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Document 52001DC0506

Relazione della Commissione - Terza Relazione della Commissione sulla cittadinanza dell'Unione

/* COM/2001/0506 def. */

52001DC0506

Relazione della Commissione - Terza relazione della Commissione sulla cittadinanza dell'Unione /* COM/2001/0506 def. */


RELAZIONE DELLA COMMISSIONE - Terza relazione della Commissione sulla cittadinanza dell'Unione

Riassunto

La presente relazione si concentra sui diritti previsti dalla seconda parte del trattato CE. Essa tiene tuttavia conto di progressi registrati nei settori strettamente connessi con la cittadinanza in senso lato, quali la protezione dei diritti fondamentali, compresa la lotta contro qualsiasi forma di discriminazione illegale.

In quest'ambito, meritano speciale attenzione due testi: la proposta di direttiva riguardante il diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri delle loro famiglie di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, nonché la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

La proposta di direttiva sul diritto di soggiorno

La proposta di direttiva sul diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri delle loro famiglie di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, adottata dalla Commissione il 23 maggio 2001, si inquadra nel contesto giuridico e politico venutosi a creare con l'istituzione della cittadinanza dell'Unione. Essa mira in particolare a sostituire i vari strumenti legislativi esistenti in materia con un unico strumento, a snellire e semplificare le condizioni e le formalità per l'esercizio di tale diritto, nonché a chiarire le limitazioni di questi diritti dettate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità.

La novità di rilievo introdotta dalla proposta è che, dopo quattro anni di residenza continuata, il cittadino acquisisce un diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospite. Una volta acquisito, questo diritto non è più soggetto a condizioni di sorta.

Viene così data una risposta ai principali problemi e ostacoli che si frappongono all'esercizio del diritto di libera circolazione, che la Commissione ha individuato a più riprese.

La Carta dei diritti fondamentali

Nei giorni 3 e 4 giugno 1999, i capi di Stato e di governo riuniti a Colonia si sono messi d'accordo sulla necessità di adottare una Carta dei diritti fondamentali, affinché la loro rilevanza eccezionale e la loro portata venissero ribadite in forma visibile per i cittadini dell'Unione.

Per condurre in porto questa iniziativa, il Consiglio europeo ha deciso di insediare un'istanza apposita (cui è stato dato il nome di Convenzione) composta da rappresentanti del Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali, dei governi nazionali e della Commissione.

Tra il 17 dicembre 1999 (data della sua prima riunione) e il 2 ottobre 2000 (data alla quale il testo è stato presentato al Consiglio europeo di Biarritz), la Convenzione ha svolto un lavoro notevole, riuscendo a delineare un consenso molto ampio su un progetto di Carta ambizioso e innovativo, ma anche pragmatico.

La Carta è stata proclamata a Nizza da tutte e tre le istituzioni. Essa non è stata integrata nei trattati, ma il suo carattere giuridico formerà oggetto di esame in seguito alla discussione pubblica avviata per preparare la Conferenza intergovernativa del 2004.

La Carta riunisce per la prima volta in un unico testo tutti i diritti delle persone: i diritti civili e politici, quelli economici e sociali, nonché i diritti dei cittadini dell'Unione europea. Essa comporta 54 articoli, preceduti da un preambolo. Oltre alle disposizioni generali riprese al termine del testo (articoli 51-54), gli articoli sono accorpati in base a sei valori fondamentali: dignità (articoli 1-5); libertà (articoli 6-19); uguaglianza (articoli 20-26); solidarietà (articoli 27-38); cittadinanza (articoli 39-46); giustizia (articoli 47-50).

Vale la pena di rammentare che, ai sensi dell'articolo 51, le disposizioni della Carta sono rivolte alle istituzioni e agli organi dell'Unione, nonché agli Stati membri, soltanto ove diano attuazione al diritto dell'Unione.

Il capitolo V della Carta, relativo alla cittadinanza, raggruppa i diritti che figurano nella seconda parte del trattato CE: diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni per il Parlamento europeo (articolo 39), diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali (articolo 40), diritto di adire il mediatore (articolo 43), diritto di petizione presso il Parlamento europeo (articolo 44), libertà di circolazione e di soggiorno (articolo 45), tutela diplomatica e consolare (articolo 46). Questo capitolo V della Carta riprende altresì il diritto d'accesso ai documenti (articolo 42), che figura all'articolo 255 del trattato nonché per l'importanza sempre maggiore che viene annessa a procedure amministrative eque per garantire la salvaguardia dei diritti e degli interessi delle persone, il diritto a una buona amministrazione (articolo 41), che è un'innovazione della Carta e ricalca i principi decretati al riguardo da un'abbondante giurisprudenza della Corte di giustizia.

Diritto di voto e di eleggibilità per il Parlamento europeo e alle elezioni comunali

La Commissione constata che il tasso di partecipazione dei cittadini dell'Unione alle elezioni per il Parlamento europeo nello Stato membro di residenza è risultato molto basso (9%), quantunque leggermente al di sopra di quello registrato nel 1994 e con una tendenza all'aumento in tutti gli Stati membri, tranne in Germania.

La Commissione esorta tutti gli Stati membri ad attuare un sistema di contatto diretto e personale con gli elettori comunitari e li sprona a seguire altre strategie, mettendo per esempio a disposizione moduli per l'iscrizione alle liste elettorali in occasione di ogni contatto con le autorità locali o nazionali.

Quanto alle elezioni municipali, prima del marzo 2002 la Commissione presenterà una relazione per fare il punto sull'applicazione della direttiva e sull'evoluzione registrata presso l'elettorato dopo l'entrata in vigore della direttiva stessa.

Diritto alla tutela diplomatica e consolare

Le decisioni prese dai rappresentanti dei governi degli Stati membri per porre in essere questo diritto non sono entrate in vigore, dato che non tutti gli Stati membri hanno adottato nel proprio ordinamento giuridico interno le procedure necessarie per la sua applicazione.

Ciononostante, all'atto pratico sembra che tutti gli Stati membri abbiano disposto provvedimenti per garantire che i cittadini dell'Unione possano beneficiare della tutela diplomatica e consolare in un paese terzo nel quale il loro Stato d'origine non disponga di una rappresentanza.

Diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo e diritto di adire il mediatore

Il numero di petizioni presentate dinanzi al Parlamento segna una lieve flessione tendenziale (3 274 per il periodo 1997-2000, contro 3 628 nel 1994-1997), ma continua a rimanere alquanto elevato.

Il gran numero di petizioni dichiarate inammissibili mostra che i cittadini non hanno una chiara visione delle competenze dell'Unione o dei diritti che la cittadinanza dell'Unione conferisce.

Il numero di denunce rivolte al mediatore tra il 1997 e il 1999 non ha cessato di aumentare (1 181 denunce nel 1997, 1 372 nel 1998 e 1 577 nel 1999). Va tuttavia sottolineato il numero rilevante di denunce dichiarate irricevibili (73% nel 1997, 69% nel 1998 e 73% nel 1999), in quanto esulano dall'ambito del mandato del mediatore europeo.

Misure di lotta contro il razzismo

Il 1997 è stato dichiarato anno europeo contro il razzismo. Questo anno europeo ha offerto l'occasione per avviare iniziative e compiere progressi significativi nella lotta contro il razzismo. Vale in particolare la pena di segnalare il piano d'azione contro il razzismo, la creazione di una rete europea contro il razzismo, l'istituzione di un osservatorio dei fenomeni razzisti e xenofobi. Il razzismo rappresenta un pericolo per le nostre società europee. Nella lotta contro questa piaga, le istituzioni europee possono svolgere un ruolo di primo piano.

Misure antidiscriminazione

La Commissione ha adottato vari strumenti d'applicazione dell'articolo 13 TCE. La direttiva 2000/43/CE mira a vietare in tutti gli Stati membri qualsiasi discriminazione fondata sull'origine razziale o etnica in vari settori quali l'occupazione, l'istruzione, la previdenza sociale, le cure mediche o l'accesso ai beni e servizi. La direttiva 2000/78/CE mira a definire un quadro generale di contrasto della discriminazione in materia di assunzioni e condizioni di lavoro fondata sulla religione o sui convincimenti personali, su una menomazione fisica, sull'età o sulle inclinazioni sessuali. Da ultimo, la decisione 2000/750/CE stabilisce un programma comunitario di lotta contro la discriminazione.

Questi testi dimostrano che la Comunità ambisce a promuovere una società più giusta e seguono un'impostazione pragmatica, concentrandosi sui principali settori nei quali la discriminazione produce conseguenze evidenti.

Informazione dei cittadini

La presente relazione sottolinea a varie riprese la necessità di informare meglio i cittadini in merito ai loro diritti.

Negli ultimi anni si sono prese iniziative significative, in particolare con l'avvio del "Dialogo coi cittadini e con le imprese", con la creazione di "Europa in diretta" e del "Servizio di orientamento".

1. INTRODUZIONE

2. CITTADINANZA DELL'UNIONE

3. I DIRITTI CHE LA CITTADINANZA DELL'UNIONE CONFERISCE

3.1. Il diritto di circolare e soggiornare liberamente

3.1.1. La proposta di direttiva sul diritto di libero soggiorno e di libera circolazione

3.1.2. Applicazione delle direttive sul diritto di soggiorno per la popolazione inattiva, i pensionati e gli studenti

3.1.3. Comunicazione della Commissione sui provvedimenti speciali, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità

3.1.4. Mobilità a fini di istruzione, formazione e ricerca

3.2. Il diritto di voto e di eleggibilità nello Stato membro di residenza

3.2.1. Elezioni comunali

3.2.2. Elezioni per il Parlamento europeo

3.3. Diritto alla tutela diplomatica e consolare

3.4. Diritto di petizione

3.5. Il mediatore europeo

4. DIRITTI FONDAMENTALI

4.1. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione

4.1.1. Il metodo della Convenzione

4.1.2. Il contenuto della Carta

4.1.3. Gli sviluppi futuri relativi alla Carta

4.2. Strumenti giuridici contro la discriminazione

4.3. Programma Daphne

4.4. Misure di lotta contro il razzismo

5. L'INFORMAZIONE DEI CITTADINI DELL'UNIONE

1. Introduzione

L'articolo 22 del trattato CE recita: "La Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico sociale, ogni tre anni, in merito all'applicazione delle disposizioni della presente parte. Tale relazione tiene conto dello sviluppo dell'Unione".

In applicazione di questa disposizione, sono già state adottate due relazioni. La prima [1] si riferiva al 1993. La seconda [2] copriva il periodo 1994-1996.

[1] COM(93) 702 def.

[2] COM(97) 230 def.

La presente relazione sulla cittadinanza dell'Unione, la terza, dovrebbe quindi riferirsi agli anni 1997, 1998 e 1999. La Commissione ha però preferito in questa terza relazione dar conto di due sviluppi significativi in materia di cittadinanza: la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali (al Consiglio europeo di Nizza, nel dicembre 2000) e l'adozione, da parte della Commissione, della proposta di direttiva [3] sul diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri della loro famiglia di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri ("riassetto" del diritto di soggiorno).

[3] COM(2001) 257 def.

Ecco perché questa terza relazione coprirà un periodo più lungo che va fino all'adozione da parte della Commissione della sua proposta di riassetto del diritto di soggiorno.

Conformemente all'articolo 22 del trattato CE, la presente relazione si concentrerà sull'applicazione delle disposizioni del trattato stesso, il cui titolo è per l'appunto "Cittadinanza dell'Unione". Essa passerà quindi in rassegna la portata della cittadinanza dell'Unione, la libertà di circolazione e residenza sul territorio degli Stati membri, il diritto di voto e di eleggibilità nello Stato membro di residenza alle elezioni comunali e per il Parlamento europeo, la tutela diplomatica e consolare, nonché i diritti di petizione dinanzi al Parlamento europeo e di denuncia presso il mediatore.

Ai sensi però del paragrafo 2 dell'articolo 17 TCE, i cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal trattato. I diritti enunciati nella seconda parte del trattato (cittadinanza dell'Unione) costituiscono quindi il nucleo centrale dei diritti inerenti alla cittadinanza, senza però esaurirne la sostanza. Il trattato CE conferisce ai cittadini dell'Unione altri diritti, enunciati altrove nei trattati, quali il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità (articolo 12).

Risulta quindi giustificato che la presente terza relazione sulla cittadinanza dell'Unione travalichi l'ambito dei diritti specifici sanciti nella seconda parte del trattato CE e affronti altresì temi che presentano una connessione evidente con la cittadinanza dell'Unione, in particolare la lotta contro qualsiasi forma di discriminazione e, in termini più generali, la protezione dei diritti fondamentali nell'Unione.

2. Cittadinanza dell'Unione

Il termine cittadinanza è di difficile definizione, in particolare per la maggiore o minore sinonimia con il concetto di "nazionalità" o persino di "identità". Se è possibile dire, come fece Condorcet, che cittadini non si nasce, lo si diventa grazie all'istruzione, il trattato CE, per quello che riguarda la cittadinanza dell'Unione, ha fissato una genesi più prosaica: è cittadino dell'Unione chiunque abbia la nazionalità di uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione è quindi, come hanno rilevato vari commentatori, una cittadinanza in "sovrapposizione", che va ad aggiungersi alla cittadinanza nazionale, e magari a quella regionale e locale, in una cittadinanza a più livelli. Questo concetto è stato esplicitato dal trattato di Amsterdam, che ha aggiunto nel primo comma dell'articolo 17: la cittadinanza dell'Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest'ultima.

La Commissione rileva che il nesso fra cittadinanza di uno Stato membro e cittadinanza dell'Unione, non sempre viene inteso correttamente dai cittadini [4].

[4] La Commissione riceve un numero non trascurabile di lettere che chiedono quali siano i passi da compiere per diventare cittadini dell'Unione senza passare per la cittadinanza di uno Stato membro. Si veda altresì la dichiarazione del sig. Emil Scuka, presidente dell'Unione internazionale dei Rom, in occasione di una conferenza stampa presso il Senato italiano, in data 4 dicembre 2000: "Per i rom d'Europa, la sola cittadinanza veramente consona è quella europea" (citazione ripresa da un lancio dell'agenzia France Press del 4 dicembre 2000).

Non è quindi superfluo precisare quanto segue.

- Spetta a ciascuno Stato membro definire i requisiti di acquisizione e perdita della cittadinanza nazionale. La dichiarazione n. 2 allegata al trattato di Maastricht (che ha istituito la cittadinanza dell'Unione) precisa a chiare lettere: ogni qualvolta nel trattato che istituisce la Comunità europea si fa riferimento ai cittadini degli Stati membri, stabilire se una persona abbia la nazionalità di questo o quello Stato membro sarà possibile soltanto in riferimento al diritto nazionale dello Stato membro in questione.

- Non vi è alcuna forma autonoma di acquisizione della cittadinanza dell'Unione. La nazionalità di uno Stato membro è l'unico modo per acquisire la cittadinanza dell'Unione. Gli Stati membri non possono invece disconoscere la qualità di cittadino dell'Unione, neppure qualora una persona abbia anche la nazionalità di un paese terzo [5].

[5] Causa C-369/90, Micheletti, sentenza del 7.7.1992, Raccolta della giurisprudenza 1992, pag. I-4239.

La cittadinanza dell'Unione è, al tempo stesso, fonte di legittimazione del processo di integrazione europea, grazie alla maggiore partecipazione dei cittadini, ed elemento fondamentale per infondere un sentimento di appartenenza all'Unione europea nei cittadini, che si traduca in un'autentica identità europea.

Nel valutare la portata della cittadinanza dell'Unione occorre evitare qualsiasi tentativo di parallelismo con la cittadinanza nazionale. Per la sua genesi, oltre che per i diritti e i doveri che comporta, la cittadinanza dell'Unione è sui generis e non comparabile alla nazionalità di uno Stato membro.

In questa nuova cittadinanza plurima, a più livelli, quella dell'Unione è complementare alla cittadinanza nazionale, ma non la sostituisce.

3. I diritti che la cittadinanza dell'Unione conferisce

3.1. Il diritto di circolare e soggiornare liberamente

3.1.1. La proposta di direttiva sul diritto di libero soggiorno e di libera circolazione

L'articolo 18 del trattato CE conferisce a qualsiasi cittadino dell'Unione il diritto di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri. Questo diritto, integrato nella seconda parte del trattato, si configura come un diritto fondamentale e personale.

Come veniva evidenziato nella seconda relazione sulla cittadinanza dell'Unione, il diritto di ingresso e soggiorno per i cittadini dell'Unione è disciplinato da un corpus legislativo complesso, composto da due regolamenti (uno dei quali della Commissione) e nove direttive. Questi testi, fondati su varie basi giuridiche del trattato CE, coprono categorie diverse di beneficiari e prevedono talvolta diritti specifici riservati alla categoria di appartenenza del beneficiario.

La necessità di ristrutturare questi strumenti legislativi, in funzione della cittadinanza dell'Unione, è stata individuata dalla Commissione [6], confermata dal Consiglio europeo di Bruxelles nel dicembre 1993 [7] e ribadita dal Consiglio europeo di Nizza [8].

[6] Relazione della Commissione al Consiglio europeo sull'adeguamento della legislazione esistente al principio di sussidiarietà: COM(93) 545 def., del 24.11.1993.

[7] Conclusioni del Consiglio - Boll. CE n. 12, 1993, pag. 14, punto I.14.

[8] Conclusioni del Consiglio, Allegato I, punto I, h), terzo trattino.

Le difficoltà che questa operazione presenta sono note e sono state esposte in dettaglio nella seconda relazione sulla cittadinanza dell'Unione [9].

[9] Si veda il punto 4.3, pagg. 17-18.

Il 23 maggio 2001 la Commissione ha adottato una proposta di direttiva sul diritto dei cittadini dell'Unione e dei membri della loro famiglia di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri [10]. Le basi giuridiche sottese a questo testo sono gli articoli 12, 18, paragrafo 2, 40, 44 e 52 del trattato [11].

[10] COM(2001) 257.

[11] Il ricorso alle basi giuridiche specifiche degli articoli 40, 44 e 52, che coprono le persone le quali esercitano un'attività economica nello Stato membro ospite, si è reso necessario per mantenere i diritti specifici previsti per questa categoria di persone.

Questa proposta di direttiva si inquadra nel contesto giuridico e politico venutosi a determinare con l'istituzione della cittadinanza dell'Unione. Essa tiene conto delle conclusioni del gruppo ad alto livello sulla libera circolazione delle persone, della comunicazione della Commissione sul seguito dato a tali raccomandazioni [12], della seconda relazione sulla cittadinanza, delle risoluzioni del Parlamento europeo e dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia.

[12] COM(1998)403.

La proposta di direttiva si prefigge gli obiettivi seguenti:

- sostituire i vari strumenti legislativi esistenti con uno strumento legislativo unico;

- snellire le condizioni e formalità per l'esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno negli Stati membri ad opera dei cittadini dell'Unione;

- introdurre il diritto di soggiorno permanente;

- agevolare l'esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno per i membri del nucleo familiare;

- chiarire e circoscrivere il limite cui è soggetto l'esercizio di questi diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità.

La proposta di direttiva si applica a tutte le categorie di beneficiari del diritto di soggiorno. Lavoratori dipendenti e autonomi, studenti, popolazione non attiva e pensionati.

La proposta riduce allo stretto indispensabile le condizioni e formalità amministrative connesse con l'esercizio del diritto di soggiorno. Per soggiorni inferiori a sei mesi, basta essere in possesso di un documento d'identità. Per soggiorni di durata superiore a sei mesi, il cittadino dell'Unione dovrà garantire allo Stato membro ospite, mediante una semplice dichiarazione, che esercita un'attività economica o dispone delle risorse sufficienti e di un'assicurazione malattia. Per un primo periodo di soggiorno fino a quattro anni, la carta di soggiorno per i cittadini dell'Unione è soppressa e sostituita dalla registrazione presso i servizi anagrafici del luogo di residenza.

La grande novità introdotta dalla proposta è che, dopo quattro anni di residenza continuata, il cittadino acquisisce un diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospite. Una volta acquisito, questo diritto non è più soggetto a condizioni di sorta e viene sancito da un apposito documento.

La proposta agevola altresì l'esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno per i membri della famiglia. I membri della famiglia cittadini di paesi terzi beneficiano anch'essi di una maggiore tutela giuridica, in particolare in occasione del decesso del cittadino dell'Unione da cui dipendono o, a determinate condizioni, in caso di scioglimento del matrimonio.

Infine, la proposta circoscrive maggiormente la possibilità di rifiutare o porre termine al soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità. Essa garantisce ai cittadini dell'Unione una migliore tutela amministrativa non meno che giurisdizionale, nel quadro delle misure che limitano il loro diritto di soggiorno, oltre a concedere anche una completa protezione ai minori e alle persone che hanno acquisito un diritto di soggiorno permanente, nei confronti delle quali è esclusa la possibilità di un'espulsione per motivi di ordine pubblico. Sempre in quest'ambito, la proposta integra e sostituisce le disposizioni della direttiva 64/221/CEE del Consiglio del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità [13].

[13] GU 56 del 4.4.1964, pag. 850/64. Direttiva modificata da ultimo con direttiva 75/35/CEE (GU L 14 del 20.1.1975 pag. 14).

3.1.2. Applicazione delle direttive sul diritto di soggiorno per la popolazione inattiva, i pensionati e gli studenti

Il 17 marzo 1999 la Commissione ha adottato una relazione [14] sull'applicazione delle direttive 90/364/CEE [15] (diritto di soggiorno delle persone inattive), 90/365/CEE [16] (diritto di soggiorno dei pensionati) e 93/96 [17] (diritto di soggiorno degli studenti).

[14] COM(1999)127 def.

[15] GU L 180, del 13.7.1990, pag. 26.

[16] GU L 180, del 13.7.1990, pag. 28.

[17] GU L 317, del 18.12.1993, pag. 59. La direttiva 93/96 è stata adottata in seguito all'annullamento della direttiva 90/366 per ordine della Corte di giustizia.

L'attuazione delle direttive nelle legislazioni nazionali ha registrato un certo ritardo nella massima parte degli Stati membri, giacché solo tre paesi hanno recepito le direttive alla data prevista (30 giugno 1992). La Corte di giustizia, con sentenza 20 marzo 1997 [18], ha condannato la Germania per mancata adozione nei termini prescritti delle disposizioni necessarie ad attuare nell'ordinamento nazionale le direttive 90/364 e 90/365.

[18] Causa C-96/95, Commissione contro Repubblica federale di Germania, Racc. 1997, I-1653.

Anche il contenuto delle leggi di attuazione è risultato insoddisfacente, dato che la Commissione ha dovuto avviare procedure di infrazione per attuazione non conforme contro 14 Stati membri. La massima parte delle procedure è però stata archiviata, dopo periodi di tempo variabili, grazie alle modifiche che gli Stati membri hanno apportato alla loro legislazione. Nondimeno, la Commissione ha dovuto citare l'Italia dinanzi alla Corte di giustizia. Quest'ultima, con sentenza 25 maggio 2000 [19], ha constatato che l'Italia ha contravvenuto agli obblighi che le incombono ai sensi delle direttive 90/364, 90/365 e 93/96, per aver limitato i mezzi di prova che è possibile invocare - segnatamente disponendo che alcuni documenti debbano essere rilasciati o vistati dall'autorità di un altro Stato membro -, per aver preteso che gli studenti garantiscano di disporre di risorse per un determinato importo, senza però permettere loro una chiara scelta fra una dichiarazione o qualsiasi altro mezzo almeno equivalente, e da ultimo infine per il fatto di non ammettere il ricorso a una dichiarazione per i cittadini accompagnati da membri della loro famiglia.

[19] Causa C-424/98, Commissione contro Repubblica italiana, Racc. 2000, I-4001.

Alla fine, gli Stati membri hanno riconosciuto la fondatezza delle argomentazioni della Commissione, e modificato di conseguenza le loro misure di attuazione. Tuttavia, l'iter delle procedure per infrazione è stato relativamente lento, col risultato che l'erronea attuazione delle direttive ha privato i cittadini dell'Unione di alcuni loro diritti o li ha messi in situazioni di ingiustificata difficoltà, sotto il profilo amministrativo, per un periodo alquanto lungo.

La Commissione è del parere che occorra:

* adoperarsi maggiormente per informare i cittadini circa l'estensione dei loro diritti in materia di libera circolazione;

* continuare a garantire con fermezza il rispetto del diritto comunitario vigente, in particolare attraverso un vigile monitoraggio delle pratiche amministrative seguite dagli Stati membri;

* rendere più perspicuo il diritto comunitario in materia di libera circolazione delle persone e ristrutturarlo incentrandolo sul concetto di cittadinanza. La Commissione ha cercato di mettere in pratica quest'ultima constatazione adottando, in data 23 maggio 2001, la proposta di direttiva sul diritto dei cittadini dell'Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (si veda il precedente punto 3.1.1).

3.1.3. Comunicazione della Commissione sui provvedimenti speciali, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità [20]

[20] COM(1999)372 def. del 19.7.1999.

Il diritto di libera circolazione per i cittadini dell'Unione, diritto fondamentale e individuale, conferito a prescindere da qualsiasi contesto economico, è soggetto a limiti e condizioni previsti dal trattato e dalle disposizioni adottate per la sua applicazione.

In particolare, gli articoli 39, paragrafo 3, 46, paragrafo 1, e 55 del trattato CE permettono agli Stati membri di limitare la libera circolazione delle persone per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di pubblica sanità. Queste misure devono essere conformi alle disposizioni della direttiva 64/221/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1964 [21].

[21] GU 56, del 4.4.1964, pag. 850.

Visto che nel corso degli anni tale direttiva ha formato oggetto di abbondanti interpretazioni da parte della Corte di giustizia, che l'introduzione della cittadinanza dell'Unione modifica il contesto in cui l'interpretazione della direttiva si iscrive, ma tenendo conto altresì degli insegnamenti ricavati dalle numerose denunce di cittadini per l'applicazione della direttiva, la Commissione ha deciso di adottare una comunicazione, per richiamare l'attenzione sulle principali difficoltà legate all'applicazione della direttiva, nonché offrire alcuni orientamenti circa i modi per risolvere queste difficoltà.

Al termine della comunicazione, la Commissione giunge alle conclusioni seguenti.

* L'applicabilità delle disposizioni nazionali per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di pubblica sanità è prevista dal trattato che istituisce la Comunità europea, garantendo quindi agli Stati membri alcuni poteri discrezionali.

* L'applicazione della definizione nazionale e dei criteri nazionali a qualsiasi provvedimento disposto per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza resta comunque soggetta alla legislazione comunitaria. In particolare, nel decidere una misura di allontanamento dal territorio nazionale le autorità nazionali dovrebbero tener conto del diritto personale e fondamentale di libera circolazione dei cittadini dell'Unione, nonché del principio di proporzionalità, oltre a garantire il rispetto dei diritti fondamentali.

* Qualsiasi provvedimento preso per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza deve essere dettato da una minaccia reale e sufficientemente grave, che leda un interesse fondamentale della società, e deve rispettare i diritti fondamentali dell'interessato, quali sono garantiti nell'ordinamento giuridico comunitario.

* Le garanzie di natura amministrativa e giurisdizionale previste dalla direttiva 64/221/CEE, secondo l'interpretazione datane dalla Corte di giustizia, deve essere rigorosamente rispettata, compreso il diritto di essere informati sui motivi sottesi a qualsiasi provvedimento preso, nonché sulle relative conseguenze, come pure il diritto a un nuovo esame del caso.

* È opportuno sottolineare la rilevanza che assume la valutazione globale della situazione personale (familiare, sociale e culturale) prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale nei confronti di un cittadino dell'Unione o di un membro della sua famiglia, a prescindere dalla loro nazionalità. A questa valutazione occorre procedere caso per caso senza invocare motivi di prevenzione generale. Le condanne penali precedenti costituiscono solo uno degli elementi da prendere in considerazione in questa valutazione globale e non giustificano, da soli, nessuna delle misure prese per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

* Si deve porre la massima attenzione a preservare i diritti, compresa la tutela della vita familiare, dei cittadini dell'Unione che risiedono per un lungo periodo di tempo in un altro Stato membro o non abbiano raggiunto la maggiore età, nonché i diritti del gruppo di beneficiari più vulnerabile, vale a dire i cittadini di paesi terzi membri della famiglia di un cittadino dell'Unione.

3.1.4. Mobilità a fini di istruzione, formazione e ricerca

Due strumenti investono le questioni di mobilità nei settori dell'istruzione, della formazione e della ricerca:

- la raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilità nella Comunità degli studenti, delle persone in formazione, dei giovani volontari, degli insegnanti e dei formatori, adottata il 25 giugno 2001;

- il piano d'azione in materia di mobilità (PAM), un'iniziativa presa dalla presidenza francese di concerto con la Commissione europea, in seguito al mandato conferito dal Consiglio europeo di Lisbona, adottato sotto forma di risoluzione dal Consiglio, in data 14 dicembre 2000, e approvato dal consiglio europeo di Nizza.

La mobilità delle persone che partecipano a un'attività di formazione oppure svolgono un periodo di insegnamento o di volontariato, costituisce un risvolto sempre più importante dell'affermazione della cittadinanza europea, nonché uno strumento di integrazione interculturale e sociale.

La raccomandazione, fondata sugli articoli 149 e 150 del trattato, mira a sopprimere i notevoli ostacoli che sussistono in materia di libera circolazione degli studenti, delle persone in formazione, dei giovani volontari, degli insegnanti e dei formatori. Essa invita gli Stati membri a introdurre strategie volte a integrare il risvolto della mobilità transnazionale nelle loro politiche nazionali applicate ai gruppi cui la raccomandazione si riferisce.

La raccomandazione e il piano d'azione invitano altresì la Commissione a cooperare con gli Stati membri per scambiare informazioni circa le possibilità di mobilità transnazionale con i gruppi interessati, in particolare allestendo un portale Internet che consenta di accedere facilmente alle varie fonti di informazione sulla mobilità.

Da ultimo, la raccomandazione e il piano d'azione prevedono che ogni due anni venga presentata al Parlamento e al Consiglio una relazione sull'attuazione dei progetti.

La Commissione si adopererà altresì per rimuovere gli ostacoli alla mobilità dei ricercatori, conformemente agli obiettivi definiti dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000, nel quadro della definizione di un'area europea di ricerca. Nel luglio 2000 la Commissione ha insediato un gruppo di esperti ad alto livello sul miglioramento della mobilità dei ricercatori: questo gruppo ha pubblicato una relazione sulla scorta della quale la Commissione ha presentato nel giugno 2001 la propria comunicazione "Una strategia di mobilità per lo spazio europeo della ricerca" [22], in cui si propone di avviare una serie di iniziative.

[22] COM(2001)331 def.

Il diritto per qualsiasi cittadino di circolare e soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri costituisce il diritto centrale della cittadinanza dell'Unione.

Il mantenimento della legislazione precedente all'istituzione della cittadinanza dell'Unione, disseminata in numerosi testi giuridici settoriali, costituisce un retaggio del passato di cui occorre disfarsi.

La nuova proposta di direttiva sul diritto di soggiorno apporta una maggiore semplicità e leggibilità. Essa risponde ai principali problemi e ostacoli all'esercizio di questo diritto, messi in evidenza sia nella comunicazione sull'applicazione delle direttive riguardanti le persone inattive, i pensionati e gli studenti, che nella comunicazione relativa ai provvedimenti disposti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di pubblica sanità.

L'esercizio di questo diritto fondamentale della cittadinanza dell'Unione ne risulterà quindi agevolato, il che semplificherà l'ordinamento comunitario secondo le raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio europeo.

La portata pratica della cittadinanza dell'Unione ne risulterà rafforzata agli occhi dei numerosi cittadini degli Stati membri che, per periodi più o meno lunghi, esercitano il diritto alla libera circolazione.

3.2. Il diritto di voto e di eleggibilità nello Stato membro di residenza

3.2.1. Elezioni comunali

L'articolo 19, paragrafo 1 del trattato CE garantisce a qualsiasi cittadino dell'Unione che risiede in uno Stato membro di cui non ha la cittadinanza il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro di residenza, alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato medesimo.

Il 19 dicembre 1994 il Consiglio ha adottato la direttiva 94/80/CE [23], che fissa le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la nazionalità [24].

[23] GU L 368 del 31.12.1994, pag. 38.

[24] Per un'illustrazione del contenuto della direttiva, si veda la seconda relazione sulla cittadinanza, COM(97) 230 def., punto 1.1.

La direttiva 94/80/CE è ora attuata in tutti gli Stati membri [25].

[25] Il Belgio è stato l'ultimo paese membro a recepirla nella propria legislazione, con legge del 27 gennaio 1999. Il Belgio era già stato condannato dalla Corte di giustizia per non aver attuato questa direttiva (Causa C-323/97, Racc. 1998 pag. I-4281).

In sede di analisi della conformità delle leggi di attuazione, la Commissione si è trovata a dover avviare varie procedure di infrazione, per inadeguata attuazione della direttiva. Le procedure vertevano sostanzialmente sulle modalità di iscrizione nelle liste elettorali ma, per esempio, anche l'obbligo di conoscere la lingua nazionale o di indicare sulle schede di voto la nazionalità dei candidati cittadini di altri Stati membri.

In seguito alle modifiche introdotte dagli Stati membri interessati, si è potuto chiudere la massima parte delle procedure avviate. Quattro sono però tuttora in corso, e riguardano l'Austria, il Portogallo, la Francia e la Grecia [26]. Solo la procedura contro la Grecia è in fase di contenzioso.

[26] Il Portogallo e l'Austria hanno manifestato la propria intenzione di modificare la loro legislazione per adeguarla alle raccomandazioni della Commissione.

Ai sensi dell'articolo 13 della direttiva, la Commissione riferisce al Parlamento e al Consiglio in merito all'applicazione della direttiva, illustrando anche l'evoluzione intervenuta presso gli elettori dall'entrata in vigore della direttiva stessa, entro un anno dopo lo svolgimento in tutti gli Stati membri di elezioni comunali organizzate in base alla direttiva. Dato che le ultime elezioni si sono svolte in Francia, nel marzo 2001, la relazione in parola dovrà dunque essere adottata entro il marzo 2002.

3.2.2. Elezioni per il Parlamento europeo

Il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni per il Parlamento europeo nello Stato membro di residenza, che l'articolo 19, paragrafo 2 del trattato CE conferisce ai cittadini dell'Unione, è stato attuato con la direttiva 93/109/CE [27] del Consiglio, del 6 dicembre 1993, relativa alle modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini.

[27] GU L 329, del 30.12.1993, pag. 34.

Se, nel complesso, il recepimento della direttiva nelle legislazioni nazionali è risultato soddisfacente, in alcuni casi è stato necessario avviare procedure d'infrazione per attuazione insoddisfacente.

In un unico caso si è dovuto proseguire la procedura di cui all'articolo 226 del trattato sino alla fase del parere motivato. Si tratta della procedura avviata nei confronti della Repubblica federale di Germania. La Commissione contestava l'obbligo, imposto ai cittadini dell'Unione, di chiedere l'iscrizione sulle liste elettorali prima di ciascuna elezione, mentre l'articolo 9, paragrafo 4 della direttiva prevedeva che gli elettori comunitari iscritti nelle liste elettorali restassero iscritti, alle stesse condizioni degli elettori nazionali, finché non chiedessero di essere cancellati dalle liste. La procedura d'infrazione è stata chiusa in seguito alla modifica della legge tedesca di attuazione della direttiva.

La direttiva 93/109/CE è stata applicata per la prima volta in occasione delle elezioni per il Parlamento europeo del giugno 1994 [28]. Conformemente all'articolo 16 della direttiva 93/109/CE, la Commissione ha presentato al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'applicazione della direttiva alle elezioni in questione [29].

[28] In Svezia, le prime elezioni per il Parlamento europeo si sono svolte il 17 dicembre 1995, in Austria il 13 ottobre 1996 e in Finlandia il 20 ottobre 1996.

[29] COM(97) 731 def.

Il 18 dicembre 2000 la Commissione ha adottato una comunicazione sull'applicazione della direttiva in occasione delle elezioni del giugno 1999 [30], volta a richiamare l'attenzione sui principali problemi individuati e a diffondere e promuovere le buone pratiche sperimentate in alcuni Stati membri, nell'intento di rafforzare la partecipazione dei cittadini dell'Unione alla vita politica nello Stato membro di residenza.

[30] COM(2000) 843 def.

Questa comunicazione constata che il tasso di partecipazione dei cittadini dell'Unione nei rispettivi Stati membri di residenza è risultato alquanto basso (9%), seppur superiore a quello del 1994 (5,9%). La Commissione rileva tuttavia che il tasso di partecipazione è in crescita in tutti gli Stati membri, tranne in Germania. Peraltro è il tasso d'iscrizione molto basso nei due paesi che accolgono il maggior numero di cittadini di un altro Stato membro (Francia e Germania [31]) a far cadere la media dell'Unione che, se non si prendessero in considerazione questi due paesi, sarebbe del 17,3%.

[31] Francia e Germania accolgono il 63% dei cittadini dell'Unione residenti in un altro Stato membro. Il tasso di partecipazione in questi paesi è stato, rispettivamente, del 4,9% e del 2,1%.

La comunicazione si concentra su due aspetti: l'informazione dei cittadini di un altro Stato membro dell'Unione circa i diritti di voto e di eleggibilità di cui godono e le modalità per esercitarli, da un lato, nonché il funzionamento del sistema di scambio delle informazioni destinato a impedire il doppio voto, dall'altro.

Quanto all'informazione dei cittadini dell'Unione, la Commissione esorta tutti gli Stati membri che non lo abbiano ancora fatto a porre in essere un sistema di contatto diretto e personale, per via postale, con gli elettori comunitari che risiedono sul loro territorio [32]. Nei limiti del possibile, gli Stati membri dovrebbero agevolare l'iscrizione sulle liste elettorali, invitando gli interessati a rinviare per posta un apposito modulo.

[32] Nelle elezioni del giugno 1999, il tasso medio di partecipazione nei paesi che si sono avvalsi di questo sistema d'informazione ha raggiunto il 23,5%.

La Commissione è del parere che valga la pena di esplorare altre soluzioni, in particolare mettendo a disposizione dei cittadini comunitari moduli per chiedere l'iscrizione sulle liste elettorali ad ogni contatto di questi cittadini con le autorità locali o nazionali. D'ora in poi, infatti, occorre adoperarsi per incentivare e agevolare in ogni modo l'iscrizione sulle liste elettorali dello Stato membro di residenza, nonché per informare gli interessati in merito al diritto di voto e di eleggibilità. Questo lavoro di incentivazione va condotto in permanenza, mentre le tradizionali campagne informative vengono realizzate solo durante il periodo che precede ogni elezione.

Quanto al sistema di scambio dell'informazione, la Commissione rileva che ancora una volta esso è risultato estremamente insoddisfacente. Ciò va ricondotto a due ordini di fattori: il fatto che determinati Stati membri non abbiano rispettato le modalità previste per attuare lo scambio, e le disposizioni della legislazione elettorale in alcuni Stati membri, che prevedono segnatamente scadenze diverse per la chiusura delle liste elettorali.

La Commissione, in collaborazione con le competenti autorità degli Stati membri, proseguirà i suoi sforzi per migliorare le modalità pratiche di scambio dell'informazione nel quadro della legislazione attuale.

La cittadinanza dell'Unione conferisce il diritto di voto e di eleggibilità nello Stato membro di residenza, per le elezioni locali ed europee.

Vale la pena di ricordare che questo diritto interessa circa cinque milioni di persone, le quali in parte erano private del diritto di voto e di eleggibilità nello Stato membro d'origine, per il fatto di risiedere all'estero.

La Commissione constata l'enorme carenza informativa in questo campo. Dai dati disponibili risulta infatti che, qualora si sia organizzata una campagna di informazione specifica e diretta, il tasso di partecipazione alle elezioni nello Stato membro di residenza è risultato di gran lunga superiore alla media registrata a livello dell'Unione.

La Commissione esorta tutti gli Stati membri a porre in essere un sistema di contatto diretto e personale con gli elettori comunitari e invita a esplorare nuove soluzioni, in particolare fornendo informazioni dettagliate in occasione di qualsiasi contatto con le amministrazioni nazionali o locali.

3.3. Diritto alla tutela diplomatica e consolare

L'articolo 20 prevede il diritto alla tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro nei paesi terzi in cui lo Stato membro di un cittadino dell'Unione non sia rappresentato, alle stesse condizioni dei cittadini di quello Stato. Esso precisa inoltre che gli Stati membri definiscono tra loro le norme necessarie a tal fine e provvedono ad avviare le opportune trattative internazionali.

La seconda relazione sulla cittadinanza dell'Unione segnalava l'adozione da parte dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in Consiglio, di tre decisioni: la prima riguarda la tutela dei cittadini dell'Unione europea ad opera delle rappresentanze diplomatiche e consolari [33], la seconda le modalità d'esecuzione che i funzionari consolari devono adottare [34], la terza le norme per il rilascio di un titolo di viaggio provvisorio [35].

[33] Decisione 95/553/CE, GU L 314, del 28.12.1995, pag. 73.

[34] Decisione non pubblicata nella Gazzetta ufficiale.

[35] Decisione 96/409/PESC, GU L 168, del 6.7.1996, pag. 4.

Queste varie decisioni prenderanno effetto solo dopo che gli Stati membri le avranno recepite nel proprio ordinamento giuridico interno, ma ciò non è ancora avvenuto interamente.

Va tuttavia osservato che, nella pratica quotidiana, tutti gli Stati membri hanno disposto provvedimenti per fare in modo che le loro rappresentanze diplomatiche e consolari permettano ai cittadini dell'Unione non rappresentati in un paese terzo di beneficiare dell'opportuna tutela e assistenza in caso di decesso, incidente o malattia gravi, arresto o detenzione, nonché qualora siano vittime di atti di violenza, in caso di rimpatrio e negli altri casi in cui venga richiesto aiuto.

I documenti intesi a dare attuazione a questo diritto, assurto a diritto fondamentale [36] non sono ancora giuridicamente d'applicazione, dato che alcuni Stati membri non hanno ancora recepito le necessarie disposizioni nella legislazione nazionale.

[36] Si veda l'articolo 46 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, GU C 364, del 18.12.2000, pag. 1.

3.4. Diritto di petizione

L'articolo 21 del trattato CE stabilisce che ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo, conformemente all'articolo 194. I cittadini sono i principali beneficiari di questo diritto, quantunque l'articolo 194 lo estenda a tutte le persone fisiche o giuridiche che risiedano o abbiano la sede sociale in uno Stato membro. L'oggetto di una petizione deve rientrare nel campo d'attività della Comunità e interessare l'autore della petizione stessa in prima persona. Benché la commissione delle petizioni decida in merito all'ammissibilità di una petizione applicando un'interpretazione alquanto ampia, un gran numero di petizioni viene dichiarata inammissibile.

La petizione costituisce un'occasione di rilievo per i singoli cittadini di presentare formalmente i loro problemi al vaglio delle istituzioni comunitarie. Gli autori di petizioni possono anche richiamare l'attenzione sui numerosi casi in cui la legislazione comunitaria viene disattesa dalle varie autorità negli Stati membri, oppure risulti carente e richieda una revisione.

L'esperienza negli anni parlamentari 1997/1998, 1998/1999 e 1999/2000 [37]

[37] Fonte: relazioni sulle deliberazioni della Commissione per le petizioni negli anni parlamentari 1996-1997 (Documento A4-0190/97), 1997-1998 (Documento A4-0250/98), 1998-1999 (Documento A4-0117/99). Le relazioni sono disponibili sul sito del Parlamento europeo (http://www.europarl.eu.int/committees/peti_home.htm )

Nel periodo 1997/2000 è pervenuto al Parlamento un gran numero di petizioni. Nell'anno parlamentare 1997/1998, se ne sono registrate 1 311, 1 005 nel 1998/1999 e 958 nel 1999/2000. La tendenza al calo evidenziata nella seconda relazione, si conferma con l'eccezione dell'anno 1997/1998, nel quale si è registrato un incremento del numero di petizioni rispetto all'anno precedente.

Petizioni pervenute al Parlamento negli ultimi dieci anni

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Nei tre anni parlamentari in questione, la commissione delle petizioni ne ha dichiarate ammissibili 1 767, su un totale di 3 275 (54%). Alcune sono state trasmesse al mediatore europeo e in qualche caso si sono rinviati gli autori a un altro organismo competente, indipendente dalla Comunità europea.

L'elevata percentuale di petizioni dichiarate inammissibili è dovuta a una scarsa informazione sulle competenze dell'Unione e delle sue varie istituzioni. Come segnalato dalla commissione delle petizioni nella sua relazione sull'anno parlamentare 1999/2000 [38], un certo numero di richiedenti adiscono la commissione delle petizioni perché non sanno veramente quali diritti conferisca loro la cittadinanza dell'Unione europea.

[38] Documento A5-0162/2000, pag. 12.

Nei tre anni parlamentari in questione, sono state presentate 920 petizioni relative a diritti dei cittadini, segnatamente affari sociali, libertà di circolazione, imposizione fiscale e riconoscimento dei diplomi nello Stato membro di residenza. Il gran numero di petizioni relative ai diritti dei cittadini rivela che questi ultimi spesso incontrano problemi quando risiedono in un altro Stato membro.

3.5. Il mediatore europeo

Il secondo paragrafo dell'articolo 21 stabilisce che ogni cittadino dell'Unione può rivolgersi al mediatore. Le condizioni per l'azione del mediatore sono fissate dall'articolo 195. Qualunque persona fisica o giuridica legalmente residente, ha il diritto di adire il mediatore, il cui compito è indagare su casi di presunta cattiva gestione amministrazione [39] da parte delle istituzioni o degli organismi comunitari. Il mediatore non è abilitato a indagare su atti delle autorità nazionali o di altre organizzazioni internazionali.

[39] Nella sua relazione annuale 1997, il mediatore ha definito il concetto di "cattiva amministrazione" come segue: "Si ha cattiva amministrazione qualora un pubblico organismo ometta di agire conformemente alla norma o al principio cui è soggetta la sua attività". Su proposta della commissione delle petizioni (A4-0258/98), il Parlamento ha adottato una risoluzione per esprimere il proprio compiacimento riguardo a questa definizione.

Il primo mediatore dell'Unione, Jacob Söderman, ha assunto le proprie funzioni alla fine del dicembre 1995 e da allora ha pubblicato relazioni annuali [40], che contengono informazioni circa le denunce pervenutegli e le norme che disciplinano l'ammissibilità delle denunce e le procedure da seguire.

[40] Tutte le relazioni sono disponibili sul sito Internet del mediatore europeo, all'indirizzo seguente: http://www.europarl.eu.int/ombudsman/report/en/default.htm.

Le denunce presentate nel periodo 1997-1999

Nel corso del 1997, al mediatore sono pervenute 1 181 denunce, 1 067 delle quali ad opera di cittadini dell'Unione. Solo 200 sono sfociate in un'indagine del mediatore [41]. Nel 1998, al mediatore sono pervenute 1 372 denunce, di cui 1 237 presentate da cittadini dell'Unione; 170 sono sfociate in un'indagine. Per il 1999 si sono contate 1 577 denunce (1 458 presentate da cittadini dell'Unione) e 201 inchieste. Per 59 casi nel 1997, 96 nel 1998 e 107 nel 1999 non si è riscontrata cattiva amministrazione.

[41] Ogni anno il mediatore ha trattato anche denuncie pendenti dall'esercizio precedente oltre ad avviare indagine di propria iniziativa. Il numero delle indagini può quindi comprendere l'una o l'altra di queste due categorie e non necessariamente rispecchia il numero di denuncie pervenute nel corso dell'anno medesimo.

Le principali istituzioni che nel periodo 1997-1999 hanno formato oggetto di inchiesta sono la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio. Da questo punto di vista, le statistiche per il periodo non presentano grandi differenze rispetto agli esercizi precedenti.

Istituzioni e organismi oggetto di inchiesta 1997-1999

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La forma di cattiva amministrazione più frequentemente addotta per il periodo 1997-1999 è stata la mancanza o il rifiuto di informazione o trasparenza [42]. Al secondo posto vengono i ritardi ingiustificati (1997 e 1999) e la negligenza (1998). Altri esempi di cattiva amministrazione invocati molto sovente sono stati la discriminazione, il trattamento non equo, l'abuso di potere e di schermaglie procedurali, la scarsa considerazione dei diritti della difesa.

[42] 23% nel 1999, 30% nel 1998 ed il 25% nel 1997.

Dalle statistiche prodotte dal mediatore si evince che il numero annuo di cittadini che hanno presentato una denuncia è aumentato regolarmente dal 1996. Durante il mandato del mediatore, la percentuale di denunce non ha segnato lo stesso incremento, quantunque essa sembri essere in lieve aumento. Tutte le relazioni annuali per il periodo 1997-1999 hanno registrato una percentuale estremamente alta di denunce non ammissibili: 73% nel 1997 e nel 1999, 69% nel 1998. Il mediatore cerca di aiutare i cittadini in questi casi, consigliando loro l'organo cui rivolgersi, per esempio il Parlamento europeo o un mediatore locale o nazionale. Ogni anno, per alcuni casi e con l'assenso dei richiedenti, il mediatore deferisce la denuncia a un'altra istituzione.

4. Diritti fondamentali

Il periodo cui si riferisce la presente relazione è stato contraddistinto dalla proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, dall'adozione di strumenti giuridici che danno attuazione all'articolo 13 del trattato CE e dalle misure prese nel quadro dell'anno europeo contro il razzismo (1997).

4.1. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione è stata proclamata congiuntamente dal presidente del Parlamento europeo, dal presidente del Consiglio e dal presidente della Commissione il 7 dicembre 2000, in concomitanza con i lavori del Consiglio europeo di Nizza. Essa è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee [43].

[43] GU C 364 del 18.12.2000, pag. 1.

Tale proclamazione discende dalla decisione del Consiglio europeo di Colonia, riunito dal 3 al 4 giugno 1999, con la quale i capi di Stato o di governo hanno riconosciuto la necessità di promulgare, nell'attuale fase di sviluppo dell'Unione, una Carta dei diritti fondamentali per sancirne l'eccezionale rilevanza e mostrarne la portata in modo visibile per i cittadini dell'Unione [44].

[44] Consiglio europeo di Colonia, conclusioni della presidenza, allegato IV.

4.1.1. Il metodo della Convenzione

Per elaborare il progetto di carta, il Consiglio europeo ha deciso di insediare un organo apposito, formato da rappresentanti del Parlamento europeo, dei parlamenti nazionali, dei governi nazionali e della Commissione. Tale composizione, già tratteggiata a Colonia, è stata precisata nel Consiglio europeo di Tampere, del 15 16 ottobre 1999. I 62 membri di quella che si è successivamente deciso di chiamare "Convenzione", si dividevano in quattro gruppi: sedici membri del Parlamento europeo, trenta membri dei parlamenti nazionali, quindici rappresentanti dei capi di Stato o di governo e un rappresentante della Commissione.

Hanno partecipato ai lavori anche osservatori della Corte di giustizia delle Comunità europee e del Consiglio d'Europa - di cui un rappresentante per la Corte europea dei diritti dell'uomo; il Comitato economico e sociale, il Comitato delle regioni e il mediatore sono stati invitati a dare il proprio punto di vista.

La Convenzione ha proceduto altresì a un'audizione dei paesi candidati all'adesione all'Unione europea.

I metodi di lavoro della Convenzione sono stati fissati, nelle grandi linee, dalle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere. Un elemento di rilievo della metodologia verteva sulla trasparenza dei lavori. Il Consiglio europeo di Tampere ha infatti stabilito il carattere pubblico delle discussioni di questo organo e dei documenti presentati nel corso dei lavori. Rendere pubblici questi elementi è stato possibile in particolare grazie all'allestimento di un sito Internet [45] sul quale i documenti relativi all'elaborazione della Carta sono stati messi a disposizione del pubblico. È così stato possibile instaurare una stretta concertazione con i rappresentanti della società civile.

[45] http://db.consilium.eu.int/df.

La Convenzione si è riunita per la prima volta a Bruxelles il 17 dicembre 1999. In quell'occasione, essa ha eletto presidente Roman Herzog, ex-capo di Stato della Repubblica federale di Germania. Il 2 ottobre 2000, il presidente della Convenzione ha potuto constatare un ampio consenso sul progetto di Carta, ha provveduto a trasmettere il testo al presidente del Consiglio europeo. Nella loro riunione informale di Biarritz, svoltasi il 13 e il 14 ottobre 2000, i capi di Stato o di governo hanno potuto esprimere un accordo unanime sul progetto.

Da parte sua, la Commissione ha adottato due comunicazioni rese pubbliche il 13 settembre e l'11 ottobre 2000 [46], con le quali ha dato il proprio sostegno al progetto di Carta, esprimendo nel contempo alcuni suggerimenti in merito alla formulazione di alcuni diritti che figurano nel progetto ovvero alla loro natura giuridica.

[46] COM(2000) 559 def. e COM(2000) 644 def.

4.1.2. Il contenuto della Carta

La Carta riunisce in un unico testo tutti i diritti delle persone: diritti civili e politici, diritti economici e sociali, nonché diritti dei cittadini dell'Unione europea. In tal modo, essa costituisce il primo strumento nel quale l'indivisibilità dei diritti fondamentali, sul piano internazionale è effettivamente rispettata.

Questi diritti sono già ampiamente sanciti da fonti diverse quali le tradizioni costituzionali e gli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, il trattato sull'Unione europea e i trattati comunitari, la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, le Carte sociali adottate dalla Comunità e dal Consiglio d'Europa, nonché la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e della Corte europea dei diritti dell'uomo.

La Carta comporta 54 articoli, preceduti da un preambolo introduttivo. Oltre alle disposizioni generali riprese alla fine del testo (articoli 51-54), gli articoli sono raggruppati in funzione di sei valori fondamentali: dignità (articoli 1-5), libertà (articoli 6-19); uguaglianza (articolo 20-26); solidarietà (articolo 27-38) cittadinanza (articoli 39-46) e giustizia (articoli 47-50).

Nell'ambito della presente relazione, la Commissione richiama l'attenzione in particolare sui diritti che sono stati ripresi dal trattato che istituisce la Comunità europea e che figurano nel capitolo V della Carta, relativo alla cittadinanza: diritto di voto e di eleggibilità nelle elezioni per il Parlamento europeo (articolo 39), diritto di voto e di eleggibilità nelle elezioni comunali (articolo 40), diritto d'accesso ai documenti (articolo 42), diritto di adire il mediatore (articolo 43), diritto di petizione dinanzi al Parlamento europeo (articolo 44), libertà di circolazione e di soggiorno (articolo 45), tutela diplomatica e consolare (articolo 46). Nella consapevolezza di quanto una procedura equa sia fondamentale per salvaguardare i diritti e gli interessi delle persone, il capitolo V della Carta riprende altresì il diritto a una buona amministrazione (articolo 41), il quale si ispira ai principi già enunciati al riguardo da un'ampia giurisprudenza della Corte di giustizia.

La Carta prevede che i diritti da essa sanciti, indipendentemente dal fatto che il loro fondamento si trovi nei trattati comunitari o nel trattato sull'Unione europea, vengono eserciti alle condizioni e nei limiti definiti dai trattati (articolo 52, paragrafo 2). Parimenti, essa prevede che i diritti corrispondenti a diritti garantiti dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo, abbiano senso e portata identici a quelli conferiti dalla Convenzione, senza che ciò precluda che il diritto dell'Unione - e la stessa Carta - possano offrire una protezione più estesa (articolo 52, paragrafo 3).

4.1.3. Gli sviluppi futuri relativi alla Carta

Il Consiglio europeo di Nizza ha auspicato che la Carta abbia la massima diffusione possibile presso i cittadini dell'Unione. Questa pubblicizzazione su ampia scala rispecchia la necessaria visibilità dei diritti fondamentali. Essa è inoltre un presupposto per condurre a buon fine la pubblica discussione sull'evoluzione dell'Europa.

La dichiarazione sul futuro dell'Unione, acclusa al progetto di trattato di Nizza, elenca infatti lo status della Carta tra i punti che devono formare oggetto di un ampio dibattito pubblico, per preparare la Conferenza intergovernativa prevista nel 2004. In quella sede, conformemente alle conclusioni del Consiglio europeo di Colonia, occorrerà infatti riesaminare il problema della portata della Carta [47].

[47] Consiglio europeo di Nizza, conclusioni della presidenza, punto I.2.

Senza però attendere la conclusione di questi lavori, è altrettanto chiaro che, come messo in evidenza dalla Commissione nella comunicazione di ottobre citata in precedenza, la Carta deve dispiegare i suoi effetti, compreso sul piano giuridico, per il fatto stesso di essere stata proclamata. Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione non possono ignorare un testo preparato - su richiesta del Consiglio europeo - da tutte le fonti di legittimità democratica nazionale e europea, riunite in un unico organo che le tre istituzioni hanno esse stesse insediato.

La proclamazione della carta dei diritti fondamentali, enumerando tutti i diritti fondamentali che devono essere protetti dalle istituzioni e dagli Stati membri - questi ultimi ove applichino il diritto dell'Unione -, costituisce il segno manifesto che la costruzione europea ha finalmente al proprio centro i cittadini.

L'obiettivo, sancito dai trattati, di creare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia ha come corollario la necessità di tutelare meglio i diritti dei cittadini. È proprio a questa esigenza risponde la Carta dei diritti fondamentali.

Non solo le tre istituzioni che l'hanno pubblicamente proclamata potranno difficilmente ignorarla in futuro, ma probabilmente, e a prescindere dalla sua natura giuridica, essa si attesterà come riferimento inaggirabile per la Corte di giustizia, con riferimento all'elaborazione della sua giurisprudenza in materia di diritti fondamentali tutelati a livello dell'Unione.

La vocazione della Carta, per il suo stesso contenuto, per la rigorosa formulazione giuridica e per l'alto valore dei diritti che sancisce, è quella di essere integrata nei trattati.

4.2. Strumenti giuridici contro la discriminazione

Nel rispetto del suo impegno a presentare quanto prima misure d'applicazione dell'articolo 13 del trattato CE, la Commissione, in risposta alla volontà espressa dal Parlamento europeo, dagli Stati membri e dai capi di Stato o di governo riuniti a Tampere, ha presentato una comunicazione e tre proposte volte a contrastare la discriminazione all'interno dell'Unione europea.

Il 29 giugno 2000 il Consiglio ha adottato la direttiva 2000/43/CE [48], che attua il principio della parità di trattamento fra le persone, senza distinzioni di razza o di origine etnica. Essa mira a vietare in tutti gli Stati membri la discriminazione fondata sull'origine razziale o etnica in vari ambiti, quali l'occupazione, l'istruzione, la previdenza sociale, le cure mediche o l'accesso a beni e servizi.

[48] GU L 180 del 19.7.2000, pag. 22.

Il 27 novembre 2000 il Consiglio ha adottato la direttiva 2000/78/CE [49] che istituisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Tale direttiva si prefigge di definire criteri generali di lotta contro la discriminazione fondata sulla religione o sui convincimenti personali, su menomazioni, sull'età o sulle inclinazioni sessuali, con riferimento all'occupazione e alle condizioni di lavoro.

[49] GU L 303 del 2.12.2000 pag. 16.

Alla stessa data, il Consiglio ha adottato la decisione 2000/750/CE, che stabilisce un programma comunitario d'azione per combattere le discriminazioni (2001-2006) [50], il cui bilancio complessivo ammonta a 98,4 milioni di euro.

[50] GU L 303 del 2.12.2000, pag. 23.

Il programma sostiene e integra le iniziative promosse a livello comunitario e negli Stati membri per incentivare le misure di prevenzione e di lotta contro la discriminazione semplice e molteplice. Esso persegue gli obiettivi seguenti:

* far capire meglio i problemi connessi con la discriminazione, migliorando la conoscenza del fenomeno e valutando l'efficacia delle politiche e delle pratiche di contrasto;

* sviluppare la capacità di prevenire e affrontare efficacemente la discriminazione, in particolare potenziando i mezzi d'azione delle organizzazioni e favorendo lo scambio di informazioni e di buone pratiche, nonché l'organizzazione in rete a livello europeo, tenendo conto, al tempo stesso, delle caratteristiche specifiche delle varie forme di discriminazione;

* promuovere e diffondere i valori e le pratiche sottese alla lotta contro la discriminazione, in particolare intensificando le attività di sensibilizzazione.

Per conseguire tali obiettivi, la decisione prevede una strategia imperniata su tre tipi d'azione:

- rafforzare l'analisi delle forme di discriminazione e delle loro ripercussioni nella Comunità;

- sostenere le organizzazioni che partecipano alla lotta e alla prevenzione in materia di discriminazione, permettendo loro di mettere a confronto le rispettive impostazioni e seguire esperienze condotte in altre regioni della Comunità;

- sensibilizzare i responsabili alle possibilità per rendere più incisivi i provvedimenti e le pratiche per lottare contro la discriminazione.

Questi testi denotano la chiara ambizione della Comunità di promuovere una società più giusta e seguono un'impostazione pragmatica, concentrandosi sui principali ambiti nei quali la discriminazione risulta percepibile.

4.3. Programma Daphne

Nel quadro della tutela dei diritti fondamentali - in generale - e della lotta alla discriminazione in particolare, va altresì rilevato che la Commissione ha posto in essere un programma comunitario pluriennale (2000-2003) volto a contrastare tutte le forme di violenza nei confronti dei bambini, degli adolescenti e delle donne (programma Daphne [51]). Questa azione completa le attività legislative della Commissione per offrire un sostegno finanziario alle organizzazioni pubbliche o private dell'Unione che operano sul campo contro la violenza, sessuale o no, fisica o mentale. Dal 1997 il programma Daphne ha già finanziato circa 200 progetti, che tutti interessano azioni a diretto beneficio delle vittime della violenza. Nel 1999 e nel 2000 sono stati condotti due studi sull'incidenza di questi progetti.

[51] Decisione n. 293/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, GU L34, del 9.2.2000, pag. 1.

4.4. Misure di lotta contro il razzismo

1997 - Anno europeo contro il razzismo

L'anno europeo ha segnato una tappa in un processo volto a intensificare la collaborazione in materia di lotta contro il razzismo. Esso ha permesso di mobilizzare le persone e le organizzazioni attraverso l'Unione europea, creando una temperie favorevole a ulteriori progressi politici. L'inserimento nel trattato dell'Unione europea di nuove disposizioni in materia di non discriminazione, la creazione dell'Osservatorio dei fenomeni di razzismo e xenofobia a Vienna, il piano d'azione contro il razzismo nonché, quale diretto risultato dell'anno europeo e segno di uno sforzo ingente di mobilizzazione, la rete europea delle ONGS antirazziste, ne costituiscono altrettante illustrazioni di rilievo.

Piano d'azione contro il razzismo

La decisione della Commissione di varare, nel marzo 1998, un piano d'azione contro il razzismo [52], inteso a collocare la lotta contro il razzismo al centro di varie politiche europee, vuole offrire un diretto prolungamento dell'anno europeo e dei progressi che esso ha permesso di segnare.

[52] COM(1998) 183 def. del 25 marzo 1998.

Il piano privilegia in particolare le misure volte a rafforzare e sostenere la cooperazione e le forme di partenariato a tutti i livelli, per promuovere la diversità e il pluralismo, potenziando la cooperazione con i vari partner, nonché tra di loro.

Rete europea di organizzazioni antirazziste

Nel quadro dei preparativi per l'anno europeo, un certo numero di organizzazioni antirazziste aveva espresso alla Commissione il desiderio di organizzarsi in una rete europea.

I lavori preparatori per l'avvio di una struttura del genere si sono svolti nel corso di tutto il 1998, e dall'8 al 10 ottobre di quell'anno circa 250 partecipanti, in rappresentanza di un gran numero di ONG, hanno preso parte alla conferenza costitutiva della rete e definito un'agenda politica e un programma d'azione europei, oltre ai mezzi per attuare un programma del genere.

Il principale obiettivo della rete è imprimere alla lotta contro il razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo e anti-islamismo una dimensione europea, per istituire un collegamento tra le iniziative locali o nazionali e quelle europee, scambiare le esperienze in materia, potenziare le iniziative esistenti, sviluppare nuove strategie di lotta contro il razzismo e promuovere la parità dei diritti e delle opportunità.

La rete realizza campagne europee e coopera con le istituzioni europee per dare il massimo impatto alle politiche comunitarie in materia di lotta contro il razzismo. Essa svolge un ruolo di primo piano anche nel contesto del programma comunitario d'azione per combattere le discriminazioni (2001-2006) e nell'attuazione delle direttive contro la discriminazione adottate ai sensi dell'articolo 13 del trattato.

Osservatorio dei fenomeni di razzismo e xenofobia

L'osservatorio [53] ha il compito di fornire alla Comunità europea e ai suoi Stati membri dati oggettivi, affidabili e comparabili sui fenomeni di razzismo, xenofobia e antisemitismo a livello europeo, per permettere loro di disporre i provvedimenti del caso o definire piani d'azione.

[53] L'Osservatorio è stato istituito con regolamento (CE) n. 1035/97, e ha sede a Vienna.

Stando al secondo rapporto dell'Osservatorio, pubblicato nel novembre 2000 [54], in tutti gli Stati membri minoranze etniche/razziali, immigranti e profughi sono esposti a crimini razziali e a forme di discriminazione. I crimini commessi da gruppi xenofobi prendono di mira in primo luogo gli immigranti, le persone di origine straniera e la comunità ebraica. Nel 1999, in vari Stati membri sono stati segnalati atti di discriminazione nei confronti delle minoranze rom.

[54] Il rapporto è disponibile sul seguente sito Internet http://www.eumc.at/publications/.

La maggior parte degli atti di discriminazione rilevati nel 1999 riguarda l'occupazione e il mercato del lavoro.

Il razzismo via Internet è diventato particolarmente preoccupante in determinati Stati membri, in quanto i gruppi razzisti si avvalgono ampiamente di Internet per propagare idee razziste, antisemite, xenofobe presso il pubblico, nonché per alimentare l'odio, in tutta impunità.

Sempre secondo questo rapporto, le nuove direttive europee fondate sull'articolo 13 del trattato CE dovrebbero contribuire sensibilmente a migliorare la situazione.

Tra i compiti dell'osservatorio vi è quello di creare e coordinare una "rete europee di informazione sul razzismo e la xenofobia" (RAXEN), costituito da un'unità centrale che coopera con organizzazioni a livello nazionale, quali i centri universitari di ricerca, le organizzazioni governative e vari organi specialistici. Il suo ruolo consiste nel raccogliere e analizzare i dati e le informazioni disponibili, nonché nell'elaborare una base di dati accessibile al pubblico. Essa fungerà altresì quale base di informazioni, conoscenze ed esperienze per definire strategie di lotta contro il razzismo in Europa.

5. L'informazione dei cittadini dell'Unione

Il Dialogo con i cittadini e con le imprese ha preso il posto dell'iniziativa Cittadini d'Europa, descritta nella seconda relazione sulla cittadinanza dell'Unione [55].

[55] COM(97) 230 def., pag. 19.

Il Dialogo con i cittadini e con le imprese si prefigge due obiettivi specifici: rendere le persone consapevoli dei loro diritti all'interno dell'Unione europea e instaurare una comunicazione bidirezionale con i cittadini, per ottenere le loro reazioni in merito ai problemi che incontrano nell'esercizio dei propri diritti.

Per fornire ai cittadini questa informazione tramite un dialogo permanente, è stato creato il servizio Europa in diretta.

I siti Internet del Dialogo con i cittadini e le imprese e di Europa in diretta sono anch'essi disponibili e in grado di offrire informazioni e consulenze provenienti da diverse fonti.

D'altro canto, il dialogo con i cittadini e le imprese informa i cittadini anche attraverso pubblicazioni che possono offrire loro una visione complessiva dei loro diritti e dei pezzi per farli valere.

La Commissione, su richiesta dei cittadini, ha per esempio aggiornato guide pubblicate a cura dell'iniziativa Cittadini d'Europa.

Vengono pubblicate anche nuove guide. La guida "Come far valere i vostri diritti nel mercato unico-", pubblicata nel 2000, oltre alle relative schede nazionali, cercano per esempio di ovviare all'insufficienza di informazioni destinate ai cittadini circa i vari mezzi di ricorso a loro disposizioni per far valere i propri diritti sul piano nazionale non meno che comunitario. La guida "Protezione dei dati nell'Unione europea", pubblicata nel 2001, informa i cittadini sui loro diritti in ordine alla raccolta e allo sfruttamento dei dati personali, nonché al comportamento da adottare in caso di violazione di questi diritti.

Le guide sono disponibili gratuitamente e possono essere richieste per corrispondenza o tramite la centrale telefonica di Europa in diretta.

La centrale Europa in diretta mette a disposizione in ciascuno Stato membro linee telefoniche di assistenza gratuite, oltre a un servizio di risposta diretta per e-mail, lettera o fax. Essa tratta le richieste in tutte e 11 le lingue ufficiali dell'UE e in tutti i settori della politica comunitaria.

Europa in diretta funge da primo punto di contatto per aiutare le persone che non sanno dove trovare risposta alle loro domande. Il servizio affianca anche le reti di informazione che operano nei vari Stati membri, nell'intento di orientare i cittadini in primo luogo verso informazioni di base, quindi verso l'interlocutore più consono tra i numerosissimi servizi d'informazione specialistici o generali.

La centrale telefonica risponde a domande di ordine generale sulla Commissione europea e sulle altre istituzioni dell'Unione. I servizi interni di Europa in diretta si fanno carico delle domande che necessitano ulteriori ricerche.

Dal 1998 Europa in diretta ha trattato oltre 200 000 richieste di informazioni su tutti gli aspetti relativi all'attività della Commissione europea e delle istituzioni dell'Unione in genere.

Questioni relative a problemi pratici che le persone incontrano nell'esercizio dei propri diritti all'interno del mercato unico vengono trasmesse al Servizio di orientamento, che si colloca a un secondo livello e offre una consulenza giuridica informale. Questo servizio, integrato nel programma Dialogo con i cittadini e con le imprese, si avvale di un gruppo di esperti che coprono tutte le lingue dell'Unione europea.

Da una relazione del Servizio di orientamento, presentata nel marzo 2000, si evince che solo in pochi casi le richieste investono problemi effettivamente connessi con l'applicazione della legislazione comunitaria. Molte richieste denotano piuttosto una scarsa consapevolezza della portata della legislazione comunitaria o una confusione in merito all'istituzione, comunitaria o nazionale, cui compete la soluzione dei problemi esposti.

Quanto alla difesa dei loro diritti, sembra palese che i cittadini tendano a sopravvalutare quello che le istituzioni comunitarie possono fare per loro, soprattutto nel caso di persone residenti in un altro Stato membro. Anche per questioni notoriamente di competenza nazionale, spesso ci si aspetta che le istituzioni europee abbiano titolo per intervenire, in qualità di autorità sovranazionale o per considerazioni di interesse generale.

L'analisi dei problemi riscontrati dai cittadini permette alla Commissione di capire meglio le informazioni di cui i cittadini hanno bisogno, nonché di individuare eventuali disfunzioni o carenze nell'applicazione del diritto comunitario. I problemi sottoposti al Servizio di orientamento verranno d'altro canto ben presto esaminati nel quadro dell'iniziativa più generale di "elaborazione interattiva delle politiche" che la Commissione sta ponendo in essere.

Infine, va rammentato che la Commissione, nell'intento di ravvicinare maggiormente i cittadini e le istituzioni europee, organizza visite di informazione per circa 40 000 visitatori l'anno.

Nella presente relazione, l'insufficienza di informazioni sulle attività dell'Unione è stata segnalata a più riprese.

Un effetto perverso di questa conoscenza carente, porta i cittadini a supporre che l'Unione, e in particolare la Commissione, dispongano di competenze e poteri più vasti di quelli che hanno in realtà.

Questa constatazione è risultata confermata dall'esperienza del Servizio di orientamento, dalle denunce presentate al mediatore, dalle petizioni rivolte al Parlamento europeo o dalle lettere che pervengono ai vari servizi della Commissione.

Il varo di "Europa in diretta" e - in materia di mercato interno - del "Dialogo con i cittadini e con le imprese", di cui il "Servizio di orientamento" costituisce il principale elemento, rispondono quindi a un'esigenza reale: dare al cittadino l'informazione di cui ha bisogno con rapidità e semplicità, in modo decentrato. In tal modo le istituzioni europee dovrebbero altresì tenere maggior conto, in sede di modifica o elaborazione delle politiche comunitarie a favore dei cittadini, dei problemi che questi ultimi incontrano nell'esercizio dei loro diritti.

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