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Document 31992Y0819(01)

Comunicazione della Commissione - Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese

GU C 213 del 19.8.1992, p. 2–9 (ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT)

31992Y0819(01)

Comunicazione della Commissione - Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese

Gazzetta ufficiale n. C 213 del 19/08/1992 pag. 0002 - 0008


Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese (92/C 213/02)

(Adottata dalla Commissione il 20 maggio 1992)

1. Introduzione

1.1. L'importazione economica delle piccole e medie imprese (PMI) ha riscosso sempre maggiori riconoscimenti negli ultimi anni. La loro considerevole funzione emerge non soltanto da un'immagine statica dell'economia in un momento determinato, in termini di percentuale della produzione e dell'occupazione che fa capo alle PMI (1), ma risulta anche evidente, a vari livelli, da una visione dinamica dell'economia nel tempo. In primo luogo le PMI hanno un ruolo di particolare rilievo nella creazione di posti di lavoro, specie in un momento in cui le grandi imprese sono in fase di riduzione del numero dei dipendenti. In secondo luogo, essendo più esposte alla concorrenza ma nel contempo più flessibili e adattabili delle grandi imprese, le PMI tendono ad essere in prima linea sul fronte dell'innovazione. In terzo luogo e di conseguenza, le PMI sono una rilevante fonte di concorrenza sui mercati - che grazie alla loro presenza restano mercati aperti a nuovi concorrenti - e si configurano come motore principale delle modifiche strutturali e della rigenerazione dell'economia nel suo complesso: esse agevolano gli spostamenti di risorse economiche dai settori in declino verso quelli in espansione. Con ciò non si intende negare l'importanza delle grandi imprese. Le PMI e le grandi imprese sono complementari, ma le PMI sono la linfa vitale di qualsiasi economia che esse contribuiscono a vivificare ed il loro mancato sviluppo porta al ristagno.

1.2. In alcuni comparti dell'economia l'attività delle PMI è di importanza particolare. Si cita ad esempio l'industria manifatturiera, nella quale la subfornitura svolge un ruolo sempre più significativo. Infatti molti grandi produttori ricorrono alla subfornitura per percentuali sempre più cospicue del valore aggiunto dei loro prodotti e le PMI interessate assumono una responsabilità sempre più grande per la R& S nel loro ramo specifico (2). Le PMI sono anche d'importanza essenziale per lo sviluppo regionale.

1.3. Se l'importanza vitale di una «cultura imprenditoriale» favorevole alla crescita delle PMI è in genere ammessa, è altrettanto vero che, nello Stato moderno, le PMI si trovano davanti a taluni svantaggi rispetto alle grandi imprese solidamente insediate. Per esempio, esse incontrano maggiori difficoltà di finanziamento e risentono più gravemente degli oneri imposti dallo Stato. I costi sostenuti dalle piccole imprese per conformarsi alla normativa pubblica in materia di igiene o di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, di contabilità ecc., possono essere più elevati e il carico fiscale ad esse imposto più oneroso, tanto in termini di aliquote (3) quanto in termini di costi per conformarsi al sistema fiscale (ad esempio riscossione dei contributi per la sicurezza sociale, dell'IVA).

1.4. I problemi specifici delle PMI e i vantaggi esterni che esse producono sotto forma di maggior dinamismo e di capacità innovativa dell'economia (che può così assorbire le modifiche strutturali e sostituire i posti di lavoro perduti) sono entrambi motivi che giustificano un'azione positiva pubblica atta a rendere comparabili le condizioni di base e, se del caso, a ribaltarle lievemente a favore delle PMI. Tale azione positiva non deve tendere all'eliminazione di tutti i rischi, poiché il rischio costituisce lo stimolo essenziale all'efficienza e alla competitività. Essa dovrebbe principalmente cercare di instaurare un contesto favorevole alle piccole imprese, una «cultura imprenditoriale», attraverso interventi educativi e formativi e la semplificazione delle prescrizioni normative. L'azione positiva atta a promuovere le PMI può anche comprendere incentivi finanziari per l'avviamento di nuove imprese e per gli investimenti.

1.5. La Comunità incoraggia le PMI attraverso il suo programma di azione (4) e le varie misure in cui esso si articola quali gli Eurosportelli, BC-NET, la semplificazione e codificazione della normativa comunitaria applicabile alle PMI, i fondi a favore del capitale di avviamento (5) ed anche attraverso iniziative dirette a promuovere l'innovazione ed il trasferimento di tecnologie nel quadro del programma SPRINT (6). I governi nazionali, per parte loro, intervengono al fine di migliorare il contesto operativo delle PMI con misure che comprendono anche un sostegno finanziario diretto. La politica generale della Commissione nei confronti degli aiuti statali atti a sostenere le PMI è sempre stata favorevole (7). Essa ha autorizzato regimi di aiuto istituiti a favore delle piccole imprese nella maggior parte degli Stati membri. Tali regimi stanno attualmente moltiplicandosi in concomitanza con il crescente riconoscimento del ruolo delle PMI. Nel contempo, l'aumento del rischio che gli aiuti statali alterino la concorrenza sul mercato unico europeo e la necessità di una coesione economica e sociale maggiore, ribadita nel trattato sull'Unione europea, impongono una riduzione dei flussi di aiuto contemplati da alcuni regimi generali che non sono limitati alle sole PMI, in particolare, gli incentivi generali agli investimenti al di fuori delle aree di sviluppo regionale. Di qui nascono l'esigenza di stabilire una definizione delle PMI e la necessità, per la Commissione, di precisare la sua posizione nei confronti degli aiuti di Stato a favore delle PMI. La presente disciplina persegue questa finalità. Essa affronta il problema essenziale della definizione per esaminare in seguito i vari tipi e le intensità d'aiuto che la Commissione è disposta, in linea di massima, ad autorizzare a favore di questo settore.

1.6. La presente disciplina si applica agli aiuti a favore delle PMI appartenenti a tutti i settori di attività, ad eccezione di quelli disciplinati da norme comunitarie speciali in materia di aiuti di Stato emanate sulla base del trattato CEE o CECA. A tutti gli aiuti di cui possono usufruire le PMI in questi particolari settori si applicano le rispettive normative settoriali. Attualmente sono in vigore norme speciali nei seguenti settori: siderurgia, costruzioni navali, fibre sintetiche, industria automobilistica, agricoltura, pesca, trasporti e carbone.

2. Definizione

2.1. Non esiste una definizione unica generalmente accettata di piccole e medie imprese. I vari paesi e le loro diverse istituzioni ricorrono a definizioni differenti. A volte si fa distinzione tra piccole imprese e imprese medie, in altri casi no. Questa incertezza definitoria è spesso comprensibile in quanto la distinzione riflette, in larga misura, situazioni e finalità mutevoli (ad esempio esenzione dall'IVA, temperamento di alcuni obblighi di legge, accessibilità ai finanziamenti, individuazione dei destinatari di campagne d'informazione) (8). La varietà delle definizioni trova riscontro nelle diverse politiche della Comunità europea nei confronti delle PMI, quali le azioni della BEI e i finanziamenti concessi attraverso i fondi strutturali, le misure di semplificazione e d'informazione e la politica di concorrenza (9). Per permettere il controllo degli aiuti di Stato la definizione di PMI utilizzata dalla Commissione deve soddisfare vari requisiti: deve delimitare il settore delle PMI in modo che vi rientri la maggior parte delle imprese cui sono riconducibili gli effetti esterni positivi e gli svantaggi descritti nei punti 1.1 - 1.3, ma non deve essere così ampia da comprendere molte imprese più grandi che non esplicano necessariamente gli effetti esterni positivi o non hanno gli svantaggi che sono una caratteristica del settore delle PMI. Gli aiuti concessi alle imprese più grandi sulla base di considerazioni valide essenzialmente per le imprese più piccole potrebbero condurre a distorsioni della concorrenza e degli scambi commerciali tra Stati membri. Inoltre, se occorre accrescere la trasparenza grazie alla disciplina qui proposta, la definizione di PMI deve essere semplice e facilmente applicabile.

In genere non è necessario distinguere tra piccole imprese e imprese di medie dimensioni. Questa distinzione è invece necessaria quando gli aiuti vengono erogati alle attività prossime alla fase del mercato, come gli investimenti. In tal caso è lecito presumere che gli aiuti alle piccole imprese abbiano effetti distorsivi limitati sulla concorrenza e sugli scambi intracomunitari e che viceversa gli aiuti alle imprese di media grandezza generino, al riguardo, effetti distorsivi più rilevanti.

2.2. Considerate tali premesse, la «PMI» è definita, ai fini della presente disciplina come un'impresa che:

- ha un massimo di 250 dipendenti, ed

- ha

- un fatturato annuo non superiore ai 20 milioni di ecu, oppure

- un totale dello stato patrimoniale non superiore ai 10 milioni di ecu, e

- fa capo per non più di un quarto ad una o più imprese che non rispondono a questa definizione, ad eccezione delle società finanziarie pubbliche, delle società a capitale di rischio o, purché non esercitino alcun controllo, degli investitori istituzionali.

Dove sia necessario distinguere tra piccole e medie imprese, è definita «piccola» l'impresa che:

- ha un massimo di 50 dipendenti, ed

- ha

- un fatturato annuo non superiore ai 5 milioni di ecu, oppure

- un totale dello stato patrimoniale non superiore ai 2 milioni di ecu e

- fa capo per non più di un quarto ad una o più imprese che non rispondono a questa definizione, ad eccezione delle società finanziarie pubbliche, delle società a capitale di rischio o, purché non esercitino alcun controllo, degli investitori istituzionali.

I tre requisiti sono cumulativi, nel senso che un'impresa verrà considerata una «PMI» o una «piccola» impresa, secondo il caso, unicamente qualora soddisfi al requisito dell'indipendenza, non superi il numero massimo di dipendenti e non superi almeno uno degli altri limiti stabiliti per il fatturato o per il totale dello stato patrimoniale. I limiti relativi al numero dei dipendenti sono quelli fissati dalla quarta direttiva sui conti annuali di taluni tipi di società (10). I limiti relativi al fatturato, cioè 20 e 5 milioni di ecu, ed il limite relativo al totale dello stato patrimoniale per le PMI in generale, cioè 10 milioni di ecu superano del 25 % quelli stabiliti dalla quarta direttiva, che attualmente sono rispettivamente di 16, 4 e 8 milioni di ecu. Tuttavia tale arrotondamento è necessario per compensare il fatto che il limite relativo al personale è sempre applicabile, oltre ad uno dei due limiti finanziari, mentre in base alla quarta direttiva il solo rispetto dei due limiti finanziari è sufficiente perché l'impresa abbia titolo al regime favorevole previsto da tale direttiva.

Il criterio dell'indipendenza, per il quale non più di un quarto dell'impresa deve fare capo ad un'impresa di dimensioni più grandi, è stato tratto dalla prassi seguita in molti Stati membri, dove il 25 % è considerato la soglia per un eventuale controllo. Ancorché evidentemente non sia altrettanto preciso dei criteri stabiliti nella settima direttiva sui conti consolidati (11) in ordine alla relazione fra società madre e affiliata per determinare l'applicabilità o meno di alcuni obblighi di legge, questo criterio è sufficiente ai fini presenti per indicare approssimativamente il grado di indipendenza che debbono possedere le PMI beneficiarie di aiuti; gli Stati membri hanno comunque la facoltà di applicare criteri più restrittivi e più precisi. Le partecipazioni detenute da una finanziaria pubblica o da una società a capitale di rischio normalmente non alterano le caratteristiche proprie delle PMI, cosicché possono essere trascurate. Lo stesso vale per le partecipazioni detenute da investitori istituzionali quali i fondi pensione e le compagnie di assicurazioni, che di solito intrattengono con l'impresa nella quale investono rapporti liberi da imposizioni.

3. Applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato

3.1. L'articolo 92, paragrafo 1 del trattato CEE vieta, con alcune possibili deroghe, gli aiuti finanziari pubblici a favore di imprese o produzioni specifiche che falsino o minaccino di falsare la concorrenza e incidano sugli scambi tra Stati membri. Gli aiuti di Stato alle PMI ricadono normalmente nel disposto dell'articolo 92, paragrafo 1. Diversamente dalle misure di carattere generale che favoriscono le imprese in tutti i settori dell'economia, essi conferiscono un vantaggio a determinate imprese particolari e possono avere un'incidenza sugli scambi intracomunitari poiché molte PMI esportano parte della loro produzione verso altri Stati membri e nella maggior parte dei settori dell'economia nazionale la produzione delle PMI riduce le possibili importazioni da altri paesi della Comunità.

3.2. Aiuti «de minimis»

Ciononostante è altresì pacifico che, sebbene ogni aiuto finanziario alle imprese alteri in misura più o meno importante le condizioni della concorrenza, non ogni aiuto ha un impatto sensibile sul commercio e sulla concorrenza tra gli Stati membri. Ciò vale in particolare per gli aiuti di minima entità, destinati soprattutto ma non esclusivamente alle PMI e spesso ricompresi in regimi gestiti da enti locali o regionali.

Nell'interesse di una semplificazione amministrativa a favore delle PMI è opportuno che gli aiuti fino ad un certo importo, al di sotto del quale si può presumere che non trovi applicazione l'articolo 92, paragrafo 1, non siano più soggetti all'obbligo di previa notifica alla Commissione disposto dall'articolo 93, paragrafo 3. L'esperienza ha dimostrato che questa cifra può essere fissata a 50 000 ecu per impresa, per ogni grande categoria di spesa (ad esempio investimenti, formazione), nell'arco di un periodo di tre anni. Pertanto, in futuro non occorrerà più notificare in forza dell'articolo 93, paragrafo 3 le somme una tantum non superiori a 50 000 ecu erogate per una determinata categoria di spesa nonché i regimi per i quali l'entità dell'aiuto che una determinata impresa può ottenere su un arco di tempo di tre anni è limitata all'importo menzionato, purché sia espressamente imposta la condizione che qualsiasi aiuto supplementare concesso alla medesima impresa per lo stesso tipo di spese da altre fonti o in base ad altri regimi non porti l'aiuto complessivo di cui l'impresa beneficia al di là del limite di 50 000 ecu. Sebbene non sia previsto alcun limite in ordine alle dimensioni dell'impresa che può usufruire di tale facilitazione in merito agli aiuti «de minimis», è evidente che saranno soprattutto le imprese più piccole ad esserne interessate. Va sottolineato che tale misura non è applicabile nei settori soggetti a norme specifiche elencati nel paragrafo 1.6.

3.3. Aiuti alle PMI che ricadono nella sfera di applicazione dell'articolo 92, paragrafo 1

Gli aiuti di Stato alle PMI - che per l'intensità dei loro effetti sugli scambi intracomunitari e sulla concorrenza - ricadono nel disposto dell'articolo 92, paragrafo 1 possono nondimeno avere i requisiti necessari per ottenere una deroga. La deroga più ampia è quella disposta dall'articolo 92, paragrafo 3, lettera c) in base al quale la Commissione ha il potere discrezionale di autorizzare gli aiuti che agevolino lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempreché non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse.

Tenuto conto delle economie esterne positive riconducibili alle PMI, dell'importanza delle PMI per specifici settori dell'industria e per lo sviluppo regionale e considerati i problemi specifici che esse debbono affrontare, non vi è dubbio che gli aiuti di Stato a favore delle PMI sono atti ad «agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche».

Occorre però stabilire se gli aiuti di Stato a favore delle PMI alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse. Ogni valutazione al riguardo deve tener conto del tipo e dell'intensità degli aiuti. Gli aiuti a favore delle attività che sono relativamente distanti dal mercato (come le sovvenzioni per consulenze a fini di miglioramento della gestione generale) incidono sugli scambi solo in modo indiretto e in misura minore rispetto ad altri tipi di aiuto. Aiuti per attività vicine alla fase del mercato, quali gli aiuti agli investimenti, incidono sicuramente meno sugli scambi se sono concessi a PMI piuttosto che a grandi imprese. Ciò è dovuto al fatto che il volume delle vendite delle PMI singolarmente considerate è inferiore a quello delle grandi imprese, tanto più che nelle PMI il fatturato per occupato è sovente più basso; inoltre le PMI sono particolarmente numerose nei settori dell'economia nei quali gli scambi intracomunitari sono relativamente limitati (ad esempio edilizia, alcune industrie alimentari, vendita al minuto, numerosi servizi). Tuttavia, le ripercussioni degli aiuti agli investimenti sugli scambi intracomunitari possono aumentare notevolmente nel caso di imprese che si collocano nella fascia «medie» della categoria delle PMI. Tenuto conto di quanto sopra, e a patto che non siano superate determinate intensità di aiuto ritenute accettabili, le ripercussioni degli aiuti alle PMI sulle condizioni degli scambi non sono in genere così marcate da compromettere gli interessi della Comunità, specie se si tiene conto delle economie esterne positive dovute all'attività delle PMI.

3.4. Conclusioni

In conclusione - oltre agli aiuti che possono incontestabilmente ritenersi non soggetti al divieto dell'articolo 92, paragrafo 1 (aiuti «de minimis») - gli aiuti a favore delle PMI che non superino determinate intensità (variabili secondo il tipo di aiuto) possono di norma beneficiare della deroga di cui all'articolo 92, paragrafo 3, lettera c); la Commissione può dunque, a giusto titolo, ammettere una presunzione generale di compatibilità di tali aiuti con il mercato comune.

4. Intensità generalmente ammissibile per gli aiuti a favore delle PMI

Come regola generale la Commissione ritiene che gli aiuti statali aventi gli obiettivi ed i livelli di intensità illustrati in appresso possiedano i requisiti per ottenere una deroga ai sensi dell'articolo 92, paragrafo 3, lettera c) quando riguardano piccole e medie imprese definite come sopra.

4.1. Aiuti agli investimenti in generale

La Commissione ritiene che i regimi generali di aiuto agli investimenti (cioè i regimi d'aiuto all'investimento che non siano specificamente connessi alle dimensioni dell'impresa o alla zona in cui è stabilita) siano incompatibili con il mercato comune e non possano più essere autorizzati. I motivi che giustificano tale impostazione sono di due ordini. In primo luogo, l'investimento è una normale spesa aziendale che l'impresa effettua nel proprio interesse e che pertanto non deve necessitare, in circostanze normali, di aiuti pubblici. Qualora vengano concessi incentivi per un'attività così prossima alla fase del mercato, in un mercato sempre più integrato quale quello della CEE, tale aiuto tenderà ad alterare la concorrenza e ad indurre un'allocazione inefficiente delle risorse.

In secondo luogo, aiuti concessi a tutte le imprese a favore dei loro investimenti comprometterebbero l'obiettivo di una maggiore coesione economica e sociale nella Comunità. La disponibilità di aiuti agli investimenti nelle zone dei paesi più prosperi della Comunità che non sono parte di programmi di sviluppo regionale avrebbe come conseguenza la riduzione dell'attrattiva offerta dagli incentivi presenti nelle zone meno avanzate.

Le stesse argomentazioni valgono in parte per gli aiuti generalizzati a favore degli investimenti effettuati dalle PMI, perlomeno per quanto riguarda le imprese del segmento superiore, quelle cioè di media grandezza. Per queste ultime gli argomenti che si oppongono agli aiuti agli investimenti in nome dei loro effetti anticoncorrenziali e «anticoesione» hanno probabilmente maggior peso di quelli, basati sullo sviluppo delle PMI, addotti a loro favore. Se gli aiuti agli investimenti fossero accessibili anche alle PMI di maggiori dimensioni nelle zone non interessate da programmi di sviluppo regionale, non solo sussisterebbe il pericolo di distorsioni della concorrenza, ma diminuirebbe altresì l'incentivo per le piccole e medie imprese ad investire in zone svantaggiate. In effetti potrebbe risultare troppo esiguo il differenziale tra i livelli di aiuto disponibili per le PMI situate nelle zone non destinatarie di interventi di riequilibrio economico degli Stati membri più prosperi, in posizione centrale, ed i livelli disponibili nelle zone assistite tanto negli Stati membri centrali quanto negli Stati membri periferici meno prosperi (i quali spesso non possono permettersi di offrire il livello massimo di aiuto teoricamente ammesso). Il rischio di un tale effetto perverso, che può essere minimo quando le imprese sono molto piccole, aumenta ovviamente con le dimensioni dell'impresa.

La Commissione è tenuta a combattere questi effetti collaterali. Il nuovo articolo 130b del trattato CEE che i capi di Stato e di governo hanno convenuto di inserire nel trattato sull'Unione europea recita: «L'elaborazione e l'attuazione delle politiche ed azioni comunitarie, nonché l'attuazione del mercato interno tengono conto degli obiettivi dell'articolo 130a (coesione economica e sociale) e concorrono alla loro realizzazione.»

Di conseguenza, fatte salve le deroghe previste in appresso per le zone ammissibili agli investimenti dei fondi strutturali a titolo degli obiettivi 2 e 5b, la Commissione ha deciso di consentire aiuti agli investimenti al di fuori delle zone oggetto di programmi nazionali di sviluppo regionale, indipendentemente dai fondi strutturali, solo fino ad un livello del 15 % lordo (12) per le piccole imprese, come sopra definite, e del 7,5 % lordo per le altre PMI, cioè quelle di dimensioni «medie».

Nelle zone assistite la Commissione autorizzerà per le PMI (siano esse piccole o medie), in aggiunta alla percentuale di aiuto regionale ivi vigente e autorizzata dalla Commissione, un supplemento lordo di 10 punti percentuale per aiuti agli investimenti nelle zone di cui all'articolo 92, paragrafo 3, lettera c) e di 15 punti percentuale nelle zone di cui all'articolo 92, paragrafo 3, lettera a) (13). Resta comunque inteso che, nelle zone di cui all'articolo 92, paragrafo 3, lettera c), il cumulo degli aiuti regionali e degli aiuti alle PMI è soggetto a un massimale del 30 % netto e che nelle zone di cui all'articolo 92, paragrafo 3, lettera a) il suddetto cumulo è soggetto a un massimale del 75 % netto. La griglia di tassi che ne risulta (vedi tabella allegata) è intesa a permettere la concessione dei livelli di aiuto più elevati nelle regioni che maggiormente ne abbisognano e a mantenere per tutte le imprese, tranne per quelle più piccole, un differenziale tra le regioni assistite e quelle non assistite.

Il cumulo degli aiuti regionali e degli aiuti specifici alle PMI nelle zone assistite deve rispettare i massimali sopra individuati indipendentemente dalla provenienza degli aiuti stessi (nazionali o cofinanziamento a carico dei fondi strutturali, in particolare del FESR).

Alcune zone della Comunità figurano tra quelle che possono ricevere aiuti dai fondi strutturali in base agli obiettivi 2 o 5b (14), ma non sono destinatarie di regimi autonomi di aiuto nazionali. La Commissione ha deciso che anche in tali zone le PMI possono ricevere fino alla fine del 1993 aiuti agli investimenti fino ad un determinato livello che verrà fissato per ciascun regime.

Le intensità massime consentite riguardano tutti gli aiuti in qualsiasi forma concessi.

4.2. Aiuti agli investimenti per la difesa dell'ambiente

Ai sensi della disciplina degli aiuti per la difesa dell'ambiente (15) gli investimenti che hanno questa finalità (come ad esempio quelli diretti a controllare l'inquinamento, a ridurre le emissioni di CO2, a proteggere la fascia di ozono, ecc.) ricevono un trattamento più favorevole di quello riservato agli investimenti generici quali che siano l'ubicazione e le dimensioni dell'impresa. Le PMI situate nelle zone assistite hanno però il diritto di beneficiare dell'aliquota di aiuto disponibile per gli investimenti in generale, che, per il fatto della maggiorazione regionale prevista in favore delle PMI, è superiore al 15 % netto attualmente autorizzato dalla suddetta disciplina degli aiuti per la difesa dell'ambiente, e non è soggetta all'osservanza delle rigorose condizioni ivi previste.

4.3. Aiuti per la consulenza aziendale, per la formazione e per la diffusione delle conoscenze

Per le consulenze esterne e per la formazione a favore delle PMI di nuova costituzione o già esistenti e del loro personale su temi gestionali, finanziari, nuove tecnologie (in modo particolare tecnologie dell'informazione), controllo dell'inquinamento, protezione dei diritti di proprietà intellettuale e su altri soggetti del genere, o per le analisi di fattibilità di nuovi investimenti a rischio, è in linea di massima ammesso un aiuto fino al 50 % lordo. Tuttavia, ciascun regime sarà valutato in relazione alle sue caratteristiche, con particolare riferimento alla distanza dalla fase di mercato, ad eventuali limiti all'ammontare dell'aiuto per impresa, alle possibilità di cumulo e ad altri fattori pertinenti. In via eccezionale la Commissione può autorizzare aiuti superiori al 50 %. In particolare gli aiuti per campagne generali di informazione possono avere un'intensità più elevata poiché il vantaggio finanziario per l'impresa singola è relativamente contenuto.

4.4. Aiuti alla ricerca e sviluppo

La disciplina per gli aiuti alla R& S (16) stabilisce che nel quadro di regimi nazionali di aiuto alla R& S le PMI possono essere autorizzate a ricevere aiuti ad un tasso superiore di 10 punti percentuale a quello autorizzato per le grandi imprese.

4.5. Aiuti con altre finalità

La maggioranza dei regimi di aiuti alle PMI notificati alla Commissione ricade nelle categorie sopra elencate. In presenza di giustificati motivi, la Commissione potrebbe però autorizzare aiuti per altri strumenti di promozione della PMI, come quelli diretti a incoraggiare la cooperazione tra imprese.

5. Procedura di approvazione accelerata per i regimi di aiuto alle PMI

La Commissione ha deciso che normalmente non solleverà obiezioni nei confronti di regimi di aiuto alle PMI come definite al punto 2.2 purché l'intensità o l'ammontare dell'aiuto sia bassa, e cioè quando sia soddisfatto uno dei criteri seguenti:

- nel caso di regimi di aiuto all'investimento, l'intensità dell'aiuto non superi il 7,5 % dell'investimento lordo,

- nel caso di regimi di aiuto finalizzati alla creazione di posti di lavoro, l'aiuto non superi i 3 000 ecu per posto di lavoro creato,

- in assenza di obiettivi specifici in fatto di investimenti o creazione di posti di lavoro, l'aiuto complessivo non superi la cifra di 200 000 ecu,

e quando l'aiuto concesso sulla base di questo regime non possa essere cumulato con altri aiuti al punto di superare i suddetti limiti.

Per i regimi di aiuto che rientrano in una delle tre categorie suddette, la Commissione ha istituito una procedura speciale di approvazione accelerata. Questa procedura e l'atteggiamento favorevole nei confronti di detti aiuti continueranno ad essere applicati ai nuovi regimi di aiuto alle PMI. La procedura accelerata continuerà ad essere applicata anche alle modifiche (17) dei regimi preesistenti - e già autorizzati - a favore delle PMI o di altre imprese. A differenza degli aiuti «de minimis» descritti al punto 3.2, gli aiuti che possono beneficiare dell'approvazione accelerata continueranno ad essere soggetti all'obbligo di notifica.

6. Notifica, autorizzazioni esistenti, durata e riesame della disciplina

6.1. Fatta eccezione per i regimi di aiuti «de minimis» (punto 3.2) la presente disciplina nulla innova rispetto all'obbligo degli Stati membri di notificare tutti i regimi di aiuti alle PMI (e ogni modifica di tali regimi) in osservanza dell'articolo 93, paragrafo 3 del trattato CEE.

6.2. La presente disciplina lascia impregiudicati i regimi che al momento della sua pubblicazione erano già stati autorizzati, fatta salva tuttavia la possibilità di riesame a norma dell'articolo 93, paragrafo 1.

6.3. Per un periodo di tre anni dalla data della sua pubblicazione la Commissione si baserà sulla predetta disciplina per la valutazione dei regimi di aiuto a favore delle PMI. Prima dello scadere del periodo in questione essa riesaminerà la presente disciplina sotto il profilo della sua operatività.

>SPAZIO PER TABELLA>

(1) Le imprese che occupano meno di 200 dipendenti, comprese quelle costituite dal solo imprenditore, rappresentano il 62,7 % dell'occupazione totale nella CEE (Commissione delle Comunità europee, raccolta di dati nel quadro di un progetto comune dell'Istituto statistico delle Comunità europee e della DG XXIII relativo alle statistiche concernenti le PMI, dicembre 1989; vedi anche EC Commission, Entreprises in the European Community, Bruxelles - Lussemburgo 1990).

(2) Vedi comunicazioni della Commissione al Consiglio, COM(89) 402 e SEC(91) 1286, intitolate rispettivamente «Sviluppo della subfornitura nella Comunità» e «Verso un mercato europeo della subfornitura».

(3) Soprattutto nel caso delle imprese prive di personalità giuridica, che sono in genere soggette all'imposta sul reddito e possono essere gravate da un'aliquota marginale più elevata. Nella maggior parte degli Stati membri quest'ultima è di solito più elevata dell'aliquota dell'imposta sulle società alla quale sono soggette di norma le aziende dotate di personalità giuridica a prescindere dalle loro dimensioni.

(4) Risoluzione del Consiglio del 3 novembre 1986 (GU n. C 287 del 14. 11. 1986, pag. 1).

(5) Risoluzioni del Consiglio del 30 giugno 1988 (GU n. C 197 del 27. 7. 1988, pag. 6) e del 27 maggio 1991 (GU n. C 146 del 5. 6. 1991, pag. 3) e decisione del Consiglio del 28 luglio 1989 (GU n. L 239 del 16. 8. 1989, pag. 33), relativa al miglioramento del contesto operativo e alla promozione dello sviluppo delle imprese, specialmente delle PMI, modificata dalla decisione del Consiglio del 18 giugno 1991 (GU n. L 175 del 4. 7. 1991, pag. 32).

(6)Decisione del Consiglio del 17 aprile 1989 (GU n. L 112 del 25. 4. 1989, pag. 12).

(7)Vedi in particolare, la dichiarazione contenuta nella sesta relazione sulla politica di concorrenza (1976), punti 253-255.

(8) Vedi la relazione della Commissione al Consiglio sulle definizioni delle PMI utilizzate nel quadro delle azioni comunitarie, SEC(92) 351 def. del 29 aprile 1992, pag. 2: «Le PMI non possono essere definite in assoluto. La questione della definizione pertinente delle PMI non ha senso se non nel contesto di una misura precisa, per la quale si ritenga necessario isolare una categoria di imprese rispetto alle altre a motivo delle loro "dimensioni". I criteri accolti per stabilire questa differenziazione dipendono necessariamente dall'obiettivo perseguito.»

(9) Vedi relazione della Commissione al Consiglio sulle definizioni delle PMI utilizzate nel quadro delle azioni comunitarie.

(10)GU n. L 222 del 14. 8. 1978, pag. 11, come modificato recentemente nella GU n. L 317 del 16. 11. 1990, pag. 57.

(11) GU n. L 193 del 18. 8. 1983, pag. 1.

(12) Cioè, il valore nominale (esclusa l'imposta) dei contributi in conto capitale oppure il valore attualizzato, esclusa l'imposta, di prestiti a tasso di interesse agevolato, entrambi espressi in termini di percentuale del costo dell'investimento. Le cifre «nette» si intendono dopo la deduzione dell'imposta.

(13) Vedi comunicazione della Commissione sul metodo di applicazione dell'articolo 92, paragrafo 3, lettere a) e c) ai regimi di aiuti regionali (GU n. C 212 del 12. 8. 1988, pag. 2). È da notare che gli elenchi allegati a tale comunicazione non sono aggiornati.

(14)Vedi decisioni della Commissione del 21 marzo 1989 (prorogata) e del 10 maggio 1989 (GU n. L 112 del 25. 4. 1989, pag. 19 e GU n. L 198 del 12. 7. 1989, pag. 1).

(15)Comunicazione agli Stati membri allegata alla lettera SG(87) D/3795 del 23 marzo 1987.

(16) GU n. C 83 dell' 11. 4. 1986, pag. 2.

(17)Proroghe della durata e/o aumento fino al 20 % della dotazione oppure inasprimento delle condizioni per beneficiarne.

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