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Document 52000DC0028
Report from the Commission to the Council and the European Parliament - Third article 14 report on the application of Council Regulation (EEC) No 218/92 of 27 January 1992 on administrative cooperation in the field of indirect taxation (VAT) and Fourth report under article 12 of Regulation (EEC, Euratom) No 1553/89 on VAT collection and control procedures
Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Terza relazione ex articolo 14 applicazione del regolamento (CEE) n. 218/92 del Consiglio del 27 gennaio 1992 concernente la cooperazione amministrativa nel settore delle imposte indirette (IVA) e Quarta relazione ex articolo 12 del regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89 sulle procedure di riscossione e di controllo dell'IVA
Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Terza relazione ex articolo 14 applicazione del regolamento (CEE) n. 218/92 del Consiglio del 27 gennaio 1992 concernente la cooperazione amministrativa nel settore delle imposte indirette (IVA) e Quarta relazione ex articolo 12 del regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89 sulle procedure di riscossione e di controllo dell'IVA
/* COM/00/0028 def. */
Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Terza relazione ex articolo 14 applicazione del regolamento (CEE) n. 218/92 del Consiglio del 27 gennaio 1992 concernente la cooperazione amministrativa nel settore delle imposte indirette (IVA) e Quarta relazione ex articolo 12 del regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89 sulle procedure di riscossione e di controllo dell'IVA /* COM/00/0028 def. */
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO terza relazione ex articolo 14 applicazione del regolamento (cee) n. 218/92 del consiglio del 27 gennaio 1992 concernente la cooperazione amministrativa nel settore delle imposte indirette (iva) e quarta relazione ex articolo 12 del regolamento (cee, euratom) n. 1553/89 sulle procedure di riscossione e di controllo dell'iva Indice 1. Sintesi 2. Cenni storici 3. I presupposti del funzionamento del regime transitorio dell'IVA 3.1. Il regime transitorio dell'IVA 3.2. Implicazioni del regime transitorio dell'IVA per i controlli 3.3. Regimi particolari 3.4. Gli Uffici centrali di collegamento 3.5. L'impegnativo compito della lotta antifrode 4. Nuovi sviluppi dopo la seconda relazione ex articolo 14 e la terza relazione ex articolo 12 4.1. Reazione del Parlamento europeo e del Consiglio 4.2. Azioni a livello degli Stati membri 4.3. Azioni a livello comunitario 4.4. Azioni nell'ambito del sottocomitato antifrode (SCAF) del Comitato permanente per la cooperazione amministrativa nel campo delle imposte indirette nell'ambito dello SCAF 4.5. Relazioni della Corte dei conti 4.6. Indagini presso gli Stati membri 5. La funzione del controllo dell'iva negli stati membri 5.1. La funzione primaria del controllo dell'IVA 5.2. La struttura organizzativa del controllo dell'IVA negli Stati membri e il suo effetto sul controllo 5.3. Obiettivi, strategie e traguardi del controllo definiti dai programmi a livello centrale o locale 5.4. Il ruolo dei controlli multilaterali nell'ambito dei sistemi di controllo degli Stati membri 5.5. La destinazione, da parte degli Stati membri, delle risorse di controllo e la correlazione tra queste e l'attività di controllo 5.6. Metodologie di controllo tradizionali e nuove 5.6.1. Il ruolo della dichiarazione IVA a fini di controllo 5.6.2. Analisi del rischio 5.6.3. Controlli informatizzati 5.6.4. Servizi informativi e investigativi 5.7. Il ruolo delle sanzioni nel conseguire l'adempimento volontario 6. La funzione della cooperazione amministrativa e dell'assistenza reciproca nel campo delle imposte indirette (IVA) 6.1. Contesto generale 6.2. L'organizzazione della cooperazione amministrativa e dell'assistenza reciproca 6.3. Uso degli strumenti della cooperazione amministrativa da parte degli Stati membri 6.3.1. Gli Uffici centrali di collegamento e il loro ruolo nel rispetto delle scadenze 6.4. Integrazione della cooperazione amministrativa nei controlli e accessibilità degli strumenti disponibili 6.5. Sfruttamento a fini di controllo delle informazioni scambiate e loro utilità per la scoperta delle frodi 6.6. L'utilizzo degli strumenti giuridici attuali e il loro effetto sulla lotta antifrode 6.7. Ostacoli all'uso efficiente delle basi giuridiche esistenti 6.7.1. Un unico quadro giuridico in materia di IVA 6.7.2. Ostacoli allo scambio spontaneo delle informazioni 6.7.3. Ostacoli che impediscono il coordinamento e l'assistenza tecnica da parte dei servizi della Commissione 6.7.4. Accordi bilaterali per rendere automatico o intensificare lo scambio spontaneo d'informazioni 6.7.5. Possibilità di contatti diretti tra unità antifrode e tra controllori 6.7.6. Ostacoli alla presenza di funzionari dell'amministrazione fiscale degli altri Stati membri 6.7.7. Ostacoli che impediscono lo scambio di dati personali 6.7.8. Notifica al soggetto passivo dello scambio d'informazioni 6.7.9. Interferenza in procedimenti penali 6.7.10. Mancanza della base giuridica per scambiare informazioni con paesi terzi 7. Conclusioni e raccomandazioni 7.1. Conclusioni 7.2. RACCOMANDAZIONI 8. Allegato - grafici 1. Sintesi La relazione descrive il funzionamento della cooperazione amministrativa e la struttura delle soggiacenti modalità di controllo. Il regime transitorio dell'IVA è ormai in applicazione da oltre sei anni: un periodo, sarebbe lecito attendersi, sufficiente per risolvere i problemi di attuazione e per far funzionare il sistema senza intoppi. Ma non sembra che le cose stiano così. Questi sei anni, a quanto pare, sono serviti ai frodatori per escogitare le possibilità di arricchirsi offerte dal sistema transitorio, mentre gli Stati membri non si sono rivelati, nel complesso, capaci di contrastare l'attività fraudolenta. Il regime transitorio dell'IVA fa sì che le forniture intracomunitarie di beni siano esenti da imposta nello Stato membro di origine dei beni stessi, che vengono poi tassati nello Stato membro di destinazione. Oltre al regime, per così dire, normale, sono stati messi a punto vari meccanismi particolari di natura complessa per quelle fattispecie in cui gli Stati membri desideravano riservarsi un ulteriore controllo sulla tassazione. Il meccanismo dell'esenzione espone il regime IVA alle frodi, posto che i beni possono circolare in regime di esenzione; occorre quindi che sia fatto l'uso più completo degli strumenti comunitari di cooperazione amministrativa, oltre che dei sistemi nazionali di controllo. Dall'esame, ad opera della Commissione, dell'efficienza delle procedure di controllo degli Stati membri rispetto al regime transitorio sono emerse alcune carenze. In taluni Stati membri, i controlli sull'IVA sono attualmente ostacolati da una serie di problemi di natura organizzativa e amministrativa. I controlli continuano a basarsi su obiettivi di ordine esclusivamente nazionale, mentre manca una prospettiva intracomunitaria. La creazione del mercato interno non ha evidentemente determinato cambiamenti nella metodologia di controllo dell'IVA applicata a livello nazionale, né ha avuto come effetto l'assegnazione di risorse congrue ai compiti di controllo. L'unico cambiamento significativo è stata la creazione del sistema VIES per lo scambio d'informazioni sull'IVA, che comunque non viene utilizzato in modo ottimale e non ha dunque prodotto quella svolta di efficienza per la quale era stato concepito. Vi sono segnali di un aumento dei casi gravi di frode negli scambi intracomunitari. Il numero di frodi "circolari" scoperte dalle amministrazioni fiscali nazionali è in crescita. La Comunità ha messo in atto un regime IVA che ha consentito l'introduzione del mercato unico, ma i controlli sull'IVA continuano ad essere effettuati esclusivamente sul piano nazionale e con un livello di risorse che non tiene conto dell'aumentata esigenza di controlli. Il risultato è che mentre i truffatori possono operare in un mercato unico, i controlli continuano ad essere esercitati entro i confini nazionali. Il funzionamento imperfetto del controllo dell'IVA nella Comunità è peraltro la conseguenza della struttura e delle funzioni dei sistemi nazionali nel loro complesso. Anche laddove dispongono di forti poteri di controllo, gli Stati membri spesso non hanno corrispondenti strategie con piani e obiettivi chiari, cosicché la loro attività di controllo assume connotati confusi. Significativa è la scarsa priorità accordata al controllo degli scambi intracomunitari; la precedenza continua ad essere data al piano nazionale. Ma è comunque da rilevare la scarsa entità delle risorse destinate in assoluto dagli Stati membri ai controlli fiscali, e in particolare a quelli relativi all'IVA. Solo l'8% circa del personale delle amministrazioni fiscali è impegnato in media nei controlli in loco; per quanto riguarda l'IVA, a questi ritmi ci vorranno più o meno 40 anni per controllare, con visite in loco, i 24 milioni di soggetti passivi della Comunità. Questi stessi operatori danno luogo a circa 100 milioni di dichiarazioni IVA all'anno: un carico amministrativo notevole sia per i dichiaranti che per le amministrazioni. Eppure, a quanto pare sono sempre di meno le risorse destinate al controllo delle dichiarazioni, la cui funzione si riduce a quella di un documento occorrente per l'assolvimento dell'imposta. Quello del controllo è un compito di enormi proporzioni ed è del tutto evidente che le risorse che vi hanno destinato gli Stati membri sono ben lungi dall'essere sufficienti per un controllo su tutti gli operatori. E' pertanto di grande importanza la scelta della metodologia di controllo. L'esiguità delle risorse umane disponibili avrebbe dovuto spingere le amministrazioni fiscali a fare grande uso dell'analisi del rischio; al contrario, sono ben pochi gli Stati membri che l'hanno adottata. A causa del loro assetto organizzativo, della struttura amministrativa interna, delle attrezzature tecniche disponibili e, talvolta, degli ostacoli di natura giuridica, molti Stati membri non saranno in grado, nel breve o medio termine, di utilizzare sistemi di analisi del rischio per l'impossibilità di attivare le necessarie infrastrutture. Ne consegue che molti di essi dovranno continuare ad effettuare i controlli sul regime IVA secondo modalità convenzionali, che richiedono l'impiego di maggiori risorse. L'evoluzione della tecnologia elettronica, che consentirà agli operatori di utilizzare sistemi elettronici di fatturazione e autofatturazione come fatto di ordinaria amministrazione è destinata a porre i sistemi di controllo fiscale degli Stati membri di fronte a problemi specifici. La nuova tecnologia è già operativa, ma, a quanto sembra, gli Stati membri sono in generale molto in ritardo nel processo di adeguamento al nuovo contesto, benché la Commissione abbia organizzato nel 1996 il primo seminario in materia, seguito da molti altri. Attualmente, solo il 3% degli addetti ai controlli è in grado di utilizzare tecniche di controllo informatizzate, e questo potrà creare gravi problemi in futuro. E' inoltre evidente che i controlli informatizzati consentirebbero alle amministrazioni di conseguire una maggiore efficienza abbassando al tempo stesso i costi. Tutti gli Stati membri hanno adottato meccanismi sanzionatori che si applicano agli operatori inadempienti; tuttavia il livello, l'entità e l'applicazione pratica delle sanzioni variano da uno Stato membro all'altro, con conseguenti differenze di trattamento degli operatori a parità d'irregolarità o reato. La cooperazione amministrativa e la reciproca assistenza rappresentano il fulcro del regime di controllo sugli scambi intracomunitari e il requisito essenziale per il suo buon funzionamento. Lo scambio d'informazioni tra le amministrazioni fiscali della Comunità è l'elemento chiave della riuscita di tale regime, risultato che però non può essere raggiunto se a livello nazionale l'attività di controllo non è organizzata in modo adeguato a far fronte a questa nuova situazione. Esiste pertanto una stretta correlazione tra funzionamento del controllo a livello nazionale e cooperazione amministrativa a livello intracomunitario. Si può concludere, in termini generali, che dall'esame degli Stati membri emerge un'attività molto esigua nel campo della cooperazione amministrativa. A parte lo scambio automatico dei dati VIES, il numero degli scambi è molto limitato, sia per le informazioni fornite spontaneamente sia per quelle fornite su richiesta specifica. Il numero dei controlli multilaterali, in particolare di quelli finanziati dagli stessi Stati membri, è estremamente basso, il che sarebbe giustificato se fosse chiaro che non sussistono gravi situazioni di frode: ma è vero il contrario. Il motivo di questa attività relativamente ridotta sembra da ricercare nell'effetto combinato della scala nazionale delle priorità di controllo e della scarsità delle risorse disponibili.. Per quanto riguarda i dati VIES, molti funzionari addetti all'attività di controllo continuano a non avervi accesso, anche se la situazione è migliorata. Sono ancora troppi i casi in cui i dati VIES non sono integrati nel sistema nazionale di controllo, e la verifica degli scambi intracomunitari è considerata come un problema a parte. Tuttavia è stato riscontrato che alcuni Stati membri hanno perfezionato l'utilizzo dei dati VIES trasformandoli in nuovi strumenti di lotta antifrode, ad esempio contro le frodi "circolari". E' un fatto significativo che la cooperazione amministrativa sia ostacolata dall'estrema lentezza di reazione alle richieste d'informazioni. I motivi di tale lentezza sono molteplici, ma il principale è rappresentato dalle farraginose procedure interne seguite per evadere le richieste, spesso a causa di strutture inadeguate. Un altro motivo risiede nella scarsità delle risorse occorrenti per effettuare controlli rapidi e nella mancanza delle relative procedure. E così come è chiaro che i dati VIES sono utili per il controllo del regime di transizione, è altrettanto chiaro che per taluni tipi di frode, e in particolare per quelli più gravi quali le frodi "circolari" e quelle "phenix", occorre che la cooperazione amministrativa sia rapida. Alcuni Stati membri hanno istituito delle unità speciali antifrode proprio per rimediare a questa carenza, ma l'effetto non si sentirà in ambito comunitario fintanto che tutti gli Stati membri non abbiano attivato meccanismi analoghi. 2. Cenni storici A tutt'oggi, la Commissione ha redatto due relazioni in conformità dell'articolo 14 del regolamento (CEE) n. 218/92. La prima [1] riguardava l'istituzione del sistema VIES per lo scambio d'informazioni sull'IVA, la seconda [2] esaminava l'utilizzo da parte degli Stati membri della possibilità di scambiare informazioni ai sensi del regolamento; la presente relazione, la terza, approfondirà il tema della seconda relazione, esaminando però più da vicino i controlli IVA e l'interazione tra questi e la cooperazione amministrativa e la reciproca assistenza tra gli Stati membri. [1] COM(94) 262 def. del 23.6.1994. [2] COM(96) 681 def. dell' 8.1.1997. La Commissione ha inoltre l'obbligo di compilare ogni tre anni, in conformità dell'articolo 12, paragrafo 3, del regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89 [3] le procedure di riscossione dell'IVA e quelle di controllo relativamente all'imposta. Considerato lo stretto rapporto esistente tra cooperazione amministrativa e controllo dell'IVA, la Commissione ha deciso di trattare entrambi gli aspetti in questa relazione, che di conseguenza è una relazione comune ai sensi del regolamento (CEE) n. 218/92 e del regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89. [3] GU L 155 del 7.6.1989, pag. 9. Affinché la Commissione potesse disporre di dati corretti e aggiornati sui quali basare la presente relazione, è stata organizzata bilateralmente una serie di visite presso gli Stati membri. Le visite, avvenute tra ottobre 1998 e febbraio 1999, ruotavano attorno ai temi di un questionario che era stato inviato agli Stati membri nell'estate del 1998. Nel corso delle visite, gli Stati membri hanno potuto spiegare in che modo avevano attuato le raccomandazioni formulate nella seconda relazione; com'era organizzata la loro amministrazione fiscale e in che modo impostavano e conducevano i controlli sull'IVA. La Commissione ha avuto la piena collaborazione degli Stati membri durante le visite e le discussioni sono state aperte e costruttive. Tuttavia, per diversi aspetti dei temi esaminati gli Stati membri hanno avuto difficoltà a fornire informazioni complete, ovvero non sono stati in grado di fornire alcuna informazione in assoluto. In questa relazione si esamina il rapporto esistente tra la cooperazione amministrativa, quale concepita nel regolamento (CEE) n. 218/92, e la reciproca assistenza di cui alla direttiva 77/799/CEE nel contesto della lotta alla frode all'IVA. 3. I presupposti del funzionamento del regime transitorio dell'IVA 3.1. Il regime transitorio dell'IVA Per consentire l'abolizione dei controlli a fini fiscali alle frontiere interne della Comunità a partire dal 1.1.1993, il Consiglio ha deciso nel 1991 di istituire il regime transitorio dell'IVA [4]. Tale regime prevede che le operazioni intracomunitarie tra soggetti passivi continuino ad essere tassate in base alle condizioni e alle aliquote vigenti nello Stato membro di destinazione. Viene introdotta un'esenzione per le cessioni di beni destinati ad un altro Stato membro in luogo dell'esenzione all'esportazione e l'evento fiscalmente rilevante "importazione" viene sostituito dalla "acquisizione" nello Stato membro di arrivo. [4] Direttiva 91/680/CEE del Consiglio che completa il sistema comune di imposta sul valore aggiunto e modifica, in vista della soppressione delle frontiere fiscali, la direttiva 77/388/CEE. GU L 376 del 31.12.1991, pag. 1. 3.2. Implicazioni del regime transitorio dell'IVA per i controlli Con l'abolizione dei controlli alle frontiere, le verifiche sulla tassazione degli scambi intracomunitari sono state integrate nelle operazioni di controllo dell'IVA condotte a livello nazionale. Le esigenze poste dai controlli sull'IVA e le sollecitazioni derivanti dall'abolizione dei controlli alle frontiere imponevano un nuovo livello di cooperazione tra gli Stati membri. In particolare, essi avevano bisogno di informazioni dagli altri Stati membri per il controllo dell'imposizione, e per essere in grado di: · ottenere informazioni su tutte le transazioni intracomunitarie effettuate tra soggetti presenti nel loro registro di identificazione IVA e quelli figuranti nei registri di altri Stati membri; · confermare la validità del numero di identificazione IVA dell'acquirente. Tali dati, che costituiscono gli elementi di input per il metodo di controllo dell'IVA sulle transazioni intracomunitarie adottato dagli Stati membri, vengono resi disponibili tramite il VIES (VAT Information Exchange System) che è una rete informatica comune. Tuttavia, i dati VIES trasmessi tra gli Stati membri sono condizionati alle dichiarazioni dei soggetti che effettuano operazioni intracomunitarie esenti. Nei casi di dichiarazioni omesse, incomplete o inesatte, lo Stato membro competente per il controllo non può fare affidamento su quei dati. Va notato poi che i dati VIES si riferiscono soltanto alle cessioni intracomunitarie di beni e non alle prestazioni di servizi, e in particolare non riguardano i servizi prestati in conformità dell'articolo 9, paragrafo 2, lettera e) della Sesta direttiva sull'IVA. Per loro natura, inoltre, i dati VIES sono dati storici, posto che vengono trasmessi allo Stato membro cui appartiene il soggetto passivo che effettua acquisti intracomunitari almeno tre mesi dopo la data della transazione, periodo nel quale il soggetto potrebbe essere già scomparso, con conseguente perdita dell'entrata IVA. Questo rischio potenziale di frode era stato segnalato nelle proposte [5] per un quadro giuridico relativo alla cooperazione amministrativa e alla reciproca assistenza prima del 1993, ma gli Stati membri all'epoca non considerarono elevato questo rischio, cosicché il Consiglio finì per "annacquare " la proposta iniziale della Commissione. [5] COM(90)183 def. - SYN 275. In aggiunta al sistema VIES, la Commissione ha creato nel 1993 una rete informatica per lo scambio di informazioni tra Stati membri in regime di sicurezza, nota come SCENT fiscale. L'utilizzo che gli Stati membri hanno fatto di questo strumento è tuttavia deludente. Nel periodo dal 1997 a metà 1998, ad esempio, ben 13 dei 30 terminali sono rimasti inutilizzati. Tra le giustificazioni addotte dagli Stati membri per spiegare lo scarso utilizzo dello strumento SCENT fiscale figura la mancanza di una chiara base giuridica a cui fare riferimento per fornire spontaneamente informazioni su casi di sospetto di frode. 3.3. Regimi particolari Oltre ai cambiamenti sopra descritti, introdotti dal regime transitorio dell'IVA, sono stati istituiti regimi particolari per la tassazione dei mezzi di trasporto nuovi, delle vendite a distanza e delle vendite a entità giuridiche che non sono soggetti passivi. Scopo di tali regimi particolari è preservare le entrate fiscali degli Stati membri. Tuttavia essi necessitano di controlli particolari. In linea generale, per garantire un'imposizione corretta occorre che vi sia un flusso d'informazioni tra gli Stati membri. Nel corso delle sue visite presso di essi, la Commissione ha rilevato che molte amministrazioni preposte ai controlli non disponevano di sistemi adibiti all'invio spontaneo di tali informazioni agli altri Stati membri, ovvero non avevano tenuto conto del rischio di mancati introiti nel pianificare i controlli. Uno dei principali motivi sembra essere il fatto che i regimi particolari sono troppo complicati e richiedono pertanto per le attività di controllo risorse che non possono essere mobilitate. Di conseguenza, gli Stati membri non hanno dato seguito agli impegni di controllo relativi ai regimi particolari, che pure considerano essenziali. Nel caso del regime particolare per le vendite dei mezzi di trasporto nuovi, i controlli sono sporadici in alcuni Stati membri, ma la maggior parte di essi non esercita alcun controllo, fatto preoccupante visto che risultano in aumento le frodi connesse a questo regime particolare. La Commissione ammette che i controlli sui mezzi di trasporto nuovi sono difficoltosi, specialmente in quanto le norme in fatto di IVA possono essere lontane dalla normale prassi commerciale e prevedere, ad esempio, che un'auto usata sia ugualmente classificata come nuova ai fini IVA. 3.4. Gli Uffici centrali di collegamento Il ruolo e le funzioni degli Uffici centrali di collegamento (CLO-Central Liaison Offices) sono stati oggetto di approfondito esame nella Seconda relazione ex articolo 14. La Commissione non intende ripeterne le critiche in questa relazione, ma si limita a ribadire che permane e si aggrava il problema delle numerose richieste di assistenza alle quali non viene data risposta entro il termine di tre mesi stabilito dal regolamento (CEE) n. 218/92 (cfr. il capitolo 6 per ulteriori dettagli). Inoltre gli Stati membri, con poche eccezioni, non sono generalmente disposti a far uso delle possibilità offerte dall'articolo 12 del regolamento (CEE) n. 218/92 e a delegare le loro attribuzioni a livello operativo. Pur essendo chiaro che occorre mantenere un equilibrio tra le esigenze dei servizi locali e quelle delle amministrazioni centrali, i CLO devono essere utilizzati come canali di trasmissione e non per creare strozzature. Alcuni Stati membri nutrivano incertezze circa il ruolo operativo dei CLO e circa il rapporto tra questi e le unità speciali di controllo e di lotta antifrode, fatto che può generare confusione. I CLO possono inoltre svolgere un ruolo più attivo nell'informare i funzionari addetti al controllo sulle possibilità di scambio d'informazioni, soprattutto per i controlli relativi ai regimi particolari, ai rimborsi a norma dell'ottava direttiva e per i servizi previsti dall'articolo 9, paragrafo 2, lettera e) della sesta direttiva. Diversi CLO hanno lamentato di non disporre di sufficienti poteri e risorse per assolvere il proprio ruolo. Per chiudere l'argomento con una nota positiva, taluni Stati membri hanno nominato corrispondenti dei CLO che operano come punti di contatto a livello regionale e locale. 3.5. L'impegnativo compito della lotta antifrode Lo stesso regime transitorio dell'IVA offre occasioni di frode, per il fatto stesso di ammettere la circolazione di beni sui quali non è stata assolta l'imposta. Ciò fa nascere un forte incentivo a dirottare i beni non tassati verso il mercato nero. Occorre in proposito ricordare che all'atto dell'introduzione del regime transitorio la Commissione stessa aveva richiamato l'attenzione sul potenziale incremento di determinati tipi di frode, in particolare quella "circolare", e sulla probabilità che aumentasse il volume delle richieste di cooperazione connesse alle frodi [6]. Alla luce di tali considerazioni, la Commissione aveva segnalato la necessità di un sistema organico di cooperazione amministrativa e di assistenza reciproca. Ma la sua proposta non era stata accolta dagli Stati membri, che avevano ritenuto sufficiente, per far fronte al rischio di frodi, dare attuazione al sistema VIES e al regime più limitato di cooperazione previsto dal regolamento n. 218/1992. [6] COM(90)183 def.- SYN 275. 4. Nuovi sviluppi dopo la seconda relazione ex articolo 14 e la terza relazione ex articolo 12 4.1. Reazione del Parlamento europeo e del Consiglio La seconda relazione ex articolo 14 è stata trasmessa sia al Consiglio che al Parlamento europeo. In essa si concludeva che la cooperazione amministrativa è un anello d'importanza sempre più fondamentale nella catena dei controlli in materia di IVA e che non sfruttare appieno le sue potenzialità avrebbe costituito una minaccia inaccettabile per l'integrità dello stesso sistema dell'IVA. La relazione formulava pertanto otto raccomandazioni per il miglioramento della cooperazione amministrativa e il rafforzamento della lotta antifrode. Le raccomandazioni riguardavano azioni da intraprendere a livello comunitario come pure iniziative di competenza degli Stati membri. Anche la terza relazione della Commissione ex articolo 12 [7] sulle procedure di controllo dell'IVA applicate dagli Stati membri e sui miglioramenti conseguiti si concludeva con una serie di raccomandazioni sul modo migliore per combattere le frodi, basandosi sulle prassi esemplari finora individuate dagli Stati membri e comunicate alla Commissione. [7] Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Procedure di riscossione e di controllo dell'IVA applicate negli Stati membri - Terza relazione della Commissione [articolo 12 del regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89] /* COM/98/0490 def. */. Tuttavia, nessuna delle due relazioni è stata discussa dal Parlamento europeo o dal Consiglio. La Commissione si sorprende per questa mancanza di reazioni da parte delle altre istituzioni e per la loro palese indifferenza di fronte alle carenze messe in luce dalle relazioni e al danno che viene causato all'occupazione nonché agli interessi finanziari ed economici degli Stati membri e della Comunità. 4.2. Azioni a livello degli Stati membri Le raccomandazioni formulate nella relazione ex articolo 14 relativamente all'operato degli Stati membri nel campo della cooperazione amministrativa e della prevenzione delle frodi sono state discusse dai Direttori generali delle dogane e dell'imposizione indiretta [8]. I Direttori generali hanno ribadito il loro impegno verso il principio della cooperazione amministrativa e si sono trovati concordi con l'analisi della Commissione circa la necessità che gli Stati membri ne migliorino l'uso e l'attuazione. Essi hanno inoltre concordato sulla necessità di fissare obiettivi misurabili per conseguire tale miglioramento e si sono dichiarati disponibili a conferire a questa azione la priorità che merita in termini di risorse organizzative e umane. [8] Quinta riunione dei Direttori generali delle dogane e dell'imposizione indiretta 26 marzo 1997. Pertanto, alla 28a riunione dello SCAC [9] la Commissione ha chiesto agli Stati membri di approvare determinati standard per la messa in atto delle raccomandazioni. Gli Stati membri però non sono riusciti a trovare un accordo su nessuna delle iniziative proposte dalla Commissione e le delegazioni non si sono rivelate disposte ad impegnarsi sul principio degli obiettivi da fissare. [9] Riunione del Comitato permanente di cooperazione amministrativa, SCAC, 8-9 aprile 1997. La questione è stata dunque sottoposta al Consiglio ECOFIN [10]. In quella sede, la Commissione ha ricordato ai ministri che i direttori generali delle amministrazioni fiscali nazionali avevano concordato sulla necessità di fissare obiettivi chiari per migliorare l'utilizzo del regime di cooperazione amministrativa, ma che purtroppo non era stato ancora possibile trovare un accordo sugli obiettivi stessi. [10] 0 Riunione ECOFIN del 12 maggio 1997. Solo alla 29a riunione dello SCAC [11] si è giunti infine a fissare alcuni standard. Pur trattandosi di obiettivi minimi, alcuni Stati membri hanno richiesto delle deroghe, permanenti o temporanee, a causa della mancanza di risorse umane o di mezzi tecnici, o di entrambi. [11] Riunione del Comitato permanente di cooperazione amministrativa, SCAC, 25 giugno 1997. 4.3. Azioni a livello comunitario La seconda relazione ex articolo 14 aveva indicato la necessità che la Comunità fornisse agli Stati membri strumenti adeguati di cooperazione e ne stimolasse l'uso da parte dei funzionari addetti ai controlli. Dando seguito a questa raccomandazione, la Commissione ha proposto nel 1997 il programma Fiscalis, che ha cominciato ad essere applicato nel 1998 [12] e resterà in vigore per cinque anni. [12] Il programma Fiscalis è stato adottato con decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 marzo 1998 (decisione 98/888/CE) seguita dalla decisione di attuazione del programma Fiscalis da parte della Commissione del 2 luglio 1998 (decisione 98/467/CE). Il programma Fiscalis, così come quello che lo ha preceduto, ossia il programma Matthaeus-Tax, si pone come perno della cooperazione amministrativa attraverso scambi di funzionari tra le amministrazioni degli Stati membri, l'organizzazione di seminari che affrontano temi ben precisi, e controlli multilaterali nel campo dell'imposizione indiretta. Nel corso del 1998, sono stati tenuti nove seminari, uno dei quali dedicato in modo specifico alle indagini in materia di frodi all'IVA e un altro riguardante l'analisi dei rischi. Sempre nel 1998 sono stati avviati 13 controlli multilaterali, a ciascuno dei quali partecipano in media 6 paesi. Nella seconda relazione ex articolo 14, la Commissione sottolineava anche la necessità di migliorare il funzionamento a livello comunitario dell'assistenza reciproca in materia di recuperi. La Commissione ha conseguentemente presentato nel 1998 una revisione organica dell'attuale direttiva relativa al recupero di crediti [13] proponendo di ampliare il suo ambito di applicazione per ricomprendere imposte dirette, multe e sanzioni. La discussione della proposta continua in seno al competente gruppo di lavoro del Consiglio. [13] 3 COM(98)0364 def., Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 76/308/CEE del Consiglio relativa all'assistenza reciproca in materia di ricupero dei crediti risultanti da operazioni che fanno parte del sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, nonché dei prelievi agricoli e dei dazi doganali e relativa all'imposta sul valore aggiunto e su talune accise. Di concerto con gli Stati membri, la Commissione ha anche cominciato ad esaminare i problemi fiscali comportati dal commercio elettronico. I principi generali sono esposti nella prima relazione [14], concordata con il Consiglio. In collaborazione con gli Stati membri e con istanze internazionali, la Commissione sta cercando di individuare soluzioni per i problemi di controllo, di lotta all'elusione e all'evasione fiscale insiti in questo settore. Pur essendo ancora presto per valutare i risultati di questa attività, è evidente che per riuscire a controllare le transazioni effettuate attraverso il web gli Stati membri dovranno fare molto affidamento sulla cooperazione amministrativa, sia tra loro che con i paesi terzi. [14] COM(98)0374 def., Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale - Commercio elettronico e imposizione indiretta. In occasione delle riunioni dello SCAC, la Commissione ha ripetutamente proposto agli Stati membri di assicurare maggiori possibilità di verifica del numero di identificazione IVA, consentendo l'accesso a questa funzione del VIES tramite web. In tal modo, oltre a facilitare il commercio, si metterebbero i fornitori in condizione di accertare se i loro clienti sono muniti o meno di codice IVA, consentendo un'applicazione corretta delle disposizioni dell'articolo 9 della sesta direttiva, che sposta il luogo di prestazione di determinati servizi nello Stato membro in cui ha sede il destinatario del servizio. In seno allo SCAC, gli Stati membri si sono rifiutati di consentire alla Commissione di creare questo accesso "comunitario" alle informazioni, benché almeno uno di essi offra già questa possibilità tramite il proprio sito web. E' deplorevole che gli Stati membri non abbiano ritenuto di accogliere questa proposta. 4.4. Azioni nell'ambito del sottocomitato antifrode (SCAF) del Comitato permanente per la cooperazione amministrativa nel campo delle imposte indirette nell'ambito dello SCAF In seno allo SCAF, è proseguita l'attività volta a individuare i casi di frode e i meccanismi soggiacenti e, in generale, il profilo delle frodi in materia di IVA a livello comunitario. Il Comitato ha intrapreso a tal fine due importanti studi basati su circa 1000 casi di frode all'IVA segnalati dagli Stati membri. Il secondo studio verteva in modo particolare sulle frodi consistenti nell'abuso del regime degli scambi intracomunitari. Lo SCAF è giunto alla conclusione che la situazione delle frodi all'IVA è grave e richiede rimedi urgenti. Le risultanze degli studi sono da utilizzare come punto di partenza per un piano d'azione volto a combattere le frodi all'IVA. I due studi hanno riguardato circa 1000 casi, per una perdita reale complessiva di gettito IVA pari a EUR1300 milioni. Si stima comunque che gli importi rilevati, pur essendo ingenti, non sono che la punta dell'iceberg. La Corte dei conti ha indicato in proposito in una sua relazione speciale [15] che tra il gettito IVA effettivamente riscosso e quello teorico esiste un divario, calcolato sulla base di parametri macroeconomici, pari a EUR70 000 milioni, corrispondente al 21% delle entrate degli Stati membri. Benché sia stato messo in discussione, questo calcolo evidenzia comunque una grave discrepanza che, almeno in parte, potrebbe essere dovuta alle frodi. [15] Relazione speciale della Corte dei conti 9/98. L'analisi dei casi ha consentito di individuare le principali tecniche utilizzate dai frodatori. Oltre a quelle di tipo tradizionale, quali la soppressione dell'IVA a debito e l'abuso delle regole di detrazione, molto frequenti negli scambi a livello nazionale, il meccanismo principale su cui si basa la frode intracomunitaria o internazionale è quello dell'abuso delle regole di esenzione. A più riprese nelle sue riunioni lo SCAF ha discusso su come intensificare la cooperazione per combattere questo tipo di frode all'IVA. Si è dibattuto sulle informazioni che sarebbe utile scambiare a livello operativo e benché quelle relative a singoli soggetti siano probabilmente quelle più utili per individuare e prevenire la frode, questa è proprio la categoria di dati che comporta maggiori problemi. A causa della normativa sulla tutela dei dati personali o sulla segretezza delle informazioni di tipo fiscale, molti Stati membri non sono in grado o non sono disposti a scambiare questo tipo di dati, salvo con lo Stato membro che sia chiaramente interessato da un episodio di frode. Anche questi ostacoli di natura giuridica alla cooperazione nella lotta antifrode sono stati oggetto di discussione in seno allo SCAF, allo scopo di individuare e definire ciò che non è possibile fare per la presenza di restrizioni nella legislazione nazionale o per la mancanza di una base giuridica a livello comunitario. Alcuni Stati membri hanno segnalato in proposito la necessità di un unico strumento giuridico certo, da ricavare unificando l'attuale direttiva 77/799/CEE e l'attuale regolamento (CEE) n. 218/92. Gli Stati membri ritengono concordemente che gli ostacoli giuridici siano da eliminare e che ciò debba essere realizzato tramite la legislazione comunitaria e non con accordi bilaterali. Un'altra conclusione emersa dagli studi sui casi di frode all'IVA è che gli Stati membri non dispongono di adeguate registrazioni delle informazioni sui casi di frode, né di adeguati sistemi di archiviazione. La Commissione ha pertanto presentato in seno allo SCAF delle proposte per la realizzazione a livello nazionale di un meccanismo coerente e sistematico di registrazione dei dati sui casi di frode. Gli Stati membri non sono riusciti però ad accordarsi sui requisiti minimi di un simile meccanismo. Il motivo principale per il quale gli Stati membri non possono o non vogliono assumere impegni in sede di SCAF sembra risiedere nel livello di rappresentanza. Avviene spesso che i delegati sostengano di avere poteri limitati a quelle decisioni che non incidono sulle risorse delle autorità deleganti; ma poiché la maggior parte delle azioni da decidere hanno in qualche misura un impatto sulle risorse che gli Stati membri dedicano all'attività di controllo e alla cooperazione amministrativa, il Comitato non è praticamente in grado di fare progressi significativi e non può prendere le necessarie decisioni per migliorare la lotta antifrode, nemmeno quando i delegati concordano in linea di principio sulla necessità delle iniziative proposte. 4.5. Relazioni della Corte dei conti Nella sua relazione del 1998 [16] la Corte dei conti ha sottolineato che la lotta antifrode è caratterizzata dall'assenza di una strategia integrata. La Corte ha fatto rilevare che riguardo alle transazioni intracomunitarie esiste una contraddizione, in quanto esiste in pratica un mercato unico per la frode ma non per l'applicazione della legge. Dalla relazione emerge che le perdite complessive di gettito IVA, sia a livello interno che intracomunitario, sono di entità considerevole. La Corte ha osservato anche che gli strumenti di cooperazione tra gli Stati membri non vengono pienamente sfruttati, ed ha indicato come motivo del sottoutilizzo la lentezza delle procedure quando non l'ignoranza dell'esistenza di questi strumenti da parte soprattutto delle autorità locali. Essa ha esortato gli Stati membri a istituire sistemi atti ad accertare l'entità delle frodi e a valutare periodicamente l'efficacia e i risultati della loro attività antifrode. [16] Relazione speciale n. 9/98 concernente la tutela degli interessi finanziari dell'Unione europea nel campo dell'IVA sugli scambi intracomunitari, GU n. C 349 del 17. 11. 1998 La Commissione del Parlamento europeo per il controllo dei bilanci, nel corso della procedura di discarico per l'esercizio finanziario 1997, ha esaminato la relazione speciale 9/98 della Corte dei conti per il suddetto esercizio, relativa alle risorse proprie. Sulla base delle osservazioni della Corte, la Commissione per il controllo dei bilanci invita la Commissione europea a intraprendere ogni iniziativa atta a stimolare gli Stati membri, da un lato, a dotarsi di sistemi credibili di valutazione dell'incidenza delle frodi nonché dell'efficacia e dei risultati delle azioni di controllo e, dall'altro, a mettere a punto tecniche di analisi del rischio ai fini dei controlli dell'IVA. La Commissione è stata inoltre invitata a fornire una valutazione dell'efficacia dei sistemi sanzionatori e a proporre una strategia di cooperazione e di controllo per una lotta efficace contro la frode. 4.6. Indagini presso gli Stati membri Considerate tutte queste spie di una situazione inaccettabile, e in particolare i riscontri dell'esistenza di frodi gravi, a fronte di sistemi di controllo e di cooperazione amministrativa insoddisfacenti, la Commissione ha deciso di attuare un programma di visite presso i singoli Stati membri per verificare il funzionamento e l'efficienza della cooperazione amministrativa e dell'assistenza reciproca nel campo dell'IVA. La maggior parte di queste visite, precedute da un questionario esauriente, hanno avuto luogo nell'ultimo trimestre del 1998. La presente relazione si basa essenzialmente sulla valutazione dei risultati delle visite. 5. La funzione del controllo dell'iva negli stati membri 5.1. La funzione primaria del controllo dell'IVA La funzione primaria del controllo dell'IVA è assicurare che il gettito IVA fluisca nelle casse dell'Erario. Essendo l'IVA un'imposta ad autoliquidazione, occorrono controlli adeguati per accertare che il soggetto passivo versi l'importo giusto alle giuste scadenze. Dal punto di vista del bilancio comunitario, l'apporto del singolo Stato membro è costituito in parte da una percentuale dell'IVA effettivamente riscossa, denominata "risorsa IVA". Ne consegue che l'esistenza di un'economia sommersa a livelli variabili da uno Stato membro all'altro viene a creare una situazione di sperequazione a livello degli apporti dei singoli Stati membri al bilancio comunitario. Considerata poi dall'ottica del mercato unico, l'esistenza dell'economia sommersa crea distorsioni inaccettabili della concorrenza tra gli operatori in regola e quelli che agiscono nell'illegalità. Un elemento chiave del controllo dell'IVA è il cosiddetto sistema che si autocontrolla. Non in tutti gli Stati membri infatti le amministrazioni fiscali sono autorizzate a fotocopiare fatture o a trarne informazioni da utilizzare poi per il controllo sull'intestatario. In tal caso è impossibile effettuare in modo efficiente i necessari controlli incrociati che il regime IVA richiede. 5.2. La struttura organizzativa del controllo dell'IVA negli Stati membri e il suo effetto sul controllo In linea generale, negli Stati membri l'amministrazione fiscale presenta due tipi distinti d'impostazione: una basata sul tipo d'imposta (con amministrazioni separate a seconda dell'imposta) e una basata sul concetto di soggetto passivo o contribuente. In quest'ultimo caso, una sola amministrazione fiscale articolata in uffici locali è competente per tutti gli obblighi fiscali del soggetto passivo. E' evidente che l'approccio integrato presenta due importanti vantaggi: un'amministrazione integrata può seguire un'impostazione globale per tutti i controlli fiscali e può quindi effettuare un'allocazione ottimale ed economicamente efficiente delle risorse, con migliori risultati di controllo e maggiori possibilità di prevenzione delle frodi. Gli Stati membri che dispongono di un'amministrazione di questo tipo hanno anche dispositivi di controllo fiscale, sistemi informatici e archivi integrati, ed hanno un miglior quadro generale delle attività del soggetto passivo; al contrario le amministrazioni di tipo non integrato devono in genere superare problemi di lentezza burocratica per arrivare allo stesso livello di efficienza. 5.3. Obiettivi, strategie e traguardi del controllo definiti dai programmi a livello centrale o locale Dall'esame degli obiettivi di controllo degli Stati membri e delle loro strategie per raggiungerli risulta del tutto evidente che il controllo degli scambi intracomunitari rappresenta tuttora un problema secondario. Sono ben pochi gli Stati membri che dispongono di una chiara strategia di controllo nella quale gli scambi intracomunitari sono sottoposti allo stesso livello di controlli di cui sono oggetto gli scambi nazionali. Negli altri, l'attività di controllo si limita alla verifica dei dati VIES, ma quasi con modalità casuali. Nessuno degli Stati membri ha attivato una strategia di controllo per i regimi particolari. I piani di controllo nazionali sono impostati secondo metodologie diverse. Alcuni Stati membri stabiliscono un preciso nesso tra l'obiettivo generale e le strategie per raggiungerlo, e arrivano in certi casi a tradurre gli obiettivi globali in traguardi individuali affidati a ciascun funzionario o ufficio locale. In ogni caso sono ancora troppi gli Stati membri che dispongono di sistemi del tutto vaghi, dove non è chiaro quali siano gli obiettivi, le strategie e i traguardi che mettono in moto i controlli sull'IVA. Molti degli Stati membri stabiliscono programmi di controllo a livello regionale o locale, che spesso non sembrano avere rapporto alcuno con gli obiettivi generali; non esiste poi un reale feedback al livello centrale, il che significa che a quel livello si sa ben poco dell'attività di controllo in corso e dei suoi risultati. Le strategie per indurre i soggetti passivi all'adempimento dei propri obblighi variano da uno Stato membro all'altro. La maggior parte dei piani di controllo si basa sul concetto che fissando un obiettivo consistente nel numero di verifiche o di giornate di verifica da attuare entro un dato limite di tempo si raggiunga un livello sufficiente di controllo. Molti Stati membri hanno formulato l'obiettivo generale da raggiungere in termini di entrate da acquisire, con lo scopo primario di incrementare il gettito fiscale per l'Erario e giustificare il budget assegnato al controllo. 5.4. Il ruolo dei controlli multilaterali nell'ambito dei sistemi di controllo degli Stati membri Il regime comunitario dell'IVA ha fatto nascere la necessità di creare funzioni di controllo transnazionale. Il sistema VIES rientra in questo tipo di funzioni; tuttavia, permane la necessità di effettuare controlli simultanei su base bilaterale o multilaterale. Per agevolare i controlli multilaterali simultanei sono previsti finanziamenti comunitari. Il programma Fiscalis del 1998 rende più concreta questa possibilità prevedendo un contributo finanziario per l'organizzazione dei controlli multilaterali tra le attività del programma. Nel regime transitorio dell'IVA, la necessità di controlli è maggiore rispetto al periodo anteriore al 1993, quando le operazioni transnazionali dovevano passare al vaglio dei controlli alle frontiere. Dall'esame dell'attività degli Stati membri emerge che il livello dei controlli bilaterali o multilaterali è estremamente ridotto. A parte quelli effettuati con i finanziamenti comunitari, i controlli simultanei che gli Stati membri hanno svolto a proprie spese sono pochissimi, nonostante essi siano necessari per garantire l'osservanza del regime transitorio. Nel corso del 1998 sono stati avviati 13 controlli multilaterali, a ciascuno dei quali hanno partecipato in media 6 Stati membri. In alcuni Stati membri esistono impedimenti giuridici alla partecipazione dei controllori di altri Stati membri ai controlli effettuati sul proprio territorio, ovvero vigono norme di segretezza che impediscono di mettere in comune le informazioni, rendendo di fatto impossibile la partecipazione ai controlli multilaterali, anche laddove i soggetti passivi interessati non hanno obiezioni. Alcuni Stati membri hanno dichiarato di avere altre priorità e che estendere i controlli ad altri campi richiede ulteriori risorse che attualmente essi non sono in grado di mobilitare. 5.5. La destinazione, da parte degli Stati membri, delle risorse di controllo e la correlazione tra queste e l'attività di controllo L'entità delle risorse adibite all'attività di controllo - intese come risorse umane e come mezzi tecnici - dovrebbe di norma essere in funzione dei controlli da effettuare per conseguire l'obiettivo generale, ripartito in traguardi misurabili che devono essere raggiunti dalle varie amministrazioni competenti. Le risorse occorrenti per giungere ai traguardi fissati dipendono dalla vastità e dalla natura del regime fiscale da sottoporre a controllo, dal tipo di organizzazione dell'amministrazione fiscale, dalla struttura e dall'attività dei soggetti passivi da controllare. In assenza di strategie e obiettivi chiari, gli Stati membri non effettuano la destinazione delle risorse in base alle effettive esigenze. E' palese, al contrario, che gli Stati membri per la maggior parte adeguano la propria attività di controllo alle risorse disponibili. Nessuno di essi è stato in grado di confermare che la destinazione delle proprie risorse, in particolare di quelle umane, era effettivamente rispondente alle esigenze di quello che essi ritenevano un controllo adeguato. Il livello delle risorse adibite ai controlli varia inoltre non solo tra gli Stati membri ma anche tra le singole regioni e i servizi dello stesso Stato. Insomma, non esiste un principio comune che presieda alla destinazione delle risorse di controllo negli Stati membri. Gli Stati membri si trovano a dover svolgere la supervisione su transazioni intracomunitarie esenti da IVA per un valore di circa EUR930 000 000 000 - una categoria di operazioni che prima del 1993 era soggetta a controlli ufficiali alle frontiere e che ora è di competenza delle autorità fiscali. Gli Stati membri devono controllare circa 24 milioni di operatori soggetti a IVA che presentano ogni anno circa 100 milioni di dichiarazioni. Per svolgere questo immane compito, essi hanno a disposizione solo un numero limitato di controllori: complessivamente 400 000 funzionari adibiti alla totalità delle amministrazioni fiscali. Ma poiché esistono livelli diversi d'integrazione nelle varie amministrazioni, è stato difficile stabilire quanti siano gli ispettori adibiti esclusivamente o parzialmente ai controlli dell'IVA e quanti controlli siano stati effettivamente intrapresi. Uno dei motivi è che in taluni Stati membri le amministrazioni fiscali centrali fanno capo ad autorità diverse da quelle locali, e spesso non conoscono le reali risorse disponibili. Nonostante questo quadro d'incertezze, si può calcolare che il 20% circa del totale dei funzionari del Fisco (più o meno 80 000) svolga attività di controllo. Partendo dall'ipotesi che le amministrazioni integrate adibiscano il 30% circa del proprio personale ispettivo ai controlli dell'IVA (un'indicazione data da alcuni di questi Stati membri), il numero complessivo dei funzionari addetti ai controlli IVA nella Comunità può calcolarsi approssimativamente in 30 000 unità, vale a dire l'8% del totale del personale delle amministrazioni fiscali. (Cfr. la figura 1 per la percentuale dei funzionari adibiti ai controlli dell'IVA in loco per Stato membro). Benché alcuni Stati membri non siano stati in grado di indicare il numero di controlli IVA che eseguono nell'arco di un anno civile, si può desumere dai dati forniti da 11 di essi che nella Comunità non si eseguano più di 600 000 controlli (in loco) all'anno. Si può dunque calcolare che ogni controllore svolga in media 20 controlli IVA l'anno. (Cfr. la figura 2 per il numero di soggetti passivi per controllore IVA). Occorre chiedersi quante risorse siano effettivamente necessarie per controllare adeguatamente il regime transitorio dell'IVA. Non si è riflettuto sulla metodologia di controllo da adottare per gestire in modo efficiente tale attività. Non sembra inoltre che nel 1993 vi sia stato un significativo aumento delle risorse adibite al controllo, né che sia avvenuto un cospicuo trasferimento di controllori dalle amministrazioni doganali a quelle fiscali. La seconda domanda da porsi è se gli Stati membri utilizzino le risorse disponibili nel modo più efficiente. In presenza di risorse limitate, la metodologia di controllo assume un ruolo importante. Lo strumento di base è di norma un piano di controllo, con traguardi che discendono dall'obiettivo generale, fissato ad un livello più alto. Una prima conclusione è che molti Stati membri non dispongono di veri piani di controllo con obiettivi chiaramente definiti, accompagnati da traguardi e da un sistema di monitoraggio. Molti di essi hanno quanto meno delle linee guida che applicano nei controlli. Non è insolito che piani di controllo dettagliati vengano elaborati a livello locale per poi essere approvati a un livello superiore. L'attività prevista da questi piani è talvolta posta in essere in funzione delle risorse disponibili, ma non rispecchia le effettive esigenze di controllo. I traguardi vengono quasi sempre quantificati in numero di controlli da effettuare o di giornate di controllo, o in gettito aggiuntivo da riscuotere. In alcuni piani i traguardi sono indicati anche in termini selettivi, ossia di numero o percentuale di soggetti passivi con determinate caratteristiche da sottoporre a controllo. La maggior parte delle risorse disponibili vengono utilizzate secondo le indicazioni dei piani di controllo, ma esistono spesso risorse supplementari, benché limitate, da destinare a controlli ad hoc. 5.6. Metodologie di controllo tradizionali e nuove 5.6.1. Il ruolo della dichiarazione IVA a fini di controllo La dichiarazione IVA differisce per impostazione e finalità da uno Stato membro all'altro. Alcuni Stati membri hanno moduli di dichiarazione completi, con i quali raccolgono una quantità d'informazioni a fini di controllo (e che sono onerosi da compilare per gli operatori), mentre altre amministrazioni applicano moduli di dichiarazione IVA molto snelli, con poche voci. In alcuni casi la dichiarazione IVA è abbinata alla riscossione di altre imposte. A quanto pare, nessuno degli Stati membri utilizza in pratica tutte le informazioni raccolte con la dichiarazione IVA. La maggior parte di essi le inserisce in un sistema informatico, automaticamente o in altro modo. Alcuni Stati membri hanno dichiarato che utilizzano questi dati per metterli a confronto con quelli relativi all'imposta sul reddito; tuttavia, poiché di norma le dichiarazioni IVA vengono presentate molto più tardi rispetto a quelle dei redditi, queste verifiche assumono l'aspetto di un confronto di dati storici e il controllo non riguarda pertanto dati aggiornati. Peraltro, nessuno degli Stati membri sostiene che la dichiarazione IVA sia uno strumento efficace ai fini del controllo. Nel complesso, sembra che gli Stati membri dedichino risorse umane in quantità all'esame e all'amministrazione delle dichiarazioni IVA, mentre tali risorse potrebbero essere utilizzate più efficacemente per controlli più mirati; al tempo stesso, si potrebbe introdurre una notevole semplificazione senza perdere i vantaggi acquisiti. Questo vale soprattutto per quegli Stati membri in cui si raccolgono molti dati dai soggetti passivi in forma non elettronica, senza quindi poterli ulteriormente utilizzare nell'ambito dell'amministrazione fiscale. 5.6.2. Analisi del rischio Considerata l'enorme massa di controlli che il regime transitorio richiede, molti Stati membri ritengono l'analisi del rischio l'unica soluzione possibile per gestire il necessario livello di controlli in presenza di risorse limitate. Il problema è che molti non dispongono della struttura occorrente per applicare l'analisi del rischio. In alcuni Stati membri esistono problemi, di natura pratica o formale, o entrambe, nell'utilizzare i dati provenienti da altre amministrazioni fiscali, per non parlare delle amministrazioni di altri Stati. Alcuni di essi non dispongono delle infrastrutture tecniche per collegare tra loro fonti diverse di controllo e centralizzare i relativi dati per agevolare i confronti. In altri, le infrastrutture tecniche non sono nemmeno sufficienti per collegare tra loro i livelli centrale, regionale e locale e poter quindi effettuare un'analisi del rischio centralizzata, e questi Stati membri devono limitarsi a costruire modelli di rischio basati sulle informazioni locali. I modelli di selezione dei controlli potrebbero essere affinati sulla base dell'esperienza acquisita nei controlli precedenti. Purtroppo però gli Stati membri hanno generalmente livelli carenti di documentazione e registrazione, non solo in relazione ai soggetti passivi di loro competenza ma anche sui controlli effettuati. Molti Stati membri non hanno sistemi adeguati di archiviazione e spesso i fascicoli vengono conservati a livello locale. Nessuno di essi ha attivato un vero monitoraggio dei controlli, nel senso di effettuare un'analisi della frode e dei meccanismi soggiacenti. In alcuni casi esistono forme di monitoraggio a livello locale e regionale, ma pochi Stati membri hanno un sistema che permetta loro di disporre di un quadro complessivo della situazione delle frodi sul proprio territorio. In assenza di tale sistema, diventa difficile descrivere la natura e l'entità della frode e individuare i rischi. Non utilizzando sistemi di selezione basati sul rischio, gli Stati membri non sfruttano al meglio le risorse di cui dispongono. Solo due Stati membri applicano l'analisi del rischio come strumento principale per la selezione dei controlli da effettuare, mentre altri utilizzano forme ibride di selezione. Così stando le cose, le risorse attualmente disponibili e i metodi utilizzati non consentiranno di far fronte al compito sempre più impegnativo della lotta antifrode, a meno che gli Stati membri non riescano ad adeguare in tempi brevi le proprie infrastrutture giuridiche, organizzative e tecniche per attivare sistemi efficaci di analisi del rischio 5.6.3. Controlli informatizzati E' stata presa in esame anche la capacità degli Stati membri di adottare nuove tecnologie. Molti di essi mettono a disposizione dei propri funzionari strumenti avanzati, che consentono l'accesso a dati non elaborati o a prodotti più affinati, nei quali i dati VIES vengono consolidati con altri dati di controllo per fornire al controllore un quadro più organico della situazione del soggetto passivo. Questo tipo di evoluzione è ancora agli inizi in molti Stati membri, ma il crescente impiego dei sistemi informatici nelle aziende li costringerà a dotarsi della nuova tecnologia. L'evoluzione della tecnologia elettronica, che consentirà agli operatori di utilizzare sistemi elettronici di fatturazione e autofatturazione come fatto di ordinaria amministrazione è destinata a porre i sistemi di controllo fiscale degli Stati membri di fronte a problemi specifici. La nuova tecnologia è già operativa, ma, a quanto sembra, gli Stati membri sono in generale molto in ritardo nel processo di adeguamento al nuovo contesto, benché la Commissione abbia organizzato nel 1996 il primo seminario in materia, seguito da molti altri. Attualmente, solo il 3% degli addetti ai controlli è in grado di utilizzare tecniche di controllo informatizzate, e questo potrà creare gravi problemi in futuro. E' inoltre evidente che i controlli informatizzati consentirebbero alle amministrazioni di conseguire una maggiore efficienza abbassando al tempo stesso i costi. 5.6.4. Servizi informativi e investigativi Oltre ad attivare controlli mirati ed effettuare una selezione in base al rischio, alcuni Stati membri hanno creato servizi informativi e investigativi ad hoc per individuare le frodi fiscali e forme di attività criminosa in materia di imposte, accise e diritti doganali. Benché molti Stati membri dispongano di investigatori speciali, non è chiaro se il loro ambito di competenza coincida o meno con quello dei controllori fiscali. Solo un paio di Stati membri svolgono questo tipo di attività nel settore fiscale e a quanto pare le unità in questione hanno ridotto l'attività criminosa nel settore. Alcuni Stati membri avevano anche insediato presso le loro ambasciate in altri Stati membri dei rappresentanti speciali con competenze fiscali per migliorare lo scambio d'informazioni riservate. Nella maggior parte degli Stati membri, alle grandi imprese o gruppi di imprese sono stati assegnati controllori speciali, e benché questo dispositivo fosse motivato dalle esigenze di controllo in materia di imposte sul reddito, anche i controlli IVA ne hanno beneficiato. 5.7. Il ruolo delle sanzioni nel conseguire l'adempimento volontario Tutti gli Stati membri hanno attivato regimi di sanzioni per le seguenti fattispecie: assenza di dichiarazione, mancata o ritardata presentazione di dichiarazione, mancato o ritardato versamento e registrazioni incomplete ai fini fiscali. Sono soggette a sanzione in tutti gli Stati membri anche irregolarità quali la soppressione dell'imposta a debito e le indicazioni ingiustificate d'imposta a credito. Alla richiesta di indicare in che misura l'imposta venisse versata entro i termini e in che misura in ritardo, oltre la metà degli Stati membri non è stata in grado di fornire cifre al riguardo, il che dimostra che essi svolgono ben poco monitoraggio sui versamenti e non sono in grado di valutare l'efficienza del loro regime di sanzioni. Dall'esame delle risposte date è emerso comunque che di norma il 92-94% dell'imposta viene versata nei termini, anche se in due degli Stati membri queste percentuali erano inferiori (72-76%). I pochissimi Stati membri che hanno fornito cifre sull'IVA non versata hanno tutti indicato percentuali attorno all'1-2%. 6. La funzione della cooperazione amministrativa e dell'assistenza reciproca nel campo delle imposte indirette (IVA) 6.1. Contesto generale Scopo della cooperazione amministrativa è consentire agli Stati membri di controllare adeguatamente gli operatori che effettuano scambi intracomunitari. In un rapporto economico di questo genere, le informazioni relative alla controparte interessata dalle attività soggette a controllo si trovano in un altro Stato membro. Per poter verificare che un operatore abbia effettuato una fornitura intracomunitaria esente, è dunque necessario disporre dell'informazione che i beni in questione sono stati forniti ad un soggetto passivo situato in un altro Stato membro. In prima battuta, la prova è costituita dalla presenza della transazione nell'elenco riepilogativo, ma questo non costituisce presupposto di esenzione (cfr. il capitolo 2). In assenza di una cooperazione a livello amministrativo, l'autorità fiscale preposta al controllo può avere solo un quadro incompleto dell'attività dei suoi operatori e può solo basarsi sui dati formali presentati, senza mezzi adeguati di controllo incrociato per verificare la veridicità delle transazioni. Nell'espletamento del suo ruolo di custode dei Trattati, la Commissione è responsabile del controllo dell'applicazione della legislazione comunitaria. L'uso corretto ed efficiente degli strumenti di cooperazione amministrativa e di assistenza reciproca da parte degli Stati membri è, a parere della Commissione, un punto chiave nel campo dell'IVA e può contribuire alla lotta contro la frode e l'evasione fiscale, che creano distorsioni della concorrenza nel mercato interno. 6.2. L'organizzazione della cooperazione amministrativa e dell'assistenza reciproca Al momento dell'introduzione del regime transitorio dell'IVA, con decorrenza dal 1° gennaio 1993, il regolamento (CEE) n. 218/92 ha posto in essere un dispositivo comune per lo scambio d'informazioni sulle transazioni intracomunitarie, ad integrazione della direttiva 77/799/CEE [17] relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte indirette. L'ambito di applicazione della direttiva è stato ampliato all'IVA nel 1979 con la direttiva 79/1070/CEE [18]. Originariamente, la direttiva prevedeva strutture per lo scambio d'informazioni tra le amministrazioni fiscali in materia di imposte indirette. Tuttavia, con l'introduzione del regime transitorio dell'IVA, questo strumento giuridico, in sé valido, non era più del tutto adeguato a soddisfare le nuove e più specifiche esigenze di cooperazione fra le amministrazioni fiscali nazionali per il controllo dell'IVA nel mercato unico. Ciò spiega l'esistenza di due distinti strumenti giuridici in materia di cooperazione tra gli Stati membri nel campo dell'IVA. Esistono disposizioni diverse, nella direttiva e nel regolamento, per i limiti di tempo concessi per l'evasione delle richieste e anche per l'uso che è possibile fare delle informazioni ricevute. In conformità delle disposizioni del regolamento, gli Stati membri hanno istituito degli Uffici centrali di collegamento (CLO) ai quali compete in prima istanza la responsabilità dello scambio d'informazioni previsto dal regolamento. In alcuni Stati membri, tuttavia, l'entità preposta allo scambio d'informazioni a norma della direttiva è un'altra. E' venuta in tal modo a mancare quella sinergia tra il regolamento e la direttiva per il controllo dell'IVA che il Consiglio intendeva realizzare, come si evidenzia nei considerando [19]. Alcuni Stati membri sono ad esempio piuttosto rigidi circa il genere di informazioni che le autorità in materia di IVA possono richiedere ai sensi del regolamento e della direttiva e di conseguenza rifiutano, per motivi formali, di svolgere talune procedure di assistenza. La Commissione ritiene che ciò si ripercuota negativamente sull'utilizzo della possibilità di cooperazione tra gli Stati membri in materia di controllo dell'IVA e che i funzionari addetti al controllo non debbano trovarsi, quando inoltrano richiesta di assistenza, nella necessità di sapere in anticipo a quale base giuridica devono fare riferimento per ottenere le informazioni. [17] GU L 336 del 27.12.1977, pag. 15. [18] GU L 331 del 27.12.1979, pag. 8. [19] "Considerando che il presente regolamento istituisce un sistema comune di scambi di informazioni sulle transazioni intracomunitarie, che completa le disposizioni della direttiva 77/799/CEE, modificata da ultimo dalla direttiva 79/1070/CEE, ed il cui obiettivo è di ordine fiscale " 6.3. Uso degli strumenti della cooperazione amministrativa da parte degli Stati membri Il meccanismo comunitario di cooperazione amministrativa posto in essere dal regolamento (CEE) n. 218/92 ha lo scopo di evitare una perdita del gettito fiscale spettante agli Stati membri, a seguito di frode e di evasione fiscale. L'articolo 4, paragrafo 2 del suddetto regolamento stabilisce le informazioni che devono essere fornite ad uno Stato che ne faccia richiesta in merito agli acquisti intracomunitari effettuati da un suo operatore durante un determinato trimestre. L'articolo 4, paragrafo 3 del regolamento consente l'individuazione dei fornitori presso i quali sono stati effettuati gli acquisti. Alla fine di ciascun trimestre, gli Stati membri si scambiano automaticamente in forma aggregata, attraverso il VIES, i dati di cui all'articolo 4, paragrafo 2. Ai sensi dell'articolo 2 della direttiva 77/799/CEE e dell'articolo 5 del regolamento, gli Stati membri possono richiedere informazioni più specifiche, relative ad esempio a numeri, date e importi delle fatture di singole transazioni, per effettuare controlli su operatori particolari. L'applicazione dell'articolo 4, paragrafi 2 e 3, e dell'articolo 5 del regolamento da parte degli Stati membri costituisce un elemento fondamentale ai fini del controllo degli operatori che effettuano scambi intracomunitari. La figura 3 allegata indica la percentuale di soggetti passivi che nei singoli Stati membri effettuano acquisti intracomunitari, per un controllo adeguato dei quali le amministrazioni fiscali devono ricorrere alla cooperazione.. Al momento dell'introduzione del regime transitorio dell'IVA, la Comunità non aveva ancora messo a punto una particolare metodologia di controllo o un metodo per l'utilizzo dei dati del VIES e delle altre opportunità per ottenere informazioni. Ciascuno Stato membro manteneva il diritto di controllare i propri operatori nel modo che riteneva più opportuno. Ciononostante, nel quadro del programma Fiscalis, la Comunità ha promosso un dibattito sulla metodologia di controllo degli scambi intracomunitari. Il programma ha offerto agli Stati membri la possibilità di mettere a confronto filosofie diverse di controllo IVA, sia in generale che negli scambi intracomunitari e nell'utilizzo del VIES, consentendo in tal modo di individuare la prassi più adeguata. A prescindere dallo scopo che si propone il regolamento (CEE) n. 218/92, in linea generale gli Stati membri non sono tuttora disposti a fornire dati sulla maggiore imposizione individuata grazie alle informazioni scambiate tramite il VIES (o non sono in grado di farlo). Di conseguenza, l'unico modo per la Commissione di valutare in che misura gli Stati membri utilizzino il dispositivo di cooperazione amministrativa è analizzare l'utilizzo che essi fanno degli elementi fondamentali di tale cooperazione, quali le richieste presentate ai sensi dell'articolo 5 del regolamento o dell'articolo 2 della direttiva, nonché le richieste d'informazioni ai sensi dell'articolo 4, paragrafi 2 e 3, del regolamento. Le figure 3 e 4 allegate indicano come si è evoluto nel tempo l'utilizzo di queste possibilità. La figura 5 è fonte di preoccupazione, in quanto indica che l'utilizzo, da parte degli Stati membri, della possibilità di richiedere informazioni non ha registrato significativi incrementi negli ultimi tempi. Le richieste presentate sono infatti solo una frazione delle decine di migliaia di richieste all'anno presentate in passato, secondo le stime effettuate dagli stessi Stati membri nel giugno 1993. Per capire il significato di queste cifre, si pensi che, in base ai dati forniti alla Commissione dagli Stati membri, il numero dei soggetti passivi che effettuano acquisti intracomunitari è dell'ordine di 1 500 000 mentre i funzionari addetti ai controlli IVA nella Comunità sono circa 30 000. Ne consegue che nel triennio 1996-1998 le richieste di cooperazione amministrativa hanno riguardato solo il 2% degli operatori che avevano effettuato acquisti intracomunitari. Valutato a fronte del numero dei funzionari addetti ai controlli IVA, ciò significa che ciascuno di essi ha ricevuto nell'arco del triennio meno di una richiesta: una chiara indicazione dell'inadeguatezza dei controlli sugli scambi intracomunitari in generale. La Commissione ritiene che sia assolutamente necessario, nel contesto della lotta antifrode, che gli Stati membri sfruttino maggiormente la possibilità di richiedere informazioni agli altri Stati membri. Le figure da 6 a 9 collocano nel loro contesto le richieste complessivamente presentate nel triennio a norma dell'articolo 2 della direttiva e dell'articolo 5 del regolamento, analizzandole per Stato membro, per funzionario addetto al controllo e in percentuale sul totale degli operatori che effettuano acquisti intracomunitari. Benché l'incremento delle richieste presentate a norma dell'articolo 2 e dell'articolo 5 non sia significativo, il numero delle richieste d'informazioni presentate a norma dell'articolo 4 del regolamento continua a salire, come illustra la figura 4. Il presupposto per presentare una richiesta a norma dell'articolo 5 del regolamento è che prima siano state esperite tutte le possibilità offerte dall'articolo 4. Pertanto, l'incremento delle richieste a norma di quest'ultimo è da accogliere come evoluzione positiva, in quanto indica che gli Stati membri hanno forse messo in pratica almeno alcune delle raccomandazioni formulate nella seconda relazione ex articolo 14. Molte delle richieste presentate a norma dell'articolo 4 del regolamento mirano a ottenere conferma che l'operatore dello Stato membro richiedente non ha effettuato acquisti intracomunitari. Anche questo è un modo valido di utilizzare i dati VIES. La conclusione che si può trarre dalla figura 4 è che, pur essendo certamente in aumento il ricorso ai dati VIES, non si nota un parallelo incremento nelle richieste a norma dell'articolo 5 del regolamento (CEE) n. 218/92. Ciò può essere dovuto ai tempi lunghi di risposta alle richieste d'informazioni, evidenziati dal numero di richieste che sono ancora inevase a termini scaduti (cfr. le figure 10 e 11). Poiché gli Stati membri si sono sempre lamentati della qualità dei dati VIES, è difficile per la Commissione comprendere come si possano adeguatamente controllare gli acquisti intracomunitari utilizzando dati incompleti. Il basso numero di richieste presentate per funzionario addetto al controllo (figura 7) e per singolo controllo effettuato (figura 8) indica che gli Stati membri devono ancora impegnarsi molto per indurre i propri funzionari a sfruttare al massimo le possibilità a loro disposizione per i controlli IVA su soggetti passivi che effettuano acquisti intracomunitari. La figura 9 dimostra la forte improbabilità per gli operatori di veder sottoposte a controllo le proprie transazioni intracomunitarie.. Il ridotto ricorso alla possibilità di richiedere informazioni ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CEE) n. 218/92 e dell'articolo 2 della direttiva 77/799/CEE, così come la diminuzione nel numero di richieste presentate può essere dovuto ai seguenti fattori: (1) all'esperienza fatta finora dai funzionari addetti al controllo, secondo la quale le richieste presentate agli altri Stati membri non portano a un maggior gettito fiscale, ragione per cui essi hanno ridotto il numero delle richieste; (2) alla percezione, da parte delle amministrazioni fiscali, che gli operatori che effettuano forniture e acquisti intracomunitari sono pienamente adempienti e pertanto non sussiste la necessità di verificarne le transazioni; (3) alla percezione, da parte dei controllori, che la risposta alla richiesta presentata ad un altro Stato membro non arriverà in tempo utile per contribuire a risolvere un caso. A parere della Commissione, le prime due ipotesi sono poco verosimili, visti i rischi di frode illustrati al punto 3.5; la terza ipotesi è invece la spiegazione più probabile del fenomeno. Affinché il controllo dell'IVA sia di standard elevato, occorre che il ricorso alla cooperazione amministrativa sia più diffuso negli Stati membri e che venga completamente integrato nella rispettiva strategia di controllo nazionale. La cooperazione amministrativa non deve essere vista come una funzione specialistica. I dati sugli acquisti intracomunitari effettuati da un operatore sono da considerare come uno dei tasselli del mosaico rappresentato dal controllo a livello nazionale, un tassello senza il quale tale controllo sarebbe incompleto. Un'ottica di questo genere comporta lo sfruttamento intensivo, da parte dei funzionari addetti ai normali controlli IVA, delle possibilità di cooperazione e di richieste d'informazioni previste dalla Comunità. Gli Stati membri che fanno uno scarso uso degli strumenti di cooperazione amministrativa non possono avere un quadro completo delle attività dei loro operatori. Quel che è certo è che il controllo degli operatori che effettuano acquisti intracomunitari è lungi dall'essere sufficiente. Lo scarso utilizzo degli strumenti di cooperazione solleva gravi interrogativi circa la credibilità e l'efficacia complessive del controllo dell'IVA effettuato da molti Stati membri sugli scambi intracomunitari. L'istituzione del sistema VIES e l'adozione (all'unanimità) del regolamento (CEE) n. 218/92 erano stati considerati in origine da tutti gli Stati membri d'importanza essenziale per l'efficacia dei controlli nel regime transitorio dell'IVA. Istituire e gestire questa infrastruttura ha comportato un significativo investimento da parte della Comunità e degli Stati membri in termini di risorse umane e finanziarie, oltre che un onere amministrativo considerevole per gli operatori, che hanno l'obbligo di presentare dichiarazioni trimestrali riepilogative 6.3.1. Gli Uffici centrali di collegamento e il loro ruolo nel rispetto delle scadenze Il regolamento (CEE) n. 218/92 prevede l'istituzione, in ogni Stato membro, di un Ufficio centrale di collegamento (CLO). La legislazione non stabilisce requisiti particolari per la costituzione dei CLO, ma nel 1993 la Commissione e gli Stati membri hanno concordato una serie di linee guida che ne stabiliscono le funzioni e gli obiettivi principali. Tali uffici devono essenzialmente fungere da normale canale di comunicazione tra le autorità competenti, gestire il flusso della cooperazione e dell'assistenza tra gli Stati membri, controllare la qualità e la pertinenza delle richieste di assistenza e delle risposte a queste fornite e sovrintendere al rispetto delle scadenze. In poche parole, il CLO deve fungere da punto di contatto unico, sul quale gli altri Stati membri possono contare per ottenere una assistenza efficace e tempestiva su qualsiasi questione concernente i controlli e la cooperazione in materia di IVA. È importante che i CLO dispongano delle risorse, dei poteri e delle competenze necessarie all'espletamento di tale compito. La Commissione sottolinea che, pur in presenza di autorità competenti a norma della direttiva 77/799/CEE distinte dai CLO in taluni Stati membri, è evidente che nelle questioni attinenti all'IVA deve esistere una forma di collegamento diretto tra i due servizi amministrativi all'interno di uno stesso Stato membro. L'articolo 5 del regolamento (CEE) n. 218/92 dispone che "L'autorità interpellata fornisce le informazioni [richieste da un altro Stato membro] il più presto possibile e comunque entro un termine che non superi tre mesi a decorrere dalla data in cui ha ricevuto la richiesta". Non esiste un termine analogo per le richieste presentate ai sensi della direttiva 77/799/CEE, ma nel 1994 lo SCAC ha convenuto informalmente, per motivi pratici, che le richieste di cui all'articolo 2 della direttiva avrebbero dovuto rispettare lo stesso termine di tre mesi previsto per le richieste presentate conformemente all'articolo 5 del regolamento. Questa decisione ha determinato una accelerazione delle procedure seguite negli Stati membri per la gestione delle richieste e delle risposte conformemente alle due basi giuridiche. E' stato registrato un costante aumento delle richieste presentate in virtù di queste due norme che non sono state evase entro il limite massimo di tre mesi. Il fatto è molto preoccupante, tanto più che il numero delle richieste inevase supera ormai il numero di quelle presentate ogni trimestre. In pratica, le differenze esistenti tra gli Stati membri in materia di organizzazione e di dotazione di personale dei CLO, oltre che di servizi forniti ai CLO dal personale esterno, hanno determinato delle disparità nel livello del servizio che questi sono in grado di offrire, disparità che possono compromettere il regolare funzionamento della cooperazione amministrativa. È ampiamente dimostrato che, almeno alcuni CLO, invece di fungere da canale privilegiato, sembrano creare delle strozzature nella comunicazione, come evidenziato nella figura 11. In taluni Stati membri, un ulteriore problema viene dal fatto che le competenze in materia di richieste presentate ai sensi dei diversi strumenti giuridici sono suddivise tra vari settori dell'amministrazione e se da un lato il CLO può essere competente per le richieste presentate conformemente al regolamento, può non essere competente per quelle presentate ai sensi della direttiva 77/799/CEE. A parere della Commissione, questo tipo di divisione dei compiti in materia di IVA compromette quella sinergia che era esplicitamente ricercata dalla legislazione comunitaria, oltre ad annullare i vantaggi derivanti dal fatto di disporre di un punto di contatto unico. I CLO potranno fornire ai colleghi degli altri Stati membri il servizio che questi si attendono e che hanno diritto di ricevere soltanto se potranno ottenere un'adeguata attribuzione di risorse e di priorità da parte del livello adeguato della propria amministrazione. Gli Stati membri che non rispondono in tempo alle richieste devono capire le esigenze dei funzionari addetti ai controlli nel paese richiedente, per i quali la soluzione di un problema può dipendere dalla loro risposta. Non rispettare le scadenze significa non cogliere l'opportunità di effettuare un controllo efficace con recupero del gettito fiscale. Malgrado i potenziali miglioramenti individuati negli incontri dei direttori dei CLO, tenutisi nel quadro del programma Matthaeus-Tax, queste differenze in termini di organizzazione e dotazione di personale continuano ad ostacolare lo sviluppo della cooperazione amministrativa e devono essere affrontate dagli Stati membri. In particolare, le amministrazioni devono quindi considerare l'adeguatezza delle risorse all'interno dei CLO, il grado di priorità attribuito a livello locale alle richieste di informazioni provenienti da altri Stati membri, l'entità delle risorse umane assegnate a tale lavoro a livello di uffici locali, le necessità di formazione per l'utilizzo del sistema e per una migliore comprensione delle esigenze degli altri Stati membri e infine una formazione linguistica per superare le difficoltà di comunicazione. 6.4. Integrazione della cooperazione amministrativa nei controlli e accessibilità degli strumenti disponibili Benché sia evidente che gli Stati membri hanno compiuto dei progressi dall'ultima relazione ex articolo 14, l'esiguo numero di richieste a norma dell'articolo 5 continua a essere fonte di preoccupazione. Non è chiaro perché i funzionari addetti al controllo non abbiano, come primo impulso, quello di chiedere agli altri Stati membri le informazioni che possono aiutarli a risolvere un caso, oppure quello di fornire spontaneamente a un altro Stato membro informazioni che possono essergli di aiuto. La facilità di accesso al sistema VIES è ancora scarsa in taluni Stati membri, nei quali i funzionari debbono prima rivolgersi al CLO per ottenere informazioni su presunti acquisti intracomunitari. La Commissione è convinta che la facilità di accesso alle informazioni sia un fattore determinante del ricorso, da parte dei funzionari di controllo, alle possibilità di cooperazione amministrativa e di assistenza reciproca. Una procedura attivata da uno degli Stati membri prevede l'integrazione dei dati ottenuti tramite il VIES con quelli ottenibili tramite accordi bilaterali, che consentono di porre ulteriori domande circa l'ottemperanza generale di un determinato soggetto passivo. La Commissione la ritiene una buona iniziativa e sta attualmente modificando i moduli in uso per lo scambio d'informazioni in modo tale da includere anche questo aspetto tra le domande di routine. 6.5. Sfruttamento a fini di controllo delle informazioni scambiate e loro utilità per la scoperta delle frodi Sebbene i dati VIES vengano trasmessi tempestivamente da ogni Stato membro agli altri, permangono ritardi nella risposta alle richieste presentate a norma dell'articolo 5 del regolamento o dell'articolo 2 della direttiva. Tra i motivi addotti per i ritardi vi è il fatto che il caso in questione può essere oggetto d'indagine da parte dello stesso Stato membro interpellato, o che la richiesta riguarda importi trascurabili, o ancora la scarsa priorità assegnata a richieste pervenute da altri Stati membri, o l'enorme quantità di tempo necessaria per rispondere alle richieste, senza che vi sia un risultato evidente o un feedback dal paese richiedente. Le disposizioni del regolamento (CEE) n. 218/92 non sono mai state intese come strumento per affrontare i singoli casi di frode, che per loro natura devono essere aggrediti nel momento in cui si verificano, mentre gli Stati membri segnalano la scoperta di frodi che si sono verificate nel passato (cfr. punto 4.4). Comunque, uno Stato membro (i Paesi Bassi) ha già stipulato accordi bilaterali con alcuni altri Stati membri per creare una "corsia preferenziale" per i casi di sospetto di frode. Mentre tali accordi possono avere la loro efficacia per le azioni bilaterali, non rappresentano una soluzione a livello comunitario per combattere e prevenire il diffondersi di frodi che riguardano potenzialmente tutti gli Stati membri. La reazione naturale dei funzionari addetti al controllo, quando ricevono richieste di assistenza da altri Stati membri, è quella di assegnarvi una scarsa priorità, partendo dal presupposto che l'eventuale gettito supplementare derivante dalla loro risposta andrà a beneficio di un altro paese. A maggior ragione dunque è deplorevole che molti Stati membri utilizzino il criterio del gettito supplementare per valutare la qualità del lavoro svolto dai funzionari addetti al controllo. Fissare dei traguardi di tipo monetario, a prescindere dal fatto che riguardino i funzionari o gli uffici locali, gioca a sfavore della buona cooperazione amministrativa. Perfino a livello centrale, certi Stati membri lamentano la frequenza e l'esiguità, in termini di valore, delle richieste di assistenza che ricevono da altri Stati membri. Al ricevimento della richiesta, alcuni Stati membri danno automaticamente avvio ad un'ispezione del fascicolo dell'operatore in questione. Altri avviano una procedura scritta, chiedendo all'operatore stesso di rispondere all'interrogativo sollevato dall'autorità richiedente. A parere della Commissione, una "procedura scritta" è accettabile solo nel caso in cui l'operatore al quale si richiede l'informazione è al di sopra di ogni sospetto; altrimenti, la risposta data all'autorità richiedente è quanto meno da considerare dubbia, mentre nella peggiore delle ipotesi, ossia nel caso in cui vi sia collusione tra operatori a scopo di frode, la procedura può essere controproducente, perché mette sull'avviso entrambi gli operatori, che venendo a sapere di essere sotto inchiesta possono riuscire a "depistare" entrambe le amministrazioni. 6.6. L'utilizzo degli strumenti giuridici attuali e il loro effetto sulla lotta antifrode A parte i tempi eccessivamente lunghi di alcuni Stati membri nel rispondere alle richieste che ricevono da altri Stati membri, è ormai opinione comune tra le amministrazioni fiscali e i funzionari di controllo (opinione che tra l'altro compare nei moduli di valutazione dei seminari Fiscalis) che il sistema VIES e la cooperazione amministrativa siano dei buoni strumenti di controllo. Il problema principale è che questo tipo di controllo a posteriori in molti casi è troppo tardivo; in altre parole, le informazioni ricevute sono utili, ma sarebbero state più utili se fossero arrivate prima. Le richieste a norma dell'articolo 5 del regolamento (CEE) n. 218/92 possono essere presentate solo dopo la trasmissione trimestrale dei dati VIES, e questo dà al frodatore già sei mesi di respiro. L'esperienza ha dimostrato che i frodatori agiscono con rapidità e la Commissione è convinta che il regolamento debba essere modificato per prevedere uno scambio d'informazioni più rapido tra gli Stati membri. Tuttavia, i fatti indicano che gli ostacoli alla lotta contro le frodi sono da ricercare nella lentezza delle risposte alle richieste, piuttosto che negli strumenti giuridici in sé e per sé. Un caso di frode può avere la massima priorità per il funzionario dello Stato richiedente, ma egli è in balia della sua controparte nello Stato membro interpellato, sulla quale non può esercitare alcuna influenza. Nel tentativo di creare una "corsia di accelerazione" per i casi di frode, lo SCAC ha deciso di fissare un limite di tempo inferiore, ossia un mese, per la risposta a richieste per le quali lo Stato membro richiedente possa giustificare l'urgenza. Tuttavia, vi sono Stati membri che considerano quasi tutti i loro casi come casi di frode, e il problema si ripropone. La Commissione ritiene che la legislazione comunitaria debba essere modificata per fornire agli Stati membri migliori possibilità di affrontare il problema delle frodi con rapidità. 6.7. Ostacoli all'uso efficiente delle basi giuridiche esistenti Gli Stati membri ritengono concordemente che il regolamento (CEE) n. 218/92 non sia lo strumento adatto per affrontare casi particolari di frode di cui si conosce l'esistenza, né per scambiare informazioni al fine di individuare le frodi, dato che le informazioni disciplinate dal regolamento non sono disponibili con sufficiente tempestività e non possono essere scambiate con la rapidità necessaria. Inoltre, il suo ambito di applicazione non comprende tutte le transazioni che possono essere oggetto di frode. Il regolamento riguarda unicamente le forniture e gli acquisti intracomunitari e non, per esempio, le forniture nazionali o le prestazioni di servizi. Poiché i meccanismi di frode all'IVA associano per lo più le transazioni intracomunitarie a quelle nazionali, le amministrazioni fiscali si vedono costrette a ricorrere ad altri strumenti giuridici. Per questi motivi gli Stati membri finiscono per avvalersi prevalentemente della direttiva 77/799/CEE come strumento giuridico di cooperazione in materia di frodi. Tuttavia, la direttiva 77/799/CEE era stata originariamente concepita per lo scambio d'informazioni in materia di imposte dirette, e non è stata adattata alle esigenze specifiche di una cooperazione rafforzata tra le amministrazioni fiscali nazionali per il controllo dell'IVA dopo l'introduzione del regime transitorio dell'IVA a partire dal 1.1.1993. 6.7.1. Un unico quadro giuridico in materia di IVA Poiché la cooperazione amministrativa nella Comunità fa capo a due strumenti giuridici, quello utilizzato dipende dal tipo di operazione o dalla natura dell'informazione richiesta. Per questo alcuni Stati membri sostengono che i due strumenti dovrebbero essere consolidati ai fini del controllo dell'IVA, per disporre di regole chiare ed efficienti riguardo alla reciproca assistenza per tutte le transazioni soggette a IVA. La Commissione è favorevole all'idea e, alla luce dell'esperienza fatta con l'attuale regime giuridico, ritiene opportuno modificare il regolamento (CEE) n. 218/92, che riguarda in modo specifico le transazioni soggette a IVA, rafforzandone il funzionamento. Lo scopo è quello di porre in essere un unico quadro giuridico rispondente all'esigenza di una cooperazione rafforzata per far fronte alla frode e all'evasione dell'IVA nel mercato interno. 6.7.2. Ostacoli allo scambio spontaneo delle informazioni Per una lotta efficace contro le frodi, occorre che vi sia un forte incremento dello scambio spontaneo d'informazioni pertinenti e mirate per facilitare la prevenzione, la scoperta, le indagini e l'applicazione di sanzioni in materia di frode e di evasione fiscale. I frodatori si spostano agevolmente tra gli Stati membri e sfruttano incessantemente le carenze dei sistemi di controllo. Quando uno Stato membro "dà un giro di vite", l'esperienza insegna che i frodatori si limitano a spostare la propria attività in altri Stati membri. Ciò significa che lo scambio d'informazioni, per essere efficace ai fini della lotta antifrode, non deve avvenire solo tra gli Stati membri che sono direttamente colpiti da una frode specifica. Altri Stati membri devono essere avvisati del pericolo, affinché possano prendere misure preventive o avviare indagini. Con scambi di questo genere sarà possibile individuare le linee di tendenza. Alcuni Stati membri però sostengono che l'attuale legislazione non fornisce la base giuridica per poter scambiare informazioni con gli Stati membri non direttamente colpiti dalla frode, in quanto stabilisce che le informazioni possono essere accessibili soltanto alle persone direttamente interessate all'accertamento o al controllo. La Commissione non vede il fondamento giuridico di questa interpretazione restrittiva del possibile ricorso agli strumenti di assistenza reciproca. Al contrario, l'articolo 4 della direttiva dispone in primo luogo che in determinati casi, quando cioè vi sia in generale un sospetto di frode o di evasione fiscale, gli Stati membri devono comunicare tutte le informazioni pertinenti (paragrafo 1) e, in secondo luogo, in altre circostanze, dispone chiaramente che lo Stato membro può fornire ad un altro Stato membro informazioni che possano consentire alla competente autorità di effettuare una corretta determinazione delle imposte (articolo 4, paragrafo 3) conformemente all'obiettivo dell'articolo 1 della direttiva. La Commissione è comunque del parere che sia utile modificare il regolamento (CEE) n. 218/92. 6.7.3. Ostacoli che impediscono il coordinamento e l'assistenza tecnica da parte dei servizi della Commissione La frode all'IVA è decisamente un problema a livello comunitario. Il coordinamento e l'assistenza tecnica da parte dei servizi della Commissione potrebbe rendere più efficace la lotta contro le frodi internazionali. Per il singolo Stato membro è impossibile disporre del quadro completo delle frodi nella Comunità. Ricevendo le pertinenti informazioni dagli Stati membri, la Commissione potrebbe fornire la panoramica completa e, in base alle risorse disponibili, individuare di concerto con i servizi informativi degli Stati membri le linee di tendenza e i pericoli. A tal fine, gli Stati membri devono fornire alla Commissione informazioni sui singoli casi di frode oltre ad altri dati in materia. La Commissione potrebbe inoltre diffondere le informazioni e contribuire al coordinamento di successive azioni che risultassero necessarie. Poiché l'attuale quadro giuridico non era stato concepito in modo tale da tener conto delle misure antifrode che sono state inserite nella legislazione più recente, è opportuno modificare il regolamento (CEE) n. 218/92 per chiarire senza ombra di dubbio che la Commissione può ricevere informazioni e distribuirle ai CLO degli Stati membri. 6.7.4. Accordi bilaterali per rendere automatico o intensificare lo scambio spontaneo d'informazioni Gli Stati membri sono per la maggior parte dell'idea che per avere maggiori possibilità di scoprire e prevenire le frodi negli scambi intracomunitari sia necessario scambiare a livello comunitario anche informazioni diverse dai dati VIES. Poiché il regolamento non offre in proposito un'adeguata base giuridica, alcuni Stati membri si avvalgono delle possibilità offerte dalla direttiva 77/799/CEE. In virtù di quest'ultima direttiva, gli Stati membri possono concludere intese bilaterali per scambiarsi informazioni in modo automatico o per intensificare lo scambio spontaneo d'informazioni. Benché nella suddetta direttiva non sia formulata una definizione chiara, queste forme di scambio possono essere descritte come segue: lo scambio spontaneo consiste nella trasmissione non sistematica, da parte di uno Stato membro ad un altro, d'informazioni che il primo ritiene possano essere d'interesse per il secondo. Le informazioni vengono scambiate unicamente se e quando diventano disponibili. Lo scambio automatico consiste nella trasmissione sistematica d'informazioni ad un altro Stato membro. Si caratterizza per la regolarità e non richiede una valutazione individuale dell'interesse che l'informazione può rivestire per l'altro Stato membro. Questo tipo di scambio non è legato a una decisione relativa a un caso specifico da parte dello Stato membro che trasmette le informazioni. Di recente, alcuni Stati membri hanno concluso accordi bilaterali ai sensi della direttiva 77/799/CEE per scambiarsi informazioni in modo automatico e per intensificare lo scambio spontaneo. Le categorie d'informazioni oggetto di tali accordi possono essere riassunte come segue: a) casi in cui la tassazione è ritenuta di competenza dello Stato membro di destinazione e in cui ogni sistema di controllo efficiente deve basarsi sulle informazioni fornite dallo Stato membro di origine; b) casi particolari in cui sussiste un sospetto di frode nell'altro Stato membro; c) operazioni che generalmente sono a più alto rischio di frode o di evasione legale nell'altro Stato membro. Alla Commissione risulta che, pur essendo favorevoli ad intensificare lo scambio d'informazioni pertinenti, gli Stati membri raramente procedono a tale scambio, anche laddove hanno concluso accordi bilaterali; la Commissione è a conoscenza di un solo caso in cui uno Stato membro ha effettivamente impartito istruzioni amministrative per garantire l'attuazione pratica dello scambio spontaneo. Per avere maggiori possibilità di scoprire e prevenire le frodi legate agli scambi intracomunitari, gli Stati membri dovrebbero decidere di cominciare a scambiarsi a livello comunitario almeno le suddette categorie d'informazioni, anche se lo scambio potrebbe riguardarne molte altre. E' opinione della Commissione che tutte le informazioni pertinenti che siano in possesso delle amministrazioni debbano essere oggetto di scambi automatici o spontanei. Le informazioni che invece possono essere ottenute solo dal soggetto passivo dovrebbero essere scambiate se e quando l'amministrazione ne viene in possesso. Gli accordi bilaterali rappresentano solo una soluzione parziale e non sono lo strumento più efficace per fare in modo che tutte le informazioni pertinenti giungano nella disponibilità di chi ne ha bisogno. Per uno Stato membro, concludere accordi bilaterali con ciascuno degli altri è uno spreco di risorse, è probabile infatti che bi siano differenze tra un accordo e l'altro, con un aggravio dell'onere amministrativo. La maggior parte degli Stati membri preferisce in effetti che siano adottate soluzioni legislative migliori a livello comunitario. La Commissione concorda sull'utilità di tali soluzioni e ritiene che sia opportuno modificare il regolamento (CEE) n. 218/92 in modo tale da stabilire adeguati obblighi giuridici che impongano lo scambio delle informazioni a livello comunitario. 6.7.5. Possibilità di contatti diretti tra unità antifrode e tra controllori In linea di principio, ogni scambio d'informazioni dovrebbe passare per le autorità competenti, ai sensi dell'articolo 2 del regolamento (CEE) n. 218/92 o dell'articolo 1 della direttiva 77/799/CEE. Se non viene rispettata questa procedura, le informazioni scambiate non vengono considerate valide e non possono essere usate contro il frodatore. D'altro canto, ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 1 del regolamento e dell'articolo 9, paragrafo 2 della direttiva, gli Stati membri possono autorizzare le proprie autorità competenti a consentire, di comune accordo, ad altre autorità da esse designate di stabilire tra loro contatti diretti per casi specifici o per certe categorie di casi. All'interno del quadro giuridico in vigore, alcuni Stati membri hanno già stabilito dei contatti diretti. Le iniziative in questione possono essere così sintetizzate: a) taluni Stati membri hanno designato la propria unità antifrode quale autorità competente. Altri hanno insediato la propria unità antifrode nella propria organizzazione interna, direttamente a fianco del CLO (nell'ambito della stessa direzione e nella stessa sede); b) taluni Stati membri hanno designato come autorità competente anche i loro rappresentanti fiscali insediati presso le ambasciate in determinati altri Stati membri. I rappresentanti fiscali fungono da interfaccia locale dello Stato membro richiedente; c) per i controlli multilaterali, alcuni Stati membri hanno incaricato i controllori di procedere direttamente allo scambio d'informazioni, sulla base del concetto generale della delega (unilaterale) dei poteri dell'autorità competente a singoli funzionari; d) la maggior parte degli Stati membri hanno consentito di comune accordo alle autorità da essi designate di comunicare direttamente tra loro. Tale autorizzazione può contemplare varie categorie di casi, quali: la comunicazione diretta di dati fondamentali richiesti in presenza di un sospetto di frode, la comunicazione diretta tra aree frontaliere o nelle indagini comuni nel contesto di controlli bilaterali o multilaterali. Molti di questi accordi sono comunque di natura informale. Solo pochi Stati membri hanno messo in atto dispositivi formali che prevedono precise procedure da seguire in caso di scambio diretto d'informazioni. La Commissione è del parere che la comunicazione diretta fra controllori o fra unità antifrode presenti alcuni vantaggi: uno scambio più rapido d'informazioni, una miglior comprensione reciproca della richiesta d'informazioni, una maggior motivazione dei controllori interessati e l'assegnazione di una maggior priorità all'azione richiesta, nessuno spreco delle già scarne risorse a causa di richieste inutili, e così via. Eppure, nonostante il fatto che l'attuale quadro giuridico consenta di stabilire contatti diretti fra controllori, gli Stati membri hanno fatto ben poco uso di questa possibilità, con iniziative spesso disomogenee che hanno dato luogo a procedure diverse e vaghe. Anche in questo caso, un regolamento modificato che ponga in essere un chiaro quadro giuridico per le comunicazioni dirette consentirebbe automaticamente che i CLO venissero messi a conoscenza di tutti i contatti diretti tra funzionari operativi, cosicché non verrebbe compromesso il ruolo dell'ufficio centrale. 6.7.6. Ostacoli alla presenza di funzionari dell'amministrazione fiscale degli altri Stati membri Nella pratica, la gran parte degli Stati membri consente la presenza di funzionari stranieri durante i controlli solo con il consenso del soggetto passivo, il quale è improbabile che lo conceda se lo scopo del controllo è quello di indagare su una sospetta frode. Peraltro, alcuni Stati membri non consentono la presenza di un funzionario di un altro Stato membro durante un'indagine che si svolga nel territorio di quest'ultimo, adducendo problemi giuridici. In un mercato unico che ha abolito tutte le frontiere per i frodatori, c'è da chiedersi se e in che misura tali frontiere debbano essere mantenute per i controllori. Benché il programma FISCALIS [20] preveda il contributo finanziario della Comunità per i controlli multilaterali, il regolamento (CEE) n. 218/92 non prevede la base giuridica per la presenza di funzionari dell'amministrazione fiscale di un altro Stato membro. Anche qui, gli Stati membri devono avvalersi delle possibilità offerte dall'articolo 6 della direttiva 77/799/CEE, ai sensi del quale gli Stati membri possono, nel quadro della procedura di consultazione di cui all'articolo 9, autorizzare la presenza di funzionari dell'amministrazione fiscale degli altri Stati membri, ma questa possibilità non è stata recepita nella legislazione nazionale della maggior parte di essi. Solo alcuni hanno stipulato accordi bilaterali per consentire al funzionario di un altro Stato membro di presenziare a un'indagine nel territorio dell'altro Stato. Questi accordi creano una base giuridica che rende l'amministrazione fiscale svincolata dal consenso del soggetto passivo. Nel contempo, essi creano una struttura giuridica che specifica diritti e obblighi di ciascuna delle parti interessate nonché le procedure da seguire. [20] Decisione n. 888/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 marzo 1998 recante adozione di un programma d'azione comunitario inteso a migliorare i sistemi di imposizione indiretta nel mercato interno (Programma Fiscalis), GU L 126 del 28.4.1998, pagg. 1-5. 6.7.7. Ostacoli che impediscono lo scambio di dati personali Gli Stati membri incontrano per la maggior parte difficoltà per lo scambio di dati personali a causa delle limitazioni imposte dalle loro leggi nazionali. Essi sostengono che le norme sulla protezione dei dati pongono rigidi limiti circa le informazioni che possono essere scambiate e i soggetti con i quali può avvenire lo scambio. Il recepimento della direttiva 95/46/CE sulla tutela delle persone fisiche relativamente all'elaborazione di dati personali e sulla libera circolazione di tali dati [21] viene addotto, in particolare, come ostacolo allo scambio di dati personali perfino nei casi di frode di cui si conosce l'esistenza, e a maggior ragione per le informazioni che rivelano un alto rischio di una frode in atto. Di fatto, le norme di protezione dei dati hanno l'effetto di proteggere i frodatori, danneggiando così gli interessi finanziari e di altra natura degli Stati membri e della Comunità. In relazione alla protezione dei dati, gli Stati membri dovrebbero avvalersi dell'articolo 13 della direttiva, che prevede deroghe alle norme fissate, quando si tratta di salvaguardare gli interessi finanziari di uno Stato membro (anche in materia fiscale). Occorre inoltre che sia introdotta una chiara disposizione giuridica affinché siano messe a disposizione le informazioni pertinenti per un'efficace lotta antifrode. [21] GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31. 6.7.8. Notifica al soggetto passivo dello scambio d'informazioni La legislazione nazionale vigente in taluni Stati membri prevede che al soggetto passivo venga notificato lo scambio d'informazioni. E' evidente che in caso di frode tale notifica compromette l'efficienza del controllo. Il fatto che alcuni Stati membri notifichino sistematicamente al soggetto passivo ogni richiesta d'informazioni induce altri Stati membri a esitare ad utilizzare il dispositivo di assistenza reciproca nei costi di sospetto di frode. Poiché lo scambio d'informazioni tra autorità fiscali nazionali non dà luogo ad alcuna notifica al soggetto passivo, la Commissione ritiene che così dovrebbe essere anche per lo scambio di informazioni tra autorità competenti. L'articolo 8 del regolamento stabilisce che le disposizioni relative alla notifica possono continuare ad applicarsi, salvo che la loro applicazione rischi di nuocere all'indagine sulla frode fiscale in un altro Stato membro. Tuttavia, per i motivi sopra esposti, gli Stati membri ricorrono principalmente alla direttiva 77/799/CEE come base giuridica nei casi di frode. Poiché la direttiva non reca la stessa disposizione, in pratica alcuni Stati membri notificano sistematicamente lo scambio d'informazioni alla persona interessata, anche in caso di frode di cui sia nota l'esistenza. 6.7.9. Interferenza in procedimenti penali Quando l'informazione richiesta riguarda casi sui quali i rappresentanti delle amministrazioni nazionali degli Stati membri stanno conducendo indagini su mandato o per delega delle autorità giudiziarie, lo scambio viene spesso rifiutato o fortemente ritardato. In conseguenza di ciò, l'autorità amministrativa dello Stato membro richiedente non può istituire in tempo utile azioni civili o penali relative a frodi che si perpetrano nel suo territorio. 6.7.10. Mancanza della base giuridica per scambiare informazioni con paesi terzi L'attuale quadro giuridico non fornisce la base giuridica per lo scambio d'informazioni con paesi terzi. Quando la frode all'IVA è legata a operazioni di import/export, si può ricorrere allo strumento della cooperazione doganale. Tuttavia, esistono svariate scappatoie, ad esempio nel caso delle frodi nel campo dei servizi o di quelle commesse nella Comunità ma per le quali le prove si trovano in paesi terzi. 7. Conclusioni e raccomandazioni 7.1. Conclusioni (1) La Commissione dovrebbe fare in modo che gli Stati membri possano adeguatamente controllare gli scambi intracomunitari grazie ad un efficiente ed adeguato sistema di scambio d'informazioni. Controlli incompleti possono solo fare aumentare le frodi, diminuire il gettito fiscale e creare distorsioni della concorrenza nel mercato interno. Non esistono attualmente scambi d'informazioni riguardo alle vendite a distanza. Considerato che il dispositivo speciale per le vendite a distanza non viene controllato come dovrebbe, la Commissione potrebbe decidere di presentare una proposta per modificare tale regime. (2) La Commissione continua a non essere convinta che, nonostante qualche miglioramento, le amministrazioni nazionali abbiano fatto tutto ciò che potevano per rendere più efficienti i CLO nell'evadere le richieste che ricevono dagli altri Stati membri. Occorre rafforzare il ruolo dei CLO e gli Stati membri devono valutare l'opportunità di affiancare maggiormente al lavoro dei CLO quello di unità specializzate antifrode. Se all'epoca dell'adozione del regime transitorio dell'IVA la creazione dei CLO era evidentemente essenziale, la Commissione ritiene che sia giunto il momento di valutarne l'efficacia e di riflettere se lo scambio di determinate informazioni non possa avvenire in modo più efficiente creando o sostenendo altre strutture. (3) La Commissione è preoccupata per gli elevati livelli di frode all'IVA evidenziati dall'attività del Sottocomitato antifrode (SCAF) e del Comitato permanente di cooperazione amministrativa nel campo dell'imposizione indiretta (SCAC), e non ritiene che gli Stati membri stiano prendendo tutte le misure necessarie per combattere le frodi. Le unità investigative e informative, così come le speciali unità antifrode, hanno dato un contributo significativo alla lotta contro la frode. Tuttavia, il loro ruolo nel sistema di controllo non è chiaramente definito, né è definito il loro collegamento con gli obiettivi del controllo. A livello comunitario, la palese riluttanza degli Stati membri a contribuire attivamente all'opera dello SCAF - vuoi direttamente, con la tacita accettazione dell'economia sommersa, o indirettamente conferendo ai delegati che siedono nel Comitato poteri insufficienti ad impegnare le amministrazioni nazionali a prendere determinate iniziative - ingenera nella Commissione un certo scetticismo circa il loro impegno nella lotta contro la frode all'IVA. Anche lo scarso utilizzo della rete SCENT fiscale induce la Commissione a chiedersi se gli Stati membri non si limitino semplicemente a far finta di accettare il principio dello scambio d'informazioni come strumento per scoprire le frodi. (4) A parte l'interesse dimostrato dalla Corte dei conti, la palese riluttanza delle altre istituzioni comunitarie a discutere le questioni sollevate nella seconda relazione ex articolo 14 e nella terza relazione ex articolo 12, oltre all'evidente indifferenza degli Stati membri nei confronti delle raccomandazioni contenute in tali relazioni, sono fatti che preoccupano la Commissione. (5) I livelli diversi d'integrazione delle singole amministrazioni fiscali hanno un ruolo importante nell'efficienza del controllo fiscale e, di conseguenza, nella capacità delle amministrazioni stesse di assolvere gli adempimenti comunitari relativi alla cooperazione amministrativa. Gli ostacoli interni, laddove esistono - e si tratta principalmente degli Stati membri con amministrazioni poco integrate - compromettono il corretto controllo del regime IVA del quale la cooperazione amministrativa tra Stati membri è un elemento essenziale. Data la stretta correlazione esistente fra controllo e cooperazione amministrativa, il sistema di controllo della Comunità ha minori possibilità di funzionare bene negli Stati membri nei quali permangono tali barriere. (6) Gli Stati membri dispongono, in generale, di poteri di controllo molto forti, ma non hanno un obiettivo generale al quale applicarli, né dispongono di veri piani di controllo con strategie ben definite. Non è chiaro quale sia il vero motore dei controlli fiscali e in particolare dei controlli dell'IVA. Gli Stati membri non sembrano aver considerato l'entità delle risorse di cui hanno bisogno per esercitare un adeguato controllo sul regime IVA. Essi hanno adeguato il controllo alle risorse disponibili, anziché basarlo sulle reali esigenze. I controlli vengono effettuati con modalità tradizionali, ed è raro che vengano selezionati in base a criteri di rischio. La dichiarazione IVA ha un ruolo trascurabile nell'attività di controllo, benché assorba notevoli risorse amministrative, sia a carico delle amministrazioni sia a carico degli operatori. L'impiego delle moderne tecnologie, quali le tecniche di controllo informatizzate, è a livelli molto bassi e gli Stati membri avranno grandi problemi a far fronte alle sfide dell'evoluzione tecnologica, anche per l'assenza della necessaria infrastruttura giuridica e tecnica. Essi utilizzano tuttora mezzi di controllo tradizionali e, a causa di un organico decisamente insufficiente, i controlli legati alla cooperazione amministrativa non raggiungeranno livelli sufficienti se non interviene un radicale cambiamento nella relativa politica. (7) L'utilizzo delle possibilità offerte dalla cooperazione amministrativa e dall'assistenza reciproca è di gran lunga inferiore al livello ottimale. Ciò sembra comunque da attribuire principalmente al basso livello generale dei controlli dell'IVA. Esiste infatti un rapporto diretto fra il controllo dell'IVA e la necessità di avvalersi del dispositivo della cooperazione amministrativa e della reciproca assistenza. (8) Le strutture create per provvedere alla cooperazione amministrativa e all'assistenza reciproca sono ragionevolmente adeguate per i normali controlli dell'IVA, per i quali la documentazione viene verificata a posteriori, talvolta anche due o tre anni dopo che le transazioni sono state eseguite. Oltre a ciò, il fatto di sapere che le amministrazioni fiscali si scambiano informazioni su di loro ha un effetto dissuasivo sugli operatori. Ma le procedure di cooperazione amministrativa e di reciproca assistenza sono totalmente inadeguate quando si tratta di avere a che fare con i professionisti della frode, ossia con persone che si dedicano, da soli o con altri, all'arricchimento indebito a spese del regime IVA. Con personaggi del genere, la sola speranza per l'amministrazione fiscale è un'azione rapida ed efficiente, basata su un servizio informazioni e su una buona analisi del rischio. (9) L'attuale legislazione comunitaria relativa alla cooperazione amministrativa e all'assistenza reciproca in materia di IVA fa capo a due strumenti giuridici distinti, al contrario di ciò che avviene in materia doganale, dove esiste un solo strumento giuridico: il regolamento (CE) n. 515/97 del Consiglio del 13 marzo 1997 relativo alla mutua assistenza tra le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per assicurare la corretta applicazione delle normative doganale e agricola [22]. La Commissione è del parere che, ai fini dell'IVA, sia essenziale modificare il regolamento (CEE) n. 218/92 per far fronte alla necessità di una maggior cooperazione. Alla luce dell'esperienza acquisita, occorrono norme integrative a livello comunitario per rafforzare la cooperazione sia tra le autorità amministrative degli Stati membri sia tra le stesse autorità e la Commissione. Il nuovo regolamento dovrebbe in sostanza: [22] GU L 82 del 22.3.1997, pag. 1. · specificare le varie categorie di informazioni che possono essere richieste e indicare il da farsi per ottemperare alla richiesta riguardo a ciascuna delle categorie; · assicurare la disponibilità di un livello centrale in seno agli Stati membri e il rapido scambio delle informazioni fondamentali; · assicurare un ampio scambio spontaneo d'informazioni per facilitare la scoperta delle frodi e la lotta contro di esse; · creare una chiara base giuridica per il coordinamento e l'assistenza tecnica da parte dei servizi della Commissione e per la cooperazione con i paesi terzi; · creare maggiori possibilità di contatti diretti tra le unità antifrode e tra i controllori dei diversi Stati membri, e consentire ai funzionari dell'amministrazione fiscale di uno Stato membro di partecipare ai controlli effettuati negli altri Stati membri. (10) Il controllo dell'IVA nella Comunità non ha subito sostanziali cambiamenti, nonostante le nuove sfide poste dal mercato interno. Gli Stati membri effettuano i tradizionali controlli fiscali che, in generale, non sono cambiati dall'introduzione dell'IVA. Non vi è stata alcuna revisione del sistema di controllo dell'IVA per verificare le esigenze poste dal regime transitorio, con le sue forniture esentasse e i suoi regimi particolari. Quando nel 1993 i controlli alle frontiere sono stati aboliti e l'attività di controllo si è spostata sulla contabilità, non si sono verificati trasferimenti significativi di funzionari delle dogane all'amministrazione IVA. Pertanto, gli Stati membri continuano a gestire il controllo dell'IVA con le stesse risorse, benché il numero dei potenziali controlli sia aumentato in modo considerevole. (11) Le amministrazioni IVA della Comunità devono controllare un numero di operatori dell'ordine di 24 milioni, con 100 milioni di dichiarazioni IVA all'anno. · Di questi operatori, circa 3 000 000 sono soggetti passivi che effettuano forniture e/o acquisti intracomunitari. · Le forniture intracomunitarie esenti, sulle quali la riscossione dell'imposta è a rischio, ammontano a circa EUR930 000 000 000. · L'80% dell'IVA riscossa dagli Stati membri viene versata da circa 1 000 000 di operatori, pari al 4% del totale. · Circa 15 000 000 soggetti passivi possono essere classificati come piccole e medie imprese. · Gli Stati membri dispongono, nel loro complesso, di circa 30 000 funzionari addetti al controllo dell'IVA (pari all'8% dell'organico complessivo), i quali effettuano ogni anno circa 600 000 controlli in loco. Ciò significa che un soggetto passivo ha la possibilità teorica di essere sottoposto ad un controllo in loco ogni 40 anni. (12) I traguardi del controllo consistono essenzialmente nel gettito da recuperare, nel numero di controlli da effettuare o nel numero di ore da dedicare al controllo. Si tratta di traguardi basati su piani che vengono elaborati in funzione delle risorse disponibili e non si basano dunque sulla valutazione delle reali esigenze di controllo. Gli Stati membri utilizzano metodi di selezione molto tradizionali e pochi di essi dispongono di sistemi di valutazione del rischio per la selezione dei controlli da effettuare. Alcuni Stati membri utilizzano metodologie ibride, con l'applicazione di determinati parametri di rischio. La maggior parte degli Stati membri non ha la possibilità di passare ad un sistema di analisi del rischio in quanto non dispone della necessaria infrastruttura. (13) Il monitoraggio dei controlli effettuato dagli Stati membri è insufficiente e principalmente basato sulle cifre, senza vere analisi dei motivi delle irregolarità e delle frodi. Occorre che gli Stati membri effettuino registrazioni più accurate dei controlli effettuati e che queste siano memorizzate in modo da consentire al livello centrale dell'amministrazione di valutare costantemente la situazione relativa alle frodi. Molti Stati membri hanno sistemi di comunicazione interna carenti per trasmettere le informazioni utili per altri funzionari, ad esempio per gli scambi rapidi con gli altri Stati membri. I sistemi di comunicazione possono inoltre essere utilizzati per diffondere informazioni ai funzionari dell'amministrazione fiscale su base giornaliera. (14) Tutti gli Stati membri dispongono di regimi di sanzioni, ma non sembra che vi sia alcun tipo di monitoraggio e di valutazione. Solo pochi Stati membri sono in grado di fornire cifre esatte dei risultati di questi regimi. A quanto pare, lo scopo principale delle sanzioni è quello di procurare all'Erario un gettito supplementare, anziché di agire da incentivo per i soggetti passivi affinché ottemperino spontaneamente ai propri obblighi. (15) Benché la cooperazione amministrativa sia una realtà dal 1993, e la reciproca assistenza sia possibile dal 1979, il coordinamento tra le amministrazioni fiscali nazionali è appena all'inizio. La decisione Fiscalis [23] prevede finanziamenti comunitari per gli Stati membri che partecipano a controlli multilaterali sugli operatori; tuttavia questa attività è ancora agli albori, considerato che la metodologia è stata applicata finora a meno di 100 dei potenziali 3 000 000 di operatori che effettuano scambi intracomunitari. Gli Stati membri hanno ancora molta strada da fare sotto questo aspetto. [23] Decisione n. 888/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 marzo 1998 recante adozione di un programma d'azione comunitario inteso a migliorare i sistemi di imposizione indiretta nel mercato interno (Programma Fiscalis) (GU L 126 del 28.4.1998, pag. 1.) (16) Per quanto riguarda l'IVA, il mercato unico in pratica non esiste, essendovi ancora 15 territori fiscali separati in cui le amministrazioni nazionali sono responsabili del controllo sugli operatori ai quali hanno rilasciato un numero di identificazione IVA. Così, mentre le aziende guardano alle opportunità offerte dal mercato unico nel suo complesso in termini di libera circolazione delle merci, la singola azienda che operi in tutti gli Stati membri ha a che fare con 15 amministrazioni fiscali distinte e deve rassegnarsi alle differenze d'interpretazione e di applicazione della sesta direttiva sull'IVA. Il Consiglio ha opposto molta resistenza ad adottare le misure proposte dalla Commissione per modernizzare e armonizzare l'attuale regime IVA, non intendendo cedere alcun aspetto della sua sovranità fiscale. Il risultato è che le aziende ottimizzano le possibilità di pianificazione fiscale che il regime offre. (17) Gli Stati membri non sono in grado di far fronte alla nuova evoluzione tecnologica, alla fatturazione e autofatturazione elettronica e al commercio per via telematica. Sono ben pochi i funzionari addetti al controllo che hanno esperienza nelle nuove tecniche informatizzate e gli Stati membri dovranno adeguarsi in fretta se vogliono essere all'altezza delle nuove tecnologie. 7.2. RACCOMANDAZIONI (1) Gli Stati membri, di concerto con la Commissione, dovrebbero studiare urgentemente l'adozione di una politica comune antifrode, adeguata ai tipi di frode che si verificano nell'attuale regime IVA e che mettono a rischio il corretto funzionamento degli scambi legittimi nel mercato unico. (2) Gli Stati membri dovrebbero urgentemente prendere in considerazione un riesame completo della propria politica di controllo dell'IVA. Nell'ambito di tale riesame è da rivedere la politica generale di controllo e occorre mettere a punto e applicare una strategia di controllo con obiettivi chiari e un'adeguata struttura organizzativa, priva di barriere interne. Gli Stati membri dovrebbero inoltre dotarsi di una metodologia di controllo basata sull'analisi del rischio e preparare il terreno per l'adozione di tale metodo di selezione. La Commissione e gli Stati membri dovranno valutare assieme l'opportunità di una revisione completa del sistema di dichiarazioni e versamenti per consentire agli Stati membri di liberare risorse da adibire ai più urgenti controlli in loco. Occorre che gli Stati membri analizzino l'efficacia della propria attività di controllo dell'IVA per accertarsi che la mancanza di controlli non crei distorsioni della concorrenza tra operatori che ottemperano volontariamente agli obblighi e operatori inadempienti. (3) La Commissione, di concerto con gli Stati membri, dovrebbe, tra l'altro, studiare dei criteri comunitari per i sistemi di valutazione del rischio. (4) Gli Stati membri devono studiare in che modo attuare un monitoraggio e un'analisi più efficienti delle frodi che scoprono. Dal canto suo, la Commissione dovrà valutare il miglior impiego possibile di tali informazioni a livello comunitario. Gli Stati membri debbono riflettere a come procedere per raccogliere tali informazioni in modo rapido e farle circolare internamente. La Commissione dovrà valutare se la circolazione di tali informazioni deve essere estesa al livello intracomunitario. (5) Gli Stati membri sono invitati a riflettere ad una revisione organica dei propri sistemi e procedure di cooperazione amministrativa e assistenza reciproca nel campo dell'IVA, alla luce delle carenze emerse, e a studiare il modo di conseguirne il loro funzionamento ottimale, anche sotto il profilo dell'organizzazione dei CLO, della destinazione delle risorse e della rimozione di tutte le barriere interne, di natura giuridica e amministrativa, che incidono sul corretto funzionamento dello scambio d'informazioni. Gli Stati membri devono fare un uso migliore e più intensivo di questi strumenti affinché il livello di cooperazione con gli altri Stati membri arrivi ad essere pari a quello esistente tra due dipartimenti locali della loro amministrazione. La Commissione pertanto raccomanda che ogni ufficio locale sia dotato di almeno un funzionario che abbia come compito prioritario quello di rispondere alle richieste pervenute da altri Stati membri. I traguardi da raggiungere, per questo funzionario, non devono essere quelli basati sul criterio del gettito supplementare scoperto, ma devono basarsi sulla percentuale di richieste che è riuscito a evadere nel più breve lasso di tempo. (6) La Commissione presenterà presto una proposta di modifica del regolamento in vigore, volta a migliorare il funzionamento della cooperazione amministrativa e all'assistenza reciproca nel campo dell'IVA e ad affrontare altri ostacoli allo scambio d'informazioni. (7) Gli Stati membri dovrebbero prendere atto della sfida rappresentata dalle nuove tecnologie e destinare risorse a questo obiettivo, anche procedendo alla formazione di controllori nelle tecniche informatizzate, dotandosi della necessaria infrastruttura tecnica e giuridica e formando i propri funzionari a una maggior consapevolezza in questo campo. La Commissione deve valutare il quadro giuridico da adottare in proposito. 8. Allegato - grafici Figura 1: Percentuale di funzionari fiscali adibiti ai controlli IVA in loco per Stato membro Figura 2: Numero di soggetti passivi per controllore IVA Figura 3: Percentuale di soggetti passivi che effettuano acquisti intracomunitari per Stato membro Nota: Spagna, Francia e Paesi Bassi non hanno fornito cifre sul numero di soggetti passivi che effettuano acquisti intracomunitari Figura 4: Aumento complessivo, nel periodo 1996-1998, del numero di richieste d'informazioni presentate a norma dell'articolo 4, paragrafi 2 e 3 del regolamento Figura 5: Numero di richieste al trimestre presentate nel periodo 1996-1998 ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CEE) n. 218/92 e dell'articolo 2 della direttiva 77/799/CEE Figura 6: Numero di richieste per Stato membro presentate nel periodo 1996-1998 ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CEE) n. 218/92 e dell'articolo 2 della direttiva 77/799/CEE Figura 7: Numero di richieste presentate nel periodo 1996-1998 per Stato membro ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CEE) n. 218/92 e dell'articolo 2 della direttiva 77/799/CEE per funzionario addetto al controllo Figura 8: Numero di richieste presentate nel periodo 1996-1998 per Stato membro ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CEE) n. 218/92 e dell'articolo 2 della direttiva 77/799/CEE per singolo controllo IVA Nota: Non sono disponibili dati per il numero di controlli IVA intrapresi da Germania e Grecia. Figura 9: Numero di soggetti passivi che hanno effettuato acquisti intracomunitari per richiesta presentata nel periodo 1996-1998 per Stato membro ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CEE) n. 218/92 e dell'articolo 2 della direttiva 77/799/CEE Note: Non sono disponibili dati riguardo al numero di soggetti passivi che hanno effettuato acquisti intracomunitari per Spagna, Francia e Paesi Bassi Figura 10: Andamento dei ritardi nel rispondere alle richieste ai sensi dell'articolo 5 del regolamento e dell'articolo 2 della direttiva ancora inevase al 31 dicembre 1998 per Stato membro interpellato Figura 11: Percentuale dei ritardi nel rispondere alle richieste ai sensi dell'articolo 5 del regolamento e dell'articolo 2 della direttiva ancora inevase al 31 dicembre 1998 per Stato membro interpellato