qualifiche di base, discriminazione e/o responsabilità familiari.

    1.2. Azione svolta a livello comunitario

    Nel 1992, il Consiglio ha adottato due raccomandazioni che stabiliscono come obiettivo comune la garanzia di un livello minimo di risorse e enunciano i principi e gli orientamenti che consentono di perseguire tale obiettivo.[7] Secondo le conclusioni di una relazione presentata dalla Commissione nel 1999[8], queste raccomandazioni hanno aiutato a incoraggiare e strutturare il dibattito tra gli Stati membri sul ruolo e l’evoluzione dei regimi di reddito minimo, hanno favorito la convergenza dei vari regimi nazionali e posto le basi per una cooperazione europea più sistematica nella lotta contro l’esclusione sociale e la povertà.

    Nel 2000, il Consiglio europeo di Nizza ha adottato, per l’attuazione pratica del metodo aperto di coordinamento (MAC) nel settore dell’integrazione sociale, obiettivi comuni relativi agli obiettivi enunciati nelle raccomandazioni. La prima relazione congiunta, adottata nel marzo 2002, ha concluso che tredici dei quindici Stati membri avevano messo a punto una politica di assistenza sociale universale volta a garantire a tutti i residenti legali un reddito minimo. La seconda relazione congiunta (del marzo 2004), nonché la relazione sull’integrazione sociale che analizza i piani d’azione nazionali (PAN) dei 10 nuovi Stati membri,[9] hanno evidenziato la preoccupazione di eliminare per quanto possibile dai regimi di reddito minimo[10] i fattori che scoraggiano l’attività professionale, hanno inoltre constatato l’attuazione di riforme volte a modificare le regole di ammissibilità e a creare corsi di reinserimento professionale individualizzati. D’altro canto, alcuni Stati membri hanno aumentato o mantenuto il livello del reddito minimo in termini reali mediante la determinazione di obiettivi o l'adozione di una qualche forma di indicizzazione, tenuto conto del fatto che le prestazioni erano spesso riconosciute come alquanto limitate o tali da escludere importanti segmenti della popolazione priva di altri redditi.

    In seguito alla revisione della strategia di Lisbona e alla nuova attenzione dedicata all’occupazione e alla crescita, si è convenuto che il MAC avrebbe continuato ad essere applicato in materia di integrazione sociale e di protezione sociale e che sarebbe stato in particolare preso in considerazione nelle relazioni relative alla strategia di Lisbona. I nuovi orientamenti per l’occupazione[11] – che fanno parte dell’insieme degli orientamenti integrati per il 2005-2008 – affrontano il problema dell’integrazione delle persone più lontane dal mercato del lavoro e incoraggiano gli Stati membri a prevedere incentivi al lavoro per rafforzare le misure preventive e attive del mercato del lavoro, in particolare mediante la tempestiva individuazione della necessità, l’assistenza alla ricerca di un impiego, la guida e la formazione di entranti in piani d’azione personalizzati, la fornitura di servizi sociali necessari a sostenere l’inserimento delle persone più lontane dal mercato del lavoro e per contribuire alla coesione sociale e territoriale e allo sradicamento della povertà (orientamento n. 19). Questo orientamento propone inoltre di adeguare in permanenza gli incentivi e i disincentivi derivanti dai sistemi fiscali e previdenziali, compresa la gestione e la condizionalità dei contributi e la riduzione delle aliquote di imposta marginali elevate, al fine di rendere il lavoro finanziariamente attraente e garantire adeguati livelli di protezione sociale.

    Con un bilancio di circa €60 miliardi per il periodo 2000-2006, 9 dei quali destinati all’integrazione sociale, il Fondo sociale europeo (FSE) e l’iniziativa comunitaria EQUAL incoraggiano gli Stati membri e li aiutano e rendere più attive le loro politiche. Nel corso del prossimo periodo di programmazione il FSE, cui saranno integrati i principi di EQUAL, continuerà a sostenere i percorsi di inserimento professionale delle persone svantaggiate.

    1.3. Realizzazioni e nuove sfide

    Malgrado la varietà dei loro sistemi di sicurezza sociale, tutti i paesi europei devono affrontare la sfida che pone l’adeguamento delle loro strategie al fine di migliorare l’efficacia delle loro economie. L’inserimento professionale è l’obiettivo essenziale: un posto di lavoro costituisce per molte persone la principale salvaguardia contro l’esclusione sociale ed è la sola misura che si “autofinanzia” nel lungo periodo. Tuttavia, affinché questo inserimento sia un vero successo, il posto di lavoro deve essere remunerativo sia per i lavoratori che per le imprese. Per essere efficaci, le politiche volte a rendere il lavoro remunerativo devono trovare un equilibrio adeguato in questa “sfida triangolare": rafforzare gli incentivi al lavoro, attenuare la povertà ed evitare costi di bilancio insostenibili.[12]

    Ma occorre inoltre tenere presente che oltre a sostenere il livello di reddito, soprattutto in periodo di recessione, i sistemi di protezione sociale possono anche contribuire a migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro e vi riescono effettivamente se sono concepiti ed attuati in modo adeguato: grazie ad una rete efficace di sicurezza sociale è possibile introdurre una maggiore flessibilità nei contratti di lavoro e rendere più efficace la ricerca di un impiego. La mancanza – o l’indebolimento – del sistema di protezione sociale potrebbe nuocere all’efficacia dell’allocazione delle risorse.

    È necessario dedicare particolare attenzione alla configurazione dei sistemi di protezione sociale: se infatti vari aspetti delle protezione sociale non si integrano reciprocamente, se si sostituiscono gli uni agli altri, ne possono derivare conseguenze indesiderate. Dal momento che situazioni di svantaggio multiplo generano un’esclusione multiforme, è probabile che in realtà la mancata integrazione delle politiche comporti maggiori perdite di efficacia e siano i membri più vulnerabili della società a rischiare maggiormente di farne le spese. Non esiste alcuna formula che possa essere applicata invariabilmente in tutti i paesi: è quindi inevitabile scendere a compromessi. Prestazioni concesse sotto condizioni di accertamento delle risorse possono avere effetti indesiderati sull’offerta di manodopera e, se questo rischio può essere ridotto mediante prestazioni connesse all’esercizio di un’attività lavorativa, esse dipendono dall’esistenza di possibilità di occupazione a basso salario che non sono sempre disponibili. Le prestazioni universali hanno un'incidenza sul reddito ma non falsano di per sé la scelta di impegnarsi in un'attività professionale. Per talune persone, in ultima analisi, la ripresa di un lavoro non sarà un’alternativa praticabile.

    Le considerazioni riguardanti le finanze pubbliche rivestiranno in ogni caso sempre un’importanza cruciale nella decisione di applicare o rafforzare l’uno o l’altro regime di assistenza sociale; occorre tuttavia ricordare anche che gli effetti dell’assenza o dell’insufficienza dei regimi di sostegno al reddito e di reddito minimo dovrebbero essere messi a confronto con la maggiore domanda che si avrebbe probabilmente in questo caso in rapporto ad altri programmi sociali (come gli assegni familiari), destinati ad assumere una parte dell’onere di alleggerimento delle situazioni di povertà e con i costi sociali ed economici connessi con il deterioramento della salute e l’aggravamento della criminalità.[13]

    Dai confronti tra Stati membri risulta che la progettazione e le modalità di applicazione specifiche dei servizi di assistenza sociale e in particolare dei regimi di reddito minimo determinano nella maggior parte dei casi la loro efficacia. L’esistenza di un contesto legale non è sufficiente a garantire che tutte le persone che ne hanno veramente bisogno godano delle prestazioni cui hanno diritto e ciò è particolarmente vero per la protezione del reddito minimo e l’aiuto all’inserimento professionale. L’efficacia dei regimi di reddito minimo è realmente preoccupante, poiché una proporzione significativa delle persone coperte da tali regimi possono nella pratica non beneficiarne, sia perché non fanno valere i loro diritti, sia per qualunque altro motivo (mancato rispetto delle regole di ammissibilità, calcolo erroneo degli importi, ritardi di pagamento, sanzioni e sospensioni, detrazioni applicate alle prestazioni per il rimborso diretto dei debiti).[14] Esiste inoltre il rischio che le prestazioni di assistenza sociale siano versate a persone che non hanno bisogno per difetti del sistema. Anche le frodi e gli abusi suscitano vive inquietudini tra le autorità competenti e giustificano la crescente attenzione dedicata ai meccanismi di prevenzione, di verifica, di individuazione e di controllo. Tali inquietudini hanno costituito un potente motore per il rafforzamento del decentramento nell’attuazione dei regimi.

    Per quanto riguarda l’obiettivo dell’inserimento professionale dei più vulnerabili, gli elementi di cui si dispone non sono numerosi ma danno tuttavia l’impressione che sia stato possibile compiere progressi e che le buone prassi possono generare importanti insegnamenti. Se si esamina il ruolo degli strumenti di reddito minimo, la ricerca indica che la loro interazione con politiche di attivazione ben concepite può produrre effetti positivi sull’occupazione, che la formazione professionale nelle imprese private o le misure di attivazione che si avvicinano al normale lavoro costituiscono la strategia più promettente e che i giovani e le persone con meno problemi sociali sono coloro che hanno le migliori probabilità di beneficiarne. I vantaggi di queste misure di attivazione non devono misurarsi unicamente per i loro effetti immediati sull’occupazione. Tali misure possono anche aiutare le persone a combattere il loro isolamento sociale, a sviluppare la loro stima di sé e a adottare un atteggiamento più positivo verso il lavoro e la società. Una minore attenzione è stata d'altro canto dedicata alle possibilità di accesso ai servizi sociali che costituirebbero tuttavia un presupposto fondamentale della disponibilità a lavorare.

    Riassumendo, gli elementi di cui disponiamo vanno a favore di un dosaggio politico generale in grado di associare tre elementi: (i) un collegamento con il mercato del lavoro, sotto forma di offerte di posti di lavoro o di formazione professionale; (ii) un’assistenza al reddito di livello sufficiente per vivere degnamente; e (iii) un migliore accesso a servizi in grado di eliminare alcuni ostacoli che talune persone e le loro famiglie devono affrontare per integrarsi nella società, favorendo in tal modo il loro inserimento professionale (mediante vari strumenti come l’orientamento, le cure sanitarie, la custodia dei figli, l’apprendimento permanente per rimediare alle lacune di formazione, la formazione informatica per aiutare i potenziali lavoratori, compresi i disabili, la messa a profitto delle nuove tecnologie e un’organizzazione più flessibile del lavoro, il riadattamento psicologico e sociale). Tale strategia può essere definita di integrazione attiva. Per rafforzare le azioni realizzate in questo settore e creare le condizioni di un effettivo progresso nello sradicamento della povertà e dell’esclusione, è essenziale che queste varie parti siano collegate tra di loro. In mancanza di un’azione a favore dell’inserimento professionale, i regimi di reddito minimo rischiano di bloccare i beneficiari in una situazione di povertà e di dipendenza di lungo periodo nei confronti dell’assistenza sociale. Senza un adeguato sostegno al reddito, i programmi o le politiche attive del mercato del lavoro rischiano di non poter evitare la diffusione della povertà e di spingere le persone a cercare mezzi di sussistenza immediata utilizzando metodi irregolari. In mancanza di misure di assistenza sociale, le regole di attivazione rischiano di essere applicate in modo cieco e pertanto inefficace, senza tenere debitamente conto dei bisogni specifici delle persone svantaggiate (madri celibi, nomadi e Rom, persone in cattive condizioni di salute o che soffrono di turbe psicologiche. Infine, affinché tali politiche siano credibili e raccolgano l’adesione del pubblico, è essenziale che il loro bilancio sia elaborato con cura, che non mettano in pericolo la redditività finanziaria a medio termine e presentino un buon rapporto costo/efficacia nel lungo periodo.

    2. POSSIBILI ORIENTAMENTI DI UN’AZIONE COMPLEMENTARE A LIVELLO DELL’UNIONE

    2.1. La sfida

    Gli Stati membri, con il sostegno attivo dell’Unione europea attraverso le raccomandazioni del Consiglio, il metodo aperto di coordinamento sull’integrazione sociale, la strategia europea per l’occupazione e il Fondo sociale europeo hanno compiuto progressi sia nell’estensione dei meccanismi di assistenza di base, sia nella promozione dell’accesso dei più vulnerabili al mercato del lavoro. La persistenza di un gran numero di persone minacciate dalla povertà ed escluse dal mercato del lavoro rappresenta tuttavia una sfida iniludibile rispetto all’obiettivo di coesione sociale inscritto nel trattato sull’Unione europea. È inoltre essenziale che le persone che sono ai margini del mercato del lavoro, compresi i disoccupati di lunga durata, vengano reintegrate per concretizzare l’obiettivo di un tasso di occupazione del 70% nell’Unione. Malgrado la diversità delle situazioni e delle politiche nell’UE, un’azione a livello comunitario, ad esempio sotto forma di elaborazione di principi comuni, di prescrizioni di base o di altri mezzi in grado di rafforzare le raccomandazioni del 1992, potrebbe recare un valore aggiunto agli sforzi realizzati dagli Stati membri, dando orientamenti o stabilendo un quadro comune di analisi per confrontare e valutare le realizzazioni e i mezzi d’azione.

    2.2. La consultazione

    Conformemente all’articolo 138 del trattato, che enuncia le condizioni da rispettare per formulare proposte nel settore della politica sociale, la presente comunicazione ha per oggetto di lanciare una consultazione delle parti sociali a livello comunitario sugli orientamenti esposti al successivo paragrafo 2.3. Tenuto conto del tema affrontato, questa consultazione sarà allargata alle autorità pubbliche a tutti i livelli, considerando la loro responsabilità fondamentale in materia di elaborazione, di finanziamento e di amministrazione delle politiche d’integrazione degli esclusi, nonché alle organizzazioni della società civile che vigilano sugli interessi delle persone coperte dai regimi in questione e/o che offrono loro servizi complementari.

    Allo stesso tempo, la comunicazione è rivolta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni.

    2.3. Gli orientamenti

    Al fine di individuare le possibili direzioni di una futura azione a livello europeo a sostegno delle politiche nazionali volte a favorire un’integrazione più efficace delle persone escluse dal mercato del lavoro, la Commissione invita le parti sociali, le autorità pubbliche e le altre parti interessate della società civile a esprimere il loro parere sui seguenti temi:

    1. Di fronte alla sfida che rappresenta per gli Stati membri l’integrazione sociale e in particolare l’integrazione delle persone più lontane dal mercato del lavoro, è necessaria un’azione complementare a livello dell’Unione? In caso affermativo, quali sono i mezzi più utili attraverso i quali l’Unione potrebbe integrare e sostenere l’azione nazionale?

    2. Come può l’Unione basarsi sugli elementi comuni definiti nella raccomandazione del 1992 per promuovere i diritti degli esclusi e l’accesso ai servizi necessari al loro inserimento, tenuto conto delle innovazioni realizzatesi da allora?

    3. Un’azione a livello dell’Unione può essere giustificata sulla base dell’articolo 137, paragrafo 1, lettera h)? In questo contesto gli aspetti riguardanti l’attivazione e l’accesso al mercato del lavoro potrebbero essere oggetto di un negoziato fra le parti sociali?

    2.4. Le prossime tappe

    La presente comunicazione è la prima tappa del processo di consultazione. Per quanto riguarda le parti sociali a livello dell’UE, la comunicazione lancia il processo di consultazione previsto all’articolo 138, paragrafo 2, del trattato. Le parti sociali sono invitate ad esprimere il loro parere sulle domande poste al paragrafo 2.3. per consentire la partecipazione delle altre istituzioni e organizzazioni interessate a livello dell’UE e sul piano nazionale, la comunicazione sarà pubblicata sul sito internet della Direzione generale Occupazione e affari sociali :

    http://europa.eu.int/comm/employment_social/consultation_en.html). Tutte le parti interessate possono formulare i loro commenti o suggerimenti e inviarli tramite posta elettronica unicamente al seguente indirizzo: empl-active-inclusion@cec.eu.int. I commenti dovranno pervenire entro [data di adozione +10 settimane]. La Commissione procederà d un esame particolareggiato dei contributi ricevuti e renderà pubbliche le sue conclusioni, sulla base delle quali potrà passare alla seconda fase di consultazione prevista all’articolo 138, paragrafo 3.

    [1] Cfr. gli "Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione (2005-2008)",GU L 205 del 6.8.2005, pag. 21.

    [2] La strategia europea per l’occupazione ha svolto un ruolo fondamentale in questo cambio di politica. In seguito alla revisione della strategia di Lisbona e all’adozione degli orientamenti integrati, si richiede ora agli Stati membri di adottare tutta una gamma di misure volte a “garantire ai mercati del lavoro che favoriscano l’inserimento, a rafforzare l’attrattiva dei posti di lavoro e rendere il lavoro finanziariamente attraente per coloro che sono alla ricerca di un'occupazione, comprese le persone svantaggiate e le persone inattive" (Orientamento n. 19).

    [3] In mancanza di dati comparabili nel 2003 per paesi che rappresentano più del 75% della popolazione dell’UE-25, Eurostat non pubblica queste statistiche a livello dell’UE-25. I valori suggeriti per il tasso di rischio di povertà prima e dopo il trasferimento (rispettivamente 25% e 16%) sono tuttavia simili a quelli dell’ultimo anno per il quale le cifre sono attualmente calcolate e pubblicate (2001): rispettivamente 24% e 15%. A livello delle statistiche demografiche, su una popolazione dell’UE-25 di circa 452,5 milioni di persone, 68 milioni erano considerati come esposti a questo rischio.

    [4] Comprendendo tutte le forme di assistenza sociale, gli assegni familiari e le prestazioni di disoccupazione, ma ad esclusione delle pensioni.

    [5] Percentuale della popolazione che vive in una famiglia il cui reddito equivalente è inferiore al 60% alla mediana nazionale. Visto il carattere convenzionale della soglia prescelta, questo indicatore è generalmente definito misura del rischio di povertà .

    [6] L’anno 2000 è l’ultimo anno per il quale esistono cifre comparabili a livello dell’UE-5(non per l’UE-25), il tasso era allora del 9%.

    [7] Rispettivamente raccomandazioni 92/442/CEE del 27 luglio 1992 e 92/441/CEE del 24 giugno 1992.

    [8] COM(1998) 774 del 25 gennaio 1999.

    [9] Commissione europea (2005): "Report on social inclusion 2005 (Relazione sull’integrazione sociale 2005). Analisi dei Piani d’azione nazionali sull’integrazione sociale (2004-2006) presentati dai 10 nuovi Stati membri". Direzione generale Occupazione, affari sociali e pari opportunità, Lussemburgo, febbraio, 193 pagg.

    [10] La Relazione congiunta 2004 sottolineava inoltre la sfida di "collegare i regimi di sostegno al reddito e i programmi volti a migliorare l'accesso alle persone al mercato del lavoro e a porre fine alla dipendenza di lungo periodo. Raccomandava inoltre un’attenta scelta dei programmi di fiscalità, di sostegno al reddito e di salario minimo al fine di garantire che il lavoro fosse sufficientemente remunerativo in modo tale da far uscire le persone dalla condizione di povertà (pag. 36).

    [11] Cfr. gli "Orientamenti per le politiche dell’occupazione degli Stati membri (2005-2008)",GU L 205 del 6.8.2005, pag. 21.

    [12] Cfr. COM(2003)842 del 30 dicembre 2003.

    [13] Didier Fouarge . "The costs of non-social policy", DG EMPL, 2003.

    [14] Secondo un recente studio riguardante 13 Stati membri dell’UE e fondato sulle cifre di reddito del periodo 1993-1997, una quota compresa fra il 2% e il 13% della popolazione dei paesi in questione è vissuta in un determinato momento al di sotto del livello del reddito minimo nazionale (più o meno) garantito. (Vedi Nicaise, I. et al. : (2004) Gaps, traps and springboards in European minimum income systems . HIVA (Università cattolica di Lovanio) e CRSP (Loughborough University), 134 pp.).

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