Scegli le funzioni sperimentali da provare

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Documento 61985CC0053

    Stanovisko generálního advokáta - Lenz - 22 ledna 1986.
    AKZO Chemie BV a AKZO Chemie UK Ltd proti Komisi Evropských společenství.
    Věc 53/85.

    Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:1986:25

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    CARL OTTO LENZ

    del 22 gennaio 1986 ( *1 )

    Signor Presidente,

    signori Giudici,

    A —

    Questa causa verte sulla delimitazione dei poteri e delle posizioni giuridiche della Commissione delle Comunità europee, delle imprese sottoposte ad indagini riguardanti l'abuso di posizione dominante nonché delle persone e delle associazioni che abbiano dimostrato di avere un legittimo interesse all'accertamento di una trasgressione dell'art. 86 del trattato. Si tratta, in particolare, di appurare in che misura è lecito alla Commissione concedere ad un reclamante ai sensi dell'art. 3, n. 2, del regolamento n. 17 ( 1 ), di prendere visione dei documenti aziendali di un'impresa sulla quale essa conduce un'indagine per sospetta trasgressione dell'art. 86 del trattato.

    I —

    1.

    Le ricorrenti, AKZO Chemie BV e AKZO Chemie UK Ltd, fanno parte del gruppo AKZO che è, nella Comunità, il principale fornitore di perossido di benzoile, un prodotto chimico usato nella produzione di materie plastiche e per rendere bianca la farina.

    La Engineering & Chemical Supplies (Epson & Gloucester) Ltd, interveniente, è un'impresa minore che fin dalla sua costituzione, nel 1969, dapprima forniva all'industria britannica della farina perossido di benzoile acquistato dalla AKZO UK ed intraprendeva poi anche la produzione di tale sostanza. Nel 1979 essa estendeva la propria attività al settore delle materie plastiche, prima nel Regno Unito indi in Germania.

    2.

    Il 15 giugno 1982 l'interveniente chiedeva alla Commissione delle Comunità europee, convenuta, di avviare una procedura contro le ricorrenti per aver queste trasgredito l'art. 86 del trattato perseguendo una politica di riduzione abusiva dei prezzi, allo scopo di estrometterla dal mercato.

    Nel dicembre del 1982 i dipendenti della convenuta procedevano ad accertamenti senza preavviso negli uffici di entrambe le ricorrenti, ai sensi dell'art. 14, n. 3, del regolamento n. 17.

    Il 10 ottobre 1983 l'interveniente esperiva inoltre dinanzi alla High Court of Justice un'azione di risarcimento danni contro la AKZO, per trasgressione dell'art. 86 del trattato. Attualmente questa causa è sospesa fino alla decisione della convenuta.

    3.

    Con decisione 29 luglio 1983 ( 2 ) la convenuta, comminando una penalità di mora in caso di trasgressione, ordinava alla ricorrente AKZO Chemie UK Ltd, fino all'adozione di una decisione definitiva, quanto segue:

    non offrire, tra l'altro, perossido di benzoile ad imprese di molitura di cereali nel Regno Unito a prezzi inferiori a quelli fissati dalla convenuta o a quelli offerti dalla AKZO Chemie UK Ltd ad altri analoghi acquirenti;

    non offrire a dette imprese condizioni di vendita, comprese la concessione di credito o modalità di consegna, che potessero avere, direttamente o indirettamente, la conseguenza di far scendere al disotto del prezzo fissato dalla convenuta il prezzo effettivo alla consegna del prodotto summenzionato;

    far pervenire mensilmente alla convenuta, a partire dal 15 agosto 1983, copia di offerte, ordini, fatture, note di credito ed altri documenti equivalenti relativi ad ogni offerta o vendita dei prodotti in questione a qualsiasi acquirente nel Regno Unito, emessi nel mese precedente.

    Fatta salva l'applicazione di queste disposizioni, la convenuta concedeva alla ricorrente AKZO Chemie UK Ltd di offrire i prodotti in questione anche a prezzi inferiori ove ciò fosse necessario, in buona fede, per adeguarsi ad un prezzo inferiore offerto da un altro fornitore.

    4.

    Il 3 settembre 1984 la convenuta inviava alle ricorrenti una comunicazione degli addebiti, consistenti in particolare nell'aver abusato della loro posizione dominante sul mercato, minacciando l'interveniente di vendere ai suoi clienti a prezzi anormalmente bassi, discriminatori e sottocosto ed effettuando vendite od offerte siffatte allo scopo di sottrarre clienti all'interveniente stessa e recare così grave nocumento alla sua attività commerciale. La comunicazione degli addebiti era corredata di 127 allegati.

    Nella stessa data la convenuta inviava all'interveniente la comunicazione degli addebiti, senza accludervi tuttavia i summenzionati allegati. Nella lettera d'accompagnamento essa richiamava l'attenzione dell'interveniente su tale circostanza, menzionando la possibilità offertale di chiedere di avere visione degli allegati qualora ciò fosse necessario per l'eventuale redazione delle sue osservazioni. Nel contempo la convenuta sottolineava che gli allegati eventualmente trasmessi potevano essere usati solo per il procedimento in corso dinanzi ad essa.

    Le ricorrenti esprimevano il loro punto di vista sugli addebiti con memorie del 22 ottobre e del 16 novembre 1984, anch'essi trasmessi dalla convenuta all'interveniente.

    5.

    Con lettera 19 novembre 1984 l'interveniente chiedeva di prendere visione dei documenti allegati alla comunicazione degli addebiti, onde poter esercitare in pieno il diritto, contemplato dall'art. 19, n. 2, del regolamento n. 17, di essere sentita nel procedimento amministrativo.

    Con lettera 29 novembre 1984, la convenuta informava le ricorrenti della domanda dell'interveniente. Essa dichiarava che avrebbe consentito all'interveniente di esaminare solo i documenti, o parte di essi, allegati alla comunicazione degli addebiti e non coperti da un « vero e proprio segreto commerciale » (« genuine business secrecy »). A tal proposito, tuttavia, essa rilevava che la prova diretta della trasgressione dell'art. 86 del trattato (« direct evidence of an infringement »), non poteva essere tutelata dal segreto commerciale.

    La Commissione, infine, comunicava alle ricorrenti che, prima di decidere sulla domanda dell'interveniente, riteneva opportuno concedere loro un termine di 10 giorni per la presentazione di osservazioni in merito.

    Nelle osservazioni presentate il 7 dicembre 1984, le ricorrenti ribattevano innanzitutto che non si poteva parlare di prova diretta dell'inosservanza dell'art. 86 del trattato. Allo stato degli atti, vi era solo un'asserzione in tal senso da parte della Commissione. Ciò posto, non era necessario esprimersi sull'assunto della convenuta secondo il quale essa poteva divulgare segreti commerciali ed altre informazioni riservate, ottenute durante le indagini, prima di aver ufficialmente accertato l'effettiva esistenza della trasgressione dell'art. 86 del trattato.

    Le ricorrenti inoltre deploravano che la convenuta avesse comunicato per intero all'interveniente la loro risposta agli addebiti, senza chiedere loro se talune parti di questa non fossero di natura riservata.

    Quanto alla domanda di prendere visione degli allegati, le ricorrenti offrivano di fornire dei riassunti oppure di trasmetterli dopo averne reso illeggibili le parti di natura riservata. A tale scopo le ricorrenti desideravano preliminarmente sapere dall'interveniente quali specifiche parti delle loro osservazioni necessitassero di ulteriori chiarimenti. Nello stesso atto di risposta agli addebiti, le ricorrenti includevano l'elenco di quegli allegati alla comunicazione degli addebiti che in nessun caso dovevano essere portati a conoscenza dell'interveniente, data la loro natura riservata. Le ricorrenti confidavano che detti allegati non sarebbero stati trasmessi.

    Il 18 dicembre 1984 la convenuta comunicava alle ricorrenti di aver consentito il 14 dicembre, ai mandatari dell'interveniente, di esaminare i documenti in questione. Ad essa spettava la decisione in merito ai documenti da dare in visione; tuttavia, l'elenco inviato dalle ricorrenti sarebbe stato attentamente considerato e ad esso ci si sarebbe attenuti, salvo alcuni casi per i quali la convenuta non riteneva che i documenti o parti di essi fossero realmente protetti dal segreto commerciale.

    La conoscenza delle prove era stata considerata necessaria dalla convenuta, anzitutto per poter svolgere adeguatamente la propria indagine e nello stesso tempo per garantire il diritto dell'interveniente di esprimere il proprio punto di vista ai sensi dell'art. 5 del regolamento n. 99/63 ( 3 ).

    Alla lettera di cui sopra la convenuta accludeva gli allegati alla comunicazione degli addebiti che, contrariamente a quanto richiesto dalle ricorrenti, erano stati trasmessi all'interveniente, e ciò nell'identica forma in cui la trasmissione aveva avuto luogo. Riguardo all'allegato n. 21 ( 4 ), la convenuta dichiarava di non averlo potuto considerare segreto commerciale in quanto costituiva un decisivo elemento di prova. I dati sui costi delle ricorrenti contenuti nelle tabelle AC erano stati occultati; ai mandatari dell'interveniente era stato inoltre ordinato di non mostrare ai loro clienti dette tabelle.

    I documenti relativi alla ditta Diaflex erano stati eliminati dagli allegati, ma si era consentito ai mandatari dell'interveniente di prendere nota dei dati relativi ai prezzi di questa ditta, sempre a condizione che non li mostrassero ai loro clienti.

    Con atto 22 febbraio 1985, le ricorrenti proponevano ricorso. L'intervento della ECS a sostegno della convenuta veniva ammesso dalla Corte di giustizia con ordinanza 10 luglio 1985.

    II 14 dicembre 1985 la Commissione ha adottato una decisione in merito ed inflitto alle ricorrenti un'ammenda di 10 milioni di ECU per abuso di posizione dominante ( 5 ).

    II — Le conclusioni delle parti

    1.

    Le ricorrenti chiedono alla Corte di:

    dichiarare il ricorso ricevibile ed accoglierlo;

    annullare la decisione della convenuta comunicata alle ricorrenti con lettera 18 dicembre 1984;

    ordinare alla convenuta di esigere la restituzione dei documenti riservati trasmessi all'interveniente;

    condannare la convenuta al pagamento delle spese.

    2.

    La convenuta chiede alla Corte di:

    dichiarare irricevibile il ricorso;

    in subordine, respingerlo;

    in ambedue i casi, condannare le ricorrenti alle spese.

    3.

    L'interveniente chiede alla Corte di:

    dichiarare irricevibile il ricorso;

    in subordine, respingerlo;

    in ambedue i casi, condannare le ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dall'interveniente.

    B — Ecco il mio parere in proposito:

    I — Sulla ricevibilità del ricorso

    1.

    La convenuta e Y interveniente eccepiscono l'irricevibilità del ricorso in quanto mancherebbe un provvedimento da annullare a norma dell'art. 173 del trattato.

    Secondo la giurisprudenza della Corte, per stabilire se l'atto impugnato sia una decisione ai sensi dell'art. 173 del trattato, occorrerebbe tener conto della sua sostanza. Secondo detta giurisprudenza, tutti gli atti destinati a produrre effetti giuridici obbligatori, idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna modificandone la situazione giuridica, costituirebbero provvedimenti o decisioni impugnabili a norma dell'art. 173 del trattato ( 6 ). Nel caso in esame questi presupposti non sussisterebbero dal momento che la situazione giuridica delle ricorrenti non sarebbe stata modificata. Qualora il procedimento amministrativo si concludesse con una decisione della convenuta, le ricorrenti potrebbero impugnarla facendo valere un eventuale vizio « in procedendo », vale a dire l'inosservanza dell'obbligo di riservatezza.

    Il comportamento della convenuta costituirebbe un mero atto materiale, preparatorio della decisione definitiva. La trasmissione dei documenti all'interveniente doveva facilitare la valutazione della convenuta in ordine all'esistenza della trasgressione dell'art. 86 del trattato. Essa sarebbe quindi un elemento integrante ed inseparabile della procedura preparatoria della decisione definitiva e non l'« atto conclusivo di un procedimento speciale e distinto ». Data la natura molto complessa della pratica, la trasmissione dei documenti all'interveniente e le osservazioni da questa formulate avrebbero favorito ed accelerato le indagini. Le supposizioni della convenuta sarebbero state confermate. Essa avrebbe perciò ritenuto opportuno sentire entrambe le parti interessate, anche se in ultima analisi le informazioni fornite dall'interveniente non avevano contribuito ad un ulteriore chiarimento del caso.

    Ammettere il ricorso nell'attuale fase della procedura causerebbe confusione tra il procedimento amministrativo ed il procedimento giudiziario. Gli argomenti delle ricorrenti a favore della ricevibilità del ricorso sarebbero strettamente connessi alla questione se i documenti fossero coperti dal segreto d'ufficio. Il sindacato giurisdizionale in proposito sarebbe però ancora prematuro, dato che è ancora in corso il procedimento amministrativo. Ciò sarebbe incompatibile con il principio della ripartizione delle competenze tra la Commissione e la Corte di giustizia.

    Ľ interveniente fa valere inoltre la necessità di distinguere la possibile lesione di un diritto dalla modifica di una situazione giuridica. La lesione di mero fatto di un diritto non presupporrebbe per nulla necessariamente un provvedimento da cui nascono effetti giuridici obbligatori, idonei ad incidere sugli interessi di chi lo impugna, modificandone la situazione giuridica.

    Le ricorrenti sostengono invece fermamente che il provvedimento della convenuta è un atto impugnabile ai sensi dell'art. 173 del trattato. Pur richiamandosi anch'esse alla citata sentenza 11 novembre 1981, causa 60/81, ne traggono conclusioni opposte. L'atto della convenuta avrebbe posto in non cale la tutela che il trattato garantisce contro la divulgazione di informazioni per loro natura coperte dal segreto d'ufficio. Tale atto avrebbe inoltre inciso sugli interessi delle ricorrenti, poiché l'interveniente potrebbe avvalersi in altre cause delle informazioni ricevute dalla convenuta.

    Avuto riguardo a questi effetti giuridici, non si potrebbe sostenere che l'atto della convenuta fosse meramente praparatorio. Esso avrebbe infatti impedito che i documenti forniti dalle ricorrenti fruissero della tutela che spetta alle informazioni riservate; esso costituirebbe una manifestazione finale di volontà della convenuta. Del resto, si tratterebbe dell'atto conclusivo di un procedimento speciale, distinto dal vero e proprio procedimento in fatto di concorrenza, il quale si conclude con una decisione nel merito, adottata dalla convenuta. La decisione impugnata riguarderebbe inoltre ambedue le ricorrenti in quanto accerterebbe nei loro confronti che talune informazioni non sono coperte dal segreto d'ufficio.

    Un simile provvedimento dovrebbe essere impugnabile senza dover attendere la conclusione del procedimento amministrativo. Questo, infatti, potrebbe protrarsi per un certo tempo e addirittura concludersi senza una decisione nel merito. Si dovrebbe perciò consentire alle parti di far valere le loro pretese risarcitone, qualora il diritto alla salvaguardia del segreto commerciale fosse stato deliberatamente conculcato.

    2.

    Nell'esaminare la ricevibilità del ricorso, ritengo che si debbano distinguere diversi gruppi di problemi:

    se il controverso atto della convenuta sia di mero fatto ovvero un provvedimento;

    se si tratti di una decisione definitiva nel senso dell'art. 173 del trattato oppure di un atto intermedio della convenuta, destinato unicamente a preparare il provvedimento finale;

    se le ricorrenti abbiano interesse alla tutela giurisdizionale; in particolare se il ricorso non sia divenuto privo di oggetto dato che la convenuta ha effettivamente trasmesso i documenti all'interveniente, per cui le ricorrenti potrebbero al massimo esperire un'azione di risarcimento dei danni.

    a)

    È perciò necessario, in primo luogo, tracciare il confine tra il concetto di decisione e quello di atto meramente materiale. A questo riguardo va accolto l'assunto dell'interveniente secondo il quale è necessario distinguere il diritto legalmente tutelato dalla modifica di una situazione giuridica.

    La questione se con la domanda di prendere visione degli atti si chieda una decisione non può essere risolta in generale né in senso affermativo né in senso negativo, soprattutto quando la conoscenza dei documenti sia stata data mediante la loro effettiva consegna. In tale contesto si deve stabilire se la domanda venga accolta automaticamente con atto puramente materiale ovvero l'autorità concedente debba prendere in considerazione altri aspetti.

    Ai fini della postulata delimitazione concettuale, è necessario anzitutto descrivere le singole fasi della procedura di cui è causa, sullo sfondo del contesto giuridico in cui si sono succedute.

    Nel caso in esame l'interveniente ha chiesto alla convenuta di prendere visione dei documenti da questa ottenuti in occasione di una procedura in fatto di concorrenza e quindi coperti, in linea di principio, dal segreto d'ufficio a norma dell'art. 214 del trattato e dell'art. 20, n. 2, del regolamento n. 17. La convenuta invitava le ricorrenti ad esprimere il loro punto di vista su tale domanda. Ricevute le osservazioni delle ricorrenti, la convenuta ha deciso quali documenti trasmettere all'interveniente per intero, quali in riassunto e quali non trasmettere affatto.

    Da ciò si deve desumere che la convenuta ha ponderato fra loro interessi diversi: la tutela del segreto d'ufficio, l'interesse delle ricorrenti alla tutela dei loro segreti commerciali, l'esigenza d'informazioni dell'interveniente, ai fini dell'audizione, nonché il dovere di vigilare efficacemente sull'osservanza delle norme sulla concorrenza poste dal trattato. Ponderati questi interessi, la convenuta ha infine deciso di quali documenti aziendali delle ricorrenti l'interveniente potesse aver conoscenza per gli scopi del procedimento amministrativo in corso; essa dunque ha stabilito in quale misura l'interesse alla tutela del segreto commerciale e la tutela del segreto d'ufficio dovessero essere sacrificati all'efficace applicazione delle norme sulla concorrenza del trattato CEE.

    La convenuta ha quindi delimitato le posizioni giuridiche rispettive delle ricorrenti e dell'interveniente, stabilendo nel contempo entro quali limiti essa poteva discostarsi dal principio della tutela del segreto d'ufficio in nome dell'interesse all'applicazione del diritto comunitario della concorrenza. L'aspetto essenziale del modo di procedere della convenuta, dal punto di vista giuridico, non consiste perciò nella consegna di fatto di documenti all'interveniente, bensì nella valutazione giuridica dei limiti entro i quali era possibile accogliere la domanda di prendere conoscenza degli atti. La convenuta ha deciso in modo vincolante quali documenti delle ricorrenti potessero essere esaminati dall'interveniente. Così facendo essa ha tracciato i confini giuridici tra il diritto all'informazione dell'interveniente ed il diritto delle ricorrenti alla tutela della riservatezza dei loro documenti aziendali. La Commissione ha perciò adottato un atto produttivo di effetti giuridici obbligatori, tali da incidere sugli interessi delle ricorrenti, modificandone la situazione giuridica. Sussiste quindi una decisione. Il fatto che essa non sia stata adottata per iscritto ma ne sia stato comunicato il risultato alle ricorrenti quattro giorni dopo l'effettiva trasmissione dei documenti all'interveniente, non osta ad una simile conclusione, poiché è irrilevante la forma in cui la decisione è stata adottata ( 7 ).

    b)

    Va poi accertato se la decisione sia impugnabile autonomamente. Secondo la giurisprudenza della Corte, infatti, quando si tratti di atti o decisioni adottati durante una procedura che si svolge in varie fasi ed in particolare al termine di un procedimento interno, in linea di principio sono impugnabili solo i provvedimenti che stabiliscono in modo definitivo l'atteggiamento dell'autorità al termine di tale procedura, ad esclusione degli atti intermedi destinati a preparare la decisione finale ( 8 ).

    Dubbi sulla possibilità di autonoma impugnazione della decisione della convenuta potrebbero nascere dal fatto che con essa la Commissione ha segnato i limiti della tutela del segreto d'ufficio e commerciale nei confronti dell'interesse all'applicazione delle norme sulla concorrenza, definendo così i propri poteri di accertamento. Sotto questo profilo, si potrebbe sostenere che si tratta di un atto meramente preparatorio della decisione finale, in quanto tale equiparabile all'avvio di una procedura in fatto di concorrenza o alla comunicazione degli addebiti, come stabilito dalla Corte nella sentenza 11 novembre 1981 ( 9 ).

    Simili obiezioni vanno tuttavia respinte, poiché la decisione della convenuta ha vari aspetti. Oltre a stabilire in quale misura la tutela del segreto commerciale debba cedere di fronte ai compiti di accertamento della convenuta, essa, come già detto, ha contestualmente delimitato le posizioni giuridiche rispettive delle ricorrenti e dell'interveniente. Sotto questo profilo la decisione della convenuta ha un aspetto collaterale, giuridicamente autonomo e distinto dalla decisione di merito nell'ambito del procedimento amministrativo. Non si tratta cioè della mera preparazione della decisione finale della convenuta, bensì anche della delimitazione delle posizioni giuridiche delle imprese coinvolte nel procedimento. Ne consegue che questa parte della decisione della convenuta non è equiparabile alla decisione di avviare un procedimento o alla comunicazione degli addebiti.

    Poiché ora non è possibile separare gli uni dagli altri i diversi aspetti di un provvedimento unitario, la decisione con cui la convenuta ha concesso all'interveniente di prendere visione di taluni documenti aziendali delle ricorrenti è una decisione impugnabile autonomamente ai sensi dell'art. 173 del trattato.

    La conclusione che l'atto della convenuta è una decisione ai sensi dell'art. 173 del trattato è confortata anche da quanto dispone il regolamento n. 17. In tutti i casi, infatti, in cui la Commissione non può contare sulla volontaria collaborazione delle imprese, ma deve ricorrere a mezzi coercitivi, questi si concretano anzitutto in una decisione che, fra l'altro, deve menzionare il diritto di impugnarla dinanzi alla Corte di giustizia: è quanto dispongono l'art. 11, n. 5, del regolamento n. 17, per la richiesta d'informazioni, e l'art. 14, n. 3, dello stesso regolamento per i poteri di accertamento.

    Questo principio è stato ribadito dalla Corte nell'ordinanza 17 gennaio 1980, nella quale aveva riconosciuto alla Commissione il potere, non espressamente attribuitole dal regolamento n. 17, di adottare provvedimenti cautelari urgenti anche in pendenza del procedimento amministrativo. Le relative decisioni « devono (...) essere prese in forma tale da poter costituire oggetto di ricorso dinanzi alla Corte di giustizia, proponibili da qualsiasi parte che si considerasse lesa » ( 10 ).

    e)

    All'udienza si è pure discusso sul punto se il ricorso non fosse in realtà divenuto privo di oggetto dato che l'interveniente aveva avuto effettiva visione degli atti e che la conoscenza di questi non sarebbe stata cancellata nemmeno annullando la decisione della convenuta, per cui l'unica cosa che le ricorrenti potessero ancora fare era esperire un'eventuale azione di risarcimento dei danni.

    Non sono propenso ad accogliere questa tesi per due ordini di ragioni.

    Il fatto stesso che documenti aziendali delle ricorrenti siano stati di fatto messi a disposizione dell'interveniente e lo siano tuttora, costituisce una lesione dei loro diritti, lesione ancora in atto e che si potrebbe far cessare annullando la decisione della convenuta. È vero che in questa sede la Corte non potrebbe ordinare direttamente all'interveniente di restituire i documenti delle ricorrenti alla convenuta, questa tuttavia sarebbe almeno tenuta, ex art. 176 del trattato, ad adoperarsi per la restituzione di detti documenti.

    L'annullamento della decisione della Commissione produrrebbe l'ulteriore effetto di impedire all'interveniente di basarsi, tanto dinanzi alla High Court of Justice, quanto nell'audizione dinanzi alla Commissione, su informazioni illegittimamente trasmesse. Poiché non va escluso che ciò possa influire sulla posizione giuridica delle ricorrenti nel procedimento amministrativo, sono dell'opinione che con la trasmissione dei documenti non sia venuto meno l'oggetto del contendere.

    Ritengo quindi che il ricorso sia ricevibile.

    3.

    Ciò tuttavia non vale per la pretesa delle ricorrenti che si ordini alla convenuta di esigere la restituzione dei documenti riservati trasmessi all'interveniente.

    Questa pretesa non trova alcun fondamento nei mezzi di tutela giurisdizionale predisposti dal diritto comunitario. In forza dell'art. 176 del trattato l'istituzione da cui emana l'atto annullato è tenuta, è vero, ad adottare i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta. Tuttavia, il decidere quali provvedimenti siano opportuni spetta anzitutto all'istituzione, eventualmente sotto il controllo della Corte. L'autonoma pretesa che siano precisati gli obblighi imposti da una sentenza della Corte — benché sia stata espressamente tenuta ferma dalle ricorrenti all'udienza — non è contemplata dal trattato e va quindi considerata irricevibile.

    II — Nel merito

    Il ricorso è fondato su tre mezzi:

    inosservanza del principio del segreto d'ufficio posto dall'art. 214 del trattato e dall'art. 20, n. 2, del regolamento n. 17;

    trasgressione dell'art. 20, n. 1, del regolamento n. 17, a norma del quale le informazioni ottenute durante il procedimento amministrativo, possono essere usate solo ai fini del procedimento stesso;

    trasgressione della ripartizione delle competenze tra la Commissione e la Corte di giustizia, contemplata dall'art. 185 del trattato, e limitazione della tutela giurisdizionale delle ricorrenti.

    1. Inosservanza del segreto d'ufficio

    a)

    Secondo le ricorrenti, l'art. 214 del trattato CEE, attuato, in fatto di concorrenza, dall'art. 20 del regolamento n. 17, dispone espressamente che la Commissione è tenuta a non divulgare le informazioni protette, per loro natura, dal segreto d'ufficio. Detto obbligo implicherebbe, fra l'altro, il divieto di fornire informazioni di cui, come nel caso in esame, sia stata rilevata la riservatezza vuoi al reclamante nel senso dell'art. 3, n. 2, del regolamento n. 17, vuoi ai terzi nel senso dell'art. 19, n. 2, dello stesso. Qualora fosse necessario fornire informazioni al reclamante, ciò dovrebbe avvenire in modo compatibile con la tutela della riservatezza. E quanto le ricorrenti avrebbero proposto alla convenuta, la quale però non vi avrebbe aderito.

    Il principio della tutela della riservatezza delle informazioni varrebbe anche per i documenti i quali consentano eventualmente di accertare una trasgressione dell'art. 86 del trattato CEE. Fino a quanto la convenuta non abbia ancora accertato la trasgressione, sarebbe prematuro ritenere che tali documenti ne costituiscano la prova.

    Il trattato del resto non farebbe distinzione tra le decisioni con cui si accerta una trasgressione e le altre decisioni. L'art. 214 del trattato prescriverebbe la tutela del segreto d'ufficio in via generale e senza eccezioni. A norma dell'art. 21 del regolamento n. 17, il legittimo interesse delle imprese a che non vengano divulgati i segreti relativi ai loro affari, sarebbe tutelato perfino in occasione della pubblicazione delle decisioni con cui la Commissione accerta la trasgressione delle norme sulla concorrenza del trattato. Ciò varrebbe espressamente anche nel caso di accertamento di una trasgressione dell'art. 86 del trattato.

    La convenuta ribatte che, al fine dell'accurata ricostruzione dei fatti, era necessario sentire il parere del reclamante, vale a dire dell'interveniente. D'altro canto i documenti posti a disposizione di questa non avrebbero contenuto alcun segreto commerciale tutelato.

    In ogni caso l'obbligo di tutelare il segreto commerciale non varrebbe per i documenti che, per loro natura e per il loro contenuto, costituiscono la prova di una trasgressione degli articoli 85 e 86 del trattato. La convenuta non sarebbe vincolata dal fatto che le imprese interessate attribuiscano natura riservata a taluni documenti. Nemmeno la circostanza che la loro pubblicazione possa essere incresciosa per queste imprese implicherebbe l'esistenza di un segreto commerciale degno di tutela.

    La convenuta si richiama inoltre alla disciplina della procedura antidumping, a suo parere analoga. Secondo l'art. 7, n. 4, lett. a), del regolamento n. 3017/79 ( 11 ), il reclamante potrebbe prendere conoscenza di tutti i documenti messi a disposizione della Commissione da chi sia coinvolto nelle indagini, purché rilevanti per la tutela dei suoi interessi e non riservati. In merito a detta disposizione la Corte di giustizia, con sentenza 20 marzo 1985 ( 12 ), avrebbe stabilito che, nonostante le istituzioni comunitarie siano tenute in forza dell'art. 214 del trattato a garantire la riservatezza delle informazioni, quest'obbligo dev'essere interpretato in modo da non svuotare di contenuto i diritti attribuiti dall'art. 7, n. 4, lett. a), del regolamento n. 3017/79.

    Il reclamante avrebbe quindi il diritto di far valere efficacemente il proprio punto di vista, il che sarebbe possibile solo consentendogli di prendere visione di determinati documenti. È vero che sussiste l'obbligo di escludere le informazioni riservate, ma esso sarebbe stato osservato nel caso dei documenti trasmessi all'interveniente.

    L' interveniente sottolinea il diritto, attribuitole dall'art. 19, n. 2, del regolamento n. 17, di manifestare il proprio punto di vista tanto oralmente, quanto per iscritto. Se non avesse potuto esaminare i documenti su cui si era basata la comunicazione degli addebiti, non sarebbe stata in grado di esercitare in pieno il proprio diritto di essere sentita.

    La tutela del segreto commerciale non prevarrebbe automaticamente sul diritto all'audizione. Sarebbe invece necessario trovare un punto di equilibrio tra l'interesse delle imprese alla salvaguardia del segreto commerciale ed il diritto del reclamante di essere sentito. Ciò sarebbe stato correttamente effettuato dalla convenuta. I documenti di cui è causa avrebbero più che altro un interesse storico e conterrebbero informazioni del tutto analoghe ad altre cui le stesse ricorrenti non avrebbero attribuito natura riservata. La loro comunicazione all'interveniente sarebbe avvenuta esclusivamente ai fini del procedimento amministrativo e non avrebbero alcun valore commerciale per l'interveniente stessa. Essi infine costituivano la prova evidente della trasgressione dell'art. 86 del trattato. In casi del genere la tutela del segreto commerciale verrebbe meno.

    b)

    Prima di esaminare questo mezzo, ritengo opportuno citare le disposizioni di diritto comunitario sull'obbligo di riservatezza e sul segreto d'ufficio.

    L'art. 214 del trattato recita:

    « I membri delle istituzioni della Comunità, i membri dei comitati, e parimenti i funzionari e agenti della Comunità, sono tenuti, anche dopo la cessazione delle loro funzioni, a non divulgare le informazioni che per loro natura siano protette dal segreto professionale e in particolare quelle relative alle imprese e riguardanti i loro rapporti commerciali ovvero gli elementi dei loro costi ».

    L'art. 20, n. 2, del regolamento n. 17 dispone :

    « Fatte salve le disposizioni degli artt. 19 e 21, la Commissione e le autorità competenti degli Stati membri nonché i loro funzionari ed altri agenti sono tenuti a non divulgare le informazioni raccolte in applicazione del presente regolamento e che, per la loro natura, sono protette dal segreto professionale ».

    Infine, l'art. 21 del regolamento n. 17 contempla:

    «1)

    La Commissione pubblica le decisioni che prende in applicazione degli artt. 2, 3,6,7 e 8.

    2)

    La pubblicazione indica le parti interessate e il contenuto essenziale della decisione; essa deve tener conto dell'interesse delle imprese a che non vengano divulgati i segreti relativi ai loro affari ».

    aa)

    Sono quindi oggetto dell'obbligo di segretezza le informazioni che per loro natura siano protette dal segreto d'ufficio. In questo contesto l'art. 214 del trattato menziona « in particolare quelle relative alle imprese e riguardanti i loro rapporti commerciali ovvero gli elementi dei loro costi ». La stessa formulazione della norma indica che il legislatore comunitario non ha dato una definizione esauriente della nozione di segreto d'ufficio. Essa deve dunque essere desunta dalle disposizioni in materia ed in particolare dal regolamento n. 17.

    Questo regolamento impone alle imprese ampi obblighi di informazione e di pubblicazione, in certo qual modo compensati dalle summenzionate norme di tutela, volte a salvaguardare il legittimo interesse delle imprese al segreto delle attività aziendali.

    A dire il vero la sfera dei dati coperti dal segreto d'ufficio è più ampia di quella del segreto commerciale. Nella prima rientrano infatti tutte le informazioni ottenute da dipendenti della Commissione nell'esercizio delle loro funzioni, indipendentemente dal fatto che ne siano venuti in possesso in occasione di indagini ufficiali o grazie a comunicazioni ufficiose. Ne sono tuttavia escluse le informazioni di dominio pubblico ( 13 ).

    L'espressione « segreto professionale » ha invero un ambito semantico troppo limitato, almeno in tedesco, infatti, essa indica solo gli obblighi di riservatezza dei cosiddetti liberi professionisti. La nozione che qui viene in rilievo è quindi da intendere nel senso più ampio di « segreto d'ufficio » ( 14 ).

    Sono informazioni protette « per loro natura » dal segreto d'ufficio, non solo i segreti industriali e commerciali delle imprese, ma anche altre attività aziendali di natura riservata e non accessibili alla generalità ( 15 ). È irrilevante di quale tipo di segreto industriale o commerciale o di attività di natura riservata si tratti.

    Questi documenti od attività aziendali, tuttavia, dato che devono essere protetti « per loro natura » dal segreto d'ufficio, debbono riguardare fatti che abbiano un certo peso per l'impresa e tali da non poter essere resi noti a terzi estranei senza recarle danno. Non tutto quello che l'impresa non desidera si sappia costituisce, obiettivamente, un segreto commerciale. Il punto di vista dell'impresa cui i dati si riferiscono non è perciò di per sé decisivo, ma normalmente costituisce un indizio importante ( 16 ).

    Simili informazioni non possono essere divulgate, o meglio non possono essere comunicate a persone non autorizzate a riceverle ( 17 ). Rientrano in questa categoria non solo i terzi non interessati, ma, sempreché si tratti di segreto commerciale, anche i terzi che hanno diritto ad essere sentiti a norma dell'art. 19, n. 2, del regolamento n. 17 ed in particolare i reclamanti nel senso dell'art. 3, n. 2, lett. b), di detto regolamento. Ciò è stato chiarito dalla Corte nella sentenza 29 ottobre 1980, cause riunite da 209 a 215 e 218/78 ( 18 ), ove è detto quanto segue:

    « Informazioni che abbiano il carattere di segreto professionale, trasmesse ad un'associazione dai propri membri, e che hanno quindi perso tale carattere fra di essi, non lo perdono nei confronti dei terzi. Nel caso in cui tale associazione trasmetta dati del genere alla Commissione nell'ambito di un procedimento avviato a norma del regolamento n. 17/62, la Commissione non può invocare gli artt. 19 e 20 di detto regolamento per giustificare la trasmissione dei dati stessi a dei terzi reclamanti. L'art. 19, n. 2, infatti attribuisce a questi unicamente il diritto di essere sentiti, non già il diritto di ricevere delle informazioni riservate».

    Questa interpretazione è assolutamente inoppugnabile. Ammetterne una contraria potrebbe portare ad una situazione in cui delle imprese cercherebbero di avere accesso a segreti commerciali di altre imprese, presentando domanda ai sensi dell'art. 3 o dell'art. 19, n. 2, seconda proposizione, del regolamento n. 17.

    bb)

    È quindi certo che la convenuta, in occasione dell'audizione di cui all'art. 19, del regolamento n. 17, non può comunicare informazioni di carattere riservato al reclamante ai sensi dell'art. 3, n. 2, del regolamento n. 17. In senso contrario non si può citare neppure la sentenza della Corte 20 marzo 1985, causa 264/82 ( 19 ), nella quale è detto quanto segue:

    « A torto le convenute adducono che i documenti in questione non potevano essere trasmessi a causa del loro carattere riservato. Se è vero che le istituzioni della Comunità sono tenute, in forza dell'art. 214 del trattato, a non divulgare le informazioni riservate relative alle imprese ed in particolare alle imprese di paesi terzi le quali si siano già dichiarate disposte a collaborare con la Commissione, anche qualora non sia stata presentata una specifica domanda a questo riguardo (...). Detto obbligo deve tuttavia essere interpretato in modo da non svuotare di contenuto i diritti contemplati dall'art. 7, n. 4, lett. a), del regolamento n. 3017/79.

    Ne consegue che nel caso in esame la Commissione, compatibilmente con la tutela del segreto commerciale, avrebbe dovuto adoperarsi per fornire alla ricorrente tutti i dati utili per la difesa dei suoi interessi, scegliendo, eventualmente di propria iniziativa, la forma di comunicazione idonea al caso (...) ».

    Anche in questa sentenza la Corte ha riconosciuto che la divulgazione di documenti riservati trova il suo limite nella tutela del segreto commerciale delle imprese.

    È del resto necessario mettere in rilievo le differenze non trascurabili che sussistono tra il regolamento n. 17 ed il regolamento n. 3017/79 (relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea) per quanto riguarda la posizione giuridica delle parti nei rispettivi procedimenti amministrativi.

    Diversamente dal regolamento n. 17, il regolamento n. 3017/79 dispone espressamente, all'art. 7, n. 4, che il reclamante può avere accesso a tutta la documentazione messa a disposizione della Commissione da chi partecipi alle indagini, purché sia rilevante per la difesa dei suoi interessi e non abbia natura riservata ai sensi dell'art. 8 del regolamento. Quest'ultima norma dispone che un'informazione per una natura riservata o comunicata in via riservata, non può essere divulgata, salvo espressa autorizzazione di chi l'ha fornita. Inoltre, l'informazione è di norma considerata riservata se una divulgazione può recare rilevante danno a chi l'ha fornita od a chi ne costituisce l'oggetto.

    Il regolamento n. 17 non offre alcun appiglio a favore dell'esistenza di un analogo diritto di accesso ai documenti. Il reclamante ai sensi dell'art. 3, n. 2, lett. b), non è nemmeno ammesso d'ufficio all'audizione ex art. 19, ma alla pari degli altri terzi, deve prima dimostrare di avervi interesse, secondo quanto prescritto dall'art. 19, n. 2. Di regola ciò dovrà invero presumersi, qualora esso sia colpito dal comportamento dell'impresa a carico della quale è stato avviato il procedimento amministrativo; tuttavia, a norma del regolamento n. 17 la sua ammissione alla procedura non è automatica, ma avviene solo unicamente a richiesta. La Commissione, se ritiene che le circostanze accertate non consentono di accogliere la domanda presentata a norma dell'art. 3, n. 2, del regolamento n. 17, in forza dell'art. 5, del regolamento n. 99/63 deve semplicemente indicarne i motivi al richiedente e fissargli un termine per la presentazione di eventuali osservazioni scritte. Il procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione non avviene quindi in contraddittorio tra il reclamante e l'impresa inquisita; al primo spetta invece la parte limitata che nel processo penale tocca al denunziarne. Nel procedimento in fatto di concorrenza l'iniziativa spetta alla Commissione.

    Tuttavia, mi sembra decisiva la seguente differenza tra i due regolamenti: nel caso della concorrenza la Commissione dispone di rilevanti mezzi di coercizione per condurre le indagini. Se ad esempio la richiesta d'informazioni non dà esito, a norma dell'art. 11, n. 5, del regolamento n. 17, essa può ottenere le informazioni minacciando o imponendo ammende e penalità di mora; l'art. 14 del regolamento n. 17 l'autorizza inoltre a procedere ad accertamenti anche contro la volontà dell'interessato e senza preavviso. Come detto sopra, questi poteri d'indagine e sanzioni sono controbilanciati dalla tutela delle informazioni riservate.

    Il regolamento antidumping non contempla alcuna sanzione. A norma di esso la Commissione può effettuare accertamenti ed ispezioni solo con la spontanea collaborazione dell'impresa per cui, dato che questa può semplicemente rifiutare di dare informazioni riservate, non è necessaria una tutela del segreto di analoga intensità.

    Resta quindi fermo il principio che, in linea di massima, la Commissione non può rivelare al reclamante dei segreti commerciali, neppure in occasione dell'audizione di cui all'art. 19, n. 2, del regolamento n. 17.

    ce)

    L'unica eccezione a detto principio la si può ipotizzare nel caso in cui l'accertamento di una trasgressione delle norme del trattato relative alla concorrenza non sarebbe possibile senza violare i segreti commerciali delle imprese. In un caso del genere si dovrebbe tener presente quanto segue. Il segreto professionale o d'ufficio è disciplinato dall'art. 214 del trattato. Le norme comunitarie di diritto sostanziale della concorrenza nonché, in linea generale, quelle sui poteri d'indagine della Commissione, sono contenute negli artt. 85 e segg. Ciò significa che tanto la tutela della riservatezza, quanto la disciplina sostanziale della concorrenza, unitamente alle forme relative all'esecuzione e vigilanza della stessa da parte della Commissione, si fondano su norme di pari efficacia di diritto comunitario primario. Non mi pare quindi escluso che, in casi eccezionali, si debbano ponderare gli interessi giuridicamente protetti dall'art. 214 e, rispettivamente, dagli artt. 85 e segg. del trattato, qualora l'applicazione delle norme sostanziali comunitarie in fatto di concorrenza non sia altrimenti possibile. Ripeto, tuttavia, che ciò è ipotizzabile solo in casi del tutto eccezionali, poiché la Commissione, grazie ai poteri d'intervento attribuitile dal regolamento n. 17, dovrebbe essere in grado di accertare pratiche lesive della concorrenza anche senza comunicare a terzi segreti commerciali, tanto più che essa può in ogni caso averne conoscenza.

    La semplice esigenza di agevolare od accelerare l'istruttoria non è tuttavia sufficiente per giustificare l'inosservanza del segreto da parte della Commissione.

    Nel caso in questione l'esigenza di arrivare nel dicembre 1984 ad una rapida conclusione del procedimento avviato il 15 luglio 1982 non sussisteva anche perché con il provvedimento provvisorio adottato il 29 luglio 1983 la Commissione aveva già impedito l'eventuale abuso di posizione dominante da parte delle ricorrenti.

    dd)

    Passando ora all'esame specifico del primo motivo del ricorso è necessario ricordare quanto segue.

    La convenuta ha in un primo tempo trasmesso all'interveniente la comunicazione degli addebiti (senza documenti) e la versione completa delle osservazioni delle ricorrenti. Non è necessario stabilire se ciò fosse ammissibile, poiché le ricorrenti non l'hanno contestato dinanzi alla Corte. Indi, accogliendo un'indicazione della convenuta, l'interveniente ha chiesto di avere conoscenza di documenti aziendali delle ricorrenti, di cui la Commissione — secondo l'interveniente — era entrata in possesso grazie ad un atto coercitivo, vale a dire un accertamento senza preavviso ex art. 14, n. 3, del regolamento n. 17. Avuta conoscenza di tale richiesta, le ricorrenti hanno invocato la tutela del segreto commerciale ed offerto, nel contempo, di effettuare degli estratti non riservati di detti documenti. La convenuta non accettava l'offerta, consentendo invece all'interveniente di avere conoscenza di una parte dei documenti, taluni riassunti, taluni solo ad uso dei suoi mandatari ed altri per visione unicamente di questi.

    ee)

    Sorge ora la questione se la Corte debba accertare se i documenti contenessero realmente segreti commerciali delle ricorrenti, benché le parti abbiano dedotto in merito ben poco di sostanziale in corso di causa.

    Nulla osterebbe ad un simile accertamento; tuttavia non lo ritengo necessario ai fini della decisione della causa.

    Nella lettera 18 dicembre 1984 con cui comunicava alle ricorrenti la decisione di trasmettere taluni documenti all'interveniente, la convenuta dichiarava semplicemente di aver ritenuto che molti di essi fossero di natura riservata. A parte qualche breve spiegazione sull'allegato n. 21 della comunicazione degli addebiti, non si esponevano i motivi per i quali la convenuta non aveva tenuto conto delle obiezioni delle ricorrenti in ordine alla natura riservata dei documenti. Solo riguardo a detto allegato n. 21, si spiegava che esso non poteva essere coperto dal segreto commerciale in quanto costituiva un importante elemento di prova della trasgressione dell'art. 86 del trattato.

    aaa)

    Riferita a tale fase del procedimento, non può essere accolta la tesi della convenuta secondo cui l'allegato n. 21, in quanto documento probatorio di una trasgressione dell'art. 86 del trattato, non poteva fruire della tutela spettante alle informazioni riservate.

    La dottrina invero ammette che possa costituire oggetto del segreto commerciale anche la trasgressione degli artt. 85 e 86 del trattato, di cui trattare in una decisione da pubblicarsi ai sensi dell'art. 21; in un caso del genere non sussisterebbe un legittimo interesse al segreto, per cui esso non osterebbe alla pubblicazione ( 20 ).

    È una tesi che appare corretta per quanto riguarda la pubblicazione della decisione definitiva della Commissione. Peraltro, l'art. 21, n. 2, prescrive che anche in questo caso si debba tener conto dell'interesse delle imprese a che non vengano divulgati i loro segreti aziendali. Ė sostenibile che detto interesse non sia più considerato degno di tutela dopoché dal procedimento amministrativo sia emersa la trasgressione delle norme del trattato relative alla concorrenza.

    Qui, però, si è data visione dei documenti delle ricorrenti ancor prima che le imprese interessate fossero sentite ufficialmente ai sensi dell'art. 19, n. 1, del regolamento n. 17. È ben possibile che dalla loro audizione e da quella obbligatoria del comitato consultivo per le intese e le posizioni dominanti (prescritta dall'art. 10, n. 3, del regolamento n. 17), emergessero aspetti tali da porre in diversa luce il comportamento delle imprese. Solo dopo la conclusione di queste altre due fasi del procedimento e dopoché la Commissione abbia accertato la trasgressione delle norme del trattato relative alla concorrenza, può essere opportuno far passare in secondo piano l'interesse dell'impresa alla salvaguardia dei suoi segreti commerciali. Fino a quando però non siano concluse queste due fasi, che servono certo pure a tutelare le imprese, la Commissione non può, di regola, non tener conto dei loro segreti commerciali.

    bbb)

    Se, dunque, il fatto che taluni documenti aziendali costituissero la prova della trasgressione dell'art. 86 del trattato non può essere validamente invocato per giustificare l'inosservanza dell'obbligo della riservatezza in quella determinata fase del procedimento, l'unica giustificazione che ancora rimane è che, come asserisce la convenuta, i documenti trasmessi non contenessero segreti commerciali.

    Tuttavia, questa laconica dichiarazione è insufficiente ai fini dell'obbligo di motivare le decisioni imposto alla Commissione dall'art. 190 del trattato.

    L'estensione di detto obbligo dipende dalla natura dell'atto giuridico in causa ( 21 ). Nel motivare le sue decisioni, la Commissione deve esporre gli argomenti in fatto ed in diritto su cui si basano nonché le considerazioni che l'hanno indotta ad emanarle. Questa prescrizione non trae origine da considerazioni di pura forma, bensì ha lo scopo di dare alle parti la possibilità di tutelare i loro diritti ed alla Corte di esercitare il controllo giurisdizionale che le compete. Per raggiungere questi scopi è sufficiente che la decisione Ìndichi le principali considerazioni di diritto e di fatto sulle quali è basata e che sono necessarie per rendere comprensibile l'iter logico seguito dalla Commissione, ciò può essere fatto in modo sommario, purché la chiarezza e il nesso logico non ne soffrano ( 22 ).

    Nel caso in esame la convenuta non si è attenuta a questi criteri, forse perché non aveva ritenuto che la comunicazione fosse una decisione.

    ff)

    Anche se si ammettesse che la trasmissione dei documenti aziendali era necessaria, resterebbe fermo che il modo con cui la trasmissione ha avuto luogo era in contrasto col principio di proporzionalità.

    Le ricorrenti si erano dichiarate disposte a fornire, se necessario, riassunti o versioni non riservate dei loro documenti, ma la convenuta non ha accettato l'offerta assumendosi la responsabilità di decidere quali documenti dovessero essere mantenuti segreti.

    Un siffatto modo di procedere era certo prematuro, poiché la convenuta non poteva ancora sapere se la documentazione offerta dalle ricorrenti avrebbe potuto soddisfare le esigenze di informazione dell'interveniente.

    Ritengo perciò che il primo motivo del ricorso sia fondato.

    gg)

    Per il caso in cui la Corte ritenesse cionondimeno opportuno accertare se i documenti trasmessi all'interveniente contenessero realmente delle informazioni riservate, mi permetto di suggerire la riapertura della fase orale, giacché finora le parti non si sono espresse in merito in modo approfondito. Per lo meno chiedo che si invitino le parti a formulare apposite conclusioni in merito.

    2.

    a)

    Con il secondo motivo le ricorrenti fanno carico alla convenuta di aver trasgredito l'art. 20, n. 1, del regolamento n. 17, secondo il quale le informazioni ottenute durante le indagini possono essere usate solo per lo scopo per il quale sono iis.if chieste. Trasmettendo i documenti all'interveniente la convenuta avrebbe trasgredito questa disposizione in quanto vi sarebbe il grave rischio che l'interveniente si serva di detti documenti nella causa intentata contro le ricorrenti dinanzi ad un giudice britannico. Non sarebbe inoltre dimostrato che l'interveniente avesse assunto l'obbligo di servirsi dei documenti solo nel procedimento amministrativo dinanzi alla convenuta.

    La convenuta ribatte che i mandatari dell'interveniente si sono impegnati ad usare i documenti trasmessi solo nel procedimento amministrativo. D'altra parte, per quanto riguarda la causa pendente dinanzi al giudice britannico, a norma del diritto processuale britannico, le ricorrenti dovrebbero esibire in ogni caso i documenti in loro possesso.

    Ľ interveniente sostiene di aver potuto prendere visione dei documenti solo impegnandosi a non farne uso ai fini del procedimento dinanzi alla convenuta e di aver onorato tale impegno. Dinanzi ai giudici britannici, inoltre, ciascuna parte avrebbe l'obbligo di fornire alla controparte un elenco dei documenti in suo possesso riguardanti l'oggetto della lite e di consentirle di prendere visione. Il fatto che la convenuta abbia trasmesso i documenti all'interveniente non avrebbe dunque modificato la situazione giuridica delle ricorrenti.

    b)

    Dalla struttura dell'art. 20 del regolamento n. 17 deriva che il numero 1 si riferisce solo all'uso delle informazioni ottenute, mentre la loro divulgazione è retta dal numero 2. Già da questo si desume che l'assunto delle ricorrenti non è pertinente in proposito, giacché esse non sostengono che la convenuta abbia fatto un uso improprio delle informazioni ottenute. D'altra parte, poiché la convenuta ha ottenuto dall'interveniente l'impegno di limitare del pari l'uso delle informazioni al procedimento amministrativo in corso, né allo stato degli atti risulta che l'interveniente sia venuta meno a tale impegno, non ritengo necessario che si affronti la questione di principio se l'interveniente rientri fra i soggetti cui si applica l'art. 20, n. 1, del regolamento n. 17 e se la convenuta abbia eventualmente contribuito all'uso improprio delle informazioni da parte dell'interveniente.

    Il mezzo relativo all'inosservanza dell'art. 20, n. 1, del regolamento n. 17 è quindi infondato.

    3.

    a)

    Con il terzo motivo le ricorrenti deducono la trasgressione dell'art. 185 del trattato. Esse lamentano che la convenuta abbia deciso di consentire all'interveniente l'accesso agli atti ed abbia dato esecuzione a tale decisione in modo irreversibile, senza averle prima informate. Qualora la natura riservata di taluni documenti sia controversa, la convenuta dovrebbe adottare una decisione, ma sotto il controllo della Corte la quale deve poter esercitare la competenza attribuitale dagli artt. 185 e 186, ed ordinare la sospensione dell'esecuzione della decisione o adottare altri provvedimenti provvisori. Con il suo comportamento la convenuta avrebbe privato le ricorrenti della possibilità di chiedere la sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato.

    La convenuta si limita ad asserire che non può sussistere alcuna trasgressione dell'art. 185 dato che essa non aveva adottato alcuna decisione. In subordine, assume di non essere tenuta a sospendere l'esecuzione di una decisione fino a che gli interessati non abbiano avuto modo di chiedere alla Corte un provvedimento provvisorio.

    Anche l' interveniente sottolinea che la Commissione non aveva adottato alcuna decisione ufficiale alla quale si potesse applicare l'art. 185 del trattato ed aggiunge che, ove si esigesse una decisione impugnabile, il procedimento amministrativo subirebbe ritardi inaccettabili.

    b)

    Molto si potrebbe dire a favore della tesi che la convenuta, in via eccezionale, avrebbe dovuto dar modo alle ricorrenti di tutelarsi a termini dell'art. 185 del trattato, dato il carattere irreversibile degli effetti della divulgazione dei loro documenti aziendali; tuttavia, non ritengo necessario proseguire l'esame di questo motivo del ricorso. Esso infatti si riferisce zìi'esecuzione della decisione della convenuta di consentire all'interveniente di prendere visione degli atti, non già alla decisione stessa. La legittimità di detta decisione non può dipendere dal modo della sua successiva esecuzione.

    Se la decisione era illegittima ab initio, la sua irrituale esecuzione non può aggravare la situazione. Se invece, contrariamente alla tesi qui esposta, essa era legittima, tale resterebbe anche se eseguita secondo modalità contrarie alla legge. L'irritualità dell'esecuzione potrebbe invero configurare un'autonoma lesione giuridica, da impugnare separatamente — accanto all'impugnazione della decisione — ma nel presente caso ciò non è stato fatto.

    Anche questo motivo deve quindi essere respinto.

    4. Sulle spese

    Poiché la mia proposta è di accogliere, per l'essenziale la domanda delle ricorrenti, respingendo solo la parte relativa ai provvedimenti che la convenuta è tenuta ad adottare in conseguenza dell'annullamento da parte della Corte della decisione, ritengo opportuno che, ai sensi dell'art. 69 del regolamento di procedura, la convenuta sia condannata alle spese, salvo quelle dell'interveniente, che resteranno a carico di questa.

    C —

    Concludo proponendo alla Corte di dichiarare e statuire quanto segue, nella causa 53/85:

    1)

    La decisione della convenuta, notificata alle ricorrenti il 18 dicembre 1984, è annullata.

    2)

    Per il resto, il ricorso è respinto.

    3)

    La convenuta è condannata al pagamento delle spese processuali, ad eccezione di quelle sostenute dell'interveniente.

    4)

    Le spese dell'interveniente restano a carico di questa.


    ( *1 ) Traduzione dal tedesco.

    ( 1 ) Regolamento n. 17, primo regolamento di attuazione degli am. 85 e 86 del trattato (GU 1962, pag. 204).

    ( 2 ) GU 1983, L 252, pag. 13.

    ( 3 ) Regolamento della Commissione 25 luglio 1963, n. 99, relativo alle condizioni previste all'art. 19, nn. 1 e 2 del regolamento del Consiglio n. 17 (CU 1963, pag. 2268).

    ( 4 ) Una nota interna delle ricorrenti, concernente i rapporti d'affari con l'interveniente.

    ( 5 ) GU 1985, L 374, pag. 1.

    ( 6 ) Sentenza 11 novembre 1981, causa 60/81 (International Business Machines Corporation/Commissione), Racc. 1981, pag. 2639, punto 9 della motivazione.

    ( 7 ) Sentenza 11 novembre 1981, causa 60/81 (International Business Machines Corporation/Commissione), Racc. 1981, pag. 2639.

    ( 8 ) Sentenza 11 novembre 1981, causa 60/81, cit., punto 10 della motivazione.

    ( 9 ) Sentenza 11 novembre 1981, causa 60/81, cit.

    ( 10 ) Ordinanza 17 gennaio 1980, causa 792/79 R (Camera Care Ltd/Commissione), Race. 1980, pag. 131, punto 19 della motivazione.

    ( 11 ) Regolamento del Consiglio del 20 dicembre 1979, n. 3017, « relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica eeuropea » (GU L 339, pag. 1), poi sostituito dal regolamento 23 luglio 1984, n. 2176 (GU 1984, L 201, pag. 1).

    ( 12 ) Causa 264/82 (Timex Corporation e a./Consiglio e Commissione delle Comunità europee), Race. 1985, pag. 849.

    ( 13 ) Sul punto vedasi Pernice in: Grabitz, Kommentar zum EWG-Vertrag, regolamento n. 17, art. 20, nou 8; Hummer, in Grabitz, Kommentar zum EWG-Vertrag, art. 214, nou 14.

    ( 14 ) Vedasi Hummer, op. cit.; Gleiss/Hirsch, Kommenur zum EWG-Kartellrecnt, regolamento n. 17, art. 20, nou 9.

    ( 15 ) Gleiss/Hirsch, op. cit., nota 13.

    ( 16 ) Vedasi Pernice, op. cit., regolamento n. 17, art. 19, nota 24; Gleiss/Hirsch, op. cit., regolamento n. 17, art. 20, nota 11.

    ( 17 ) Deringer, op. cit., regolamento n. 17, art. 20, nota 9; Pernice, op. cit., regolamento n. 17, art. 20, nota 9.

    ( 18 ) Sentenza 29 ottobre 1980, cause riunite da 209 a 215 e 218/78 (Heintz van Landewyck Siri ed altri/Commissione), Racc. 1980, pag. 3125, punto 46; il corsivo è mio.

    ( 19 ) Sentenza 20 marzo 1985, causa 264/82 (Timex Corporation e a./Consiglio e Commissione), punto 29 e seguenti della motivazione, Racc. 1985, pag. 849.

    ( 20 ) Vedasi ad esempio Gleiss/Hirsch, regolamento n. 17, an. 21, nou 6.

    ( 21 ) Sentenza 13 novembre 1978, causa 87/78 (Welding e Co./Hauptzollamt Hamburg-Waltershof), Race. 1978, pag. 2457.

    ( 22 ) Sentenza 4 luglio 1963, causa 24/62 (Repubblica federale di Germania/Commissione), Racc.1963, pag. 140.

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